IL CUORE DEL FIGLIO DI DIO INCARNATO nella meditazione del Biblista MIOLA GABRIELE

MIOLA DON GABRIELE

IL SACRO CUORE DI GESU’

  1. Il Cuore nel linguaggio biblico

Nella nostra cultura il cuore è il simbolo dell’amore e in genere della sfera dell’affettività: la parola cuore evoca tutta la gamma dei sentimenti affettivi, che stanno al di là della pura razionalità. Espressioni come “il cuore non ragiona”, oppure “il cuore fa da sé” dicono bene quella certezza che ci sono delle ragioni che non sono ragioni “razionali”, ma in un certo senso sono più umane, percepite solo dal cuore, dal sentimento, dall’affetto. La nostra cultura è figlia di quella razionalità che tutto misura e tutto inquadra, ha il sapore della matematicità e della freddezza del calcolo, il cuore vi è come giustapposto per penetrare in una sfera diversa, oscura e opaca alla ragione, ma trasparente al raggio dell’affetto, alla luce del cuore.

.a. – aspetto semantico. Nella Bibbia non c’è questo sguardo quasi dualista che penetra e divide la persona; il termine cuore infatti esprime i due aspetti insieme della razionalità e dell’affettività. Esaminiamo alcune espressioni tipiche del linguaggio biblico. In ebraico cuore si dice leb oppure lebab e al cuore vengono attribuiti non solo i sentimenti come dolore, gioia, paura, esasperazione, e altri, ma soprattutto la conoscenza: il conoscere, il sapere avviene col cuore, un uomo abile e che conosce molte cose si dice che ha un cuore largo. Degli artisti che fecero l’arca dell’alleanza si dice che Dio ha messo “nel loro cuore saggezza, intelligenza e scienza” (Es. 31,3.6); Salomone, il re di Israele ha dato origine ai diversi rami delle scienze, si dice che Dio gli donò “larghezza di cuore’’ (1 Re 5,9), che equivale a “una mente vasta”, come traduce la Bibbia CEI. Il testo ebraico del Siracide dice che Dio diede agli uomini “un cuore per pensare” (17,6). Potremmo dire che il cuore abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza umana, designa cioè la persona.

Anche nel Nuovo Testamento, che si esprime in greco, il termine cuore conserva tutta la ricchezza semantica che aveva nell’ebraico e il cuore non è solo la sede dei sentimenti, ma anche del conoscere; è la sede della coscienza morale come si esprime Paolo nella lettera ai Romani (cfr. 2.15).

.b. – aspetto teologico. Proprio col termine cuore si indica la persona, intelligenza, volontà, affetti. Le relazioni tra l’uomo e Dio sono espresse spesso col termine cuore, volendo indicare non solo la tenerezza degli affetti, ma l’intelligenza e il volere, cioè tutta la persona. Dio è più intimo all’uomo di quanto l’uomo stesso si possa conoscere: “Dio scruta il cuore dell’uomo” (Ger. 17,10) e chiamò l’uomo ad amarlo dal suo profondo con tutto il cuore, cioè con tutto se stesso (cfr. Dt. 6,5; Mt 22,37).

L’allontanamento da Dio è espresso parimenti con il termine cuore, per indicare il venir meno della fede, della volontà di rapportarsi a Dio, della conoscenza di Dio, che è fatta di comprensione del disegno di Dio e di intimità con lui. Geremia esprime questo rapporto con Dio come la religione del cuore, cioè di tutta la persona. Il “cuore traviato, indocile” (Ger 5, 23) esprime il pervertimento religioso, l’idolatria, l’abbandono della legge, così come il “cuore incirconciso” (Lev 26, 41) è la persona che non appartiene più a Dio e al popolo dell’alleanza.

Anche Gesù pone nel cuore il centro della persona e Gesù proclama riferendosi al Deuteronomio, che il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore (Mt 22, 37); la vera religione sta nel cuore cioè al centro della persona e non consiste nella osservanza esteriore e legale della legge osservando le regole del puro e dell’impuro, perché la vera purità sta nel profondo dell’uomo: da un cuore impuro vengono le impurità della vita: omicidi, adulteri, avarizia e ogni male (cfr. Mt. 15,19) mentre il cuore puro vede Dio (Mt, 5,8).

Gesù stesso si presenta come “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29) per indicare il centro del suo rapporto con Dio che è l’obbedienza alla volontà del Padre (cfr. Gv. 4, 34; 5, 30; 6, 38; Mc 3, 35 e altro).

L’adesione a Gesù comporta il rinnovamento del cuore cioè della persona, questo rinnovamento è espresso dalla fede. Scrive Paolo: ”se crederai con il tuo cuore che Dio ha risuscitato Gesù da morte sarai salvo” (Rom 10, 9): se aderirai con tutto te stesso a Gesù risorto, anche tu potrai risorgere, cioè ottenere la salvezza.

La fede, cioè l’apertura a Dio e al suo dono rinnova il cuore è come una luce che inonda il cuore, illumina gli occhi del cuore (Ef 1, 18) o la mente, come traduce la Bibbia CEI, anzi per la fede Cristo abita nel cuore dei credenti (Ef 3, 12) e nei loro cuori Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo per cui gridano a Dio: “Abbà Padre!” (Gal 4 ,6).

Lo Spirito dì Gesù risorto rinnova il cuore, cioè la persona in maniera tale che ognuno che lo riceva è, come Gesù, figlio di Dio.

 

  1. La devozione al Cuore di Gesù

In un brano, che solo l’evangelista Matteo riporta, Gesù proclama: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30). Gesù si presenta come “mite ed umile di cuore”. Queste espressioni sono tipiche dell’Antico Testamento per indicare i poveri del Signore a cui è promessa la salvezza (cfr. Sof 2, 3; Dan. 3. 87). Gesù è il “povero” che rivela la presenza di Dio in mezzo ai poveri, è colui che guida la schiera dei poveri verso il Padre, è quel “cuore umile”, cioè l’uomo pieno di fede che si affida completamente al Padre. L’autore delia lettera agli Ebrei ci dice: “teniamo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2).

Nell’umanità di Gesù ci si rivela Dio, il suo cuore umano rivela il cuore di Dio. L’umanità di Gesù da una parte ci rivela amore a Dio e dall’altra ci rivela la vocazione dell’uomo; tramite l’umanità di Gesù l’uomo è santifico, riceve, lo Spirito di Dio, fatto «figlio di Dio»., Il Figlio di Dio, che è la sua parola totale, se si è donato all’uomo e si è fatto carne, uomo, ha preso un cuore d’uomo per amare gli uomini: il cuore di Gesù di Nazareth è il cuore di Dio. Questo, che è scandalo per la ragione, è il mistero della fede.

La Chiesa è nata da questa umanità ed essa, potremmo dire, è gelosa di questa umanità perché è la fonte della sua vita, la via dei suoi passi, la meta delle sue aspirazioni. S. Paolo esprime la realtà storica di questa umanità dicendo che “giunta la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal. 4,4) e Giovanni afferma che chi “non riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne” (1 Gv. 4,2) è anticristo, non è entrato nel mistero del dono che Dio ci fa nell’umanità di Gesù. Questa umanità in un certo senso è il velo che nasconde la luce inaccessibile di Dio, ma in altro senso è l’umanità che squarcia il velo del mistero dell’amore di Dio perché è soltanto attraverso Gesù che abbiamo il sommo sacerdote che ha attraversato i cieli, si è assiso alla destra del trono di Dio, sempre vivo per intercedere per noi (cfr. Eb. 7,25; 8,1).

L’enciclica di Papa Pio XII sulla devozione al Cuore di Gesù del 15 maggio 1956 ripercorre le tappe fondamentali delle espressioni della vita della Chiesa attraverso la testimonianza dei Padri e dei Santi per mostrare come questa devozione sia la “sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione” e esprima “il culto dell’amore”.

Riprendiamone qualche cenno, con dei richiami solo alle cose più note.

I Padri della Chiesa, sia greco-orientale sia latina, cioè i santi e i maestri delle origini fino all’ottavo secolo, hanno particolarmente guardato a Gesù Crocifisso ed hanno specialmente sviluppato questa tipologia: come dal fianco di Adamo addormentato, Dio ha tratto Eva, l’umanità divenuta peccatrice come Eva, così dal fianco di Cristo addormentato sulla croce Dio ha tratto la nuova Eva, l’umanità rigenerata dallo Spirito.

E hanno sviluppato questa realtà vedendo nell’acqua e nel sangue sgorgati dal cuore trafitto di Cristo la linfa vitale della Chiesa, cioè i segni del Battesimo e dell’Eucarestia che formano e nutrono la Chiesa.

I grandi santi fondatori degli ordini mendicanti, S. Domenico e S. Francesco, che si trovano al centro del periodo medioevale e aprono i tempi nuovi, sono i santi dell’umanità del Signore. S. Francesco particolarmente si erge dinanzi a noi come il discepolo folle dell’amore di Gesù, di cui portò l’immagine viva nella sua carne. Questi santi ebbero grande influsso nella vita della Chiesa direttamente e attraverso i loro discepoli: ricordiamo S. Tommaso d’Aquino e poi S. Caterina da Siena sulla linea di S. Domenico e S. Bonaventura sulla linea di S. Francesco.

Tralasciamo di fermarci su maestro Eckart e i grandi mistici come San Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila, tralasciamo i santi del periodo della riforma cattolica come S. Carlo, S. Ignazio di Loyola, S. Roberto Bellarmino, S. Filippo Neri e fermiamoci un momento sul seicento in cui senz’altro l’impulso più efficace alla devozione verso l’umanità di Gesù, verso il cuore di Gesù, venne da S. Margherita Maria Alacoque. Questa santa è come avvolta dalla divina presenza dell’umanità di Gesù. Il Signore le appare e le dice: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini … che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda … lo ti ho scelto per adempiere a questo grande disegno: far conoscere il mio amore”. Da queste esperienze mistiche della santa nel convento della Visitandine di Paray-le- Monial, che si ripeterono più volte tra il 1673 e il 1678, si sviluppò nella Chiesa la devozione al Cuore di Gesù e la pia pratica dei primi nove venerdì del mese. Questa pratica contribuì molto a superare le secche di una spiritualità rigorista sostenuta dai giansenisti, che permettevano molto raramente di ricevere l’Eucarestia. Il movimento spirituale che ne derivò a beneficio per la Chiesa tutta, e la pietà popolare, che non poteva esprimersi nella liturgia, trovò nella devozione al S. Cuore e nella pia pratica dei primi nove venerdì del mese in suo onore, la strada per scoprire le ricchezze insondabili dell’amore di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3, 16).

La devozione popolare da questo momento si diffonde ancor più. Banditori di questa pratica furono i Gesuiti, S. Alfonso Maria dei Liguori, molti Vescovi e quando ormai era devozione acquisita nella Chiesa fu istituita nei 1765 da Papa Clemente XIII la festa liturgica del Sacro Cuore di Gesù.

  1. Considerazioni conclusive

La devozione al Cuore di Gesù ha avuto il grande merito di portare i cristiani a meditare sull’amore di Dio. In un periodo in cui la Bibbia era come un libro chiuso e appannaggio di pochi, la pietà popolare ha trovato il suo sbocco al centro della Bibbia: l’amore di Cristo per gli uomini e questo amore è diventato scuola di carità, di perdono, di ascesi, di vera esperienza di Dio.

Ha accostato anche all’Eucarestia, non dico tanto alla Messa, ma alla Comunione. Ha fatto superare gli scogli del rigorismo giansenista e ha accostato i fedeli a Gesù Eucarestia e al sacramento della Penitenza.

Oggi, a due secoli di distanza, dopo il movimento liturgico e biblico, dopo il Concilio Vaticano II, più che la devozione al Sacro Cuore, alcune pratiche ad essa connesse certamente vanno riviste.

Il cuore nel linguaggio biblico, come abbiamo visto è il centro dell’uomo, è la sua mente, la sua volontà, la sua apertura e la sua decisionalità alla chiamata di Dio; il cuore di Gesù esprime il centro della sua personalità di Figlio, che dona tutto se stesso al Padre per amore nostro. La devozione al Cuore di Gesù è quindi l’espressione dell’attaccamento della Chiesa all’umanità di Cristo, strumento della nostra salvezza. Giustamente quindi Pio XII ha detto che è a sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione.

La pratica tradizionale però deve essere ricentrata: non può essere considerato più importante il venerdì della domenica, che è il giorno del Signore; né più importante la comunione (nei primi venerdì) della stessa Messa, ma bisogna porre la partecipazione alla mensa eucaristica come momento essenza e della Messa, né si possono accentuare le “coroncine” come fossero al di sopra dell’ascolto della parola di Dio, che ci viene attraverso la Bibbia e la Liturgia. La pratica dei primi nove venerdì del mese non può essere presentata e fatta come una specie di assicurazione di salvezza eterna, ma non è che un avvio a comprendere sempre di più la santa Messa, Parola ed Eucarestia, che è il cuore, il centro della Chiesa, e quindi a parteciparvi più assiduamente, soprattutto nella domenica, la Pasqua settimanale e continua nella vita della Chiesa.

L’accentuazione della devozione al Sacro Cuore di Gesù nelle pratiche devozionali ha favorito un certo individualismo cristiano a scapito di una visione ecclesiale, storica ed escatologica della salvezza. Del resto questa dimensione era carente in tutta la vita liturgica della Chiesa, causata da una prospettiva troppo intellettuale della rivelazione e della Bibbia e da una visione accentuativamente sacrale della Liturgia, come esercizio di un sacerdozio separato più che atto memoriale di tutta la Chiesa che celebra l’opera salvifica di Cristo quale centro del piano d’amore del Padre. Questo aspetto di ricentrazione non tanto della devozione al Cuore di Gesù quanto delle sue diverse espressioni e pratiche è del resto in atto e nulla andrà perduto della ricchezza di vita di carità che la Chiesa ha storicamente attinto alla sorgente che è il cuore di Cristo.

Un’ultima osservazione in rapporto alla mostra del santino sul S. Cuore di Gesù. La mostra metterà bene in luce come la pietà popolare ha espresso la sua devozione, e questo è molto importante. Ma se guardiamo all’influsso che la devozione al S. Cuore di Gesù ha avuto nell’arte, dobbiamo dire che non ne ha avuto molto. Anzi tanta produzione, che ha fissato l’attenzione sul cuore più che sulla persona di Gesù, in certo qual modo è stata deviante: certe immagini che tendono così facilmente alla sdolcinatura e al sentimentalismo, tradiscono a forza dell’esperienza dei santi mistici e di S. Margherita Maria Alacoque e del loro messaggio religioso. In questo campo bisognerebbe fare uno studio più attento e una buona ripulitura di tante immagini nelle nostre chiese.

Troverei una motivazione di questo fatto nella carente conoscenza biblica del tempo: il simbolismo del cuore è stato letto più nella luce della cultura occidentale, troppo intellettualista, che vede nel cuore il segno dell’affetto e di un amore irrazionale; nel linguaggio biblico invece il cuore esprime prima di tutto il pensiero e la riflessione, il centro dell’uomo che porta in sé l’immagine di Dio. Credo che partendo da questa visione anche l’espressione artistico-figurativa se ne sarebbe avvantaggiata.

L’augurio è che questa mostra campofilonese, che ormai si è imposta all’attenzione del vasto pubblico, sia un’occasione di riflessione per scoprire il significato vero della devozione al S. Cuore e un approfondimento del senso della pietà cristiana.

 

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