IL RICREATORIO IN BICI CON “LA VELOCE”
Dalla viva voce dei nonni e dei bisnonni raccogliamo le notizie per raccontare come la bicicletta ha accompagnato tanti momenti della vita cittadina all’inizio del secolo scorso, quando i giornali non ne parlavano ancora. A Fermo nell’anno 1909 l’Arcivescovo Mons. Carlo Castelli istituì un ricreatorio per la gioventù comprendente le attività sportive e ciclistiche. Nello stesso anno fu iniziato il primo Giro ciclistico d’Italia. Allora la stampa sportiva ha avuto lo stimolo di offrire le cronache delle vittorie infervorate dalla viva partecipazione di molta gente che onorava i vincitori con vigorose acclamazioni di tifoserie e con premi. Così le gare sono diventate veri e propri eventi pubblici.
I nonni raccontavano la loro bravura in bici goduta con spirito di libera iniziativa. E i nipoti volevano sentirsi autonomi e indipendenti nello “sbiciclettare” su e giù per i percorsi liberi, con destrezza di equilibrio e con sicurezza nelle proprie energie. L’intraprendenza giovanile si allargava nel desiderio agonistico e così dall’andatura turistica con precauzioni per evitare le cadute, si passava alla sollecitazione agonistica su percorsi studiati per le salite, le pianure, e le discese, sicché si avviavano i gruppi provinciali, regionali e nazionali. L’andare in bici è stata una comunissima fatica per doversi spostare mossi da esigenze varie di rifornimenti, di lavoro, di incontri, nelle necessità di recarsi dalle altre persone come medici, professionisti, negozianti, impresari, amici.
Alla gioventù non è mai mancato il gusto di sfidarsi sui due pedali con l’impeto dell’azione sportiva e con la gratifica immancabile nel fare amicizia collaborando da gregari nelle gare. L’impegno era gratificato dall’esito e così si creava un florilegio di iniziative da semplici appassionati e da cicloamatori.
Nel raccontare i ricordi dei ciclisti si ritorna ai tempi lontani, agli inizi del secolo 20º. Amedeo Tomassini, classe 1899 che partì sedicenne per la grande guerra del 1915-1918, sopravvissuto, volle procurarsi l’acquisto di una bicicletta guadagnando i soldi con lo scavare i pozzi d’acqua. Come lui, altri appassionati ciclisti amavano raccontare il loro andamento sul percorso stradale a tratti agevole, a momenti impegnativo nello sforzo di spingere in salita e anche nella trepidazione per le pendenze rischiose su strade brecciate scivolose e con micidiali sbandamenti. A momenti lo sforzo era pieno, a momenti si recuperavano le energie per godersi la bici sportivamente.
La passione per le due ruote spinte sui pedali è stata sempre soddisfacente come sport spontaneo, specie per i ragazzini che godevano la libera iniziativa personale con soddisfazione nell’avventurarsi nell’abilità di evitare eventuali dolorose cadute. Nello scrivere qualche notizia sulla pratica della bici la mente dei narratori torna ai racconti dei genitori che dicevano ai figli di aver praticato la bicicletta e così destavano la curiosità nei loro ascoltatori con desiderio a provare anche loro. Per i piccoli c’erano i fratelli maggiori o la mamma a reggere la bicicletta all’inesperto velocipede, oppure si usava il triciclo che rendeva tutti tranquilli perché le ruote erano raddoppiate.
Con il Giro d’Italia e molte altre manifestazioni nella prima metà del secolo scorso il ciclismo diventò molto appassionante per organizzatori, ciclisti, spettatori, con sogni di vittorie tra gli amici del pedale e con un pubblico di curiosi sempre più numeroso. Le manifestazioni ciclistiche aumentavano nel coinvolgimento delle popolazioni anche nel territorio Fermano e in quello Piceno e i corridori continuavano a partecipare a gare regionali per giungere a livelli maggiori. Nel Fermano sempre si distinse la Società Sportiva ciclistica chiamata ‘La Veloce’ del Ricreatorio cittadino San Carlo. Ma dal 1939 al 1944 la guerra costrinse a smettere.
Iacopini Antonio chiamato Tonino, classe 1919, ha partecipato a questa società ciclistica ‘La Veloce’ e ricorda che quando era quindicenne, nel 1934, correva a Francavilla per una gara di velocità. Partecipava negli anni successivi ai circuiti, alle gare di coppe come quelle di Ferragosto a Fermo, a quelle di campionati provinciali, anche al campionato marchigiano.
Nel 1952 era direttore del Ricreatorio fermano San Carlo don Federico Lattanzi, un sacerdote laureato che volle promuovere la rinascita della Società ciclista già attiva dai primi anni del secolo con gloriose generazioni di successi. Egli proponeva la riorganizzazione mettendo in programma una corsa ciclistica per il successivo settembre. Di fatto questa fu indetta con premi di traguardo e con premi di classifica il 28 settembre seguendo le tabelle della Unione Velocipede Italiana e fu detta c
Coppa Pibigas, per allievi con percorso di 80 km. Ci fu una larga partecipazione.
L’organizzazione di simili eventi agonistici sui due pedali non era granché difficile in quell’epoca quando le auto e le moto sulle strade erano poche e si potevano chiudere i percorsi del giro ciclistico. Per la sicurezza intervenivano gli agenti di servizio, anche la Polizia Stradale. La Veloce era una società con un consiglio direttivo che allargava la presenza dei suoi soci e programmava le attività preparatorie per le gare da svolgere, sempre tra le simpatie dei cicloamatori del vasto territorio fermano. Nelle gare La Veloce animava l’andatura iniziale rendendola elevata, con l’attenzione dei tecnici partecipi. Le vittorie di questa squadra erano merito della strategia usata nel distribuire le energie dei ciclisti.
Nel 1953, ad un anno della ricostituzione, i soci reclutati della Veloce erano 170 e c’erano tanti simpatizzanti. Nell’organizzazione delle corse si seguiva l’Unione Nazionale dei Velocipedi. I colori indossati dai velocipedi erano quelli del gonfalone della città di Fermo: rosso e giallo. Costoro nelle gare dosavano le fughe e gli scatti in continuazione, praticavano frazionamenti del proprio gruppo spostando due o tre corridori che si alternavano nell’avanzare, muovendosi dentro il grande stuolo generale e tornavano alla compagine per lo scatto bruciante in prossimità del traguardo.
Infine riferiamo una curiosità per i Belmontesi: la notizia tramandata da Tonino Iacopini è che nel 1936 ricordava di aver partecipato al circuito di Belmonte che fu piuttosto lungo. Dopo tale esperienza che si ripeté nel 1948, si ebbe una bella sorpresa nel 1950 quando i volenterosi presero la bella iniziativa di promuovere l’organizzazione di un circuito con partenza da questo centro urbano scendendo verso Querciabella, poi lungo Piane di Falerone e Servigliano per arrivare al traguardo a Belmonte e fu detta il Gran Premio del Lavoro.