I BENEDETTINI FARFENSI apostoli nel territorio Fermano

L’EFFICACE AZIONE RELIGIOSA DEI FARFENSI NEL FERMANO

Prete Serafino

   La disseminazione dei Monasteri Benedettini nella Marca, e, più vicino a noi, nella Chiesa Fermana, è un fenomeno che interessa primieramente lo stato religioso nella nostra regione, e, prima dell’economia o della storia del diritto e dell’arte, tocca la storia della spiritualità Picena, perché, come si osserva parimenti per l’Italia e per il mondo cristiano, i Benedettini, prima che maestri della scienza nell’agricoltura e nell’arte, lo furono eccellentemente nella vita religiosa e virtuosa. Dal sesto secolo in poi le popolazioni Picene soffrirono grandemente per l’invasione longobarda, e, come suole avvenire, con lo sparire della disciplina, dell’ordine e delle leggi civili, la religione cristiana e il costume subirono un decadimento con tutti quegli atti che accompagnano generalmente tale fenomeno.

   Non si creda che il clero delle chiese cattedrali, delle pievanie, delle chiese rurali fosse spento e inoperoso; ma l’opera sua fu al di sotto del bisogno e sembra passare inosservata e silenziosa come tante forme di attività culturale e morale danno l’impressione d’essersi estinte nei duri secoli di ferro. È indubbiamente certo tuttavia che a ridestare la vita religiosa nelle contrade d’Italia e nelle nostre, dove la barbarie spazzò via in un primo momento religione e civiltà, contribuì potentemente, se non principalmente, il monachesimo benedettino, che accese dei centri luminosi di fede, di pietà, di scienza, di lavoro, di disciplina e di benessere, come Cassino, Farfa, San Vincenzo al Volturno e che irradiarono all’intorno benefici influssi di sapere e di virtù, costituendo una potente attrattiva ed esercitando un fascino irresistibile sopra le barbare ed eretiche popolazioni longobarde. Per merito dei Benedettini fu avviata la loro conversione, fu tentato un riavvicinamento fra latini e invasori, fu operato un raddolcimento del costume, della vita loro, fu favorito il loro ingresso nella grande comunità della Chiesa cattolica.

   Quello che avvenne nel quadro generale della storia e si verificò con i fatti notori della conversione dei grandi capi come Agilulfo e il figlio Adobaldo, col favore e la protezione concessa a chiese e monasteri da Liutprando e dal feroce Desiderio che erogava somme “per rimedio dell’anima nostra”, con la monacazione di prìncipi, come Rachis, e principesse longobarde (la figlia di Desiderio, Ansiperga era badessa di San Salvatore di Brescia) avvenne nella nostra regione con analoghi episodi.

   Il conte Rabenno di Fermo vestì l’abito di monaco a Farfa, sulla fine del secolo VIII. Un certo Ermifrido aveva sedotta la moglie di Rabenno, Alterana. I due colpevoli, secondo il diritto longobardo, furono consegnati al conte, che risparmiò il seduttore, ma costrinse la consorte a prendere il velo di monaca. L’infelice evase dal monastero per ben due volte, per ricongiungersi con il suo amante.

Una volta che il conte li sorprese, uccise il seduttore e corse ai piedi dell’abate di Farfa per ricevere la tonsura ed il saio.

   Alcuni secoli dopo, Rubbata, moglie di Benedetto di Alberto, dopo aver donati i suoi beni al monastero di Santa Vittoria, si consacra a Dio e veste l’abito di “conversa” nello stesso monastero. Giotto Grassi dispone per testamento dei suoi beni a favore di alcune le chiese e del monastero di Santa Vittoria in Matenano, e chiede di essere sepolto nudo dentro il monastero di esso.

   Questi episodi possono moltiplicarsi, essendo tipici di quel tempo, da quello di Rabenno che ricorda quei conti i quali, sotto la cocolla monastica, iniziavano nel chiostro una elevata espiazione dei trascorsi errori, agli altri innumerevoli pii donatori e donatrici che con le loro offerte generose, suggerite dalla loro pietà costituirono ed estesero il patrimonio dei monasteri. Questi atti rivelano un significato profondo e sebbene portino con sé elementi e circostanze di una ridotta religiosità mista a rozzezza e scorie di crudeltà, serbano il valore di testimonianza di un’età e di varie generazioni educate ad apprezzare i supremi valori dell’anima e dello spirito. Aggiungiamo che il numero grande di chiese ed oratori costruiti nel contado per opera dei monaci e che rappresentavano altrettanti piccoli centri diffusori del Vangelo, della verità e del bene, emanazione dei monasteri, dove s’impartiva la “ Scuola del Servizio del Signore “ secondo l’insegnamento di San Benedetto, compirono l’inestimabile servizio di diffondere e conservare la fede cristiana tra le popolazioni di campagna. Si va forse lontano dalla storia quando si afferma che la fede tradizionale delle nostre popolazioni rurali ha le sue radici in quella seminatavi dai monaci Farfensi?

   Ed è opportuno spingere lo sguardo fugacemente nell’epoca seguente per trovare una conferma.

   Alla fine del secolo 13º si nota il fenomeno del trapasso di molte chiese Farfensi, con monasteri annessi, talvolta ai Francescani e ad altri ordini mendicanti.

   Il fatto, molto naturale e spiegabilissimo, fu dovuto a vari fattori, non ultimo il progressivo distaccarsi dei singoli monasteri e chiese dall’abazia madre, e le lotte accese contro i potenti signori locali, che produssero il loro decadimento e la loro debolezza.

   Mentre possono citarsi non pochi esempi in Italia, ne possediamo, tra gli altri, uno significativo nel territorio della chiesa Fermana. La chiesa di santa Maria in Montegiorgio, l’antica prepositura Farfense, incendiata nel secolo 12º e restaurata dall’abate di Farfa, Berardo III, nel 1263 fu concessa definitivamente ai Francescani. A Santa Vittoria la chiesa di S. Giovanni in Florano fu data nel 1279 ai francescani e ed altri casi simili.

   Un altro periodo di religiosità si iniziava come per l’Italia così per la nostra religione e quella che era stata la terra ospitale ai monaci di San Benedetto, che l’avevano popolata ed evangelizzata e dissodata dal secolo 7° al 13º, divenne subito la terra classica di San Francesco, dove i conventi e i templi monumentali dedicati al santo d’Assisi e le comunità orgogliose dei ricordi dei primi compagni del Poverello, sbocciarono come una fioritura copiosa.

   In tal maniera abbracciamo con uno sguardo solo la storia del cristianesimo della regione e della nostra chiesa Fermana. Esso fu predicato e piantato dai vescovi e dai martiri della prima età. Fu ristorato, dopo la bufera barbarica, e confermato per un lungo tratto di secoli dai monaci di San Benedetto, particolarmente dai Farfensi. Fu rinverdito con uno spirito nuovo ed evangelico dai figli del Poverello di Assisi, ed in fine riorganizzato, difeso, rinsaldato dalla Riforma cattolica del concilio di Trento che giunge sino a noi. Questa storia è scritta sulle mura di non pochi nostri templi, dove, sotto l’intonaco e la decorazione “barocca“ si scoprono i costoloni gotici delle chiese francescane e spesso nelle absidi o sulle pareti le cortine delle piccole finestre delle antiche chiese Farfensi.

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