Letteratura dell’Illuminismo dalle lezioni del prof. Mancini don Dino

L’ILLUMINISMO

   La prima metà del secolo XVIII è dominata nel campo letterario dall’Arcadia: la seconda metà invece è sotto l’influsso dell’Illuminismo.

   L’Illuminismo è un movimento culturale che si propone di razionalizzare tutte le attività umane.

   Esso si propone quindi di rinnovare integralmente le basi e la struttura della vita umana, individuale, collettiva: a tale rinnovamento si procede attraverso due momenti:

1)- la demolizione del passato, cioè della tradizione;

2)- la ricostruzione razionale, la quale si realizza attraverso:

      a)- l’adozione del metodo induttivo-deduttivo nel condurre le indagini;

      b)- le forme pacifiche;

      c)- la rivoluzione, cioè il sovvertimento violento degli ordinamenti tradizionali, considerati come irrazionali.

Origine storica dell’Illuminismo.

Prima causa I preludi remoti dell’atteggiamento e del programma illuminista li troviamo nel nostro Rinascimento: l’esaltazione della ragione umana come facoltà capace di realizzare da sola tutte le conquiste del vero; lo studio della natura colta nelle sue leggi e nei suoi aspetti positivi; l’indirizzo pratico delle indagini e l’incipiente diffidenza nei confronti della metafisica, e, infine, il disprezzo orgoglioso della tradizione, cioè di quella medievale, sono i fenomeni caratteristici del nostro Rinascimento, ma sono anche fenomeni propri dell’Illuminismo.

   Ricordiamo la spregiudicatezza di certi scrittori e filosofi del Rinascimento: Erasmo da Rotterdam – Pomponazzi – molti nostri umanisti – Bernardino Telesio – Campanella – Giordano Bruno; l’indirizzo pratico dato alla loro indagine politica da Machiavelli e dal Guicciardini e il loro aperto disprezzo per le formulazioni teoriche; ricordiamo le prime affermazioni della scienza per opera di Leonardo da Vinci, e le grandi scoperte geografiche per opera di Colombo e Vasco de Gama, e la prima affermazione dell’eliocentrismo per opera di Copernico, le quali rivelano l’interesse più vivo per il mondo fisico e una precisa intenzione di procedere all’indagine di esso attraverso ipotesi ed esperienze; ricordiamo infine la critica aspra mossa dagli umanisti al Medioevo dal punto di vita letterario, la critica mossa ad alcune affermazioni storiche credute sacrosante ( la critica alla donazione di Costantino), la critica a tutta la tradizione cattolica mossa in forma rivoluzionaria da Lutero.

   Nel Rinascimento si afferma il diritto dell’uomo ad esprimersi in modo integrale, senza limitazioni;  si afferma per la prima volta perfino il diritto di pensare come si vuole in fatto religioso.

   Quando tramonta il nostro Rinascimento, sorgono movimenti culturali potentissimi fuori d’Italia, specie in Francia ed in Inghilterra.

Seconda causa – Come presso di noi era stata la borghesia ad avviare il Rinascimento, così presso le altre nazioni, che in seguito alla scoperta dell’America, monopolizzarono il commercio atlantico, succeduto a quello mediterraneo, furono i borghesi a dar vita alla cultura, specie in Inghilterra, in Olanda e in Francia; sotto la protezione dei rispettivi governi, viene sorgendo su una classe di cittadini intraprendenti che, ben presto, si arricchiscono in modo incredibile, attraverso l’esercizio dei traffici, delle industrie e delle colture nella madre patria e nelle colonie.

   Questi cittadini in Inghilterra, verso la metà dell’600 acquistano la coscienza che essi, e non la monarchia e gli aristocratici, sono la forza vera della nazione e perciò reclamano di poter partecipare anche essi alla vita pubblica, propugnano l’uguaglianza di tutti i cittadini e la abolizione dei privilegi.

   Dopo la prima rivoluzione, di cui fu vittima Carlo I°, una seconda rivoluzione del 1688, portò in Inghilterra l’affermazione definitiva della monarchia costituzionale, cioè alla partecipazione della borghesia alla direzione del Paese.

   Nel 1689 Giovanni Locke, nel trattato “Governo civile” commentava la dichiarazione dell’anno precedente. Dichiarazione che si riassumeva in questo concetto: libertà dell’individuo nel campo politico-religioso-economico; uguaglianza di tutti di fronte alla legge; sovranità del popolo e concezione del governo come organo delegato dal popolo.

  Le conquiste realizzate dai borghesi in Inghilterra diedero origine a tutta una letteratura sui principi della libertà, dell’uguaglianza e della sovranità popolare, di cui il saggio del Locke fu il primo, e i cui scrittori si proposero non solo di consolidare quello che era stato fatto nel paese, ma di diffondere i loro principi anche fuori dell’Inghilterra per illuminare tutte le nazioni del mondo, così sorse l’Illuminismo.

   I borghesi inglesi avevano strenuamente lottato contro l’assolutismo della monarchia, contro i privilegi della nobiltà, contro il professionalismo anglicano e cattolico (i borghesi in gran maggioranza erano puritani), cioè avevano lottato contro una tradizione che dal Medioevo in poi aveva (secondo essi) oppresso il libero perfezionamento dell’individuo a vantaggio di famiglie o gruppi privilegiati, e contro il clero e la monarchia che facevano risalire la loro autorità  a Dio, mentre non erano che servi mandati dal popolo: contro una tradizione di schiavitù avevano affermato i principi e le forme della democrazia e i diritti sacri dell’individuo.

   La situazione politico-sociale tradizionale abbattuta in Inghilterra, permaneva nelle altre nazioni d’Europa, dove, tuttavia, la classe borghese veniva vigorosamente affermandosi.

 In Francia, ove il feudalesimo politico era stato eliminato con l’affermarsi dell’assolutismo (al tempo di Luigi XI prima e di Luigi XII e XIV poi), rimaneva ancora in piedi una specie di feudalesimo sociale costituito dai privilegi di cui godevano certe classi (nobiltà e clero) a svantaggio di altre (borghesia e proletariato).

   In Francia era ancora in vigore la servitù della gleba e i nobili godevano ancora i diritti feudali e economico-sociali, anche se non politico-amministrativi; la borghesia francese, a cui appartenevano molti degli intellettuali della nazione,  accoglie le dottrine illuministiche sulla libertà, sulla uguaglianza, sulla sovranità popolare già elaborate in Inghilterra. Montesquieu – Voltaire – Rousseau e gli Enciclopedisti sono gloriosi propagandisti delle nuove idee.

   Il tono aggressivo contro la tradizione  assume le forme più svariate, nella opere di questi scrittori: tutti sono concordi nella svalutazione del Medioevo, considerato come l’età della tirannia politico-religiosa, come l’età dell’arbitrio, della superstizione, del fanatismo, dell’ignoranza e del pregiudizio, come l’età che ha posto le basi di un costume politico, sociale e civile, deplorevole e irrazionale.

Terza causa – La clamorosa smentita a certe affermazioni tradizionali ritenute come sacrosante nel campo della geografia, dell’astronomia e delle scienze in genere; smentita resa ancora più umiliante dall’atteggiamento testardo di aristotelici pedanti, aveva compromesso irrimediabilmente, di fronte agli occhi dei focosi innovatori, tutta la tradizione in generale. Dal campo scientifico si passava a quello religioso, morale, politico, economico, sociale e si coinvolgeva tutto quello che era stato affermato nel Medioevo in un unico intransigente disprezzo.

Quarta causa –  L’esempio di Bacone e di Cartesio, i quali, trattando la questione del metodo (di quello induttivo Bacone, di quello deduttivo Cartesio), avevano  posto come condizione della ricostruzione della scienza e della filosofia il distacco totale con la speculazione passata, avevano offerto motivi per confermarsi nei loro propositi a quelli che volevano innovare, non tanto per motivi speculativi, quanto per motivi pratici.

   La “Restauratio magna ab imis fundamentibus” di Bacone enumera come punto da realizzare la lotta contro i famosi “idola”; la filosofia a stile matematico di Cartesio postula come punto di partenza il dubbio metodico.

   D’ora innanzi non sarà più legittimo fare una affermazione in campo scientifico o filosofico che non sia evidente; perfino ciò che è sembrato evidente fino a questo momento, cioè la testimonianza dei sensi,  viene sottoposta a critica (Hume); perfino ciò che è sembrato conclusione necessaria e metafisicamente oggettiva della ragione viene sottoposta a critica da Kant; Spinoza, Leibniz tentano di realizzare l’indagine filosofica a carattere matematico.  La filosofia e la scienza, dunque, davano buoni esempi di disprezzo verso il passato e di severità razionale per le indagini future.

   Non si accetterà più nulla che non sia evidente alla ragione o non risulti da una severa esperienza scientifica. La rivelazione e la storia in siffatto ambiente hanno ben poco da sperare.

Quinta causa – Ad accrescere la fiducia dell’illuminista nelle sue forze e rendere più viva la coscienza della sua superiorità sulle generazioni passate, contribuisce efficacemente anche il processo scientifico e meccanico che nel secolo XVII si afferma vigorosamente.

   Leonardo da Vinci, Galileo, Newton erano stati i fondatori della fisica e della astronomia moderna. Particolarmente le scoperte nel campo della fisica conducono alla invenzione di macchine che sostituiscono le braccia umane, moltiplicano e migliorano la produzione e permettono maggiore rapidità di comunicazione. L’invenzione della macchina a vapore e del telaio meccanico costituiscono le prime e fondamentali invenzioni della tecnica moderna.

   L’uomo riuscendo ad assoggettare e sfruttare le forze della natura si sente entusiasmato della potenza del suo ingegno, e, abbandonandosi all’ottimismo più roseo prevede che, in poco tempo, coi lumi della ragione e della scienza, riuscirà  a realizzare uno stato felice sulla terra.

   I borghesi, forniti di ricchezza mobile e ansiosi di sfruttarla investendola nell’acquisto di capitali produttivi, monopolizzano, per così dire,  le invenzioni della tecnica, per impiantare industrie ed alimentare i loro commerci.

  Siccome, però, la libera iniziativa, nei regimi assolutistici era coartata, essi sentivano tanto più sdegno contro lo stato sociale del tempo, quanto più si vedevano sfuggire le possibilità di un arricchimento facile e quasi favoloso.

   Da qui un altro motivo per cui la borghesia appoggiò e talvolta finanziò il movimento illuminista.

Principi dell’illuminismo.

1)- Nel campo giuridico. Gli uomini hanno tutti la stessa natura ineriscono dei diritti che ne difendono l’esistenza e la potenziano. Dunque tutti gli uomini hanno gli stessi diritti naturali. La legge positiva non fa che definire nei particolari e garantire i diritti naturali, ed essendo questi eguali per tutti, anche la legge è uguale per tutti; se la legge è uguale per tutti sono aboliti i privilegi, sono abolite le classi privilegiate e si afferma l’eguaglianza sociale. Se un privilegio può restare, resti solo per chi acquista particolari meriti nel servire il popolo.

   In conseguenza di questi principi viene proposta l’abolizione della esenzione dalle tasse goduta dai nobili e dal clero; l’abolizione di certe cariche politico-militari riservate ai nobili; la abolizione del diritto d’asilo; la abolizione dell’esenzione dal tribunale laico di cui  godevano gli ambienti e le persone ecclesiastiche; insomma si propongono svariate riforme per applicare il principio che la legge è uguale per tutti e che, essendo essa l’espressione della ragione e della natura, non deve essere svigorita da limitazione alcuna, cioè il principio che la legge è sovrana.

2)- Nel campo politico. La società sorge non per esigenza di natura, ma in forza di un contratto (Bobbes – Locke – Rousseau). La sovranità risiede nel popolo, il quale la delega, con la condizione della revocabilità, al governo. Il governo è scelto dal popolo ed ha la funzione di mandatario, funzione che deve esercitare a servizio della comunità. Qualora, invece di servire, il governo pretenda di tiranneggiare, cioè invece di garantire i diritti naturali dei cittadini e di promuovere il progresso privato e collettivo, leda gli uni e soffochi l’altro, la comunità ha il diritto di revocare la sovranità con sistemi pacifici e con sistemi violenti.

   In forza di questi principi si afferma la concezione democratica; il popolo è considerato come la forza vera della nazione, come il motore della storia, come il padrone dei suoi destini.

   Si propugnano nuove costituzioni, in base alle quali (sull’esempio di quella inglese del 1698, ossia la dichiarazione dei diritti dell’uomo), si esige la trasformazione dei regimi assolutistici in regimi costituzionali. Se l’assolutismo si adatta, se si impegna con il suo metodo a servire il popolo  cioè se i monarchi assoluti si illuminano) anche l’assolutismo può essere tollerato: famosi monarchi illuminati furono Federico II di Prussia, Maria Teresa d’Austria, Giuseppe II, Caterina II di Russia, e sono anche da ricordare dei famosi ministri illuminati: il Du Tillot, il Tanucci, il Pombal, il Turgot, il Necker, il Kannitz.

   La legge che è l’espressione della volontà del popolo, e nello stesso tempo l’espressione della ragione deve essere una interpretazione razionale dei bisogni della comunità e una garanzia di perfezionamento.

3)-Nel campo economico. Fu particolarmente la borghesia che elaborò i principi economici dell’Illuminismo. I borghesi infatti:

a)- volevano comperare e vendere liberamente, ma si trovavano di fronte a limitazioni imposte dall’inalienabilità dei beni immobili appartenenti agli ecclesiastici ed agli aristocratici (si può dire che in ogni nazione i 4/5 dei possessi fondiari fossero in mano al clero ed alla nobiltà); volevano vendere a prezzi di concorrenza, dato che essi, con le macchine, producevano di più con spesa minore, ma erano limitati dai prezzi fissi delle corporazioni, volevano assumere la manodopera anch’essa a prezzo di concorrenza, sfruttando il più possibile le braccia del proletariato, (il quale in questo momento si accresce per la introduzione delle macchine), ma erano impacciati dalle organizzazione corporative.

b)- avevano bisogno di libertà di traffico, perciò propugnavano l’abolizione delle dogane e dei pedaggi e delle diversità delle misure e dei pesi, che rendevano impossibile e ostacolavano notevolmente la circolazione delle materie e dei prodotti all’interno della nazione; erano avversi alla importazione di prodotti stranieri, ma erano fautori ardenti di una esportazione potenziata al massimo, in modo da poter guadagnare molto e nel commercio interno e nel commercio estero.

Libertà di circolazione delle merci all’interno, protezionismo delle merci nazionali contro la concorrenza di quelle straniere, sono i due principi propugnati nel campo dei traffici.

c)- i borghesi, i quali, non potendo acquistare i capitali immobili nell’interno della nazione, compravano vaste estensioni di terre nelle colonie, per organizzarvi piantagioni specializzate, i cui rari prodotti saranno utili alla madre patria, esigono dallo Stato libertà assoluta in tutto ciò che riguarda iniziative di questo genere, e pretendono da esso perfino finanziamenti, in vista appunto della utilità comune delle loro iniziative.

Giungono perfino a chiedere allo Stato il suo intervento per la soppressione di attività economiche coloniali da parte di ordini religiosi, perché nocive ai loro interessi.

d)- borghesi i quali, con la loro ricchezza, assumono la direzione della produzione industriale, in quanto possono acquistare le macchine, esigono la più assoluto libertà d’iniziativa, e, siccome alcune attività industriali erano state monopolizzate dallo Stato e le corporazioni non permettevano che sorgessero altre industrie nei luoghi ove da tempo fiorivano i loro laboratori, essi propugnano l’abolizione dei monopoli statali di qualsiasi genere e l’abolizione delle corporazioni.

Concludendo nel campo economico, gli illuministi insistono specialmente nel principio della libera iniziativa, della libera circolazione, del libero contratto, della libera concorrenza. E la libertà politica che essi difendono è solo in funzione della libertà economica.

4)- Nel campo religioso-morale.

A)- Nel campo religioso. Gli illuministi accettano soltanto quei principi religiosi che si possono dimostrare razionalmente, cioè l’esistenza di Dio e i suoi attributi: tuttavia l’attributo della provvidenza, se non viene completamente negato, è certamente limitato: gli illuministi infatti riducono l’azione di Dio sul mondo ad una direzione generale del movimento dell’universo.

   Del resto Dio stesso è da essi presentato come un essere necessario per  spiegare il movimento del reale e la razionalità che è diffusa nell’universo.

   I doveri dell’uomo verso la Divinità si riassumono in quello di accogliere la voce della ragione  che proclama l’esistenza di un essere e in quello di rispettare l’ordine da lui definito: in altri termini il dovere, imposto dalla ragione di credere che Dio esiste, è quello di aderire a Lui attraverso l’adesione perfetta alla voce della ragione, la quale è l’interprete viva dell’ordine cosmico.

   Vengono così abolite le religioni positive o rivelate e tra queste specialmente quelle che si è rivelata più intollerante ed ha tenuto più vincolate le menti (secondo gli illuministi) nel corso dei secoli, cioè il Cristianesimo.

   La massoneria si propone, come programma costante, quello di combattere contro i pregiudizi, le superstizioni e le pretese politiche della Chiesa Cattolica.

   I misteri, i miracoli, l’infallibilità del Papa, il culto dei Santi, vengono considerati come cose del Medioevo; i periodi storici, in cui la Chiesa ha esercitato più efficacemente il suo influsso, sono definiti periodi di oscurantismo. La Chiesa viene, inoltre, accusata di aver compresso il libero pensiero, di aver osteggiato sempre la scienza e la ragione per tenere in piedi la sua impalcatura della sua organizzazione, esclusivamente umana, e, infine, di aver puntellato con le sue teorie, con la sua prassi, le varie forme storiche della tirannia.

   Il Medioevo, appunto, perché influenzato al massimo dal predominio morale e politico della Chiesa, viene definito come l’epoca più nera della storia umana; la condanna di Giordano Bruno ed il processo a Galilei alimentavano la propaganda illuminista contro la Chiesa, considerata come persecutrice della scienza e del libero pensiero.

   Essendo praticamente impossibile  e teoreticamente contraddittorio abbattere la Chiesa con le persecuzioni violente, oltre alla propaganda calunniosa e al discredito gettato sui dogmi e sulle istituzioni della Chiesa, gli illuministi massoni e liberali propugnano un rigido controllo, da parte dello Stato, di tutte le attività svolte dalla gerarchia ecclesiastica entro i confini della nazione; si propugnano la censura delle encicliche e delle bolle papali e la approvazione governativa delle decisioni della gerarchia cattolica, interna alla nazione.

   Il complesso dei principi e dei metodi escogitati dagli illuministi, riguardo ai rapporti tra Stato e Chiesa,  si chiama giurisdizionalismo.

   Di queste teorie fu propugnatore ardente in Italia lo storico Pietro Giannone e furono spregiudicati esecutori, più,o meno in buona fede, il Tanucci a Napoli, il Pombal in Portogallo, Giuseppe II in Austria.

   Che certi privilegi, goduti dalla Chiesa nel corso dei secoli, dovessero cadere, in seguito alla affermazione di un più chiaro concetto della sovranità dello Stato, è innegabile, ma è anche innegabile che alle proposte giurisdizionalistiche era di base una mentalità non troppo benevola verso il cattolicesimo.

  B)- Nel campo morale. Il bene e il male sono definiti  dalla ragione; non si accettano criteri morali dettati dalla religione positiva, perché il criterio della ragione è sufficiente ed esclusivo. La ragione ci dice la natura umana è buona, essendo facoltà umana  ordinata all’esercizio di una funzione che contribuisce al perfezionamento totale dell’individuo, e attraverso questo,  al perfezionamento della società.

   Il peccato originale, con tutte le conseguenze che gli si suole attribuire, è una invenzione delle religioni positive, tuttavia non si può negare che, a chi osservi bene l’uomo, appare evidente in lui uno squilibrio innato tra la parte irrazionale e quella razionale.

   Il principio fondamentale della morale perciò è il seguente: bisogna seguire la natura alla luce della ragione.

   Il perfezionamento morale dell’individuo e della società si realizzerà con l’affermarsi progressivo della ragione, e alla affermazione della ragione contribuirà efficacemente l’esperienza anche se  talvolta di carattere moralmente negativo (una specie di “errando discitur”, che evidentemente contraddice al razionalismo assoluto degli illuministi).

   L’uomo si perfeziona passando da esperienza in esperienza, superando continuamente sé stesso, in forza delle energie intime della ragione, che, in campo morale, si chiama coscienza;  e così abolire l’educazione dall’esterno; la formazione morale é autoformazione (Rousseau).

   Gli illuministi nutrono fiducia che, eliminati gli educatori tradizionali, che avevano oppresso lo spirito umano con precetti e paure,  e sostituite ad essi le guide rette e sicure della natura e della ragione, si avrà una umanità più buona, più sincera, più agile, più dinamica e spigliata e quindi più capace di progredire sulle vie della civiltà (e siccome gli ordini religiosi in genere, e specialmente i Gesuiti, avevano esercitato nel corso dei secoli una funzione primaria nel campo dell’educazione  della cultura,

gli illuministi propugnarono l’abolizione delle congregazioni religiose, e, calunniando i Gesuiti, fecero sì che gli Stati cattolici stessi richiedessero la soppressione, che fu attuata da Papa Clemente XIV nel 1773).

 5)- Nel campo letterario. La letteratura troppo spesso, nel corso dei secoli, si era fatta   

serva degli interessi e degli orgogli  di famiglie aristocratiche e di ambienti oziosi: l’esempio più recente era quello dell’Arcadia. Troppo spesso anche le lettere erano state fine a sé stesse e si erano chiuse nei circoli dotti e nelle accademie: belle frasi, belle immagini, ritmi ricercati, molte parole, ma poche cose. La poesia, per servirci di una espressione manzoniana era, si può dire diventata l’ultima, la più vile, la più servile delle professioni, avendo essa il fine di divertire quella classe di uomini che non faceva altro che divertirsi.

   Gli illuministi si sono proposti di fare sul serio, anche perché al trionfo delle loro idee è collegata tutta una riforma politico-sociale-amministrativa, che deve rivendicare e garantire i diritti della borghesia. Perciò essi hanno bisogno di diffondere le loro idee in mezzo a tutte le classi, per vedere quanto prima realizzato il sogno di una società più ragionevole e, quindi, più umana.

   Il mezzo di propaganda più efficace è la letteratura, ma una letteratura rinnovata nei temi, nell’ispirazione, nella forma, nel linguaggio:

a)- nei temi. Gli argomenti che uno scrittore moderno deve preferire sono quelli relativi ai vari campi della speculazione illuministica: temi di giurisprudenza, di politica, di economia, di religione, di morale e di pedagogia. Sono eliminati i temi fantasiosi, mitici, lirici; i temi suggeriti dalle circostanze di una vita di complimenti e di artifici.

b)- nella ispirazione. Il popolo italiano del secolo XVIII si accorge, svegliandosi come da un sonno durato due secoli, che i popoli ai quali egli era stato maestro di civiltà, hanno compito tali progressi in ogni campo dell’attività umana, che hanno lasciato molto indietro il loro vecchio maestro. La Francia del ‘600 contava un Corneille, un Racine, un Moliere, un Pascal, un Bossuet, un Fenelon, un Cartesio, e nel ‘700 contava scrittori famosissimi in tutta Europa (anche se non proprio degni di gran fama), quali Montesquieu, Voltaire, gli Enciclopedisti e Rousseau.

   L’Inghilterra, nel campo letterario, poteva  già contare un Shakespeare, un Milton, e una recente fioritura di romanzi di avventure e di sentimento; in filosofia contava già F. Bacone, un Locke, un D. E Hume, un Berkeley; nel campo della meccanica vantava la scoperta del battello a vapore e del telaio meccanico; nel campo dei commerci e della colonizzazione vantava il predominio su tutti i mercati del mondo e la fondazione di città anglosassone in tutti i continenti; e nel campo della politica interna vantava la più democratica fra le costituzioni europee.

   Anche la Germania si stava svegliando politicamente ed economicamente per opera dei re di Prussia e degli imperatori Maria-Teresa e Giuseppe II, e in letteratura erano già noti in Europa di Klopstoch, autore della “Messiade”, di Wieland e di Lessing: in filosofia erano noti i nomi di Leibniz, di Wolf e Kant stava preparando la sua rivoluzione filosofica.

   Perfino la Russia, per opera di Pietro il Grande prima e Caterina II più tardi, incomincia a svecchiarsi.

   Gli Italiani, di fronte ai giovani popoli stranieri (specialmente di fronte agli Inglesi, agli Olandesi, ai Prussiani) riconoscevano di essere vecchi, di aver dormito troppo, di essere arretrati.

   Allorché, quindi, penetrano in Italia, per la prima volta, le teorie illuministiche, attraverso le opere degli autori francesi del ‘700, la nostra classe colta, umiliata dal progresso straniero, sente la viva ansia di svecchiare, di aggiornarsi e di contribuire, coi loro scritti,  alla  modernizzazione della vita nei vari Stati della penisola.

   La fonte di ispirazione, perciò, a cui essi attingono è il complesso delle teorie illuministiche relative ai vari campi dell’attività umana.

   Dovendo svecchiare e modernizzare, essi esprimono le loro antipatie nei confronti della tradizione letterario-politico-economica  italiana e la loro ammirazione per il progresso compiuto all’estero e le loro speranze per un rinnovamento rapido e sicuro.

   La critica letteraria aggredisce la nostra letteratura da Dante alla metà del ‘700, demolendo spietatamente anche i più grandi scrittori, e dal punto di vista del contenuto, considerato irrazionale o inutile, e dal punto di vista della forma e del linguaggio, considerati come retorici e accademici.

   Ma la critica letteraria colpisce particolarmente la letteratura del ‘600 e dell’Arcadia, come artificiosa, vuota e inutile; si propugna una letteratura più concreta, più aderente alla vita, più degna di esercitare la funzione di alimentatrice del progresso.

   La letteratura, perciò, non è più intesa come la creazione di belle visioni fantastiche, come descrizioni colorite di mondi immaginari,  ma come interpretazione acuta e sicura delle esigenze e delle aspirazioni del mondo moderno; spariscono,  perciò, poemi, romanzi, liriche ispirate a fantasia più o meno oziosa o a sentimenti più o meno superficiali e sensati.

   La lirica stessa, come genere letterario, si riduce di molto, perché predominano i generi didascalici in prosa e talvolta in versi.

   Alla lirica di ispirazione soggettiva delle crisi e degli entusiasmi del poeta, si sostituisce una lirica di ispirazione sociale e umana, che possa suscitare l’interesse di tutti. Il senso di umanità, di dignità morale, il senso di schiettezza e di dinamicità, ispirano la lirica di questo periodo, la quale poi, in fondo, si riduce a quella Pariniana.

Non mancano nella produzione lirica del Parini stesso motivi occasionali e complimenti, ma sostanzialmente la poesia diventa seria e si propone di essere utile.

   Tutto ciò che di buono propongono gli illuministi nel campo morale, sociale, politico, economico e tecnico-scientifico, viene elaborato dalla nuova lirica, con entusiasmo sincero e spirito ottimistico.

c)- nella forma. La letteratura essendo destinata ad esercitare la missione propagandistica dei lumi della ragione presso il maggior numero possibile di uomini, deve adottare una forma spigliata, chiara e semplice; cosicché attragga i lettori e comunichi con efficacia la verità.

   Siccome i soggetti che vengono trattati riguardano problemi politici, economici, scientifici, morali, giuridici, è chiaro che la forma con cui essi vengono svolti non può essere che quella espositiva o didascalica.

   In questo periodo, perciò, fiorisce il solo genere letterario  della didascalica nelle sue specie di trattato in prosa, del poemetto in versi, della commedia e della tragedia a fine educativo; della lirica, come è stato già detto, resta quasi esclusivamente la forma dell’ode di ispirazione morale e civile.

   Tra le specie  del genere didascalico predomina quella del trattato. In questa specie si erano già resi famosi i francesi, e i nostri scrittori illuministi, sull’esempio di quelli, si proposero di dare forma spigliata e chiara alle loro opere; per dare spigliatezza e vivacità al trattato, essi all’esposizione serratamente logica, aggiunsero descrizioni ed esemplificazioni colorite.

   Il tono ora è serio e cattedratico, ora invece ironico, spregiudicato e, talvolta, appassionato. E siccome il trattato, nella forma tradizionale,  per quanto ravvivato dalla vivacità delle descrizioni e dalla varietà dei toni, rimaneva sempre un po’ pesante, furono accolte forme espositive nuove, già in uso presso gli Inglesi e i Francesi, cioè quella del trattato epistolare e quella del trattato periodico.

   Uno scrittore che vuol esporre al pubblico  alcuni principi importanti nei vari campi dell’indagine illuministica, immagina di viaggiare all’estero presso popoli che, o in forza dell’attuazione di quei principi hanno realizzato ottimi progressi, o, a causa di ignoranza di quei principi, sono ancora in stato di primitività civile; e fingono di comunicare per lettera le loro impressioni e i loro commenti ad amici o a parenti.

   Oppure lo scrittore finge che un illustre personaggio invii ad una accademia o a qualche persona colta particolare, delle lettere in cui esprima le sue opinioni ed i suoi giudizi su svariati argomenti; gli esempi più illustri del trattato epistolare erano stati in Francia quelli del Montesquieau (“Les lettres persanes”) e del Voltaire (“Lettere francesi”); in Italia adottano la forma epistolare il Baretti, il Bettinelli, l’Algarotti.

   Più vivace del trattato in forma tradizionale, e di quello in forma epistolare, è il trattato periodico, cioè un complesso di articoli, di svariato argomento, che vengono pubblicati periodicamente (il periodico aveva avuto i suoi preludi nei nostri “annunzi letterari” della metà del ‘500, che erano recensioni delle opere più degne di nota, e nei “Ragguagli” del Boccalini. Ma il periodico come lo intendiamo oggi, cioè come pubblicazione a intermittenze regolari, sorge in Inghilterra con lo “Spectator” di Addison; in Italia, nella seconda metà del ‘700, abbiamo i famosi periodici del “Caffè”, della “Frusta letteraria”, dello “Osservatore veneto” e della “Gazzetta veneta”.

   Il teatro, che tra i generi letterari di propaganda, è tra i più efficaci, si mette anche esso a disposizione del movimento illuminista con le opere del Goldoni e dell’Alfieri.

   Il poemetto didascalico ha la sua affermazione maggiore per opera del Parini. E’ da notare che tutti gli scrittori di ispirazione illuministica sono d’accordo che bisogna svecchiare la forma, cioè che bisogna evitare le impostazioni solenni, le esposizioni sostenute e barbose, il tomo uniforme, e che è necessario liberarsi, una volta per sempre, dalla tirannide della retorica, cioè dalle forme fisse ed immutabili.

   Il Beccaria nell’opera intitolata “Ricerche intorno alla natura dello stile” dichiara: “lo stile va posto nell’analisi del pensiero; e poiché esso è formato da idee e sentimenti, il modo di esprimere deve essere corrispondente ai sensi dai quali si sente mosso l’autore”.

   Insomma si è tutti d’accordo che quando si scrive bisogna essere originali, cioè capaci di adattarsi alle esigenze dei temi, delle ispirazioni e alla capacità dei lettori.

   Ciò non vuol dire che si propugni la eliminazione del classicismo: si rifiuta la tirannide della retorica classicista, ma la forma nitida, sensata, il tono vivace e intelligente, l’ornamento sobrio dei classici antichi vengono considerati come ottimi esempi di bello scrivere da imitarsi, specialmente da chi vuole, come gli illuministi, parlare con chiarezza e con decoro.

   Orazio, specie quello delle satire e delle epistole, per il suo buon senso, per la sua arguzia, per la sua esposizione decorosa e vivace nello stesso tempo, viene considerato come il migliore dei maestri.

   Il tono battagliero e spregiudicato non manca nella letteratura illuministica: ne sono esempi famosi “La frusta” del Baretti e “Le lettere virgiliane” del Bettinelli; ma e l’asprezza polemica e la spregiudicatezza di giudizio sono dettati da un istintivo bisogno dei reagire a tutta una tradizione accademica, paludata e complimentosa.

   Nel complesso il rinnovamento della forma, insieme al rinnovamento del contenuto, fece sì che le opere dei nostri scrittori uscissero dalle accademie e dai circoli dotti e incominciassero a circolare in mezzo al popolo.

 d)- nel linguaggio. Se gli scrittori illuministi volevano farsi capire dal maggior numero possibile di lettori, dovevano anche svecchiare il linguaggio e affrontare il problema della lingua italiana, correggendo la soluzione che ne aveva fatto il Bembo. Questi, agli inizi del ‘500, aveva affermato che la lingua delle persone dotte italiane, per gli scritti e per la conversazione decorosa, era quella degli autori toscani del ‘300, e particolarmente quella del Petrarca e del Boccaccio.

   Il vocabolario della Crusca, compilato alla fine del ‘500, aveva codificato la lingua proposta dal Bembo e, alla metà del ‘700, quando l’ansia del rinnovamento e lo stile della praticità si affermava vigorosamente, le persone colte italiane si esprimevano ancora con un linguaggio arretrato di quasi quattro secoli.

   Il ragionamento che fecero gli illuministi nel campo linguistico fu assai semplice: la lingua, essi dissero, è un mezzo convenzionale per esprimere pensieri e sentimenti; il pensiero e il sentimento sono sempre in evoluzione; dunque anche la lingua è soggetta a continui rinnovamenti: a forme nuove di vita, forme nuove di linguaggio.

Essi, perciò, propongono l’abolizione del vocabolario della Crusca e l’adozione di un linguaggio vivo delle persone colte di tutta Italia; e qualora in questo linguaggio vivo ed attuale, uno scrittore non trovi alcune forme linguistiche che gli sono necessarie, può ricorrere a forme straniere o addirittura può crearne delle nuove (tenendo però in questo caso presente la natura della lingua italiana).

   Il “Caffè” del Verri, cioè “I soci dei pugni”, si impegnò a combattere la battaglia linguistica, affiancato da Melchiorre Cesarotti, autore del saggio “Sulla filosofia delle lingue”.

   Il Granelleschi dei Venezia, con a capo Carlo Gozzi (l’antimodernista per spirito di contraddizione), passarono alla difesa, senza riserva, del vocabolario della Crusca.

   Una via di mezzo, tra i rivoluzionari del “Caffè” e i conservatori granelleschiani tennero i “Trasformati” di Milano, con a capo Giuseppe Imbonati: essi cioè sostennero che il patrimonio linguistico racchiuso nel vocabolario della Crusca doveva essere rispettato, ma era necessario anche aggiornarlo (il Monti insieme al suo genero Giulio Perticari, propose di attuare il programma dei “Trasformati” nell’opera “Proposta di aggiungere correzioni al vocabolario della Crusca”.

   Le tre correnti non vennero mai ad una conciliazione: i seguaci del “Caffè” si espressero troppo spesso con linguaggio infarcito di barbarismi, con periodi spezzati, capricciosi, come quelli degli scrittori francesi, e costituirono oggetto di scandalo per i conservatori e per gli stessi moderati.

   Il Parini, che fece parte della “Accademia dei Trasformati”, è stato l’unico scrittore del tempo che abbia saputo conciliare la decorosità  e la sceltezza del vecchio linguaggio con le esigenze della novità e della vivacità. Così il rinnovamento letterario proposto dai nostri scrittori, che simpatizzavano per gli illuministi, non si limitò alla demolizione del passato, come comunemente si afferma, ma delineò i principi fondamentali su cui dovevano basarsi gli scrittori che avessero voluto fare sul serio e riportare finalmente la letteratura a contatto con la vita.

   L’unico appunto che si può fare ai critici di quel periodo è che non abbiano saputo creare una vera e propria teoria estetica che sistemasse e giustificasse le proprie affermazioni generalmente ispirate al buonsenso.

Caratteristiche generali dell’Illuminismo.

 1)- Ansia di rinnovamento e diffidenza nei confronti del passato.

 2)- Naturalismo, cioè esaltazione del culto delle forme della natura umana considerata come buona.

 3)- Esaltazione della libertà come condizione essenziale per lo sviluppo delle forze della natura.

 4)- Esaltazione dell’individuo come sacro in forza della natura umana che  possiede.

 5)- Esaltazione degli individui più potenziati da natura e più benemeriti della società in forza della loro attività benefica.

 6)- Esaltazione del merito individuale, disprezzo dei privilegi non meritati con forze proprie.

 7)- Mentalità razionalistica e propositi di severità scientifica, atteggiamento spregiudicato e sprezzante nei confronti del passato.

 8)- Cultura enciclopedica.

 9)- Ottimismo, ossia fiducia nelle forze della natura e certezza di un rinnovamento radicale della vita umana attraverso le conquiste e le affermazioni della ragione e della scienza.

10)- Antistoricismo, cioè svalorizzazione della storia in quanto incapace di essere maestra della vita (di cui sono uniche maestre la ragione e la scienza); in quanto considerata come puntellatrice di istituzioni, privilegi,  usurpazioni contrarie alla ragione e al diritto naturale; in quanto considerata come custode delle memorie non del popolo ma dei tiranni; come custode non di conquiste positive, ma di pregiudizi e di affermazioni stravaganti, insensate di generazioni degne di eterno oblio. La storia, purché non pretenda di insegnare e di giustificare ciò che non sa  insegnare e ciò che non può giustificare, perché contrario alla ragione, resti come storia documentaria. Una volta accertata, attraverso prove documentarie, l’origine di certi istituti, di certe pretese,  di certi privilegi, la storia illuminista sarà in grado di  investire con la critica tagliente quegli istituti, quelle pretese, quei privilegi. Così la storia è ridotta a ricerca documentaria e a critica polemica del passato.

11)- Antimedievalismo, anticlericalismo (non tanto in Italia, quanto all’estero), ammirazione per tutti i movimenti a carattere naturalistico e individualistico, quali il nostro umanesimo e protestantesimo;  ammirazione per i grandi ingegni che hanno fondato la filosofia, la scienza moderna e, particolarmente, per quelli che hanno dovuto soffrire nella scoperta e nell’affermazione della verità.

12)- Esaltazione del progresso, del dinamismo in ogni campo.

 13)- Filantropismo e cosmopolitismo, ossia esaltazione della fraternità umana e della mentalità internazionalistica, non più basata sul Vangelo, ma sulla  eguaglianza della comune natura.

Meriti dell’Illuminismo.

1)- L’Illuminismo, proponendo di razionalizzare la vita ha contribuito ad eliminare istituti, pregiudizi, usurpazioni consacrati da una tradizione ultrasecolare e svecchiando organismi inadatti a compiere funzioni della società moderna, tutta protesa verso il progresso e la uguaglianza, ha accelerato la affermazione di vita più rispondente alla dignità e ai diritti dell’uomo.  Questo merito si estende al campo della giurisprudenza, come a quello della politica e della economia.

   Degna di particolare rilievo è l’insistenza con cui gli illuministi illustrano, rivendicano i diritti naturali dell’uomo, conculcati, nel corso dei secoli, dalle più svariate forme di tirannia; essi infatti difendono il carattere sacro della vita dell’individuo e i principi che ne garantiscono la inviolabilità e il potenziamento, cioè il diritto della libera iniziativa, il diritto della libertà di pensiero (e quindi della libertà  di religione e di stampa); il diritto di sposare chi si vuole.

   Non erano cose nuove quelle che essi rivendicavano, ma ebbero tuttavia il merito di aver richiamato in vita principi sacri ed eterni, troppo facilmente dimenticati in un mondo che era ancora un miscuglio di anarchia feudale e di tirannide monarchica.

2)- Particolarmente in Italia il movimento illuminista ha avuto il merito di aver trovato una tradizione letteraria che si stava esaurendo nella mitizzazione dei classici e negli artifici retorici, di aver posto fine ad una letteratura oziosa e vanitosa, creando una letteratura a servizio della vita, tutta moderna nei temi, nell’ispirazione, nella forma e nel linguaggio. Agli inizi dell’800 il nostro Romanticismo propugnerà uno svecchiamento ed una modernizzazione della letteratura, ancora più radicale e con spirito assai diverso da quello degli illuministi: ma l’iniziativa della rinascita letteraria è merito dell’Illuminismo.

Difetti dell’Illuminismo.

1)- Gli illuministi, demolendo indiscriminatamente tutta la cultura passata si sono anzitutto mostrati ingiusti nei confronti del lavoro compiuto dai grandi geni nel corso dei secoli, e in un secondo luogo, si sono messi nella condizione di ripetere cose che dalla ragione, la quale è eterna, e più o meno ha funzionato in tutte le generazioni umane,  erano già state affermate da tempo: i principi del diritto naturale, della uguaglianza giuridico-sociale, della libertà individuale, della democrazia, erano concetti vecchi quanto erano vecchie le civiltà greco-romana e cristiana: ha tutti infatti è noto il concetto che della società e del governo avessero i Greci e i Romani nelle loro età repubblicane, e a tutti è nota l’espressione di Gesù Cristo: “Tra voi chi vuol comandare sia come colui che serve”.

2)- Gli illuministi hanno riassunto l’uomo nella ragione, dimenticando che egli è anche fantasia, sentimento e volontà: tale dimenticanza ha riflessi particolari sulla letteratura, la quale, eccetto pochi rari casi, si riduce ad esposizione di principi intellettualistici in forma più o meno spigliata, ma sempre espositiva.

   Svalutando il sentimento, a vantaggio della sola ragione, hanno anche rifiutato di prendere in considerazione certe proteste del cuore umano che dalla ragione, inflessibile spesso si vede intercludere certe aspirazioni che non possono essere appagate dalle aride conclusioni della logica (ad esempio le conclusioni degli illuministi non soddisfano l’innata aspirazione dell’uomo all’infinito, il bisogno che egli sente di una intima unione con la divinità, l’esigenza di esprimersi in certe forme di tenerezza e di intimità in circostanze particolari della vita).

3)- Altro errore è l’esagerato ottimismo nei confronti della natura e delle capacità umane;  ottimismo da cui deriva la spavalda certezza che sia sufficiente l’affermazione della ragione per realizzare infallibilmente lo stato di felicità sulla terra.

   Prescindendo dal fatto che la ragione umana è limitata e che specialmente nei riguardi dei problemi più gravi (Dio, l’origine, la natura, il fine dell’uomo) essa può dire ben poco, è da notare soprattutto che gli illuministi non hanno fatto i conti con la volontà umana e con le tendenze irrazionali della nostra natura, cioè con l’incostanza, l’indolenza e l’incertezza della nostra facoltà volitiva e la pesantezza di certe forme moderate dei nostri istinti.

   E’ sfuggito così agli illuministi il dramma dello spirito umano che è dato appunto dalla lotta fra il bene e il male.

4)- La fiducia cieca di metodi di ricerca, da essi valorizzati,  e nella capacità delle

facoltà umane li ha condotti troppo spesso alla faciloneria.

Spesso la critica si è ridotta al fanatismo demolitore, e, troppo spesso, la cultura enciclopedica si è ridotta ad infarinatura generale; troppo spesso gli  scrittori illuministi hanno tentato di coprire la loro autentica ignoranza con uno stile spregiudicato e sbarazzino (questo però si deve dire non tanto degli scrittori  italiani quanto di quelli francesi).

5)- Gli illuministi hanno propugnato una rigenerazione morale dell’umanità. 

6)-  Gli illuministi predicarono la democrazia e l’uguaglianza di tutte le classi, ma in pratica essi lottarono per l’abolizione dei privilegi  della nobiltà e del clero, ma non riuscirono a garantire al proletariato una condizione di parità, né politica né tanto meno economica.

L’illuminismo fu di ispirazione borghese e, quindi, osteggiò da una parte l’aristocrazia, e non si preoccupò, dall’altra, di elevare le condizioni dei lavoratori; l’economia nazionale, secondo loro, dipendeva tutta dal capitale dalle iniziative dei capitalisti, e l’apporto efficace al benessere comune, dato dalle braccia dei lavoratori, era totalmente svalutato.

Per quanto la manodopera fu considerata come una merce soggetta al  gioco della libera concorrenza e per questo, ovunque lo spirito illuminista si affermò, ci si affrettò ad eliminare le vecchie corporazioni che, se sotto certi aspetti rappresentavano un intralcio al progresso industriale e commerciale, costituivano però l’unico organo di difesa della dignità e dei diritti dei lavoratori.

Si può definire la democrazia illuminista: la democrazia borghese, cioè una democrazia a metà.

7)- La svalutazione della storia intesa come campo sperimentale, come specchio  vivente della natura umana, è un altro difetto dell’illuminismo.

L’aver sostituito alla storia, come rivelatrice dell’uomo, la storia documentatrice e polemica, rivela più un grande desiderio di cogliere le generazioni passate con le mani nel sacco, che un nobile proposito di intendere la natura umana attraverso le opere degli uomini.

8)- Gli illuministi hanno infine criticato molto la cultura passata, hanno affermato sovrabbondantemente i loro principi, ma hanno trascurato e sono stati incapaci di dare una sistemazione organica al complesso delle idee e dei propositi che costituirono il programma teorico-pratico del loro movimento.

Conclusione.

   Il movimento illuminista rappresenta il primo tentativo fatto dall’umanità moderna di prendere contatto con i problemi concreti della vita, alla luce non più del Cristianesimo, ma della ragione, cioè alla luce di una ideologia che, nella mente dei suoi propugnatori, doveva riunire gli uomini in un unico blocco morale, senza più distinzione di cattolici, di protestanti, di pagani, di aristocratici, di popolo; il movimento storicamente rappresenta il principio del risveglio di tutte le nazioni di Europa, e il Risorgimento italiano inteso come rinascita del popolo italiano in tutti i campi, come cessazione di una tradizione senza ideali, retorica e conformista, e inizio di un’epoca in cui i cittadini riacquistano il senso dei loro diritti e doveri civili e individuali e il senso della fraternità nazionale incomincia proprio con l’affermarsi delle  idee illuministiche nella nostra penisola.

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