La chiesa di S. Maria del pianto a Roma. Tradizione e diffusione del culto

ROMA

LA CHIESA DI S. MARIA DEL PIANTO

In poche città, come Roma, è dato scoprire con tanta luminosa chiarezza e con tanta singolare frequenza, l’impronta di ricordi  e fatti che si ricollegano ad un passato di eventi straordinari e prodigiosi.

La storia li tramanda, la fede li illumina, la tradizione li conserva, ma pur con tutto ciò, capita altrettanto facilmente che si diluisca con il tempo il ricordo di preziose testimonianze (in cui si racchiude invece il profumo e il fascino del prodigio) che solo rivivono quando un opportuno senso di ricerca e di curiosità spinga a  rintracciarle e ridestarle dall’oblio in cui sono cadute.

È il caso appunto dell’immagine di Santa Maria del Pianto, le cui vicende strettamente collegate a quelli della chiesa omonima, meritano essere rievocate, non soltanto perché non ne perisca il ricordo, ma perché maggiormente possa essere diffusa la conoscenza di memorie così venerate e sante.

La chiesa, in cui oggi si trova collocata la immagine, era anticamente un modesto tempio dedicato a S. Salvatore, patrono dei “calderari” (lavoratori di caldaie), corporazione di artieri che aveva il suo centro attivo e operoso nelle adiacenze di piazza Cenci .

Pur conservando il nome di Santa Maria dei Calderari, la Chiesa è più comunemente nota sotto quello di Santa Maria del Pianto, in memoria di un fatto eccezionale, tramandatoci da una venerata tradizione.

L’episodio risale al 10 gennaio 1546, sotto il pontificato di Paolo III, è  così vivo e reale nel colorito linguaggio del documento che lo racconta, da apparire assai più vicino nel tempo con un sapore di dolorosa attualità, dato che anche oggi risse, lotte, risentimenti sono purtroppo all’ordine del giorno.

Si narra dunque che in prossimità dell’Arco dei Cenci, ove la piccola Madonna era effigiata, due giovani in quell’infausto giorno venissero a diverbio, essendo nato tra loro caldo oggetto di contestazione, ad un certo momento uno dei due, atterrato l’altro, col braccio armato di un coltello, era già in atto di trafiggerlo, quando “ il giacente, sorpreso da mortale orrore, richiese al ferito in grazia della Beatissima Vergine ivi effigiata, di risparmiarlo”. Egli allora, al nome venerato della Madonna, frenato lo sdegno, non solo resistette dal proposito, ma sollevato da terra l’avversario, lo abbracciò in segno di pace e di perdono. Questi, però, con perfidia ed ingratitudine immensa, anziché rappacificarsi ed essere riconoscente per avere avuta salva la vita, afferrato il coltello da terra, inferse un colpo mortale all’amico e lo uccise.

“A sì inumano spettacolo – recita il manoscritto – la Santa immagine scaturì  per gli occhi abbondantissime lacrime. A sì esecranda tragedia trovandosi spettatore un sacerdote spagnolo raccolse le pietose lacrime che per il muro scorrevano in un fazzoletto”.

Appartiene alla storia il più minuzioso esame dei fatti, l’analisi più particolareggiata delle testimonianze autentiche della versione dell’accaduto, né ci si vuol qui addentrare in una lunga disamina di prove.

Un dato è però certamente irrefutabile: da quel giorno la devozione all’immagine prodigiosa divenne sempre più diffusa e sentita sicché nel breve volgere di pochi anni gli stessi artieri della corporazione dei calderari, unitamente ad altri fedeli devoti, si costituirono in compagnia con il titolo di Santa Maria del Pianto, sotto il segno della protezione di questo materno patrocinio, le attività benefiche della Confraternita si moltiplicarono, crebbero, esternandosi in molteplici opere di cristiana pietà.

Nel 1612 “crescendo a vista la devozione ed il concorso di popolo” ed essendo ormai la chiesetta di San Salvatore insufficiente alle esigenze del culto, si pose mano alla trasformazione, ed alla costruzione del nuovo tempio di Santa Maria del Pianto, ove la venerata immagine fu definitivamente trasferita con solenni onoranze.

Qui, ancor oggi, è possibile ammirarla; in un’architettura tracciata da Nicola Subregondi, dentro una nicchia, nella sua intima compostezza, e questa piccola Madonna ispira sentimenti di devozione, per un senso di amorevole tenerezza materna che traspare da tutta la mistica immagine.

Si tratta infatti di un affresco di modeste dimensioni, di impostazione prevalentemente gotica, su sfondo azzurro, sul quale è rappresentata la Vergine che tiene in braccio il Bambino, accarezzandolo lievemente, assisa su un piccolo trono.

La chiarezza morbida della linea decisa denuncia un’origine toscana. Oppure parrebbe lontana derivazione di una scuola romana che non ha certo dimenticato la fermezza compositiva di Pietro Cavallini.

La pietà dei fedeli ha concorso ad ornare  la Madonna e il Bambino di una corona da cui l’immagine acquista risalto in solennità. Attorno a questo faro di luce e di bontà, quanti esempi di cristiana edificazione !

Certamente, con il progresso spirituale sarebbe proceduta l’opera di rinnovamento della struttura della chiesetta, se non fosse intervenuto l’incameramento dei beni della Confraternita, ad opera del Demanio nel 1891, che impedì di conseguenza l’esecuzione delle progettate riparazioni.

Un plauso meritatissimo va quindi ai Padri Oblati di Maria che, avuta l’ufficiatura della Chiesa nel 1907, quando essa era ridotta in condizioni miserevoli, pur sopportando ingenti sacrifici, sono riusciti a riparare i più gravi danneggiamenti ed a restituire al tempio un aspetto conveniente.

 (Adattamento da)                                                        Franco Ceccopieri Maruffi

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