Liberati Germano presenta il Girfalco e la cattedrale di Fermo. Note storiche

IL GIRFALCO E LA CATTEDRALE DI FERMO.  Studio di Liberati Germano

Sul margine orientale del Girfalco si eleva la maestosa mole della cattedrale di Fermo, dedicata all’Assunta ed edificata su un’area che presenta una interessante stratificazione di resti architettonici risalenti all’epoca romana e all’Alto Medioevo. La cattedrale sintetizza la storia di Fermo. Del resto, la storia più antica di Fermo può iniziare dal colle Sabulo, come allora veniva chiamato il Girfalco prima di questo toponimo medievale; su questo colle infatti, fu costruita la rocca pre-romana tutt’intorno munita dalla prima cinta muraria, i cui blocchi megalitici irregolari sono visibili, ancor oggi, a Largo Calzecchi.

L’altura  è restata munita per secoli tra lo sviluppo ed una evoluzione urbanistica sedimentata lungo la storia. Interventi romani sono da registrare attraverso la costruzione di un tempio probabilmente rifacimento, ampliamento con modificazioni, di uno pre-esistente in stile italico.  Si potrebbe mettere in luce sia la successione stratigrafica del luogo, con  sondaggi e scavi archeologici mirati a riconoscere le fasi evolutive e la ricostruzione topografica.

Si può pensare alla presenza di altri edifici pubblici, avallata dalle sostituzioni di epoca più tarda. Va comunque segnalato che nel fianco nord -est del colle fu edificato un teatro, probabilmente con esterno alla greca e strutture archeggiate romane; il che conferma come la sommità del colle dovesse essere certamente l’arce (arx) romana con tutte le sue tipiche strutture ed edifici annessi. Per tutto questo, rimando alle competenze di studiosi che anche di recente hanno messo in evidenza, con dotte pubblicazioni, la fase romana.

Il castello sull’altura doveva risultare imprendibile sia per la quota d’altura, perché munitissimo, come fu infatti di l’impressione che ne ricevette, ancora nel X secolo, Liutprando di Cremona che annotava, “Fermo castello di vocabolo e di natura fermo” espressione che potremmo tradurre “castro (castello) solido di nome e di fatto”.

Quando leggiamo che durante il periodo barbarico, Fermo fu varie volte devastata, è logico rferirsi piuttosto a tutta la zona urbana sviluppatasi sotto la rocca particolarmente all’arce romana nel tempo divenuta cristiana. Una data infausta è stata quella del 21 settembre del 1176 quando Cristiano di Magonza, arcivescovo scomunicato, cancelliere dell’imperatore Federico Barbarossa (fa pensare al sarcastico e venato anticlericalismo il Carducci nell’ode “Su i campi di Marengo la notte del sabato santo 1175”) diretto nelle Puglie per contrastare i Normanni, assediò questa città, la conquistò e la mise a ferro e fuoco devastandola pesantemente, appiccando incendi agli edifici del Girfalco e distruggendo preziosi tesori di arte e di archivio. Quando alla fine del XII secolo i Fermani si diedero le prime magistrature comunali, lenta fu la ricostruzione della collina. E poiché Fermo restava una città vulnerabile, per insinuazione del Papa Onorio III fu costruita una nuova cinta muraria i cui ampi segmenti, se pur rimaneggiati, si possono ammirare tuttora; furono ricostruiti anche gli edifici del Girfalco a Fermo, anzi fu edificata nel 1236 una rinnovata imponente e imprendibile rocca, successivamente ampliata, la cui rappresentazione si può osservare in un dipinto esposto oggi nel palazzo comunale. Ma con il tempo proprio il Girfalco con la sua rocca divenne motivo di grande danno per la città, divenendo rifugio blindato di tiranni e avventurieri. Sicché i Fermani, snidato l’ultimo di essi lo Sforza, che vi era asserragliato, per evitare ulteriori insidie, la demolirono, radendola al suolo, nel 1446.

Ora, Il Girfalco, emblema di una storia passata, è anche un grande palcoscenico sul presente. Dopo superata la mole muraria della Casina, apriamoci allo stupendo piazzale costituito da due spazi contigui, quello con i lati a nord e ovest con file alberate, siepi e aiuole a prato, ricondotto a unità centrale da sentieri confluenti ad una fontana. Il successivo settore accanto alla cattedrale, ai lati est e sud come una balconata immersa nel verde di lecci e conifere, è la terrazza della città, da cui si possono ammirare gli edifici storici sottostanti, i colli, il mare. Al fondo del piazzale la grande quinta della Villa Vinci, già Paccaroni, fu prima uno stupendo convento tardo-cinquecentesco dei Cappuccini.

In fondo al grande e diritto viale, in direzione ovest est, campeggia il monumento più insigne della città, il Duomo tra i più belli delle Marche insignito del titolo di “basilica metropolitana”. Di tutte le strutture ed edifici del Girfalco, solo la cattedrale ha resistito al trascorrere dei secoli ed all’accanimento spesso rabbioso e cieco degli invasori. È questo il segno di una continuità storica, e soprattutto, di un popolo che ha sempre visto in essa il simbolo di una precisa identità, il luogo dell’unità nonostante gli innumerevoli capovolgimenti politici e le mutazioni ideologiche, il punto di riferimento di una comunità, una Chiesa locale, come si direbbe oggi, intorno al suo vescovo nella riflessione dell’identica fede. In questo senso la cattedrale (così chiamata dal termine cattedra) riassume la storia di Fermo. La Chiesa Fermana venera san Marone tra i primi evangelizzatori e i santi Alessandro e Filippo, vescovi martiri della fede del sec. III. Non vi sono documenti storici che suffraghino apoditticamente tale convinzione. Tuttavia tre elementi più che indiziari ne appoggiano la consistenza: 1) i martyria: quello di sant’Alessandro sul colle Vissiano e quello di san Filippo lungo la strada Castiglionese; 2) il sarcofago tardo-romano della cripta del duomo, sepulcrum di s. Filippo 3) la tradizione ininterrotta. V’è una legge storiografica , infatti, secondo cui l’absentia di prove non contrarie testimonia la veridicità di una tradizione. Questi tre elementi non sono costruiti, come talora accade, su miracoli strepitosi o prodigi inspiegabili; se mai il prodigio vero, si può enunciare con la sublime lingua dantesca: “ Se ‘l mondo si rivolse al Cristianesmo – diss’io – sanza miracoli, quest’uno è tal, che li altri non sono il centesmo” (Paradiso XXIV, 108).

Dunque, a questa epoca di evangelizzazione il IV – V secolo, con propagginazioni nel VI, va ricondotta la prima basilica Fermana. Non poteva essere costruita se non nella sommità dell’arce (arx) là dove la verità cristiana si sostituiva alla religione “degli dei falsi e bugiardi” (Dante Inf.1, 72).

Periti i documenti e le testimonianze scritte, nell’incendio di Cristiano di Magonza, la tradizione orale ha sempre sostenuto l’esistenza di una basilica paleo-cristiana: ne suffraga l’autenticità oggi l’archeologia che fornisce le prove. Gli scavi del 1937 sotto il pavimento dell’attuale aula della cattedrale ci hanno restituito molte informazioni. Alcuni elementi tardo-romani fanno certamente riferimento ad un edificio, probabilmente un tempio. Su di esso e con materiali di riporto è stata costruita la prima basilica, datata all’inizio del V secolo, come fanno fede il mosaico absidale e i resti del mosaico pavimentale sul lato sinistro (poco accessibile): mosaico pregevole nei colori e negli intrecci, denso di senso nei suoi simboli. Fin qui la prima fase storica della cattedrale. Ma l’invasione del romanico, l’originale stile proveniente dalla Francia, adottato dal monachesimo benedettino e utilizzato per pievi e cattedrali divenne stimolo per un ampliamento e una ristrutturazione della secolare basilica. Nel secolo nono, l’età carolingia ha che ha visto l’ergersi delle chiese abbaziali come, nel Fermano,  San Ruffino;  S. Giovanni in Silva e San Claudio al Chienti. Il dotto vescovo Fermano, Lupo, affascinato dalle chiese di Francia, propose e attuò una ristrutturazione fin dalle fondamenta: ecco la cattedrale (pre)romanica di cui nella zona degli scavi già citati, si notano due possenti pilastri animati da elementi decorativi a fogliame stilizzato. Ma Lupo fece di più: ristrutturò (o forse costruì) l’episcopio annesso alla chiesa sul lato est: edificio ampio, quasi un’abbazia, che ospitava anche di canonici in vita comune con il vescovo.

Per quattro secoli la nuova cattedrale accolse fedeli, risuonò del canto gregoriano nelle solennità della liturgia romana, ascoltò voti e preghiere dei fedeli e il salmodiare dei canonici. Di tutto ciò oggi restano alcuni reperti sistemati nella zona degli scavi. Cristiano di Magonza, più guerriero che vescovo, come già detto, nel 1176 causò l’incendio che divenne facile date le capriate in legno delle volte. È il caso di dire che non restò ‘pietra su pietra’. Di pari passo con la ricostruzione degli edifici del Girfalco e la costruzione della rocca, tra il 1227 e il 1250 fu ricostruita la cattedrale. Se ne occuparono i vescovi Rinaldo e Filippo. Tempi, arti e stili erano nel frattempo mutati.

All’austero  romanico stava sovrapponendosi la maniera detta poi con errato disprezzo ‘gotica’. È quanto ciascuno coglie guardando la facciata e la torre, e lo scopre con una più attenta osservazione dell’angolo meridionale e degli scavi donde partono i possenti pilastri. Maestranze in viaggio erano allora i cosiddetti “Maestri Comacini” cui tanto debbono il romanico e il gotico lombardo. Uno di essi, Giorgio da Como, con le sue maestranze di scalpellini e di carpentieri fu incaricato di progettare la nuova cattedrale: avevano avuto buon fiuto quel Bartolomeo mansionario di cui parla l’iscrizione in caratteri gotici inserita tra il portale e la monofora del fianco. Forse aveva compiuto un viaggio apposta a Jesi per vedere quel che il maestro Giorgio stava realizzando per la cattedrale quando se ne parlava con stima. La facciata in pietra d’Istria, scandita da sottili lesene, presenta al centro un elegante portale con fasci di colonne scolpite, sormontato da un’ampia cuspide racchiudente la statua della Vergine; in asse è posto il grande rosone con dodici colonnine decorate con motivi tortili e a spina di pesce, opera dello scultore fermano Giacomo Palmieri (1348).

Di questa cattedrale romanico-gotica ammiriamo ancora la falsa asimmetria della facciata (uno studio del compianto prof. Marcello Seta ne smentisce l’impressione) ove nel lato sinistro, al posto dello spiovente laterale in simmetria con quello di destra esiste il campanile. Che cosa dovette essere questa rinata cattedrale lo lasciamo dire a quell’entusiasta e attento studioso di cose Fermane, oltre che  emerito insegnante di Storia dell’Arte, che fu don Francesco Maranesi, il quale in un suo volume così si esprime: “ Dalle parti superstiti e da un disegno conservato in municipio si desume che il tempio, organizzato tutto in pietra istriana, doveva essere elegante ed armonico benché asimmetrico, con magnifici archi a sesto acuto impostati su possenti piloni; con il soffitto a capriate dipinte ed il ballatoio sostenuto dal mensole; con la tribuna e l’abside poligonale; con portali esterni istoriati e snelle monofore trilobate. Palladio di fede e di arte consacrato all’Assunta, era meta di grandi dimostrazioni collettive di pietà e di devozione da parte del popolo Fermano, tra le quali, la caratteristica Cavalcata di Ferragosto, quando tutte le corporazioni artigiane della città, gli ambasciatori dei castelli soggetti allo Stato Fermano, i magistrati, i priori delle contrade si allineavano dietro le proprie insegne in un pittoresco corteo e salivano, avvolti di luce e di colori, l’erta del Girfalco per fare atto di omaggio ed offrire doni votivi alla ‘celeste castellana’ di Fermo.“

Interventi di integrazione e di abbellimento si ebbero col susseguirsi dei secoli. Tra le opere demolite in epoca illuminista sono documentati l’altare maggiore del 1351, consacrato dal vescovo Buongiovanni; la grande tribuna realizzata nel 1391; apparato ligneo a cassettoni del soffitto realizzato nel 1535 secondo l’usanza del tempo per coprire le nude capriate.  Il cardinal Capranica a metà del secolo XV progettò una scalinata. Negli anni che decorrono dal 1731 all’1760 l’arcivescovo Alessandro Borgia fece rivestire anche il parato esterno (ormai consunto) di nuova pietra d’Istria ; fece dipingere l’abside su bozzetto del Giaquinto; e fece porre di nuovo nel presbiterio l’antico ambone marmoreo.

Di tutti questi interventi non rimane nulla, eccetto il rosone. La trasformazione radicale fu operata a partire dal 1781 dall’arcivescovo Minucci Andrea. Furono addotti due motivi: la precaria condizione tattica dell’edificio e la relativa poca ampiezza, e fu  motivo la voglia di ammodernamento, in quello stile neoclassico ormai dominante nello Stato pontificio, che comportò la ristrutturazione di tanti edifici sacri anche nella nostra diocesi. Qui bisogna dire che tutto, forse, sarebbe andato perduto del vetusto edificio se non ci fosse stata la ferma e insistita protesta della cittadinanza. Si salvarono così la facciata, il campanile e il portale laterale insieme a tutto l’atrio. Fu rifatto tutto il resto della cattedrale, allungata, ampliata e strutturata in forme e decorazioni di stile classicheggiante.

Per buona sorte o per accorta perspicacia la ristrutturazione fu affidata al grande architetto pontificio Cosimo Morelli,  protetto dai papi Clemente XIV e Pio VI, di ottimo talento e immerso in uno stile di transizione che coniugava le strutture classicheggianti alla decorazione tardo-settecentesca. Della struttura stessa seppe cogliere  elementi di continuità come le fasce e le lesene che scandiscono il parato in laterizio e ripropongono la pietra d’Istria. Tuttavia alcune modifiche ai disegni originali (quali si possono osservare esposti nella sala capitolare accanto la sacrestia  del duomo) furono apportate dall’architetto Paglialunga di Fermo.

Del pari, gli studi e  le decorazioni dell’interno furono commissionati a due intelligenti artisti: forse i migliori che in loco si trovassero sul mercato. Gli stucchi allo scultore Gioacchino Varlè coadiuvato dai locali Stefano Interlenghi e Domenico Fontana: superbo e imponente è infatti il gruppo dell’Assunta nell’abside. Al sangiorgese Pio Panfili forse l’ultimo grande quadraturista, furono affidate le decorazioni delle false cupole e di altre parti delle pareti. Dello stesso Panfili era il disegno di rifacimento della facciata esterna.

Questi interventi ebbero il merito di annullare la freddezza geometrica delle strutture e della scansione degli spazi, riuscirono a dar colore agli interni, e creare monumentalità con effetti plastici. All’interno degli metodi della liturgia, l’oro, l’argento, le pietre, le stoffe sono stati lavorati e accostati in  sorprendenti variazioni negli oggetti e negli apparati liturgici preziosi per l’arte e per la fede, tra cui spicca la casula di San Tommaso Becket, a testimoniare vita nella storia.

In sintesi, la cattedrale è segno e storia della vita cristiana e dell’inculturazione, dopo la preistoria e la storia romana, a cominciare dalla chiesa paleocristiana della prima comunità cattolica che manifestò sempre  la sua vitalità, con i tanti vescovi che crearono l’edificio romanico e lo ricostruirono, dopo distrutto, in stile gotico, assieme con il la sede dei canonici in vita comune nell’episcopio. Quando fu demolita la rocca la cattedrale sembrò solitaria, ma si abbellì di opere rinascimentali e fu in gran parte ampliata negli ultimi decenni del secolo XVIII in stile neoclassico. Quest’opera che testimonia il passato è stata profetica per il tempo a venire.

Nella cattedrale di Fermo, nel secolo XX e agli inizi del successivo, sono stati compiuti molti interventi di risarcimenti strutturali, restauro delle opere d’arte e del presbiterio. L’inizio fu dato nel 1996 dal arcivescovo mons. Cleto Bellucci e proseguito dal suo successore mons. Gennaro Franceschetti.  Notiamo il rifacimento del tetto nuovo, il consolidamento statico delle strutture, la pulizia e il consolidamento della facciata, il nuovo pavimento con il relativo impianto di riscaldamento e tutta l’impiantistica in generale; l’apparato decorativo della chiesa, della sala del capitolo e dei locali della sagrestia; restauro dei due prestigiosi organi, dei dipinti dell’atrio, del monumento a Giovanni Visconti d’Oleggio, dei dipinti nella cappella del SS. Sacramento; nuovo altare nel presbiterio (2004) e nuovo ambone (2007). La cattedrale completamente restaurata è stata riaperta al culto in occasione del Giubileo il 4 maggio 2003 con una solenne celebrazione presieduta dal cardinale Giovanni Battista Re.

Da questa cattedrale hanno avuto scaturigine la fede e la civiltà cristiana delle nostre terre: una civiltà omogenea, che ha saputo tenere unite o ricompattare le comunità del territorio, nonostante i sommovimenti della storia locale. È presente la caratterizzazione unitaria sul piano sociale, in uno stesso linguaggio vernacolare, nelle comuni tradizioni e nell’attiva e capillare presenza delle istituzioni religiose. Potrà restare sempre un ulteriore elemento aggregante della nostra vita religiosa, culturale e sociale.

Come propone il padre Dante, possiamo leggere questo vissuto “con occhio chiaro e con affetto puro” (Par.6,87) come storia di un popolo, di una comunità, di una fede: storia ininterrotta, cui la memoria deve inchinarsi, e gli uomini di ogni tempo possono esser grati estimatori, eredi e continuatori.

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, LUOGHI, PERSONE and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra