GLI EBREI E LA PREDICAZIONE ANTIUSURA DEI FRATI MINORI DELL’OSSERVANZA. Studio di TASSI Emilio

LA PREDICAZIONE ANTIUSURA DI S. GIACOMO DELLA MARCA E DEI FRATI DELL’OSSERVANZA A FERMO.   Studio di TASSI Emilio

   I frequenti e stretti rapporti tra la città di Fermo e S. Giacomo sono stati oggetto di un documentato studio da parte del prof. Carlo Tomassini in “Picenum Seraphicum”; in diversi saggi dello stesso fascicolo sono contenuti altri ampi accenni ai rapporti avuti dal Santo con il Comune di Fermo e con altri centri del territorio Fermano (1). La presente ricerca, quindi, non intende ribadire o anche ampliare questo tema generale, ma si propone di studiare un aspetto particolare dell’attività svolta da San Giacomo e dai suoi confratelli; precisamente intende occuparsi della predicazione svolta da loro, delle iniziative prese e delle motivazioni che li hanno guidati nel tentativo di circoscrivere l’influenza della comunità ebraica di Fermo e in modo particolare gli sforzi messi in opera per impedire la straripante attività feneratizia degli ebrei di Fermo.

È noto come nelle varie città della Marca anconetana fossero presenti e fiorenti le comunità ebraiche e come esse fossero attivissimi specialmente nel settore del prestito su pegno. Molti sono gli studi che, più o meno approfonditamente, hanno illustrato l’origine, la consistenza numerica, le condizioni di vita e le attività degli ebrei stanziati nei vari centri delle Marche (2). Per la città di Fermo non esistono studi specifici che trattino l’argomento in maniera completa e sistematica; vari accenni sono contenuti in saggi che illustrano i diversi aspetti della storia fermana, ma nessuno mai si è proposto di approfondire l’argomento della presenza degli Ebrei a Fermo, dell’epoca del loro primo stanziamento in città, delle attività svolte in essa e dei rapporti con la comunità locale (3). La finalità del presente lavoro è molto limitata; esso si propone di affrontare un solo aspetto della storia della comunità ebraica di Fermo e precisamente di illustrare le iniziative prese da San Giacomo della Marca e dai Frati dell’Osservanza in rapporto agli Ebrei di Fermo e segnatamente per la loro fiorenti attività del prestito su pegno.

-La comunità ebraica di Fermo.  A Fermo, come pure nei più cospicui centri dello Stato Fermano, esistevano, già alla fine del XIII secolo, insediamenti e comunità ebraiche che non potevano essere ignorati dalle autorità. Essi ponevano rapporti con la popolazione residente, anche perché l’attività feneratizia da essi svolta, specialmente in determinati periodi di crisi finanziaria, appariva indispensabile per la vita economica dei centri nei quali essi agivano (4). Tre documenti pergamenacei, due recanti la data del 1305 e il terzo del 1310, attestano l’esistenza di una comunità ebraica a Fermo (5); essi registrano altrettanti contratti, stipulati in presenza di un notaio del Comune, con i quali alcuni cittadini di Fermo dichiarano di aver ricevuto in prestito del denaro e si obbligano solennemente in solido a restituire la somma ai prestatori ebrei ad una scadenza prefissata. Pur non disponendo di un documento, in questo periodo, che attesti l’esistenza di un capitolato redatto tra il Comune e gli ebrei, e nel quale venga accordato ad essi, a determinate condizioni, l’esercizio del prestito su pegno, possiamo supporre che una tale disposizione fosse stata emanata dalle autorità comunali al momento dell’insediamento dei primi nuclei di ebrei prestatori. Dal testo dei contratti, infatti, appare chiaramente che non si tratta di ebrei isolati, ma di un gruppo che esercitano regolarmente l’attività del prestito su pegno (6). È pertanto lecito pensare che nell’ultimo decennio del sec. XIII gruppi di ebrei si siano stanziati a Fermo, ottenendo dal Comune la licenza di svolgere l’attività feneratizia, dopo avere stipulato un vero e proprio patto con le autorità. Quali fossero le clausole possiamo arguirlo analizzando il capitolato sottoscritto nel 1295 tra la città di Ascoli e un gruppo di ebrei colà stanziati (7).

I responsabili del Comune si preoccupavano prima di tutto di obbligare gli ebrei, che intendevano impiantare l’attività del prestito, a fissare stabilmente, o quanto meno per un periodo non inferiore a dieci anni, la loro residenza in città; evidentemente intendevano in tal modo assicurarsi una riserva di denaro fresco a cui attingere nei ricorrenti momenti di crisi finanziaria. In secondo luogo gli ebrei dovevano pagare un canone annuo alle casse del Comune e si dovevano impegnare a prestare denaro al Comune stesso a tasso agevolato. Da parte loro le Autorità concedevano il monopolio del prestito, impedendo che altri prestatori potessero impiantare dei banchi, a meno che gli interessati non avessero dato il loro assenso. Le autorità comunali, dunque, non si opponevano allo stanziamento degli ebrei, anzi a volte lo sollecitavano, dato che l’attività del prestito, per quanto esosa potesse essere per la popolazione, rappresentava un importante cespite di entrata per le casse comunali e un incentivo per lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali bisognose sempre di denaro liquido non sempre disponibile a quei tempi. È arduo, ma non impossibile, stabilire la consistenza numerica della comunità ebraica di Fermo per il fatto che nessun documento fornisce cifre precise o anche approssimative; meno difficoltoso è invece stabilire il numero dei banchi di prestito su pegno esistenti nella città alla metà del sec. XV. Nei primi anni del Trecento vengono indicati i nomi di sette ebrei come rappresentanti dell’intero gruppo di ebrei prestatori (“eorum sociis”) (8); considerando che i detti “soci” fossero altrettanti, arriviamo a stabilire che le comunità ebraica a Fermo fosse composta da almeno 14 nuclei familiari e prendendo per buona l’affermazione del Milano (9) secondo cui ogni nucleo era composto in media da cinque persone, possiamo concludere che nel 1310 a Fermo vivessero circa settanta ebrei.

Alla fine del Trecento il numero degli ebrei residenti nella città di Fermo è più che quintuplicato. Il cronista della città, Anton di Nicolò, riferendo un doloroso episodio di saccheggio avvenuto nell’anno 1396 da parte di alcuni soldati mercenari assoldati dal tiranno di turno per sedare una rivolta, ci fa sapere che essi, una volta riportato l’ordine, si abbandonarono al saccheggio. Ne fanno le spese di ebrei residenti in città (10); dalla contrada di S. Bartolomeo in direzione di Campoleggio vengono prese di mira cento case; nelle altre contrade il saccheggio riguarda circa 4 case. Ora è noto che il ghetto ebraico era situato proprio nella contrada S. Bartolomeo lungo la strada, ora via Bergamasca, che si snoda parallelamente al corso Cefalonia, a partire dalla chiesa della Pietà fino ad arrivare sotto la piazza di Campoleggio (11). Ammesso che non tutte le case saccheggiate appartenessero agli ebrei, si può tuttavia pensare che la maggior parte di esse fossero abitate da ebrei, dato che proprio in quella zona era collocato il ghetto o Giudea. Alla fine del trecento, dunque, gli ebrei residenti a Fermo ammontavano, con ogni probabilità, a 70-80 nuclei familiari e quindi a 350-400 unità. Un’attività cui essi si dedicavano era certamente quella del prestito su pegno; non che forse l’unica, ma certo era la principale. Ad esercitarla essi furono spinti da una serie di circostanze venutesi a creare a causa del diffondersi nel mondo cristiano di una dottrina giuridica in tema di prestito a interesse, cioè in seguito alla precisazione della dottrina morale sull’usura da evitare. Riguardo alla funzione del capitale finanziario si era venuta precisando una teoria morale giuridica, codificata poi in modo preciso verso la metà del sec. XIII da diversi Concili e dalle Decretali di vari Pontefici. Partendo dai diritti che l’antico testamento imponeva a proposito dei prestiti tra ebrei (il prestito nella tradizione rabbinica era considerato con un atto di solidarietà e non come un affare) (12), e riferendosi ad una massima di Aristotele secondo il quale “pecunia pecuniam perere non potest”(non produrre denaro da denaro), ma fondandosi specialmente sulla massima evangelica “Lc 6,35 date il mutuo senza nulla sperarne”, la Chiesa proibiva rigorosamente l’usura non solo come concessione del prestito ad eccessivo interesse, neanche come attività di mutuare a qualsiasi tasso di interesse. Il divieto obbligò prima di tutto il clero, in seguito indistintamente tutti i cristiani. Rimase incerto se tale divieto riguardasse anche gli ebrei i quali, essendo fuori dalla Chiesa, erano considerati ormai perduti ad ogni speranza di salvezza e giuridicamente non soggetti alla legislazione canonica. Le fonti giuridiche ecclesiastiche non si pronunciarono in proposito: il Concilio Lateranense IV, tuttavia nel 1215 vieta agli ebrei di percepire “usure gravi et immoderate” (13) e con ciò induce a pensare che agli ebrei fosse permesso di prestare denaro ad interesse, seppur moderato, cosa che non poteva essere concessa ai cristiani. Precisamente questo atteggiamento reticente e la legislazione canonica  agirono a favore, verso sulla fine del sec. XIII, per i primi tentativi degli ebrei italiani di istituire banchi di prestito (14). Cosicché gli ebrei, esclusi quasi del tutto dalle attività commerciali e artigianali al momento del formarsi nella società comunale delle corporazioni di arti e mestieri, trovandosi ad avere a loro disposizione una gran quantità di denaro liquido (accumulato durante le fortunate attività esercitate prima della proibizione), si trovarono a coprire un vuoto nel settore della gestione del capitale finanziario assolutamente necessario per il decollo delle attività economiche delle neonate corporazioni (15). Dato che a Fermo gli ebrei arrivano alla fine del sec. XIII o all’inizio del XIV, quando ormai ad essi era vietata ogni altra attività lavorativa (se si eccettua il commercio dei panni usati o degli stracci), è naturale che essi piantassero subito banchi di prestito su pegno, dedicandosi quasi esclusivamente all’attività feneratizia. Il numero dei banchi di prestito su pegno alla metà del sec. XV a Fermo si può determinare, con buona approssimazione, dall’esame dei capitolati siglati dalla comunità ebraica con le Autorità del Comune e dall’analisi dei bandi di ritiro di vendita dei beni depositati. Dall’esame dei dati non è azzardato concludere che a Fermo, metà del sec. XV,  erano attivi almeno 15 banchi di prestito su pegno (16).

Per tutto il secolo XIV fino a circa la metà del sec. XV la comunità ebraica di Fermo registra un consistente sviluppo e l’attività del prestito su pegno si consolida sensibilmente. Mi è chiara dimostrazione del fatto che, proprio nel corso degli primi cinquant’anni del sec. XV, vengono stipulati numerosi capitolati tra gruppi di ebrei prestatori immigrati a Fermo e le autorità del Comune. Questo sviluppo si arresta improvvisamente nella seconda metà del secolo. Dall’esame dei documenti si coglie chiaramente un sensibile calo dell’attività feneratizi della comunità ebraica tra il 1465 e il 1500; contemporaneamente le fonti attestano il primo tentativo di istituire a Fermo un Monte di pietà gestito dalle istituzioni cittadine. Nei registri degli “instrumenta” (contratti notarili) e in quelli degli “Acta diversa” non compaiono più i capitolati tra la città e gli ebrei e i bandi di vendita dei pegni si diradano sensibilmente. La causa del ristagno è da individuarsi nella predicazione antiebraica dei Frati dell’Osservanza, inaugurata la S. Giacomo, che influenza decisamente l’atteggiamento dei governanti di Fermo. Una indiretta conferma si coglie in un documento del 1505, quando ormai si è attenuata la politica antiebraica; esso contiene un nuovo capitolato stipulato tra il Comune e alcuni ebrei tornati a Fermo. La parte ebraica, nel sottoscrivere il nuovo contratto, chiede nuove e più chiare garanzie contro eventuali atteggiamenti persecutori o discriminanti che, pensiamo, si erano verificati durante gli anni che vanno dal 1465 al 1500 (17). E’ utile un breve esame del documento: esso si apre con un’osservazione dalla quale si arguisce che negli anni precedenti erano stati presi provvedimenti per impedire o quantomeno limitare l’attività di prestito gestito dagli ebrei e si sottolinea il fatto che proprio tali provvedimenti avevano provocato non pochi incomodi alle attività economiche dei cittadini fermani (18). Gli ebrei che accettarono di ritornare a Fermo e di riprendere l’esercizio del prestito, non si fecero sfuggire l’occasione di chiedere consistenti miglioramenti alle clausole del contratto specialmente per quel che riguardava le garanzie della gestione dei banchi di prestito; approfittarono dell’occasione per introdurre nel capitolato delle norme tese ad assicurare ai vari gruppi di prestatori l’esercizio delle pratiche della religione ebraica. Infatti proprio nel documento del 1505 sono contenute norme giuridiche che si riferiscono allo “status”  civile e religioso degli ebrei prestatori. Tra le clausole la principale era quella che dava gli ebrei il diritto di godere della cittadinanza, privilegio esteso anche ai familiari e ai collaboratori nell’attività del prestito (19). È evidente che tale diritto aveva valore solo limitatamente al periodo della gestione del banco (20). Particolare importanza rivestono anche le clausole che si riferiscono alla libertà religiosa e quella di esercitare le pratiche del culto ebraico (21). Il prestatore ebreo, i suoi familiari e i collaboratori venivano autorizzati a praticare i riti cultuali della religione ebraica in un oratorio; a volte veniva riconosciuto il diritto di organizzare perfino corsi di istruzione religiosa per i propri figli e per i giovani ebrei residenti in città. Era consentita la mattazione rituale degli animali; veniva permesso l’acquisto di un appezzamento di terra da destinare a luogo per la sepoltura riservata agli ebrei. Importante appare la disposizione in base alla quale il titolare del banco, la sua famiglia e tutti gli addetti all’esercizio del prestito come collaboratori del titolare venivano dispensati dal partecipare alle prediche settimanali tenute in genere dai francescani per spingere gli ebrei alla conversione (22). Se nel capitolato del 1505 vengono richieste simili clausole, mentre in quelli precedenti esse non venivano menzionate, è segno che le iniziative prese nei confronti degli ebrei da S. Giacomo e dai predicatori dell’Osservanza tra il 1464 il 1500 avevano resa necessaria l’esplicitazione di precise garanzie onde evitare il ripetersi di episodi incresciosi e di vessazioni.

-La tendenza antiebraica a Fermo. La prima avvisaglia si registra nel 1433; ne troviamo testimonianza nella Cronaca fermana di A. di Nicolò: “eodem millesimo 1433 de mense maj venit Firmum quidam frater Heremitanus vocatus frater Simonis de Camereno et praedicavit quampluribus vicibus in ecclesia sancti Augustini de Firmo et etiam in platea. Et habuit dicere inter alis quod Judei non recognoscebantur a christianis. Et tantum dixit, quod deliberatum fuit in magna Cernita quod Judei omnes, masculi et femine, maiores et minores portarent in pannis unum signum, videlicet unum 0, ita quod recognoscerentur. Et sic factum fuit  et die XXIII maij inceperunt Judei portare signum de panno coloris gialli”. Nell’anno 1433 mese di maggio venne a Fermo frate eremitano Simone da Camerino e predicò moltissime volte nel chiesa di S. Agostino di Fermo, anche nella piazza e tra le altre cose ebbe a dire che i giudei non erano riconosciuti dai cristiani. Disse tanto che fu deliberato nella Grande Cernita che tutti i giudei, maschi e femmine, grandi e piccoli portassero un segno nei vestiti, cioè 0, per essere riconosciuti. E così fu fatto e il giorno 23 maggio i giudei cominciarono a portare un segno di danno colore giallo.  (23). Si può così individuare il sorgere di una corrente antiebraica ad opera dei frati agostiniani; essa ebbe però scarsa incisività, se la disposizione del 1433 fu abolita in una Cernita del 1447; sotto il 14 maggio, al n° 6, si legge: “reformatio 13 maij de signo 0 giallo ab ebrei portando” (24).

La campagna antiebraica, tuttavia, si scatena ad opera dei Frati Minori dell’Osservanza e viene fatta da S. Giacomo della Marca. Si sa che il Santo venne a Fermo nel 1442 a predicare la Quaresima; la sua ardente parola commosse la popolazione e impressionò le autorità del Comune (25). Che la stima acquistata presso i Fermani fosse grande, è dimostrato dal fatto che, quattro anni dopo, S. Giacomo riuscì a riportare la pace tra Fermani ed Ascolani, divisi ab antiquo da profondi odi e anche dal fatto che in tale occasione fu donata al Santo l’area per costruire il convento dei Frati Minori. Sull’onda di tale popolarità, il frate propone di apportare alcune “riformanze” alla legislazione del Comune; alcune proposte riguardano per l’appunto l’atteggiamento da tenere nei confronti degli ebrei che esercitano il prestito su pegno (26): “die 16 martii 1459. Dicitur rev.dus Pater fr. Jacobus de Marchia praedicator devotus, sanctus, praedicationibus, ut omnibus notum est, predicasse ad salutem animarum et praeservatione civitatis et utilitatem civium praesertim…. 2 Contra usuras et in strumenta ac contractus illecitos… 9 Contra Capitula ebrei concessa circa usuras ut provideatur ne cives stent in excommunicatione”(si dice che il reverendo padre fra Giacomo della Marca devoto predicatore, santo nelle predicazioni, come è noto a tutti, predicò per la salvezza delle anime e per la preservazione della città e soprattutto per l’utilità dei cittadini. Contro le usure e gli istrumenti, contratti illeciti. Contro i capitolati concessi agli ebrei riguardo alle usure si provveda che i cittadini non restino scomunicati) (27). Fra’ Giacomo si preoccupava di far approvare delle disposizioni contro l’usura, specialmente tese a scongiurare ogni contatto tra ebrei e cristiani onde allontanare ogni pericolo di apostasia. Il Consiglio Generale recepisce prontamente le deliberazioni della Cernita e si adegua alle richieste di Fra’ Giacomo: “Die 19 martii….Deinde Bonjoannes Augustini et dominus Bonjoannes ser Vanni laudant fr. Jacobum eiusque monita. Hinc eliguntur cives ad reformationes statuendas (seguono i nomi). Cum his domini Priores et Regulatores reformaverunt et sanxerunt…., de hebreis non admittendis in beccaria; de tollendis capitulis illorum, quae de jure divino et canonico prohibentur….” (Bongiovanne di Agostino e il sig. Bongiovanne del sig. Vanne approvano fra Giacomo ed i suoi moniti. Pertanto sono eletti gli cittadini per stabilire le riforme. Insieme con questi i signori priori e regolatori fecero le “riformanze” e stabilirono riguardo agli ebrei da non ammettere nella macelleria, e abolire i capitoli in quelle cose che sono proibite dal diritto divino e canonico) (28). D’ora in poi si crea nella città un movimento antiebraico che si dà da fare affinché le concessioni fatte gli ebrei nel passato vengano abolite. Tale tendenza si rafforza ogni qualvolta capiti a Fermo un predicatore dei Frati dell’Osservanza. Il partito filo-ebreo, tuttavia, non demorde; cosicché negli anni seguenti (almeno fino al 1505) assistiamo ad una lotta che presenta fasi alterne.

Nel 1464 un tal fra’ Pietro da Napoli, venuto a predicare la Quaresima, provoca un rincrudimento della situazione degli ebrei: “Die 23 martii; nobilis vir Pandolfus Rogerii et alii consuotores…. vicerunt in Cernita: 1-annullationem capitulorum pro hebreis circa usuras; 2-cassationem magistri hebrei; 3-remotionem hebreorum a strata magistra. Haec autem remittuntur fratri Petro de Napoli predicatori optimo et Doctoribus ac Dominis” (il nobiluomo Pandolfo Rogeri ed altri consultori vinsero la delibera di Cernita riguardo all’annullare i capitoli a favore degli ebrei sulle usure e a cancellare il maestro ebreo e alla rimozione degli ebrei dalla strada maestra. Queste cose sono affidate a frate Pietro da Napoli ottimo predicatore ed ai dottori e signori) (29).

Nel 1480, fra’ Pietro da Fermo, uomo ritenuto per santo ed ottimo predicatore, rinverdisce le disposizioni antiebraiche: “Die 7 martii; venerabilis frater Petrus de Firmo, praedicator multa dixit in Cernita et gratiae referuntur Deo de tanto bono spiritu. Ejus consilio sanciuntur cives pro pacibus faciendis, pro revidendis capitulis hebreorum ne cives sint in excommunicatione” (il predicatore venerabile frate Pietro da Fermo disse molte cose nella cernita e si fecero ringraziamenti a Dio per tanto buon spirito. Per suo consiglio sono stabiliti i cittadini per fare le paci e per modificare i capitoli degli ebrei affinché i cittadini non siano scomunicati) (30). La risposta del Consiglio Generale è positiva: “Die 19 martii; cives electi… pro capitulis hebreorum (seguono i nomi) qui die 20 congregati sunt et annullaverunt concessionem pignorum factam ebreis post duos annos” (si sono riuniti i cittadini eletti per i capitoli degli ebrei e questi annullarono la concessione dei pegni fatta agli ebrei dopo due anni) (31).

Negli intervalli di tempo tra una predicazione dell’altra si fa sentire la reazione della parte che ragiona più realisticamente e considera utile la presenza e l’attività degli ebrei nella città. Dal febbraio 1459 al marzo 1464, infatti, assistiamo ad una lotta tra le due fazioni sull’assunzione, da parte del Comune, di un certo maestro Angelo medico ebreo molto famoso. I momenti di tale disputa sono: “Die 10 februarii 1459… legitur magister Angelus hebreus bonus et exspertus chirurgus” (32). In seguito alla segnalazione della Cernita, maestro Angelo viene assunto dal Comune come medico. Nel marzo poi si svolge la predicazione di S. Giacomo e Angelo viene licenziato. Tuttavia il 24 aprile nella Cernita “statuitur…. reconducendo pro uno anno magistrum Angelum hebreum medicum physicum” ma il giorno seguente il Consiglio Generale stabilisce: “magister Angelus non fuit confirmatus quia hebreus erat” (viene stabilito come medico fisico l’ebreo maestro Angelo per un anno; ma non fu confermato) (33). Evidentemente il partito antiebraico, ancora sotto l’impressione della predicazione che sappiamo, riesce a spuntarla nel Consiglio Generale. Nel 1463 invece viene accolto dal Consiglio generale: “fit Concilium generale. Magister Angelus hebreus recipitur in medicum” (34). Nell’anno successivo si verifica un tentativo, andato tuttavia vuoto, di restituire agli ebrei la facoltà di esercitare il prestito su pegno: “Die 30 novembris 1464; capitula contra usuras hebreorum remittuntur dominis Prioribus annullando, quia pauperes non inveniunt mutuo pecunias”(perché i poveri non trovano denaro) (35). La motivazione addotta dalla Cernita appare molto interessante: i Consiglieri si accorgono, con molto senso realistico, che, seguendo le indicazioni di S. Giacomo, si può ben fare cosa buona, ma certamente non si fanno gli interessi della popolazione e del Comune. Il Consiglio Generale, però, non ratifica la proposta, in mancanza di una dispensa da parte del Legato Apostolico: “Die 16 decembris; Concilium Generale: dicitur non posse fieri ut annullentur Capitula contra Judeos sine dispensatione domini Legati” (36). Tutte queste schermaglie stanno forse a dimostrare che nel Consiglio di Cernita prevale il partito filo-ebreo, mentre nel Consiglio Generale la maggioranza è tenuta dalla fazione antiebraica.

Nel frattempo, come diremo in seguito, si pone in atto il tentativo di fondare a Fermo un Monte di Pietà. Nel 1476, forse perché la nuova istituzione non decolla, torna lo scontro tra le due fazioni a proposito della concessione ad un ebreo di comprare una casa: “Die 27 augusti 1476…. Negatur Fabritio Antoni Bertherami posse vendere suam domum Judeis”; tuttavia il 2 ottobre dello stesso anno gli è consentito: “Conceditur licentia Fabritio Antoni Bertherami vendendi domum suam Judeis” (37). Del resto per tutta la seconda metà del sec. XV non mancano concessioni fatte agli ebrei relativi alla facoltà di esercitare altre arti diverse dal prestito, come quella del commercio dei panni usati e il mestiere di sensale(mediatore) nelle fiere, cosa questa abbastanza rara. Allo scadere del secolo addirittura è il Comune stesso che, per avere un mutuo dagli ebrei, consegna ad essi come pegno parte dell’argenteria di proprietà del Comune stesso (38); nel 1499, poi, fra’ Gaspare denuncia i Canonici della Cattedrale per aver essi dato in impegno agli ebrei l’argenteria della Chiesa (39). Nel giugno dello stesso anno sembra che il partito antiebraico abbia perduto mordente; sappiamo infatti nella Cernita del 28 giugno ”agitur de concedendo foenore hebreis et de 50 ducatis mutuandis ab eiusden Communi” (40) lo stesso Comune fa mutuo di 50 ducati. Nei primi anni del sec. XVI la situazione va sempre più normalizzandosi, anche perché la situazione finanziaria a Fermo va facendosi sempre più precaria mentre le lotte intestine e gravi problemi che ne nascevano distoglievano l’attenzione delle autorità comunali da una questione tutto sommato marginale quale era quella delle limitazioni da introdurre nei confronti della comunità ebraica. Un episodio verificatosi nel 1503 dimostra quanto fosse cambiato il clima nei confronti degli ebrei. A Fermo la comunità ebraica era tenuta ad offrire ogni anno un cero alla chiesa di S. Lucia a favore degli studenti. L’usanza era ritenuta più umiliante, che non economicamente onerosa. Proprio in quell’anno gli ebrei si rifiutano di fare l’offerta prescritta; ci fu una violenta reazione da parte di alcuni cittadini, i quali assalirono la Sinagoga e asportarono tutti i libri sacri che vi erano custoditi. Il fatto non lasciò indifferenti le autorità che intervennero con delle disposizioni che appaiono equanimi: (a)- i libri sacri asportati dovevano essere restituiti agli ebrei; (b)- questi d’ora in poi avrebbero pagato il censo di un fiorino al posto dell’umiliante offerta del cero: “et sancitur restitutio librorum soluto uno floreno ad quem hebrei in posterum teneantur et non ad aliud” (41). Sono tolti gli incomodi. La campagna contro il prestito ebraico, promossa da dai Frati Minori, aveva acuito la crisi finanziaria in cui si dibatteva il Comune e aveva creato difficoltà a quei cittadini fermani che gestivano le iniziative commerciali ed artigianali. I più realisti della comunità fermana ebbero quindi ragione contro il partito antiebraico. Quattro testimonianze documentarie sono particolarmente eloquenti:- 1° – anno 1504: “Cum nulli reperirentur penuniarum mutatores (segno che il Monte di Pietà ancora non funzionava a dovere), conceditur ebrei procuram dispensationem ex Urbe foenerandi iouxta capitula limitata” (42). È un passo verso una politica più liberaleggiante, quando scarseggiano denari. Le autorità non hanno nulla in contrario a restituire agli ebrei la facoltà di esercitare il prestito, purché da Roma si ottenga l’autorizzazione e purché vengano introdotte clausole limitanti. – 2° – anno 1506: “Deputandi decernuntur cives extimatores in subhastatione pignorum Judeorum” (43). Forse l’autorizzazione da Roma è arrivata e la Cernita appronta i nuovi strumenti giuridici affinché il prestito possa funzionare con lo stabilire i cittadini che facciano l’estimo dei pegni dei giudei nella vendita all’asta. – 3° – anno 1511: “Statutum est concedere bebreos mutatores, quia minus malum est eos tolerare quam chriastianos foeneratotes perpeti” (44). C’è da pensare che ormai nel 1511 sia stato reintrodotto a Fermo il prestito ebraico e che quindi gli effetti della campagna antiebraica ormai non ci facevano più sentire. Gli ebrei facessero prestiti perché era minor male piuttosto che aver cristiani usurai. – 4° – anno 1512: “Populus firmanus iterum petiti ebreo intra civitatem; idcirco assecurantur ab omni publica offensione et suasione in contrarium, nisi contra illos commissione habentur a Sacta Sede” (45). In mancanza di esplicita commissione da parte della santa Sede (Roma) il popolo Fermano chiede di nuovo agli ebrei di stabilirsi ad abitare in città, liberi da ogni offesa o insinuazione contraria. È un passo definitivo: gli ebrei vengono assicurati e  garantiti da ogni angheria proveniente da predicatori; solo una decisione sovrana del Pontefice avrebbe potuto modificare la situazione. Ormai non si ha più paura di riconoscere la verità: gli ebrei che esercitano il prestito su pegno costituiscono un elemento necessario all’economia della città e pertanto si danno ad essi ampie garanzie onde possano liberamente agire nell’ambito del mercato finanziario. Negli anni successivi incontriamo nei documenti reiterate concessioni fatte alla comunità ebraica di Fermo. Tale situazione si manterrà almeno fino alla metà del sec. XVI.

-L’istituzione del Monte frumentario a Fermo.   La propaganda antiebraica e le gravi limitazioni imposte gli ebrei per iniziativa dei Frati dell’Osservanza obbligarono i medesimi a studiare iniziative che in qualche modo sostituissero l’attività feneratizia dei banchi ebrei indispensabile a sostenere l’attività artigianale e commerciale dei cittadini di Fermo. Questa esigenza fece nascere tutta una serie di iniziative che portarono alla creazione dei Monti di Pietà gestiti da numerosi enti di beneficenza esistenti nel tessuto religioso della Città.  Il Wadding afferma che l’iniziatore dei Monti di Pietà sarebbe stato il B. Domenico da Teramo; egli li avrebbe promossi al fine di sottrarre i poveri alla necessità di ricorrere ai prestatori ebrei che richiedevano un tasso di interesse elevato. L’idea gli sarebbe venuta mentre predicava la quaresima a Perugia; pensò di accantonare dalle elemosine raccolte in chiesa stabilendo il denaro sufficiente per creare un fondo da destinare al prestito gratuito sopra la garanzia di un pegno. I pegni capaci di fruttare avrebbero costituito la base finanziaria per coprire le spese della gestione del Monte. Espose la sua idea alle autorità della città le quali approvarono il suo progetto. Fu così che si riuscì a costituire due Monti pecuniari (46). Non mancarono oppositori al progetto, come i frati Domenicani, i quali consideravano l’istituzione alla stregua di una larvata forma di usura. La polemica sulla liceità o meno dei Monti di Pietà si allargò a tal punto che della questione fu investito il Concilio Lateranense V. Nella sessione X venivano dichiarati approvati, leciti, pii e meritori i sacri Monti di Pietà e venivano promulgate indulgenze a favore dei benefattori. Il Papa Leone X sanciva la decisione conciliare con la Costituzione apostolica “Inter multiplices”. Ha fatto luce sull’origine del sacro Monte pecuniario a Fermo, il Talamonti nella sua accurata e ampia opera “Cronistoria dei Frati Minori” (47). Egli dimostra, su basi documentarie inoppugnabili che il Monte fu istituito sul piano giuridico nel 1469 da fra’ Domenico da Leonessa. Così si esprime il  Talamonti: “Il racconto dei molti avvenimenti riguardanti la vita di S. Giacomo e le sue ripetute visite e permanenze nella città di Fermo ci hanno finora impedito di far nota ai nostri lettori un’altra insigne istituzione di beneficenza, sorta a Fermo nel 1469 per opera del B. Domenico da Leonessa, che proprio in quell’anno predicò con un gran frutto la Quaresima nella chiesa Cattedrale. Per esortazione del dotto e zelante religioso fu deciso infatti di istituire il Monte di Pietà i cui statuti ebbero la piena approvazione dal vescovo mons. Nicola Capranica” (48). Pertanto lo stesso frate che nel 1458 aveva dato l’avvio al Monte di Pietà ad Ascoli, come ha ampiamente dimostrato il Fabiani (49), undici anni più tardi fondava la medesima istituzione a Fermo. È strano che il Catalani (50) ea altri storici di cose fermane non abbiano saputo individuare l’anno di fondazione del sacro Monte. La documentazione utilizzata dal Talamonti si riferisce agli atti dei Consigli di Cernita e dei Consigli Generali. Nei transunti scritta da p. Antonio Marini; proprio in questo testo, sotto la data 23 marzo 1469, si legge che i capitoli dello stesso Monte sono stati formulati su indicazione persuasiva di Fra’ Domenico da Leonessa dei Minori dell’Osservanza: “Deinde  die 23 martii habentur capitula Montis Pietatis condita ad persuasionem venerabilir fratris Dominici de Leonissa ordinis minorum de observantia in Ecclesia Cathedralis episcopatus Fermi in Quadragesima proxime exacta, praedicatoris optimi, revisa et approbata per rev.mum dominum Nicolaum episcopum et principem firmanum et dominum Petrum Paulum ejius vicarium” (51). Nella cattedrale il vescovo Nicola e il suo vicario generale Pietro Paolo rivedono ed approvano questi capitoli. E’ però da ritenere che l’istituzione approvata non fosse stabilita subito dopo la predicazione del frate; effettivamente trascorsero altri nove anni dato il fatto che risulta, dagli atti dei consigli di Cernita, che il 23 gennaio 1478 il p. Marco da Montegallo, venuto a Fermo, esortò le autorità del Comune affinché mandassero una buona volta ad effetto l’erezione della pia istituzione. Il Consiglio accolse benevolmente la richiesta e, dopo aver nominato una commissione di cittadini che insieme al frate riordinasse i capitoli del Monte, redatti nove anni addietro, procedette anche alla conferma dei capitoli riformati e all’approvazione definitiva del sacro Monte l’8 aprile 1478 (52). Il 12 aprile dello stesso anno l’istituto inizia la sua attività; il consiglio di Cernita, infatti, prende la seguente decisione: “pro Monte Pietatis delegantur Assectus de Acquaviva et Antonius de Sancto Benedicto” (53) Assetto da Acquaviva e Antonio da San Benedetto del Tronto sono i delegati comunali. Il Talamonti avanza l’opinione che dal 1469 fino al 1478 la pia istituzione non abbia mai funzionato; egli però sembra non utilizzare a dovere la notizia contenuta nella risoluzione della Cernita del 27 marzo 1478 (vedi nota 52), ivi infatti si fa l’accenno “nec amplius periret” (che non abbia a deperire ulteriormente). Sembra pertanto più verosimile affermare che un primo tentativo di far funzionare il Monte, andato però a vuoto, sia stato messo in atto anche prima del 1478, per cui quel che i documenti affermano del pio istituto in quell’anno sarebbe il secondo, più fortunato tentativo.

Tuttavia la pia istituzione non dovette godere di buona salute, se si fa eccezione per i primi tempi; le difficoltà non dovettero essere lievi, dato che le spese di gestione erano certamente alte e le risorse raccolte presumibilmente andavano assottigliandosi. I documenti indiretti che in qualche modo registrano attività del Monte ci fanno pensare ad una vita stentata. Nel giugno del 1506, infatti, vengono riformati radicalmente i capitoli del Monte di Pietà e il 25 agosto il Consiglio Generale approva il nuovo testo in cui leggiamo, fra l’altro, che vengono destinati al Monte i soldi provenienti delle multe inflitte per i malefici: “Die prima junii agitur de componendis ordinibus Montis Pietatis” e poi “die 25 augusti in Concilio approbantur Capitula Montis Pietatis, delegatis eidem capitibus solidorum de malefitiis et confirmatis” (54).  Di quali revisioni si tratta ?  Per avanzare un’ipotesi, possiamo pensare che le autorità comunali, essendosi accorte che il Monte non poteva reggersi sul prestito gratuito, abbiano introdotto un lieve tasso di interesse, abbiano tentato di dotare l’Istituto di entrate sicure stabili e si siano preoccupati di fissare più precise garanzie per il recupero dei capitali mutuati. Le riformanze dei Capitoli del Monte, approvate nel 1506, avranno dato senza dubbio un po’ di respiro al suo funzionamento. Da allora in poi nei documenti incontriamo notizie più confortanti circa le capacità operative della pia istituzione, anche perché, per favorire ulteriormente il suo consolidamento finanziario, ogni tanto, qualche munifico testatore assegnava al Monte cospicui beni. È tuttavia da sottolineare che, proprio in concomitanza con il consolidamento dell’attività del prestito messa in atto dal pio Monte, l’esercizio del prestito degli ebrei non solo non si arrestò, ma si volse in pieno e, forse, con migliore fortuna; il fenomeno si spiega probabilmente con il fatto che l’attività del Monte poteva soddisfare le esigenze dei poveri, ma non riusciva certo a venire incontro alle esigenze finanziarie delle attività commerciali e artigianali degli operatori economici e specialmente alle necessità del Comune. Tale ipotesi viene confermata da quanto afferma il Milano nel suo circostanziato lavoro sulla storia degli ebrei in Italia: “Ponendo a confronto l’interesse richiesto dai Monti di Pietà con quello praticato dai banchi ebrei, rimane a prima vista poco chiaro come quelli non abbiano sbaragliato rapidamente questi(…) Una prima spiegazione è offerta dal fatto che, nonostante che in epoche successive i Monti riuscissero a rinsaldarsi patrimonialmente, pure non avevano la potenzialità, anche in tempi normali, di soccorrere tutta la miseria cittadina. Quando poi si abbattevano sulla città una carestia, un’epidemia o un’invasione, le riserve dei Monti si riducevano rapidamente a zero. In questi casi eccezionali il prestatore ebreo doveva funzionare da valvola di sicurezza, mettendo sulla piazza il denaro contante che altrove non si poteva più ottenere. Ma anche nell’andamento normale del credito minuto l’ebreo era in grado di fornire servigi e facilitazioni che spesso lo rendevano meglio accetto del Monte stesso. Questi vantaggi si possono così riassumere: valutazione più elevata dei pegni; possibilità di concedere anticipazioni su raccolti futuri o su derrate alimentari giacenti; orario di lavoro più prolungato e maggiore segretezza nelle operazioni. Tutti questi vantaggi erano considerati tali da controbilanciare la non piccola disparità fra i due tassi di interesse” (55). Quanto scrive il Milano spiega anche il perché a Fermo, proprio mentre il Monte di Pietà comincia a funzionare a dovere, si nota una normalizzazione nei rapporti della comunità fernana nei confronti degli ebrei.

In merito all’oggetto del presente lavoro ci sembra di poter concludere con le seguenti considerazioni:

.1°- La fervida e attiva vita economica e sociale di Fermo ha richiamato, nel corso dei secoli XIV e XV, numerosi ebrei prestatori per cui non è azzardato dire che la principale occupazione della comunità ebraica di Fermo fu l’esercizio del prestito su pegno, sia nei confronti dei privati cittadini, sia a beneficio del Comune e, a volte, persino delle autorità ecclesiastiche. Soltanto pochi gruppi ebraici si dedicarono al commercio dei panni usati e del commercio. Inoltre la comunità ebraica residente a Fermo possedeva tutte le strutture necessarie ad una comunità organizzata: la Sinagoga, i propri rappresentanti deputati a trattare con le autorità in nome degli altri ebrei.

.2°- Il momento più delicato e drammatico della sua storia, la comunità ebraica di Fermo lo attraversò tra il 1450 e il 1505, anni caratterizzati da persecuzioni e da discriminazioni che indussero la maggior parte degli ebrei residenti nella città ad emigrare. Il fenomeno è da ascriversi alla fervida predicazione antiebraica fatta da S. Giacomo della Marca e dai suoi confratelli dell’Osservanza. Tale attività dei frati francescani, tuttavia, anche se inizialmente determinò un clima teso nei confronti degli ebrei e provocò non pochi guasti all’economia di Fermo, a medio e lungo termine sortì un duplice effetto benefico:

2.a) quello di fissare con precisione i limiti e le condizioni dei rapporti  tra cristiani  ed  ebrei  in  modo  da preservare la religiosità  della  popolazione;

2.b) quello di determinare la  nascita di istituzioni benefiche quali i Monti di Pietà e Frumentari che avranno un ruolo di primaria importanza nei secoli successivi. Tuttavia nel corso di tale difficile periodo si deve registrare il fenomeno della presenza, in seno alla società Fermana, di una tenace, anche se minoritaria, opposizione da parte di alcuni settori della borghesia commerciale e artigianale nei confronti della politica antiebraica la spinta dai frati dell’Osservanza; tale opposizione non ha certo motivazioni ideologiche quali la tolleranza religiosa o l’uguaglianza dei diritti di tutti di fronte alla legge, ma aveva specifiche motivazioni economiche. Nel 1512, esauritasi la spinta antiebraica, il Consiglio Generale dovette prendere atto che i prestatori ebrei costituivano un elemento indispensabile per lo sviluppo economico della città.

.3°- In relazione ai rapporti tra società civile fermana e comunità ebraica si nota una curiosa discrasia tra i documenti di carattere giuridico legislativo e quelli che registrano i fatti della vita ordinaria e quotidiana. Nei testi che sono riportati nei Consigli Generali e di Cernita, i quali registrano l’attività legislativa, si notano una maggiore severità e momenti discriminatori nei confronti degli ebrei. Al contrario, nei registri degli “Acta diversa” e nei “Libri Instrumentorum”, dove si colgono l’attività quotidiana e gli atti amministrativi che regolano i rapporti tra i cittadini, viene fotografata una situazione distesa e per nulla affatto si ha l’impressione di un clima persecutorio, né discriminatorio nei confronti degli ebrei.

.4°- Quanto al Monte di Pietà di Fermo ci sembra ormai certo il fatto che esso non è stato istituito per iniziativa diretta di S. Giacomo, come invece afferma il Caselli (56); è ormai appurato che l’istituzione fu opera di fra’ Domenico da Leonessa nel 1469, almeno a livello giuridico statutario, mentre di fatto il pio Istituto concretamente funziona per iniziativa di fra’ Marco da Montegallo nel 1478 quando la sua prima sede era l’edificio dell’Ospedale di Santa Maria della Carità nel rione di S. Bartolomeo (accanto all’attuale chiesa del Carmine), dopo che detta benefica istituzione si era trasferita in altra zona della città.

Ci piace concludere il presente studio con le pacate parole di Attilio Milano, uno dei più attenti studiosi della storia degli ebrei in Italia: “Proprio in Italia, dove sono stati denunciati per primi alcuni dei più intransigenti principi di diritto e di politica, quasi per contrappeso, ha circolato sempre, in mezzo ad ogni strato della popolazione, ma più particolarmente tra i ceti più bassi, una gagliarda corrente di spontaneità, di comprensibilità fra uomo e uomo. E’ appunto questa corrente di origine cristiana che si è fatta fortemente sentire anche a favore degli ebrei, ha premuto a più riprese per stabilire contatti al di sotto delle barriere innalzate contro di essi ed è riuscita a creare rapporti di buon vicinato anche nella zona di divieto, imposto talvolta da una politica secessionistica” (57).

NOTE

(1) Tomassini, C., La città di Fermo e S. Giacomo della Marca in “Picenum Seraphicum” a. 1976 (XIII), pp. 171-200.

(2)  Oltre che a Fermo, c’erano insediamenti di ebrei a Montegiorgio, Amandola, Ripatransone, Acquaviva, Sant’Elpidio a Mare, Montottone, Monterubbiano, Montolmo (= Corridonia), Montesanto (= Potenza Pic.), Civitanova, Morrovalle.

(3)  Sull’argomento esiste la tesi di laurea; Tassi, E.: La comunità ebraica di Fermo e la sua attività feneratizia dal sec. XIV al sec. XVI, Macerata 1970.

(4)  Tassi, E. op. cit. Cap. III, pp. 213-270.

(5)  Archivio di Stato di Ascoli Piceno sez. di Fermo (d’ora in poi A.S.F.): pergamene n. 829, n. 1121, n. 1338 (transunto eseguito dall’Hubart).

(6)  “Promixerunt…. reddere…. Abrae domini Moysi Dactali et Vitali Guglielmini judeis recipientibus et Stipulantibus per se ipsis et aliis eorum situi judeis….” (promisero di restituire ad Abrae del sig. Mosè Dactali e a Vitale Guglielmini, giudei riceventi e contraenti per se stessi e per gli altri giudei del sito), A.S.F.: perg. n. 829 (a. 1305).

(7)   Fabiani, G.: Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli, Ascoli Piceno, 1942, pp.9-11.

(8)  cfr. precedente nota 6.

(9)  cfr. Milano, A.: Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963, pp. 105-106.

(10) Anton di Nicolò: Cronaca di Fermo, a cura di F. De Minicis, Firenze 1870, a. 1936 27 maggio: “… inceperunt capere domos… et derobare et mittere ad saccum totam judeam, idem omnes judeos, ut penes centum alias domos inter contratam S. Bartolomei et Campiletii: De aliis vero contradis fuerunt quatuor domos vel circiter similiter derobate”. (Cominciarono ad entrare nelle case, rubare, saccheggiarle tutta la Giudea e parimenti tutti i giudei quasi 100 altre case tra la contrada di San Bartolomeo e Campoleggio. Nelle altre contrade ci furono circa quattro case parimenti derubate).

(11)  cfr. Anton de Nicolò: Cronaca firmana, cit. a. 1936, 27 maggio ; e nota esplicativa del De Minicis. Cfr. A.S.F.: registro Acta Diversa, I, c. 5: cfr. Tassi, E. op. cit. mappa in appendice.

(12)  Exod. 22,24; Ps., 15,5; Ezech., 18,18.

(13)  Pottast, A.: Regesta Pontificum Romanorum, I, p. 483.

(14)  Milano, A.: “Da un lato gli ebrei erano esclusi dalle corporazioni di arti e mestieri, dalla milizia e da quasi tutte le professioni liberali; erano limitati, quando non esclusi, dal possesso fondiario. Erano proprietari di cospicui mezzi liquidi, avevano estesi legami con altri ebrei e di altre città. Infine, dall’altra, erano in condizioni favorevoli rispetto le leggi sull’usura. Di fronte ad una situazione di mercato che richiedeva interventi di persone che esercitassero il credito su piccola scala, essi vi furono irresistibilmente attratti.” Cfr. Storia degli ebrei in Italia cit. p. 113.

(15)  Cfr. Milano, A.: I primordi del prestito ebraico in Italia in rassegna mensile di Isra’el, 1935 (XIX), pp. 221-227.

(16)  Disponiamo di quattro testi che riportano altrettanti capitolati tra gli ebrei di Fermo e il Comune: del 1430, del 1453, del 1457 e del 1505. L’elenco dei nomi di prestatori ebrei che vi compaiono è il seguente: 1430: Abram il maestro Musetto, Emanuele di maestro Urtaluzio, Josef  di Josef, Abram di Emanuele,  Vitale e di Alleuzio, Dattalo di Gulglielmuzio; essi firmano a proprio nome e per conto di tutti gli altri prestatori ebrei di Fermo; 1453: Abram di Manuele, Sabbatuzio di Liciardo, Leone di Manuele, Daniele di  Abram, Manuele di maestro Musetto, Dolcedonna di Manuele, Bonaiuta di Angelello di Monterubbiano e in calce del contratto si aggiungono altri due ebrei; 1457: Josef di Isaac di Bologna a cui si aggiunge qualche mese dopo un altro ebreo; 1505: sono riportati molti nomi nuovi rispetto ai precedenti. Confrontando i nomi che compaiono nei capitolati e quelli che appaiono nei bandi per la vendita dei pegni non ritirati, ci si accorge che c’è una quasi totale convergenza. Cfr.: A.S.F., Acta Diversa 1430-1456, cc. 5-7; Liber Instrumentorum, I, cc. 120-136; Libri Instrumentorum, I, cc. 133-136; Libri Instrumentorum II, cc. 77-80; Acta Diversa, I, cc. 53…, II, 42….

(17)  A.S.F., Liber instrumentorum, Capitula hebreorum I, cc. 133-136.

(18)  “Essendo stato conosciuto in li anni passati che per non essere stati li ebrei et prestaturi in la città di Fermo, innumerabili di sinistri e incommoditati sono patute, maxime questi tempi vexati de carestia, guerre et altre turbolenze in li quali non cusì facili et legermente li homini possono supplire alle loro necessità; advenga el loro exercitio  et prestare ad usura sia  contro la lege cristiana et per questo jà circa nove o dece anni fossero levata la facultà del prestare et fenerare; di poi molte distrussioni facte ad ciò se habia da li poveri homini et da cui la necessità  tanto per la città quanto per lo contado refugio in li loro bisogni, et se leve occasione a li christiani de non invilupparse in simile guadagno…. piacque a la solenne Cernita celebrata adì  16 de decembre…. a li dicti hebrei…. dare et concedere, tolerare et consentire et adprobare li infrascripti capituli, pacti…. cum li quali possano prestare secure et convenirse in la città de Firmo et suo contado et districto, cfr. A.S.F., Libri Instrumentorum, II, cc. 77-80.

(19)  “Item che li dicti hebrei prestatori et quilli de casa loro et loro facturi et ministri, fanti et garzoni possano godere tucti li privilegi, immunità, gratie, indulti et statuti et ordeni de la dicta città, como fanno li altri cittadini; et non li obsti se alcuno statuto overo ordine particolare ce fosse che parlasse de ipsi et quilli non siano obligati ad observare et de novo non li se possa far lege particolare contraria a ipsi, non innovare altramente al dicto tempo”; ibidem….

(20)  “Item che durante el dicto tempo, como de sopra è dichiarato, non possano né debbino ipsi hebrei essere molestati, né prestare né rendere pigni li dì de li sabati et de le loro feste né fare altre cose in quilli tali dì quali fossero contro la loro legge”; ibidem….

(21)  “Item vogliono per pacto expresso et cusì la comunità li observa che da nulla per fora de li sopra et enfascripti capituli ipsi hebrei né loro case, famiglie, figliuoli, ministri, factori, garzoni per alcun modo essere molestati, vexati  et impediti et la dicta magnifica comunità li habbia defendere maxume da predicaturi da li quali o ad istantia de li quali non siano adscricti alcuno de ipso hebreo andare ad loro prediche contra loro volontà”; ibidem….

(22)  cfr. nota precedente.

(23)  Anton di Nicolò, op. cit., a. 1433 23 maggio.

(24)  A.S.F., Libri Consiliorum et Cernitorum. Dei numerosi registri che riportano i verbali delle sedute dei due consessi esiste un regesto a transunto eseguito da Antonio Marini, un frate minore dell’Osservanza vissuto nel corso del sec. XVII. Tale lavoro manoscritto riveste una grande importanza in quanto riferisce in riassunto anche quei verbali di sedute che andarono dispersi dopo il secolo XVII e che quindi non sono più a disposizione dello studioso. L’opera è composta di tre tomi che recano la seguente segnatura nella Biblioteca Comunale di Fermo: 4CB2/161. Per il riferimento al testo cfr Marini, A.: I, cc. 1-5.

(25)  Tomassini, C.: art. cit., p.171.

(26)  Marini, A.: op. cit., I, p. 285. Nel 1427 san Giacomo aveva proposto riformante analoghe a Recanati. Il Vogel riporta i 14 articoli proposti dal frate; essi furono tutti approvati, tranne il n. 10 che imponeva agli ebrei l’obbligo di portare ben visibile un segno distintivo di color rosso. Cfr. Vogel, G.A.,: De Ecclesiis Recanatensi et lauretana earumque Episcopis Commentarius historicus, Recineti, 1859, I,pp. 162-164.

(27)  Marini, A.: op.cit., II, p. 21;    A.S.F., Libri Conciliorum et Cernitarum, a. 1459, 16 martii, cc. 50-52.

(28)  Marini, A.: op. cit., II, p. 21;   A.S.F.: Libri…., a. 1459, 19 martii, cc. 63-68

(29)  Marini, A.: op. cit., II, p. 59;   A.S.F.: Libri…., a. 1464, 23 martii, cc. 172-176

(30)  Marini, A.: op. cit., II, p. 213; A.S.F.: Libri…., a. 1480, 7 martii, cc. 63-64.

(31)  Marini, A.: op. cit., II, p. 216; A.S.F.: Libri…., a. 1480, 19 martii, cc. 65-66.

(32)  Marini, A.: op. cit., II, p.  19;  A.S.F.: Libri…., a.  1459, 10 febbraio, cc. 27-32.

(33)  Marini, A.: op. cit., II, p. 23;   A.S.F.: Libri…., a.  1459, 25 aprile, cc. 88-96.

(34)  Marini, A.: op. cit., II, p. 47;   A.S.F.: Libri…., a.   1463, 30 aprile, cc. 134-136

(35)  Marini, A.: op. cit., II, p. 82;   A.S.F.: Libri…., a.   1464, 30 novembre, cc. 187-190.

(36)  Marini, A.: op. cit., II, p. 82;   A.S.F.: Libri…., a.   1464, 16 dicembre, cc. 196-198.

(37)  Marini, A.: op. cit., II, p. 180; A.S.F.: Libri…., a.   1476, 2 ottobre, cc. 178,183

(38)  Marini, A.: op. cit., II, p. 229.

(39)  Marini, A.: op. cit., II, p. 269; A.S.F.: Libri…., a.    1499, 14 giugno, cc.44-52.

(40)  Marini, A.: op. cit., II, p. 270; A.S.F.: Libri…., a.    1499, 28 giugno, cc. 44-52

(41)  Marini, A.: op. cit., II, p. 294; A.S.F.: Libri…., a.    1503, 26 aprile, cc. 15-23.

(42)  Marini, A.: op. cit., II, p. 306  A.S.F.: Libri…., a.     1504, 16 dicembre, cc.171-181.

(43)  Marini, A.: op. cit., II, p. 315; A.S.F.: Libri…., a.     1506, 1 gennaio, cc. 15-26

(44)  Marini, A.: op. cit., II, p. 350  A.S.F.: Libri…., a.     1511, 24 dicembre, cc. 152-159.

(45)  Marini, A.: op. cit., II, p. 351  A.S.F.: Libri…., a.     1512, 25 gennaio, cc. 159-170.

(46)  Wadding, L.: Annales Minorum, Roma 1751, a. 1474, n. 9 segg; Ferraris, L.: Prompta biblioteca canonica, juridica, moralis, teologica, Venezia,1783, IV pp. 110 segg. Gli storici in genere concordano con il Wadding circa l’origine dei Monti di Pietà; cfr. Dogani, L.:I Monti di Pietà, Torino 1922.

(47)  Talamonti, A.: Cronistoria dei Frati Minori, Sassoferrato 1938.

(48)  Ibid. III, p. 272.

(49)  Fabiani, A.: Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli Piceno, Ascoli Piceno, 1942, pp. 33 segg.

(50)  Catalani, M.: De Ecclesia firmana eiusque episcopis et archiepiscopis commentarius, Firmi 1783.

(51)  Marini, A.: op. cit., II, p.292.

(52)  Nel tomo II dei transunti redatti dal Marini leggiamo, alla data 23 gennaio 1478: “venerabilis frater Marcus, ordinis Minorum, praedicator, petit fieri Montem Pietatis”; alla data del 27 marzo lo stesso frate: “ proposuit capitula Montis Pietatis aperiendi in perpetuum ita ut conservaretur, nec amplius periret”. Queste ultime parole potrebbero farci pensare che in precedenza ci fosse stato un tentativo non riuscito di mettere in piedi il pio istituto di credito su pegno e che questa volta la cosa fosse affrontata con maggior cura e serietà. Sta di fatto che alla data del 31 marzo viene nominata una commissione: “Deinde habetur adunantia sub die 31 martij pro ordinandis capitulis Montis Pietatis cum venerabili fratre Marco predicatore Ordinis Minorum et domino Ludovico de Uffredutiis, domino Antonio Pedibus, domino Andrea domini Petri, Pandulfo Rogerii, Perjacobo ser Johannis, Piero Forti, Piero Angeli, Antonio domini Angeli, Johanne Philippi”. Pochi giorni dopo, terminato il lavoro della commissione, il tutto viene preso in esame dalla Cernita, la quale gratifica i capitoli del Monte di Pietà: “Die 8 aprilis confirmantur capituli Montis Pietatis a dominis Prioribus, Regulatoribus et praedictis civibus deputatis una cum domino venerabili Fratre Marco Praedicatore”. Il venerabile frateMarco dell’ordine dei minori, predicatore, chiede che si faccia il Monte di pietà. Il 27 marzo propose i capitoli del Monte di Pietà che deve essere aperto in perpetuo al fine che sia conservato e che non le decada più. Il 31 marzo si tiene l’adunanza per decidere i Capitoli (del Monte di Pietà) insieme con il frate predicatore Marco dell’ordine dei minori e il signor Ludovico Uffreducci; il signor Antonio Pedibus; il signor Andrea del signor Pietro;  Pandolfo Rogeri; Pierjacobo di ser Giovanni; Pietro Forti; Pietro Angeli; Antonio del sig. Angelo; Giovanni Filippi. L’8 aprile i capitoli del Monte di Pietà sono stati confermati dai signori priori, regolatori e dai cittadini deputati insieme con il venerabile frate predicatore Marco.

(53)  Marini, A .: op.cit., II, p. 196

(54)  Marini, A .: op.cit., II, pp. 316-318.

(55)  Milano, A: Storia degli ebrei in Italia, cit. p. 211.

(56)  Caselli, G.: Studi su S. Giacomo della Marca, Offida, 1926, II, pp.225-226.

(57)  Milano A.: op. cit., p.694.

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*Digitazione di Albino Vesprini

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