FALERONE: d. Luigi Giangranceschi ricordato da mons. Roberto Massimiliani 7 gennaio 1948

Falerone: don Luigi Gianfranceschi ricordato dal vescovo Roberto Massimiliani faleronese 7 gennaio 1948. “Egli fu uno di quei sacerdoti che guidarono e accompagnarono la nostra infanzia e la nostra gioventù: quante volte abbiamo varcato quella soglia: aveva il cuore e le braccia e la mensa e la borsa sempre aperte! Con l’angelico d. Filippo Sorbatti, con il caro d. Bonfiglio, anch’egli faleronese, tre sacerdoti indimenticabili. Don Luigi era l’esemplare dei Sacerdoti: primo in chiesa al mattino a meditare e pregare, qui il suo breviario, qui le lunghe ore del confessionale, qui a spolverare, a lavorare, a pulire per 30 anni. Sempre all’ultimo posto. Fu anche a Montefortino, a Monte Vidon Combatte e dovunque lasciò di sé mirabili memorie. Fu anche soldato all’ultima guerra. Ebbe anche offerte di Parrocchie e sempre rifiutò. In Paese non c’era stata opera, iniziativa, che non l’abbia avuto collaboratore, costruttore, organizzatore. Ricordate il congresso eucaristico del 1926, le feste della beata Vergine del Buon Consiglio, i pellegrinaggi, gli ottavari, i presepi e le recite dei bambini, le predicazioni?! Don Luigi era elettricista, sagrestano, falegname, dorature, verniciatore, era il vero operaio di Dio. Era il padre dei poveri. Quanto all’elemosina nessuno saprà mai quanti egli aiutò. La sua casa era aperta a tutti: come rifiutare da Don Luigi un caffè, un bicchiere di vino, un invito? Era il servo della parrocchia: al lui le assistenze e i lavori più gravosi, come il catechismo che curò con infinito amore, per lunghi mesi, sempre! Per la formazione dei giovani iniziò l’Azione Cattolica giovanile che qui fiorì per lunghi anni, formò una gioventù che servisse il Cristo anche fuori di chiesa, senza rispetti umani e senza viltà: ché non basta essere cristiani in chiesa, ma si deve esserlo anche nella piazza, nella stampa, nelle professioni, nella politica. Quanti giovani debbono a lui se non hanno perduto la fede, se non hanno tradito Cristo: quanti negli anni sognando dell’infanzia, negli anni torbidi della giovinezza, dopo il focolare e la casa, nessuna cosa hanno tanto amata tanto la casa di Don Luigi e le associazioni, nessuna persona quanto lui e padre affettuoso. Dobbiamo chiederci quale era il segreto di tanta attività. Non era facile scoprirlo: egli non posava e non rivelava il suo animo, era schivo e modesto. Ma il lavoro spossante e logorante di ogni giorno, esige una forza straordinaria: non è facile mettersi in croce ogni mattina, aprire le braccia per 43 anni senza mai chiuderle; dare la propria vita è presto detto, quando chi ti ama e chi ti odia ti invita a scendere dalla croce. Aveva un carattere ardente; bisognava sentirlo come si scaldava come insorgeva nell’intimità, quando si trattava della Chiesa e del Papa: quando si trattava del bene e della libertà. Si anche della libertà, sia che si trattasse dei prepotenti di ieri che dei prepotenti di oggi. Non aveva nemici: oggi (al funerale) vediamo in chiesa alcuni che vengono raramente o anche non vi vengono mai. Anche i prepotenti erano suoi amici, ma non amava la prepotenza, anche gli odiatori di Dio erano suoi amici, ma non era amico dell’odio di Dio. Era umile tra i superbi, generoso tra gli avari, mite tra i violenti. In realtà gli ardeva dentro un fuoco interiore che non compariva all’esterno: sotto quella scorza talvolta rude, e sempre semplice e schiva, si celava un’anima grande, eroica e (se la parola non vi sembrerà troppo grande) santa. Tale è apparso nella malattia a quanti lo hanno avvicinato: le suore, gli infermieri, i medici. Il parroco stesso di Roma, che lo ha assistito, ha detto che non aveva visto mai uno spettacolo simile. Al fratello (sacerdote) disse: “ Offro a Dio la mia vita per la Chiesa e per il Papa”; a me che lo visitavo il 18 dicembre a Roma, apparve trasfigurato; e mi disse una cosa che forse voi non sapete, ma che voglio dire per vostra edificazione. Disse: “ Ho offerto a Dio i dolori della prima operazione per la conversione del medico Martinelli”. Difatti se osserviamo le date, vediamo che la sera dell’11 novembre Don Luigi era operato: la mattina del 13 Martinelli chiese spontaneamente di confessarsi e spontaneamente ricevette la Santa Comunione, tornando così a quella fede che gli era stata insegnata da bambino e che aveva abbandonata poi per tanti anni. Chi vuole veda in questo fatto una coincidenza; ma chi, come noi, legge nei segreti della coscienza, sa che ci sono i grandi rivi della Grazia, la Chiesa sotterranea là dove Dio parla, rimprovera, minaccia e chiama e zampilla la Grazia, là dove crescono i santi, maturano gli eroismi e le rinunce: là dove il Cristo scende carezzevole e soave ad invitare a salire, accarezzare le coscienze. Sarebbe anche da dire che con Martinelli scompariva dal nostro paese l’ultimo rappresentante della vecchia generazione di quelli che dirigevano il paese e che tante lotte anticlericali avevano suscitato, tanta gioventù sviata dalla fede, tante amarezze cagionate ai sacerdoti: non è necessario dire nomi, i più vecchi li ricordano bene. Tutti sono morti con il perdono di Dio, riconciliati con la Chiesa e questi mirabili sacerdoti così si sono vendicati: offrendo per essi la vita e i dolori. Queste sono le vendette dei nostri preti. L’impronta religiosa che il nostro paese ha avuto, la Casa beato Pellegrino che Don Luigi e il fratello parroco hanno edificato con i beni lasciati dai loro genitori, l’Associazione Giovanile ricorderanno ai nipoti la bontà e il lavoro di Don Luigi. Questo nostro paese, anche per le preghiere di Don Luigi presso Dio, sia fedele a Dio, concorde, prospero, ami i sacerdoti, e ne dia alla Chiesa altri ancora, che si sforzano di essere sacerdoti esemplari. Questo paese sia con Cristo e non lo tradisca, non lo dimentichi, non lo insulti. Ami Cristo e la sua Madre, la Vergine del Buon Consiglio che certo avrà sorriso a Don Luigi, nell’ora del supremo trapasso, accogliendolo presso il trono di Dio. Fiat. Così sia!

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