FERMO: LA CATTEDRALE DELL’ASSUNTA. Studio storico di LIBERATI GERMANO sintesi

LIBERATI Germano. “PER UNA STORIA DELLA CATTEDRALE DI FERMO”
. – .Per una storia dell’edificio.
Tentare di delineare e documentare la storia della Basilica Cattedrale Metropolitana di Fermo significa dover fare la storia di quattro cattedrali. Occorre, infatti, prendere l’avvio da quella paleocristiana per giungere a quella neoclassica, attraverso quella romanica e la successiva gotica. Non si tratta, infatti, di descrivere soltanto aggiunte o modernizzazioni o aggiornamenti stilistico-decorativi che segnano per lo più l’evoluzione storica di tante chiese, bensì di ricuperare, dalla base (funditus), strutture, proporzioni, piante, stilemi che di volta in volta sono mutati in successive quattro ricostruzioni, tutte ex novo o quasi; esse hanno abbracciato sedici secoli di storia religiosa e civile di Fermo (1) e si sono caratterizzate secondo necessità, stili, gusti diversificati nel tempo, in un continuo divenire cui fanno da codicillo gli ultimissimi interventi tra il secondo e terzo millennio. Di ricostruzioni dunque si tratta e non di ristrutturazioni, segnate da eventi importanti nella storia fermana, dal sorgere e dallo svilupparsi della prima comunità cristiana, alle distruzioni del Barbarossa, alla rivisitazione storico-stilistica del tardo settecento. Quattro cattedrali, l’una sopra l’altra, tutte nuove, tutte diverse. Chi oggi vi entra non può non accorgersene, tali sono le sedimentazioni che dall’ipogeo si dispiegano nella facciata e nell’atrio, fino all’aula, maestosa e solenne che accoglie il fedele o il visitatore: un complesso di forme plurime e di volumi diversi che induce a pensare ad una comunità cristiana mai paga dell’esistente e sempre volta ad un dinamismo culturale di difficile riscontro: una creatività senza limiti di tempo e di gusto.
. – .Le origini paleocristiane e il primo tempio
Non sono state ancora chiarite le origini e la diffusione del cristianesimo nel territorio Piceno (2) in genere e a Fermo in particolare; del pari non è possibile stabilire l’epoca esatta della prima chiesa, dato che la documentazione è quasi del tutto assente a tal riguardo. Qualche elemento più probante ci viene dall’archeologia: un sarcofago cristiano del V secolo, oggi nella cripta della cattedrale, reperti di altra natura collocati nell’ipogeo di essa, iscrizioni funerarie cristiane nel lapidario della città, ma non ancora studiate, ci offrono elementi abbastanza sicuri, almeno come data prima della quale (terminus ante quem), per affermare la presenza di una comunità cristiana con vescovo (3) a Fermo tra la fine del IV sec. e l’inizio del V . Il vero evangelizzatore del Piceno sembra essere stato S. Marone (4) il cui santuario con la tomba si trova a Civitanova Marche, città della arcidiocesi di Fermo; il suo martirio andrebbe collocato, secondo studi recenti, sotto Diocleziano, tra la fine del sec. III e l’inizio del IV. Nel VI sec. certamente a Fermo era già costituita la grande diocesi insieme ad altre quattordici del Piceno (5). È dunque con ogni probabilità, da collocare alla fine del sec. IV o l’inizio del V la costruzione del primo tempio, divenuto, pur con successivi adattamenti, basilica cattedrale e sede episcopale, tenendo conto che la costituzione della diocesi va posta a seguito del progressivo incremento della comunità e dell’aumento del prestigio dell’importante municipio romano. A questo riguardo, oltre alla documentazione archeologica, può essere addotta la prova argomentativa, cioè il fatto che la chiesa, come vedremo, fu costruita proprio sul colle più alto della città dove avevano sede i luoghi di culto pagano, un’area cimiteriale e l’anfiteatro. Se, infatti, come è noto, fino al IV sec. le chiese cristiane erano per lo più edificate ‘ai margini’ per evitare conflitti con i culti pagani , nel V sec., vuoi per la grande diffusione del nuovo credo agevolato dall’editto teodosiano, vuoi per le distruzioni avvenute in seguito alle invasioni barbariche (6), tale zona dovette essere in decadenza o semiabbandonata e quei ruderi erano divenuti agevolmente utilizzabili per il nuovo edificio, sia come materiale di risulta, sia come eventuali costruzioni. Tuttavia fino al 1934, ad eccezione del sarcofago (7) e dei reperti cui si è fatto riferimento, ben poco si conosceva del primo edificio cristiano, salvo alcune tradizioni riportate dagli storici antichi, ma non documentate. In quell’anno si pose mano al rifacimento del pavimento dell’attuale cattedrale e alla demolizione della balaustrata e della gradinata d’accesso al presbiterio. Durante i lavori vennero alla luce strutture sottostanti e mosaici pavimentali. Si procedette ad uno scavo di natura archeologica (1934-1939) che portò a stabilire l’esistenza e a ricostruire abbastanza fedelmente le linee essenziali di una chiesa paleocristiana su un’area di difficile individuazione e natura, ma con ogni probabilità cimiteriale. I risultati degli scavi (8) hanno messo in luce un edificio a pianta basilicale, a tre navate divise da due file di sei colonne; la navata centrale termina con un’abside semicircolare orientata ad est. L’edificio antico ha una lunghezza di m 22,60 ed una larghezza di m 13,50. La struttura di un muro preesistente, che dalla sinistra dell’abside, taglia a mezzo la navata centrale, fa supporre l’esistenza di un edificio precedente, una chiesa più piccola, che forse doveva essere la primitiva, poco più larga della navata sinistra. Di tale primo tempio, la basilica restituita dallo scavo è il successivo ampliamento. Altri elementi attentamente analizzati ci convincono di una apertura al centro della navata sinistra sul lato settentrionale e di un’altra sul lato a fianco dell’abside: esse fanno supporre la presenza di uno dei due classici pastoforia (ai lati dell’abside locali gemelli), probabilmente la prostesi (locale a sinistra dell’abside). Del pari una traccia al centro dell’abside che interrompe il mosaico pavimentale può essere interpretata come il sito della cathedra cui farebbero da riscontro blocchi di pietre nel semicerchio da intendere come il gradone ove erano posti i subsellia (banchi) per il clero. Il titolo dedicatorio di questa prima chiesa ci è ignoto. Se dobbiamo pensare che successivamente essa è detta di “Santa Maria”, si potrebbe, come la tradizione vuole, supporre che tale titolo sia stato quello iniziale; ma argomenti più probabilistici possono far pensare a “San Savino” vescovo, il cui culto risulta assai diffuso nel sec. VI e ciò spiegherebbe la ininterrotta tradizione che fino ad oggi lo venera come compatrono della città (9). Gli scavi hanno permesso di andare oltre la cattedrale paleocristiana e certi indizi lasciano intuire successivi interventi. Tra il livello del pavimento attuale, infatti, e quello paleocristiano sono stati individuati almeno altri due livelli intermedi che certamente corrispondono a fasi successive, se pur con l’immutato impianto iniziale. Resta ora da accennare al pavimento mosaicato a quota di m – 1,35 dell’attuale piano di calpestio della cattedrale. Dei mosaici rimane quello dell’abside e ampie zone delle navate laterali nei settori verso il presbiterio, mentre della navata centrale sventrata nello scavo, non si sa nulla: che vi fossero mosaici è testimoniato da lacerti nell’intercolumnio; se siano stati strappati e ora in qualche parte dispersi o se siano stati distrutti non v’è alcuna registrazione documentaria (10). La decorazione musiva del pavimento dell’abside ha, come norma, un soggetto iconico policromo: due pavoni affrontati con al centro un kàntharos (coppa) con racemi ed una cornice in tessere bianche e nere. Nella navata sinistra invece la decorazione è costituita da una composizione ad onde con pelte (scudi)), girali e fasce a motivi geometrici; nella navata destra sono presenti motivi floreali e geometrici. I mosaici, anche se qualcuno vorrebbe anticiparli alla fine del IV secolo, sono, con ogni probabilità, ascrivibili al V sec.
. – .La basilica preromanica e romanica
Alcune foto degli scavi del 1934 e di anni successivi e alcune annotazioni accessorie rinvenute qua e là, offrono la possibilità di ricuperare elementi e tracce di strutture, successivi alla basilica paleocristiana. Innanzitutto tra il pavimento moderno e quello paleocristiano mosaicato si possono individuare due livelli intermedi, certamente altomedievali. Il più basso di essi (a circa m -1,25 dall’attuale) è accompagnato presso il muro della navata sinistra da lastroni di pietra che andavano a costituire una pavimentazione nuova, forse quella dell’edificio preromanico. L’edificio che si può individuare sulla base di queste strutture è del medesimo impianto del paleocristiano, ma notevolmente allungato nell’aula verso ovest, cioè dalla parte del muro della facciata primitiva con l’abbattimento di quest’ultima e la costruzione di una nuova, di cui non si possono definire struttura e ampiezza a causa della interruzione degli scavi. La ragione di tale allungamento non può essere altra se non quella della necessità di una maggiore ampiezza dell’aula, in seguito alla crescita della comunità. Se anche molteplici altri casi presentano tipi di interventi di ampliamento (si pensi a quello non lontano da Fermo, nella cattedrale di S. Ciriaco in Ancona), tuttavia, mentre negli altri si interveniva soprattutto allargando l’edificio o aggiungendo corpi di fabbrica più articolati, questo di Fermo si imponeva quasi come l’unico possibile o il meno complicato architettonicamente, perché non andava a creare problemi di statica e insisteva sulla zona più solida della collina, quella verso l’ampia spianata. Si potrebbe pensare forse anche ad un ampliamento della zona presbiteriale, ma ciò resta solo una ipotesi non confermata né forse confermabile, perché la zona è stata successivamente sbancata per costruirvi l’attuale cripta. Va aggiunto che nell’ipogeo restano in situ tuttora le basi di due colonne, scolpite agli spigoli con foglie stilizzate, forme che si adeguano a quelle in uso nel primo romanico, tra il primo ed il secondo millennio. In questo senso si può dunque pensare che la chiesa potesse aver subito anche interventi di ristrutturazione, oltre all’ampliamente predetto. L’edificio dunque di cui si son dati gli unici elementi ricostruttivi possibili, costituisce la “seconda cattedrale”, sovrapposta alla prima, allungata e ristrutturata in alcune parti, frutto di interventi nell’alto medioevo e nei secc. X – XI (11). In mancanza di documentazione di scavo, dobbiamo pensare che essa, salvo interventi occasionali e limitati, sia rimasta così sino alla fine del sec. XII. Fin qui le testimonianze archeologiche. Ma ad esse vanno aggiunte quelle archivistiche e storiografiche che ampliano alcune nostre conoscenze, specialmente in riferimento al sec IX. Protagonista di interventi specifici sarebbe stato il vescovo Lupo, cui il Catalani (12) attribuisce l’ampliamento e l’ornato della chiesa ma anche l’adeguamento (o la costruzione?) degli edifici annessi, l’episcopio e la casa dei canonici. È comunque certo che tali opere fossero state già realizzate all’inizio del nuovo millennio. Un prezioso codice, infatti, il Liber jurium dell’episcopato e della città di Fermo che corre dal 977 al 1266, ci fornisce preziose informazioni in tal senso, dalle quali si possono ricavare alcuni fatti importanti: a.- La cattedrale dopo il mille risulta dedicata alla B. Vergine Maria; b.- numerosissime furono tra i secc. X e XI le donazioni fatte alla Cattedrale (segno dei lavori in corso? ); c.- le decisioni venivano spesso prese di comune accordo tra vescovo e canonici, così come stabilito dal decreto di Eugenio IV nel concilio romano dell’826. I canonici abitavano in una casa comune (13). Se a questo punto vogliamo tentare una sintesi tra documentazione archeologica con quella archivistica, possiamo avventurarci a ‘ricostruire’ a grandi linee il complesso della cattedrale medievale intorno al 1000 – 1100. Era una chiesa sufficientemente ampia, a tre navate, sopraelevata rispetto alla paleocristiana, con copertura probabilmente a capriate, sorretta da pilastri romanici. Il presbiterio era rialzato e poggiava forse su una cripta, ed era transennato con ogni probabilità da plutei di stile longobardo-carolingio. Al fondo dell’abside era posta la cattedra vescovile con postergale cuspidato, su cui era scolpita una mitria (14). La facciata, a tre spioventi, aveva un portale centrale; sulla fiancata destra si trovava un altro portale e forse anche un secondo. Dietro l’abside, congiunti alla cattedrale, si trovavano l’episcopio e la canonica. Questo complesso è da considerarsi il frutto di interventi, più o meno invasivi, succedutisi tra i secoli da VIII a XII. Certamente ne sapremmo assai di più, se l’archivio della cattedrale non fosse andato quasi del tutto distrutto nell’anno 1176. E proprio questo anno è anche discriminante ai fini del lavoro di ricostruzione storica che stiamo compiendo.
. – .La cattedrale gotica
Il “terzo” edificio che, per comodità, chiameremo la cattedrale gotica, è il frutto di una integrale riedificazione dopo l’incendio e la distruzione subiti ad opera delle truppe di Federico Barbarossa, penetrate a Fermo il 21 settembre 1276, guidate dal Cancelliere dell’Impero, lo scomunicato arcivescovo di Magonza, Cristiano. Insieme alla cattedrale andarono distrutti gli edifici annessi (episcopio e canonica) e gravi danneggiamenti subì tutta la città di Fermo (15). Negli anni successivi, le trattative per la ricostruzione e la riconferma della costruzione precedente (status quo ante) furono personalmente condotte dall’arcivescovo Alberico (1174-1178) e dal suo successore, Pietro II (1179 – 1183): la cattedrale e la città riottennero dal Cancelliere Imperiale la restituzione di tutti i privilegi e dal papa Alessandro III la facoltà di promuovere una colletta tra le genti della Marca per la riparazione della Cattedrale (16). Sono questi gli anni e gli eventi che forse legano la presenza della casula di s. Tommaso Becket alla cattedrale di Fermo: il Catalani e gli altri storici propendono a collegare l’arrivo di essa a Presbitero (1184-1202) futuro successore di Pietro II (1169-1170). Del resto, da fonti abbastanza solide possiamo ricavare anche altre informazioni di grande valore circa la promozione e la diffusione del culto di s. Tommaso Becket dopo che nel 1178 era stato proclamato santo e la costruzione di una chiesa dedicata a questo santo e a S. Maria Maddalena era stata iniziata da Presbitero quando era ancora arcidiacono, fu portata a compimento e consacrata da lui, con rituale solennità (solemni ritu), dopo esser divenuto vescovo. Si può legittimamente pensare che tale chiesa sia stata costruita anche per conservare la preziosa reliquia della casula cui Presbitero doveva essere fortemente legato e solo in seguito essa fu trasferita nella cattedrale riedificata? È gioco forza ipotizzare che in questi primi anni, successivi all’incendio, o in attesa di costruire un nuovo edificio, o perché la riparazione poteva essere valutata risolutiva, si corresse ai ripari cercando, con interventi tampone, di riutilizzare l’edificio incendiato e parzialmente diruto (17), si tratta dunque della fortificazione del colle detto Girfalco, di cui oggi restano alcune strutture. In verità tale preoccupazione del vescovo non può non essere correlata alla tutela della cattedrale e si può pensare ad un organico progetto che contemplava anche la ricostruzione rinnovata (ex novo) della chiesa. Ma in una lastra di pietra incassata e murata tra l’attuale portale centrale e la monofora del fianco destro troviamo un’iscrizione che fa luce su questo evento. Una data e il nome di due personaggi sono annotazioni in grado di farci capire epoca e protagonisti della costruzione del nuovo edificio (18). La data è il 1227 e va di certo interpretata come l’anno in cui l’opera muraria e scultoria fu conclusa. Il primo nome, Bartolomeo, è da individuare, stante il titolo di “mansionario” come il responsabile della fabbriceria. Giorgio, della circoscrizione ecclesiastica comasca, con il titolo di “magister” fu certo il progettista e il direttore dei lavori, diremmo oggi, cioè il capomastro, responsabile di tutte le maestranze (19). Della cattedrale gotica restano oggi notevoli e splendide strutture: la facciata con il portale, il campanile, il portale laterale sul fianco destro, il rosone, l’atrio, la cripta, quest’ultima pur rimaneggiata. Siamo di fronte ad un lavoro durato qualche decennio, vuoi per le difficoltà economiche dopo la distruzione federiciana, vuoi per la nuova grandiosa concezione, con un progetto che raddoppiava la superficie dell’edificio, concepito a tre grandiose navate, con presbiterio sopraelevato e una cripta sottostante; la struttura era sorretta da pilastri polistili e da colonne, con soffitto a capriate lignee intagliate e dipinte. La scenografica facciata è asimmetrica con portale strombato e cuspidato e splendido rosone; tutta in pietra d’Istria (20). Fu consacrata, anche se non del tutto compiuta, con ogni probabilità da vescovo Ranaldo (Rinaldo 1223-1227) e dedicata all’Assunta, anche se per la sua posizione fu a lungo chiamata S. Maria in Castello (21). Notizie desunte da documenti d’archivio ci permettono di affermare che i lavori nella cattedrale non finirono mai e l’edificio fu oggetto di aggiunte e modifiche fino al sec. XVIII, con una stratificazione storico-stilistica di cui ancor oggi restano le vestigia. Meritano un accenno le più importanti e significative. Nel 1348, l’anno della grande pestilenza, fu messo in opera il finissimo rosone della facciata in pietra intagliata, opera dello scultore fermano Giacomo Palmieri; e l’atrio di cui restano notevoli affreschi, fu un susseguirsi di interventi pittorici dal sec. XIV al sec. XVI. Sul colmo del tetto in corrispondenza del presbiterio fu innalzata nel 1423 una colonna marmorea sormontata da un gallo in bronzo, emblema dell’allora signore della città, Ludovico Migliorati. Tra la fine del quattrocento e l’inizio del cinquecento fu aggiunto un corpo di fabbrica a metà della navata sinistra che costituì la cappella della confraternita del Santo Nome di Cristo, forse propiziata dalla devozione promossa da S. Bernardino da Siena e dalla predicazione di S. Giacomo della Marca (22). Nel lasso di tempo la cattedrale si arricchì di splendidi tesori fra cui il monumento funebre a Giovanni Visconti di Oleggio (23), opera di mastro Tura da Imola (1366). I secoli successivi videro ulteriori interventi, tra cui val bene segnalare due opere insigni: il monumento al condottiero fermano Orazio Brancadoro del 1560, rimaneggiato nel 1608, in cui il Maranesi individua l’intervento dello scultore Alessandro Volta (24); l’imponente ciborio bronzeo commissionato dal Capitolo nel 1570 a Ludovico e Giuliano Lombardi-Solari (25). In quegli stessi anni fu sistemata anche quella che oggi è detta la cappella dell’Immacolata con un organo del sec. XVI. Nel frattempo l’aula fu letteralmente “invasa” da sovrastrutture. Si registrano, infatti, in epoca post-tridentina, legati, donazioni, costituzioni di patronati di nobili famiglie cittadine, insediamenti di confraternite, per cui si moltiplicarono gli altari posti sia alle pareti che sui pilastri, soffocando in qualche modo lo slancio architettonico e l’eleganza delle linee. A danno della liturgia, si moltiplicarono le celebrazioni. Per farci un’idea di quel che doveva essere diventata la cattedrale alla fine del ‘500, basta rifarsi alle note della visita apostolica di Mons. Giovambattista Maremonti (26) nel 1573. Il ciborio bronzeo era stato posto sull’altare maggiore nuper, cioè poco prima, ma la chiesa era tutta da restaurare nel pavimento, nelle pareti, negli altari e nel fonte battesimale; un deposito qualificato indecens di pietre e legname era sul fianco destro del portale principale; le reliquie del corpo di S. Alessandro vescovo erano state murate vicino alla sacrestia abbastanza indecentemente (prope sacristiam satis indecenter). Della pletora di altari, ben tredici ne elenca il Maremonti (27), la maggior parte dei quali versava in cattivo stato nelle strutture e nelle suppellettili. Questo stato di cose, salvo alcuni interventi parziali e di non grande impegno, si era protratto fino alla prima metà del secolo XVIII, quando fu eletto vescovo di Fermo Alessandro IV Borgia (28) vescovo dal 1724 al 1764. Egli si prese cura della cattedrale con passione, sensibilità e competenza artistica. Fu da lui fatta ristrutturare e ampliare la cripta ove trovarono dignitosa e ordinata sistemazione le ss. Reliquie; provvide ad eliminare alcuni altari malridotti e ingombranti, restaurò la facciata e fece porre nella cuspide del portale la splendida scultura bronzea dell’Assunta. Riorganizzò l’archivio e lo sistemò nel miglior decoro. Tuttavia l’aula dell’edificio restò senza decisivi interventi e quindi con l’aggravarsi del degrado a risentirne furono inevitabilmente le strutture stesse.
. – . La cattedrale tardo – settecentesca
La prima idea di una ristrutturazione (di base) funditus dell’edificio così mal messo, fu ventilata e avanzata dal Card. Urbano Paracciani, successore di Borgia e arcivescovo dal 1764 al 1777. Ne aveva anche fatto elaborare un progetto che il papa Pio VI aveva, accolto ma ridimensionato, così come si legge nel decreto di approvazione: “ dato che intendi non costruire di nuovo, ma soltanto rifare e restaurare” (cum tu non de novo aedificare, sed dumtaxat reficere et restaurare intendas) (29). I lavori non ebbero comunque inizio, forse per la sopraggiunta morte del Presule o, più probabilmente, per l’accendersi di opposizioni varie, così come il breve pontificio lascia intendere: opposizioni che si rinfocoleranno in seguito. Il successore, Mons. Andrea Minnucci (1779 – 1803), infatti, riprese l’idea di una vera e propria ricostruzione e questa volta, con estrema decisione, volle condurla a termine, nonostante le polemiche, le rimostranze e i ricorsi al papa da parte del Capitolo dei Canonici, delle autorità cittadine e di parte della nobiltà fermana (30). Il nuovo progetto fu affidato all’architetto pontificio Cosimo Morelli di Imola, la esecuzione dei lavori a Luigi Paglialunga di Fermo, che stava già costruendo la chiesa prepositurale di Montegiorgio, le decorazioni al sangiorgese Pio Panfili. I lavori durarono nove anni: la chiesa fu consacrata nel 1789 e nel 1793 mons. Minnucci vi celebrò il Sinodo Piceno (31). Siamo così giunti alla “quarta cattedrale”, quella che possiamo ammirare oggi. Il progetto morelliano è di assai maggior ampiezza della cattedrale gotica con un prolungamento della zona presbiteriale ed una dilatazione in larghezza. Del precedente edificio furono salvati la facciata, il campanile e l’atrio. L’interno si presenta imponente e con chiari stilemi neoclassici: a tre navate con archi a tutto sesto su enormi pilastri in stile composito; una trabeazione classica ed una cornice a membrature rilevate ed articolate corrono per tutto l’edificio.
.-. Il nuovo edificio
La monumentalità è ingentilita e arricchita da decorazioni di finte cupole, lacunari e mostre di portali ad effetto illusionistico che, insieme allo splendido e scenografico stucco dell’Assunta nell’abside, annullano la rigidezza e la fredda simmetria delle strutture. Armonicamente e sobriamente si coniugano dunque la grandiosità neoclassica e il gusto raffinato tardo-rococò. Da allora la cattedrale non ha subito modifiche significative se non interventi di necessaria manutenzione ed un progressivo arricchimento di opere d’arte. Oggi, gli interventi su vasta scala iniziati negli anni novanta e incrementati a ridosso e in previsione del Giubileo del 2000. Si può dunque comprendere, dopo aver scorso queste note compendiarie, come storia secolare della Cattedrale e storia altrettanto ininterrotta della comunità cristiana abbiano camminato in simbiosi e le vestigia dell’edificio ne mostrano tutti i segni dei secoli
NOTE
\ 1 \ Fermo, di origine preromana, poi municipio romano, è una cittadina del Piceno, nelle Marche meridionali, divenuta provincia nel 2004; conta 35.000 abitanti, sita a brevissima distanza dal mare Adriatico e posta su un colle a 319 m. s.l.m. L’Arcidiocesi di Fermo è tra le più antiche (V secolo) del territorio, assai vasta (comprende 58 comuni) e la più popolosa delle Marche. La sua Cattedrale, dedicata all’Assunta, è posta nel punto più alto del colle detto “Girifalco”. Il titolo di Basilica Metropolitana le è stato conferito nel 1589 dal papa Sisto V, già cardinale e arcivescovo di Fermo (1571 – 1577); il presule di Fermo è a tutt’oggi Metropolita con le diocesi suffraganee di Macerata-Tolentino-Recanati Cingoli-Treia, Camerino-San Severino Marche, Ascoli Piceno e Montalto – Ripatransone (oggi accorpate nella diocesi di S. Benedetto del Tronto).
\ 2 \ Le ipotesi più ricorrenti sono due e gli storici propendono ora per l’una ora per l’altra con argomenti apprezzabili, ma non del tutto probanti. La prima di esse fa riferimento alla situazione amministrativa di Fermo, importante municipio romano, e che indurrebbe a pensare ad un asse privilegiato, Roma – Fermo, attraverso il quale, insieme ad eserciti e mercanti, sarebbero giunti anche i primi evangelizzatori. All’opposto, altri storici privilegiano la via del mare, facendo riferimento agli intensi scambi commerciali con l’Oriente e da cui sembra quasi certa provenire la evangelizzazione delle città della costa e soprattutto di Ancona.
\ 3 \ Per la verità gli storici antichi (Catalani, Porti, Trebbi-Filoni, De Minicis) riportano una tradizione non documentata, secondo cui i primi due vescovi di Fermo sarebbero stati Alessandro e Filippo, martirizzati sotto Decio il primo (249 ca.), sotto Gallo il secondo (251 – 253). Studiosi più recenti hanno messo in evidenza la presunta infondatezza di tale tradizione: S. Prete, I santi martiri Alessandro e Filippo nella Chiesa Fermana, contributo alla storia delle Origini, in, Studi di Antichità Cristiane, XVI, Roma 1941; R. Di Mattia, L’arcidiocesi di Fermo, Fermo 1995, pp. 11 – 15. Una sintesi di tutta la problematica si trova in E. Tassi, Gli arcivescovi di Fermo nei secoli XIX e XX, Fermo 2006, pp. 19 – 28.
\ 4 \ S. Prete, Pagine di storia fermana, in, Fonti e studi, IV, Fano 1984, pp. 18 – 19.
\ 5 \ Nel secolo VI la ecclesìa (diocesi) firmana è ampiamente documentata sia nei suoi confini, sia per aver assorbito diocesi minori come Potentia, Faleria, Pausolae (S. Prete, Pagine cit., p. 5) E ancora testimonianze esplicite nelle lettere di papa San Gregorio Magno (M. G. H., tomo II, Epist. IX, 52, p. 77, 58, p. 81, 71, p. 90; idem, Epist. XIII,18, p. 385).
\ 6 \ Documenti archivistici più volte editi e menzionati da tutti gli storici di Fermo mettono in evidenza i drammatici eventi dei secc. V e VI: le devastazioni dei Visigoti (Alarico nel 410, Ataulfo nel 413), l’assedio nel 545 dell’ostrogoto Totila, fino al saccheggio delle milizie di Autari nel 584.
\ 7 \ Si tratta di un sarcofago paleocristiano di cui si ignorano luogo e data di rinvenimento, fatto collocare dall’arcivescovo Borgia, nella prima metà del sec. XVIII, nella cripta da lui ristrutturata e dove si trova tutt’ora ed è accreditato dalla tradizione come il sepolcro del secondo vescovo di Fermo, San Filippo martire.
\ 8 \ Degli scavi purtroppo restano solo notizie frammentarie, qualche schizzo, alcune fotografie e notizie interpretative a caldo, poco verificabili. Non esiste un giornale di scavo, non si conoscono i rinvenimenti stratigrafici né gli esami, non si conoscono i reperti effettivi ad eccezione di alcuni (forse i meno importanti), attualmente depositati nell’ipogeo. La Soprintendenza Archeologica delle Marche non ne ha mai curato un inventario né chiarito la dispersione. Tutto il materiale documentario esistente è disperso in più sedi e parte forse in archivi e raccolte private. A tutto ciò, va aggiunta la pessima conduzione dello scavo: risarcimenti in cemento, completamenti in muratura hanno minato la effettiva consistenza e natura delle strutture originarie; i mosaici pavimentali sono stati malamente consolidati e restaurati. Chi volesse affrontare il problema, può documentarsi con quel poco esistente che qui di seguito viene elencato. G. Breccia, Fermo. Rinvenimenti archeologici sotto la Chiesa Metropolitana, in, Il Palladio, 1939, n.3, pp. 85 – 86; G. Cicconi, La Metropolitana di Fermo e i recenti rinvenimenti archeologici sotto il pavimento, Fermo 1940; F. Maranesi, La cattedrale di Fermo, Fermo 1940; G. Graciotti, La Basilica paleocristiana sotto la chiesa metropolitana di Fermo, in, Felix Ravenna, Ravenna 1963, serie 3, n. 87, pp. 108 – 131; F. Cocchini, La Basilica paleocristiana di Fermo, in, Atti del VI convegno nazionale di Archeologia Cristiana, Pesaro 1983, pp. 19 – 23. Una recente tesi di laurea (1994) di S. Cesarini discussa presso l’Università Cattolica di Milano tenta di mettere ordine alla problematica, ma non raggiunge se non lo scopo di una aggiunta di documentazione e una serie di nuovi interrogativi.
\ 9 \ Stranamente nessuno storico si è occupato della questione e tutti concordemente ripetono che la cattedrale era dedicata alla B. Vergine Maria, riportando il titolo medievale ricorrente ‘Santa Maria in Castello’, aggiungendo poi – e questo a ragione – che tale titolo sotto Sisto V fu precisato, o forse meglio esplicitato, in Santa Maria Assunta. Ma, secondo noi, non sembra del tutto improbabile invece che questo primo tempio fosse dedicato a S. Savino vescovo. Non si spiegherebbero infatti, il culto ininterrotto per questo santo e le chiare testimonianze che attestano un culto assai sentito nell’antichità. Come viene ricordato nella lettera 598 (M. G. H., tomo II, Epist. IX , 58, p. 81) di papa Gregorio Magno al vescovo della città, Passivo, a Fermo era stato dedicato un oratorio a S. Savino, fatto erigere da un tal Valerianus notarius in fundo Visiano (un podere nella zona che ancor oggi si chiama colle Vissiano). S. Savino non era un santo locale, ma vescovo di Spoleto (B. H. L. 7451 – 7453 ) il cui culto o per traslazione di reliquie o per cause che ci sfuggono, si era diffuso a Fermo. Se così fosse, prenderebbe maggior corpo la tesi secondo cui il cristianesimo si sia diffuso nel Fermano attraverso l’asse Roma – Adriatico che passava proprio per Spoleto.
\ 10 \ Per una descrizione ed una analisi più dettagliata dei mosaici rinvenuti nello scavo e tuttora conservati, si faccia riferimento alla bibliografia della nota n. 7, in special modo agli scritti di Gracetti, Cocchini e Cesarini cit. Ma il parato musivo del pavimento della navata centrale di cui i cronisti contemporanei alla scavo (Breccia e Cicconi citt.) non fanno menzione, costituisce un vero e proprio “giallo”. Esso c’era senz’ombra di dubbio, come testimoniano i lacerti degli intercolumnii. Che cosa è successo? Il fatto che le relazioni contemporanee non ne parlino, suggerisce diverse ipotesi. Gli addetti allo scavo per imperizia lo hanno malamente distrutto e fatto scomparire prima che se ne avesse pubblica notizia? Per proseguire nello scavo degli strati sottostanti gli addetti lo hanno rimosso senza alcun resoconto e trasferito in qualche sito sconosciuto? Ciò potrebbe essere una delle ragioni della scomparsa o della mancanza di un giornale di scavo?
\ 11 \ Nell’ipogeo della cattedrale, ed ora in parte esposti nel Museo Diocesano, si conservano numerosi frammenti dei secc. VIII – XI: resti di decorazioni, parti di cornici, la vasca battesimale, la cuspide della cattedra vescovile, una colonna con scultura di vescovo, una porzione dei plutei longobardo-carolingi che costituivano con ogni probabilità la transenna del presbiterio.
\ 12 \ La forma ipotetica (‘sarebbe stato’) è stata usata per il fatto che questo vescovo, Lupo, viene espunto dalla cronotassi dei presuli fermani dal Tassi (Gli arcivescovi cit. p. 35) dietro anche l’indicazione di U. Cameli, Note di storia fermana. Il vescovo Lupo presente al Sinodo Romano dell’826, in, Studia Picena, 12, 1936, p. 169 e ss. La sua presenza si basa infatti, solo sulla firma apposta ai Decreti del Sinodo, ma il Cameli anziché leggervi come il Catalani, Lupus episcopus firmensis, vorrebbe leggervi Lupus episcopus furconiensis. Va aggiunto che le ulteriori notizie su Lupo riportate da Catalani e riprese dal Trebbi-Filoni e dal Maranesi, non sono correlate di alcun riferimento documentario.
\ 13 \ Liber jurium, cod 1030 dell’Archivio Storico Comunale di Fermo, a cura di D. Pacini, G. Avarucci, U. Paoli, voll. 3, Ancona 1996. Si consultino in particolare i documenti 27, 36, 47, 59,72, 107, 183, 229. 14 Cfr. nota n. 11.
\ 14 \ Cfr. nota 11
\ 15 \ Con questa drammatica notizia comincia la più antica ronaca fermana. “In nomine Omnipotentis Dei et Beatissime et Beatissime Marie. Hec est memoria omnium et singulorum novorum, novitatum et quamplurimarum rerum occurrentium infrascriptis temporibus, adnotatarum et scriptarum per me Antonium Nicolai de Firmo, notarium publicum videlicet in primis: In millesimo CLXXVI , in festo beati Matthei, de mense septembris, civitas Firmana fuit invasa, occupata ac destructa ab Archiepiscopo Maguntie, dicto alias Cancellario Christiano”. (Cronaca della città di Fermo di Antonio di Nicolò pubblicata per la prima volta con annotazioni e giunte, dal Cav. Gaetano De Minicis, Firenze 1870, p. 3).
\ 16 \ Sono custoditi nella sezione dell’Archivio di Stato di Fermo (A. S. Fe.) tre rescritti a firma di Cristiani Mogontine (sic!) sedis Archiepiscopi legati domini Imperatoris datati tutti 1177 (A. S. Fe., sezione diplomatica, pergg. 501, 217, 853). Per brevità, rimandando alla consultazione diretta, citiamo il rescritto n. 217 nel regesto di M. Hubart, ms, del 1624, quando era notaio e cancelliere del Comune di Fermo. Copia privilegii Cristiani Archiepiscopi Moguntini confirmantis omnia civitatis Firmi bona, iura, rationes, iustitias, terras, agros, vineas ac remittentis eandem civitatem et homines in eadem libertate quam anno ante civitatis destructionem habuerunt, relevantis eos seu eam infra proximos quinque annos ab omni exactione vel dativa quovis modo a quoquam hominum exacta. Dat. Anno Domini 1177, apud Assisium; esemplati per Bartholomeum Petri. A fianco di questa restituzione di privilegi da parte del Cancelliere imperiale va collocato l’intervento del papa Alessandro III che, con lettera data da Venezia nel 1177 esorta le popolazioni della Marca ut bonis suis pro reparatione Ecclesiae Firmanae liberaliter conferant beneficia charitatis (Trebbi – Filoni , op. cit., p. 44). Per le annotazioni sui vescovi Alberico e Pietro II cfr. Liber Iurium cit., passim. 7 Di maggior interesse è l’altra notizia, fornitaci sempre dal Catalani, secondo cui il vescovo Presbitero insieme agli interventi sulla cattedrale, si preoccupò di rendere più sicuro il colle dove essa sorgeva: “initium factum fuere illis propugnaculis aedificandis quae Zironem seu Girones appellabant”
\ 17 \ Sul vescovo Presbitero oltre al Liber iurium cit., si veda M. Catalani, De Ecclesia Firmana eiusque Episcopis et Archiepiscopis commentarius, Firmi 1783, p. 147 e ss. e l’appendice.
\ 18 \ Ecco il testo dell’iscrizione: A. D. MCCXXVII BARTO/LOMEUS MANSIONARI. HOC/ OPUS FIERI. FECIT. P(er). MA/NUS. MAGISTRI GEORGEI DE (…..) EPISCOPATU COM(acensi)
\ 19 \ Su maestro Giorgio si veda F. Maranesi, La cattedrale cit., pp. 9 – 11.
\ 20 \ Non deve meravigliare la scelta di questo materiale perché noti e ampiamente documentati sono gli stretti e importanti rapporti commerciali tra le due sponde dell’Adriatico, la Repubblica Veneta e Fermo.
\ 21 \ Una facciata romanica a ridosso di un edificio gotico pur costruito ex novo, può creare qualche problema interpretativo. Le ragioni di questa apparente disarmonia vanno ricercate nell’epoca della costruzione. Come è ormai assodato, lo stile gotico nato nella regione dell’Ile de France verso la metà del sec. XII, raggiunge l’apogeo nel sec. XIII. In Italia giunge nel sec. XIII, appunto, portato dai monaci cistercensi, ma stenta, all’inizio, ad affermarsi al di fuori di tali abbazie. La tradizione romanica è forte e ben consolidata; inoltre sopravvivono stilemi della tradizione bizantina e paleocristiana. In questo quadro, la cattedrale di Fermo, compiuta nel 1227, può essere annoverata tra le prime espressioni del nuovo stile (Fossanova 1206, Casamari 1217, S. Galgano nel 1227, come Fermo) Forse l’esempio più calzante è la chiesa di S. Andrea a Vercelli, iniziata nel 1189 e conclusa anch’essa nel 1227: romanica la facciata, se pur in stile francese, e gotico l’interno.
\ 22 \ Per annotazioni più dettagliate sulle stratificazioni successive si veda Maranesi, op.cit., pp. 12 – 21.
\ 23 \ Maranesi, ibidem, pp.23 – 27.
\ 24 \ Maranesi, ibidem pp. 29 – 32.
\ 25 \ Maranesi, ibidem pp. 36 – 38. Il ciborio originariamente collocato sull’altare maggiore, fu spostato all’epoca della ricostruzione della cattedrale da Mons. Minnucci nell’altare del SS. Sacramento (1789 ca.); nel 2004 è stato restaurato e trasferito nel Museo Diocesano, a fianco della Cattedrale.
\ 26 \ Archivio storico Arcivescovile di Fermo (A.S.A.F.), Sacre Visite, visita di Mons. Giovambattista Maremonti, ms, ff. 1 – 2. Tutte le citazioni latine sono desunte dal testo.
\ 27 \ Nella relazione del Maremonti e relativi decreti troviamo accurate annotazioni su ciascuno di essi. Qui di seguito ci limitiamo ad un semplice elenco. Altare maggiore dedicato ai SS. Filippo ed Aurelio martiri; altare dei SS. Giovanni Battista e Pietro; altare di S. Giuseppe; altare dei SS. Tommaso, Antonio e Giacomo; altare di S. Ruffino; altare di S. Leopardo e Santa Maria; altare di S. Elisabetta; altare di S. Lucia; altare di Sant’Anna; altare di S. Giovanni Evangelista; altare di S. Biagio; altare del SS. Crocifisso; altare dei SS. Ignazio e Nicola.
\ 28 \ Una dettagliata descrizione dei restauri del Borgia in Trebbi – Filoni, op. cit., pp. 46 – 48. 9
\ 29 \ A.S.A.F., Motu proprio di Pio VI, 7 aprile 1781.
\ 30 \ A.S.A.F., Supplica della Città di Fermo ad alcuni Em.mi Sigg. Cardinali sulle presenti vertenze con Mons. Minnucci intorno alla Chiesa Metropolitana e Collegio Marziale, Villafranca 1782, passim.
\ 31 \ Maranesi, op. cit. pp. 27 – 50 passim.

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