NEPI GRABRIELE STUDIA L’ITALIA COME POLITICA DELLA CITTADINANZA LATINO- ROMANA anno 89 a. C.

“L’ITALIA UNITA dal nord al sud nel primo secolo avanti Cristo. FERMO presidio di Gneo POMPEO STRABONE”.
(NEPI Gabriele: Centro Studi Storici Fermani 2010)
ITALIA: l’origine del vocabolo politico, più che geografico.
A Corfinio, tra i ruderi romani una lapide del 1958 (bimillenario ovidiano) reca l’iscrizione: ” In questi luoghi sorgeva l’antica Corfinium, cuore della terra Peligna, assunta a capitale dei confederati nella prima guerra sociale del primo secolo a. C. e ribattezzata ITALIA, sacro nome primieramente qui acclamato, auspicio all’unione di tutte le genti della penisola nella patria comune.”
La preminente chiarezza storica riguarda non tanto i nomi e le battaglie, quanto il senso della cittadinanza e della libertà. Per queste realtà umane profonde furono coniate dal 91 al 87 a. C. molte monete con la parola ITALIA. In questi anni si realizzò l’unificazione nazionale italiana. L’abbondante monetazione dà il senso politico ufficiale al nome Italia. L’etimo, secondo gli studi linguistici di Nissen, deriva dagli Itali che avevano come totem il vitello o toro raffigurato in alcune monete. Alberto Campana ha documentato la monetazione degli insorti italici.
Per Roma furono anni di profonda crisi politica ed economica. La prima causa ne fu il mancato adeguamento delle strutture statali alla diversa situazione politica prodotta dall’espansione territoriale. La cittadinanza era il godimento dei diritti giuridici, tanto ben espressi da Cicerone (106-43 a.C.). I popoli vicini a Roma combattevano da alleati, e non erano riconosciuti cittadini romani.
La città di Fermo ebbe un ruolo determinante negli eventi dell’unificazione di quell’antica Italia. i Fermani sperarono nella sospirata cittadinanza romana, senza ribellarsi. Infatti Camerino l’aveva ottenuta per l’aiuto militare dato a Mario contro i Cimbri. Il successo arrise poi alla fedeltà dei Fermani. Secondo la tradizione, le origini di Gneo Pompeo Strabone erano Picene ed è pensabile che fosse originario del territorio vicino a Fermo.
Altri popoli si erano uniti in Lega contro Roma: i Marsi, i Peligni, i Vestini, i Marrucini, gli Ascolani Picentes, i Frentani, gli Irpini, i Pompeiani (o Nolani), i Venusiani, gli Iapigi, i Lucani, i Sanniti, i Bruzi e gli Apuli, con circa 100.000 militari. Nel capoluogo Corfinio, chiamata Italia, la Lega aveva propri consoli, magistrati e moneta.
Narrò la ribellione Velleio Patercolo: “Lo sventurato evento ebbe origine dagli Ascolani che trucidarono il pretore Servilio e il legato Fonteio; passò poi ai Marsi e dilagò in tutta la regione”. Accenniamo alle linee di sviluppo: nel 91 a. C. il (pro)pretore Servilio e il delegato Fonteio che negavano agli Ascolani far alleanze per mezzo di ostaggi, furono massacrati insieme con gli altri romani presenti in Ascoli. Ne seguì l’intervento dell’esercito romano, guidato da Gneo Pompeo Strabone, che divenne console nell’anno successivo, 90 a. C. Gli avversari lo intercettarono a Falerio Piceno, ma Strabone preferì ritirarsi con i suoi a Fermo, città fedele a Roma “Firmum firma fides Romanorum colonia”. Qui Stradone fissò il suo quartiere generale e rimase assediato, finché, nell’autunno lo raggiunse Sergio Sulpicio Galba con truppe arruolate in Gallia. Seguì la sconfitta e la fuga degli assedianti, per cui i Romani, all’inizio dell’inverno, mossero all’assedio di Ascoli. Pompeo Stradone si mostrava propenso all’armistizio con la resa degli avversari. I fatti sono narrati dagli antichi storici Appiano, Diodoro, Tito Livio, Orosio, Velleio Patercolo, Eutropio, Floro, Plutarco e, per cenni, Cicerone, il massimo oratore del foro. Tra gli storiografi del XX secolo si apprezzano De Sanctis, Moscati (Così nacque l’Italia) e Pareti.
Per capire le vicende, è necessario far riferimento alla cittadinanza politica. La “Lex Calpurnia dava potere ai generali romani in campo di concedere la cittadinanza romana come premio ai non romani presenti nelle loro truppe. Il 17 novembre 90 nell’assedio di Ascoli Pompeo Strabone applicò questa legge e rese cittadini romani trenta cavalieri iberici forse già presenti a Fermo. Un anno dopo ne godette i frutti. Anche il Senato premiò allora gli abitanti di Tuder (Todi) per la fedeltà a Roma. Una nuova legge venne ad invogliare molti italici alla pace. Verso la fine dello stesso anno 90 la Lex Iulia dava la cittadinanza romana ai popoli vicini in condizione di pace con Roma. Dalle città pacificate vennero le nuove reclute per le campagne militari dell’anno successivo, 89 a. C. quando lo stesso Cicerone era militare, sotto le armi ed insieme con Sesto Pompeo ebbe un abboccamento con l’italico Vettio Catone, senza successo di pacificazione.
Gli informatori di Pompeo Strabone in Ascoli gli fecero intercettare il passaggio di quindicimila militari italici sul Gran Sasso. Ne bloccò le uscite e li costrinse al gelo ed alla fame, tanto che ne morirono a migliaia e gli altri si arresero. Nel frattempo molti Ascolani pensavano all’armistizio con il pacificante Strabone, dato anche la nuova Lex Plautia Papiria dava la cittadinanza romana, entro 60 giorni, a tutti i residenti in Italia che, in pace con Roma, ne avessero fatta richiesta ad un pretore. Per effetto si verificò una disgregazione tra gli italici.
La “Lega Italica” era rappresentata nel Piceno dal generale “italico” Vidalicio che fece un’incursione militare dentro Ascoli per uccidere tutti quelli che volevano fare l’armistizio.
Lo stesso Pompeo Stradone, padre di Pompeo Magno, propenso a creare solidarietà e federalità con le popolazioni alleate con Roma, propose nell’89 a. C. la Legge Pompeia de Transpadanis (Gallia Citeriore) per concedere la cittadinanza latina. Nell’89 Mediolanum (Milano) e gli abitanti dei territori insubre e padano ebbero il primo grado della cittadinanza romana latina.
Dopo il massacro dei militari romani ad Ascoli, secondo il racconto di Appiano, Vidalicio scelse il suicidio: offrì un banchetto ai collaboratori e si fece preparare un rogo. Dopo i saluti, sorbì il veleno, salì sulla pira, dando ordine di incendiarla. Secondo alcune accuse del partito popolare lo Stradone avrebbe tenuto per sé il bottino ascolano.
Così il 17 novembre dell’89 a. C. gli Ascolani si arresero ed il 25 dicembre ci fu la deportazione dei prigionieri a Roma con il trionfo “de Asculaneis Picentibus” per Pompeo Strabone, che poi tornò a tutelare il Piceno in qualità di proconsole.
Nell’88 a. C. Silla prese i poteri e inviò nel Piceno Pompeo Rufo a sostituire Pompeo Stradone; ma le truppe di costui lo linciarono. Era chiaro che il potere apparteneva ormai all’esercito, non al popolo repubblicano. Gli Ascolani nell’88 a.C. ebbero la cittadinanza romana, iscritti nella nuova tribù romana Fabia.
Poi, con Giulio Cesare nel 49 a. C. i transpadani entrarono pienamente nell’ITALIA, cittadini romani. L’unificazione era cittadinanza che garantiva i diritti umani. Secondo una tradizione la cittadina Laus Pompeia, in lode di Pompeo, è l’attuale Lodi.
Scrisse Velleio Patercolo: “Mentre Cinna muoveva guerra alla sua patria, Gneo Pompeo, durante la guerra dei Marsi e particolarmente nel Piceno, aveva reso allo Stato preclari servizi e che aveva occupato Ascoli. Intorno a questa città 75.000 Romani ed oltre 60.000 Italici, in un solo giorno pur essendo gli eserciti frazionati in molte legioni erano venuti a conflitto (…) che assunse un atteggiamento intermedio e dubbio tra le parti”. Pompeo Stradone, richiamato a Roma nell’87 eludeva gli scontri, ma teneva con sé l’esercito che fu poi del figlio Pompeo Magno. Morì colpito da un fulmine.
Il primo a definire questi eventi come “guerra sociale” (dei soci-alleati) fu Cicerone nel discorso Pro Fonteio. L’oratore inoltre meditò queste vicende “sociali” dopo che il Senato Romano aveva approvato nell’80 a. C. in modo più completo, la legge Papiria, concedendo la sospirata cittadinanza a vicini confederati, non più ribelli. Cicerone, infatti, fece un suo racconto del rapimento (ratto) delle giovani sabine, scrivendo che Romolo (il padre dell’Urbe) volle ampliare la cittadinanza e fare alleanza con il re dei Sabini, Tito Tazio, e giunse a rafforzare il suo regno romano facendo un governo federale con quello del re Tazio, per mezzo di un patto di alleanza. Il percorso di integrazione con i popoli vicini, nel racconto di Cicerone, doveva avvenire con i dati della cittadinanza e della federalità. E realmente nel primo secolo a. C. i fatti politici dell’Italia ebbero il felice esito dell’unificazione dei popoli.
I narratori apprezzavano il nuovo assetto politico. L’antico storico Floro scriveva: “Diciamo pure guerra sociale, per attenuarne l’odiosità; ma, se vogliamo dire il vero, quella fu una guerra “civile” (tra cittadini). Infatti da quando il popolo Romano si era fuso con gli Etruschi, i Latini e i Sabini e traeva un unico sangue da tutte queste genti, esso ha formato un solo corpo con tutte le loro membra. Né con minore danno si ribellavano gli alleati entro l’Italia, in confronto a quello dei cittadini all’interno dell’Urbe. Pertanto, poiché gli alleati chiedevano ben a ragione la cittadinanza della Città (urbe) che avevano accresciuta con le loro forze (… la speranza) infiammò gli alleati a prendere le armi ed ad assaltare l’urbe. Che cosa è più triste di questa sventura? Quale cosa più disastrosa? Di fatto tutto il Lazio e il Piceno, tutta l’Etruria e la Campania, infine l’Italia, insorsero contro l’urbe loro madre e genitrice.”
Tra i prigionieri catturati ad Ascoli e portati al trionfo romano del 25 dicembre dell’89 a. C. c’era il giovane figlio del combattente italico Ventidio Basso che da schiavo divenne un fervido assertore della potenza Romana, collaboratore di Giulio Cesare nella guerra ‘civile’ e fu console nel 43 a.C. Il sistema della cittadinanza aveva capovolto le antiche sorti italiane.
Nella vicenda furono coinvolti i Faleronesi sin dal 90 a.C. perché qui Pompeo Strabone fuggì dai militari della Lega italica. Esiste ancora il tracciato di una strada di collegamento tra Falerio Picenus e Urbs Salvia, con ruderi visibili a Falerone, a cominciare dal torrente Salino, seguitando in zona faleronese Ferrini e “Collina” (contrada a confine con San’Angelo in Pontano). Viene ancora chiamata strada romana. C’è un cippo funerario romano. Il nome Collina ripeteva “Porta Collina” di Roma (nei pressi di Porta Pia). Appiano narra che lo scontro dei militari di Pompeo Strabone avvenne presso il Monte Falerno (o Falerno) che è identificabile con l’attuale toponimo “Collina”, nei pressi della chiesa romanica di Santa Margherita.
La libertà d’Italia fu intesa come godimento dei diritti politici della cittadinanza romana per cui dalla fine del primo secolo a. C. si diceva: “Civis Romanus sum” per fare appello al giudizio dell’imperatore.
Quando parliamo di unità d’Italia, il suo senso non è solo geografico, è la libertà della cittadinanza politica che unisce le persone in un impegno comune, come testimoniato nella guerra dal 91 all’88 a. C. Sono ventuno secoli che il latino ha unito i popoli dell’Italia.

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