SANTA MARIA A PIE’ DI CHIENTI A MONTECOSARO SCALO (Macerata) anni 936-939

MONTECOSARO SCALO SANTA MARIA A PIE’ DI CHIENTI. Anni 936- 939 circa in Chronicon Farfense I, pp. 38ss
Dopo che morì Ratfredo, Ildebrando si recò dalla Marca a Pavia presso il re Ugo e con molto denaro acquistò la nomina per l’Abbazia Farfense a favore di Campone e, ricevutala, tornò nella Marca dove Campone gli andò incontro per prendere questo dono di governare il monastero trasmessogli dal re. Prese il comando dei soldati Marchigiani, sottomise tutti i monasteri pertinenti, minori e maggiori. Diede compimento all’accordo con Ildebrando a cui consegnò due “celle” nella stessa Marca: S. Maria presso il fiume Chienti e S.Maria in Solestano fuori dalla città di Ascoli ed anche due altre nel ‘Contado’ Reatino: S. Angelo presso la città di Rieti e S. Maria in Loriano. Poi se ne tornò in Sabina (…).
Dopo un anno, Ildeprando e Campone iniziarono a combattersi l’un l’altro. Infatti Ildebrando dando il denaro si alleò con i Marchigiani e tolse a Campone tutta l’eredità del Monastero (Farfa) che era nella Marca e se ne appropriò con i monaci ed i soldati.
-\-\-\-\ Anni 938-939 circa. (Chronicon Farfense I pp. 39-40) Ildebrando si unì con i Marchigiani, ma Campone corse là e adunati amici ed alleati cacciò Ildebrando da castello di Santa Vittoria e da tutto il territorio del monastero e ridusse tutti i luoghi sotto il suo dominio. Ritornò in Sabina con trionfo dove cominicò a distribuire tranquillamente i beni monastici ai figli e alle figlie(…) Nei ‘Contadi’ Reatino, Amiternino, Furconio, e Balbiense, oltre che nel Marchigiano diede loro quasi tutto a possedere in perpetuo.
\\\\09370000CrF.I.39 Destructio in Chron. Farf. I pp 38-39 senza data riferibile al 937 circa Ildebrando avversario di Campone nella Marca Fermana. Cfr. Chronicon Farfense I. pp.306-307. “Ildebrando si unì con i Marchigiani, accattivandoseli con molto denaro e tolse a Campone l’eredità del monastero che era nella Marca, cominciò a rivendicarla per Sé insieme con i monaci ed i soldati. Al contrario, Campo(ne) venne là, dando agli stessi una somma più grande, e diede una sua sorella a maritarsi con uno di nome Trasberto; le donò una grossa dote con i beni mobili ed immobili del monastero. Permutò anche la “curtis” di Marate (S. Maroto) tanto grande e spaziosa da contenere la quantità di sedicimila moggi, come molti affermano, dandola a questo suo cognato e ricevette in cambio terre a Propezzano, luogo squallido e incolto, come dicono. Vi aggiunse in più le due “curtes” di S. Maria in Strada e di S. Maria in Mura vicino Stania. (Sintesi) Campo(ne) scacciò Ildebranbdo dal castello di Santa Vittoria in Matenano e dissipò le proprietà farfensi a favore dei dieci figli e dei parenti. ” Nei comitati di Reatino, Amiternino, Furconio e Balbiense, oltre che nel Marchigiano, distribuì loro quasi tutto, a possedere in perpetuo.” (Sintesi) In seguito Ildebrando tornò nel castello di Santa Vittoria, ne fu scacciato nuovamente da Ildebrando e di nuovo riuscì a riconquistarlo. Furono entrambi grandi dissipatori dei beni farfensi. (ivi pp.306s) Campo(ne) fu a capo del cenobio (farfense) e fu la causa di tutti i mali che, dopo i pagani, hanno devastato questo monastero. Campone, nella Marca andò incontro a Ildeprando che tornava dal re Ugo e in adempimento agli impegni gli diede due ‘celle’: di S. Maria presso il fiume Chienti e di S. Maria in Solestano presso la città di Ascoli. (…) Gli diede altri beni nel Reatino. Ma questa pace tra di loro durò soltanto un anno. Allora Ildeprando diede denaro ai Marchigiani e tolse a Campone tutta l’eredità di questo monastero che si prese per sé. Per contrasto, Campone diede a quelli stessi (Marchigiani) una maggior quantità di denaro, si recò lì e diede un tale Trasberto come marito a sua sorella (…). Diede una sua figlia in moglie ad un uomo e gli donò molto denaro. Unitosi ad amici ed ‘ausiliari’ cacciò lo stesso Ildeprando fuori del castello di Santa Vittoria e detto il suo territorio. Impose il suo dominio in questi luoghi e tornò poi in Sabina, in trionfo (…). Il suo cattivo comportamento durò fino a quando divenne principe di Roma.

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