SERVIGLIANO FA MEMORIA DI SAN GUALTIERO IVI VISSUTO E MORTO

Tra i santi delle Marche – San Gualtiero da Servigliano
Nelle Marche, terra di Santi, anche Servigliano è frequentato, oltre per l’impianto urbanistico neoclassico di meravigliosa perfezione, unica al mondo, realizzata in un progetto unitario del 1773 e compiuto ad opera di Clemente XIV e Pio VI, anche per il suo San Gualtiero. .
La vita operosa, vissuta da san Gualtiero, con la mente rivolta a Dio, a Servigliano, nella vallata media del fiume Tenna, diede fervore alle attività umane e cristiane: scuola, infermeria, ospizio, attività agricole ed artigianali. Il nome di Gualtiero è stato ereditato nei secoli da tantissime nuove persone ed i documenti storici ne sono rigurgitanti, segno di stima e di fiducia nella celeste protezione. Questo santo ha sempre avvicinato le anime al divino Salvatore, in armonia con la vita diocesana e parrocchiale. Animato dalla fede, dalla speranza e dalla carità, donategli da Dio, ha orientato la vita religiosa dei confratelli nel servizio alla gente.
Secondo i documenti editi della tradizione agiografica, il bimbo Gualtiero nacque a Roma, con il contrassegno sulla spalla destra costituito da una stella a forma di croce, simbolo di coraggio luminoso nelle difficoltà. Dopo le scuole e le attività della prima giovinezza, abbandonò l’urbe insieme con il sacerdote Armeno, per vivere la perfezione cristiana nell’umiltà, nella povertà e nella castità. Venne a Servigliano dove orientava i cuori all’amore all’umanità nella giustizia e nella pace. Fu abate, alla guida del locale monastero. Padre Alfonso Schiaroli ha scritto che la vita eremitica non desta solo curiosità, spesso suscita anche le vocazioni.
La più antica notizia scritta e datata per il culto pubblico di San Gualtiero da Servigliano, santo onorato con riconoscimento pontificio, è una bolla del papa Giovanni XXII del 10 ottobre dell’anno decimo del suo pontificato, cioè del 1326 quando gli Ascolani invocarono la misericordia della Chiesa e del papa per alcuni loro misfatti.
Gli Ascolani nel 1323 avevano assalito militarmente alcune chiese della diocesi Fermana e avevano aggredito e persino ucciso alcuni sacerdoti, tra cui il prete che a Servigliano officiava la chiesa con le reliquie di San Gualtiero.
Ruppero l’urna, asportarono come preda il corpo del santo, bruciarono la chiesa e se ne tornarono devoti in Ascoli con tale bottino. Subirono perciò l’interdetto e la scomunica fino ad umiliarsi per chiedere perdono, facendo riparazione. Scrissero al papa ad Avignone, per il condono, ed ebbero risposta.
Nella predetta bolla di Giovanni XXII sono minutamente ricordati questi avvenimenti: “Uccisero alcuni sacerdoti. Per disprezzo ed umiliazione dei ribelli asportarono il corpo del Beato Gualtiero dalla chiesa in cui giaceva e lo portarono con la dovuta riverenza e solennemente nella città di Ascoli.” Il papa incaricò il priore di Montepesulano, Geraldo da Valle, affinché provvedesse al bene delle anime degli Ascolani e dei loro bracciforti colpevoli e concedesse l’assoluzione, dopo la dovuta riparazione, e la riconsegna del corpo del beato Gualtiero.
Il venerato corpo di san Gualtiero fu riconsegnato dai predatori Ascolani e per sicurezza fu portato dentro al castello di Servigliano e protetto, con inferriate, nella torre della pieve di San Marco. Nel 1403 fu separata la reliquia del capo del santo, per renderla meglio onorata in apposito reliquiario, con l’iscrizione che oltre alla data offre il nome del pievano di san Marco, don Marino di Giovanni che effettivamente era il pievano nel 1403 ed ancora nel 1406, secondo i documenti arcivescovili.
Presso l’altare del santo nell’antica pievania S. Marco furono raccolte le ossa in una nuova urna resistente e vi si pose una pergamena che raccoglieva le notizie di antica tradizione sul santo, e questa memoria è stata la fonte di tutti gli agiografi di san Gualtiero e dei repertori santoriali. Questa pergamena non è stata più trovata.
Nell’analisi del testo (edito dai Bollandisti) della pergamena emergono aspetti per cui si può pensare che preesisteva un altro antico testo, infatti vi si legge “ Come è stato tramandato – traditum est – , come è narrato – fertur – come viene detto – ut dicitur – “. I Bollandisti ed il Settimi pensano che la pergamena fosse trascrizione di un testo preesistente mal leggibile. Una copia della pergamena fu inviata al cardinal Cesare Baronio che presiedeva la Commissione per la redazione del Martirologio, completato alla fine del secolo XVI, senza che vi fosse segnalato l‘ininterrotto il culto di San Gualtiero da Servigliano.
Per accennare agli elementi salienti della tradizione riguardante san Gualtiero, si legge nella pergamena che a Roma vivevano il nobile Eurito, con la moglie Vittoria, e da tempo attendevano un figlio. Dopo assidue preghiere in casa ed in pubblico, assieme con il pontefice, fecero voto di costruire una chiesa e poterono godere della nascita di Gualtiero. Ebbe la formazione nel servizio a Dio con la guida spirituale del sacerdote Armeno. Quando la figlia del “Preside” (prefetto o governatore) che se ne era invaghita per averlo sposo, si vide rifiutata, diede peso all’autorità paterna sui genitori di Gualtiero. Il padre Eurito usò ogni mezzo, persino le punizioni contro il rifiuto del figlio, che fuggì e venne a Servigliano, assieme con il prete Armeno, in un primo tempo presso il torrente Ete nella Valle Marana; in seguito, donatogli l’edificio del monastero, nei Piani presso il fiume Tenna, dove lo raggiunsero i genitori. Al termine della vita tutti ebbero qui la tomba.
La sepoltura del benemerito abate fu tanto frequentata che gli si fece un’arca a sarcofago, per favorire la memoria della sicura esemplarità della sua vita, mentre andarono perdute le date che si riferivano ai suoi giorni terreni.
Un secolo dopo, il suo modello di vita casta, povera, umile ispirò forme di vita religiosa adottate da persone che si stabilirono nei locali dell’ex-villa romana presso l’attuale Servigliano dove resta l’ex convento dei Frati di Santa Maria del Piano.
Nella pergamena non si ha nessuna data né riferimenti decisivi per indicare gli anni. Sempre viva la memoria devota del venerato serviglianese, ma senza che fosse riferito ad un ordine religioso, per cui non va considerato né benedettino, né domenicano, né francescano, né di altro ordine, perché nella tradizione era considerato come un eremita con i confratelli. La regola probabilmente era Agostiniana dato che dal Concilio Lateranense IV nel 1214 fu proibito di introdurre nuove Regole monastiche, accogliendo quelle esistenti, la più celebre delle quali era riferita a sant’Agostino. “ La moltiplicazione degli ordini religiosi fu una delle novità più rilevanti del secolo XIII. La battuta d’arresto venne dal quarto concilio Lateranense: per evitare che l’eccessiva diversità creasse confusione, il canone 13 proibisce ogni nuova fondazione per cui avrebbero ricevuto gli aspiranti solo le case degli ordini approvati”.
La toponomastica ricorda il Castellare (casa fortificata) di San Gualtiero negli Statuti di Santa Vittoria presso il confine con Servigliano nei Piani e presso il Fosso San Gualtiero. Il culto di san Gualtiero da Servigliano era diffuso anche a Penna San Giovanni, dove nel 1447 risulta nominato dal vescovo il rettore che celebrava all’altare di questo santo, nella pievania matrice di san Giovanni Battista.
Le più antiche visite pastorali fatte dai vescovi Fermani riscontrano pienamente il culto e le reliquie di san Gualtiero da Servigliano nella pievania di San Marco ed in qualche occasione san Gualtiero è dichiarato “vescovo” nel secolo XVI.
Il papa Innocenzo X concedeva l’indulgenza plenaria per i pellegrini in occasione della festa di San Gualtiero, il 4 giugno,che visitavano la chiesa di san Marco ove erano le reliquie del santo.
La festa patronale era celebrata con grande concorso di popolo proveniente anche da altri paesi. Nella vita di san Serafino da Montegranaro, cappuccino, si racconta che venne a Servigliano accompagnando il padre predicatore e avendo saputo della baldoria nella festa di San Gualtiero, raccomandò che in futuro questa festa la solennizzassero senza bagordi, in modo cristiano. Lo promisero. L’anno successivo tuttavia tornarono a fare le baldorie deprecate. Nel mezzo della festa, appena iniziati i balli, si scatenò un impetuoso temporale e una violenta grandinata piombò sul territorio e fu vanificato anche il raccolto dell’anno.
La venuta a Servigliano dei Frati Agostiniani nel 1575 nel convento con la chiesa di Santa Maria del Soccorso adiacente alle mura urbane, incrementò la devozione, anzitutto verso la beata Vergine Maria e insieme verso san Gualtiero, per cui la chiesa rurale ai Piani fu restaurata, alla fine del secolo XVII ed una chiesolina nuova fu eretta a poca distanza dal loro convento.
L’attuale chiesa detta di San Gualtiero nei Piani è un rifacimento riferibile alla metà del secolo XVIII, su impianto della fine del secolo XVI, di cui resta traccia all’esterno della parete laterale. Il Settimi dice l’abside “gotica “ con all’interno un affresco barocco, e nota il corpo di quattro capriate a cui fu aggiunta un’altra posteriore e settecentesca come la facciata.
Il frammento del dipinto a tempera sulla parete dell’abside. Raffigura la beata Vergine Maria con il suo santo Figliolo. Ai lati un santo con mitria e piviale ed un altro in abito semplici. Ignoto l’autore che il Settimi dice “ probabilmente Giovanni Colucci di Santa Vittoria “ ma non sappiamo molto di questo pittore e forse si può pensare ai discepoli dei pittori di Patrignone.
Una linea ad arco, sotto l’architrave, contorna le predette persone dipinte. La Vergine Maria con veste rosa\rossa e manto azzurro è in trono con postergale di stoffa arabescata. Sopra all’arco la data 1626 in cartiglio verde e giallo sull’architrave poggiante su due pilastri laterali; in alto un’architettura a frontone con in mezzo la santa Croce entro cornice e modiglioni laterali.
Altra chiesina fuori le mura dirute di Servigliano Vecchio, sull’altura a 440 m. è stata di recente valorizzata liberandola dalle sterpaglie e restaurandola con nuova porta e vi si conserva il dipinto databile alla fine del secolo XVI, forse riferibile alla bottega dei pittori Agnelli di Patrignone. Non si sa se inventariato. Il dipinto appare impostato al modo di quello della chiesa rurale ai Piani di San Gualtiero e raffigura la beata Vergine Maria ed il suo santo Figlio al centro, con ai lati un santo con pastorale e mitra e l’altro santo in abiti semplici. Questa chiesolina cominciata a costruire nel 1587, fu detta poi “Madonna delle Grazie” e vi si celebrava la festa serviglianese del 4 giugno per san Gualtiero, anche dopo la partenza degli Agostiniani nel 1652, per interessamento del cappellano della locale confraternita del SS. Sacramento.
L’iconografia di san Gualtiero da Servigliano, evidente nel reliquiario del 1403 di cui si parla nel seguito e nei dipinti delle chiese rurali, ha come sicuro riferimento un’incisione del 1761 pubblicata dall’agiografo serviglianese Giacomo Gualtieri a Roma nel libro, nell’antiporta del Breve ragguaglio della vita di san Gualtiero abate. E’ attribuita al pittore romano coevo Antonio Nessi. Il santo è in atteggiamento umile, inginocchiato in contemplazione, mentre sono posati a terra il pastorale e la mitria. Sull’inginocchiatoio di pietra un libro aperto, in alto visioni di angeli tra la luce dello Spirito. Sullo sfondo edifici, tra cui una torre ed una cupola simile a quella del santuario della Madonna di Loreto o di san Pietro in Vaticano.
Il grande dipinto pubblico, ufficiale ed unico a Servigliano è nella Collegiata san Marco, nella cappella laterale la terza a destra, presso il presbiterio e la sacrestia, dedicata ai santi Marco e Gualtiero, patroni. L’ampio arco murario parietale, su paraste, è contornato l’altare di questi patroni di Servigliano. Nel fastigio dello stesso arco l’iscrizione in caratteri romani: “Caput tuum Salus nostra ” (il tuo capo è per noi una salvezza) si riferisce alla reliquia del capo di san Gualtiero nell’apposito reliquiario. L’altare ha la mensa a forma di urna marmorizzata color brecciato rosso (colore del martirio di san Marco) come lo sono anche le due colonne laterali, anulate, dotate di capitello corinzio bianco. La trabeazione soprastante è a linea ondulata con un fastigio ad arco spezzato per contenere il bassorilievo raffigurante san Francesco da Paola. Dietro la pala d’altare, nella parete, su mensole con apparato di stoffa, sono posati i reliquiari, rispettivamente di san Marco evangelista; di san Gualtiero abate e della santa Croce.
Il 26 settembre 1778 l’altare fu fatto da Vincenzo Lupidi da Montolmo, oggi Corridonia; mentre gli stucchi furono opera del milanese Stefano Interlenchi. Con grande solennità nel 1779 furono traslate le reliquie del patrono dall’antica pievani sul monte.
Nella pala arcuata d’altare, il dipinto, olio su tela è firmato, dal pittore Fermano Ricci Filippo che vi ha lasciato il simbolo del suo giglio, sono raffigurati san Marco evangelista a sinistra con sul libro la scritta: “ Sit tibi Marce evangelista Decus “ (Onore a te o Marco, evangelista) e sulla destra si vede san Gualtiero da Servigliano con suo pastorale, in abito scuro monastico e sulla sua spalla destra si nota la croce stellata, tipica del Carmelo. Nel dipinto, dall’alto scende l’illuminazione, con la colomba, simbolo dello Spirito Santo, tra putti angelici. La mitria è deposta a terra.
IL RELIQUIARIO DEL CAPO
Il meraviglioso reliquirio sta a dimostrare l’antichità del culto intensamente sentito e condiviso nel territorio piceno.
Il reliquiario del cranio è riservato alla comprensione della fede, non destinato a mostre né musei, a motivo dell’esclusività liturgica della reliquia del teschio, da non presentare all’indifferenza verso il senso cristiano che questo esprime. La sua elaborazione è creata con precisi riferimenti nelle linee architettoniche, nell’iscrizione, nelle immagini, nelle finestrine, nella cimasa che è la croce del Cristo. La base ed il fusto sono tipici di un ostensorio o di un calice che significano l’elevazione e l’offerta all’Altissimo. L’edicola sopraelevata ha vetri di visuale aperta al capo (testa) che ispira ai fedeli la fiducia nella salvezza, secondo l’epigrafe sull’archivolto: “Il tuo capo è una nostra salvezza.“
Questo ostensorio a base di calice con edicola contenete la reliquia del cranio ha una vera corona con il significato di onorare l’alta dignità del santo serviglianese, secondo la liturgia: “Gloria et honore coronasti eum”, lo hai coronato di gloria e di onore. Il pinnacolo a piramide indica la memoria elevata del beato. Sul globetto, simbolo del pianeta terra, è inserita la croce nel senso biblico: “Nostra gloria è la croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
È elaborato in ottone fuso, sbalzato, cesellato, e dorato, completato da lamine d’oro. La corona è fiorita con perline; mentre gli smalti e le paste vitree di colore verde, rosso, blu, rendono l’assieme spettacoloso per la preziosa ricchezza degli elementi decorativi che fanno riferimento ai simboli come le foglie tripennate, le immagini cristiane, i numeri trinitari delle componenti di trilobate e delle triplici punte foliari, anche i dodici globetti di perline nella corona sono un numero simbolico. Ciascuna delle 12 cimase della corona hanno le croci fogliate e tre rametti. I riferimenti degli studiosi rinviano all’arte tardo gotica marchigiana e abruzzese, nonché veneta; nella molteplicità degli elementi d’insieme non va dimenticato l’artigianato degli orafi romani, dati i collegamenti di Fermo e del Fermano con la Roma pontificia, centro artistico mondiale che accolse in modo sincretico varie esperienze di oreficeria.
L’elaborazione della base con sei spigoli e sei segmenti circolari mostra altrettante foglie tripennate incise su fondo bucciato ad arancia con punzone. La loro punta è rivolta verso il collarino ove è scritto: “ +SUB ANO \ MCCCCTRE \ IN’ XI: D MA \ RINI IOhIS \ PLEBANI \ FCT: H’ OP F. “ +Nell’anno 1403 indizione XI don Marino di Giovanni pievano fu fatta quest’opera.
Il nodo centrale ha sei nielli incastonati su sfondo di smalto violaceo e si riferiscono a due trittici: il primo trittico è Cristocentrico con la figura Gesù che sorge dal sepolcro e con le immagini della beata vergine Maria sua madre e dell’apostolo Giovanni che erano ai piedi della croce, secondo il Vangelo. Altri tre nielli si riferiscono alla comunità serviglianese, che venera questa reliquia: il Leone alato raffigura San Marco titolare della parrocchia e patrono della cittadina; sant’Antonio abate richiama il giuspatronato del Comune di Servigliano sull’altare di questo santo; infine l’abate San Gualtiero è raffigurato con pastorale e mitra è il venerato compatrono, il cui cranio è qui raccolto.
Il fusto ha inoltre sei specchi esagonali con altrettante croci contornate da foglie, a significare che la Croce cristiana è albero fiorente di vita. Il sottocoppa circolare serve da base immediata per l’edicola anch’essa a sei facciate a vetrate le quali sono cuspidate ad arco trilobato e corniciate con punte foliari. Il numero simbolico trinitario si nota nello spicco delle tre punte foliari su ciascuna parte sopra ai trilobi. L’arte era vivificata dall’apostolato degli Ordini Mendicanti.
Agli spigoli dell’esagono sono aggiunte le torrette in lamine d’oro, traforate con pasta vitrea rossa, a significare la fortezza perché la grazia divina è vissuta con la resistenza coraggiosa contro le debolezze. La splendida corona è posata sul capo e fatta aderire al tempietto sottostante con fettuccia di porpora recante il sigillo di ceralacca a timbro cardinalizio. Non si tratta di guglie architettoniche, né di rosoni. E’ una corona contraddistinta da perle quadrate vitree, contornate da foglie fiammeggianti e sormontate da cerchi culminanti in 12 timpani traforati, 12 come gli apostoli che sono le fondamenta della Chiesa di Cristo. La piramide che sovrasta, anch’essa esagonale, ha nella cuspide il globetto coperto di smalto e sormontato dalla Croce. E’ opera d’ignoto orefice forse romano.
La custodia del prezioso reliquiario fu realizzata in noce verniciata, conformata nei particolari alle sue forme, e rivestito all’interno di velluto rosso, opera dell’artigianato fermano del legno.
Il grande sarcofago ad arca in cui erano tutelate le ossa reliquie del santo abate serviglianese nell’ottobre 1779 fu trasportato nel nuovo centro urbano che aveva ricevuto nome Castel Clementino dal sovrano fondatore Clemente XIV e posto presso l’altare dello stesso titolare, dove ancora si conserva.
A tempo dell’arcivescovo Fermano cardinale Cesare Brancadoro (1803-1837), forse in occasione della sua Visita pastorale del 1805, le ossa che erano chiuse nel sarcofago marmoreo furono collocate in un’urna lignea sormontata da mitria simbolo dell’abate. Ha forma di piccola arca parallelepipeda a facce rettangolari. La copertura piramidale ha modanature dorate agli spigoli , con vetrate nelle facciate di prospetti a giorno, e poggia su ovati scanalati. Agli spigoli verticali sporgono lesene ornate con intagli di rosette e di festoni foliari giustapposti. Colore bianco con dorature alle cornici e quattro faci simboliche in legno agli angoli superiori.
Dopo le varie pubblicazioni che dal 1613 di notizie su san Gualtiero da Servigliano, dopo le molte opere di architettura, pittura, incisioni, disegni, non manca la poesia. Nel 1969 il poeta dialettale serviglianese Rinaldi Rinaldo cantava “ San Gualtiero e la Madonna “ e tra l’altro:
Vincesti, o san Gualtiero, gran periglio
per conquistare di Dio un grande amore!
Qua, si potrebbe dire, eri in esiglio,
che superasti senza alcun timore:
la tua vita fu casta come un giglio,
chiara come la neve il suo candore;
e quando poi ti richiamò il Signore
gloria avesti in cielo e in terra onore.
Di tante sofferenze sei premiato;
il sacrificio tuo ti ha aperto il cielo.
E pel bene da te sempre operato
della Madre di Dio ti copre il velo.
Risarci i danni del nostro peccato,
proteggi noi con amoroso zelo.
Or che lassù hai un altro tempio eretto
Rivolgi a noi tuo sguardo benedetto.

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