BONGIOVANNI ANGELA BENEDETTA Servigliano 1640 Potenza Picena 1713 serva di Dio . Notizie Quondamatteo don Giorgio

NOTIZIE SULLA FRANCESCANA ANGELA BENEDETTA BONGIOVANNI Servigliano 1640 Potenza Picena 1713
Le notizie sulla serviglianese Angela Bongiovanni (1640-1713) sono desunte dal libro di Quondamatteo d. Giorgio intitolato “Vita della serva di Dio Angela Benedetta Bongiovanni Clarissa 1640-1713” (Fermo 1982). Nella prefazione lo scrittore dichiara di aver minuziosamente esaminato le carte del processo conservato nell’archivio diocesano di Fermo per scrivere la sua biografia. Inoltre dichiara che è giusto far conoscere una perla di rara bellezza la cui conoscenza porti a glorificare Dio e sproni a camminare sulle vie della santità. Le testimonianze scritte risultano anche dalla biografia della stessa Bongiovanni di Silotti Giovambattista che fu suo maestro spirituale per 32 anni e dalla testimonianza di Giuseppe Guidi che la seguì per nove anni fino alla morte avvenuta all’età di 70 anni.

IL PAESE NATIVO
Angela nacque a Servigliano il 23 gennaio 1640 dal capitano Carlo Bongiovanni e da Maria Jaffei e le fu dato il nome di Angela nel battesimo celebrato da suo zio Don Andrea Jaffei pievano della parrocchia serviglianese di San Marco. Questo zio la ammaestrò nella fanciullezza fino al 1651, anno della sua morte.
Esiste ancor oggi uno spezzone del muro della torre della casa natale di Angela. Il vecchio centro urbano di Servigliano era sull’altura panoramica di 440 m slm, dorsale tra i versanti dei fiumi Tenna a nord ed Ete a sud, confluenti nel mar Adriatico. Questo oggi non esiste più perché andò completamente in rovina per il movimento franoso dei terreni tra il 1750 e 1770 tanto che il pontefice Clemente XIV (1769- 1774) con chirografo del 9 ottobre 1771 dispose la costruzione di un nuovo centro urbano in località “Madonna del Piano” e questa costruzione fu portata a termine dal successore Pio VI (1775- 1799) con il nome di Castel Clementino. Nel 1863 il Regno dei Savoia riede il toponimo di Servigliano.

ANGELA FANCIULLA EDUCATA CRISTIANAMENTE
L’abitazione in cui nacque Angelo Bongiovanni nel secolo precedente al movimento franoso, risulta nelle “Memorie del diruto Castello di Servigliano” scritte Monti d. Celestino. La casa era sita vicino alla porta del castello a sud verso Santa Vittoria con un torrione della porta stessa ed era l’ultima del centro urbano da questo lato. Proseguendo fuori di esso, verso ovest, si trovava il convento e la chiesa di S. Agostino ed è pensabile che Angela l’abbia frequentata.
Molte notizie sulla vita della fanciulla Angela provengono dalle lettere che ha indirizzate al suo maestro spirituale Silotti e da alcune testimonianze delle consorelle e dei compaesani. Da queste risulta che era una fanciulla umile, devota, modello delle coetanee alle quali insegnava in casa la dottrina cristiana ed era di buon esempio anche per il popolo. La sua fanciullezza cristiana era caratterizzata da una fervida pietà con attrattive alla preghiera e alla solitudine nell’unione con Dio e si distingueva per la devozione vivissima alla Madonna con amore solerte per la purezza e con disgusto per le vanità. Era vivace, allegra e decisa.
Fin dai primi anni fu coinvolta in fenomeni spirituali che dovevano essere l’atmosfera nella quale si sarebbe mossa per tutta la sua vita. Ecco alcuni aspetti ed episodi.

DEVOTA ALLA MADONNA CON IMPEGNO DI PUREZZA
Un segno anticipatore della sua angelica purità è un fatto riferito da diverse testimonianze. Da piccola, allorché un uomo le si avvicinava, lei dava in pianto e non si quietava se non quando l’uomo si allontanava, come soffrisse ad essere guardata da qualche uomo. Il biografo Silotti ha scritto: “Mi accorsi di aver trovato un’anima veramente compagna degli angeli per la purità e il candore della sua coscienza, gelosa custode della virtù al punto da aborrire, più delle pene dell’inferno, l’ombra del più leggerissimo peccato”. Per tutta la vita volle essere un giglio di virtù.
Di temperamento allegro e di ingegno perspicace, lei splendeva per la devozione alla Vergine. Pregava presso un dipinto della Modonna, con al collo il Bambino Gesù. All’età di cinque anni lei promise al Bambino Gesù che per suo amore non avrebbe mai fissato con lo sguardo un uomo, né avrebbe permesso di essere avvicina e farsi guardare, tanto meno di farsi toccare da alcun uomo o donna, neppure nel vestito. Questo suo impegno le è sempre riuscito.

FERVORE MARIANO
Lo zio Don Andrea la istruiva nei rudimenti della fede e la piccola li apprendeva rapidamente. Il parroco fu nei suoi riguardi un esperto giardiniere che ebbe la sorte di coltivare un docile germoglio. Egli, con il consenso dei genitori, la ammaestrava per un cammino di santità trovandola pronta d’ingegno, eccellente nella memoria e disponibile nell’animo.
La sua opera formativa si basò molto sulla devozione alla Vergine Maria. Nella stanza del piano superiore dell’abitazione teneva un dipinto della Santa Vergine in atto di stringere amorosamente tra le braccia il suo Figlio. Le diceva lo zio: “Per possedere ogni virtù, ricorri alla Madre di tutte le virtù, chiamala Madre e diventerai sua figlia, promettendole di voler essere più buona”. La bambina si recava a pregare la Vergine dicendo: “ Ricevimi per figlia, grande Signora e Madre mia, io vi dirò l’AVE e vi porterò i fiori”.
Si narra che dopo le suppliche di Angela, la beata Vergine un giorno alzò gli occhi verso di lei, il che l’ha lasciata fuori di sé. Da qui vennero le frequenti preghiere per lodare la Vergine con parole amorose, con canzoncine, fino a consegnarle, con incontenibile affetto, il proprio cuore. Una volta lei si ferì sulla fronte e per inavvertenza macchiò di sangue l’immagine della Madonna nel farle inchino. Allora esclamò: “ Oh, mamma mia, date il mio sangue al vostro Figliolino e ditegli che col sangue gli do anche il cuore”.
Progrediva nell’ardente venerazione per la Madonna che non la chiamava con il solo nome di Maria ma sempre con aggiunta di titoli e con inchini. La visitava con le preghiere sette volte al giorno e a lei chiedeva le sue virtù, specialmente l’umiltà. Non aveva ancora cinque anni e già sapeva leggere i salmi dell’ufficio della Beata Vergine. Li pregava ogni giorno mattina e sera insieme con il sacerdote, inoltre meditava la passione del Signore.

FAMILIARITA’ CON L’ANGELO CUSTODE
Ha iniziato da piccola a praticare una singolare familiarità con l’angelo custode che durerà tutta la vita. Discorreva con lui frequentemente e non faceva nulla senza il suo permesso. Una volta si ammalò gravemente e si temeva per la sua vita. Due medici chiamati al suo capezzale sentenziarono che ne sarebbe morta o ne sarebbe rimasta minorata. Lei pregò l’angelo suo custode di andare dalla Madonna per sapere qualcosa. In risposta l’angelo le sussurrò che guariva del tutto. In realtà così avvenne. Durante la malattia non ebbe alcuna impazienza. Fin dall’età di quattro anni faceva atti di rispetto e di riverenza al suo Angelo e così ha continuato fino alla morte.
Aveva per lui un tenero affetto e ne era ricambiata con molti favori, come quando fu da lui risanata da scottature che aveva ricevuto dall’acqua bollente di una caldaia. In altra occasione l’angelo le ricuperò un’ampolla che le era caduta in una cisterna. Inoltre dimostrava una grande amorevolezza verso l’Angelo custode del suo maestro spirituale, al quale poteva rivelare, per suo mezzo, notizie di cose passate e future, umanamente imprevedibili, per cui poté evitare pericoli persino mortali. Nel corso di questa biografia ci saranno altri episodi della familiarità con il suo angelo e dei favori da lei ricevuti.
Di due mancanze si accusò durante la vita: di aver usato arroganza con la sorella e di aver accusato l’Angelo custode presso sua madre. Di fatto una volta la sorella maggiore era ammalata e, contro gli ordini ricevuti, aveva chiesto da mangiare; allora Angela le diede uno schiaffo. Al pianto della sorella accorse la madre che sgridò Angela e costei rispose che era stato l’Angelo custode. Di questa brutta bugia si confessò si accusò più volte con dolore. Quanto lei cadde malata i medici chiamati la dichiararono molto grave gettando i suoi nello sgomento. Ma lei ricorse all’Angelo custode e alla Santa Vergine e guarì in modo inspiegabile, per dono divino.

AMORE AI VICINI E AI POVERI
La fanciulla era la contentezza del vicinato perché faceva da maestra alle altre fanciulle cui insegnava la dottrina cristiana e dava esortazioni alla bontà. Le amichette correvano da lei per i loro semplici divertimenti e lei le conduceva presso la Vergine a recitare l’AVE Maria. Raccomandava di promettere di star lontano dal peccato e insieme cantavano le canzoncine da lei composte.
Il Silotti ha scritto: “ A quattro anni cominciò ad osservare il comportamento dei suoi genitori e notò che erano molto caritatevoli”. Una volta vide sua madre togliersi una veste per darla ad una povera. Immediatamente lei si toglie il suo zinalino per darlo alla medesima, ma la madre non volle. Poi vedendola piangere, le diede un fazzoletto da donare in sostituzione del zinale.
Lei si addolorava quando osservava i disagi dei poveri e dava loro quel che poteva. Raccontò anche i suoi momenti di nervosismo. Un giorno rimproverò una domestica perché aveva trattato con troppa familiarità il cane di nome Giordano. Le disse di recarsi dal confessore per questo sbaglio. Rimproverò severamente anche il cane il quale si accovacciò mortificato. Alla conclusione si rappacificarono serenamente.

IL FATTO STRAORDINARIO DEL BACILE
Una volta le capitò che nel prendere un bacile di cristallo urtò contro qualcosa per cui il bacile le cadde a terra rompendosi. Lei, sgomenta per il danno arrecato, ne raccolse i pezzi e li portò davanti alla sua Madonnina pregandola di poter rimediare. Poi intimorita per il danno fatto, corse a rifugiarsi nella cantina dove era una grande vasca piena di acqua e, precipitosa, vi cadde dentro. Vedendosi in pericolo pregò la Santa Vergine e l’Angelo custode.
Gli si fece avanti un bambino di incomparabile bellezza che si offriva a liberarla, ma lei, per non farsi toccare da nessuno, preferì evitarlo. Il fanciullo le sorrise e scomparve. Intanto dal fondo dell’acqua le sembrò che qualcosa la spingesse verso l’alto. E si trovò a galleggiare. Per farsi udire si mise a cantare. Giunse un servo a darle una mano, ma lei rifiutò e lo mandò via. Accorsero i genitori stupefatti nel vederla galleggiare e la liberarono.
Allora il suo pensiero tornò al bacile e corse subito a vedere presso l’immagine della Santa Vergine e lo trovò tutto intero, risanato. Questo fatto è documentato da una sua lettera da lei scritta al Silotti ed era risaputo in paese sicché fu testimoniato da altri nel processo.

CANTARE SI’ BALLARE NO
Aveva sei anni quando venne un suo zio da Fermo, il marchese De’ Nobili che voleva insegnarle a ballare. La cosa le ripugnava, ma non voleva darlo a vedere per non contristare i genitori a cui obbediva a qualsiasi costo. Si rivolse allora alla Madonna ed ecco che un sabato mattina mentre iniziò la danza, cadde malamente e un piede si ingrossò gravemente, con preoccupazioni di tutti. Fu chiamato il medico, ma lei non voleva essere toccata dicendo: “ Il piede ha dato gusto al diavolo e ha avuto il suo castigo; si applichi piuttosto sul piede una fascetta che sia stata a contatto con l’immagine della Madonna e tutto passerà”. Così avvenne di fatto.
Dopo questo supplicava suo padre di dispensarla dal ballare dicendogli che dispiaceva al Signore. Il padre acconsentì e in cambio dispose che imparasse a suonare l’arpicordo o spinetta in cui lei provava grande delizia. Una volta però, accortasi che il maestro di musica, procuratole dai genitori, la rimirava fisso, non esitò ad allontanarsi e spezzò quello strumento musicale.
Giunta all’età di 12 anni sapeva suonare e cantare sulla partitura. Oltre ad esercitare la memoria usava molto l’ingegno per cui, come scrive il Silotti: “Sapeva inventare bellissime specie non meno nel suono che nel canto, alimentando così l’interiore fiamma dell’amore divino in una armonia di lettere, suono e canto con cui non si saziava di lodare la sua santissima Madre e il suo dolcissimo Figliolo.”

LA PIANTICELLA NELL’OTTIMO TERRENO
I genitori, osservandola, erano commossi di tenerezza. Facevano intervenire lo zio Don Andrea che riscontrò la mirabile disponibilità della nipotina la quale faceva tesoro dei suoi insegnamenti. Per non tralasciare nulla affinché la bambina crescesse nell’autentica santità cercò di procurarle una buona cultura umanistica per mezzo di due buoni sacerdoti di cui uno le insegnava a leggere e scrivere, l’altro il canto figurato.
Era inclinata al bene, con passioni vive, equilibrate e dominate. Fino ad 11 anni ebbe l’incoraggiamento dello zio parroco che la vide progredire anche nella virtù, rivolta alle cose di Dio. Ha scritto il Silotti che quel che si compiva in quella tenera fanciulla, non era frutto di umana industria, bensì opera dello Spirito Santo. Cresceva come una gentile pianticella in ottimo terreno. Costatando la sua formazione, lo zio parroco la chiamò ad insegnare in chiesa la dottrina cristiana ed anche a parlare alle donne anziane dei misteri della fede e lei lo faceva con tale grazia e competenza da commuovere l’uditorio.
Era immersa nelle cose celesti e preferiva le letture che trattavano dell’amore di Dio. Convinta di non praticare la bontà, raccontava le sue colpe, o meglio quello che credeva essere le sue colpe, ma con proposito di evitare il male ovunque lo scorgesse.

DESIDERIO DELLA COMUNIONE
Angela offriva ogni giorno se stessa chiedendo a Gesù Eucaristia la comunione spirituale e dedicava molto tempo alla preghiera e alla meditazione sentendosi invogliata alla solitudine con Dio. Alla quotidiana comunione spirituale in unione morale con la Santa Messa, bramava ardentemente unire la comunione sacramentale, ma dato che aveva 11 anni non le veniva concesso e si struggeva per questo desiderio. Ogni volta che si presentava in confessionale chiedeva che le fosse permesso di ricevere Gesù nel suo cuore.
Il confessore le diceva che doveva aspettare almeno tre anni. Tre anni di attesa sembravano a lei migliaia di anni e, visto che non otteneva quanto desiderava, si rivolse alla sua cara Madre Celeste affinché pensasse lei a ottenerle la grazia ed in cambio lei prometteva di inasprire la disciplina corporale che usava praticare due giorni alla settimana, inoltre prometteva di astenersi dai cibi più delicati, nei limiti posti dal confessore.
Diceva di essere di temperamento “troppo vivace e troppo sentito” e temeva che le passioni potessero prevalere sullo spirito. Fin dall’età di 12 anni cominciò ad esercitarsi nel pieno dominio e nell’equilibrio di se stessa e ci riuscì bene, tanto che in età avanzata poté scrivere al suo maestro spirituale: “Dio mi fece tanto padrona di me stessa che il senso non ebbe più ardire di farmi guerra”.

PRIME AVVISAGLIE
A 13 anni Angela pensava che per potere assicurare la sua salvezza eterna e ottenere vittoria sopra le suggestioni pericolose alla sua età, doveva cambiare vita. La cosa migliore le sembrava farsi religiosa in un “osservantissimo monastero” come scrisse. Però il pensiero di dover stare chiusa tra quattro mura, dover lasciare la sua casa, dare addio ai genitori, la gettava in grande angoscia, come sballottata dalle onde in tempesta. Decise di rivolgersi alla sua cara Madre Celeste. Con profondi sospiri la supplicava affinché le ottenesse dal divin Figlio di essere da lui accolta per “sua serva e sposa”.
Si sentì rispondere dalla Beata Vergine: “Quando sarai visitata dal mio Figliolo, allora sarà stabilito il tuo stato, allora sarai sua vera sposa”. Angela pensava che queste parole alludessero alla sua morte, anche perché desiderava morire giovane per unirsi con Dio.

CENNI DALLO SPOSO
Un sabato mattina, mentre recitava nella sua camera l’ufficio della Beata Vergine, sentì cantare sotto la finestra: una voce soave più angelica che umana, mentre dalla finestra penetrava un grande splendore. Si affacciò e vide un bellissimo “Pellegrino” (così lo ha chiamato) che aveva del divino e dell’umano con la faccia splendente più del sole. Ecco il dialogo:
“ Bene affacciata, giovinetta!”
“ Benvenuto, bel Pellegrino.”
“ Voi siete mia sposa, datemi il vostro consenso.”
“. Se mi cantate un’altra lode, vi darò il consenso.”
Il Pellegrino cantò un canto sulle tre divine Persone e quando arrivò al Figlio, diceva essere lui il Figlio che le sarebbe stato fedele. Questo canto le diede tanto animo che subito espresse il suo consenso. In cambio ricevette un bellissimo anello, tanto splendente da non potersi guardare. Lui disse: “ Giorno e notte sarò con te.“ e disparve.
Colma di giubilo, andò a sfogarlo all’arpicordo, cantando così:
< Te ne sei fuggito, mio caro e bello amante, da me te ne sei partito, \ e per buona ricordanza mi hai lasciato il diamante; \ torna, torna, o mio tesoro! La tua sposa langue, pena e more.>

PROGETTI DEI GENITORI
A questo punto sopraggiunse nella stanza la madre, turbata da questo canto che considerava ‘profano’ per cui la sgridava severamente ed accompagnava le parole con uno schiaffo, che lei accettò volentieri. Inoltre, tanto era rapita dal misterioso Pellegrino, che decise di farsi monaca Cappuccina, distaccata da tutte le cose e da tutti, anelante solo allo sposo divino.
I suoi genitori invece avevano tutt’altre mire: volevano affidarle la direzione della casa. Angela preferiva essere la serva delle serve e starsene appartata nella stanza superiore della casa per dare gusto al suo Pellegrino, alla Madre di Dio, al suo Angelo custode. Il padre glielo permise, la madre fu più riluttante.
Intanto la giovinetta ardeva nel desiderio di veder ritornare il suo amato Pellegrino e nel suo cuore un fuoco divampava sempre di più. Rivoltasi all’Angelo custode perché le parlasse del Paradiso, quegli le parlò della Santissima Trinità, dei cori angelici, tanto che il cuore di lei fu come sopraffatto da una fiamma incontenibile da non reggere più, per cui pregò l’Angelo dicendogli: “Basta! basta, non più, non più!“

NOVITA’
Dopo sei mesi, ecco che dalla finestra vede tornato il Pellegrino, atteso con ansia, in candidissima veste, tessuta di splendidi ricami e perle preziose, su cui erano raffigurati i segni della passione e con in una mano la crocetta di diamanti e nell’altra mano la corona di spine d’oro. Alla vista di questi segni si sentiva bruciare dentro e fuori e sarebbe caduta in terra se l’Angelo non l’avesse sostenuta. Si sentiva struggere al punto che cominciò a dubitare se non fosse un inganno.
Il pellegrino le confermava che sarà sua sposa. Allora è andata a sfogare ancora il suo giubilo all’arpicordo, ma la cosa finì, come in precedenza, con un ceffone da parte di sua madre, ignara dei misteri della figlia.
Da quel momento, a chi le domandava del suo futuro, rispondeva evasivamente che si era impegnata con un pellegrino. “Mille volte- dice il biografo Silotti – le apparve lo sposo sotto sembianze di pellegrino fino a che non entrò in convento “

SCACCIA I BURATTINAI
Fu quando aveva tredici anni che, erano giunti in paese, per la festa del santo locale, S. Gualtiero abate (4 giugno) alcuni burattinai per dare spettacolo e guadagnarsi qualche soldo. Allora volle vedere ballare i burattini, senza però volerli sentire né cantare né parlare. I burattinai avevano alzato il palco proprio presso la sua casa. Ma quando fu sul dunque, al sentirli e al vedere tanta gente intensamente attenta come nemmeno faceva in chiesa, provò tanta noia che senza pensarci due volte rovesciò sopra quei poveri disgraziati un secchio d’acqua dalla finestra. Fu un fuggi fuggi. Lì per lì ne fu orgogliosa, ma poi provò scrupolo e rimorso e pregava Dio che la perdonasse chiedendo che non ci fosse alcun danno alle loro anime.
Questo era avvenuto ad insaputa dei suoi genitori, i quali venuti a conoscenza dell’accaduto, al loro ritorno, chiesero spiegazioni alla figliuola del suo comportamento. Lei dette le spiegazioni e la cosa passò liscia.

RESISTE ALLE INSIDIE
A servizio della marchesa De’ Nobili, di Fermo, in villeggiatura a Servigliano, c’era una damigella esperta di scaltrezze, che, con impegnata abilità, tentò di dissuaderla dal proposito di farsi monaca, raccontando le delizie delle amicizie del mondo e descrivendo molti piaceri, senza che questo – le insinuava tranquillamente – fosse in contrasto con la propria coscienza, che avrebbe potuto benissimo servire Dio rimanendo in casa. Angela non si lasciò toccare dalle insinuazioni della damigella la quale anzi ottenne l’effetto contrario, anche quanto ebbe modo di ritornare all’assalto.
Un giovane di Servigliano si era invaghito della nostra giovinetta, attratto non meno dalla sua bellezza che dalla vivacità del suo carattere, doti ricevute dalla natura. Lui fece del tutto per averla come sposa. Fece conoscere le sue intenzioni ai genitori di lei, i quali si dissero felici di averlo come genero, non appena la figliuola avesse superato l’idea di farsi monaca.
Per raggiungere il suo scopo, il giovane chiese aiuto alla damigella di cui sopra. Costei l’assicurò che Angela non avrebbe resistito alle sue arti. E un giorno venne a portarle, a nome di quel giovane, un anello con diamanti. Angela le ordinò di riportarlo immediatamente indietro e poiché quella rifiutava, prese l’anello e lo scaraventò nell’orto sottostante. La malcapitata ragazza, sgomenta, corse a recuperarlo.
Ma la scaltra non desistette. Con meraviglia di Angela, ricomparve decisa a vincere la battaglia e ricominciò a magnificare le attrattive e i piaceri del mondo. Angela, lì per lì, rimase indifferente a quei discorsi, successivamente ebbe un momento di esitazione, come se la sua volontà tentennasse. Subito le arrivò in faccia un sonoro schiaffo, mentre una voce interiore le diceva: “Sleale e infedele, così mantiene le promesse fatte!? “
Capii che la lezione veniva dall’Angelo suo custode, per cui lo ringraziò.

LA SUA SCELTA
Con il permesso dei genitori, a 13 anni ebbe la fortuna di recarsi a un colloquio con Bartolomeo di Saluzzo (1558- 1617) dei Frati Minori osservanti riformati, nella chiesa della Madonna del Piano di Servigliano. Lo vide in estasi staccato da terra quanto un braccio e più. Tornato poi dall’estasi la chiamò al confessionale e le disse: “Questa è la nostra monacuzza!” Capì che sarebbe stata religiosa.
Le disse che Dio tanto l’amava e sarebbe accolta presso il convento di San Tommaso in Montesanto (oggi Potenza Picena), ricordò che aveva corso un grosso pericolo a causa di quella damigella emissaria del diavolo e le ingiunse di mandarla via subito, assicurandola in quel frangente che lui l’avrebbe assistita. Inoltre le riferì che avrebbe avuto combattimenti con i demoni, ma che Dio l’avrebbe assistita, ed anche altri avvenimenti della sua vita.
Angela tornata a casa mantenne l’impegno e scacciò quella damigella che ne rimase tanto spaventata da averne gran febbre. Angela pregò per la guarigione di costei, che, una volta guarita, venne a chiedere perdono e a ringraziarla per averla ammonita per la salvezza dell’anima.

ALLA SANTA COMUNIONE
Quattordicenne le è concesso di fare la santa Comunione due volte la settimana, il martedì e il venerdì. Un martedì in confessionale il sacerdote le disse che non può darle l’assoluzione perché lei non è disposta ad ubbidire ai suoi genitori. Lei disse che bisogna obbedire a Dio prima che ai genitori. Poi cercò un altro confessore, ma con lo stesso esito. Finalmente il terzo confessore la comprese, assolvendola. Tornò tutta raggiante a casa, ma suo padre la raffreddò dicendole che pensasse ad altro, non al monastero. Ci rimase male, ma, pur sconsolata, non si perse d’animo e per scoprire le vere intenzioni del padre, fece ricorso ai buoni uffici del suo maestro di musica che era un sacerdote fidato e ben disposto. Costui si informò e riferì alla nostra che suo padre non aveva intenzione di lasciarla partire. La cosa la gettò in un profondo sconforto e spense la sua vivacità, tanto che suo padre se ne accorse e per distrarla la condusse ad una partita di caccia. Lei godeva nel contemplare le bellezze del creato e procedendo in giro insieme col padre lodava Dio. Quando si soffermava con un pastorello gli insegnava il Padre nostro e l’Ave Maria. La caccia durò parecchi giorni.
Con la madre sorse un nuovo contrasto. Un giovedì mattina le ordinò di vestirsi lussuosamente. Lei aveva promesso alla Madonna di non seguire nessuna vanità e nonostante la ripetuta intimazione della madre, rifiutò il lussuoso vestito. Si ebbe un sonoro schiaffo. Poi rassicurata dalla beata Vergine e dall’Angelo custode, obbedì. Chiese alla Madonna la grazia di non vedere nulla. Uscita di casa vide quel tanto che serviva per raggiungere la chiesa, poi la vista le scomparve. In compenso udiva armonie da paradiso, e al momento dell’elevazione dell’Ostia la vide rilucente come il sole, senza vedere in alcun modo il sacerdote.

IL TRAGUARDO VICINO
Anna Caterina Bongiovanni era la sorella maggiore di Angela ed era entrata in monastero tra le clarisse di Potenza Picena, paese allora chiamata Montesanto. Queste monache aveva avuto avvio quando erano viventi san Francesco e santa Chiara, come dimostrano due documenti di Gregorio IX in data 1227 e 1231. Il papa invitava i fedeli delle diocesi Fermana a sostenere generosamente questo monastero dove la buona vita era modellata a quella di san Damiano in Assisi.
Con la costanza di Angela il padre poté valutare meglio le decisioni della figlia, manifestandosi ora condiscendente. Sua madre invece si opponeva e con pianti e lamenti rimproverava la figlia di ingratitudine, di insensibilità nel voler lasciare sola sua madre nella vecchiaia e preferire un suo capriccio ad una madre che tanto l’amava. Di fronte a queste scene di dolore accorato della mamma, la povera figlia rimaneva smarrita, temendo di accorciarle la vita e le sorgeva il dubbio se davvero fosse volontà di Dio l’andare in monastero.
Una mattina, alzatasi presto, andò a prostrarsi, lacrimante, davanti al suo Crocifisso chiedendo di conoscere cosa dovesse fare. Ad un tratto sentì una voce come di Angelo risuonare nel suo cuore, una dolce armonia di paradiso che si protrasse poi fino alla sua entrata in monastero. Riconobbe la voce del suo amabile Pellegrino. Si fece animo chiedendo quali fossero le novità. Il Pellegrino rispose che tra pochi giorni sarebbe stata sua sposa nel convento di San Tommaso a Montesanto, che stesse serena senza preoccupazioni per sua madre alla quale avrebbe provveduto e difatti questa visse novant’anni. Prima di partire, il Pellegrino le chiese di cantargli una bella canzone e lei così cantò:
Con le viscere del cuore \ dolcemente ti saluto,
siate pure il benvenuto \ o amante mio Signore
vi saluto, sposo mio \ con amarvi come Dio.
Rispose il Pellegrino:
Figlia mia cara e diletta \ nuovamente
per mia sposa vi accetto “
e le promise che si sarebbe fatto nuovamente vedere, dopo l’entrata tra le religiose.

EVENTI E DISAVVENTURE
Subito si reca dai suoi e con sorpresa li trova disposti a darle il permesso desiderato di entrare nel monastero delle Clarisse entro 15 giorni, prima della festa di S. Carlo (4 novembre) che si celebrava in paese. Ma il diavolo ci mise la coda. Una inserviente dal buco della chiave l’aveva osservata mentre stava affacciata alla finestra e riferì ogni cosa ai suoi genitori. Questi vollero capire ogni cosa, della finestra aperta, della luce e del canto d’amore. Ci fu un po’ di tensione da parte del padre e la madre era sdegnata. Poi di fronte alle spiegazioni della figlia in cui traspariva innocente candore, il padre si commosse e di nuovo confermò il permesso datole.
La cosa ebbe un prolungamento perché Maddalena, la vecchia governante, molto affezionata ad Angela, avendo visto che la domestica aveva fatto la spia, andò a punirla. Alle grida accorse Angela e liberò la domestica dalle mani di Maddalena, la portò con sé e la consola che tutto era accaduto per il bene dell’anima sua. Alla fine le due donne fecero pace.

PARTE CON NUOVE PROVE
Arrivato, finalmente, il giorno della partenza, baci abbracci, e pianto dei genitori. Vedendoli afflitti ne fu intenerita e pregò il Signore di consolarli e chiese per sé tanta forza. Uscita di casa fu assalita da nuovi dubbi, se tutto fosse stato un suo capriccio e quel ‘Pellegrino’ non fosse un inganno, ma subito sentì dentro di sé una voce che la rassicurava.
Lungo il percorso sul ‘birroccio’ (calesse) tirato da un cavallo, lei tutta allegra cantava lodi al Signore. Durante il viaggio, nel discendere per una costa, poco mancò che perdesse un occhio a causa di un ramo di pianta spinosa che incrociò sulla strada, fino a sfiorarla. Giunta a Monte San Giusto fu assalita dal dubbio di non poter resistere per tutta la vita chiusa in monastero. Si fece pensierosa, perdendo la voglia di cantare. La cosa non passò inosservata. Allora il padre le propose di tornare indietro se non si sentiva, ma lei chiese di volersi consigliare con un religioso di Monte San Giusto.
Si recò da lui che la rassicurò trattarsi di tentazione e che proseguisse pure tranquilla il suo viaggio. Ma i dubbi non le davano tregua: “Dove vai? a stare sempre rinchiusa!?” le pareva di vedere il monastero come una grotta oscura piena di contrasti. Contemporaneamente sentiva una voce sussurrarle: “Torna a casa, Se vuoi salvarti! se entri in religione non si ti salverai! “. Lei era consapevole che erano tentazioni e le trascurò, proseguendo il percorso. Ma ecco che il cavallo si imbizzarrì, si impennò. Angela invocò l’Angelo custode del padre Antonio Grassi religioso filippino vivente a Fermo. Così il cavallo si acquietò.

IN MONASTERO
Arrivò al monastero la sera del 3 novembre. Durante la notte venne assalita da un grande febbre per cui le proposero di tornare a casa, allora invocò la Vergine Santa che la rassicurò di stare in religione quel giorno 4 novembre, che la febbre sarebbe presto svanita, come di fatto avvenne.
Nell’entrare in monastero le sembrò di entrare in paradiso. Il mattino seguente vennero alla grata il padre, la madre e i parenti che la videro allegra e in buona salute, ma lei vide la grata circondata da demoni. Non disse nulla. Capì che quelle male bestie in parlatorio facevano “un buon guadagno” come scrisse. Se fosse stato per lei l’avrebbe fatto murare. Questa visione fu per lei di grande avvertimento tanto da voler evitare, per quanto possibile, il parlatorio. I genitori non sapevano staccarsi dalla figlia. Finalmente riuscirono a ripartire.
Lei fu allora avvertita della prossima morte di suo padre. In monastero era affidata alla maestra delle novizie e le consorelle l’accoglievano con amore e festa. Tra queste manifestava indicibile gioia sua sorella Anna Caterina.

VESTIZIONE
Nel giorno della vestizione, mentre si trovava nel coro, venne ammaestrata dalla Madre di Dio, la quale le raccomandò l’umiltà, il disprezzo di sé, la carità, la perseveranza. Le parve di vedere Gesù con una pesantissima croce che la invitava a portarla anche lei:
“ Ti basta l’animo a portarla? “
Gli rispose schiettamente:“ Spero di sì col tuo aiuto: piuttosto morire che mancare alle promesse”.
Fu poi sorpresa dal timore di non riuscire ad essere fedele. Le ritornava l’angoscioso dubbio di un eventuale inganno, che Satana avesse preso l’apparenza di pellegrino. Per tre giorni venne tormentata da questo dubbio senza che lo confidasse ad alcuno. Poi pregò la Madre celeste, la quale ancora una volta la rassicurò che non si era ingannata, che il Pellegrino era suo Figlio e la esortò, qualora il dubbio riaffiorasse ancora, di confidarsi completamente con il suo padre spirituale, come fece subito con un padre gesuita che la confortò.

NOVIZIATO
Durante il noviziato era attenta alla sua maestra da cui non si distaccava se non qualche volta col suo consenso per andare da sua sorella Anna Caterina. Angela amava molto la regola, l’orazione, sempre obbediente al suo confessore, si esercitava nell’umiltà, nell’osservanza del silenzio fino a stringere i denti quando le veniva la voglia di parlare fuori orario, nella lettura di libri spirituali, specie sulla passione del Signore. Seguitava per il resto ad esercitarsi nel cantare e nel suonare.
Una sera, desiderosa di far penitenza, si disciplinava aspramente credendo di non essere ascoltata, invece le consorelle se ne accorsero, per cui fu severamente rimproverata dalla maestra e successivamente in refettorio doveva confessare il suo errore, di aver agito senza il dovuto permesso. Provò in ciò tanto rossore quanto mai aveva avuto in vita.
Dopo nove mesi venne a trovarla suo padre. Fu una profonda consolazione per entrambi. Lei aveva un’amarezza per l’avvertimento interno che le annunciava che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo vedeva. Di fatto morì di lì a pochi giorni. Ne provò grande dolore e mentre effondeva la sua ambascia davanti al Crocifisso, sentì una voce che la rassicurava che suo padre si trovava già in Paradiso. Questa cosa le fu confermata dal padre Antonio Grassi di Fermo, da lei interpellato, secondo il quale suo padre aveva passato in purgatorio solo poche ore.

LA PROFESSIONE RELIGIOSA
Avvicinandosi il giorno della sua professione religiosa, un suo zio, residente a Roma, le mandò un messo per invitarla a lasciare l’abito religioso e ad andare ad abitare con lui; che se voleva, rimaneva religiosa e l’avrebbe messa in un altro monastero insieme con sua sorella.
La risposta di Angela fu netta e decisa: non aveva nessun motivo né idea di lasciare il suo monastero. Le giunsero altre lettere per farla deflettere dal suo proposito, ma lei rimase ferma. Voleva tutta la sua vita consacrata al Signore in un’offerta continua, totale a Colui che l’aveva chiamata.
La sua offerta voleva immolarla giorno per giorno sull’altare della carità, dell’umiltà, del sacrificio, nella piena rinuncia di se stessa, attraverso innumerevoli prove. Non sarebbero certamente mancate le vessazioni diaboliche frequenti, ma sempre comportata e sostenuta dallo Sposo celeste e dalla sua cara Madre Maria in un continuo rapporto soprannaturale.

LA SPOSA FEDELE
Il suo biografo e padre spirituale don Silotti ha scritto che lei era veramente compagna degli angeli. Aveva un ardente desiderio che Gesù Cristo fosse amato da tutto il mondo e lo voleva servire nelle altre persone. Desiderava per sé gli uffici più bassi. Poiché in parlatorio la chiamavano santa, faceva il possibile per non andarci, salvo quanto era obbligata.
Si dispiaceva molto se non poteva soccorrere un povero. Quando era portinaia una volta si recava, all’occorrenza, dalla Superiora a far presente che non poteva rimandare i poveri sconsolati. Una volta impietosita dalla necessità di una certa Maddalena, le donò la coperta del suo lettuccio. Costei raccontò il favore ricevuto alla Superiora la quale non mancò di rimproverarla. Altra volta aveva dato ad una povera una camicia credendo che fosse sua, mentre era di una sua consorella. Lei pregò l’Angelo custode e la camicia fu ritrovata al suo posto.

VITA NASCOSTA E CONTRADDETTA
Il biografo D. Silotti ha scritto che per 40 anni fu afflitta e umiliata da otto religiose che la rimproverarono, la screditavano, la svergognarono, l’offesero in termini aspri, accusandola di essere ipocrita, ghiotta, ubriacona, scaltra, che simulava santità per averne lode, in occasione del fatto che a volte lei appariva come ubriaca. Dicevano che dal suo letto emanava odore di vino, benché non ne bevesse affatto e si togliesse la sete con l’aceto e il fiele.
I fenomeni singolari che avvenivano a suor Angela erano interpretati da alcune malignamente come segni di una vita poco confacente alla vita claustrale; tuttavia lei mai si risentì, vinse se stessa in modo superiore al temperamento schietto, con eroica virtù, anche con offerta della propria vita.
Rendeva bene per male, senza cedere ad alcun risentimento. Una delle consorelle, vicina di mensa, ha attestato di averla ingiuriata per 40 anni, trattandola da ipocrita e altro del genere e lei mai fu risentita, non rispondeva, chinava gli occhi e il capo. Benché molto sensibile, rimaneva come indifferente di fronte alle persecuzioni.

UMILTA’
Alla domanda fattale un giorno dal confessore don Guidi perché mai, in monastero, non fosse apprezzata mentre fuori era conosciuta e stimata perfino dall’imperatore Leopoldo, rispose che dipendeva dal fatto che aveva chiesto al Signore che la tenesse nascosta. In monastero alcune la schernivano come se volesse fingersi santa.
Diceva di sé che era una peccatrice e la sua umiltà se la conquistava con la violenza fatta a se stessa, perché di natura era sanguigna e risentita, tanto che ad un medico che un giorno le cavava sangue, uscì detto che quella monaca doveva mettere sossopra il convento.
Suor Angela diceva: “ Senza umiltà una religiosa è niente.“ Quando era accusata dissimulava l’accusa e desiderava ogni bene per la persona che l’accusava. Sentiva dispiacere se qualcuno le parlava della nobiltà di famiglia come condizione disdicevole per una religiosa.
Quando era incaricata come maestra delle novizie, era discretissima con queste, amorevole, prudente, umile. Chiedeva perdono alle novizie che non la gradivano e la evitavano.

PIACERE AL SIGNORE
Era animata da grande desiderio di voler piacere al Signore, e diventare simile allo Sposo con l’amore, con l’umiltà, con la fortezza nelle contraddizioni pur frequenti in monastero e che lei trovava addirittura scarse per il suo la sua ardente sete di offrirsi a lui. Supplicava lo Sposo di caricarla con abbondanza della croce e un giorno così pregava: “Patire per voi, puro patire: voglio con voi crocifiggermi e rendere amore per amore”.
Non è facile narrare le forme di mortificazione da lei praticate. Eccone alcune: andò per lo più cinta di cilicio o catenelle o strumenti di penitenza. Riservava a sé le vivande avanzate, condendole con aceto e fiele, tanto che il Silotti annota che consumò in 27 anni ininterrotti, 200 fieli di buoi. Preferiva i cibi avanzati.
Di venerdì, alcune volte non mangiava, altre volte solo pane ed acqua. Un venerdì, comandata di mangiare prese due fette di pane e le cosparse con fiele e aceto per provarne l’amarezza.
Voleva essere povera e pura. I denari che le venivano dati dai parenti, li passava tutti alla badessa, senza tenere nulla per sé. Indossava le tonache che le passava sua sorella Anna Caterina. Ha scritto d. Silotti che a 37 anni benché fosse di temperamento vivace, non sapeva nemmeno una cosa vergognosa contro la verginità. “

PENITENZE PERMESSELE
Ecco un elenco delle penitenze per le quali fu autorizzata dai confessori: vestire poveramente, dormire vestita tre ore della notte, portare le scarpe senza suole e il venerdì applicarci una grata di fili di ferro con puntine, portare cilici di ferro, andare di continuo cinta di cordicelle per tutta la vita di giorno e di notte, fare sette discipline tra il giorno e la notte e di queste due a sangue.
Dopo fatte le discipline usava bagnare le ferite con aceto e anche con buttarvi della cenere, secondo l’ispirazione di Dio. Di notte faceva visite al Santissimo Sacramento, alla Madonna, poi, non vista, si ritirava in camera finché non suonava la campanella per andare in coro con le altre.
Il cardinale Cenci arcivescovo Fermano la obbligò a moderarsi. In una lettera del 24 gennaio 1706 ringraziava il suo direttore di permetterle qualche penitenza per i suoi peccati e per imitare in qualche misura i dolori di Gesù Cristo.
Nelle tre ore di riposo, usava tenere una corda nel letto con cui si legava mani e collo per non dare soddisfazione al suo corpo.

PER LA SALVEZZA DELLE ANIME
Fu invitata, una volta, a pregare per un peccatore. Lei si flagellò tanto intensamente che una consorella contò fino a 400 staffilate. In una lettera al cardinale Cenci scrive che una crocetta da 12 anni le si era internata talmente nel corpo da procurarle dolori inauditi. Riferiva nella lettera come le fu tolta. Lei si vide stendere sopra un candidissimo manto. Poi ebbe nelle mani la crocetta, mentre provava un fortissimo dolore con la fuoruscita del sangue. Il manto poi venne tolto, ma rimase il dolore che lei si augurava durasse fino alla morte.
Noi moderni che non immaginiamo le mortificazioni, e di fronte a tante asprezze, arricciamo il naso, proviamo un senso di ripulsa, giudicandole disumane, frutto di mentalità esagerata; ma è un fatto che nella storia della Chiesa, lungo il corso dei secoli, queste cose si sono ripetute e si ripetono regolarmente anche ai nostri tempi. Le anime si salvano con la croce, e come Gesù col sangue.
Nel 1708 provò grande pena quando seppe che l’esercito imperiale di Giuseppe I si era accampato con i suoi soldati, anche protestanti, in Italia. Si temeva un altro saccheggio di Roma e il cardinale Fabrizio Paolucci, segretario di Clemente XI mandò a chiedere preghiere alla nostra religiosa. Lei ebbe visione del feroce saccheggio di Roma, la penultima notte di agosto e la notte seguente. In visione il pontefice le parve afflitto, circondato da molte genti e strapazzato tanto da dare in pianto e febbre. Sentì urla per cui pregò la Santa Vergine che il pontefice non ricevesse alcun male. Il papa indisse un giubileo.

VESSAZIONI DIABOLICHE
Per 40 anni ci fu una guerra dichiarata tra la serva di Dio, Angela e il demonio, come si legge anche nella vita dei grandi santi. Il demonio si accanisce con tutto il suo furore specialmente contro le persone che gli strappano le anime, salvandole.
Il demonio tentò piegarla in tutti i modi, ma lei lo fronteggiò senza vacillare, con fortezza e grandezza d’animo fidando completamente nello Sposo celeste, che fece in modo che tutti gli assalti si risolsero in altrettante sconfitte per il maligno ed altrettante testimonianze di amore di lei verso Dio. Con voci spaventose, rimbombi e fracassi, scuotimenti di muri come terremoto, con apparizioni mostruose, il demonio la spaventava, durante l’orazione di giorno e di notte.
Giungeva a percuoterla con sbarre di ferro, trascinarla per terra e ferirla. Una volta, il demonio non riuscendo a farla desistere dalla preghiera, le trapassò da parte a parte il piede destro con un chiodo appuntito, e orribili sue risate, lasciandovelo conficcato. Il padre spirituale, don Silotti dubitando della verità di questi fenomeni, volle accertarsi di persona ed ha scritto che quel chiodo lungo cm. 9 era in suo possesso e ne ha lasciato un disegno nel manoscritto della biografia.
Una volta le disse di mettersi a pregare in sua presenza. Allora vide quel corpo percosso, voltato, trascinato da una forza invisibile, umanamente inspiegabile che però cessò non appena mise su di lei una corona di Rosario che era stata a contatto con la corona della beata Giovanna della Croce spagnola (1481- 1534). Le lasciò questa corona addosso, e il demonio non poté toccarla, benché tentasse più volte di rapirgliela. Con l’aiuto dell’Angelo custode sempre la ritrovò. Con questa corona ottenne molte guarigioni e dopo la morte di lei, fu riconsegnata al donatore don Silotti.

“MALATASCA”
Quando stava assistendo una sua consorella, fu fortemente strapazzata dal suo nemico infernale che lei chiamava “Malatasca“. Una volta che era andata a prendere acqua alla cisterna il maligno tentò di buttarla giù dentro e si salvò soltanto grazie all’intervento della Madonna e dell’Angelo custode. Allora il maligno si vendicò facendola cadere dalle scale, ma ancora una volta si ritrovò sanata per grazia divina.
Una sera chiese permesso di seguitare a vegliare una consorella, ma la badessa, in considerazione che aveva vegliato cinque notti, la rimandò in camera. Venne qui di nuovo a farle guerra il nemico dicendo “Maledetta sii tu che mi fai tanta guerra! “ e la colpiva da farla cadere tanto violentemente in terra che le monache che stavano di sotto si impaurirono. Dal volto le uscì molto sangue. Il demonio, non soddisfatto, si mise a batterla con verghe fino a ridurla tutta nera e tanto indebolita da non reggersi in piedi. Lei attese che passasse qualche consorella a darle un po’ di aiuto, come avvenne.
In questi frangenti le apparve più volte la Beata Vergine a rincuorarla a combattere con fortezza a somiglianza del suo Figlio che anche lui provò le tentazioni. Lei allora era colma di consolazione e di gioiosa gratitudine verso la Mamma celeste e rispondeva che era pronta a combattere contro tutto l’inferno fino al giorno del giudizio.
In altra occasione, il demonio, per impedirle di pregare la notte, la sbatté con la testa per terra, e contro una cassa da farla tramortire, poi la legò poi con una corda e la trascinò intorno la stanza per cinque volte, lasciandola priva di forze. Per giunta il nemico le spegneva la lampada. Ma ecco apparire un lumino di straordinario splendore, mentre due persone invisibili la rialzavano e la rimettevano nella sedia dove lei riprendeva a pregare, senza alcuna ammaccatura.

INFESTAZIONI
Udiva assiduamente una voce che l’avvertiva di tenersi pronta per una fiera battaglia. Lei si sentiva sgomenta temendo di non saper resistere, poi si abbandonava con fiducia nel suo Signore. In una delle tante lettere inviate da lei al suo padre spirituale don Silotti, afferma che se avesse dovuto fare un resoconto completo delle vessazioni subite da parte di satana, non sarebbero bastati 10 fogli. Eccone una per tutte: lei vide che la stanza era infestata dai demoni con ogni sorta di armi, dai quali veniva percossa con un subbio da telaio, con colpi tanto forti da cadere tramortita in terra ed averne le ossa rotte e non poter muovere un dito.
Ma intervenne l’assidua buona Madre del cielo accompagnata da grandi splendori, alla cui comparsa i demoni si diedero alla fuga. Allora sentì una mano sul capo e la voce: “ Questa è la mano della tua cara Madre “. Lei sfogò in un pianto di consolazione, sentendosi indegna di tanti favori. Si rialzò perfettamente guarita.
Nel 1708 il nemico infernale, per farla desistere dal pregare nell’oratorio da dove si scorge il santuario della Santa Casa di Loreto, come soleva fare ogni notte, dopo vari tentativi condotti, fino a quello di ucciderla, la portò in cima ad una scala per precipitarla giù. A questo punto si sentirono tre voci: “ Sposa mia non temere, fatevi animo, qui è presente il vostro pellegrino “; “ Figlia mia, patite allegramente che qui ha termine la vostra battaglia “. “ Vi comando in nome di mio figlio di non toccare più questa creatura “. E di fatto sino alla morte che avvenne cinque anni più tardi <1713>, non fu più molestata da aggressioni diaboliche e da quel momento ebbe le prove normali.

FUOCO MISTICO D’AMORE
Dal suo padre spirituale lei era provvista di quella corona che portava al collo nel fare orazione di giorno o di notte. Si poneva nella contemplazione della Passione del Signore, ma tanto al vivo che le pareva che il suo spirito bruciasse. Tentava di smorzare quegli ardori con le lacrime, ma non usciva neppure una, e quel fuoco diventava più gagliardo fino a penetrare nel suo petto, nel cuore, causandole un tormento indicibile. Esclamava ai piedi del confessore: “ Dio mio, Gesù mio! tante pene per voi e tanto amore per me “ rimanendo poi esternamente così infiammata che più volte il confessore pensò che dovesse morire ai suoi piedi di dolore e di amore
Una volta esclamò, in confessionale: “ Gesù mio, amor mio, vuoi tanto per me, non più non più “ e cadde svenuta e non rispondeva al sacerdote che la chiamava; rimase distesa senza respirare per circa 22 minuti. Nel timore che il suo cuore infuocato d’amore si fosse spezzato, il confessore chiamò aiuto, ma in quel momento la religiosa diede un forte respiro e si rialzò.
Rivolta al sacerdote gli diceva: “ Padre, contemplando nell’orazione, l’amore di Gesù per me mi accorsi che il mio cuore ardeva come un ferro infuocato e si dilatava tanto da non poter più stare dentro la cassa del petto che era sollevato e bruciato dal cuore dilatato. Sento di morire di calore e di soffocamento. Padre, aiutatemi perché se simile cosa si ripete, sicuramente morirò”.
Chiese il permesso di prendere dal pozzo un po’ d’acqua per refrigerarsi, ma il bagnarsi le vesti e queste asciugarsi era tutt’uno. Si era allora nella canicola. Giunti, poi, nel cuore dell’inverno, le fu permesso di prendere la neve che fioccava e mettersela sul petto, ma subito si prosciugava. Una consorella che le stava vicina a tavola doveva scansarsi per l’insopportabile calore che si sentiva e per cui la rimbrottava.

FENOMENI MISTICI
Dopo un’estasi in cui poté baciare la piaga del costato di Gesù, fu talmente arsa di calore che riscaldava ciò che toccava, lei si sentiva liquefare, struggere. Altra volta, sentendo in refettorio il racconto della vita di S. Maria Maddalena de’ Pazzi (1566- 1607) ne fu tanto infiammata, che dovette uscire nell’orto a rinfrescarsi, benché fosse in gennaio.
Dio intervenne a rendere sopportabile quel martirio, facendo sollevare a poco a poco la cassa toracica fino a poter contenere il cuore il quale si era dilatato con forza tale da alzare le costole del petto, così da formare una curvatura alta tre dita, come le consorelle poterono constatare alla sua morte.
Una volta dopo la santa Comunione si sentì priva del suo cuore. Lo vide in seno alla Santa Vergine, che dolcemente la guardava. Rimase così per cinque ore. Una volta, il 20 giugno, fu rapita nel contemplare il Crocifisso e rimase per tutto il giorno talmente inebriata che gli si vedeva nella faccia ammirata. Provò poi di sorbire l’amarezza di fiele e di aceto. Vide oscurarsi il sole e sentì tremare la terra.
Una vigilia di Pentecoste si sentì talmente ardere, che prese dell’acqua dalla cisterna e se la versò sulle spalle, ma in brevissimo tempo i panni si asciugarono. Nel giorno della Pentecoste visse la venuta dello Spirito Santo da esserne totalmente rapita.

LUCI SOPRANNATURALI
Sentendo una volta una dolcissima melodia di angeli che cantavano il Credo, simbolo di S. Atanasio, si sentì morire di dolcezza. Aveva sentimenti sublimissimi verso i misteri della fede, dell’Unità e Trinità di Dio.
Fu Gesù Cristo stesso che molte volte la illuminò circa quei misteri, mentre recitava l’ufficio divino, le cui lettere si trasformavano in tersissimo cristallo, attraverso il quale comprendeva chiaramente e con esattezza i detti misteri, l’Unità della natura e la distinzione delle Persone e altri attributi, anche se poi non sapeva esprimerli a parole.
Così pure comprendeva, nel breviario trasformato in cristallo trasparente, il mistero dell’incarnazione del Verbo, e come potevano coesistere Dio e l’uomo, l’uomo e Dio. Aveva ascoltato dal divin Pellegrino discorsi sublimissimi sopra l’amore dell’Eterno Padre diffuso sopra le creature e come il Figlio era generato dal Padre senza principio, come lo Spirito Santo procedeva pure senza principio dal Padre e dal Figlio, e con quanto Amore il Figlio fosse disceso dal cielo per la salvezza dell’umanità. Lei diceva poi di essere incapace di esprimerlo.
Durante un’ottava del Corpus Domini, come alienata dai sensi, ebbe rivelazioni altissime sopra l’Incarnazione del Verbo divino e l’Eucaristia.

STRIMMATE E RAPIMENTI
Ebbe le stimmate nelle mani, nei piedi e nel costato, ma ottenne dal Signore, come S. Caterina da Siena che queste non apparissero all’esterno. Ne sentiva realmente il dolore. Il padre spirituale ha scritto di aver veduto sulla sua mano destra una cicatrice lunga tre dita circa e di aver ascoltato la testimonianza delle religiose che dopo la morte era stato notato che la cicatrice del piede era ancora fresca.
Fu anche favorita da rapimenti da cui lei cercava di liberarsi, quando poteva prevederli. Il 26 agosto 1699 dopo essere stata tormentata dai demoni, fu confortata dal Signore con la visione della SS. Trinità. Tale fu la dolcezza della visione che si sentì sollevare da terra. Tentò di resistere, ma lo sforzo le causò vomito di sangue, e dovette abbandonarsi all’attrazione, sollevandosi da terra.
La vigilia della memoria della Santa Croce, il 14 settembre dello stesso anno, vide apparire luminosissima la Santa Croce che faceva splendere tutti gli strumenti della Passione, dopo di che fu tanto il desiderio di partire che si flagellò a sangue e cadde in un amoroso deliquio per un po’ di tempo. Quindi le apparve una bellissima Signora che, postole un dito in bocca, le fece gustare una dolcezza indicibile. In precedenza il demonio aveva causato puzza e nausea che la Mamma celeste fece sparire.

LUCE E ODORE SINGOLARI
Fu constatato che le sue vesti emanavano un singolare odore. Lo verificò il confessore che sentì emanare dal suo scapolare della Madonna del Carmine un odore tale che – disse – “non poteva essere di questo mondo “. E quando per ordine del cardinale Cenci arcivescovo Fermano costui dovette trattenersi in chiesa per un’ora al finestrino della S. Comunione, sentì emanare dalla persona di suor Angela un odore più gradevole di gran quantità di profumi di cedro. Il profumo rimaneva negli sportelli del finestrino. Ebbe a constatarlo di persona il card. Cenci in confessionale e disse: “ E’ segno della somma purità della sua anima“.
Ebbe tentazioni per un po’ di tempo nella fede sulla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Dietro suggerimento di alcuni sacerdoti, si mise a ripetere prima di ricevere la Santa Ostia: “ Questo è Dio vivo e vero. “ Così l’hanno udita dire le persone vicine, le quali furono testimoni anche di questi due prodigi.
Il primo fu che quando lei si appressava alla santa Comunione, il suo volto luminoso splendeva di modo che la si poteva distinguere da tutte le altre persone. Anche al confessionale i confessori scorgevano questo splendore filtrare attraverso la fitta grata. Il P. Massenetti, gesuita, benché non la conoscesse, la individuò subito dal volto splendente.
Il secondo prodigio fu che accostandosi altre volte a questa santa mensa, videro la particola dell’Ostia uscire dalle mani del sacerdote per alzarsi in alto e poi posarsi sulla bocca di suor Angela Benedetta. Contemporaneamente a questo prodigio usciva da lei un singolare profumo.

MATERNE DELICATEZZE
Una volta, quando era sagrestana, doveva lavare i purificatoi liturgici, nell’imminenza della festa di S. Chiara, ma aveva difficoltà e per la quantità da lavare e per la riverenza a questi sacri lini. Era decisa a farlo e si alzò per questo scopo due ore e mezzo prima del solito, quand’ecco, mentre era in ginocchio, intenta al suo lavoro, recitando il Rosario, le apparve una bellissima Signora che, lei pure, si mise in ginocchio cinta di un asciugamano per aiutarla nella lavatura e le sue mani bellissime mandavano un odore di rose fresche e la sua faccia splendeva come il sole, da non potersi guardare; e restò finché non si finì di lavare.
Un giorno, davanti all’effigie della Madonna, lei chiedeva cosa potesse farle di più gradito. “ Figliuola – le disse – esercitati nella santa umiltà e ogni giorno di buon’ora recita il rosario intero” (tre parti) e lei cominciò a farlo. Ma passato un po’ di tempo o per mancanza di forze o per tentazione, pensò di pregare soltanto una terza parte del rosario. Un sabato, terminata questa parte, mentre si accingeva alle litanie, sentì una voce che iniziava la preghiera della seconda parte. Rimase incerta, e una voce sonora le disse: “ Questa era la volontà del Figlio mio e mia “. E da quel momento recitò il rosario intero ogni mattina e fu accompagnata per sei anni da una voce angelica. In seguito, in questa recita, fu disturbata dal maligno.

CONSOLAZIONI
Mentre recitava il rosario, un giorno, vide il coro monastico riempirsi di grande splendore, e le apparve la Santa Vergine in forma di bellissima donna vestita di bianco con il manto turchino, che la rassicurava, la consolava, la esortava a perseverare nelle sue preghiere.
Rientrata nella stanza, avvertì scuotimenti delle pareti, come un terremoto, ma lei non se ne curò attribuendolo ai suoi peccati, pur temendo di morire sotto le macerie. Allora la Santa Vergine riempì di nuovo la stanza di grande splendore e di una fragranza da procurarle gioie di paradiso. Lei confidò: “ Mi pareva di gustare la bellezza della pace di Dio”. Tuttavia, temette un inganno, cercava di resistere a tali consolazione e supplicava la Santa Vergine a privarla di ciò. Nel frattempo il tremore nella stanza ero cessato e lei poté tornare due volte, durante la notte, a far visita alla Madre di Dio.

RIVELAZIONI E VISIONE DELL’INFERNO
Viveva in paese un uomo depravato che una sera fu visto andare dietro alle mura urbane, dove si incontrò con due giovani forestiere. Dopo un breve abboccamento furono visti allontanarsi tutti e tre, ma quell’uomo non fu più veduto, nonostante le ricerche fatte per tutto il giorno seguente. Esortata dal confessore a pregare per quell’uomo, suor Angela Benedetta rispose che era stato strozzato da demoni. Di fatto, mentre pregava nella stanza della Madonna di Loreto, il pavimento cominciò a tremare come per terremoto. Lei versò l’acqua benedetta e vide due demoni strozzare quel poveretto e fuggirsene non appena avvertirono l’acqua benedetta. “ Fatelo cercare – disse – nel punto dell’angolo con la porta antica murata “. Quivi trovarono il suo corpo in aspetto deforme.
Fu condotta, una volta, a vedere l’inferno. Vide in quel luogo tenebroso una giovane da lei corretta in vita, a Servigliano. Costei le rivelò esservi caduta per i molti peccati mortali. Vide anche uno stuolo numeroso di persone che non avrebbe mai immaginato potessero dannarsi. E per il grande dolore che ne provò, ritornata in se stessa, si diede ad aspre penitenze da ridursi ad apparire incapace di sostenersi.
Riconobbe due del suo paese tra le persone dannate, la notte del 22 settembre. Le tornò in mente che ad una di queste, quando lei era sui 14 anni, aveva detto che era a repentaglio d’inferno per la loro pessima condotta. Ricordava la risposta che ne ebbe: che stesse piuttosto attenta a non cadervi lei stessa. Perciò ora se ne affliggeva maggiormente perché la vedeva che si torceva e si lamentava tanto atrocemente che ne provò grande spavento.

VISIONE DEL PURGATORIO
In visione fu portata anche in purgatorio dove riconobbe un parroco della sua terra che dopo 40 anni era ancora in purificazione. Per liberarlo si fece carico di aspre penitenze fino a che non fu redenta. Stando per uscire da quel tormento le rivelò le colpe per cui aveva dovuto subire tanta purificazione.
Nel giorno della festa dell’Assunta, mentre pregava, vide che la Beata Vergine liberava un’anima dal Purgatorio. Le disse che era la madre del cardinale Cenci, arcivescovo Fermano. Fu tale lo splendore che emanava da quell’anima che per tre giorni quasi non vedeva più.
Lo stesso cardinale Cenci, una volta, trattenutosi con lei nel confessionale, andò in estasi. Rientrato in sé, disse alla nostra serva di Dio che sarebbe morto prima di lei e precisò il giorno e l’ora. Allora fecero un patto che il primo che fosse morto, avrebbe fatto sapere il suo stato. Di fatto il cardinale morì nella data preannunciata e le comparve mentre era in preghiera, rivestito di abiti pontificali, sfolgorante di luce. Le disse “ Sono venuto per divina misericordia, ad adempiere la parola data. Sono stato un’ora in Purgatorio e quest’ora non fu di fuoco, ma di tenebre. Oh, quanto è doloroso stare solo un’ora lontani da Dio! Mi è parsa lunga 100 anni”.

PARADISO
Vide anche il paradiso dove le fu mostrato il posto a lei riservato, se fosse stata fedele al suo Sposo. Quello che vide in paradiso, non riusciva a spiegarlo. Vide una visione abbagliante di splendore tanto che ritornata in sé era come cieca, da non vedere niente.
Le apparve varie volte la consorella Francesca Ruggeri che lei aveva aiutato in vita per curare le sue brutte piaghe. La defunta recitò con lei il rosario e fece un discorso bellissimo sul paradiso. Poiché in monastero, nei tre giorni di carnevale, si era smesso di elevare preghiere alla Madonna di Loreto, raccomandò di riprendere questa pia pratica. Disse di non aver bisogno di suffragi, che stava in paradiso. Ne diede segno mostrandole la piaga sul petto che risplendeva con splendore di gemme. Era comparsa per darle conforto e per difenderla in occasione del futuro terremoto e assicurarla che non l’avrebbe mai abbandonata.

PREDIZIONI
Suor Angela Benedetta ebbe a predire varie cose con precise notizie a molte persone, anche al suo padre spirituale, cose che puntualmente si avverarono. Ad esempio in una lettera a lui inviata circa 20 giorni prima che avvenisse, diede notizia del terremoto del gennaio 1703. In questa assicurava che il monastero e le monache non ne avrebbero avuto alcun danno. Predisse anche il momento della cessazione di esso e aggiunse che questo terremoto aveva lo scopo della riforma di tutta l’Italia.
Di fatto, il 14 gennaio 1703 si avvertì un terremoto violento che produsse grande spavento e gravi danni in Italia. Un’altra scossa più violenta avvenne il 2 febbraio dello stesso anno con notevoli danni. La consorella defunta Ruggeri era tornata ad apparire a suor Angela Benedetta per rassicurarla che non le sarebbe accaduto niente.

IL TRAPASSO
Suor Angela Benedetta predisse con precisione la data della sua morte, benché non fosse creduta da alcune consorelle. Nel luglio del 1713, con anticipo di quattro mesi sull’evento, chiamò le consorelle e annunciò loro che presto le avrebbe lasciate. Chiedeva loro che non facessero mancare i sacramenti e i conforti della fede perché – come diceva – al primo insorgere della malattia avrebbe perduto i sensi e la parola. Avvicinandosi alla data supplicava il confessore che la assistesse con i conforti estremi, ma lui non la prese sul serio. Quando la udì insistere, le promise di accontentarla.
Un giorno, mentre apparentemente stava in buona salute con la sua solita giovialità, disse alle religiose: “ Ecco adesso mi ammalo e perdo la parola per sempre “. Di fatto cominciarono ben presto a venirle meno le forze e non parlava più. Il confessore, chiamato, le amministrò i Sacaramenti, mentre lei se ne stava con le braccia in croce stringendo il Crocifisso e respirando serenamente. Conservava ancora l’udito. Nei successivi 15 giorni di lucido riposo, ricevette la santa Comunione altre due volte.
Ecco il racconto della sua morte descritta dal padre spirituale don Silotti. “ Il giorno avanti la sua morte fui per molto tempo al suo letto sussurrandole all’orecchio che era venuto il suo caro Pellegrino, secondo la promessa fattale a suo tempo. Passai quel giorno e quella notte accanto a lei insieme con il confessore e con le consorelle.
Sentendo venir meno i battiti del suo polso le sussurrai le parole del rituale: “ Parti, o anima, da questo mondo “. Lei fece cenno di sì. La esortavo a invocare i nomi di Gesù e di Maria e all’orecchio per tre volte le sussurrai il nome di Gesù. A questo punto lei alzò la voce e pronunciò per 10 volte con voce alta e distinta: “Gesù” e nell’undicesima terminò la prima sillaba “Ge” e non finì, ma spirò dolcemente, volandosene, come è da credersi, agli eterni riposi. Era l’alba del venerdì 24 novembre 1713. “

SEPOLTURA
Il suo sereno cadavere fu tenuto esposto oltre 48 ore per soddisfare la devozione delle persone. Prima che fosse chiusa nella tomba alcune monache sentirono emanare dalla mano in cui appariva una cicatrice saldata, un profumo di “ paradiso “.
Fu sepolta in un avello speciale e come riconoscimento furono incise due croci su due mattoni, sopra la sua tomba. Così fu rinvenuta dalla Clarissa madre Agnese Palma il 7 giugno 1946, durante il lavoro di ‘riassettamento’. Era appunto sotto due mattoni con due croci incise, non nella sepoltura comune, ma in una tomba a parte.
Intanto il suo padre spirituale rifletteva se doveva considerare la defunta come una santa, oppure come una comune buona religiosa. Questo pensiero lo assillò per due settimane, finché fece ricorso alla Santa Vergine e all’Angelo custode. Ebbe un placido e soave riposo. Mentre fuori ad albeggiava, gli comparve un globo colore cinerino come la veste della defunta, dal quale uscì una voce chiara e distinta che diceva: “Raccontane “. Aperti gli occhi, mentre scompariva il globo continuava quella voce a dirgli, senza interrompersi: “ Fa’ noto ad ognuno ciò che sai”. Era il 6 dicembre, e consapevole di dover divulgare quanto sapeva della serva di Dio, cominciò a richiamare alla memoria quanto gli era noto, stendendo un ristretto della vita. Inviò questo compendio al card. Fabrizio Paolucci, pregandolo di esprimere il suo pensiero in proposito.

LA FAMA DELLE VIRTU’
il cardinale Paolucci rispose che già era a conoscenza della grande virtù della religiosa di cui aveva grande stima, pertanto riteneva opportuno che si istruisse un regolare processo canonico, mentre erano ancora in vita i testimoni. Di ciò voleva pregare l’arcivescovo Fermano mons. Girolamo de Mattei (1712- 1724) come fece con lettera del 19 maggio 1714.
Suor Angela Benedetta era stata tenuta in grande stima dal defunto card. Cenci arcivescovo Fermano dal 1697 al 1709 il quale aveva incaricato il generale dei Cappuccini P. Michelangelo da Ragusa a conoscerne la santità. Costui nell’ottobre 1715 indirizzava da Valladolid una sua lettera a don Silotti affermando di riconoscere in Suor Angela Benedetta un buon fondo di solide ed eroiche virtù. Diceva che alcune consorelle l’avevano giudicata male, ma lei non aveva mostrato mai alcun risentimento. Riferiva che dopo la morte del cardinale arcivescovo Cenci, avvenuta, come accennato, nel 1709, suor Angela Benedetta bruciò molti fogli dove, per ordine dello stesso arcivescovo, aveva descritto le azioni di Dio su di lei. Allo stesso P. Michelangelo la suora aveva predetto il generalato dei Cappuccini.
Per far redigere testimonianze, il card. Cenci, in precedenza, oltre al predetto generale dei Cappuccini, aveva incaricato altri superiori di case religiose che facessero accertamenti, il padre Antognozzi della Casa della Missione, il padre Liberati della Compagnia di Gesù e Don Ignazio Corradini curato di Santo Lucia, in Fermo.
Il Comune di Servigliano, paese natale, fece una delibera con voto unanime dei consiglieri affinché fosse istruito il processo canonico a maggior gloria di Dio, e furono incaricati di portare questa richiesta: Ludovico Tancredi e Giovan Luca Jaffei che la presentarono il 30 aprile 1714 all’arcivescovo Fermano mons. Girolamo de’ Mattei. L’arcivescovo prese decisione in data 15 marzo 1715 dando incarica al canonico Fabrizio Francolini con ordine di procedere.
Gli atti scritti di questo processo canonico diocesano risultano presenti nell’archivio arcivescovile di Fermo. In essi sono raccontati, tra le molte altre testimonianze sulle virtù, anche innumerevoli guarigioni, pure straordinarie, ottenute ricorrendo all’intercessione di suor Angela Benedetta o applicando sue reliquie sugli ammalati.

GRAZIE OTTENUTE PER L’INTERCESSIONE DELLA SERVIA DI DIO
Cenni su 16 grazie, testimoniate tra varie altre, nel processo canonico diocesano.
.1. Una donna di Grottazzolina (FM) colpita da acuti dolori viscerali con rischio di morte imminente, al tocco del velo di suor Angela Benedetta viene sanata istantaneamente.
.2. Anna Vincenza Tomasini di anni 27 monaca a Monte Cerignone (PU) sofferente da tempo di frequentissimi attacchi isterici, il 6 marzo 1718 colpita da più veemente attacco si rivolge a suor Angela e avverte subito un mitigamento dei dolori che poi scompaiono del tutto.
.3. Felice Antonio Vannucci capitano a Cingoli, colpito da grave febbre e somma inedia fa voto supplicando suor Angela Benedetta e immediatamente guarisce. Mantiene subito il voto.
.4. Il sacerdote Domenico Antonio Vecchiotti di Servigliano nel giugno 1723 malato con grave infiammazione ai polmoni, mediante l’applicazione di reliquie di suor Angela Benedetta, immediatamente ne guarisce.
.5. Rosa Costanza Gentili da Servigliano, ha una grave ferita alla coscia e la decisione del medico è di tagliare la gamba. Prega la Serva di Dio, applicandosi le sue reliquie e in poco tempo guarisce.
.6. Suor Maria Immacolata Paolini da Monte Cerignone (PU) colpita da ripetuti attacchi di cuore fino a perdere i sensi, nel febbraio 1718, invoca suor Angela Benedetta e immediatamente guarisce.
.7. Eleonora Tomasini di anni 26 monaca a Monte Cerignone (PU) rimasta inchiodata per sette settimane per attacchi epilettici si rivolge a suor Angela Benedetta e applica un pezzetto del suo abito su di sé e subito guarisce.
.8. Tommaso Angelini da Grottazzolina (FM) diacono colpito da veemente dolor di denti ricorre a don Silotti che gli accosta il chiodo datogli da suor Angela. Il diacono prega suor Angela promettendo alla Madonna di tenersi lontano da ogni impurità di mente e di cuore. Dopo queste parole gli cessano del tutto i dolori.
.9. Zita Margherita di anni 48, figlia di Pietro Gregovich slavo, sofferente di atroci dolori di denti non poteva mangiare nulla, quando vi applica un pezzetto dell’abito di suor Angela Benedetta, guarisce subito.
.10. Un bambino figlio di Nicola Pellegrini di Monte Milone (oggi Pollenza MC) nel gennaio 1715 è colto da attacco di “infantigliole” e in breve è ridotto agli estremi, moribondo. I genitori invocano suor Angela Benedetta e fanno ingoiare al bimbo un po’ di polvere del suo sepolcro. Il 23 gennaio il bimbo guarisce.
.11. Amata Teresa Colucci di anni 19 religiosa professa a Montegiorgio (FM), sofferente da due anni di convulsioni epilettiche violente, dopo che ha inghiottito un pezzettino del velo di suor Angela Benedetta le cessano gli attacchi. Altrettanto si verifica per una conversa del medesimo monastero di Montegiorgio, suor Tecla gravemente sofferente di petto che all’applicarvi le reliquie della serva di Dio guarì.
.12. Suor Maria Elisabetta Olivieri clarissa del monastero di Petritoli (FM) sofferente da otto anni di dolore all’occhio destro cecuziente, soffrendo dolori indicibili, invoca suor Angela Benedetta e guarisce.
.13. Margherita Martelli di Fermo, malata da idropisia, sorbisce per tre mattine un po’ di polvere del sepolcro della serva di Dio e si trova guarita.
.14. Agnese Teresa Silotti, da 17 anni sofferente per due grosse e dolorose piaghe, pone sulle piaghe una lettera scritta di suor Angela Benedetta e una piaga guarisce senza lasciare alcun segno; poi l’altra piaga guarisce lasciando il segno.
.15. Il fanciullo Camilluccio figlio di Francesco da Servigliano è colpito da atroci dolori di “torcibudello” e il medico gli prevede quattro o cinque giorni di vita. I genitori fanno un voto invocando suor Angela Benedetta, dopo poche ore è completamente guarito.
.16. Maria Pace Solimani clarissa nel monastero di S. Maria della Pace a Santa Vittoria in Matenano (FM) sofferente da più di due anni per una grave fistola, applica sopra le piaghe un pezzetto dello scapolare di suor Angela Benedetta e all’istante si trova guarita.

PREGHIERA ALLA SS. TRINITA’

O Dio Uno e Torino, Padre, Figlio e Spirito Santo
per il grande amore verso la vostra diletta serva
Angela Benedetta Bongiovanni che ricolmaste in terra
dei vostri doni e delle vostre compiacenze, degnatevi, se volete,
ve ne preghiamo, di glorificarla tra i fedeli
affinché il vostro nome sia glorificato e
il suo esempio di santità incoraggi le anime
ad amarvi praticando con tutto il cuore
la vostra santa volontà.
Amen

Chi riceve qualche grazia dalla serva di Dio suor Angela Benedetta
è pregato di darne notizia al parroco di San Marco in Savigliano (FM).

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