ARTE SACRA note di studio di Germano Liberati Fermo diocesi

1.INVITO A CAPIRE L’ARTE SACRA. Nota di LIBERATI Germano
La mia esperienza e quello che io ho sempre cercato nell’arte sacra, si possono compendiare in una espressione che suona così: la ricerca di un accompagnamento verso il divino e di una sua presenza. Nei miei studi e nelle mie riflessioni sono tanto affascinato da alcuni pensatori antichi e moderni, attenti su questo versante: da Plotino che nel riflettere sulla bellezza e sull’arte (V libro dell’Enneade) va oltre il contingente e si immette nel divino; a Schelling che, cassando drasticamente l’arida razionalità illuministica, non esita a dichiarare che l’esperienza dell’Assoluto è riservata all’artista e al mistico. Ed ai nostri tempi come trascurare Hans Urs von Balthassar che in una ricca e appassionata analisi della letteratura e dell’arte, vi coglie la grande manifestazione della gloria di Dio che è concessa all’uomo?
Ecco dunque che per me l’arte in qual si voglia forma, e l’artista di qual si voglia tempo, insieme al santo e al mistico, più di altri, accompagnano verso Dio, l’infinito, l’Assoluto, perché ci aiutano a percepirne la presenza. Mi sono chiesto costantemente e me lo chiedo ancora, osservando un’opera, e lo propongo agli altri: quale esperienza interiore ha animato l’artista, tale da poterla tradurre nell’opera? Cerchiamo in qualche modo di penetrarvi.
Se vogliamo esemplificare, chiediamoci, magari pensando ad opere d’arte che tutti conosciamo: quale esperienza ha guidato Giotto nell’offrirci la suprema visione della Storia della Salvezza tutt’intera, dai profeti al giudizio universale nella cappella degli Scrovegni, nel suo cominciar a “imbrattare” quei muri nudi, dall’arriccio e il tonachino ancor freschi? La risposta più convincente credo si possa trovare in quel lucido scrittore e finissimo critico che fu Piero Bargellini, quando la compendia in una sola frase: “Giotto è entrato in quella chiesina crisalide e ne è uscito farfalla”.
E che altro possiamo immaginare se non un’esperienza quasi mistica in Dante per poter scrivere certi passi del suo Paradiso o in Michelangelo in quella visione cosmica del divino nella Cappella Sistina; o in Caravaggio così inebriato da un furore struggente? E ai nostri tempi, quale esperienza interiore, ad esempio, invadeva l’anima di Chagall per offrirci le sue splendide vetrate? Allora domandiamoci: come metterci di fronte all’arte sacra, non accantonando ma oltrepassando il tempo, lo spazio, le epoche e gli stili per poterla intendere e penetrare al di là della contingenza della sua storicità?
Io credo che, in qualche modo, una risposta dobbiamo darcela, se vogliamo penetrare l’opera d’arte in modo da carpirne l’intimo. Vi posso abbozzare solo quello che cerco dentro di me dinanzi ad un soggetto sacro sia antico come può essere, per citarne uno, la Crocifissione di Haltdorfer, come ugualmente per uno recente come il Cristo giallo di Gauguin. Oh! Certo: l’artista è paradossalmente il più riservato e pudico degli uomini, ma anche proprio il più aperto: ha pudore nel farci penetrare nella sua esperienza interiore, tanto che nell’opera si direbbe quasi che voglia criptarla, e trasferendola in forme le più varie, dal simbolico all’astratto, dandocene magari un segnale che può essere un pass-wort; tuttavia nel medesimo tempo ce la getta in faccia quasi nel modo più sfacciato.
La fede, le esperienze o la ricerca del sacro sono proprio questo. Perciò analizziamo e disquisiamo pure su stili e storicità di un’opera d’arte; su contesti culturali e magari sulla biografia dell’artista, ma solo come propedeutica. Se ci fermiamo qui non attingeremo mai, come l’artista è riuscito o ha tentato di fare quel noumeno del divino che lo ha animato, certo in uno scontro impari, tradotto inevitabilmente in un balbettio di “rade e storte sillabe” (direbbe il Montale); che poi siano esse versi, pennellate o note non fa differenza. Allora?
Proprio questo è quel che ci rimane da fare e spesso non vogliamo, rifiutiamo. Non riusciamo a farlo per mancanza di simpatia con l’esperienza tradotta in opera e non ci lasciamo suggestionare da quanto ci vien dato. Questo lasciarsi andare invece è l’unico modo possibile per un autentico approccio con l’arte sacra e si chiama contemplazione. Per chi non crede è l’unico modo per percepire il già e non ancora di sé e la chiave di lettura della realtà, per mettersi in ascolto di una risposta e avvertire una presenza.
La contemplazione diventa preghiera; preghiera come quella del salmista: “Signore, il tuo volto io cerco, mostrami il tuo volto!”
**2 Conoscere e amare l’arte sacra. Discorso agli alunni di Servigliano (2007)
L’arte sacra si esprime in forme diverse e tutte interessanti: dall’architettura delle chiese alle decorazioni, i dipinti, le statue, gli oggetti per il culto, come candelieri, croci, calici e i tessuti che sono usati per gli altari e per i paramenti liturgici. E’ da questa varietà di ‘cose’, di forme e di materie che nascono valori spirituali.
Questi oggetti, collocati negli spazi sacri indicano la devozione dei fedeli, ci ricordano la storia della nostra fede, dei santi che la comunità cristiana di un paese ha venerato ed in nome dei quali ha compiuto e realizzato spesso opere di carità e assistenza importanti. Chi visita una chiesa, può ricostruire la storia della devozione, della carità di una comunità cristiana, del paese.
In molte comunità oggi si stanno riscoprendo i valori che le immagini trasmettono. La Chiesa ha creato delle strutture apposite nelle singole diocesi istituendo l’Ufficio Beni Culturali ecclesiastici che ha il compito di catalogare, proteggere, rendere fruibile il patrimonio, ma soprattutto far scoprire ciò che c’è dietro ogni opera: perché quel santo? Come si lega alla Comunità? Quale messaggio essa trasmette? Un’opera d’arte sacra, se non ‘parla’, non trasmette un messaggio di fede e\o di storia della fede di una comunità, non è nulla, per quanto bella possa essere, se ne è perso lo scopo per cui è stata realizzata.
In altri ambienti si è persa l’attenzione da parte della comunità dei fedeli, che sembrano disattenta ai valori profusi dalle opere d’arte sacra conservate nelle nostre chiese, e questo per vari motivi: c’è un’ignoranza diffusa su riti, celebrazioni sacre e quindi su tutto ciò che li correda; si è perso il senso di un’appartenenza nel sentirsi componenti di una comunità, per cui, tutto quello che riguarda la parrocchia, i santi patroni, le tradizioni tipiche e particolari, viene ignorato. Si è perso il valore pedagogico e catechistico delle opere e degli arredi sacri. Io penso che portando le persone in chiesa, o in un museo d’arte sacra, si faccia catechismo.
Tutti possiamo essere istruiti sulle opere che il proprio paese, la propria chiesa possiedono affinché imparino ad apprezzarle e quindi a diffonderne la conoscenza. Occorre esser formati ad apprezzare il bello ed il sacro per poterlo proteggere. Questa formazione ha lo scopo di far comprendere la bellezza, la storia, i valori spirituali ed affettivi di certe opere: questo percorso permette a ciascuno di sentirle come ‘proprie’.
I furti nelle chiese rientrano nella categoria legale dei furti d’opere d’arte come quelli nei musei, nelle collezioni private, ma non si tratta solo di questo. Chi ruba nelle chiese si rende conto di rubare un oggetto sacro oltre che un valore artistico e quindi di commettere un sacrilegio.
Per la tutela, per la conservazione, per la valorizzazione delle opere di arte sacra occorrono molti fondi. Gli enti preposti sono generalmente poco attenti a questo. I pochi fondi che stanziano sono per lo più destinati alle opere dei Comuni o delle Province; mentre per le chiese e i luoghi religiosi restano generalmente gli ‘spiccioli’.
***3 Museo di arte sacra: la fede di una comunità incarnata nella storia.
Il visitatore che entra in un museo di arte sacra, grande o piccolo che sia, percepisce subito che non sta solo, o non soltanto a bearsi di pregevoli opere d’arte. Sa che va ad ammirare, apprezzare, contemplare dipinti, arredi, suppellettili propri di un edificio sacro, che un tempo erano, e talora ancora sono di uso normale nella liturgia o oggetti di venerazione e di devozione o simboli di storiche aggregazioni religiose, quali le confraternite.
Sorge tuttavia spontanea la domanda sul perché di questo museo. Vi sono musei, infatti, che, per lo più, raccolgono sacro e profano, perché obbediscono a criteri cronologici o dall’autore o, peggio, metonimicamente, a materia e tecnica delle opere stesse. In questi casi, l’opera d’arte sacra vi è a pigione, diminuita del suo valore intrinseco, svilita di ogni senso, proprio perché viene annullata la funzione del codice che li trasmette: “un pasticcio di giovedì grasso e di venerdì santo” avrebbe esclamato l’acuto Manzoni.
Il frutto di tutto ciò è, da un lato, retaggio di requisizioni forzose di chiara memoria storica, di tortuosi percorsi antiquariali, di illegittime appropriazioni, e eufemisticamente dette depositi o prestiti dei beni della Chiesa. E’ anche la conseguenza inevitabile di un mutamento di orientamenti all’interno della Chiesa, con interventi sui riti liturgici e sulle forme della vita religiosa.
La prima ragione ha condotto ad un accumulo eterogeneo di opere ormai considerate solo per i pregi storico-artistici; l’altra, “e converso”, ad un dismesso uso di arredi e suppellettili o di quant’altro non ritenuto più utilizzabile. Proprio da questa situazione di fatto, è sorta la caratterizzazione del museo di arte sacra, ove trovino posto le opere di carattere religioso, con criteri adatti ad una lettura propria e adeguata, in dignità e decoro, garantite nella tutela della conservazione.
Del resto, questo modo di custodirle e di renderle fruibili ha radici assai lontane nella storia del cristianesimo: grandi cattedrali, fiorenti abbazie, famosi santuari hanno da sempre avuto il cosiddetto tesoro, che, in alcuni casi, esiste tuttora. Le fabbricerie di monumentali edifici sacri hanno istituito i ben noti musei dell’opera. Quanto ivi custodito poteva essere ammirato e nel contempo usato quando le esigenze liturgiche lo richiedevano.
Se, dunque, improprio può essere il termine museo, per l’idea che evoca, è certo valida la realtà della istituzione dei musei di arte sacra che ha molte e differenti valenze rispetto all’uso corrente. Resta comunque il fatto che una tale istituzione debba essere l’estrema “ratio” per opere di interesse religioso, qualora, cioè, esse non possano essere altrimenti conservate e tutelate. Resta infatti irrinunciabile il principio, ora accolto finalmente dallo Stato, che l’opera debba essere conservata là dove la committenza l’ha voluta, l’artista vi ha fatto riferimento nel crearla, le fede e la pietà l’hanno fatto oggetto di venerazione o oggetto di uso liturgico.
Un museo di arte sacra, dunque, istituito come soluzione alternativa, non può non essere che la ideale continuità dell’edificio sacro cui le opere appartengono, disponibili all’uso ogni qual volta la liturgia lo richieda. Va collocato perciò il più possibile vicino alla chiesa stessa, e in modo ottimale, nei locali di pertinenza, sicché il visitatore o il fedele che vi voglia accedere ne fruisca in contiguità all’edificio sacro con lo stesso spirito.
Si tratta infatti, di una sorte di “prolungamento” della vita ecclesiale della comunità, ne testimonia la fede, ne ricostruisce la storia. Questa particolare caratterizzazione individua la natura, diversa da quella di un museo di civili istituzioni, dove le opere spesso vi sono confluite per motivazioni improprie o per casualità, in un assemblaggio eterogeneo, fortemente straniante e senza un filo conduttore che possa determinare e “ricondurre all’unità” il loro significato.
La peculiarità dunque, di un museo di arte sacra è data dalla possibilità di ricostruire una storia di secoli della comunità cristiana cui ogni opera fa riferimento: suppellettili e arredi qualificano la dignità e il decoro delle azioni liturgiche, le donazioni mettono in evidenza cura e fede di famiglie e di singoli fedeli; opere pittoriche o reliquiari richiamano la devozione, la preghiera nel bisogno o nel pericolo, il ringraziamento per gli interventi provvidenziali. Gli arredi delle confraternite testimoniano la capacità di aggregazione ai fini di culto e carità, del popolo cristiano. Tutto ciò attraverso vari secoli, in forme e stili diversi, quasi una gara incessante di fede e di pietà.
****4.LA PINACOTECA GENIO LOCALE
Ogni luogo, come ogni persona, ha il suo generatore di vita intimamente connesso con l’esistenza del luogo. (cfr. Debuyst, F. Genius loci cristiano, Milano 2000). Una raccolta di arte sacra è questo genio locale, luogo intimamente connesso con la presenza del divino rappresentato in modo visibile, in un luogo. Il problema del fruire delle opere d’arte trova soluzione nel circuito di tanti musei locali che permettano di conservare “in loco” opere d’arte e suppellettili sacre delle chiese appartenenti allo stesso al medesimo vicariato
Per entrare in contatto con lo spirito del luogo servono conoscenze del carattere, dell’orientamento e della riconoscibilità. Il carattere è il complesso di connotazioni che ci fanno identificare e distinguere un luogo, come case, campagna, vallata. L’orientamento nel contesto da cui l’opera d’arte proviene (chiesa, convento, cripta) è ricerca, respiro, captazione visiva, concentrazione interiore. La riconoscibilità fa cogliere il senso profondo dell’opera sacra a vari livelli (storico, sociologico, iconologico, iconografico, stilistico) e la capacità del luogo stesso di comunicare il suo genio generatore di vita. Scrive il Paolucci: “ era necessaria un’aggregazione alla chiesa maggiore in modo che il museo fosse legato ad un edificio sacro ancora popolato e officiato, per permettere agli oggetti esposti di conservare quell’aura sacra che è elemento fondamentale per la comprensione di quella che è la loro specificità storica ed estetica; mantenere una contiguità fisica, una vicinanza, simbolica di cultura, di memoria, diritti, di consuetudini fra la realtà viva della Chiesa di oggi e i documenti della Chiesa di ieri (Intervista in Avvenire 12.03.2000).
In tali condizioni la pinacoteca della parrocchia offre un incontro con lo spirito del luogo. Scrivono di vescovi della Toscana, che l’uomo contemporaneo è affascinato dalle immagini che gli vengono proposte dalla tradizione del passato. Quando uno entra nella chiesa o in una pinacoteca ecclesiastica ammira architettura, affreschi, tele, statue e percepisce il carattere e la modalità principale della destinazione del luogo, ogni opera d’arte sacra ha riferimenti alla fede, alla devozione, all’uso liturgico e particolari annotazioni stilistiche e tecniche.
Il visitatore decodifica sia l’asse denotativo che quello connotativo, coglie un messaggio che ha la valenza di allargare lo spazio del sacro.
*****5.L’ARTE SACRA COME PROFEZIA.
In ogni museo o mostra ci si trova di fronte a molte opere, prevalenti, o quasi esclusive, opere di arte sacra. C’è da chiedersi: perché questo predominio? E perché questa conservazione durata da secoli e da millenni da parte della Chiesa? La risposta semplice ma ricca è che la fede ha una storia e questa non può essere cancellata, anzi è gelosamente conservata. Certo, è storia di una comunità, di una devozione, di una ininterrotta attività dell’impegno umano: anche in ambienti non cristiani e in istituzioni civili questo principio è entrato.
È da sottolineare questo motivo profondo per cui le diocesi tramite l’operatività degli uffici competenti nei beni culturali svolgono la politica di valorizzare e proteggere dell’arte sacra. Giovanni Paolo II nell’enciclica sul significato teologico delle icone del1987 per commemorare l’editto del concilio di Nicea del 787 a difesa del culto delle immagini, scrive: “ La nostra tradizione più autentica, che condividiamo pienamente con i nostri fratelli ortodossi, ci insegna che il linguaggio della bellezza, messo al servizio della fede, è capace di raggiungere il cuore delle persone, di far conoscere loro dal di dentro colui che noi possiamo rappresentare nelle immagini, Gesù Cristo.”
Nello stesso anno il patriarca di Costantinopoli, Demetrio, più esplicitamente afferma che “ l’immagine diventa la forma più potente che le verità della fede cristiana prendono”. Perché? Come mai tutto questo? La ragione è che l’arte sacra profetizza nell’oggi il memoriale storico con i segni del futuro escatologico. Vi è contenuto ed espresso un evento di salvezza nella persona di Gesù Cristo. Un evento che è storia vivente, è presente nel tempo, vissuto ieri come oggi e ogni volta che il domani diventa attuale, oggi.
Il segreto di tutto ciò è la bellezza la quale assurge a valore assoluto, sciolto da ogni condizionamento o regola del contingente: Omero, Dante, Giotto o Michelangelo varcano le contingenze del tempo e di ogni contesto sociale. Tutto ciò è possibile perché il bello, che è radicamento dell’essere, ha in sé un’evidenza che immediatamente illumina. Se tutto questo viene assimilato dal nostro spirito allora è possibile capire e più ancora incantarsi dinanzi al volto di Cristo, ad un’icona bizantina della Vergine, ad un Crocifisso o ad una estatica rappresentazione di Santi.
E la popolazione, i fedeli, gli amministratori e quanti hanno a cuore queste opere hanno da fruire questi scrigni di sacralità e di bellezza.
******6 – LA PASQUA E L’ESPERIENZA ARTISTICA. L’INCONTRO DI DUE MONDI. Mistero creativo e mistero salvifico.
La Pasqua nella sua valenza cristiana (passione, morte, risurrezione di Cristo) ha registrato nel corso dei secoli una dimensione artistica plurima e alta: si va dalla poesia alle arti figurative, alla musica, alle sacre rappresentazioni. Certo, l’arte è l’espressione interpretativa onnicomprensiva della realtà e la “realtà” della Pasqua, così ricca e coinvolgente, non poteva essere trascurata o accantonata. Al di là delle dimensioni umane di ogni opera, c’è da chiedersi perché artisti grandi e meno grandi, anche non credenti, si sono lasciati “travolgere” dalla serie di eventi pasquali che rappresentano per ogni uomo un vero mistero. Proprio riflettendo su questo interrogativo, penso di aver colto con maggior pienezza il senso di un’affermazione di H. U. Von Balthasar: “Il bello ha in sé un’evidenza che immediatamente illumina”. E’ come dire che il mistero creativo dell’artista incontra il mistero della divina salvezza; sembra assurdo, ma due misteri, incontrandosi, producono evidenza, perché l’assurdo, o meglio, il miracolo che si compie è quello dell’artista-uomo che s’incontra con Dio. Questa “eccezionalità” non può restar nascosta, si impone anzi, con un carattere così palese e irrefutabile, che ogni artista non può fare altro che ammetterlo e denunciarlo apertamente, rendendolo una certezza visibile. Due letterati insigni, Metastasio e Manzoni, di fronte al Cristo sofferente e glorioso, non possono far altro che affermarne l’evidenza, risultato di un incontro, e ciò fin dall’attacco di loro celebri testi: “L’alta impresa è già compita / e Gesù col braccio forte…vincitor ”, scrive il Metastasio. “E’ risorto, non è qui …”, esclama il Manzoni nell’inno al Risorto. E ancora, l’evidente potenza del Cristo vincitore emerge prorompente in Piero della Francesca e in Michelangelo. La sua solitudine nel “Cenacolo” leonardesco, il dramma nella potenza dell’”anelito della seconda vita” nel resurrexit della “Missa solemnis” di Beethoven che “illumina”, manifesta, trasmette, in un’equazione che è la più potente forma comunicativa: bello così, in tali forme, il segreto del mistero nell’arte.
Ma la grandezza del mistero pasquale non è certo compendiabile in nessuna singola opera degli artisti-uomini; di esso ogni lavoro evidenzia, illumina alcune delle infinite facce: il mistero del dolore come strazio dell’anima nei versi di Jacopone da Todi, il “condolère” partecipato nei corali della “Passione” di Bach, lo struggimento e l’implorazione nello “Stabat” di Pergolesi, quello muto e contemplativo negli affreschi dell’Angelico a San Marco.
Fanno seguito la gioia di un trionfo regale nell’”Alleluia” del Messia di Hendel o lo sprigionarsi dell’”ambito della seconda vita” nell’energia creativa del Cristo Risorto del Fazzini; e in tutte, il tempo più ampio della fede ritrovata nella “Cena di Emmaus” del Caravaggio, l’indifferenza o l’incomprensione nella “Cena e Crocifissione” della serie di tele della scuola di San Rocco del Tintoretto, l’atmosfera sacrale e composta nei “Responsori” di Ingegneri e di De Victoria.
E’ proprio perché l’uomo non avrà mai, in tutta la sua storia intera, la capacità di accogliere in sé tutto il mistero salvifico, la suprema fatica di tanti artisti di ieri, di oggi e di domani, è tesa a evidenziare quanto ancora non espresso e a illuminarci con la bellezza per una nuova e più profonda comprensione.
*******7.IL MUSEO DIOCESANO DI FERMO. Inaugurato il 15 luglio 2004.
La storia del museo diocesano di Fermo ha radici lontane perché quindici anni fa l’arcivescovo Fermano, mons. Cleto Bellucci aveva prospettato la necessità di offrire adeguata collocazione allo straordinario patrimonio artistico della cattedrale e di altri siti, procedendo con la progettazione e la conseguente realizzazione. Le opere erano ben custodite nei loro luoghi, ma non potevano essere ancora fruite da tutti. I locali necessari al museo sono ubicati a lato della cattedrale. Per i necessari interventi si susseguirono imprese, collaborazioni, e pareri delle Soprintendenze competenti in materia. All’architetto Fabio Torresi era stata affidata la direzione dei lavori e la progettazione dell’allestimento, dalla disposizione delle opere, al design delle teche.
Nel 1997 il successore mons. Gennaro Franceschetti ha creduto fortemente nel museo come “bene” pastorale e quindi come strumento di evangelizzazione e di incontro anche con chi non è particolarmente partecipe della vita cristiana, ed ha sostenuto, promosso, favorito e sollecitato la conclusione dei lavori ed ha curato la disposizione delle opere con adeguamento dell’apparato didattico. Al vicario generale mons. Armando Trasarti è stata affidata la oculata gestione delle risorse finanziarie. Finalmente il 16 aprile 2004, alla presenza del ministro per i Beni Culturali, on. Giuliano Urbani, di numerose autorità e gran folla di cittadini, il museo è inaugurato. Questo museo vuole essere il polo di una ricchissima e preziosa rete di musei e di raccolte parrocchiali, diffuse nel territorio dell’arcidiocesi. La Chiesa Fermana si sta dimostrando molto sensibile alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Numerosi sacerdoti con grande passione ed entusiasmo ed anche con sacrifici economici hanno sistemato locali, realizzato impianti, restaurato opere, allestendo piccoli, ma straordinari musei parrocchiali. Il territorio di questa arcidiocesi è costellato da tali raccolte che vanno da Massignano a Campofilone, a Carassai e, da Capodarco di Fermo, a Petriolo, a Corridonia, a Mogliano, a Morrovalle fino a Montefortino, mentre sono in corso di progettazione altre sedi ancora.
Il museo ecclesiastico si pone come luogo di valorizzazione e recupero di un patrimonio posto al servizio della missione della Chiesa e significativo da un punto di vista storico-artistico: è strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di conoscenza storica (Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, La funzione pastorale dei musei ecclesiastici. Città del Vaticano 2001).
Nel museo diocesano di Fermo sono ora custodite le opere d’arte che un tempo erano conservate nel tesoro della cattedrale, con l’aggiunta di altre provenienti dall’arcivescovado, dalle chiese di Fermo e dal territorio dell’arcidiocesi. Vi sono esposte testimonianze di un arco di tempo che dall’arte paleocristiana giunge fino agli inizi del novecento, ripercorrendo le diverse fasi costruttive della cattedrale, la presenza di insigni vescovi, i rapporti con il papato (tra cui i vescovi di Fermo divenuti papi come Pio III e Sisto V) e oggetti di uso liturgico, tracce di una costante devozione. L’esposizione è organizzata per tipologie omogenee, seguendo, all’interno di ognuna di esse, epoche e stili.
Le sezioni più ampie sono così costituite: Sala dei vasi sacri (calici, ostensori, pissidi, reliquiari e altro): suppellettili sacre di splendida fattura, tra due cui due calici gotici, un tempietto in lapislazzuli, l’apparato pontificale del card. Filippo Angelis, opera in oro dell’insigne orafo G. L. Valadier; il servizio di candelieri e croce d’altare, in cristallo di rocca; e numerosi altri lavori di celebri argentieri e orafi romani e locali (Piani e Raffaelli). Nelle sale dei paramenti sacri dal 600 agli inizi del 900; rilievo particolare è riservato alla casula di San Tommaso Becket, frutto dell’arte tessile di origine araba, datata 1116: la madre dell’arcivescovo di Canterbury la donò alla Chiesa Fermana in ricordo dell’amicizia tra suo figlio San Tommaso al vescovo Fermano Presbitero, suo compagno di studi a Bologna.
La Quadreria si dispiega in due sale e raccoglie opere di celebri artisti: Marino Angeli, Vittorio Crivelli, Carlo Maratta, Pomarancio, Corrado Giaquinto, Hayez, Luigi Fontana. All’ingresso, nella prima grande sala sono raccolti autentici capolavori, la parte più importante del tesoro della cattedrale: vi si possono ammirare, infatti, il Messale miniato nel 1436 da Ugolino da Milano, un inedito Messale miniato del XIII secolo, la stauroteca donata da Pio III di fattura probabilmente veneta con preziose miniature; il pastorale in tartaruga e madreperla, donato da Sisto V, il monumentale ciborio in bronzo dei fratelli Lombardi-Solari del secolo XVI, una xilografia raffigurante L’istituzione della Confraternita del Salterio di N. S. Gesù Cristo e della beatissima Vergine Maria da parte di san Domenico, una delle primissime testimonianze, databile all’ultimo quarto del secolo XV, della diffusione del Rosario.
Il museo diocesano di Fermo vuole essere una realtà viva e vivace, centro di cultura e di formazione, inserito come valido strumento nel progetto pastorale diocesana. Concretizzare tutto ciò, coinvolgendo le diverse realtà ecclesiali e non, è il progetto ambizioso ma imprescindibile se non si vuole perdere la sfida che un museo di arte sacra ha insita in sé.
Il Direttore ringrazia le imprese, i restauratori e i loro collaboratori, infine gli operatori dell’Ufficio Beni Culturali.
********8. IL CRISTIANESIMO E L’ARTE – temi
Cristianesimo e arte
Il cristianesimo delle origini e l’arte
-Il cristianesimo e l’arte tardo-romana
-Cristianesimo e culto nel periodo pre-costantiniano.
-L’epoca costantiniana: basiliche, edifici centrici, sarcofagi; arte e funzionalità
liturgica.
-L’oriente e l’arte: teologia orientale e architettura; simbolismo; mosaico e
teologia; iconologia.
-Iconismo, aniconismo, iconoclastia e Concilio II di Nicea.
Manifestazioni artistiche del cristianesimo nel medioevo
-Il Monachesimo: l’abbazia, la chiesa abbaziale e le funzioni liturgiche
monastiche; il culto delle reliquie e la messa “privata”.
-Le varie tendenze e ramificazioni benedettine:
– teologia e ideologia cluniacense;
– teologia e ideologia cistercense;
– teologia e ideologia certosina.
-Iconologia medievale: la croce e i crocifissi; le storie della Santa Croce; i santi.
-Le grandi cattedrali.
Dopo il Concilio di Trento, la riforma cattolica crea stili d’arte
-I testi del concilio e l’arte; i commenti.
-L’artista gesuitica e il prototipo della Chiesa della Riforma;
– Lo sviluppo della chiesa della Riforma negli stili di barocco,
rococò, neoclassico e nei revivals ottocenteschi.
-L’arte figurativa della Controriforma: principi.
-Correnti figurative: classicismo e realismo, devozionale, trionfalistico-
scenografico.
L’arte “sacra” nel novecento
– l’architettura sacra tra innovazioni tecnologiche e disgregazione dell’arte.
-Ecclesiologia post-conciliare, riforma liturgia e arte sacra.
-Il dibattito attuale: arte sacra o il sacro nell’arte?

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