LIBERATI SAC. GERMANO ECONOMIA E GOVERNI A FERMO SEC. XIV documenti tradotti 1260. 1288. 1309. 1305. 1306. 1307. 1308ca. 1341. 1349. 1351. 1352 commercio convenzioni fraternità

Desunto dalla tesi di Laurea: “Economia e Governi a Fermo nel primo trecento” di Liberati Germano, 1970
ALCUNI DOCUMENTI SULL’ECONOMIA DELLA CITTA’ DI FERMO NEL SECOLO XIV
Le linee della presente ricerca sono il risultato di un’analisi svolta per la tesi di laurea . Fermo era il più ampio ‘Stato’ della Marca di Ancona e tale si è conservato fino al 1860. La prima metà del secolo XIV è interessante perché densa di fenomeni economici, sociali e politici di rilievo: un periodo di trapasso tra il reggimento podestarile comunale e l’avviarsi di una signoria. Tuttavia non si creò mai un principato stabile perché nessuna famiglia poté mai imporsi sulle altre.
L’indagine è stata condotta sulla base dei documenti disponibili nell’archivio storico del Comune di Fermo. La ricerca storica locale, prevalentemente archivistica, ha dei limiti, ma porta un contributo alla storia generale. Va considerata la posizione geografica che colloca il Fermano al centro della penisola sul versante dell’Adriatico, con conseguenze economiche e politiche. Soprattutto il mare Adriatico, facilmente solcabile anche con piccoli legni, ha posto Fermo nel diretto contatto con le terre della Dalmazia e con Venezia, da cui risultano i legami commerciali ed umani.
FERMO e VENEZIA
I rapporti commerciali tra le Marche e Venezia erano antichissimi. La situazione commerciale Fermana in relazione a Venezia, quale si svolge nel secolo XIV, risulta già fissata nel secolo precedente, sia per i trattati specifici intercorsi tra le parti, sia per le vertenze economiche tra la Serenissima e Ancona, con la concorrenza commerciale, sfociata in azioni militari e di rappresaglia. Un contratto delle 1260 fu rinnovato perché erano venuti a cadere alcuni fattori già esistenti, dopo che tra i mercanti vi saranno stati danneggiamenti reciproci, atti di violenza e di rappresaglia.
Il vantaggio per Fermo era di avere mercati sicuri per i propri prodotti agricoli, specie per il vino. Tuttavia, improntati com’erano gli scambi sulla libera esportazione, i Fermani si riservavano il diritto di proibire l’estrazione del frumento, quando esso, nel territorio, superasse il prezzo – per quei tempi il favoloso – di 30 soldi lo staio.

Doc.1 – Anno 1260 marzo 30 da ASF perg.368 e copia 152 e 372. Tesi pp.273-280 dall’edizione di Luzzatto, G. I più antichi trattati tra Venezia e le città marchigiane (1141-1345, in “Nuovo Archivio Veneto” VI, 1906, XI pp.61-65
Trattato di pace e di amicizia tra Fermo e Venezia
“Nell’anno del Signore 1260, indizione terza, due giorni prima della fine di marzo<=30> presenti < i testimoni> sigg. Giovanni Belligno, Marco Quirini figlio di Giovanni Quirini, allora consiglieri del sig. doge, Iacobo Canterano da San Bartolomeo, Bartolomeo Michele ed altri; avvicinandosi alla presenza del magnifico sig. Rainerio Gen (=Zen) doge di Venezia per divina grazia e del suo Consiglio; il provvido uomo Iacobo di Giovanni Pievano e procuratore del podestà e del Comune di Fermo, come risulta da pubblico istrumento fatto dal notaio Paolo di Berardo, il cui contenuto è riportato in seguito, su cose che tra il Comune di Fermo e il Comune di Venezia sono in contrasto, giunge alla concordia con lo stesso sig. doge e con il suo Consiglio, in questo modo. Egli promise a nome del Comune e del Consiglio di Fermo al Doge che è accetta a nome del Comune e degli uomini di Venezia che Fermo farà la restituzione e la soddisfazione dei beni e delle cose tolte dai Fermani ai Veneziani fino al primo agosto prossimo venturo, escludendo ogni appiglio, e fece remissione e fine di fronte al doge e al Comune di Venezia di tutti i danni fatti e dei gravami causati dai Veneziani ai Fermani sino al giorno presente.
Riguardo poi all’interdetto precedente imposto da Fermo sopra le “biade” da non portare dalle terre fermane a Venezia si giunge alla concordia. L’incaricato sindaco fermano Jacobo promise al doge veneziano che in futuro Fermo non farà un ordinamento di interdetto, né bando alcuno su biade né su altri cibi o mercanzie, anzi terranno sempre aperto il porto (fermano) con promessa che da ogni luogo del distretto fermano siano portati, senza alcun impedimento, le biade, i cibi e altre mercanzie da persone di Venezia e del Veneto, con eccezione del vino che sia caricato soltanto quello della città di Fermo e non sia caricato da altri porti verso il porto fermano.
Inoltre il sindaco incaricato promise che Fermo tratterà gli uomini veneti salvi, sicuri nell’andare, nel tornare, nelle persone, nelle mercanzie e cose, nel distretto e nell’influenza di Fermo, senza alcun dazio e con tutti i beni secondo le antiche consuetudini conosciute, salvo il fatto che nei tempi in cui la città di Fermo e nei dintorni il frumento avrà valore più di 30 soldi a staio, Fermo ha licenza di fare come prima, per i cittadini fermani, a volontà, riguardo alle biade. Inoltre se per caso capitasse che gli uomini veneti affrontassero un naufragio nel distretto fermano, ai naufraghi sarà dato dai Fermani aiuto, consiglio, sostegno nel dover recuperare i loro beni, nel liberare al meglio le persone, come più utilmente questi potranno fare in buona fede. Inoltre promise che gli uomini di Venezia saranno liberi e prosciolti e nulla sarà loro tolto al porto di Fermo, né nel suo distretto o zona d’influenza, per l’ancoraggio, o per lo scalo.
Dall’altra parte il signor doge a nome di Venezia promise di dare soddisfazione per i beni che i Veneziani hanno tolto ai Fermani fino al prossimo primo agosto, facendo fine e remissione al sindaco fermano dei danni arrecati, delle offese inferte ai Veneziani dai Fermani fino al presente giorno. Il doge eliminò l’interdetto fatto da Venezia contro i Fermani proibiti di andare a Venezia con le loro mercanzie, e che altri portassero a Venezia le mercanzie e cose fermane. Decise e stabilì che gli uomini del distretto Fermano possano recarsi liberamente a Venezia, come di consuetudine, promettendo lo stesso doge per Venezia che i Fermani saranno tenuti salvi e sicuri nelle terre venete, nello stare o nel tornare, con le persone e le cose loro, secondo le antiche buone consuetudini conosciute, e per il resto il trattamento sarà di amicizia speciale in tutto. Il doge, per Venezia, condonò al sindaco per Fermo il “quarantesimo” che si solleva pagare a Venezia per ogni cosa che fosse originata da Fermo e nella Marca Anconetana, a volontà sua e di Venezia.
Inoltre esentò i Fermani e gli uomini del loro distretto dal dazio a Venezia per l’ancoraggio o per lo scalo, a che non lo pagassero. Inoltre il doge per Venezia promise a Jacobo sindaco fermano che gli uomini di Venezia non faranno porre un loro naviglio nella Ripa del castello dal fiume Glenchi (Chienti?) alla terra e non vi faranno alcun porto di carico e scarico.
Per tutte le singole queste cose si fece convenzione tra il sindaco per Fermo e il doge per Venezia, come scritto, che saranno adempiute, osservate, fatte rispettare dai Fermani sotto pena di 2000 libbre venete piccole.
Il doge, per Venezia, promise e fece convenzione al sindaco per Fermo, come scritto sopra, di adempiere ad osservare tutte le singole le cose già dette, e di farle rispettare dai veneziani. Redatto nel palazzo del Doge di Venezia.
Il contenuto del documento per il sindaco, cui si è fatto riferimento sopra è il seguente.
\ “Nel nome di Dio, amen. Anno 1260, indizione terza, giorno 15 marzo, al tempo del re di Sicilia Manfredi, anno secondo del suo regno, riunito, al modo consueto il Consiglio Generale nel palazzo del Comune di Fermo, al suono della campana e per voce dell’annunciatore, il signor Bernardo da Isola, podestà della città di Fermo, insieme a tutti i consiglieri, nessuno discorde, stabilì e ordinò Jacobo del signor Giovanni Pievano, benché assente, nella qualità di loro nunzio, sindaco, agente, procuratore o come meglio può dirsi al fine di trattare e definire e stabilire, a nome di Fermo, una concordia con il doge per Venezia, riguardo ad ogni lite e questione, querela, discordia, che si avesse e fosse insorta tra il doge veneto e Fermo; in modo da dover porre fine e fare remissione di ogni danno, ingiuria, da una parte e dall’altra parte, fino al presente giorno; inoltre a dover pacificare e stabilire patti e convenzioni tra Venezia e Fermo, da osservarsi nel seguito; e a dover fare provvedimenti e impegni con il doge per Venezia e di dover ricevere dai Veneziani l’impegno di osservanza; inoltre a dover fare ogni altra cosa che al riguardo di tutto ciò che sia da compiere, come può fare Fermo; con il promettere che Fermo mantiene valido e deciso con spese ed obblighi, e non contrastare alcunché di quanto il sindaco predetto deciderà di fare sopra le cose già dette.
Redatto nel palazzo con i testimoni presenti: il sig. Iacobo e il sig. Alberto giudici della città stessa; il sig. Canduo notaio; il sig. Giovanni Plebano, il sig. Iacobo di Matteo di Giovannuccio, il sig. Ufreduccio di Conurumo, i sigg. Filippo e Gabriele, il sig. Rogino. Io Paolo di Berardo, come notaio su incarico del Podestà e su richiesta del Consiglio, ho dato memoria e corroborato.” \

ZARA e FERMO
Dopo Venezia, l’altro termine di riferimento del commercio estero del Fermano era la Dalmazia. A questo riguardo, durante le nostre ricerche ci siamo imbattuti in accenni precisi per Sebenico nei Libri del banchiere comunale Paccaroni. Per le relazioni commerciali con Zara, un atto contiene un importantissimo trattato tra Fermo e la città Dalmata, l’unico atto che si conosca per una città delle Marche. La stesura del testo risale al 15 aprile 1309, ma è il rinnovamento di un atto preesistente, inserito, del 5 luglio 1288. L’analisi di queste due date è assai importante per capire l’esistenza dei rapporti commerciali tra Fermo e le città della Dalmazia.
Il rinnovamento del patto nel 1309 senza rimaneggiamenti, convince che esso fu dettato da nuove reali necessità commerciali che potevano essersi create a causa di un aumentato volume di scambi. Inoltre il rinnovare il patto così come era, significava affermare che le relazioni non erano sostanzialmente mutate. Il patto consisteva soprattutto nel creare, reciprocamente, zone di libero scambio, dove i Fermani potessero agire come gli Zaratini nel caricare e nello scaricare le proprie merci dove piacesse loro, senza alcun dazio o gabella, né esazione.
I Fermani potevano esercitare liberamente il loro commercio. Inoltre, con concessioni paritetiche e reciproche, i due contraenti si consideravano amici nel vendere e nel comprare, liberi e sicuri sia in città che nel suo distretto. Unico prodotto soggetto a gabella specifica era il sale, con le rispettive clausole. Altra importante clausola era quella riguardante il commercio del vino vietato dall’una e dall’altra parte: clausola spiegabile con il fatto che entrambe le città producevano vino e quindi si premunivano contro una concorrenza pregiudizievole.

Doc.2 – Anno 1288 luglio 5 inserito nel testo seguente
Doc. 3- Anno 1309 marzo 21 e aprile 5 da ASF, perg. 1236, Tesi pp. 268-273-
Trattati commerciali tra Fermo e Zara
“ Nel nome di Cristo, anno dell’incarnazione 1309, indizione settima, giorno 15 aprile, a Zara, al tempo del signor Pietro Gradenico, doge di Venezia e del reverendo padre frate Jacobo arcivescovo di Zara e del signor conte Matteo Manelusso di Gregorio, il saggio uomo Jacobino di Rainaldo sindaco e procuratore della città di Fermo, a nome per conto del nobile signor Pino de Vernacis, podestà di Fermo e anche del Consiglio e del Comune della città, come dal pubblico istrumento scritto da Giovanni di Rainaldo notaio della predetta città, e stabilito per le seguenti cose.
Inizia: nel nome di Dio. Amen. Nell’anno 1309, indizione nona, giorno 21 marzo ecc. da una parte il sapiente signor Gregorio di Diatico della città di Zara sindaco e procuratore di Gregorio del signor Matteo Manualesso, conte di Zara anche del Consiglio del Comune della stessa città, come risulta dal pubblico di strumento scritto da Giovanni di Quat(…) notaio della città di Zara, e stabilito in modo speciale per le cose seguenti.
Inizia: nel nome di Cristo. Amen. Nell’anno della sua incarnazione 1309 indizione settima giorno 1 aprile ecc. Dall’altra parte. Ratificarono, provarono e confermarono tutti singoli patti scritti e stabiliti tra il nobile uomo sig. Michele de Micuscio da Zara, un tempo sindaco del detto Comune di Zara da una parte, e il sig. Gentile di Marco, un tempo sindaco del comune di Fermo dall’altra parte, furono scritti e pubblicati per mezzo del notaio Iacobo di Atto da Fermo. Ecco il tenore ed i contenuti dei patti. Nel nome di Dio. Amen. Anno 1288, indizione prima, giorno 5 luglio. Nel Consiglio pubblico e Generale del Comune della città di Fermo, riunito come al solito, al suono della campana e a voce dell’annunciatore, il signor Antonio giudice e assessore e vicario del Comune della città di Fermo, per mezzo del nobile magnifico uomo Giovanino de Guidomini, podestà della città di Fermo, insieme con tutto lo stesso Consiglio, insieme con il signor Antoldo “esgravatore” della città di Fermo, a nome e nelle veci di questo comune, come legittimo sindaco, agente, procuratore o come meglio si può giuridicamente dire e pensare, allo scopo di approvare, confermare, ratificare e approvare e tenere stabili e validi di tutti singoli patti, le convenzioni e le promesse, il discreto uomo sig. Michele de Micuscio da Zara, sindaco, agente, procuratore di Gregorio uomo del sig. Iacobo Templi Doge di Venezia; del figlio del conte di Zara e dei nobili uomini Sebastiano di Nito e Tommaso di Secreto, consiglieri dello stesso; e dei giudici e del Consiglio della città di Zara, da una parte e dall’altra parte, il predetto sig. Gentile di Marco sindaco e procuratore del Comune di Fermo a nome e nelle veci di questo Comune, cioè degli uomini di Zara e del suo distretto caricando e scaricando le cose loro proprie, dove ad essi piacerà nel predetto distretto, senza alcun dazio, “thalomo”, gabella, “maltolto” o qualsiasi esitazione, eccetto il dazio del sale di Francesco di Lundente (?), sia gli uomini di Iadra che del suo distretto, paghino come saranno tenuti gli altri uomini. E questi uomini di Zara e del distretto della stessa città non possono recare vino o portarlo al porto o ai porti della città di Fermo e del suo distretto, al fine di vendere questo vino.
E dalla rispettiva parte, il provvido uomo Michele de Micuscio, sindaco, agente procuratore, come già detto, a nome e nelle veci del predetto sig. conte, dei consiglieri, dei giudici del consiglio della città di Zara e del suo distretto, salvi e sicuri nelle cose e nelle persone, i detti uomini di Zara terranno ed avranno come amici, acquistando e vendendo, liberi e sicuri sia nella città che nel suo distretto, caricando e scaricando le cose loro proprie, ove piacerà nel predetto distretto di Zara, senza alcun dazio, “thalomo”, gabella “maltolto”, o qualsiasi esazione, eccetto il dazio del sale da Pago. Gli uomini di Fermo e quelli del suo distretto pagano come saranno tenuti
altri uomini. E non possano recare o portare vino al porto o ai porti di Zara e del suo distretto, al fine di vendere questo vino.
Per approvare e rendere note le pene e le obbligazioni dei beni come promesso da una parte e dall’altra; e per ogni singola cosa contenuta in questi patti per entrambe le parti; e per promettere che ogni singola cosa detta sopra si ritiene valida e stabile sotto la stessa pena contenuta nei patti stessi; e per obbligare i beni dei comuni stessi al fine di dover osservare le cose dette prima; e in generale per dovere adempiere le cose dette, tutte le altre e singole predette che riguardo a ciò saranno da fare tanto da essi, quanto per mezzo di sostituto, comandato da essi, in tutte le cose sopra dette da dover adempiere direttamente o tramite sostituto comandato da essi sia fatto, compiuto e promesso riguardo alle cose predette a qualunque delle cose predette, tenere l’atto valido e stabile sotto obbligazione dei beni del Comune.
Redatto a Fermo nel palazzo di questo comune, presenti come testimoni il sig. Rainaldo di Odorisio, il sig. Matteo di Ugolino, il sig. Rugerio del sig. Nicolò, Pietro del sig. Iacobo, Rainaldo di Giustiniano, Matteo di Marco e Pace di Radulfo ed altri.
Io Iacobo di Atto, richiesto come notaio, ho scritto e pubblicato. Con stipula solenne promisero, intervenendo dall’una parte e dall’altra, i già detti sindaci, sig. Iacobo di Rainaldo e Gregorio di Diatico, nel ruolo sopra detto, uno e l’altro , scambievolmente, di tenere, avere e osservare e far osservare la detta ratifica, approvazione e conferma dei patti ed ogni predetto patto, per il tempo venturo e mai agire in contrario, né cambiare per nessuna ragione od appiglio, in via giuridica o di fatto, sotto obbligazione dei beni dei Comuni presenti ai patti, facendo rimanere e perdurare questi patti nel loro vigore e nella loro stabilità. Redatto e firmato di fronte ai testimoni chiamati al rogito, cioè Giovanni di Pasqua de Varincas; Iacobo di Damiano de Florado, e La(e)rte di Marino de Osessico, cittadini nobili di Zara; Filippo di Alessandro, Matteo di Giovanni Picini e Rodardo di Ofreduccio notaio, cittadini Fermani ed altri. Io Giovanni Qual(….) d’autorità imperiale e giurista di Zara, su richiesta, fui presente e ho ascoltato, ho scritto ed ho corroborato .

FERMO e gli EBREI agli inizi del ‘300
La presenza di una comunità ebraica a Fermo era economicamente assai importante e costituiva una presenza di tutto rispetto nella vita comunale. Le attività degli ebrei a Fermo, come prestatori di denaro, erano cospicua. Ad essi si rivolgevano sia il Comune che i privati. Il giro e la disponibilità di danaro liquido nei documenti risultano di somme alte. Nella pergamena n. 1338 si legge (trad.): “Secondo la forma dei patti fatti tra il comune di Fermo e i Giudei”, Pertanto esistevano precisi accordi scritti tra il comune della città di Fermo e la comunità ebraica cittadina che veniva tutelata dall’autorità comunale più che dai giudici, perché le vertenze venivano portaste in Comune. Ecco alcuni documenti.

Doc. 4 – Anno 1305 agosto 25 in ASF pergam. 829, Tesi pp. 280-283.
Contratto di mutuo con Ebrei
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1305, indizione terza, giorno 25 agosto, presenti come testimoni: Giovanni Macchi da Fermo; Alessandro di Giovanni di Albertone; Domenico un tempo da Montelupone; Rogerio di Angiolo e maestro Tomasso notaio delle Riformanze del comune di Fermo. Il sig. Giovanni de Guidoni da Modena, e Simeone di Migliore, e Tommaso di Flaviano, e Marco di Filippo Savini, e Smido di Matteo Berardi, e Giorgio di Matteo Enrici, e Francesco di Matteo Nicoletti, e Domenico di Giovanni Cazufurri, e Simonetto di Benvigniato, e Lorenzo di Matteo, e Bongiovanni di Scambio, e Giberto di Pietro, e Antonio di Palmerio, e Pietro di Rozerio, e Tomassino di Felice, e il sig. Tommaso di Iacobo, e Bond… di Rainaldo, e Giovanni di Matteo Magnate, e Iacobino da Monte san Pietro, e Iacobino di Iannetto, e Iacobo di Giovanni Mattei da Fermo, ciascuno principalmente e in unione solidale tra loro, quando uno paga, gli altri sono liberati, di loro animo sereno e di volontà propria nello stipulare, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro eredi e successori di dare e rendere, pagare con effetto di ben numerare, in ogni occasione, senza eccezioni ad Abra del sig. Mosè, a Vitale di Dactale e a Vitale di Gugliemo, Giudei riceventi, con stipula per sé e per gli altri loro soci Giudei o per i loro incaricati, ad ogni loro comando e volontà, 1800 libbre ravennati e anconetane, che ciascuno di loro e solidalmente ricevettero in ducati d’oro in deposito e a fine di deposito, di fronte a me notaio, ed ai i testimoni già detti, a ciascuno di essi per pericolo e sorte di furto, di violenza, di rapacità, di incendio e di naufragio e di qualsiasi altra cosa, ogni altro pericolo e caso sia celeste che umano, che mai a questo deposito possa capitare o avvenire, affermando e confessando ciascuno di loro solidalmente che i detti ducati sono di oro buono e puro, che essi stessi hanno preso con somma, numero e validità 1800 libbre. Ciascuno di loro rinuncia alle eccezioni di soldi non avuti, non ricevuti o che l’oro non fosse buono e puro o che ricevettero mai questi ducati in somma non calcolata o di non valida quantità e ad ogni argomento di leggi e decretali. E promette ciascuno di loro principalmente ed in forma solidale di richiedere copia del presente istrumento per sé e per i loro procuratori e di non opporre alcuna obiezione di diritto o di fatto a questo istrumento, ma di presentarsi personalmente e non per mezzo di un procuratore o alcun difensore, di fronte ai rettori e ai giudici del Comune di Fermo e dichiarare la detta quantità in giudizio, e ricevere su di sé il precetto a richiesta e volontà dei predetti Giudei. Se poi sarà pronunciata una sentenza interlocutoria o definitiva a favore dei detti Giudei, contro i predetti, promettono che essi e ciascuno di loro vollero che fosse atto valido e stabile con rinuncia a fare in seguito un appello. D’altra parte promisero e fecero convenzione, ciascuno e solidalmente, ai Giudei o ai loro commissari di dare e rendere la quantità depositata e soltanto in più per le pene, i danni, le spese, gli interessi che i Giudei abbiano affrontato in giudizio e fuori. Promisero ciascuno e in solidalo di risarcire i Giudei. E per dovere eseguire tutto quanto è da compiere e operare, misero sotto obbligazione tutti i beni mobili ed immobili di ciascuno, presenti e futuri, dei quali ciascuno e solidalmente danno licenza ai Giudei o ai commissari, e autorizzazione a prenderli, di propria autorità, senza alcun reclamo di curia, quando sarà loro utile o necessario. Dopo soddisfatta, o non soddisfatta, la pena, questo contratto rimane valido. Inoltre essi promisero, ciascuno e solidalmente, che essi personalmente e realmente sono impegnati a recarsi presso la curia del Comune di Fermo, a richiesta e volontà dei Giudei, secondo la forma dei patti stabiliti tra il Comune di Fermo e i Giudei, quando per essi o per qualcuno fosse utile o necessario. Redatto nel palazzo comunale di Fermo. Io Domenico di Servideo notaio rogato scrissi e pubblicai.

Doc. 5 – Anno 1306 maggio 19 in ASF pergam. 1193 Tesi pp. 284-287
Contratto di mutuo con Ebrei
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1306, indizione quarta, giorno 19 del mese di maggio, a tempo del papa Clemente V, presenti come testimoni chiamati: il maestro Tomasso notaio delle Riformanze , Tomassino della signora Alda; Petrucio Pervirigio(?) dello speziale Marcovaldo; Gualteruccio di Cacciagallo un tempo da Ripatransone, e Petruccio da Cesena banditore del comune di Fermo. Il nobile milite sig. Obtino de Salis podestà della città di Fermo, e il sapiente e discreto sig. Andrea de Mainardis da Parma, giudice e notaio del nobile uomo sig. Servodeo de Servodeis da Parma, capitano del popolo e del comune della detta città; anche gli infrascritti priori del popolo di questa città, cioè, dalla contrada Castello; Nicoletto di Angeluccio dalla contrada Pila; Giovanni del maestro Pensabene dalla contrada San Martino; Montanello di Egidio dalla contrada Fiorenza; Iorzio di Matteo Enrici dalla contrada San Bartolomeo; Bartolomeo di Matteo Guidi e Gentili di Nicola dalla contrada Campoleggio, e Angelo di Alberto Salvasie (?) dalla contrada Castello, e Iacobo del maestro Stefano, e Filippo di Omodeo, e Francesco di Tomassino dalla contrada Fiorenza, e Albertuccio di Alberti, e Pietro di Benedetto dalla contrada Pila, e Anselmo di Algarsio, e Marchitto de Cavedanis, e Iacobo di Scolaro dalla contrada San Bartolomeo, e Iacobo di Andrea, e Marchicono di Filippo Savini dalla contrada San Martino, e Tomasso di Gerardo, e Giovanni di Giberto, e Antonio di Paolo dalla contrada Campoleggio, e Bartolomeo di Iacobo, e Antonio di Felzone; i predetti sig. podestà e il sig. Andrea vicario, in qualità di rettori e officiali della città di Fermo, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro successori, che i detti priori e prenominati mercanti, dai sopradetti contratti della città di Fermo, promisero e convennero per sé principalmente e per i loro eredi e successori di dare, pagare e restituire con effetto, escludendo ogni eccezione ed occasione, a Vitale Ley dalla contrada di San Bartolomeo, a Vitale del sig. Beniamino, a Vitale di Dattalo e ad Angeluccio di Fosco, Giudei dimoranti a Fermo che ricevono per sé e per i loro soci ed eredi e successori loro, o ai commissari, da qui a un mese prossimo venturo e finito, 1600 libbre ravennati buone che essi, per mutuo, hanno ricevuto in fiorini d’oro e in anconetani grossi tanti che bene resero la detta quantità, di fronte a me notaio e ai detti testimoni. Ciascuno di loro rinuncia all’eccezione di moneta non avuta, non ricevuta, non numerata e all’eccezione dei fiorini non di buon oro o di peso (non) giusto o di anconetani non di argento buono e alla eccezione di simulazione, e ad ogni aiuto delle leggi di cui si possano servire in contrasto. D’altra parte promisero ciascuno di loro principalmente e in solido, di dare, pagare e restituire la detta quantità e il doppio in più a nome di pena per tuti i danni, le spese e l’interesse che per questo avranno sofferti e sostenuti, e promisero in solido, uno all’altro di loro, di risarcire nella curia e fuori. Fanno obbligazione ad essi Giudei dei loro beni reali e personali, presenti e futuri, in ogni luogo. E ciascuno diede autorizzazione di prenderli, quando fosse necessario, e di risarcire nella curia e fuori. E ciascuno di loro promise solidalmente di recarsi presso qualunque giudice o ufficiale a volontà dei Giudei, non ostante lo statuto fatto e da fare e le riformanze fatte o da fare, a cui sin da ora rinunciano. Per i sopradetti capitoli rinunciano anche al beneficio della nuova costituzione apostolica del sommo Adriano di più cose da avere, e ad ogni altro aiuto delle leggi e dei decreti fatti o da fare, di cui possano servirsi in contrasto. E dopo soddisfatta o non soddisfatta la pena, tutte le cose dette sopra persistono valide. Redatto nel palazzo di questa città nella loggia dipinta. Io Bonario di Iacobo da Fermo, notaio d’autorità imperiale, rogato, scrissi e pubblicai.

Doc. n. 6. Anno 1307 marzo 5 in ASF pergam. n. 792 Tesi pp. 287-289.
Contratto di mutuo con Ebrei.
Nel nome di Dio. Amen. Nell’anno del Signore 1307, indizione quinta, a tempo del papa Clemente V, giorno 5 marzo, presenti come testimoni chiamati: Iacobuccio di Rainaldo Justiniani; Jannino di Matteo …..; Bongiovanne di Barto(lomeo) Sacchieti notaio; Stefano di Lanciadoccio; Oddone del maestro …..notaio; Filippo di Nicoletto notaio; Filippo di Iacobo notaio; sig. Domenico del sig. Nicoletto; e Boncambio di Rogerio … del comune di Fermo. Il signor Gerardo da Spidiolaria, giudice dell’onorabile uomo sig. Guido del sig. Enrico da Bologna, capitano del comune di Fermo ed il sig. Grazia di Filippo Alessi, ed Egidio di Iacobo Gentili, e Rogerio di Uffreduccio dalla contrada di Castello, e Venuto di Bruno, e Bongiovanne di Morcello (?); e Anglerio di Barello dalla contrada Pila; e Giovannuccio di Filippo Pieconi; e Marco di Filippo Savini; e Filippo di Marco Bone; e Iacobo di Staccio; e Rainaldo di Paccadosso; e Francesco di Tebaldo Andree dalla contrada San Martino; e Filippo di Danno Iacobi; e Tomassio di Pastangronio; e Filippo de Pesao; e Rainaldo di Degnate dalla contrada Fiorenza; e Domenico di Amadoro; e Gioanni di Paolo, e Michele di Michiale; e Zambertono di Iacobo; e Gentiluccio di Matteo Andree; e Iacobo di Matteo Bongiovanni dalla contrada San Bartolomeo; e Gentile di Paolo; e Bongiovanne di Iacobo Advelace; e Petrucciolo di Bonallongo; e Palmerio di Jucalzo; e Antonio di Palmerio Leonardi dalla contrada Campoleggio; tutti e singoli chiamati e riuniti nel predetto luogo, essi e ciascuno solidalmente, principalmente, pagando uno, siano liberati gli altri, ciascuno di buona volontà e di animo sereno, senza violenza, né timore di costrizione, stipularono, promisero e fecero convenzione per sé e per i loro eredi e successori, di dare, assegnare, calcolare, rendere e restituire integralmente, con effetto, escludendo ogni occasione ed eccezione, ad Abra figlio di Mosé, a Vitale di Dattalo del sig. Vitale; a Vitale di Ley (?Levi) e ad Angelo di Bengiano (?) giudei, con stipula ed accettazione per sé e per Dattalo del sig. Mosè e per Bengiano del sig. Mosè, e per Dattalo del sig. Vitale, e per Bonaventura e Mositto figli di Dattalo del sig. Vitale; e per Bengiano del sig. Manuele ed altri loro soci Giudei, o qualcuno di questi Giudei che riceve solidalmente ai loro figli e successori o commissari, a cenno di loro Giudei e a volontà, 4000 libre di buoni ravennati ed anconitani piccoli, quantità di denaro che tutti e singoli i sopra detti e ciascuno di essi ebbero e ricevettero solidalmente dai predetti Giudei come mutuo e per motivo di mutuo in fiorini d’oro, di fronte a me notaio e ai testimoni, stando seduti e rimanendo in un ‘Vascappo’, tanti che tutti essi e ciascuno di loro dichiararono essere la quantità detta. Rinunciarono essi e ciascuno di loro ecc. <=segue testo uguale come negli altri atti>.
Redatto a Fermo, nel palazzo del popolo del comune di Fermo, dove si riuniscono i priori per le riunioni segrete. Io Giovanni di Francesco Egidio notaio rogato ho scritto e pubblicato.

ASSISTENZA FRATERNALE
Nel primo Trecento le iniziative caritative e assistenziali ebbero a Fermo la manifestazione più alta con l’istituzione dell’ospedale di Santa Maria novella della Carità, da parte del vescovo diocesano fra’ Iacobo nel 1341. Oltre al sovvenire alle necessità materiali, questo ospizio aveva il compito di impartire un’assistenza religiosa. Il priore degli Agostiniani, Fra’ Tommaso, concesse a Santa Maria novella della Carità tutti i benefici spirituali che si godevano dagli Agostiniani. Lo stesso anno venne nominato il primo cappellano.

Doc. 7 – Anno 1341 maggio 10. ASF pergam. Brefotrofio. Tesi pp. 292-295.
Fondazione dell’ospizio di Santa Maria novella della Carità a Fermo
“Frate Jacobo, per grazia di Dio e della sede apostolica, vescovo e principe di Fermo, ai nostri diletti in Cristo, sindaco e persone della fraternità di santa Maria novella della Carità della città Fermana, salute nel Signore.
È stata presentata a noi, da parte vostra, l’umile richiesta di fondare un ospizio. Vi dite accesi dal fervore dello spirito della Carità, da cui scaturisce una fonte viva, a cui non comunica un estraneo, e per redimere i peccati vostri e dei parenti, anche per comodità dei debilitati, e dei poveri di Gesù Cristo, degenti in ogni parte, voi desiderate fondare un ospedale e costruirlo e dotarlo di quanto è congruo e necessario per il sostentamento e per la quiete di questi poveri, in una generale ospitalità, e desiderate costruire nell’ospedale e nell’oratorio due altari e più, in cui per mezzo di sacerdoti da voi mantenuti, possiate ascoltare gli uffici divini, affinché per mezzo di questi e di altre cose, vivendo con l’ispirazione divina, possiate giungere ad una fine lodevole. La vostra supplica chiede che ci degniamo di concedere e dare l’autorizzazione a costruire ed erigere l’ospedale nella città, in contrada San Bartolomeo, o altrove, e in questo ospedale od oratorio della fraternità stessa, di nostra autorità far costruire altari e celebrare i divini uffici per mezzo di uno o più sacerdoti sostentati da voi, e i lasciti che sono stati fatti e che si fanno e si faranno in futuro, possano essere richiesti e conservati e distribuiti per migliorare l’ospedale e per le necessità dei poveri e per le persone debilitate ecc. e di poter raccogliere il pane attraverso la città o fuori, con il sacco o la bisaccia, o senza, per la vita e per il sostentamento dei poveri e delle persone che stanno nell’ospedale, che a tutti coloro che lasceranno qualche cosa e saranno di aiuto per voi, sia da noi concessa un’indulgenza; inoltre che per l’ospedale che con l’ispirazione divina sarà costruito in futuro, con i beni già acquisiti, lasciati dai fedeli cristiani e acquistati a qualunque titolo, anche in caso di lasciti legati e di eredità per ultime volontà (=testamenti), di nostra autorità, ci degniamo di esimere, e siano esentati dalla porzione diocesana sui beni lasciati. Volete pagare a noi ed ai nostri successori, ogni anno, il censo, per compensazione della porzione canonica, nella festa di santa Maria di agosto, 12 libbre della moneta che sarà in corso nell’epoca. Per tutte le cose contenute nella vostra richiesta, noi di autorità ordinaria, per quanto possiamo e degnamente siamo tenuti, concediamo l’autorizzazione, trattenendo per noi e per i nostri successori quel che deve essere dato nella festa dell’assunzione della beata Vergine per compensazione della canonica porzione con le 12 libbre di moneta usuale; al quale pagamento voi e l’ospedale siete tenuti come censo e riconoscimento del nostro dominio sull’ospedale che esentiamo da ogni porzione diocesana sui beni acquisiti o che acquisirà in futuro, in qualunque modo. Inoltre per tutti coloro che veramente pentiti e confessati daranno, offriranno, faranno lasciti legati nelle loro ultime volontà, e presteranno aiuti in altri modi per il sostentamento dell’ospedale nelle loro ultime volontà, noi misericordiosamente concediamo l’indulgenza di 40 giorni, lucrabile ogni giorno, sulla penitenza a loro impartita, fidando nella misericordia dell’onnipotente Dio, della beata Vergine Maria alla quale deve esser intitolato questo ospedale e dei beati apostoli Pietro e Paolo e dei gloriosi martiri Claudio e Savino nostri patroni. Disponiamo … ecc. A nessuno sia lecito contrastare … ecc. Se qualcuno tuttavia oserà violare questa disposizione, sappia che incorrerà nell’indignazione dell’onnipotente Dio, della beata Maria sempre Vergine, dei beati apostoli Pietro e Paolo e dei gloriosi martiri Claudio e Savino, patroni della nostra Chiesa. A testimonianza di queste cose abbiamo fatto fare la presente lettera, munita con l’appendervi il nostro sigillo. Data e fatta a Fermo, nel palazzo vescovile, nell’anno del Signore 1341, indizione nona, a tempo del papa Benedetto XII, giorno 10 del mese di maggio. Per sigillo.

Dopo l’autorizzazione vescovile arrivarono le donazioni: Matteo Bonconte nel 1348 redasse il suo testamento lasciando erede questo ospizio. Lo stesso fece il sacerdote Federico Palmieri nel 1361 . L’edificio sorgeva in contrada san Bartolomeo edificato su un suolo che era del Capitolo della Cattedrale, salvi i diritti dei canonici . Da lcune ricevute conservate, il censo per Roma, stabilito in 12 libre, risulta pagato . Dopo un decennio dalla fondazione anche il vescovo Bongiovanni incrementò i lasciti con sua bolla che ripeteva la facoltà per l’ospizio di recepire donazioni e di raccogliere offerte.
MERCATO A BELMONTE
Il commercio ed i traffici si svolgevano in prevalenza all’interno del territorio Fermano e con le città marittime dell’Adriatico. Il commercio interno era in prevalenza costituito dallo scambio dei prodotti agricoli e di quelli da essi derivati. Per il contado era Fermo il centro degli scambi più proficui, oltre che per comodità, anche perché gli Statuti Fermani prescrivevano norme piuttosto accentratrici in questo senso: “ le mercanzie non debbono essere mandate o estratte se non per mezzo dei porti della città” (Statuta: lib. VI, rubr. 28). Né questo deve far meraviglia, in quanto era necessario che fossero fatte le provvigioni, specie di generi primari, innanzitutto, per Fermo che, per la sua maggiore popolazione, e per l’afflusso di forestieri e di soldati, aveva le maggiori esigenze. In genere i prodotti locali erano tutti di libera estrazione, senza necessità di alcuna tassa speciale, se non la normale gabella prevista per la loro vendita, che restava invariata, sia che tale contratto fosse stipulato tra abitanti del Comune e dei castelli, sia con i forestieri. Questo fatto è facilmente riconducibile alla condizione sociale del comune, cioè al ceto di consumatori e alla prevalenza nel comune di una popolazione che traeva le fonti di vita dalla coltivazione dei campi. Soltanto in alcuni generi particolari vigeva un regime, per così dire, protezionistico, come nel caso del legname nuovo e vecchio lavorato, che non venisse estratto dalla città (Statuta, lib. VI, rubr. 19). Per altri generi esisteva un vero e proprio calmiere. Gli statuti ci informano che per alcuni generi di prima necessità (farina ,orzo, legumi) i priori avevano facoltà di porre settimanalmente un calmiere. Statuta, Lib. V, rubr. 145: I signori priori, che ci saranno nel tempo, abbiano autorità, insieme con i regolatori, di provvedere affinché i comitativi, almeno una volta nella settimana, mandino la farina, l’orzo e il vitto nella piazza e li vendano a calmiere (calmum).
Oltre al commercio incentrato sulla città, grande era la cura del comune per i mercati e fiere, dove venivano convogliati i prodotti dell’agricoltura. Due i centri maggiori di questi mercati: San Claudio al Chienti e Belmonte. Per la fiera di San Claudio al Chienti, abbiamo molti documenti nell’Archivio Comunale di Macerata.
Certamente Belmonte Piceno assurgeva al privilegio di un luogo di scambio per la sua posizione geografica. Il castello di Belmonte è collocato nella media valle del Tenna, a 25 km da Fermo, alla sommità di un criminale che fa da spartiacque dei bacini dei fiumi Tenna a nord, ed Ete a sud. Belmonte veniva dunque a collocarsi in posizione mediana tra la montagna e la marina, tra le due predette vallate, e quindi naturale punto di incontro di tutta l’economia agricola locale, inoltre vicino ad un castello che non era Fermano, ma era assai potente, quale era Monte Giorgio.
L’origine di questa fiera doveva essere assai antica, ma quel che è certo, essa era assai importante e fiorente nel secolo XIV. Gli statuti di Fermo ce ne permettono una esatta descrizione. Il mercato aveva luogo tutti i martedì, e si svolgeva in una località appositamente deputata, il forum (piazza), ma data la sua limitata capienza, si spandevano le merci anche nelle vie di accesso: “In qualche strada attraverso la quale si va al detto mercato” (Statuta, lib. VI, rubr. 73).
I mercanti arrivavano il giorno prima (die lune, lunedì) e ne ripartivano il giorno appresso (die mercurii, mercoledì). Alcuni di essi, i più affermati ed abituali protagonisti e frequentatori, avevano addirittura dei caseggiati (cassina vel capanna) per conservare le loro merci. Giungevano al mercato non solo mercanti con mercanzie locali, anche alcuni forestieri (forenses). Lo statuto contemplava un trattamento speciale circa i dazi per coloro che avevano già pagato la gabella nel Porto di Fermo e comperavano a motivo di vendere e di esportare (extrahendi) via mare. Costoro erano esenti dalla gabella sulle merci che vigeva al mercato di Belmonte, così pure quelli che l’avrebbero dovuta pagare nell’atto di imbarco delle merci acquistate e che intendevano esportare.
Una serie di provvedimenti speciali garantiva sia la sicurezza delle merci che quella dei mercanti: (Statuto, ivi) Sia lecito a chiunque nel giorno di lunedì che precede il giorno della piazza (forum) e nel giorno seguente, di mercoledì, da qualsiasi parte sia, venire con mercanzie e con qualsiasi genere di cose e bestie a questo mercato e starvi salvo e sicuro; e nessuno possa offendere nella persona o nelle cose, nell’andare, nello stare, nel ritornare: sia libero e sicuro e prosciolto, nonostante alcune rappresaglie (=punizioni) e condizioni.
Tuttavia il luogo non godeva di immunità perché si faceva presente che si dava autorizzazione a tutti, (Ivi) con eccezione per i banditi e i condannati del Comune di Fermo, i quali non sono compresi nelle cose dette.
Il luogo godeva anche di una certa franchigia: (Ivi) non possano venire in questa piazza (forum) o aver costrizioni a motivo di qualche debito contratto altrove, ma soltanto per debiti contratti nelle cause vertenti ed emergenti dallo stesso .
L’economia Fermana, secondo quanto si è detto sulle norme che regolavano l’estrazione delle merci e secondo alcune disposizioni doganali, si presentava come una economia aperta. Per facilitare gli scambi con le terre all’infuori del distretto erano contemplate alcune particolari agevolazioni doganali e di gabelle.
Al mercato di Belmonte concorrevano mercanzie di ogni sorta: in base a quelle nominate negli statuti possiamo dedurre che esse però fossero soprattutto costituite da prodotti tessili, grezzi e lavorati, bestiame vivo e macellato, prodotti cerealicoli: questi ultimi variavano in quantità e genere secondo i diversi momenti stagionali.
Un’ultima considerazione: mentre la fiera di San Claudio subì momenti floridi e momenti difficili, persino interruzioni di attività, il mercato di Belmonte invece fu di gran lunga più continuo e costante. Negli anni stessi della difficile situazione politico-militare, durante la Legazione del card. Egidio Albornoz, continuò ad effettuarsi ed in modo assai efficiente. i Paccaroni che erano mercanti e banchieri di Fermo, negli anni 1350-1352 riuscivano a collocare quantità notevoli di lana e i formaggi. Antonio Paccaroni fu un proprietario terriero e un mercante.
Da quel che ci risulta e dalla modalità della registrazione, egli fu attento e scrupoloso nell’esercizio del suo commercio. La sua attività si esplicava soprattutto nei generi di importazione, di cui Fermo faceva difetto, come il lino, il panno, e il sale; o quei generi di esportazione la cui produzione era cospicua nelle terre del Fermano: lana, formaggi, olio e vino.
I traffici erano piuttosto estesi e si stabilirono soprattutto con le terre della Dalmazia per quanto riguarda il vino, l’olio e sale, mentre i prodotti caseari e la lana erano oggetto di scambio nelle fiere di Belmonte Piceno.
Per gli scambi nei mercati locali, egli si serviva dei suoi subalterni; dei pecorari, dei cavallari o di uomini di fiducia; mentre per i traffici con la Dalmazia e con Venezia si costituivano vere e proprie “compagnie”, che oggi diremmo ‘società a responsabilità limitata’ in cui ciascuno dei soci era impegnato a rispondere pro rata nel caso di disavanzo e del pari percepivano pro rata i guadagni che se ne fossero ricavati.
Dal registro fermano 1005 desumiamo i dati. Un esempio di costituzione di una compagnia può essere il seguente: “Matheo de Barnabeo ave e recevecte da mene Antonio de Paccarone a die V de Januarii per una compagnia facta de sporte de olliva e de ollio trallo dicto Marchetto e Sonnecto (?) dasschelle e Marchecto de Pacarone e Thomassino de Morischo e io Anthonio de Pacarone, in la quale compagnia io si o dacto e paghato in denari contati al decto Matheo a prodo e a danno in la decta compagnia di fine che se ne vendeva loro e che se ne farage la raxone” (c. 1). M. di Barnabeo ricevette da Antonio P. per una compagnia di sporte di oliva e di olio tra il detto Marchetto e S. d’Ascoli e Marchetto P. denari contanti a pro e a danno per la detta compagnia fino a che si venderà e che si farà la ragione”.
Come si vede anche da questo suo testo, gli interessi commerciali del Paccaroni erano piuttosto vasti; nella compagnia risultano associati a lui oltre a Machetto dei Paccaroni, anche altri mercanti come Tommasino di Moresco e altri due di Ascoli, città che non era sotto la giurisdizione di Fermo. Matteo di Bernabeo era l’esecutore e l’impresario di tale compagnia.
Da un’altra annotazione, sappiamo che Matteo de Bernabeo andò a Venezia per l’olio in questione. L’impresa fu certamente notevole perché a conclusione si legge: “Tornange Matheo de Barnabeo da Venezia, redusse in danari dollio chello portone in tucto e detracto fora le spexe chello ge fece, ducati 287 e soldi 30” (c.4) 3 aprile 1349. Matteo di Barnabeo, a Venezia ridusse in denari l’olio portato, e tratte fuori le spese che egli vi fece, ci fu un guadagno.
Talora le commissioni vennero affidate dal Paccaroni ad alcuni Schiavoni che non sappiamo se domiciliati a Fermo od operanti nella loro terra: “Io Anthonio si deve a Marotino de Laurana che me dovesse comperare a Sybenicho tanto sale che manctasse denge in la caxa de lo salle pressete Thomasso dalmiano et Symone da Monte Actone he denne lo salle. Ricevì lo salle da lo decto Maectino. Ducati XLV”. (c.5) 14 marzo 1349. Martino di Laur(e)ana, gli doveva comperare a Sebenico tanto sale che entrasse nella cassa del sale presso Tomasso, dalmata, e Simone di Montottone che diede il sale. Ricevette il sale dal detto Martino.
L’esempio di compagnia di questo Paccaroni non è l’unico che possiamo detrarre dal suo libro di conti. Il 5 aprile 1349 si formò un’altra compagnia con Donato d’Ascoli e Marchetto Paccaroni in cui da parte sua Antonio improntò 136 ducati per “una compagnia de CC some de grano lo qualle devia comparare lo decto Donacto et io Anthonio alla mictade (metà) de lo guadagno e de la perdenda…. (c.6; 5 aprile).
Il 9 maggio dello stesso anno, Antonio Paccaroni strinse un’altra compagnia con Cesco de Francesco. Seguiamo l’esito di questa impresa di cui non è precisata la merce da acquistare, ma definita col termine “mercatandia”: Antonio impegnò complessivamente 135 ducati. L’incarico degli acquisti fu affidato al solito Donato d’Ascoli, agente della compagnia a Venezia. La mercanzia acquistata venne valutata per un valore di 720 libbre circa. Allo sciogliersi della compagnia, l’ultimo di giugno: “Item recevì io Anthonio de Paccarone da lo decto Cesscho de Francesscho cio che esse scritto in queste carthe denanze de lo decto quaterno; li quali dinari [……] al decto Cescho e gnussece de li altre denare con quisti chio scriverone in gnange in derecto per mia mano in lo decto quaterno, ducati quattrocento d’oro” (c.10v). Antonio Paccaroni dal detto Cesco di Francesco ricevette denaro e aggiunti altri denari (in tutto) ducati 400 d’oro”.
La sua attività mercantile doveva svolgersi per via mare nella maggior parte e gli scambi dovevano essere di notevole volume se anziché usare le navi mercantili di passaggio, egli noleggiava in proprio dei legni: “Item recevì io Anthonio per la decta dativa li quallo io se scontane in lo navollo de lo legno a Jorzo Ceressa che madusse un charto de salle. Ducati VIII” (c. 2v). “E ricevetti io Antonio per la detta dativa, con la quale io scontai per il nolo del legno a Giorgio Ceressa che m’addusse una quantità di sale, ducati 8”. Ed altrove di nuovo il Paccaroni annotava: “Item avè al decto Anthonio [Antonio de Domenechello] per parte de pagamento de lo navallo de la barca suca quando andone a Pago; ducati 5”. (c.11v). Antonio P. ebbe per rata di pagamento del nolo della barca, ducati 5”.
L’attività di mercato gli fruttava proventi utili al punto che la disponibilità di denaro gli permetteva di esercitare un’attività che potremmo definire bancaria.
Tra le registrazioni al “mastro” in esame-, troviamo numerose annotazioni di prestiti. Le persone a cui essi venivano effettuati erano le più disparate: a membri della sua famiglia, religiosi, ed ai dipendenti, a persone di ogni condizione e perfino ad ebrei.
“Die XV Junii Marchecto Pacarone me de’ dare ch’io li (gli) prestage (prestai), quando comparone (comprò) lo rontino Ducati IIII” (c. 11) “1349, die jugno. Culluzzo de Paccarone me de’ dare ch’io dene per lugne (lui) a Cesscho de magistro Ftrancesscho Caxano in caxa (casa) e promisseme de rèndemelli lo decto Culluzzo per fine a XV die Ducati XXX (ivi).
“Lo priollo (priore) di Sancta Maria a Mare mendave dare ch’io deve (detti) a Moscaione fante, ducati II. Ricevì dallo priollo in lo die XVIII de Jannari, ducati II” (c. 3v).
“Fiollo de Spicica pecoraro de Marchecto me deve dare ch’io li prestage per una quarta de salle soldi VIIII” (ivi).
“Consegno iodeo men dè dare ch’io li prestage sopra una conrona. Perrò ene che la conrona non valle tanto….. Ricevè lo decto consegno la decta conrona et io recevì ducati XX”(ivi).
È un caso chiaro di credito su pegno e ironia della sorte, in tutta la precisione del Paccaroni, un ebreo è riuscito ad imbrogliarlo nel pegno. Ogni prestito era accuratamente registrato nella data di emissione e in quella di ritorno. Talora per maggiore precisione il Paccaroni registrava il luogo e le circostanze in cui il prestito veniva fatto. Riportiamo due annotazioni particolarmente accurate:
“Culluzzo de Paccarone me dè dare ch’io li prestage in la longna [loggia], anconetani V. Recevì die XXI marcii un bolognino grosso da lo decto Culluzzo. Restane ad dare dallo decto Culluzzo soldi V” (c.5v)
“Colla de Clerecho de la contrada de Campollece [Campoleggio] si me dè dare ch’io li prestage in caxa [casa] de Marchecto de Paccarone a contage [contai] in mano sua propria. Ducati L. Die XXVIIII marcii. Ricevì da lo decto Colla ducati L”. (Ivi).
Oltre a queste attività commerciali e finanziarie che complessivamente abbracciavano un notevole volume di affari, Antonio Paccaroni era il “Bancherius Communis Firmi”. Questo incarico può essere oggi paragonato a quello di contabile, e di esattore tesoriere del comune, due funzioni insieme. In altri termini, a lui erano affidate le entrate del comune, e parimenti da lui venivano effettuati i pagamenti del comune.
Incarico delicatissimo come si vede ed estremamente importante che solo un ricco possidente e mercante, con notevole disponibilità di denaro, poteva assolvere. Infatti era necessario, per far fronte ai pagamenti, improntare spesso del proprio, in attesa di potersi rifare con le ulteriori entrate dei tributi e delle gabelle.
Entrate e uscite erano accuratamente registrate dal Paccaroni in libri ben distinti: Liber introitorum e Liber expensarum. Tali registri sono molto più ordinati dei libri di conti dell’attività privata; hanno una suddivisione distinta per voci che determinano le singole entrate o uscite.
Sono scritti nel caratteristico latino notarile ed hanno clausole introduttive e di revisione per mano del notaio comunale. Evidentemente in materia finanziaria pubblica il comune non poteva agire sulla base della fiducia per il suo banchiere, ma si serviva di un ispettore costituito da un notaio comunale. Esemplare a questo riguardo è l’incipit del codice 1004.

Doc. 8 – Anno 1351 da ASF Liber 1004, tesi pp. 123-124
Registro di contabilità comunale
“In dei nomine. Amen. Hic est liber sive quaternus omnium et syngularum expensarum et solotiomum bullarum factarum per Antonium Johannuctii bancherium generalem comunis Firmi ad dictum offitium bancheirati spetialiter deputatus per magnificum et potentem dominum Gentilem de Moliano gubernatorem civitatis et populi Firmi factus editus et compositus tempore regiminis nobilis et potentis viri Vangioli Adductii de Foligno honorabilis potestatis dicte civitatis et scriptum per me Puctium Nicoluctii notarium dicti bancherii, ad dictum offitium notarii, per dictum dominum gubernatorem spetialiter deputatum, sub anno domini millesimo trecentesimo quinquagesimo primo, indictione quarta, diebus et mensibus infrascripris. Signum mej Puctii Nicoluctii [……] Nel nome di Dio. Amen. Questo è il libro o quaderno di tutte e singole le spese e dei pagamenti delle bolle fatte per mezzo di Antonio di Giovannuccio banchiere generale del comune di Fermo, deputato specifico a questo ufficio di banca per mezzo del magnifico e potente sig. Gentile da Mogliano, governatore della città e del popolo di Fermo; redatto e composto al tempo del regime del nobile e potente uomo Vangiolo di Adduccio da Foligno, onorevole podestà di questa città; e scritto da me Puccio di Nicoluccio notaio di questo banchiere, deputato a questo specifico ufficio di notaio per mezzo del detto governatore, nell’anno del Signore 1351, indizione quarta, nei giorni e mesi scritto sotto.
ANTONIO DI GIOVANNUCCIO PACCARONI.
Questo paragrafo vuole presentare in concreto l’attività mercantile nella Fermo del secolo XIV. A questo scopo abbiamo scelto di delineare, nei tratti essenziali, la figura di un mercante Fermano, Antonio di Giovannuccio Paccaroni, i cui registri (libri) di conti e registri vari, sebbene mutili e incompleti, sono conservati nell’archivio Fermano. Sulla loro base cercheremo di delinearne l’attività, con quelle ovvie lacune che le deficienze di ulteriori documenti lasciano incolmate.
Sarebbe infatti necessario allargare le ricerche ad altri archivi, come quello Vaticano e quelli veneziani e dalmati, per rendersi conto del reale volume degli affari di Antonio Paccaroni e per chiarire le attività e le funzioni di altre persone che erano al suo servizio. La ricerca pertanto è sinora incompleta. La famiglia Paccaroni ebbe una tradizione mercantile e bancaria a Fermo, che risaliva a tempi molto antichi, probabilmente all’origine del Comune. Questa attività si è tramandata nei vari discendenti della famiglia fino al secolo XIX. Di questo periodo troviamo una lettera del Podestà di Fermo, Filippo Moscatelli, inviata alla rev. Camera Apostolica acciocché, si continui, dopo la morte di Ignazio Paccaroni, l’incarico di Depositario.
Si legge tra l’altro: “Ha la Famiglia Paccaroni, Nobile nella città di Fermo, da lungo tempo, fino a’ dì d’oggi goduto l’onore di servire la rev. Camera Apostolica nella Depositeria, ad amministrazione delle rendite, tributi e censi di quella Città, con prima raccorle, e poi dispensarle alli Salariati, Governatori, ed altri Ministri subalterni, Maestri, Lettori …”
Non fa quindi meraviglia se questa tradizione di famiglia la troviamo affermata pienamente già fino dal secolo XV con Antonio di Giovannuccio che troviamo operare in città dal 1348 al 1373.
Due attività economiche ben distinte che si possono apprezzare in Antonio sono quella del banchiere, e quella dell’esattore del Comune. Prima di esaminarle partitamente, vogliamo fare una breve ma necessaria descrizione del materiale d’archivio cui faremo costante riferimento. Si tratta di un gruppo di codici cartacei in 4° in cui è contenuta l’intera amministrazione di Antonio Paccaroni. Essi sono tutti mutili e talora ridotti a solo qualche carta restaurata e rilegata in volume restaurato nel 1969. Complessivamente i volumi sono otto e la loro numerazione risale al secolo XVII quando tutti i principali documenti dell’archivio Fermano furono inventariati da Michelr Hubart da Liegi nel 1624. Diamo sommariamente le caratteristiche di ciascuno registro (Liber).
1 – Liber 1005 Libro grosso in cui era contenuta tutta l’amministrazione privata di Antonio, mercante e banchiere. Decorre dall’inizio dell’anno 1349 al 13 agosto 1350; comprende 15 carte, rilegate, scritte ante e retro. E’ il più importante di tutti, è scritto in volgare. Gli si potrebbe attribuire un titolo più ampio secondo le parole dell’inizio:
“Quisto è ne lo livrero ello quanto da Anthonio de Paccarone, in lo quale se contene et scripto tiene la raxone ch’ello a a fare all’altre et dall’altre con lugne” cioè: Questo è il libro tutto quanto di Antonio Paccaroni, nel quale si contiene e ritiene scritto il resoconto che egli deve fare con gli altri e gli altri con lui . Il codice termina così: “ Ricevì da lo detto Vango Monzapane dei XXV septembre, ducati XXII”.
2 – Liber 1020. Liber diversorum computorum. Come nel codice già indicato n.1005 anche qui è registrata l’amministrazione privata di Antonio Paccaroni che decorre dal 1353 al 1373: il volume è estremamente mutilo e pochissime sono le carte integre. Le carte sono scritte solo su un verso (bianco il tergo) e riportano un’antica numerazione che giunge al numero 24, ma con numerosissime sopraggiunte lacune intermedie.
3 – Liber 1019. Liber computorum pecorariorum domini Johannctii Paccharoni. E’ un registro in cui il mercante teneva computati la produzione e il mercato degli ovini e dei prodotti da essi derivati. Senza data, ma con molta probabilità deve essere collocato intorno all’anno 1350. L’originale doveva essere molto voluminoso; ora ne restano solo alcune carte: dalla carta 37 alla 45 e 46: questa ultima erosa in gran parte, e sbiadita a tal punto da essere pressoché illeggibile.
4 – Liber 1011. Liber introitus buccharum, bestiarum et caballiorum. Registrazione dei proventi della vendita del bestiame grosso proveniente dalla possessione dei Paccaroni: mucche, bestie e cavalli. Ben conservato e ben leggibile; carte 38, di cui molte scritte solo nella facciata anteriore, poi dalla 22 alla 23 anche retro.
5 – Liber 1022. Liber ex(i)tus sive expensarum factarum per dominum Antonium Johann. Paccaroni, Bancherium Communis Firmi, super solutione stipendiorum dicti Communis da anno Domini 1351. Volume rilegato e restaurato negli anni 1962-1963. Composto di 14 carte, fortemente scolorito, di cui alcune carte sono illeggibili. La numerazione nuova è fatta a matita, mentre la vecchia si legge solo in alcune carte. Il restauro non fu bene eseguito perché il codice non è un’opera uniforme. Dopo la carta seconda, seguono altre carte che non sono certamente del questo medesimo registro (liber) in quanto si tratta di “Entrate” del 1366 il cui compilatore è Riczio Nicolicti, notaio dei Paccaroni, e sono carte di tutt’altro interesse. Evidentemente durante l’opera di restauro non si è andati troppo per il sottile, rilegando insieme carte diprovenienza diversa.
6 – Liber 1014. Liber exitus seu expensarum factarum per dominum Antonium Johann. Paccharoni, Bancherium generalem Communis Firmi, de anno Domini 1355. Si tratta delle spese del Comune di cui la maggior parte riguarda il risarcimento per le ambascerie di inviati ad altri Comuni, su incarico del Comune di Fermo. Volume in buono stato, composto da due quinterni per complessive 16 carte di cui sono scritte soltanto le prime 14. Manca del tutto la numerazione di queste.
7 – Liber expensarum Communis Firmi sub anno Domini 1351. Contiene i pagamenti fatti dal Paccaroni per ordine del Comune di Fermo ai salariati dello stesso Comune. Volume mutilo, di cui restano soltanto le prime cinque carte, scritte ante e retro.
8 – Liber 1013. Liber introitus diversarum pecuniarum receptarum per dominum Antonium Johann. Paccaroni, Bancherium Communis Firmi, super solutione stipendiorum de anno Domini 1351. Questa intitolazione data dall’Hubart a un Liber che lui ha numerato 1013 di fatto non trova riscontro in queste attuali carte che contengono la registrazione dei proventi delle gabelle. Il volume consta di 16 carte, di cui solo sette scritte. Al codice restaurato nel 1962-1963 è aggiunta una ‘cartula’ con il mandato del Comune all’ufficio di ‘Bancherius’ ad Antonio Paccaroni. Questa però è dell’anno 1361 e quindi non va unita in questo testo.
Su questa base, cerchiamo di delineare la figura di Antonio dei Paccaroni, secondo le diverse angolazioni suaccennate. Egli fu innanzitutto un possidente terriero. Non ci è possibile fornire i dati dei suoi possessi perché siamo sforniti di ogni dato catastale dell’epoca, ma da quanto si può desumere dai codici predetti 1019 e 1011 egli aveva vasti allevamenti di cavalli e di ovini. Ora non è concepibile l’attività di allevatore, distinguendola, per quei tempi, dall’essere possessi terrieri. Certamente dovette appartenere ad una famiglia nobile che possedeva fondi un po’ qua e un po’ là, per tutto il territorio del Fermano.
È interessante notare come l’esercizio della mercatura non sia stata l’attività primaria dei Paccaroni. A Fermo erano tipici proprietari terrieri che del reddito della proprietà fondiaria facevano strumento e mezzo di investimenti mercantili. In ultima analisi, ancora una volta, l’origine rurale del Comune è il punto di partenza e il riferimento d’obbligo per rendersi conto di ogni successiva manifestazione economica e sociale di Fermo. Del resto questa separazione inesistente tra proprietà fondiaria e attività commerciale, che è quanto dire tra nobiltà e ceto mercantile, era assurda nelle condizioni generali.
Lo nota assai bene il Sapori che scrive: “Così venne a mancare in Italia la netta separazione che altrove permetteva e determinava le equivalenze campagna-nobiltà e città-borghesia ed a mano a mano perdettero valore anche le altre, nobiltà-proprietà terriera e capitale fondiario e borghesia-lavoro; e traffico e capitale mobiliare: in quanto avvenne che i terrieri inurbati si dessero altre attività mercantesche, e gli artigiani e i mercanti cittadini destinassero parte degli utili delle loro fatiche all’acquisto dei fondi rustici”.

Doc. 9 – Anno 1349 da ASF Liber 1005. Tesi pp. 296-307 Tradotte dal volgare
‘Libro Grosso’ registro del mercante e banchiere Antonio Paccaroni.

Nel nome di Dio. Amen. Anno 1349, indizione sesta.
“Questo è il libro quanto di Antonio Paccarone, nel quale si contiene e ritiene scritto il resoconto che lui ha da fare con gli altri e gli altri con lui.” \\
*Matteo di Barnabeo ebbe e ricevé da me Antonio de Paccarone il giorno 5 gennaio per una compagnia fatta di sporte di oliva e di olio, tra il detto Marchetto e Sonnetto (?) di Ascoli e Marchetto de Paccarone, nella quale compagnia io ho dato e pagato in danari contanti al detto Matteo a frode e danno nella detta compagni, al fine che si venderà loro e che si farà la ragione: Ducati 76 e soldi 40
*E ricevé il detto Matteo il 28 gennaio per la detta ragione che ho scritto sopra, io Antonio de Pacarone per la detta ragione che io ho scritta sopra.
*Io Antonio de Pacarone ricevei da Finacto da Moregnano per la dativa imposta per il comune di Fermo, quattro libre f. (per fumante) e quattro per C. (cento?) delegata a me Antonio il castello di Moregnano per 400 libre Ducati 30
*E ricevei dal detto Finolli che mi diede Marchetto de Pacarone per la detta dativa
Ducati 3
*E ricevei dal detto Finello per la detta dativa Ducati 4
*E ricevei Culluzzo de Pacarone dal detto Finello per la stessa dativa Ducati 19
*E ricevei io Antonio dal detto Finello per la detta dativa Ducati 5
*E ricevei dal detto Finello per la detta dativa Ducati 9
*E ricevei io Antonio dal detto per la detta dativa imposta per il comune Ducati 6
*E ricevei che mi diede il figlio di Marchetto de Ranalduzzo per la detta dativa dei quali denari ne ha Colluzzo de Pacarone 15 ducati \ Ducati 23
Giorno 28 marzo
*E ricevei per la detta dativa da uno da Moregnano che ricevette una carta ducati 3 E ricevetti detto giorno da uno da Moregnano per la detta dativa, la quale aveva una cintura in pegno per ducati 3. Ricevei di ambedue come io ho scritto: Ducati 6
Giorno 28 ottobre
*E ricevei per la detta dativa che ho detto sopra, dalla madre di Collo di Marchetto di Ranalduzo Ducati 11 Soldi 40
*Da tutti questi dai quali io ho ricevuto per la detta dativa libre 400
*Io Antonio de Pacarone ricevei da Mallatesta da Torre di Palma per la detta dativa imposta per il comune di Fermo 40 libre per F. (fumante) e 40 per C. (?cento) delegata a me Antonio per detto castello di Torre di Palma per 1442 libre e 16 soldi:
Ducati 100
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma per la detta dativa
Ducati 30
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma per la detta dativa il giorno 26 gennaio Ducati 100
*E ricevei io Antonio, da Domenico di Giovannino da Torre di Palma, per la detta dativa Ducati 29
Giorno 23 d’agosto
*E ricevei io Antonio, per la detta dativa Ducati 14
*E ricevei io Antonio, per la detta dativa i quali, io, giù si scontano in nolo del legno a Giorzo Ceressa (?) che mi portò un carico di sale Ducati 7
Giorno 27 gennaio
*Io Antonio de Pacarone si deve in nolo la casa di piazza per fine a san Migelle (Michele?) per 13 ff (focolari) e 10 piedi, dei quali non ricevei
Ducati 35 Soldi 11 Denari 6
*Marchetto de Pacarone mi deve dare che io gli prestai Ducati 3
*E mi deve dare, che io diedi a Matteo di Barnabeo Ducati 2
*Ricevei dal detto Marchetto Ducati 5
Giorno 29 gennaio
*Il Priore di Santa Maria a Mare mandava a dire che io d(essi) a Mosca (suo) fante
Ducati 2
*Ricevei dal detto priore il giorno 18 gennaio Ducati 2
Giorno 1° del mese di febbraio
*Colla di Clerenco dalla contrada di Campolege mandò a dare che io gli prestai in casa di Marchetto Pacarone Ducati 90
*Ricevei che mi (deve?) Marchetto Pacarone Ducati 50
*E ricevei dal detto Colla Ducati 40
*Matteo di Barnabeo mi dare che io gli detti per sete (?) Giovannino da Moresco Ducati 5
*Ricevei dal detto Matteo Ducati 4
*Ricevei dal detto Matteo Ducato 1
Giorno 20 mese febbraio
*Consegno Giudeo mi dare che gli prestai una corona, però è che la corona non vale tanto e dalla detta corona Ducati 20
*Riceve lo stesso Consegno la detta corona e io ricevei Ducati 20
Giorno 5 marzo
*Cesco di Francesco mi deve dare che io gli prestai in piazza Ducato 1
*Ricevei dal detto Cesco il giorno 15 marzo Ducato 1
*(Il) figlio di Spicica pecoraio di Marchetto mi deve dare che io prestai per una quarta di sale Scudi 8
*Io Antonio di Pacarone si da a Matteo di Barnabeo per la compagnia delle sporte come io ho scritto nella prima carta di questo libro per pagare la gabella di 4 moggi di olio Ducati 2
*E per le spese di dette sporte e per le “bestenge” che stanno nelle sporte, per fare le spese e per la parte mia tanto Soldi 2
Giorno 21 marzo
*E detti a Metteo di Barnabeo per le spese le quali fece ai fanti delle sporte e da null’altre e per la gabella e per altre spese Libre 20 soldi 9
Giorno 12 aprile
*Tornò Donato d’Ascoli da Venezia e portò 12 . . . “mendre” de legno (?) il quale vendei a Ser Andrea di Beltramino a lire 77 il “minagaro” (?) alle libre di Venezia ridotte in denari in tutto con Ducati IIILXXXX (390) Soldi 11
*Tornò Matteo di Barnabeo da Venezia, ridotte in denari di olio che egli portò in tutto e detratto fuori le spese che lui fece: ducati C\ IILXXXVII (=287) soldi 30
Giorno 6 marzo
*Collo de Clereco dalla contrada di Campolege mi deve dare che io gli prestai in casa di Marchetto Pacarone per fante Ranaldo di Simone dalla contrada di Pila:
Ducati 50
*Ricevei dal detto Colla giorno 22 marzo Ducati 50
*Ranaldo di Simone dalla contrada di Pila mi deve dare che io gli prestai: Ducato 1
*Ricevei Ducato 1
Giorno 8 marzo
*Honeino sartore mi deve dare che io gli prestai che die’ a lo fante che stette con lui a San Benedetto Soldi 20
*Ricevei Soldi 20
*Cesco de “lo cazeffare” mi deve dare che io gli prestai per . . . . . .
*Io Antonio devo a Marotino da Laurana (Laureana?) che mi dovesse comprare a Sebenico tanto sale che montasse e die’ nella cassa del sale prese Tomasso Dalmiano (?Dalmata) con Simone da Montottone che die’ il sale Ducati 45
*Ricevei il sale dal detto Marotino
Colla da S. Marche mi deve dare che io gli prestai sopra il “Rontino” sono Ducati 3
*Ricevei dal detto Colla Ducati 3
*Roncero da Mogliano mi deve dare che io gli accompagnai per “lugne” tre some di vino e tre libre di candele alla ventura degli . . . che sommano in tutto Libre 9
*Ricevei dal detto Roncero Ducati 3
Giorno 21 marzo
*Colluzo de Pacarone mi deve dare che io gli prestai nella loggia: Anconetani 5
*Ricevei un bolognino grosso dal detto Culluzo; mi restano a dare al d. Culluzo:
soldi 5
Giorno 29 marzo
*Colla di Clereco dalla contrada di Campolege mi deve dare che io gli prestai in casa di Marchetto de Pacarone e contai nelle sue proprie mani Ducati 50
*Ricevei dal detto Colla Ducati 50
Giorno 3 aprile
*Ricevei io Antonio, d(a)lla compagnia delle sporte fatte per Matteo di Barnabeo come io ho già prima scritto denari che rese Donato d’Ascoli e per la parte mia:
Ducati (?)15
Giorno 16 maggio
*E ricevei, io Antonio, per la detta compagnia delle sporte di olio che portò Matteo di Barnabeo, rese tanti denari che me ne conto come parte Ducati 37 Soldi 20
Giorno 5 aprile
*Io Antonio de Pacarone devo (?) Donato d’Ascoli per una compagnia di 200 some e io Antonio alla metà del guadagno e della perdita che devo “degnarde” di che per “arrare” per le dette 200 some del grano al detto Donato e “gene” a Montegranaro Ducati 25
*E ricevei dal detto Donato per il detto grano da me Antonio, in più volte che die’ (?) a Marchetto de Pacarone Ducati 109
*E ricev(é) il detto Donato da me per la detta ragione del grano Ducati 2
Giorno 2 agosto
*Ricevei io Antonio, da Donato d’Ascoli di 2 stari di grano venduti per la mia parte, come lui dice Ducati 55 Soldi 42 Denari 3
*E ricevei il giorno 4 agosto Ducati 46 di oro

TASSATI I SERVIZI
Nella ricerca sono studiate le finanze del Comune di Fermo e è riferita una norma statutaria per la dativa sui terreni nella città e nel suo distretto ”comitantense”. Il dubbio sull’anno 1340? (p.307) e 1349 (p.131), resta da chiarire da parte degli studiosi; il doc. dice trattarsi dopo la battaglia contro San Ginesio, avvenuta nel 1377.

Doc. 10 – Anno ? 1308 circa da ASF pergam. 796 Tesi pp. 307-308
Particola degli Statuti (Fermani) riguardo alla dativa dei fondi (rurali)
Nel nome di Dio. Amen. Copia o esempio di uno statuto nel libro o volume degli Statuti del Comune di Fermo. Eccone il contenuto. Rubrica dei beni apprezzati per la dativa che si deve pagare. Decretiamo ed ordiniamo che ogni cittadino o abitante del distretto comitatense della città di Fermo che ha o avrà alcune possessioni o beni nella città di Fermo o nel distretto, in dote o per dote, o in qualsiasi modo, (questi) siano apprezzati nel prezzo e nel catasto del comune di Fermo, e sia tenuto a pagare per ciò l’affitto, come gli altri cittadini di Fermo, e lo stesso affitto sono tenuti a pagarlo anche per il tempo passato, dall’inizio della guerra con San Ginesio. E al fine di dover pagare l’affitto, l’esecutore attuale ed i futuri nel tempo, possano e debbano far procedura sia contro i padroni e i possessori di questi beni, o contro i lavoratori e pensionari o conduttori di essi beni, come deciderà il detto esecutore, secondo come più facilmente si esplichi il pagamento di questo prezzo, costringendoli anche ‘realmente’ e personalmente, con rimedi adatti a pagare e soddisfare i prezzi dei detti beni. L’esecutore è tenuto a fare l’esecuzione sotto penalità di cinquanta libre ravennati, tolto il computo del salario dell’esecutore. Io Angelo di Bernardo ( …) come ho trovato nel libro degli Statuti del comune di Fermo, così fedelmente e ordinatamente trascrissi, copiai ed esemplai.

A Fermo economia e società debbono essere considerate il punto di partenza per comprendere a pieno i fenomeni politici e amministrativi .
(Liberati Germano trascrisse i documenti qui tradotti per la sua tesi di laurea all’Università di Urbino a. 1970 sul “Economia e governi a fermo nel primo Trecento)

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