L’IMMAGINE DELLA MADONNA CON BAMBINO NEL SANTUARIO DELL’AMBRO A MONTEFORTINO DI FERMO – STUDIO DI GIUSEPPE SANTARELLI

L’IMMAGINE DFELLA MADONNA ALL’AMBRO –

Studio di Giuseppe Santarelli –

Fin dal 1503 i fortinesi avevano in animo di costruire una più ampia e decorosa Chiesa che, sarebbe stata realizzata solo oltre un secolo dopo. Nel 1562, però, essi presero una decisione importante: quella di sostituire la vecchia immagine della Madonna, forse consunta e disfatta, con una statua di terracotta policroma, raffigurante la Vergine seduta col Bambino sulle ginocchia, tuttora venerata.

La cerimonia del trasporto della statua fu solennissima. Vi intervennero i Priori di Montefortino, che invitarono per la circostanza i loro colleghi di Sarnano, ai quali offrirono una lauta colazione, costata ben 12 scudi. Vi furono anche i musici (“trombetti”), ai quali andarono solo 2 scudi.

La statua è alta m. 1,20 e pesa due quintali e mezzo. Precedentemente vi si venerava un’immagine di cui si è perduta la memoria, tanto che non è possibile appurare nemmeno se fosse dipinta su muro, su legno o, più improbabilmente, su tela. Escluderei quest’ultima ipotesi, giacché l’uso della tela si è affer­mato nelle nostre regioni solo nei secoli XV-XVI, mentre il dipinto in questione, data l’eccezionale antichità di questo Santuario, potrebbe essere stato realizzato nei secoli XIII-XIV, se non prima. Non si sa purtroppo da chi e a chi sia stata ordinata la statua, per cui è necessario procedere per congetture stilistiche, circa la sua prove­nienza e la sua epoca.

Anzitutto le contraddizioni si riferiscono alla materia, perché, mentre il Cicconi la dice “in terra cotta”, altri la considerano di “marmo” o di “pietra”. In verità, gli ultimi accertamenti conferma­no quanto scrive il Cicconi.

Le perplessità maggiori permangono sullorigine e sullo stile del gruppo scultoreo. Dovendosi scartare l’ipotesi del Cicconi, che pensa a “qualche artista di scuola romana” per una supposta ma improbabile analogia di questa statua con quella della «Madonna del Parto» nella chiesa romana di S. Agostino, dovuta a Jacopo Tatti, detto il S ansovino (1486- 1570), sono del parere che vada ripensata anche la valutazione stilistica di B. Molajoli e P. Rotondi, i quali assegnano genericamente la scultura all’ “arte marchigiana del secolo XV”, e lo ripetono in seguito gli altri.

Sarei, invece, dell’avviso di ascrivere la statua alla scuola feconda e splendida di Silvestro dell’Aquila, detto l’Ariscola (1504), autore del superbo mausoleo di S. Bernardino da Siena nella omonima basilica dell’Aquila, il quale ebbe valorosi discepoli, come il nipote Angelo Arischia e Saturnino Gatti.

Un rapido raffronto tra la Madonna col Bambino, anch’essa in terra cotta policroma, collocata nella terza cappella a destra della suddetta Basilica, opera dello stesso Silvestro o, secondo altri, del suo discepolo  S. Gatti, può confermarlo, non solo per le figure della Madonna, ambedue solenni e pensose, dal manto ugualmente infiorettato, ma anche e soprattutto per le immagini del Bambino, tutti e due in vivace atteggiamento, seduti sul ginocchio destro della Vergine, con analogo gestire delle piccole e tornite braccia e con la quasi identica posa delle gambine, liberamente abbandonate.

Lo stato di conservazione della statua dell’Ambro appare migliore, specie nei colori più scintillanti, anche perché quella aquilana ha sofferto danni durante un terremoto del 1703.

Per tali considerazioni, sarei propenso ad assegnare il piccolo capolavoro del Santuario dell’Ambro alla scuola abruzzese  dell’ultimo scorcio del secolo XV o dei primissimi anni del secolo XVI, così sensibile ai canoni rinascimentali e anche così attenta alla sua mirabile tradizione statuaria, facendo uno specifico rife­rimento all’area culturale Silvestro dell’Aquila.

Non si dimentichi che il Santuario dell’Ambro è in una Provincia limitrofa con la Regione Abruzzese.

Fino a poco dopo il 1910 la statua era ricoperta da una veste di seta con filetti d’oro e da un ampio manto, come appare da vecchie fotografie. L’ultima veste fu donata nel 1872 dai fratelli Filippo e Antonio Serafini, i quali offrirono anche una vetrina di pregevoli cristalli, posta dinanzi al simulacro. Poi fu lo stesso Antonio Serafini, con felice intuito, d’intesa con l’autorità competente, a proporre che la statua venisse liberata dalla veste e fosse restituita allo splendore della sua vivida policromia. L’attuale cristallo della vetrina è dono di O. Granalli (1951).

Il baldacchino, in legno intagliato e indorato, entro cui è col­locata la statua, è fatto risalire al tempo della decorazione della Cappella (1610-11) e dal Cicconi viene attribuito a un anonimo artista romano.

Sarei, invece, dell’opinione di assegnare questo ornato ligneo allo stesso Martino Bonfini, il quale, oltre che pittore, fu anche abile intagliatore, come attestano due suoi altari in legno, scolpiti e indorati, l’uno per la Chiesa di S. Agostino (1607) e l’altro per la Chiesa di S. Cristoforo di Ascoli Piceno.

 

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