MIOLA GABRIELE BIBLISTA CONSIDERA GESU’ IN CAMMINO VERSO L’ULTIMA PASQUA morte e risurrezione

 

Miola Gabriele

“LA TENSIONE DELLA VITA DI GESU’ VERSO L’ULTIMA PASQUA”

*Sintesi

La lettura che gli scritti neotestamentari fanno della vita di Gesù dell’ultima Pasqua e della sua morte, è una lettura di fede. Paolo scrive: “A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s). Analizzata la struttura letteraria dei Vangeli con cui gli autori mettono in evidenza da una parte la tensione di Gesù verso la Pasqua e la morte e dall’altra il piano salvifico di Dio, questa relazione si ferma soprattutto ad analizzare le tappe salienti della vita di Gesù a partire dal momento del battesimo e mette in luce le scelte concrete del Cristo nell’annuncio del “regno”, lo scontro con le autorità religiose, politiche, culturali del tempo ed i motivi del rifiuto del messaggio di Gesù.

Stando allo schema dei sinottici, Gesù dopo la crisi galilaica si ritira con i suoi a comincia a parlar loro del suo futuro, carico del rifiuto da parte delle autorità e quindi del suo patire e della sua morte. In questa prospettiva Gesù vede la sua morte come obbedienza al Padre e dono per la salvezza di tutti. L’atteggiamento ultimo di Gesù è un atteggiamento religioso e non politico o rivoluzionario anche se motivazioni di tipo politico sociale rientrano nei motivi della sua condanna.

Gesù è un uomo autentico e la nobiltà inalienabile dell’uomo è di potere, di dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza in un avvenire che ignora. Se questo uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta è Dio nella sua libertà e nella sua immensità” (H. U. von Balthasar, La foi du Christ, Aubier, Paris 1969 pag.181).

LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ VERSO LA PASQUA

  1. INTRODUZIONE

Nella prima lettera ai Corinti, affrontando due questioni importanti, quella dell’unità nella carità nel celebrare la cena del Signore, e quella della fede nella risurrezione dei morti, Paolo scrive:

– io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. (11,23)

“A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè:

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e

che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s).

Quel “ho ricevuto dal Signore” circa la cena (11, 23) non è differente dall’altro “vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto” sulla risurrezione (15,3s): si tratta della tradizione che risale agli apostoli. Questo senso così spiccato della tradizione, cui Paolo si appella in una maniera ancora, più forte nella lettera ai Galati (1,18; 2,9), rappresenta una indicazione molto importante: Paolo si rifà attraverso la tradizione a dei fatti storici, la cena pasquale, la morte (e la resurrezione) di Gesù, e ad una loro lettura di fede, ad una interpretazione teologica, che è diventata normativa nella comunità cristiana: la cena dell’ultima Pasqua, nella notte in cui fu tradito, e la sua morte, non sono dei fatti casuali, ma rispondono ad un piano di Dio, tutto è avvenuto secondo le scritture (15,3). Paolo ha ricevuto questa lettura dei fatti della cena pasquale e della morte di Gesù dalla comunità cristiana e se pensiamo che la lettera ai Corinti è stata scritta, secondo l’opinione più comune, nella primavera del 57 e che il suo primo incontro con Cefa (Gal.1, 18) va posto nel 39 vediamo che questa ermeneutica dei fatti risale immediatamente a Pietro e alla, comunità postpasquale gerosolimitana.

Abbiamo detto ‘lettura teologica’, cioè lettura dei fatti alla luce della fede, che vede nella vita di Gesù, in tutta, ma specialmente nei punti culminanti, come la cena della sua ultima Pasqua e la morte, il compimento di un piano di Dio. Questa è la linea costante di lettura che ritroviamo negli scritti del N.T., non solo nelle lettere di Paolo, anche nei Vangeli, la sintesi più completa di questa lettura la troviamo nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, che esprimono l’unità del piano di Dio, che opera in Cristo la salvezza degli uomini, ricapitolando in lui tutto il suo disegno.

E’ evidente che questo tipo di lettura parte dal Cristo della fede, dal Gesù della gloria che, esaltato, siede alla destra del Padre ed ha compiuto ogni purificazione dei peccati (Eb. 1,3) e sottolineando il piano divino richiede una sapienza e una intelligenza spirituale (Col.1 ;10; Ef., 3,5.10.I8) per comprenderlo e vederlo realizzato nella storia presente della comunità dei salvati, cioè della Chiesa (Ef. 3,10;1 Cor. 2,7-10)„

E’ evidente anche che questo tipo di lettura non prescinde dalla storia, dai fatti, anzi ci si richiama continuamente, ma certo è meno attenta ai dati cronologici, topografici, circostanziali in genere, allo sviluppo psicologico, alla evoluzione di atteggiamento e di pensiero delle persone. La fede sottolinea da una parte la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, la sua iniziativa gratuita, che entra nella storia attraverso Cristo e dall’altra sottolinea l’accettazione di questo piano, l’ubbidienza del Figlio, il valore di liberazione, redentivo ed espiatorio, della vita di Gesù, ma soprattutto di alcuni momenti e fatti significativi come la cena pasquale e la morte in croce (cfr. Fil.2,1-10).

Per noi che ci interroghiamo su “la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua”, il problema invece si pone sul piano storico, cioè sul piano delle scelte di Gesù di Nazareth, sul piano della sua decisione e volontà, della sua coscienza.

Si pone quindi il problema delle fonti storiche su Gesù, cioè dei Vangeli. Non è questa la sede per trattare il problema della storicità dei Vangeli quale base per evidenziare il cammino di Gesù verso la Pasqua. Stiamo ai dati più accreditati ed accolti dal magistero della Chiesa, l’istruzione sulla verità storica dei Vangeli del 21.4.1964 della Pontificia Commissione Biblica precisa che “la vita e l’insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservarne il ricordo, ma ‘predicati’ in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi” (n. 2a). In altre parole ciò significa dire che l’ottica degli evangelisti nel presentare i detti e le azioni di Gesù è un ‘ottica di fede e che il narrare “per ordine”, come dice Luca (1,3), è un ordine di tipo teologico e non semplicemente cronologico o topografico, come del resto afferma la stessa istruzione: “Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n.2b).

I Vangeli non sono la cronistoria di una vita, ma quel che vogliono essere come il nome stesso indica, cioè ‘buona notizia’, annuncio di salvezza.

Il nostro problema quindi è duplice: uno di carattere letterario, di analisi letteraria, vedere cioè qual’è l’impostazione teologica dei Vangeli e quale posto vi occupa l’ultima Pasqua di Gesù, l’altro di carattere ermeneutico e storico, risalire cioè attraverso i dati evangelici alla tensione reale della vita di Gesù, alla coscienza che ha avuto della sua missione ed il significato che ha dato alla Pasqua e alla sua morte.

Ancora un’osservazione introduttiva: abbiamo detto che ci sono due tagli differenti con cui leggere i Vangeli e la vita di Gesù: c’è la prospettiva teologica che parte dal Cristo della fede, il Risorto esaltato alla destra del Padre e che tende a sottolineare il piano di Dio e l’obbedienza del Figlio, e c’è la prospettiva storica di chi vuol analizzare i dati della vita di Gesù e lo sviluppo delle sue scelte.

Le due non sono contraddittorie: la prima vede l’umanità di Gesù alla luce della divinità del Cristo, sottolinea il piano di Dio che si attua in uno stile e in uno schema prestabilito: è il tipo di lettura privilegiata dalla teologia basata sull’ontologia della persona e prevalente ancor oggi nella catechesi e nell’omiletica e se portata alle ultime conseguenze corre il rischio di una lettura di tipo monofisita. La seconda è la linea che privilegia il tema delle scelte e della crescita psicologica di Gesù, che è visto come l’uomo libero, l’uomo delle decisioni forti e radicali, dell’appello alla conversione e all’impegno, è una linea più attenta alla cultura odierna e alla lettura dell’io personale del Cristo in chiave psicologica e se portata agli estremi corre il rischio di una lettura di tipo nestoriano in cui Gesù è unito al Figlio di Dio o arriva a diventarlo, ma se supera le difficoltà di un certo dualismo cristologico, è più rispondente all’uomo di oggi.

Ecco i nostri due problemi:

-l’ultima Pasqua di Gesù nell’analisi letteraria dei Vangeli;

-la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua.

Il primo problema, più semplice, è di carattere letterario, il secondo, più importante, è di carattere storico-esegetico.

  1. L’ULTIMA PASQUA DI GESÙ’ NELL ‘ANALISI LETTERARIA DEI VANGELI.

.a. – Anche un profano che leggesse per la prima volta i Vangeli, sia i sinottici sia Giovanni, percepisce che il racconto tende verso la morte del protagonista Gesù, e che questo evento si inserisce nel quadro della celebrazione della Pasqua: Gerusalemme, il tempio, l’agnello pasquale, la preparazione della cena pasquale fatta dai discepoli (Mc 14,12-16) e l’affermazione: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15) formano la cornice di questa tensione.

I Vangeli presentano altri punti salienti della vita di Gesù, come l’inizio con il battesimo, la trasfigurazione, ma anch’essi sono in rapporto con la morte e la Pasqua. Luca dice che Mosè ed Elia apparsi accanto a Gesù “parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,28-36), ‘portato a compimento’  con il verbo “pleroo” ha un senso  forte e pregnante.

Questa impostazione dei Vangeli è il risultato del Kerygma originario, dell’annuncio della salvezza che Dio ha operato per tutti nella morte e risurrezione del Cristo. Il kerygma come ci è testimoniato negli Atti degli Apostoli attraverso i discorsi di Pietro (At. 2,22-24.32s; 3,14s; 4,10-12V e di Paolo (13,26-35) è tutto centrato sulla passione, la morte e la risurrezione di Gesù con una attenzione particolare a mettere in evidenza il piano di Dio realizzatosi secondo le scritture. Questo ci spiega la prospettiva unitaria dei Vangeli e l’origine del racconto della passione, che è il racconto più sviluppato nei Vangeli e in cui gli evangelisti, nonostante qualche accentuazione particolare, più profondamente concordano conformemente alla centralità dell’annuncio cristiano, gli evangelisti impostano tutto il racconto della vita di Gesù facendolo convergere verso l’ultima sua Pasqua.

.b. – Diciamo l’ultima Pasqua chiaramente in rapporto al vangelo di Giovanni perché è ben risaputo che mentre i Vangeli sinottici parlano di una sola Pasqua durante la vita pubblica di Gesù, quella della sua morte, Giovanni invece esplicitamente fa menzione di almeno altre due Pasque: la cosiddetta Pasqua di Nicodemo (2,13.23) e la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) (1).

Nonostante il taglio più teologico dell’opera giovannea, oggi gli esegeti sono d’accordo nel riconoscere un valore storico ai dati cronologici fornitici da Giovanni e quindi a sviluppare l’attività pubblica di Gesù nell’arco di tre Pasque e quindi di due anni e mezzo almeno (2), ma ciò mette subito in evidenza che la scelta dei sinottici di sviluppare la vita pubblica di Gesù secondo il quadro: attività in Galilea, salita a Gerusalemme, Pasqua e morte di Gesù. Non è un quadro cronologico, ma teologico, cioè un quadro che vuol evidenziare la tensione pasquale della vita di Gesù.

.c. – Del resto gli evangelisti sottolineano questa stessa tensione anche al di là dì questo grande quadro cronologico con altre indicazioni che evidenziano in maniera più sottile, ma non meno significativa, il cammino di Gesù e l’emergere della Pasqua, della morte come compimento di un piano e di una vita. Marco, che secondo l’opinione oggi più comune è il primo estensore di una narrazione evangelica completa, ha impostato il racconto della vita di Gesù su tre momenti: attività in Galilea e attività fuori del territorio della Palestina, salita a Gerusalemme per la Pasqua e attività nella città santa, conclusione con la morte di Gesù e l’annuncio della risurrezione. Matteo e Luca che dipendono da Marco riprendono la stessa impostazione, ma ognuno vi porta l’accento suo particolare. Vediamo queste sfumature:

.1. – Marco imposta il suo racconto sulla manifestazione progressiva della persona di Gesù. Non solo il quadro cronologico, ma anche la manifestazione di Gesù tende alla Pasqua. E’ risaputo che nel Vangelo di Marco ha un posto particolare il cosiddetto “segreto messianico”, cioè Gesù tiene segreta la sua personalità ed impone il segreto a quanti in qualche modo la conoscono. E’ come un segreto custodito gelosamente dinanzi a tutti, dinanzi alle folle e dinanzi ai suoi (Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36); dopo la cosiddetta crisi galilaica il mistero viene progressivamente svelato prima ai tre prescelti (8,26-30) e poi e tutti i discepoli nell’annuncio delle sofferenze che il figlio dell’uomo dovrà subire (8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). L’affermazione solenne della sua personalità e delle sue prerogative Marco la vede realizzata da Gesù stesso dinanzi ai sommi sacerdoti Anna a Caifa e questa affermazione diventa il motivo ultimo della sua condanna: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto? – Gesù rispose: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,61-63). Il segreto era in vista di questo momento definitivo in cui Gesù stesso fa la proclamazione ufficiale della sua personalità, quasi una tensione che pervade il vangelo e la vita di Gesù.

.2. – Il Vangelo di Matteo, oltre al quadro cronologico-topografico Galilea, Gerusalemme, Pasqua della morte, per i destinatari cui il Vangelo cui è indirizzato, adotta un altro metodo da cui traspare la tensione di tutto il racconto evangelico. Matteo è il teologo del compimento delle scritture: Gesù è colui che realizza il piano di Dio così come era stato annunciato nelle Scritture.

In Matteo troviamo 66 citazioni dell’Antico Testamento, 37 delle quali sono precedute da una introduzione e di queste tipiche quelle dette di “compimento’ e ne sono 11, cioè introdotte con la formula tecnica “affinchè si adempisse…” (cfr. Sabourin L., Il Vangelo di Matteo, pag. 4-ss ). L’evangelista vuol mostrare Gesù come colui che compie le attese messianiche. Sabourin scrive (pagg.44—45): “Secondo Matteo, Gesù portando a termine l’A.T. lo illumina: ciò è possibile perché Dio governa il mondo (…)  Questa concezione corrisponde fedelmente all’antico modo ebraico di comprendere la parola di Dio: essa, come agente personificato, produce quello che proclama, dirige ogni cosa verso l’evento escatologico, che dovrà manifestarsi alla venuta di Gesù. E’ certo che Matteo intese l’antica economia come un’ombra e un modello del bene che verrà (Eb. 8,5;10,1)”. Ora Matteo iniziando il racconto della passione mette in bocca a Gesù queste parole: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (26,2). Per Matteo quindi che vede negli eventi di Gesù il compimento del disegno del Padre, la Pasqua, o almeno questa specifica Pasqua è strettamente legata con Gesù, è il compimento della tensione di Gesù, che dà il pieno significato salvifico ad essa con la sua morte.

.3. – Nel Vangelo di Luca, Gerusalemme è il fine e il vertice dell’attività di Gesù. Nonostante che nel prologo dell’opera Luca protesti di voler narrare “con ricerche accurate su ogni circostanza (…) con ordine” risulta chiaro che non si tratta di un ordine biografico, cronologico o geografico, ma di un altro ordine di tipo tematico e teologico.

Le notazioni geografiche e cronologiche servono a Luca per mettere in evidenza il “cammino” la “salita” a Gerusalemme. Questo cammino verso la città santa ha un significato pregnante: a Gerusalemme nella Pasqua Gesù con la sua morte aprirà le porte ad un nuovo inizio. Ecco perché dopo il ministero galilaico Luca raccoglie, nonostante le contraddizioni in cui incorre nel racconto e nei confronti delle fonti, tutto il materiale a sua disposizione nel quadro di una “salita” a Gerusalemme attraverso la Samaria. Comincia la sezione dicendo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (9,51,cfr. anche 9,31) e spesso richiama questo camminare :”mentre erano in cammino” (9,57), “attraversava città e villaggi insegnando e dirigendosi verso Gerusalemme” (13,22),”mentre erano in cammino (verso Gerusalemme) entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa” (10,38), “grandi folle erano in cammino con lui” (14,25), “mentre si avvicinava a Gerico” (18,35) e Gerusalemme diventa la meta finale delle peregrinazioni (9,51.53; 13»33; 17,11; 18,31; 19,11) “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”(13,33).

.4 -. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo già detto, ci dà un quadro cronologico a giudizio dei critici più attendibile. Giovanni mette in evidenza la tensione della vita di Gesù verso Gerusalemme e la Pasqua non con dati cronologici o geografici, ma con un’altra indicazione apparentemente temporale, carica di significato teologico “la mia ora”. Troviamo consonanza tra i sinottici e Giovanni nell’indicare la passione, il momento della solitudine di Gesù, dell’abbandono da parte degli amici, la croce e la morte, come l’ora di Gesù, che è anche l’ora della potenza delle tenebre (così Mt 26,45; Mc 14,35; Lc 22,53). Giovanni sottolinea la tensione di Gesù verso questa ora: è l’ora da cui nascerà una nuova vita, come dalle doglie della madre nasce una vita nuova (16,21), è un’ora di dolore, d’angoscia, ma accettata e voluta da Gesù, sarà l’ora in cui il Padre mostrerà la gloria del Figlio e nello stesso tempo il Figlio rivelerà l’amore del Padre e la sua gloria nel darsi per la vita degli uomini, come il chicco è dato alla terra perché muoia e porti fruttò. Così si esprime Gesù nella preghiera al tempio dinanzi ai pagani, che per mezzo di Filippo avevano chiesto di vedere Gesù (cfr. Gv 12,20-27).

I ritmi della vita di Gesù sono scanditi da questa ora, che è il momento nascosto nei segreti del Padre (e che solo il Figlio conosce). A Cana Gesù quasi anticipa questo momento per richiesta di Maria, ma la vera ora deve ancora venire (Gv 2,1-11). Giovanni sottolinea che a Cana Gesù dette inizio ai “segni“ e mostrò la sua “gloria”: si può dire che ogni miracolo evoca la sua “ora” perché ogni miracolo è un “segno” che ne mostra o anticipa un aspetto e verso quest’ora Gesù coordina la sua attività di profeta e di taumaturgo. Per questo Giovanni inizia il racconto della sua passione con questa frase solenne: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Questa Pasqua è il vero passaggio, è la pienezza del cammino della liberazione, è arrivare al Padre; la tensione di Gesù si scioglie in questa Pasqua di passaggio al Padre: L’evangelista vede questa ora come programmata, la vita di Gesù scorre verso questa ora e i suoi nemici non possono far nulla contro di lui (né lapidarlo 7,30 né arrestarlo 8,20) perché non era giunta la sua ora. Quando invece questa ora arriva, è il Figlio stesso che prega: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo…”(17,1).

Bastano questi accenni rapidi ed incompleti per vedere che, pure in un quadro cronologico e geografico differente da quello dei sinottici, il Vangelo di Giovanni ha come tensione la Pasqua ultima di Gesù.

Questa rapida analisi raggiunge un dato già conosciuto e scontato, può esser servita a mettere in evidenza il lavoro redazionale di ogni evangelista, l’architettura tipica data ad ogni opera, a far percepire lo scopo fondamentale di tutti quattro i Vangeli: mostrare che la vita di Gesù era tutta protesa verso Gerusalemme e la Pasqua, l’ora del giudizio e della gloria.

.3. – LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ’ VERSO L’ULTIMA PASQUA

In questa seconda parte dovremo passare dalla struttura dei Vangeli al Gesù storico. Visto che i Vangeli sono una testimonianza ed un annuncio di fede, dobbiamo porci la domanda: qual’è stata la coscienza che Gesù ha avuto di sé, della sua missione, quale prospettiva ha avuto dinanzi alla morte? che significato ha avuto per lui l’ultima Pasqua?

E’ il problema fondamentale ed arduo del rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia. Da quando questo problema è stato posto da M. Kaehler non lo si può più evitare e la risposta oscilla tra la posizione radicale di Bultmann che nega ogni rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia ponendo una separazione netta tra fede e storia, ed un’esegesi fondamentalista che sovrappone materialmente fede e storia e legge in chiave letterale per non dire fisicista ogni riga del vangelo senza preoccuparsi dei tipi di linguaggio e di messaggio religioso.

Nel tentativo di raggiungere il messaggio religioso di Gesù necessariamente ognuno vi porta una certa precomprensione che accentua alcuni aspetti e limita altri della figura di Gesù, così dall’accentuazione di alcuni aspetti della salvezza emergono diversi tipi di lettura del Vangelo, che vanno dalla teologia della liberazione alla teologia della croce, dalla teologia della speranza alla teologia politica, da cui emergono alcuni tagli che, se assolutizzati, diventano una lettura parziale del messaggio di Gesù; se integrati, lasciano spazio ad un arricchimento di aspetti della profondità della sua figura. Questa lettura molteplice trova la sua garanzia ultima in una lettura ecclesiale, cioè fatta all’interno della Chiesa ed accolta, autenticata dal magistero, che è stato dato ad essa perché conservi integro il Cristo ed il suo messaggio. Ancora qualche osservazione preliminare:

.a. – la prima mi viene da un’esperienza costante che ho avuto in incontri biblici, sia con laici che con preti, sia con adulti che con giovani: il problema della scienza del Cristo. I nostri trattati di teologia impostavano la questione sulla “base della distinzione tra i diversi tipi di scienza presenti nel Cristo beatifica, infusa, acquisita (cfr. Parente P., De Verbo incarnato, Marietti 1956 pagg. 186-191 ). E’ un’impostazione che parte dal mistero dell’incarnazione, un’impostazione che ha i suoi meriti, ma corre il rischio di far pendere la “bilancia” dalla parte della scienza o visione beatifica e di misconoscere la scienza umana del Cristo. E’ quel monifisimo larvato che tante volte appare nella presentazione della vita di Gesù in rapporto alla sua passione, morte e risurrezione, che diventano come atti di un dramma di cui l’attore recita la parte conoscendone lo sviluppo. Questa presentazione, qui un po’ esagerata, certamente è poco accessibile all’uomo di oggi, più attento ad una umanità che cresce e si sviluppa sotto tutti gli aspetti ed è anche poco rispondente allo sforzo che si chiede oggi all’esegesi di evidenziare il Gesù storico, la sua posizione di fronte alla realtà del suo tempo, di fronte al processo e al giudizio cui è stato sottoposto e alla morte cui è stato condannato.

Il problema rimarrà sempre perché tocca il mistero dell’incarnazione, il mistero dell’uomo-Dio. E’ questione di metodo piuttosto, mi sembra: altro è porre il problema della tensione pasquale di Gesù partendo dalla triplice divisione della scienza del Cristo (che è un problema teologico), altro è porsi il problema analizzando i dati storici del Vangelo ed il cammino di Gesù verso la Pasqua e magari poi rileggerli alla luce della risurrezione cioè della fede come fa la comunità cristiana e come fanno gli evangelisti.

.b. – la seconda osservazione: ho notato che viene sempre accolta con piacere la presentazione di Gesù a partire dall’inserimento nel suo tempo e nel suo ambiente: può essere un dato scontato, ma non lo è per tutti: presentare Gesù immerso nel suo mondo da cui mutua cultura e linguaggio, ma che nello stesso tempo supera il suo mondo per una comprensione nuova che ha di esso. Gesù si forma sulle pagine dell’A.T. nella lettura sinagogale, ma nello stesso tempo supera la lettura che di esso faceva la ufficialità,  sadducea o farisaica o di altre estrazioni che sia; Gesù fa una nuova ermeneutica dell’A.T., bisogna dire che Gesù è l’esegeta dell’A.T. tirandolo a se, cioè facendone l’esegesi non a livello culturale, ma vitale, esistenziale, psicologico, immedesimandosi in maniera tutta nuova e tutta sua nelle linee religiose che attraversavano le Scritture del suo popolo. Egli ha unificato nella sua persona, interpretandole in maniera nuova, la figura del fedele israelita che prega nei salmi ed invoca la salvezza totale da Dio, la figura del profeta chiamato ed inviato a portare la parola, la figura del figlio dell’uomo, (ben ‘adam,) dell’uomo che riceve onore e gloria da Dio, la figura del servo umile ed obbediente, sacrificato ed esaltato, descritto da Isaia, la figura del ‘consacrato’, del messia atteso da Israele secondo gli oracoli dei profeti e dei salmi. Gesù ha vissuto questa realtà in sé aprendosi alla prospettiva di un nuovo Israele raccolto ed unificato dal Padre nel suo regno al di là di ogni confine, nella persona del servo, dell’uomo, del Messia. Questo significa leggere la vita di Gesù sulla linea profetica, dell’uomo cioè che appartiene tutto al suo tempo, ma appartiene tutto a Dio, che gli affida la sua parola perché sia giudizio e salvezza. E come il profeta rappresenta continuità e rottura nello stesso tempo, così Gesù è la continuità con le Scritture, che egli fa sue, ma è anche rottura perché le legge in maniera nuova. Gesù diceva ai suoi uditori: “Scrutate le Scritture, sono esse che parlano di me”(Gv 5,39 cfr. 1,45; 2,22; 5,46; 12,16. 41; 19,28.36; Lc 24,32.43 ; Mt 22,29).

Scrive Jeremias: “L’entrata in scena di Gesù fu preceduta da una vocazione, che verosimilmente ebbe luogo al momento del battesimo. A partire da quell’ora Gesù ebbe coscienza di avere l’incarico di partecipare ad altri la conoscenza di Dio che era stata accordata a lui. Avendo avuto questo incarico Gesù ebbe sentore di essere inserito nella serie degli inviati, ma la coscienza che egli aveva del suo potere trascendeva la categoria del fenomeno profetico. Quando infatti Gesù annunciava che con la sua venuta era iniziato il tempo della salvezza e la sconfitta di Satana, quando legava la decisione pro o contro Dio e la salvezza nel giudizio finale solo all’obbedienza prestata alla sua parola, quando dava il nome di vera vita all’imitazione di lui, quando contrapponeva alla torà (la legge) una nuova legge divina e faceva proclamare dai suoi inviati l’inizio dell’era salvifica, in breve, quando indicava il suo messaggio e le sue opere come evento escatologico di salvezza, dava a vedere che la sua coscienza di essere inviato non andava più inserita nella categoria dei dati profetici. Costatare tutto questo significa prendere atto che Gesù sapeva di essere il portatore della salvezza.

Questa linea ha il vantaggio di essere realistica e di essere accettata dall’uomo di oggi e in fondo corrisponde a quei criteri di analisi dei Vangeli e di accesso al Gesù storico basati sulla dissomiglianza o discontinuità come sulla conformità o continuità, comuni nell’analisi critica dei Vangeli, divulgati in opere di recente successo come “Ipotesi su Gesù” di Messori.

Su questa linea tentiamo ora un approccio al cammino di Gesù verso la Pasqua. Nell’impossibilità di fare un quadro completo scegliamo, sullo schema dei sinottici, alcuni momenti salienti della vita pubblica di Gesù lasciando da parte l’esame pur importante dei titoli che nei Vangeli vengono dati a Gesù, come: profeta, figlio dell’uomo, figlio di David, Messia, figlio di Dio, salvatore e altri.

Esamineremo brevemente: 1) l’inizio della vita pubblica, il battesimo; 2) la predicazione del regno e la crisi galilaica; 3) le predizioni della passione e della morte; 4) la trasfigurazione; 5) un breve cenno (sarà infatti trattato da altra relazione) alla cena pasquale.

.1. – E’ significativo che Gesù cominci la sua attività pubblica ricevendo il battesimo da Giovanni. Il battezzatore aveva rievocato la linea profetica: la forza dello Spirito, la parola di Dio che giudica, l’invito alla conversione. Le risonanze della predicazione di Giovanni trovano un’eco nell’animo di Gesù: il momento del battesimo diventa il momento della sua vocazione, la scena battesimale va analizzata alla luce anche delle vocazioni dei profeti, quella di Isaia (6), di Geremia (1), di Ezechiele (1-3). E’ illuminante il confronto tra la scena a colori teofanici, come è descritta dai sinottici, e la confessione che fa invece il solo Battista nel Vangelo di Giovanni ove dichiara: “Ho visto la Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). La differenza tra i sinottici e Giovanni ci dà sicurezza che la scena va letta non materialmente, ma in chiave religiosa e che il linguaggio è carico di simbolismi: i cieli aperti, la colomba, le acque, il deserto, la voce. La voce dà il contenuto della scena battesimale: è un’esperienza di Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). E’ un’esperienza originaria ed unica che si rifà alla vocazione del servo di Jahweh in Isaia 42.

Tralasciamo altri elementi di analisi, solo consideriamo che il battesimo è un fatto storico e segna l’inizio dell’attività di Gesù. E’ il criterio di continuità e discontinuità che lo garantisce. Il movimento ‘battista’ iniziato da Giovanni di cui troviamo tracce fino al periodo delle comunità cristiane (At 19,3-6) rivendicava una priorità del battesimo di Giovanni su quello di Gesù, priorità di tempo e di importanza. Questa difficoltà i cristiani la superarono ammettendo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, ma affermando che Giovanni stesso aveva riconosciuto la superiorità di Gesù e che il battesimo di Gesù (e quindi dei cristiani) era un battesimo non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nello Spirito.

La fede della comunità cristiana illuminerà di una nuova luce il momento del battesimo di Gesù e il racconto prenderà un andamento teofanico in cui tanti elementi si intrecciano, il nuovo Israele, il passaggio del Giordano come esodo ed entrata nella terra promessa, tematiche paradisiache (Mc 1,13) e altre, ma certo gli apostoli e quindi la comunità cristiana soltanto da Gesù potevano conoscere la sua esperienza filiale.

Bastano questi pochi cenni per comprendere che si tratta di una vocazione e di una missione, di apertura di Gesù all’accettazione del piano del Padre, che gradualmente lo porterà fino alla Pasqua della sua morte.

.2. – La predicazione del regno e la crisi galilaica. La missione di Gesù è la predicazione del “regno”: “Predicava il Vangelo di Dio e diceva: -il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo -” (Mc 1,15).

Le parabole sono il compendio dell’annuncio del regno, il succo della buona notizia: Dio è presente in mezzo al mondo. Le parabole più che un significato didattico hanno la carica di uno stimolo, di un invito alla decisione, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare il regno: è un tesoro grande, è la più preziosa delle perle, vale la pena acquistarlo ad ogni costo; è una piccola cosa, ma ha la forza di fermentare, di cambiare il tutto, è piccolissimo seme, ma cresce fino a diventare albero.

Il dinamismo è dato dalla parola che Dio semina e che è accolta in maniera differente dagli uomini o addirittura soffocata e respinta. Questa parola opera distinzioni così come il pescatore distingue i pesci buoni e cattivi nella rete o in un campo si mescola buon grano ed erbaccia.

La pratica del regno diventa presenza amorevole di Dio, che attraverso Gesù si fa presente ai deboli, ai peccatori, ai malati d’ogni genere e giudica quanti ostacolano il cammino del regno, giudica gli uomini e le strutture compromesse con un potere che non libera, ma rende schiavi.

Per questo gli evangelisti mettono in evidenza che le parabole sono accolte da pochi e che la pratica del regno contrasta con quanti detengono in qualche modo il potere: farisei, sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani.

Ad un primo periodo di entusiasmo della gente che rimane attonita, meravigliata della parola e dell’autorità di Gesù, entusiasta per le sue opere, attenta ai contrasti di Gesù con i farisei, subentra un atteggiamento di freddezza e di allontanamento. Il discorso di Gesù diventa più esigente, è considerato duro (Gv 6,60), la presa di posizione contraria sempre più forte ed aperta dei farisei, l’accusa di indemoniato, la ‘pretesa’ di Gesù di perdonare i peccati, la polemica sul sabato, sono tutti elementi che portano ad una rottura.

I Vangeli notano che Gesù riserva la spiegazione delle paratole ai suoi, perché gli altri hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, che Gesù non opera i miracoli perché non trova la fede in Israele e si ritira con i suoi a parte, comincia con essi un’azione particolare al cui centro c’è l’apostolo Pietro, che lo confessa Messia e su cui Gesù fonderà una nuova comunità. Stando allo schema dei sinottici è il momento della crisi galilaica.

Gesù sperimenta il rifiuto di Israele. E’ un momento di trapasso di estrema importanza nella sua vita da cui emerge da una parte la prospettiva di una fine come quella dei profeti e dall’altra la prospettiva di una comunità che continui, dopo la sua morte, l’opera messianica.

  1. Le predizioni della passione e della morte.

E’ in questo contesto che vanno poste le predizioni che Gesù ha fatto della sua morte. Ammesso anche che nella formulazione attuale le tre predizioni, che ognuno dei tre sinottici riporta, siano formulazioni post-pasquali, cioè profezie ex eventu, certo però che esse sono storiche nella sostanza perché si trovano in alcuni contesti che non potevano esser graditi alla comunità cristiana primitiva, come, ad esempio, il rimprovero duro dato a Pietro e l’appellativo di Satana, quando questi tentò di distogliere Gesù dalla sua linea (Mc 8,33), così pure alcune formulazioni sono troppo vaghe: “il figlio dell’uomo sarà preso, sarà consegnato”  ecc.) per poter essere formulazioni ex eventu (cfr. Mc 9,31).

Come Gesù arriva a parlare di una morte violenta e a vivere in questa prospettiva? Non è facile dare una risposta definitiva, ma potremo ipotizzare questa linea: Diverse accuse mosse dai circoli dirigenti giudaici al modo di agire e all’insegnamento di Gesù comportavano la pena di morte: Gesù è accusato di magia per i suoi esorcismi (Mc 3>22), perché, si dice, – scaccia i demoni in nome di Beelzebul – e questa accusa comportava la lapidazione; è accusato di bestemmia, perché annuncia il perdono dei peccati (Mc 2,7); è accusato di trasgredire il sabato (Mc 2,23-3,6). Si tratta di violazioni, che una volta accertate, venivano punite, secondo il diritto penale giudaico, con la morte. Inoltre la sorte toccata al Battista, ucciso da Erode Antipa, era un monito preciso anche per Gesù, come esplicitamente richiama Luca (13,31-33). L’opinione pubblica collocava Gesù nella serie dei grandi profeti biblici, come già il Battista stesso (Mc 6,14 ; 8,29). Anche questo suggeriva a Gesù la sorte che l’attendeva: la persecuzione e il martirio (Mt 23,37; Lc13,33) (cfr.Jeremías,o.c.; Fabris . I Vangeli pagg.804-5).

Ancora una domanda: ha Gesù annunciato anche la sua risurrezione? quale coscienza ne aveva? Al di là dei testi evangelici noi non abbiamo altra possibilità che quella di riferirci all’ambiente culturale in cui Gesù agisce. Ora Gesù si è identificato con il pio fedele, il giusto perseguitato dei salmi, che attende salvezza solo da Dio, si è identificato con il servo obbediente e sofferente dei carmi del secondo Isaia; Gesù ha fatto sua l’attesa apocalittica e la fede nella risurrezione dei morti. Gesù deve aver vissuto in una maniera più profonda e tutta nuova l’attesa e la speranza del giusto e del servo sofferente: il desiderio della vita piena, di contemplare il volto di Dio, di annunziare anche ai morti la vittoria di Dio, di vedere una posterità senza numero, di essere strappato alle fauci degli inferi e alla corruzione della fossa: tutte queste espressioni e situazioni dell’A.T. prendono un significato pregnante e nuovo. Gesù risorto ne sarà l’ermeneuta (Lc 24), ma è Gesù di Nazareth che vive questa realtà e l’annuncia ai suoi. Gesù ha dinanzi la morte violenta e non si tira indietro, ma l’affronta “sì con il timore del giusto e del profeta perseguitato, ma soprattutto con la forza del martire e la certezza che nella morte il suo annuncio del regno di Dio riceverà la conferma definitiva e il pegno più sicuro: che Dio, il Padre, gli si rivelerà definitivamente come il Dio vicino e fedele” (così Fabris R., I Vangeli, pag.807 ).

Niente in questi annunci contraddice quel che noi attendiamo da Gesù perché egli sia un uomo reale. Scrive H.U. von Balthasar :”Gesù è un uomo autentico, e la nobiltà inalienabile dell’uomo e di potere, da dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza, in un avvenire che ignora. Se quest’uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta, è Dio nella sua libertà e nella sua immensità. Privare Gesù di questa possibilità e farlo avanzare verso un fine conosciuto in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità di uomo” (La fede di Cristo,1969 pag.18l). Con la liturgia potremo ripetere l’antifona pasquale: Resurrexi et adhuc tecum sum. Sono risorto e son con te, come il canto nuovo di Cristo.

  1. La trasfigurazione. In Marco e nei vangeli sinottici la trasfigurazione occupa un posto ben preciso. Collocata dopo la confessione di Pietro e il primo annuncio della passione, la scena della trasfigurazione ne è come la rispostala: Solo Luca mette esplicitamente in evidenza lo stretto collegamento dicendo che Mosè ed Elia “parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (9,31).

Al culmine della crisi galilaica, quando Gesù comincia a restringere la sua attività ai discepoli, nella decisione di salire a Gerusalemme, questa scena teofanica, carica di simbolismi, sta ad indicare la prospettiva di tutta la vita di Gesù. E’ inutile per noi porci la domanda di quel che è avvenuto esteriormente e quanto poteva essere fisicamente colto in questa esperienza mistica di Gesù e dei tre prescelti: l’alto monte, la luce, la nuvola, Mosè ed Elia, la paura dei tre, la proposta della tenda fatta da Pietro sono tutti elementi simbolici ricchi di significato. Come sempre il punto focale è la parola, la voce: Gesù è proclamato il figlio diletto e la gloria di cui è circonfuso illumina il dramma della sua passione. Si tratta di un’esperienza che preannuncia la vera persona di Gesù: il suo cammino verso la morte non è la rassegnata sottomissione ad una fatalità storica, non è il fallimento di un progetto, ma la rivelazione piena della sua identità: il Figlio che è in un rapporto unico col Padre. Sarà l’esplosione del suo amore e della sua piena libertà: quell’amore e quella libertà rimandano ad un mondo che già traspare nei suoi gesti e nelle sue parole quotidiane, ma che i discepoli nella loro intimità con Gesù in modo privilegiato hanno potuto intravvedere”(Fabris, 766).

  1. La cena pasquale.

Non è il momento qui di fare una teologia della Pasqua né di discutere la cronologia della cena pasquale di Gesù, né di illustrare i motivi della condanna di Gesù nella sua ultima Pasqua richiamando i tentativi e le ipotesi avanzate da Winter , Brandon, Blinzler, Carmichael, Wilson, Masson e altri, ma solo di fare un quadro rapido dell’atteggiamento di Gesù nella cena pasquale e vedere con quale prospettiva l’ha celebrata

L’attività di Gesù a Gerusalemme è presentata in un quadro di tensioni e di contrasti con le autorità: i sacerdoti del tempio, i sadducei, i farisei, gli scribi, gli erodiani e il potere politico in genere. Giovanni e i sinottici concordano anche se in un quadro molto differente: i sinottici concentrano l’attività di Gesù a Gerusalemme nell’ultima settimana, nella festa di Pasqua, Giovanni presenta le controversie di Gesù in periodi diversi. I sinottici concentrano in questa settimana le parabole polemiche di Gesù, quella dei due figli, dei vignaiuoli omicidi, degli invitati a nozze e le controversie più dirette, quella su: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, la questione messianica, il più grande dei comandamenti. Giovanni illumina la persona e l’atteggiamento di Gesù attraverso i segni e i discorsi di Gesù a Gerusalemme e circostanze diverse, la guarigione dello storpio alla piscina di Betesda, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, il perdono della donna adultera, la discussione sull’origine del Cristo.

A Gerusalemme si consuma il rifiuto di Gesù e tutto questo lo pone in un atteggiamento nuovo nella celebrazione della Pasqua. Con sicurezza si può affermare che per Gesù la celebrazione della Pasqua non era stata mai un fatto di pura tradizione, come del resto per ogni pio israelita, ma questa ultima Pasqua acquista in lui un rilievo unico: l’agnello, il sangue, il tempio e il sacrificio pasquale; la liberazione, l’alleanza, il Messia, il figlio dell’uomo, il servo di Jahweh, il giudizio di Dio e il nuovo Israele, il rifiuto di Israele e la fedeltà di Dio, il cuore nuovo e la nuova alleanza, la parola e lo Spirito, la morte e la vita, sono tutte realtà, segni, simboli che ormai convergono in uno, nella persona di Gesù. Dopo l’esperienza del Risorto si svilupperà una lettura nuova e più profonda, ma questa trova la sua radice qui nella coscienza di Gesù e nella conoscenza ed esperienza che di essa hanno avuto gli apostoli.

E’ in questo quadro che vanno lette le espressioni di Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (12,50) e nel celebrare la cena pasquale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (22,15). Il battesimo che Gesù vede dinanzi nel prendere la decisione di salire a Gerusalemme (9,51) è l’immersione nelle acque di morte (Salmo 124,4s) da cui Dio soltanto può liberare, è l’oscurità del piano di Dio e del suo amore, che passano attraverso la gioia sofferta del dono di sé nella fede.

Gesù invita a questo anche i discepoli: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? “(Me. 10,38 ).

La Pasqua ultima di Gesù diventa il suo battesimo. All’ombra della Pasqua antica che era il segno di una presenza di Dio mai vissuta totalmente, il segno dell’amore liberante di Dio mai accolto in pienezza, si sostituisce la Pasqua di Gesù che diventa accoglienza piena dell’amore e della presenza del Padre nella vita, cioè il suo corpo spezzato e il suo sangue versato per “i molti”, cioè per tutti, sotto il peso del peccato del mondo che stronca una vita che è ripresa e salvata per sempre da Dio.

Gesù celebra la sua ultima Pasqua in questa prospettiva sotto l’incalzare degli eventi a cui egli non si sottrae, anzi liberamente e volontariamente la accetta. Tanta e forte è la consapevolezza di Gesù, che egli chiama a parteciparvi i discepoli: “prendete e mangiate, prendete e bevete, fate questo in memoria di me”. La celebrazione pasquale diventa una nuova liturgia, che non è rito, ma vita per quanti vogliono seguire Gesù e sfocerà nel banchetto escatologico dove sarà bevuto il vino nuovo.

La cena pasquale di Gesù anticipa, nel segno del banchetto del pane e del vino, la sua passione e la sua morte, anticipa il banchetto escatologico che Dio prepara per il suo figlio e per quelli che celebrano nella fede la stessa cena.

Gesù vive la sua ultima Pasqua come una scelta religiosa di obbedienza al Padre. Giuocano in questo evento tanti altri motivi, politici e sociali: i politici di fronte al potere dell’impero di Roma e dell’autorità ebraica, quelli sociali di fronte ai contrasti di Gesù nei riguardi delle diverse correnti religiose e sociali, farisei, sadducei, zeloti e altri, ma nessuno di questi motivi può esser presentato come unico ed esclusivo. Ogni tentativo di questo genere è destinato a naufragare.

L’interpretazione con cui la comunità cristiana primitiva presenterà la morte di Gesù più che essere un ostacolo è una garanzia non solo alla comprensione teologica della Pasqua di Gesù, anche alla ricostruzione dei motivi storici che si intrecciano nel motivo di fondo che è quello del rapporto di Gesù col Padre.

Le espressioni che troviamo nella letteratura neotestamentaria:

– “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (…)

e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui “ (Lc 24,26s);

– “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture” (I Cor.l5,3s);

– “Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5,6);

– “Colui che non aveva, conosciuto peccato, Dio lo trattò’ da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).

e tante altre espressioni che si potrebbero citare, sono senz’altro frutto della elaborazione teologica successiva della prima tradizione cristiana e della sistemazione redazionale degli evangelisti, ma l’analisi ci mostra che questo lavoro e questa riflessione non erano possibili senza rifarsi al Gesù storico e al suo messaggio.

Due linee si incontrano:  una che viene dal basso e preferisce analizzare il cammino umano di Gesù nel mondo in cui ha operato e in cui si è posto come compimento e discrimine, l’altra che parte dall’alto, dal piano e dal volere di Dio, dal Cristo immagine del Padre, e Figlio eterno per mezzo del quale tutto è stato creato, Verbo fatto carne che ha portato la parola definitiva del Padre e per la cui morte gli uomini sono stati salvati. Le due linee non solo sono legittime entrambi, ma convergono e si integrano a vicenda e l’una prospettiva soffrirebbe se si facesse la riduzione o l’assolutizzazione dell’altra ed è soltanto nella luce della fede che possono essere unitariamente accolte insieme. Il progetto umano di Gesù non differisce dal piano che il Cristo ha compiuto da parte del Padre, anche se l’uomo di oggi preferisce guardare alla croce e alla morte di Gesù come al termine della tensione di tutta la sua vita, tuttavia rimane sempre vero il monito di Paolo: “Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne, e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor.5, I6s): le cose nuove sono la morte e la risurrezione di Cristo nella nostra vita donata al mondo nella carità.

NOTE

(1) La “festa” senza specificazioni menzionata in 5,1 secondo alcuni esegeti è detta eortè = con l’articolo, è la festa per eccellenza, la Pasqua, ma per la maggior parte; secondo la più probabile tradizione manoscritta, è semplicemente una festa senza articolo, forse quella dei Purim: Così Blinzler, J. Giovanni e i sinottici, (Paideia) Brescia 1969 pag.18.

(2) cfr. Blinzler,o. c. 87-110.

Questo testo è stato elaborato dal MIOLA per il

XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE – PESCARA 1977

 

 

Miola Gabriele

“LA TENSIONE DELLA VITA DI GEDSU’ VERSO L’ULTIMA PASQUA”

*Sintesi

La lettura che gli scritti neotestamentari fanno della vita di Gesù dell’ultima Pasqua e della sua morte, è una lettura di fede. Paolo scrive: “A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s). Analizzata la struttura letteraria dei Vangeli con cui gli autori mettono in evidenza da una parte la tensione di Gesù verso la Pasqua e la morte e dall’altra il piano salvifico di Dio, questa relazione si ferma soprattutto ad analizzare le tappe salienti della vita di Gesù a partire dal momento del battesimo e mette in luce le scelte concrete del Cristo nell’annuncio del “regno”, lo scontro con le autorità religiose, politiche, culturali del tempo ed i motivi del rifiuto del messaggio di Gesù.

Stando allo schema dei sinottici, Gesù dopo la crisi galilaica si ritira con i suoi a comincia a parlar loro del suo futuro, carico del rifiuto da parte delle autorità e quindi del suo patire e della sua morte. In questa prospettiva Gesù vede la sua morte come obbedienza al Padre e dono per la salvezza di tutti. L’atteggiamento ultimo di Gesù è un atteggiamento religioso e non politico o rivoluzionario anche se motivazioni di tipo politico sociale rientrano nei motivi della sua condanna.

Gesù è un uomo autentico e la nobiltà inalienabile dell’uomo è di potere, di dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza in un avvenire che ignora. Se questo uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta è Dio nella sua libertà e nella sua immensità” (H. U. von Balthasar, La foi du Christ, Aubier, Paris 1969 pag.181).

LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ VERSO LA PASQUA

  1. INTRODUZIONE

Nella prima lettera ai Corinti, affrontando due questioni importanti, quella dell’unità nella carità nel celebrare la cena del Signore, e quella della fede nella risurrezione dei morti, Paolo scrive:

– io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. (11,23)

“A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè:

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e

che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s).

Quel “ho ricevuto dal Signore” circa la cena (11, 23) non è differente dall’altro “vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto” sulla risurrezione (15,3s): si tratta della tradizione che risale agli apostoli. Questo senso così spiccato della tradizione, cui Paolo si appella in una maniera ancora, più forte nella lettera ai Galati (1,18; 2,9), rappresenta una indicazione molto importante: Paolo si rifà attraverso la tradizione a dei fatti storici, la cena pasquale, la morte (e la resurrezione) di Gesù, e ad una loro lettura di fede, ad una interpretazione teologica, che è diventata normativa nella comunità cristiana: la cena dell’ultima Pasqua, nella notte in cui fu tradito, e la sua morte, non sono dei fatti casuali, ma rispondono ad un piano di Dio, tutto è avvenuto secondo le scritture (15,3). Paolo ha ricevuto questa lettura dei fatti della cena pasquale e della morte di Gesù dalla comunità cristiana e se pensiamo che la lettera ai Corinti è stata scritta, secondo l’opinione più comune, nella primavera del 57 e che il suo primo incontro con Cefa (Gal.1, 18) va posto nel 39 vediamo che questa ermeneutica dei fatti risale immediatamente a Pietro e alla, comunità postpasquale gerosolimitana.

Abbiamo detto ‘lettura teologica’, cioè lettura dei fatti alla luce della fede, che vede nella vita di Gesù, in tutta, ma specialmente nei punti culminanti, come la cena della sua ultima Pasqua e la morte, il compimento di un piano di Dio. Questa è la linea costante di lettura che ritroviamo negli scritti del N.T., non solo nelle lettere di Paolo, anche nei Vangeli, la sintesi più completa di questa lettura la troviamo nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, che esprimono l’unità del piano di Dio, che opera in Cristo la salvezza degli uomini, ricapitolando in lui tutto il suo disegno.

E’ evidente che questo tipo di lettura parte dal Cristo della fede, dal Gesù della gloria che, esaltato, siede alla destra del Padre ed ha compiuto ogni purificazione dei peccati (Eb. 1,3) e sottolineando il piano divino richiede una sapienza e una intelligenza spirituale (Col.1 ;10; Ef., 3,5.10.I8) per comprenderlo e vederlo realizzato nella storia presente della comunità dei salvati, cioè della Chiesa (Ef. 3,10;1 Cor. 2,7-10)„

E’ evidente anche che questo tipo di lettura non prescinde dalla storia, dai fatti, anzi ci si richiama continuamente, ma certo è meno attenta ai dati cronologici, topografici, circostanziali in genere, allo sviluppo psicologico, alla evoluzione di atteggiamento e di pensiero delle persone. La fede sottolinea da una parte la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, la sua iniziativa gratuita, che entra nella storia attraverso Cristo e dall’altra sottolinea l’accettazione di questo piano, l’ubbidienza del Figlio, il valore di liberazione, redentivo ed espiatorio, della vita di Gesù, ma soprattutto di alcuni momenti e fatti significativi come la cena pasquale e la morte in croce (cfr. Fil.2,1-10).

Per noi che ci interroghiamo su “la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua”, il problema invece si pone sul piano storico, cioè sul piano delle scelte di Gesù di Nazareth, sul piano della sua decisione e volontà, della sua coscienza.

Si pone quindi il problema delle fonti storiche su Gesù, cioè dei Vangeli. Non è questa la sede per trattare il problema della storicità dei Vangeli quale base per evidenziare il cammino di Gesù verso la Pasqua. Stiamo ai dati più accreditati ed accolti dal magistero della Chiesa, l’istruzione sulla verità storica dei Vangeli del 21.4.1964 della Pontificia Commissione Biblica precisa che “la vita e l’insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservarne il ricordo, ma ‘predicati’ in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi” (n. 2a). In altre parole ciò significa dire che l’ottica degli evangelisti nel presentare i detti e le azioni di Gesù è un ‘ottica di fede e che il narrare “per ordine”, come dice Luca (1,3), è un ordine di tipo teologico e non semplicemente cronologico o topografico, come del resto afferma la stessa istruzione: “Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n.2b).

I Vangeli non sono la cronistoria di una vita, ma quel che vogliono essere come il nome stesso indica, cioè ‘buona notizia’, annuncio di salvezza.

Il nostro problema quindi è duplice: uno di carattere letterario, di analisi letteraria, vedere cioè qual’è l’impostazione teologica dei Vangeli e quale posto vi occupa l’ultima Pasqua di Gesù, l’altro di carattere ermeneutico e storico, risalire cioè attraverso i dati evangelici alla tensione reale della vita di Gesù, alla coscienza che ha avuto della sua missione ed il significato che ha dato alla Pasqua e alla sua morte.

Ancora un’osservazione introduttiva: abbiamo detto che ci sono due tagli differenti con cui leggere i Vangeli e la vita di Gesù: c’è la prospettiva teologica che parte dal Cristo della fede, il Risorto esaltato alla destra del Padre e che tende a sottolineare il piano di Dio e l’obbedienza del Figlio, e c’è la prospettiva storica di chi vuol analizzare i dati della vita di Gesù e lo sviluppo delle sue scelte.

Le due non sono contraddittorie: la prima vede l’umanità di Gesù alla luce della divinità del Cristo, sottolinea il piano di Dio che si attua in uno stile e in uno schema prestabilito: è il tipo di lettura privilegiata dalla teologia basata sull’ontologia della persona e prevalente ancor oggi nella catechesi e nell’omiletica e se portata alle ultime conseguenze corre il rischio di una lettura di tipo monofisita. La seconda è la linea che privilegia il tema delle scelte e della crescita psicologica di Gesù, che è visto come l’uomo libero, l’uomo delle decisioni forti e radicali, dell’appello alla conversione e all’impegno, è una linea più attenta alla cultura odierna e alla lettura dell’io personale del Cristo in chiave psicologica e se portata agli estremi corre il rischio di una lettura di tipo nestoriano in cui Gesù è unito al Figlio di Dio o arriva a diventarlo, ma se supera le difficoltà di un certo dualismo cristologico, è più rispondente all’uomo di oggi.

Ecco i nostri due problemi:

-l’ultima Pasqua di Gesù nell’analisi letteraria dei Vangeli;

-la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua.

Il primo problema, più semplice, è di carattere letterario, il secondo, più importante, è di carattere storico-esegetico.

  1. L’ULTIMA PASQUA DI GESÙ’ NELL ‘ANALISI LETTERARIA DEI VANGELI.

.a. – Anche un profano che leggesse per la prima volta i Vangeli, sia i sinottici sia Giovanni, percepisce che il racconto tende verso la morte del protagonista Gesù, e che questo evento si inserisce nel quadro della celebrazione della Pasqua: Gerusalemme, il tempio, l’agnello pasquale, la preparazione della cena pasquale fatta dai discepoli (Mc 14,12-16) e l’affermazione: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15) formano la cornice di questa tensione.

I Vangeli presentano altri punti salienti della vita di Gesù, come l’inizio con il battesimo, la trasfigurazione, ma anch’essi sono in rapporto con la morte e la Pasqua. Luca dice che Mosè ed Elia apparsi accanto a Gesù “parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,28-36), ‘portato a compimento’  con il verbo “pleroo” ha un senso  forte e pregnante.

Questa impostazione dei Vangeli è il risultato del Kerygma originario, dell’annuncio della salvezza che Dio ha operato per tutti nella morte e risurrezione del Cristo. Il kerygma come ci è testimoniato negli Atti degli Apostoli attraverso i discorsi di Pietro (At. 2,22-24.32s; 3,14s; 4,10-12V e di Paolo (13,26-35) è tutto centrato sulla passione, la morte e la risurrezione di Gesù con una attenzione particolare a mettere in evidenza il piano di Dio realizzatosi secondo le scritture. Questo ci spiega la prospettiva unitaria dei Vangeli e l’origine del racconto della passione, che è il racconto più sviluppato nei Vangeli e in cui gli evangelisti, nonostante qualche accentuazione particolare, più profondamente concordano conformemente alla centralità dell’annuncio cristiano, gli evangelisti impostano tutto il racconto della vita di Gesù facendolo convergere verso l’ultima sua Pasqua.

.b. – Diciamo l’ultima Pasqua chiaramente in rapporto al vangelo di Giovanni perché è ben risaputo che mentre i Vangeli sinottici parlano di una sola Pasqua durante la vita pubblica di Gesù, quella della sua morte, Giovanni invece esplicitamente fa menzione di almeno altre due Pasque: la cosiddetta Pasqua di Nicodemo (2,13.23) e la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) (1).

Nonostante il taglio più teologico dell’opera giovannea, oggi gli esegeti sono d’accordo nel riconoscere un valore storico ai dati cronologici fornitici da Giovanni e quindi a sviluppare l’attività pubblica di Gesù nell’arco di tre Pasque e quindi di due anni e mezzo almeno (2), ma ciò mette subito in evidenza che la scelta dei sinottici di sviluppare la vita pubblica di Gesù secondo il quadro: attività in Galilea, salita a Gerusalemme, Pasqua e morte di Gesù. Non è un quadro cronologico, ma teologico, cioè un quadro che vuol evidenziare la tensione pasquale della vita di Gesù.

.c. – Del resto gli evangelisti sottolineano questa stessa tensione anche al di là dì questo grande quadro cronologico con altre indicazioni che evidenziano in maniera più sottile, ma non meno significativa, il cammino di Gesù e l’emergere della Pasqua, della morte come compimento di un piano e di una vita. Marco, che secondo l’opinione oggi più comune è il primo estensore di una narrazione evangelica completa, ha impostato il racconto della vita di Gesù su tre momenti: attività in Galilea e attività fuori del territorio della Palestina, salita a Gerusalemme per la Pasqua e attività nella città santa, conclusione con la morte di Gesù e l’annuncio della risurrezione. Matteo e Luca che dipendono da Marco riprendono la stessa impostazione, ma ognuno vi porta l’accento suo particolare. Vediamo queste sfumature:

.1. – Marco imposta il suo racconto sulla manifestazione progressiva della persona di Gesù. Non solo il quadro cronologico, ma anche la manifestazione di Gesù tende alla Pasqua. E’ risaputo che nel Vangelo di Marco ha un posto particolare il cosiddetto “segreto messianico”, cioè Gesù tiene segreta la sua personalità ed impone il segreto a quanti in qualche modo la conoscono. E’ come un segreto custodito gelosamente dinanzi a tutti, dinanzi alle folle e dinanzi ai suoi (Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36); dopo la cosiddetta crisi galilaica il mistero viene progressivamente svelato prima ai tre prescelti (8,26-30) e poi e tutti i discepoli nell’annuncio delle sofferenze che il figlio dell’uomo dovrà subire (8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). L’affermazione solenne della sua personalità e delle sue prerogative Marco la vede realizzata da Gesù stesso dinanzi ai sommi sacerdoti Anna a Caifa e questa affermazione diventa il motivo ultimo della sua condanna: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto? – Gesù rispose: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,61-63). Il segreto era in vista di questo momento definitivo in cui Gesù stesso fa la proclamazione ufficiale della sua personalità, quasi una tensione che pervade il vangelo e la vita di Gesù.

.2. – Il Vangelo di Matteo, oltre al quadro cronologico-topografico Galilea, Gerusalemme, Pasqua della morte, per i destinatari cui il Vangelo cui è indirizzato, adotta un altro metodo da cui traspare la tensione di tutto il racconto evangelico. Matteo è il teologo del compimento delle scritture: Gesù è colui che realizza il piano di Dio così come era stato annunciato nelle Scritture.

In Matteo troviamo 66 citazioni dell’Antico Testamento, 37 delle quali sono precedute da una introduzione e di queste tipiche quelle dette di “compimento’ e ne sono 11, cioè introdotte con la formula tecnica “affinchè si adempisse…” (cfr. Sabourin L., Il Vangelo di Matteo, pag. 4-ss ). L’evangelista vuol mostrare Gesù come colui che compie le attese messianiche. Sabourin scrive (pagg.44—45): “Secondo Matteo, Gesù portando a termine l’A.T. lo illumina: ciò è possibile perché Dio governa il mondo (…)  Questa concezione corrisponde fedelmente all’antico modo ebraico di comprendere la parola di Dio: essa, come agente personificato, produce quello che proclama, dirige ogni cosa verso l’evento escatologico, che dovrà manifestarsi alla venuta di Gesù. E’ certo che Matteo intese l’antica economia come un’ombra e un modello del bene che verrà (Eb. 8,5;10,1)”. Ora Matteo iniziando il racconto della passione mette in bocca a Gesù queste parole: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (26,2). Per Matteo quindi che vede negli eventi di Gesù il compimento del disegno del Padre, la Pasqua, o almeno questa specifica Pasqua è strettamente legata con Gesù, è il compimento della tensione di Gesù, che dà il pieno significato salvifico ad essa con la sua morte.

.3. – Nel Vangelo di Luca, Gerusalemme è il fine e il vertice dell’attività di Gesù. Nonostante che nel prologo dell’opera Luca protesti di voler narrare “con ricerche accurate su ogni circostanza (…) con ordine” risulta chiaro che non si tratta di un ordine biografico, cronologico o geografico, ma di un altro ordine di tipo tematico e teologico.

Le notazioni geografiche e cronologiche servono a Luca per mettere in evidenza il “cammino” la “salita” a Gerusalemme. Questo cammino verso la città santa ha un significato pregnante: a Gerusalemme nella Pasqua Gesù con la sua morte aprirà le porte ad un nuovo inizio. Ecco perché dopo il ministero galilaico Luca raccoglie, nonostante le contraddizioni in cui incorre nel racconto e nei confronti delle fonti, tutto il materiale a sua disposizione nel quadro di una “salita” a Gerusalemme attraverso la Samaria. Comincia la sezione dicendo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (9,51,cfr. anche 9,31) e spesso richiama questo camminare :”mentre erano in cammino” (9,57), “attraversava città e villaggi insegnando e dirigendosi verso Gerusalemme” (13,22),”mentre erano in cammino (verso Gerusalemme) entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa” (10,38), “grandi folle erano in cammino con lui” (14,25), “mentre si avvicinava a Gerico” (18,35) e Gerusalemme diventa la meta finale delle peregrinazioni (9,51.53; 13»33; 17,11; 18,31; 19,11) “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”(13,33).

.4 -. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo già detto, ci dà un quadro cronologico a giudizio dei critici più attendibile. Giovanni mette in evidenza la tensione della vita di Gesù verso Gerusalemme e la Pasqua non con dati cronologici o geografici, ma con un’altra indicazione apparentemente temporale, carica di significato teologico “la mia ora”. Troviamo consonanza tra i sinottici e Giovanni nell’indicare la passione, il momento della solitudine di Gesù, dell’abbandono da parte degli amici, la croce e la morte, come l’ora di Gesù, che è anche l’ora della potenza delle tenebre (così Mt 26,45; Mc 14,35; Lc 22,53). Giovanni sottolinea la tensione di Gesù verso questa ora: è l’ora da cui nascerà una nuova vita, come dalle doglie della madre nasce una vita nuova (16,21), è un’ora di dolore, d’angoscia, ma accettata e voluta da Gesù, sarà l’ora in cui il Padre mostrerà la gloria del Figlio e nello stesso tempo il Figlio rivelerà l’amore del Padre e la sua gloria nel darsi per la vita degli uomini, come il chicco è dato alla terra perché muoia e porti fruttò. Così si esprime Gesù nella preghiera al tempio dinanzi ai pagani, che per mezzo di Filippo avevano chiesto di vedere Gesù (cfr. Gv 12,20-27).

I ritmi della vita di Gesù sono scanditi da questa ora, che è il momento nascosto nei segreti del Padre (e che solo il Figlio conosce). A Cana Gesù quasi anticipa questo momento per richiesta di Maria, ma la vera ora deve ancora venire (Gv 2,1-11). Giovanni sottolinea che a Cana Gesù dette inizio ai “segni“ e mostrò la sua “gloria”: si può dire che ogni miracolo evoca la sua “ora” perché ogni miracolo è un “segno” che ne mostra o anticipa un aspetto e verso quest’ora Gesù coordina la sua attività di profeta e di taumaturgo. Per questo Giovanni inizia il racconto della sua passione con questa frase solenne: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Questa Pasqua è il vero passaggio, è la pienezza del cammino della liberazione, è arrivare al Padre; la tensione di Gesù si scioglie in questa Pasqua di passaggio al Padre: L’evangelista vede questa ora come programmata, la vita di Gesù scorre verso questa ora e i suoi nemici non possono far nulla contro di lui (né lapidarlo 7,30 né arrestarlo 8,20) perché non era giunta la sua ora. Quando invece questa ora arriva, è il Figlio stesso che prega: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo…”(17,1).

Bastano questi accenni rapidi ed incompleti per vedere che, pure in un quadro cronologico e geografico differente da quello dei sinottici, il Vangelo di Giovanni ha come tensione la Pasqua ultima di Gesù.

Questa rapida analisi raggiunge un dato già conosciuto e scontato, può esser servita a mettere in evidenza il lavoro redazionale di ogni evangelista, l’architettura tipica data ad ogni opera, a far percepire lo scopo fondamentale di tutti quattro i Vangeli: mostrare che la vita di Gesù era tutta protesa verso Gerusalemme e la Pasqua, l’ora del giudizio e della gloria.

.3. – LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ’ VERSO L’ULTIMA PASQUA

In questa seconda parte dovremo passare dalla struttura dei Vangeli al Gesù storico. Visto che i Vangeli sono una testimonianza ed un annuncio di fede, dobbiamo porci la domanda: qual’è stata la coscienza che Gesù ha avuto di sé, della sua missione, quale prospettiva ha avuto dinanzi alla morte? che significato ha avuto per lui l’ultima Pasqua?

E’ il problema fondamentale ed arduo del rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia. Da quando questo problema è stato posto da M. Kaehler non lo si può più evitare e la risposta oscilla tra la posizione radicale di Bultmann che nega ogni rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia ponendo una separazione netta tra fede e storia, ed un’esegesi fondamentalista che sovrappone materialmente fede e storia e legge in chiave letterale per non dire fisicista ogni riga del vangelo senza preoccuparsi dei tipi di linguaggio e di messaggio religioso.

Nel tentativo di raggiungere il messaggio religioso di Gesù necessariamente ognuno vi porta una certa precomprensione che accentua alcuni aspetti e limita altri della figura di Gesù, così dall’accentuazione di alcuni aspetti della salvezza emergono diversi tipi di lettura del Vangelo, che vanno dalla teologia della liberazione alla teologia della croce, dalla teologia della speranza alla teologia politica, da cui emergono alcuni tagli che, se assolutizzati, diventano una lettura parziale del messaggio di Gesù; se integrati, lasciano spazio ad un arricchimento di aspetti della profondità della sua figura. Questa lettura molteplice trova la sua garanzia ultima in una lettura ecclesiale, cioè fatta all’interno della Chiesa ed accolta, autenticata dal magistero, che è stato dato ad essa perché conservi integro il Cristo ed il suo messaggio. Ancora qualche osservazione preliminare:

.a. – la prima mi viene da un’esperienza costante che ho avuto in incontri biblici, sia con laici che con preti, sia con adulti che con giovani: il problema della scienza del Cristo. I nostri trattati di teologia impostavano la questione sulla “base della distinzione tra i diversi tipi di scienza presenti nel Cristo beatifica, infusa, acquisita (cfr. Parente P., De Verbo incarnato, Marietti 1956 pagg. 186-191 ). E’ un’impostazione che parte dal mistero dell’incarnazione, un’impostazione che ha i suoi meriti, ma corre il rischio di far pendere la “bilancia” dalla parte della scienza o visione beatifica e di misconoscere la scienza umana del Cristo. E’ quel monifisimo larvato che tante volte appare nella presentazione della vita di Gesù in rapporto alla sua passione, morte e risurrezione, che diventano come atti di un dramma di cui l’attore recita la parte conoscendone lo sviluppo. Questa presentazione, qui un po’ esagerata, certamente è poco accessibile all’uomo di oggi, più attento ad una umanità che cresce e si sviluppa sotto tutti gli aspetti ed è anche poco rispondente allo sforzo che si chiede oggi all’esegesi di evidenziare il Gesù storico, la sua posizione di fronte alla realtà del suo tempo, di fronte al processo e al giudizio cui è stato sottoposto e alla morte cui è stato condannato.

Il problema rimarrà sempre perché tocca il mistero dell’incarnazione, il mistero dell’uomo-Dio. E’ questione di metodo piuttosto, mi sembra: altro è porre il problema della tensione pasquale di Gesù partendo dalla triplice divisione della scienza del Cristo (che è un problema teologico), altro è porsi il problema analizzando i dati storici del Vangelo ed il cammino di Gesù verso la Pasqua e magari poi rileggerli alla luce della risurrezione cioè della fede come fa la comunità cristiana e come fanno gli evangelisti.

.b. – la seconda osservazione: ho notato che viene sempre accolta con piacere la presentazione di Gesù a partire dall’inserimento nel suo tempo e nel suo ambiente: può essere un dato scontato, ma non lo è per tutti: presentare Gesù immerso nel suo mondo da cui mutua cultura e linguaggio, ma che nello stesso tempo supera il suo mondo per una comprensione nuova che ha di esso. Gesù si forma sulle pagine dell’A.T. nella lettura sinagogale, ma nello stesso tempo supera la lettura che di esso faceva la ufficialità,  sadducea o farisaica o di altre estrazioni che sia; Gesù fa una nuova ermeneutica dell’A.T., bisogna dire che Gesù è l’esegeta dell’A.T. tirandolo a se, cioè facendone l’esegesi non a livello culturale, ma vitale, esistenziale, psicologico, immedesimandosi in maniera tutta nuova e tutta sua nelle linee religiose che attraversavano le Scritture del suo popolo. Egli ha unificato nella sua persona, interpretandole in maniera nuova, la figura del fedele israelita che prega nei salmi ed invoca la salvezza totale da Dio, la figura del profeta chiamato ed inviato a portare la parola, la figura del figlio dell’uomo, (ben ‘adam,) dell’uomo che riceve onore e gloria da Dio, la figura del servo umile ed obbediente, sacrificato ed esaltato, descritto da Isaia, la figura del ‘consacrato’, del messia atteso da Israele secondo gli oracoli dei profeti e dei salmi. Gesù ha vissuto questa realtà in sé aprendosi alla prospettiva di un nuovo Israele raccolto ed unificato dal Padre nel suo regno al di là di ogni confine, nella persona del servo, dell’uomo, del Messia. Questo significa leggere la vita di Gesù sulla linea profetica, dell’uomo cioè che appartiene tutto al suo tempo, ma appartiene tutto a Dio, che gli affida la sua parola perché sia giudizio e salvezza. E come il profeta rappresenta continuità e rottura nello stesso tempo, così Gesù è la continuità con le Scritture, che egli fa sue, ma è anche rottura perché le legge in maniera nuova. Gesù diceva ai suoi uditori: “Scrutate le Scritture, sono esse che parlano di me”(Gv 5,39 cfr. 1,45; 2,22; 5,46; 12,16. 41; 19,28.36; Lc 24,32.43 ; Mt 22,29).

Scrive Jeremias: “L’entrata in scena di Gesù fu preceduta da una vocazione, che verosimilmente ebbe luogo al momento del battesimo. A partire da quell’ora Gesù ebbe coscienza di avere l’incarico di partecipare ad altri la conoscenza di Dio che era stata accordata a lui. Avendo avuto questo incarico Gesù ebbe sentore di essere inserito nella serie degli inviati, ma la coscienza che egli aveva del suo potere trascendeva la categoria del fenomeno profetico. Quando infatti Gesù annunciava che con la sua venuta era iniziato il tempo della salvezza e la sconfitta di Satana, quando legava la decisione pro o contro Dio e la salvezza nel giudizio finale solo all’obbedienza prestata alla sua parola, quando dava il nome di vera vita all’imitazione di lui, quando contrapponeva alla torà (la legge) una nuova legge divina e faceva proclamare dai suoi inviati l’inizio dell’era salvifica, in breve, quando indicava il suo messaggio e le sue opere come evento escatologico di salvezza, dava a vedere che la sua coscienza di essere inviato non andava più inserita nella categoria dei dati profetici. Costatare tutto questo significa prendere atto che Gesù sapeva di essere il portatore della salvezza.

Questa linea ha il vantaggio di essere realistica e di essere accettata dall’uomo di oggi e in fondo corrisponde a quei criteri di analisi dei Vangeli e di accesso al Gesù storico basati sulla dissomiglianza o discontinuità come sulla conformità o continuità, comuni nell’analisi critica dei Vangeli, divulgati in opere di recente successo come “Ipotesi su Gesù” di Messori.

Su questa linea tentiamo ora un approccio al cammino di Gesù verso la Pasqua. Nell’impossibilità di fare un quadro completo scegliamo, sullo schema dei sinottici, alcuni momenti salienti della vita pubblica di Gesù lasciando da parte l’esame pur importante dei titoli che nei Vangeli vengono dati a Gesù, come: profeta, figlio dell’uomo, figlio di David, Messia, figlio di Dio, salvatore e altri.

Esamineremo brevemente: 1) l’inizio della vita pubblica, il battesimo; 2) la predicazione del regno e la crisi galilaica; 3) le predizioni della passione e della morte; 4) la trasfigurazione; 5) un breve cenno (sarà infatti trattato da altra relazione) alla cena pasquale.

.1. – E’ significativo che Gesù cominci la sua attività pubblica ricevendo il battesimo da Giovanni. Il battezzatore aveva rievocato la linea profetica: la forza dello Spirito, la parola di Dio che giudica, l’invito alla conversione. Le risonanze della predicazione di Giovanni trovano un’eco nell’animo di Gesù: il momento del battesimo diventa il momento della sua vocazione, la scena battesimale va analizzata alla luce anche delle vocazioni dei profeti, quella di Isaia (6), di Geremia (1), di Ezechiele (1-3). E’ illuminante il confronto tra la scena a colori teofanici, come è descritta dai sinottici, e la confessione che fa invece il solo Battista nel Vangelo di Giovanni ove dichiara: “Ho visto la Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). La differenza tra i sinottici e Giovanni ci dà sicurezza che la scena va letta non materialmente, ma in chiave religiosa e che il linguaggio è carico di simbolismi: i cieli aperti, la colomba, le acque, il deserto, la voce. La voce dà il contenuto della scena battesimale: è un’esperienza di Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). E’ un’esperienza originaria ed unica che si rifà alla vocazione del servo di Jahweh in Isaia 42.

Tralasciamo altri elementi di analisi, solo consideriamo che il battesimo è un fatto storico e segna l’inizio dell’attività di Gesù. E’ il criterio di continuità e discontinuità che lo garantisce. Il movimento ‘battista’ iniziato da Giovanni di cui troviamo tracce fino al periodo delle comunità cristiane (At 19,3-6) rivendicava una priorità del battesimo di Giovanni su quello di Gesù, priorità di tempo e di importanza. Questa difficoltà i cristiani la superarono ammettendo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, ma affermando che Giovanni stesso aveva riconosciuto la superiorità di Gesù e che il battesimo di Gesù (e quindi dei cristiani) era un battesimo non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nello Spirito.

La fede della comunità cristiana illuminerà di una nuova luce il momento del battesimo di Gesù e il racconto prenderà un andamento teofanico in cui tanti elementi si intrecciano, il nuovo Israele, il passaggio del Giordano come esodo ed entrata nella terra promessa, tematiche paradisiache (Mc 1,13) e altre, ma certo gli apostoli e quindi la comunità cristiana soltanto da Gesù potevano conoscere la sua esperienza filiale.

Bastano questi pochi cenni per comprendere che si tratta di una vocazione e di una missione, di apertura di Gesù all’accettazione del piano del Padre, che gradualmente lo porterà fino alla Pasqua della sua morte.

.2. – La predicazione del regno e la crisi galilaica. La missione di Gesù è la predicazione del “regno”: “Predicava il Vangelo di Dio e diceva: -il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo -” (Mc 1,15).

Le parabole sono il compendio dell’annuncio del regno, il succo della buona notizia: Dio è presente in mezzo al mondo. Le parabole più che un significato didattico hanno la carica di uno stimolo, di un invito alla decisione, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare il regno: è un tesoro grande, è la più preziosa delle perle, vale la pena acquistarlo ad ogni costo; è una piccola cosa, ma ha la forza di fermentare, di cambiare il tutto, è piccolissimo seme, ma cresce fino a diventare albero.

Il dinamismo è dato dalla parola che Dio semina e che è accolta in maniera differente dagli uomini o addirittura soffocata e respinta. Questa parola opera distinzioni così come il pescatore distingue i pesci buoni e cattivi nella rete o in un campo si mescola buon grano ed erbaccia.

La pratica del regno diventa presenza amorevole di Dio, che attraverso Gesù si fa presente ai deboli, ai peccatori, ai malati d’ogni genere e giudica quanti ostacolano il cammino del regno, giudica gli uomini e le strutture compromesse con un potere che non libera, ma rende schiavi.

Per questo gli evangelisti mettono in evidenza che le parabole sono accolte da pochi e che la pratica del regno contrasta con quanti detengono in qualche modo il potere: farisei, sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani.

Ad un primo periodo di entusiasmo della gente che rimane attonita, meravigliata della parola e dell’autorità di Gesù, entusiasta per le sue opere, attenta ai contrasti di Gesù con i farisei, subentra un atteggiamento di freddezza e di allontanamento. Il discorso di Gesù diventa più esigente, è considerato duro (Gv 6,60), la presa di posizione contraria sempre più forte ed aperta dei farisei, l’accusa di indemoniato, la ‘pretesa’ di Gesù di perdonare i peccati, la polemica sul sabato, sono tutti elementi che portano ad una rottura.

I Vangeli notano che Gesù riserva la spiegazione delle paratole ai suoi, perché gli altri hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, che Gesù non opera i miracoli perché non trova la fede in Israele e si ritira con i suoi a parte, comincia con essi un’azione particolare al cui centro c’è l’apostolo Pietro, che lo confessa Messia e su cui Gesù fonderà una nuova comunità. Stando allo schema dei sinottici è il momento della crisi galilaica.

Gesù sperimenta il rifiuto di Israele. E’ un momento di trapasso di estrema importanza nella sua vita da cui emerge da una parte la prospettiva di una fine come quella dei profeti e dall’altra la prospettiva di una comunità che continui, dopo la sua morte, l’opera messianica.

  1. Le predizioni della passione e della morte.

E’ in questo contesto che vanno poste le predizioni che Gesù ha fatto della sua morte. Ammesso anche che nella formulazione attuale le tre predizioni, che ognuno dei tre sinottici riporta, siano formulazioni post-pasquali, cioè profezie ex eventu, certo però che esse sono storiche nella sostanza perché si trovano in alcuni contesti che non potevano esser graditi alla comunità cristiana primitiva, come, ad esempio, il rimprovero duro dato a Pietro e l’appellativo di Satana, quando questi tentò di distogliere Gesù dalla sua linea (Mc 8,33), così pure alcune formulazioni sono troppo vaghe: “il figlio dell’uomo sarà preso, sarà consegnato”  ecc.) per poter essere formulazioni ex eventu (cfr. Mc 9,31).

Come Gesù arriva a parlare di una morte violenta e a vivere in questa prospettiva? Non è facile dare una risposta definitiva, ma potremo ipotizzare questa linea: Diverse accuse mosse dai circoli dirigenti giudaici al modo di agire e all’insegnamento di Gesù comportavano la pena di morte: Gesù è accusato di magia per i suoi esorcismi (Mc 3>22), perché, si dice, – scaccia i demoni in nome di Beelzebul – e questa accusa comportava la lapidazione; è accusato di bestemmia, perché annuncia il perdono dei peccati (Mc 2,7); è accusato di trasgredire il sabato (Mc 2,23-3,6). Si tratta di violazioni, che una volta accertate, venivano punite, secondo il diritto penale giudaico, con la morte. Inoltre la sorte toccata al Battista, ucciso da Erode Antipa, era un monito preciso anche per Gesù, come esplicitamente richiama Luca (13,31-33). L’opinione pubblica collocava Gesù nella serie dei grandi profeti biblici, come già il Battista stesso (Mc 6,14 ; 8,29). Anche questo suggeriva a Gesù la sorte che l’attendeva: la persecuzione e il martirio (Mt 23,37; Lc13,33) (cfr.Jeremías,o.c.; Fabris . I Vangeli pagg.804-5).

Ancora una domanda: ha Gesù annunciato anche la sua risurrezione? quale coscienza ne aveva? Al di là dei testi evangelici noi non abbiamo altra possibilità che quella di riferirci all’ambiente culturale in cui Gesù agisce. Ora Gesù si è identificato con il pio fedele, il giusto perseguitato dei salmi, che attende salvezza solo da Dio, si è identificato con il servo obbediente e sofferente dei carmi del secondo Isaia; Gesù ha fatto sua l’attesa apocalittica e la fede nella risurrezione dei morti. Gesù deve aver vissuto in una maniera più profonda e tutta nuova l’attesa e la speranza del giusto e del servo sofferente: il desiderio della vita piena, di contemplare il volto di Dio, di annunziare anche ai morti la vittoria di Dio, di vedere una posterità senza numero, di essere strappato alle fauci degli inferi e alla corruzione della fossa: tutte queste espressioni e situazioni dell’A.T. prendono un significato pregnante e nuovo. Gesù risorto ne sarà l’ermeneuta (Lc 24), ma è Gesù di Nazareth che vive questa realtà e l’annuncia ai suoi. Gesù ha dinanzi la morte violenta e non si tira indietro, ma l’affronta “sì con il timore del giusto e del profeta perseguitato, ma soprattutto con la forza del martire e la certezza che nella morte il suo annuncio del regno di Dio riceverà la conferma definitiva e il pegno più sicuro: che Dio, il Padre, gli si rivelerà definitivamente come il Dio vicino e fedele” (così Fabris R., I Vangeli, pag.807 ).

Niente in questi annunci contraddice quel che noi attendiamo da Gesù perché egli sia un uomo reale. Scrive H.U. von Balthasar :”Gesù è un uomo autentico, e la nobiltà inalienabile dell’uomo e di potere, da dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza, in un avvenire che ignora. Se quest’uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta, è Dio nella sua libertà e nella sua immensità. Privare Gesù di questa possibilità e farlo avanzare verso un fine conosciuto in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità di uomo” (La fede di Cristo,1969 pag.18l). Con la liturgia potremo ripetere l’antifona pasquale: Resurrexi et adhuc tecum sum. Sono risorto e son con te, come il canto nuovo di Cristo.

  1. La trasfigurazione. In Marco e nei vangeli sinottici la trasfigurazione occupa un posto ben preciso. Collocata dopo la confessione di Pietro e il primo annuncio della passione, la scena della trasfigurazione ne è come la rispostala: Solo Luca mette esplicitamente in evidenza lo stretto collegamento dicendo che Mosè ed Elia “parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (9,31).

Al culmine della crisi galilaica, quando Gesù comincia a restringere la sua attività ai discepoli, nella decisione di salire a Gerusalemme, questa scena teofanica, carica di simbolismi, sta ad indicare la prospettiva di tutta la vita di Gesù. E’ inutile per noi porci la domanda di quel che è avvenuto esteriormente e quanto poteva essere fisicamente colto in questa esperienza mistica di Gesù e dei tre prescelti: l’alto monte, la luce, la nuvola, Mosè ed Elia, la paura dei tre, la proposta della tenda fatta da Pietro sono tutti elementi simbolici ricchi di significato. Come sempre il punto focale è la parola, la voce: Gesù è proclamato il figlio diletto e la gloria di cui è circonfuso illumina il dramma della sua passione. Si tratta di un’esperienza che preannuncia la vera persona di Gesù: il suo cammino verso la morte non è la rassegnata sottomissione ad una fatalità storica, non è il fallimento di un progetto, ma la rivelazione piena della sua identità: il Figlio che è in un rapporto unico col Padre. Sarà l’esplosione del suo amore e della sua piena libertà: quell’amore e quella libertà rimandano ad un mondo che già traspare nei suoi gesti e nelle sue parole quotidiane, ma che i discepoli nella loro intimità con Gesù in modo privilegiato hanno potuto intravvedere”(Fabris, 766).

  1. La cena pasquale.

Non è il momento qui di fare una teologia della Pasqua né di discutere la cronologia della cena pasquale di Gesù, né di illustrare i motivi della condanna di Gesù nella sua ultima Pasqua richiamando i tentativi e le ipotesi avanzate da Winter , Brandon, Blinzler, Carmichael, Wilson, Masson e altri, ma solo di fare un quadro rapido dell’atteggiamento di Gesù nella cena pasquale e vedere con quale prospettiva l’ha celebrata

L’attività di Gesù a Gerusalemme è presentata in un quadro di tensioni e di contrasti con le autorità: i sacerdoti del tempio, i sadducei, i farisei, gli scribi, gli erodiani e il potere politico in genere. Giovanni e i sinottici concordano anche se in un quadro molto differente: i sinottici concentrano l’attività di Gesù a Gerusalemme nell’ultima settimana, nella festa di Pasqua, Giovanni presenta le controversie di Gesù in periodi diversi. I sinottici concentrano in questa settimana le parabole polemiche di Gesù, quella dei due figli, dei vignaiuoli omicidi, degli invitati a nozze e le controversie più dirette, quella su: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, la questione messianica, il più grande dei comandamenti. Giovanni illumina la persona e l’atteggiamento di Gesù attraverso i segni e i discorsi di Gesù a Gerusalemme e circostanze diverse, la guarigione dello storpio alla piscina di Betesda, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, il perdono della donna adultera, la discussione sull’origine del Cristo.

A Gerusalemme si consuma il rifiuto di Gesù e tutto questo lo pone in un atteggiamento nuovo nella celebrazione della Pasqua. Con sicurezza si può affermare che per Gesù la celebrazione della Pasqua non era stata mai un fatto di pura tradizione, come del resto per ogni pio israelita, ma questa ultima Pasqua acquista in lui un rilievo unico: l’agnello, il sangue, il tempio e il sacrificio pasquale; la liberazione, l’alleanza, il Messia, il figlio dell’uomo, il servo di Jahweh, il giudizio di Dio e il nuovo Israele, il rifiuto di Israele e la fedeltà di Dio, il cuore nuovo e la nuova alleanza, la parola e lo Spirito, la morte e la vita, sono tutte realtà, segni, simboli che ormai convergono in uno, nella persona di Gesù. Dopo l’esperienza del Risorto si svilupperà una lettura nuova e più profonda, ma questa trova la sua radice qui nella coscienza di Gesù e nella conoscenza ed esperienza che di essa hanno avuto gli apostoli.

E’ in questo quadro che vanno lette le espressioni di Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (12,50) e nel celebrare la cena pasquale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (22,15). Il battesimo che Gesù vede dinanzi nel prendere la decisione di salire a Gerusalemme (9,51) è l’immersione nelle acque di morte (Salmo 124,4s) da cui Dio soltanto può liberare, è l’oscurità del piano di Dio e del suo amore, che passano attraverso la gioia sofferta del dono di sé nella fede.

Gesù invita a questo anche i discepoli: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? “(Me. 10,38 ).

La Pasqua ultima di Gesù diventa il suo battesimo. All’ombra della Pasqua antica che era il segno di una presenza di Dio mai vissuta totalmente, il segno dell’amore liberante di Dio mai accolto in pienezza, si sostituisce la Pasqua di Gesù che diventa accoglienza piena dell’amore e della presenza del Padre nella vita, cioè il suo corpo spezzato e il suo sangue versato per “i molti”, cioè per tutti, sotto il peso del peccato del mondo che stronca una vita che è ripresa e salvata per sempre da Dio.

Gesù celebra la sua ultima Pasqua in questa prospettiva sotto l’incalzare degli eventi a cui egli non si sottrae, anzi liberamente e volontariamente la accetta. Tanta e forte è la consapevolezza di Gesù, che egli chiama a parteciparvi i discepoli: “prendete e mangiate, prendete e bevete, fate questo in memoria di me”. La celebrazione pasquale diventa una nuova liturgia, che non è rito, ma vita per quanti vogliono seguire Gesù e sfocerà nel banchetto escatologico dove sarà bevuto il vino nuovo.

La cena pasquale di Gesù anticipa, nel segno del banchetto del pane e del vino, la sua passione e la sua morte, anticipa il banchetto escatologico che Dio prepara per il suo figlio e per quelli che celebrano nella fede la stessa cena.

Gesù vive la sua ultima Pasqua come una scelta religiosa di obbedienza al Padre. Giuocano in questo evento tanti altri motivi, politici e sociali: i politici di fronte al potere dell’impero di Roma e dell’autorità ebraica, quelli sociali di fronte ai contrasti di Gesù nei riguardi delle diverse correnti religiose e sociali, farisei, sadducei, zeloti e altri, ma nessuno di questi motivi può esser presentato come unico ed esclusivo. Ogni tentativo di questo genere è destinato a naufragare.

L’interpretazione con cui la comunità cristiana primitiva presenterà la morte di Gesù più che essere un ostacolo è una garanzia non solo alla comprensione teologica della Pasqua di Gesù, anche alla ricostruzione dei motivi storici che si intrecciano nel motivo di fondo che è quello del rapporto di Gesù col Padre.

Le espressioni che troviamo nella letteratura neotestamentaria:

– “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (…)

e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui “ (Lc 24,26s);

– “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture” (I Cor.l5,3s);

– “Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5,6);

– “Colui che non aveva, conosciuto peccato, Dio lo trattò’ da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).

e tante altre espressioni che si potrebbero citare, sono senz’altro frutto della elaborazione teologica successiva della prima tradizione cristiana e della sistemazione redazionale degli evangelisti, ma l’analisi ci mostra che questo lavoro e questa riflessione non erano possibili senza rifarsi al Gesù storico e al suo messaggio.

Due linee si incontrano:  una che viene dal basso e preferisce analizzare il cammino umano di Gesù nel mondo in cui ha operato e in cui si è posto come compimento e discrimine, l’altra che parte dall’alto, dal piano e dal volere di Dio, dal Cristo immagine del Padre, e Figlio eterno per mezzo del quale tutto è stato creato, Verbo fatto carne che ha portato la parola definitiva del Padre e per la cui morte gli uomini sono stati salvati. Le due linee non solo sono legittime entrambi, ma convergono e si integrano a vicenda e l’una prospettiva soffrirebbe se si facesse la riduzione o l’assolutizzazione dell’altra ed è soltanto nella luce della fede che possono essere unitariamente accolte insieme. Il progetto umano di Gesù non differisce dal piano che il Cristo ha compiuto da parte del Padre, anche se l’uomo di oggi preferisce guardare alla croce e alla morte di Gesù come al termine della tensione di tutta la sua vita, tuttavia rimane sempre vero il monito di Paolo: “Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne, e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor.5, I6s): le cose nuove sono la morte e la risurrezione di Cristo nella nostra vita donata al mondo nella carità.

NOTE

(1) La “festa” senza specificazioni menzionata in 5,1 secondo alcuni esegeti è detta eortè = con l’articolo, è la festa per eccellenza, la Pasqua, ma per la maggior parte; secondo la più probabile tradizione manoscritta, è semplicemente una festa senza articolo, forse quella dei Purim: Così Blinzler, J. Giovanni e i sinottici, (Paideia) Brescia 1969 pag.18.

(2) cfr. Blinzler,o. c. 87-110.

Questo testo è stato elaborato dal MIOLA per il

XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE – PESCARA 1977

 

 

Miola Gabriele

“LA TENSIONE DELLA VITA DI GEDSU’ VERSO L’ULTIMA PASQUA”

*Sintesi

La lettura che gli scritti neotestamentari fanno della vita di Gesù dell’ultima Pasqua e della sua morte, è una lettura di fede. Paolo scrive: “A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s). Analizzata la struttura letteraria dei Vangeli con cui gli autori mettono in evidenza da una parte la tensione di Gesù verso la Pasqua e la morte e dall’altra il piano salvifico di Dio, questa relazione si ferma soprattutto ad analizzare le tappe salienti della vita di Gesù a partire dal momento del battesimo e mette in luce le scelte concrete del Cristo nell’annuncio del “regno”, lo scontro con le autorità religiose, politiche, culturali del tempo ed i motivi del rifiuto del messaggio di Gesù.

Stando allo schema dei sinottici, Gesù dopo la crisi galilaica si ritira con i suoi a comincia a parlar loro del suo futuro, carico del rifiuto da parte delle autorità e quindi del suo patire e della sua morte. In questa prospettiva Gesù vede la sua morte come obbedienza al Padre e dono per la salvezza di tutti. L’atteggiamento ultimo di Gesù è un atteggiamento religioso e non politico o rivoluzionario anche se motivazioni di tipo politico sociale rientrano nei motivi della sua condanna.

Gesù è un uomo autentico e la nobiltà inalienabile dell’uomo è di potere, di dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza in un avvenire che ignora. Se questo uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta è Dio nella sua libertà e nella sua immensità” (H. U. von Balthasar, La foi du Christ, Aubier, Paris 1969 pag.181).

LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ VERSO LA PASQUA

  1. INTRODUZIONE

Nella prima lettera ai Corinti, affrontando due questioni importanti, quella dell’unità nella carità nel celebrare la cena del Signore, e quella della fede nella risurrezione dei morti, Paolo scrive:

– io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. (11,23)

“A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè:

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e

che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s).

Quel “ho ricevuto dal Signore” circa la cena (11, 23) non è differente dall’altro “vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto” sulla risurrezione (15,3s): si tratta della tradizione che risale agli apostoli. Questo senso così spiccato della tradizione, cui Paolo si appella in una maniera ancora, più forte nella lettera ai Galati (1,18; 2,9), rappresenta una indicazione molto importante: Paolo si rifà attraverso la tradizione a dei fatti storici, la cena pasquale, la morte (e la resurrezione) di Gesù, e ad una loro lettura di fede, ad una interpretazione teologica, che è diventata normativa nella comunità cristiana: la cena dell’ultima Pasqua, nella notte in cui fu tradito, e la sua morte, non sono dei fatti casuali, ma rispondono ad un piano di Dio, tutto è avvenuto secondo le scritture (15,3). Paolo ha ricevuto questa lettura dei fatti della cena pasquale e della morte di Gesù dalla comunità cristiana e se pensiamo che la lettera ai Corinti è stata scritta, secondo l’opinione più comune, nella primavera del 57 e che il suo primo incontro con Cefa (Gal.1, 18) va posto nel 39 vediamo che questa ermeneutica dei fatti risale immediatamente a Pietro e alla, comunità postpasquale gerosolimitana.

Abbiamo detto ‘lettura teologica’, cioè lettura dei fatti alla luce della fede, che vede nella vita di Gesù, in tutta, ma specialmente nei punti culminanti, come la cena della sua ultima Pasqua e la morte, il compimento di un piano di Dio. Questa è la linea costante di lettura che ritroviamo negli scritti del N.T., non solo nelle lettere di Paolo, anche nei Vangeli, la sintesi più completa di questa lettura la troviamo nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, che esprimono l’unità del piano di Dio, che opera in Cristo la salvezza degli uomini, ricapitolando in lui tutto il suo disegno.

E’ evidente che questo tipo di lettura parte dal Cristo della fede, dal Gesù della gloria che, esaltato, siede alla destra del Padre ed ha compiuto ogni purificazione dei peccati (Eb. 1,3) e sottolineando il piano divino richiede una sapienza e una intelligenza spirituale (Col.1 ;10; Ef., 3,5.10.I8) per comprenderlo e vederlo realizzato nella storia presente della comunità dei salvati, cioè della Chiesa (Ef. 3,10;1 Cor. 2,7-10)„

E’ evidente anche che questo tipo di lettura non prescinde dalla storia, dai fatti, anzi ci si richiama continuamente, ma certo è meno attenta ai dati cronologici, topografici, circostanziali in genere, allo sviluppo psicologico, alla evoluzione di atteggiamento e di pensiero delle persone. La fede sottolinea da una parte la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, la sua iniziativa gratuita, che entra nella storia attraverso Cristo e dall’altra sottolinea l’accettazione di questo piano, l’ubbidienza del Figlio, il valore di liberazione, redentivo ed espiatorio, della vita di Gesù, ma soprattutto di alcuni momenti e fatti significativi come la cena pasquale e la morte in croce (cfr. Fil.2,1-10).

Per noi che ci interroghiamo su “la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua”, il problema invece si pone sul piano storico, cioè sul piano delle scelte di Gesù di Nazareth, sul piano della sua decisione e volontà, della sua coscienza.

Si pone quindi il problema delle fonti storiche su Gesù, cioè dei Vangeli. Non è questa la sede per trattare il problema della storicità dei Vangeli quale base per evidenziare il cammino di Gesù verso la Pasqua. Stiamo ai dati più accreditati ed accolti dal magistero della Chiesa, l’istruzione sulla verità storica dei Vangeli del 21.4.1964 della Pontificia Commissione Biblica precisa che “la vita e l’insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservarne il ricordo, ma ‘predicati’ in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi” (n. 2a). In altre parole ciò significa dire che l’ottica degli evangelisti nel presentare i detti e le azioni di Gesù è un ‘ottica di fede e che il narrare “per ordine”, come dice Luca (1,3), è un ordine di tipo teologico e non semplicemente cronologico o topografico, come del resto afferma la stessa istruzione: “Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n.2b).

I Vangeli non sono la cronistoria di una vita, ma quel che vogliono essere come il nome stesso indica, cioè ‘buona notizia’, annuncio di salvezza.

Il nostro problema quindi è duplice: uno di carattere letterario, di analisi letteraria, vedere cioè qual’è l’impostazione teologica dei Vangeli e quale posto vi occupa l’ultima Pasqua di Gesù, l’altro di carattere ermeneutico e storico, risalire cioè attraverso i dati evangelici alla tensione reale della vita di Gesù, alla coscienza che ha avuto della sua missione ed il significato che ha dato alla Pasqua e alla sua morte.

Ancora un’osservazione introduttiva: abbiamo detto che ci sono due tagli differenti con cui leggere i Vangeli e la vita di Gesù: c’è la prospettiva teologica che parte dal Cristo della fede, il Risorto esaltato alla destra del Padre e che tende a sottolineare il piano di Dio e l’obbedienza del Figlio, e c’è la prospettiva storica di chi vuol analizzare i dati della vita di Gesù e lo sviluppo delle sue scelte.

Le due non sono contraddittorie: la prima vede l’umanità di Gesù alla luce della divinità del Cristo, sottolinea il piano di Dio che si attua in uno stile e in uno schema prestabilito: è il tipo di lettura privilegiata dalla teologia basata sull’ontologia della persona e prevalente ancor oggi nella catechesi e nell’omiletica e se portata alle ultime conseguenze corre il rischio di una lettura di tipo monofisita. La seconda è la linea che privilegia il tema delle scelte e della crescita psicologica di Gesù, che è visto come l’uomo libero, l’uomo delle decisioni forti e radicali, dell’appello alla conversione e all’impegno, è una linea più attenta alla cultura odierna e alla lettura dell’io personale del Cristo in chiave psicologica e se portata agli estremi corre il rischio di una lettura di tipo nestoriano in cui Gesù è unito al Figlio di Dio o arriva a diventarlo, ma se supera le difficoltà di un certo dualismo cristologico, è più rispondente all’uomo di oggi.

Ecco i nostri due problemi:

-l’ultima Pasqua di Gesù nell’analisi letteraria dei Vangeli;

-la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua.

Il primo problema, più semplice, è di carattere letterario, il secondo, più importante, è di carattere storico-esegetico.

  1. L’ULTIMA PASQUA DI GESÙ’ NELL ‘ANALISI LETTERARIA DEI VANGELI.

.a. – Anche un profano che leggesse per la prima volta i Vangeli, sia i sinottici sia Giovanni, percepisce che il racconto tende verso la morte del protagonista Gesù, e che questo evento si inserisce nel quadro della celebrazione della Pasqua: Gerusalemme, il tempio, l’agnello pasquale, la preparazione della cena pasquale fatta dai discepoli (Mc 14,12-16) e l’affermazione: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15) formano la cornice di questa tensione.

I Vangeli presentano altri punti salienti della vita di Gesù, come l’inizio con il battesimo, la trasfigurazione, ma anch’essi sono in rapporto con la morte e la Pasqua. Luca dice che Mosè ed Elia apparsi accanto a Gesù “parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,28-36), ‘portato a compimento’  con il verbo “pleroo” ha un senso  forte e pregnante.

Questa impostazione dei Vangeli è il risultato del Kerygma originario, dell’annuncio della salvezza che Dio ha operato per tutti nella morte e risurrezione del Cristo. Il kerygma come ci è testimoniato negli Atti degli Apostoli attraverso i discorsi di Pietro (At. 2,22-24.32s; 3,14s; 4,10-12V e di Paolo (13,26-35) è tutto centrato sulla passione, la morte e la risurrezione di Gesù con una attenzione particolare a mettere in evidenza il piano di Dio realizzatosi secondo le scritture. Questo ci spiega la prospettiva unitaria dei Vangeli e l’origine del racconto della passione, che è il racconto più sviluppato nei Vangeli e in cui gli evangelisti, nonostante qualche accentuazione particolare, più profondamente concordano conformemente alla centralità dell’annuncio cristiano, gli evangelisti impostano tutto il racconto della vita di Gesù facendolo convergere verso l’ultima sua Pasqua.

.b. – Diciamo l’ultima Pasqua chiaramente in rapporto al vangelo di Giovanni perché è ben risaputo che mentre i Vangeli sinottici parlano di una sola Pasqua durante la vita pubblica di Gesù, quella della sua morte, Giovanni invece esplicitamente fa menzione di almeno altre due Pasque: la cosiddetta Pasqua di Nicodemo (2,13.23) e la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) (1).

Nonostante il taglio più teologico dell’opera giovannea, oggi gli esegeti sono d’accordo nel riconoscere un valore storico ai dati cronologici fornitici da Giovanni e quindi a sviluppare l’attività pubblica di Gesù nell’arco di tre Pasque e quindi di due anni e mezzo almeno (2), ma ciò mette subito in evidenza che la scelta dei sinottici di sviluppare la vita pubblica di Gesù secondo il quadro: attività in Galilea, salita a Gerusalemme, Pasqua e morte di Gesù. Non è un quadro cronologico, ma teologico, cioè un quadro che vuol evidenziare la tensione pasquale della vita di Gesù.

.c. – Del resto gli evangelisti sottolineano questa stessa tensione anche al di là dì questo grande quadro cronologico con altre indicazioni che evidenziano in maniera più sottile, ma non meno significativa, il cammino di Gesù e l’emergere della Pasqua, della morte come compimento di un piano e di una vita. Marco, che secondo l’opinione oggi più comune è il primo estensore di una narrazione evangelica completa, ha impostato il racconto della vita di Gesù su tre momenti: attività in Galilea e attività fuori del territorio della Palestina, salita a Gerusalemme per la Pasqua e attività nella città santa, conclusione con la morte di Gesù e l’annuncio della risurrezione. Matteo e Luca che dipendono da Marco riprendono la stessa impostazione, ma ognuno vi porta l’accento suo particolare. Vediamo queste sfumature:

.1. – Marco imposta il suo racconto sulla manifestazione progressiva della persona di Gesù. Non solo il quadro cronologico, ma anche la manifestazione di Gesù tende alla Pasqua. E’ risaputo che nel Vangelo di Marco ha un posto particolare il cosiddetto “segreto messianico”, cioè Gesù tiene segreta la sua personalità ed impone il segreto a quanti in qualche modo la conoscono. E’ come un segreto custodito gelosamente dinanzi a tutti, dinanzi alle folle e dinanzi ai suoi (Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36); dopo la cosiddetta crisi galilaica il mistero viene progressivamente svelato prima ai tre prescelti (8,26-30) e poi e tutti i discepoli nell’annuncio delle sofferenze che il figlio dell’uomo dovrà subire (8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). L’affermazione solenne della sua personalità e delle sue prerogative Marco la vede realizzata da Gesù stesso dinanzi ai sommi sacerdoti Anna a Caifa e questa affermazione diventa il motivo ultimo della sua condanna: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto? – Gesù rispose: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,61-63). Il segreto era in vista di questo momento definitivo in cui Gesù stesso fa la proclamazione ufficiale della sua personalità, quasi una tensione che pervade il vangelo e la vita di Gesù.

.2. – Il Vangelo di Matteo, oltre al quadro cronologico-topografico Galilea, Gerusalemme, Pasqua della morte, per i destinatari cui il Vangelo cui è indirizzato, adotta un altro metodo da cui traspare la tensione di tutto il racconto evangelico. Matteo è il teologo del compimento delle scritture: Gesù è colui che realizza il piano di Dio così come era stato annunciato nelle Scritture.

In Matteo troviamo 66 citazioni dell’Antico Testamento, 37 delle quali sono precedute da una introduzione e di queste tipiche quelle dette di “compimento’ e ne sono 11, cioè introdotte con la formula tecnica “affinchè si adempisse…” (cfr. Sabourin L., Il Vangelo di Matteo, pag. 4-ss ). L’evangelista vuol mostrare Gesù come colui che compie le attese messianiche. Sabourin scrive (pagg.44—45): “Secondo Matteo, Gesù portando a termine l’A.T. lo illumina: ciò è possibile perché Dio governa il mondo (…)  Questa concezione corrisponde fedelmente all’antico modo ebraico di comprendere la parola di Dio: essa, come agente personificato, produce quello che proclama, dirige ogni cosa verso l’evento escatologico, che dovrà manifestarsi alla venuta di Gesù. E’ certo che Matteo intese l’antica economia come un’ombra e un modello del bene che verrà (Eb. 8,5;10,1)”. Ora Matteo iniziando il racconto della passione mette in bocca a Gesù queste parole: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (26,2). Per Matteo quindi che vede negli eventi di Gesù il compimento del disegno del Padre, la Pasqua, o almeno questa specifica Pasqua è strettamente legata con Gesù, è il compimento della tensione di Gesù, che dà il pieno significato salvifico ad essa con la sua morte.

.3. – Nel Vangelo di Luca, Gerusalemme è il fine e il vertice dell’attività di Gesù. Nonostante che nel prologo dell’opera Luca protesti di voler narrare “con ricerche accurate su ogni circostanza (…) con ordine” risulta chiaro che non si tratta di un ordine biografico, cronologico o geografico, ma di un altro ordine di tipo tematico e teologico.

Le notazioni geografiche e cronologiche servono a Luca per mettere in evidenza il “cammino” la “salita” a Gerusalemme. Questo cammino verso la città santa ha un significato pregnante: a Gerusalemme nella Pasqua Gesù con la sua morte aprirà le porte ad un nuovo inizio. Ecco perché dopo il ministero galilaico Luca raccoglie, nonostante le contraddizioni in cui incorre nel racconto e nei confronti delle fonti, tutto il materiale a sua disposizione nel quadro di una “salita” a Gerusalemme attraverso la Samaria. Comincia la sezione dicendo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (9,51,cfr. anche 9,31) e spesso richiama questo camminare :”mentre erano in cammino” (9,57), “attraversava città e villaggi insegnando e dirigendosi verso Gerusalemme” (13,22),”mentre erano in cammino (verso Gerusalemme) entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa” (10,38), “grandi folle erano in cammino con lui” (14,25), “mentre si avvicinava a Gerico” (18,35) e Gerusalemme diventa la meta finale delle peregrinazioni (9,51.53; 13»33; 17,11; 18,31; 19,11) “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”(13,33).

.4 -. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo già detto, ci dà un quadro cronologico a giudizio dei critici più attendibile. Giovanni mette in evidenza la tensione della vita di Gesù verso Gerusalemme e la Pasqua non con dati cronologici o geografici, ma con un’altra indicazione apparentemente temporale, carica di significato teologico “la mia ora”. Troviamo consonanza tra i sinottici e Giovanni nell’indicare la passione, il momento della solitudine di Gesù, dell’abbandono da parte degli amici, la croce e la morte, come l’ora di Gesù, che è anche l’ora della potenza delle tenebre (così Mt 26,45; Mc 14,35; Lc 22,53). Giovanni sottolinea la tensione di Gesù verso questa ora: è l’ora da cui nascerà una nuova vita, come dalle doglie della madre nasce una vita nuova (16,21), è un’ora di dolore, d’angoscia, ma accettata e voluta da Gesù, sarà l’ora in cui il Padre mostrerà la gloria del Figlio e nello stesso tempo il Figlio rivelerà l’amore del Padre e la sua gloria nel darsi per la vita degli uomini, come il chicco è dato alla terra perché muoia e porti fruttò. Così si esprime Gesù nella preghiera al tempio dinanzi ai pagani, che per mezzo di Filippo avevano chiesto di vedere Gesù (cfr. Gv 12,20-27).

I ritmi della vita di Gesù sono scanditi da questa ora, che è il momento nascosto nei segreti del Padre (e che solo il Figlio conosce). A Cana Gesù quasi anticipa questo momento per richiesta di Maria, ma la vera ora deve ancora venire (Gv 2,1-11). Giovanni sottolinea che a Cana Gesù dette inizio ai “segni“ e mostrò la sua “gloria”: si può dire che ogni miracolo evoca la sua “ora” perché ogni miracolo è un “segno” che ne mostra o anticipa un aspetto e verso quest’ora Gesù coordina la sua attività di profeta e di taumaturgo. Per questo Giovanni inizia il racconto della sua passione con questa frase solenne: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Questa Pasqua è il vero passaggio, è la pienezza del cammino della liberazione, è arrivare al Padre; la tensione di Gesù si scioglie in questa Pasqua di passaggio al Padre: L’evangelista vede questa ora come programmata, la vita di Gesù scorre verso questa ora e i suoi nemici non possono far nulla contro di lui (né lapidarlo 7,30 né arrestarlo 8,20) perché non era giunta la sua ora. Quando invece questa ora arriva, è il Figlio stesso che prega: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo…”(17,1).

Bastano questi accenni rapidi ed incompleti per vedere che, pure in un quadro cronologico e geografico differente da quello dei sinottici, il Vangelo di Giovanni ha come tensione la Pasqua ultima di Gesù.

Questa rapida analisi raggiunge un dato già conosciuto e scontato, può esser servita a mettere in evidenza il lavoro redazionale di ogni evangelista, l’architettura tipica data ad ogni opera, a far percepire lo scopo fondamentale di tutti quattro i Vangeli: mostrare che la vita di Gesù era tutta protesa verso Gerusalemme e la Pasqua, l’ora del giudizio e della gloria.

.3. – LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ’ VERSO L’ULTIMA PASQUA

In questa seconda parte dovremo passare dalla struttura dei Vangeli al Gesù storico. Visto che i Vangeli sono una testimonianza ed un annuncio di fede, dobbiamo porci la domanda: qual’è stata la coscienza che Gesù ha avuto di sé, della sua missione, quale prospettiva ha avuto dinanzi alla morte? che significato ha avuto per lui l’ultima Pasqua?

E’ il problema fondamentale ed arduo del rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia. Da quando questo problema è stato posto da M. Kaehler non lo si può più evitare e la risposta oscilla tra la posizione radicale di Bultmann che nega ogni rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia ponendo una separazione netta tra fede e storia, ed un’esegesi fondamentalista che sovrappone materialmente fede e storia e legge in chiave letterale per non dire fisicista ogni riga del vangelo senza preoccuparsi dei tipi di linguaggio e di messaggio religioso.

Nel tentativo di raggiungere il messaggio religioso di Gesù necessariamente ognuno vi porta una certa precomprensione che accentua alcuni aspetti e limita altri della figura di Gesù, così dall’accentuazione di alcuni aspetti della salvezza emergono diversi tipi di lettura del Vangelo, che vanno dalla teologia della liberazione alla teologia della croce, dalla teologia della speranza alla teologia politica, da cui emergono alcuni tagli che, se assolutizzati, diventano una lettura parziale del messaggio di Gesù; se integrati, lasciano spazio ad un arricchimento di aspetti della profondità della sua figura. Questa lettura molteplice trova la sua garanzia ultima in una lettura ecclesiale, cioè fatta all’interno della Chiesa ed accolta, autenticata dal magistero, che è stato dato ad essa perché conservi integro il Cristo ed il suo messaggio. Ancora qualche osservazione preliminare:

.a. – la prima mi viene da un’esperienza costante che ho avuto in incontri biblici, sia con laici che con preti, sia con adulti che con giovani: il problema della scienza del Cristo. I nostri trattati di teologia impostavano la questione sulla “base della distinzione tra i diversi tipi di scienza presenti nel Cristo beatifica, infusa, acquisita (cfr. Parente P., De Verbo incarnato, Marietti 1956 pagg. 186-191 ). E’ un’impostazione che parte dal mistero dell’incarnazione, un’impostazione che ha i suoi meriti, ma corre il rischio di far pendere la “bilancia” dalla parte della scienza o visione beatifica e di misconoscere la scienza umana del Cristo. E’ quel monifisimo larvato che tante volte appare nella presentazione della vita di Gesù in rapporto alla sua passione, morte e risurrezione, che diventano come atti di un dramma di cui l’attore recita la parte conoscendone lo sviluppo. Questa presentazione, qui un po’ esagerata, certamente è poco accessibile all’uomo di oggi, più attento ad una umanità che cresce e si sviluppa sotto tutti gli aspetti ed è anche poco rispondente allo sforzo che si chiede oggi all’esegesi di evidenziare il Gesù storico, la sua posizione di fronte alla realtà del suo tempo, di fronte al processo e al giudizio cui è stato sottoposto e alla morte cui è stato condannato.

Il problema rimarrà sempre perché tocca il mistero dell’incarnazione, il mistero dell’uomo-Dio. E’ questione di metodo piuttosto, mi sembra: altro è porre il problema della tensione pasquale di Gesù partendo dalla triplice divisione della scienza del Cristo (che è un problema teologico), altro è porsi il problema analizzando i dati storici del Vangelo ed il cammino di Gesù verso la Pasqua e magari poi rileggerli alla luce della risurrezione cioè della fede come fa la comunità cristiana e come fanno gli evangelisti.

.b. – la seconda osservazione: ho notato che viene sempre accolta con piacere la presentazione di Gesù a partire dall’inserimento nel suo tempo e nel suo ambiente: può essere un dato scontato, ma non lo è per tutti: presentare Gesù immerso nel suo mondo da cui mutua cultura e linguaggio, ma che nello stesso tempo supera il suo mondo per una comprensione nuova che ha di esso. Gesù si forma sulle pagine dell’A.T. nella lettura sinagogale, ma nello stesso tempo supera la lettura che di esso faceva la ufficialità,  sadducea o farisaica o di altre estrazioni che sia; Gesù fa una nuova ermeneutica dell’A.T., bisogna dire che Gesù è l’esegeta dell’A.T. tirandolo a se, cioè facendone l’esegesi non a livello culturale, ma vitale, esistenziale, psicologico, immedesimandosi in maniera tutta nuova e tutta sua nelle linee religiose che attraversavano le Scritture del suo popolo. Egli ha unificato nella sua persona, interpretandole in maniera nuova, la figura del fedele israelita che prega nei salmi ed invoca la salvezza totale da Dio, la figura del profeta chiamato ed inviato a portare la parola, la figura del figlio dell’uomo, (ben ‘adam,) dell’uomo che riceve onore e gloria da Dio, la figura del servo umile ed obbediente, sacrificato ed esaltato, descritto da Isaia, la figura del ‘consacrato’, del messia atteso da Israele secondo gli oracoli dei profeti e dei salmi. Gesù ha vissuto questa realtà in sé aprendosi alla prospettiva di un nuovo Israele raccolto ed unificato dal Padre nel suo regno al di là di ogni confine, nella persona del servo, dell’uomo, del Messia. Questo significa leggere la vita di Gesù sulla linea profetica, dell’uomo cioè che appartiene tutto al suo tempo, ma appartiene tutto a Dio, che gli affida la sua parola perché sia giudizio e salvezza. E come il profeta rappresenta continuità e rottura nello stesso tempo, così Gesù è la continuità con le Scritture, che egli fa sue, ma è anche rottura perché le legge in maniera nuova. Gesù diceva ai suoi uditori: “Scrutate le Scritture, sono esse che parlano di me”(Gv 5,39 cfr. 1,45; 2,22; 5,46; 12,16. 41; 19,28.36; Lc 24,32.43 ; Mt 22,29).

Scrive Jeremias: “L’entrata in scena di Gesù fu preceduta da una vocazione, che verosimilmente ebbe luogo al momento del battesimo. A partire da quell’ora Gesù ebbe coscienza di avere l’incarico di partecipare ad altri la conoscenza di Dio che era stata accordata a lui. Avendo avuto questo incarico Gesù ebbe sentore di essere inserito nella serie degli inviati, ma la coscienza che egli aveva del suo potere trascendeva la categoria del fenomeno profetico. Quando infatti Gesù annunciava che con la sua venuta era iniziato il tempo della salvezza e la sconfitta di Satana, quando legava la decisione pro o contro Dio e la salvezza nel giudizio finale solo all’obbedienza prestata alla sua parola, quando dava il nome di vera vita all’imitazione di lui, quando contrapponeva alla torà (la legge) una nuova legge divina e faceva proclamare dai suoi inviati l’inizio dell’era salvifica, in breve, quando indicava il suo messaggio e le sue opere come evento escatologico di salvezza, dava a vedere che la sua coscienza di essere inviato non andava più inserita nella categoria dei dati profetici. Costatare tutto questo significa prendere atto che Gesù sapeva di essere il portatore della salvezza.

Questa linea ha il vantaggio di essere realistica e di essere accettata dall’uomo di oggi e in fondo corrisponde a quei criteri di analisi dei Vangeli e di accesso al Gesù storico basati sulla dissomiglianza o discontinuità come sulla conformità o continuità, comuni nell’analisi critica dei Vangeli, divulgati in opere di recente successo come “Ipotesi su Gesù” di Messori.

Su questa linea tentiamo ora un approccio al cammino di Gesù verso la Pasqua. Nell’impossibilità di fare un quadro completo scegliamo, sullo schema dei sinottici, alcuni momenti salienti della vita pubblica di Gesù lasciando da parte l’esame pur importante dei titoli che nei Vangeli vengono dati a Gesù, come: profeta, figlio dell’uomo, figlio di David, Messia, figlio di Dio, salvatore e altri.

Esamineremo brevemente: 1) l’inizio della vita pubblica, il battesimo; 2) la predicazione del regno e la crisi galilaica; 3) le predizioni della passione e della morte; 4) la trasfigurazione; 5) un breve cenno (sarà infatti trattato da altra relazione) alla cena pasquale.

.1. – E’ significativo che Gesù cominci la sua attività pubblica ricevendo il battesimo da Giovanni. Il battezzatore aveva rievocato la linea profetica: la forza dello Spirito, la parola di Dio che giudica, l’invito alla conversione. Le risonanze della predicazione di Giovanni trovano un’eco nell’animo di Gesù: il momento del battesimo diventa il momento della sua vocazione, la scena battesimale va analizzata alla luce anche delle vocazioni dei profeti, quella di Isaia (6), di Geremia (1), di Ezechiele (1-3). E’ illuminante il confronto tra la scena a colori teofanici, come è descritta dai sinottici, e la confessione che fa invece il solo Battista nel Vangelo di Giovanni ove dichiara: “Ho visto la Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). La differenza tra i sinottici e Giovanni ci dà sicurezza che la scena va letta non materialmente, ma in chiave religiosa e che il linguaggio è carico di simbolismi: i cieli aperti, la colomba, le acque, il deserto, la voce. La voce dà il contenuto della scena battesimale: è un’esperienza di Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). E’ un’esperienza originaria ed unica che si rifà alla vocazione del servo di Jahweh in Isaia 42.

Tralasciamo altri elementi di analisi, solo consideriamo che il battesimo è un fatto storico e segna l’inizio dell’attività di Gesù. E’ il criterio di continuità e discontinuità che lo garantisce. Il movimento ‘battista’ iniziato da Giovanni di cui troviamo tracce fino al periodo delle comunità cristiane (At 19,3-6) rivendicava una priorità del battesimo di Giovanni su quello di Gesù, priorità di tempo e di importanza. Questa difficoltà i cristiani la superarono ammettendo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, ma affermando che Giovanni stesso aveva riconosciuto la superiorità di Gesù e che il battesimo di Gesù (e quindi dei cristiani) era un battesimo non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nello Spirito.

La fede della comunità cristiana illuminerà di una nuova luce il momento del battesimo di Gesù e il racconto prenderà un andamento teofanico in cui tanti elementi si intrecciano, il nuovo Israele, il passaggio del Giordano come esodo ed entrata nella terra promessa, tematiche paradisiache (Mc 1,13) e altre, ma certo gli apostoli e quindi la comunità cristiana soltanto da Gesù potevano conoscere la sua esperienza filiale.

Bastano questi pochi cenni per comprendere che si tratta di una vocazione e di una missione, di apertura di Gesù all’accettazione del piano del Padre, che gradualmente lo porterà fino alla Pasqua della sua morte.

.2. – La predicazione del regno e la crisi galilaica. La missione di Gesù è la predicazione del “regno”: “Predicava il Vangelo di Dio e diceva: -il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo -” (Mc 1,15).

Le parabole sono il compendio dell’annuncio del regno, il succo della buona notizia: Dio è presente in mezzo al mondo. Le parabole più che un significato didattico hanno la carica di uno stimolo, di un invito alla decisione, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare il regno: è un tesoro grande, è la più preziosa delle perle, vale la pena acquistarlo ad ogni costo; è una piccola cosa, ma ha la forza di fermentare, di cambiare il tutto, è piccolissimo seme, ma cresce fino a diventare albero.

Il dinamismo è dato dalla parola che Dio semina e che è accolta in maniera differente dagli uomini o addirittura soffocata e respinta. Questa parola opera distinzioni così come il pescatore distingue i pesci buoni e cattivi nella rete o in un campo si mescola buon grano ed erbaccia.

La pratica del regno diventa presenza amorevole di Dio, che attraverso Gesù si fa presente ai deboli, ai peccatori, ai malati d’ogni genere e giudica quanti ostacolano il cammino del regno, giudica gli uomini e le strutture compromesse con un potere che non libera, ma rende schiavi.

Per questo gli evangelisti mettono in evidenza che le parabole sono accolte da pochi e che la pratica del regno contrasta con quanti detengono in qualche modo il potere: farisei, sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani.

Ad un primo periodo di entusiasmo della gente che rimane attonita, meravigliata della parola e dell’autorità di Gesù, entusiasta per le sue opere, attenta ai contrasti di Gesù con i farisei, subentra un atteggiamento di freddezza e di allontanamento. Il discorso di Gesù diventa più esigente, è considerato duro (Gv 6,60), la presa di posizione contraria sempre più forte ed aperta dei farisei, l’accusa di indemoniato, la ‘pretesa’ di Gesù di perdonare i peccati, la polemica sul sabato, sono tutti elementi che portano ad una rottura.

I Vangeli notano che Gesù riserva la spiegazione delle paratole ai suoi, perché gli altri hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, che Gesù non opera i miracoli perché non trova la fede in Israele e si ritira con i suoi a parte, comincia con essi un’azione particolare al cui centro c’è l’apostolo Pietro, che lo confessa Messia e su cui Gesù fonderà una nuova comunità. Stando allo schema dei sinottici è il momento della crisi galilaica.

Gesù sperimenta il rifiuto di Israele. E’ un momento di trapasso di estrema importanza nella sua vita da cui emerge da una parte la prospettiva di una fine come quella dei profeti e dall’altra la prospettiva di una comunità che continui, dopo la sua morte, l’opera messianica.

  1. Le predizioni della passione e della morte.

E’ in questo contesto che vanno poste le predizioni che Gesù ha fatto della sua morte. Ammesso anche che nella formulazione attuale le tre predizioni, che ognuno dei tre sinottici riporta, siano formulazioni post-pasquali, cioè profezie ex eventu, certo però che esse sono storiche nella sostanza perché si trovano in alcuni contesti che non potevano esser graditi alla comunità cristiana primitiva, come, ad esempio, il rimprovero duro dato a Pietro e l’appellativo di Satana, quando questi tentò di distogliere Gesù dalla sua linea (Mc 8,33), così pure alcune formulazioni sono troppo vaghe: “il figlio dell’uomo sarà preso, sarà consegnato”  ecc.) per poter essere formulazioni ex eventu (cfr. Mc 9,31).

Come Gesù arriva a parlare di una morte violenta e a vivere in questa prospettiva? Non è facile dare una risposta definitiva, ma potremo ipotizzare questa linea: Diverse accuse mosse dai circoli dirigenti giudaici al modo di agire e all’insegnamento di Gesù comportavano la pena di morte: Gesù è accusato di magia per i suoi esorcismi (Mc 3>22), perché, si dice, – scaccia i demoni in nome di Beelzebul – e questa accusa comportava la lapidazione; è accusato di bestemmia, perché annuncia il perdono dei peccati (Mc 2,7); è accusato di trasgredire il sabato (Mc 2,23-3,6). Si tratta di violazioni, che una volta accertate, venivano punite, secondo il diritto penale giudaico, con la morte. Inoltre la sorte toccata al Battista, ucciso da Erode Antipa, era un monito preciso anche per Gesù, come esplicitamente richiama Luca (13,31-33). L’opinione pubblica collocava Gesù nella serie dei grandi profeti biblici, come già il Battista stesso (Mc 6,14 ; 8,29). Anche questo suggeriva a Gesù la sorte che l’attendeva: la persecuzione e il martirio (Mt 23,37; Lc13,33) (cfr.Jeremías,o.c.; Fabris . I Vangeli pagg.804-5).

Ancora una domanda: ha Gesù annunciato anche la sua risurrezione? quale coscienza ne aveva? Al di là dei testi evangelici noi non abbiamo altra possibilità che quella di riferirci all’ambiente culturale in cui Gesù agisce. Ora Gesù si è identificato con il pio fedele, il giusto perseguitato dei salmi, che attende salvezza solo da Dio, si è identificato con il servo obbediente e sofferente dei carmi del secondo Isaia; Gesù ha fatto sua l’attesa apocalittica e la fede nella risurrezione dei morti. Gesù deve aver vissuto in una maniera più profonda e tutta nuova l’attesa e la speranza del giusto e del servo sofferente: il desiderio della vita piena, di contemplare il volto di Dio, di annunziare anche ai morti la vittoria di Dio, di vedere una posterità senza numero, di essere strappato alle fauci degli inferi e alla corruzione della fossa: tutte queste espressioni e situazioni dell’A.T. prendono un significato pregnante e nuovo. Gesù risorto ne sarà l’ermeneuta (Lc 24), ma è Gesù di Nazareth che vive questa realtà e l’annuncia ai suoi. Gesù ha dinanzi la morte violenta e non si tira indietro, ma l’affronta “sì con il timore del giusto e del profeta perseguitato, ma soprattutto con la forza del martire e la certezza che nella morte il suo annuncio del regno di Dio riceverà la conferma definitiva e il pegno più sicuro: che Dio, il Padre, gli si rivelerà definitivamente come il Dio vicino e fedele” (così Fabris R., I Vangeli, pag.807 ).

Niente in questi annunci contraddice quel che noi attendiamo da Gesù perché egli sia un uomo reale. Scrive H.U. von Balthasar :”Gesù è un uomo autentico, e la nobiltà inalienabile dell’uomo e di potere, da dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza, in un avvenire che ignora. Se quest’uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta, è Dio nella sua libertà e nella sua immensità. Privare Gesù di questa possibilità e farlo avanzare verso un fine conosciuto in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità di uomo” (La fede di Cristo,1969 pag.18l). Con la liturgia potremo ripetere l’antifona pasquale: Resurrexi et adhuc tecum sum. Sono risorto e son con te, come il canto nuovo di Cristo.

  1. La trasfigurazione. In Marco e nei vangeli sinottici la trasfigurazione occupa un posto ben preciso. Collocata dopo la confessione di Pietro e il primo annuncio della passione, la scena della trasfigurazione ne è come la rispostala: Solo Luca mette esplicitamente in evidenza lo stretto collegamento dicendo che Mosè ed Elia “parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (9,31).

Al culmine della crisi galilaica, quando Gesù comincia a restringere la sua attività ai discepoli, nella decisione di salire a Gerusalemme, questa scena teofanica, carica di simbolismi, sta ad indicare la prospettiva di tutta la vita di Gesù. E’ inutile per noi porci la domanda di quel che è avvenuto esteriormente e quanto poteva essere fisicamente colto in questa esperienza mistica di Gesù e dei tre prescelti: l’alto monte, la luce, la nuvola, Mosè ed Elia, la paura dei tre, la proposta della tenda fatta da Pietro sono tutti elementi simbolici ricchi di significato. Come sempre il punto focale è la parola, la voce: Gesù è proclamato il figlio diletto e la gloria di cui è circonfuso illumina il dramma della sua passione. Si tratta di un’esperienza che preannuncia la vera persona di Gesù: il suo cammino verso la morte non è la rassegnata sottomissione ad una fatalità storica, non è il fallimento di un progetto, ma la rivelazione piena della sua identità: il Figlio che è in un rapporto unico col Padre. Sarà l’esplosione del suo amore e della sua piena libertà: quell’amore e quella libertà rimandano ad un mondo che già traspare nei suoi gesti e nelle sue parole quotidiane, ma che i discepoli nella loro intimità con Gesù in modo privilegiato hanno potuto intravvedere”(Fabris, 766).

  1. La cena pasquale.

Non è il momento qui di fare una teologia della Pasqua né di discutere la cronologia della cena pasquale di Gesù, né di illustrare i motivi della condanna di Gesù nella sua ultima Pasqua richiamando i tentativi e le ipotesi avanzate da Winter , Brandon, Blinzler, Carmichael, Wilson, Masson e altri, ma solo di fare un quadro rapido dell’atteggiamento di Gesù nella cena pasquale e vedere con quale prospettiva l’ha celebrata

L’attività di Gesù a Gerusalemme è presentata in un quadro di tensioni e di contrasti con le autorità: i sacerdoti del tempio, i sadducei, i farisei, gli scribi, gli erodiani e il potere politico in genere. Giovanni e i sinottici concordano anche se in un quadro molto differente: i sinottici concentrano l’attività di Gesù a Gerusalemme nell’ultima settimana, nella festa di Pasqua, Giovanni presenta le controversie di Gesù in periodi diversi. I sinottici concentrano in questa settimana le parabole polemiche di Gesù, quella dei due figli, dei vignaiuoli omicidi, degli invitati a nozze e le controversie più dirette, quella su: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, la questione messianica, il più grande dei comandamenti. Giovanni illumina la persona e l’atteggiamento di Gesù attraverso i segni e i discorsi di Gesù a Gerusalemme e circostanze diverse, la guarigione dello storpio alla piscina di Betesda, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, il perdono della donna adultera, la discussione sull’origine del Cristo.

A Gerusalemme si consuma il rifiuto di Gesù e tutto questo lo pone in un atteggiamento nuovo nella celebrazione della Pasqua. Con sicurezza si può affermare che per Gesù la celebrazione della Pasqua non era stata mai un fatto di pura tradizione, come del resto per ogni pio israelita, ma questa ultima Pasqua acquista in lui un rilievo unico: l’agnello, il sangue, il tempio e il sacrificio pasquale; la liberazione, l’alleanza, il Messia, il figlio dell’uomo, il servo di Jahweh, il giudizio di Dio e il nuovo Israele, il rifiuto di Israele e la fedeltà di Dio, il cuore nuovo e la nuova alleanza, la parola e lo Spirito, la morte e la vita, sono tutte realtà, segni, simboli che ormai convergono in uno, nella persona di Gesù. Dopo l’esperienza del Risorto si svilupperà una lettura nuova e più profonda, ma questa trova la sua radice qui nella coscienza di Gesù e nella conoscenza ed esperienza che di essa hanno avuto gli apostoli.

E’ in questo quadro che vanno lette le espressioni di Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (12,50) e nel celebrare la cena pasquale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (22,15). Il battesimo che Gesù vede dinanzi nel prendere la decisione di salire a Gerusalemme (9,51) è l’immersione nelle acque di morte (Salmo 124,4s) da cui Dio soltanto può liberare, è l’oscurità del piano di Dio e del suo amore, che passano attraverso la gioia sofferta del dono di sé nella fede.

Gesù invita a questo anche i discepoli: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? “(Me. 10,38 ).

La Pasqua ultima di Gesù diventa il suo battesimo. All’ombra della Pasqua antica che era il segno di una presenza di Dio mai vissuta totalmente, il segno dell’amore liberante di Dio mai accolto in pienezza, si sostituisce la Pasqua di Gesù che diventa accoglienza piena dell’amore e della presenza del Padre nella vita, cioè il suo corpo spezzato e il suo sangue versato per “i molti”, cioè per tutti, sotto il peso del peccato del mondo che stronca una vita che è ripresa e salvata per sempre da Dio.

Gesù celebra la sua ultima Pasqua in questa prospettiva sotto l’incalzare degli eventi a cui egli non si sottrae, anzi liberamente e volontariamente la accetta. Tanta e forte è la consapevolezza di Gesù, che egli chiama a parteciparvi i discepoli: “prendete e mangiate, prendete e bevete, fate questo in memoria di me”. La celebrazione pasquale diventa una nuova liturgia, che non è rito, ma vita per quanti vogliono seguire Gesù e sfocerà nel banchetto escatologico dove sarà bevuto il vino nuovo.

La cena pasquale di Gesù anticipa, nel segno del banchetto del pane e del vino, la sua passione e la sua morte, anticipa il banchetto escatologico che Dio prepara per il suo figlio e per quelli che celebrano nella fede la stessa cena.

Gesù vive la sua ultima Pasqua come una scelta religiosa di obbedienza al Padre. Giuocano in questo evento tanti altri motivi, politici e sociali: i politici di fronte al potere dell’impero di Roma e dell’autorità ebraica, quelli sociali di fronte ai contrasti di Gesù nei riguardi delle diverse correnti religiose e sociali, farisei, sadducei, zeloti e altri, ma nessuno di questi motivi può esser presentato come unico ed esclusivo. Ogni tentativo di questo genere è destinato a naufragare.

L’interpretazione con cui la comunità cristiana primitiva presenterà la morte di Gesù più che essere un ostacolo è una garanzia non solo alla comprensione teologica della Pasqua di Gesù, anche alla ricostruzione dei motivi storici che si intrecciano nel motivo di fondo che è quello del rapporto di Gesù col Padre.

Le espressioni che troviamo nella letteratura neotestamentaria:

– “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (…)

e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui “ (Lc 24,26s);

– “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture” (I Cor.l5,3s);

– “Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5,6);

– “Colui che non aveva, conosciuto peccato, Dio lo trattò’ da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).

e tante altre espressioni che si potrebbero citare, sono senz’altro frutto della elaborazione teologica successiva della prima tradizione cristiana e della sistemazione redazionale degli evangelisti, ma l’analisi ci mostra che questo lavoro e questa riflessione non erano possibili senza rifarsi al Gesù storico e al suo messaggio.

Due linee si incontrano:  una che viene dal basso e preferisce analizzare il cammino umano di Gesù nel mondo in cui ha operato e in cui si è posto come compimento e discrimine, l’altra che parte dall’alto, dal piano e dal volere di Dio, dal Cristo immagine del Padre, e Figlio eterno per mezzo del quale tutto è stato creato, Verbo fatto carne che ha portato la parola definitiva del Padre e per la cui morte gli uomini sono stati salvati. Le due linee non solo sono legittime entrambi, ma convergono e si integrano a vicenda e l’una prospettiva soffrirebbe se si facesse la riduzione o l’assolutizzazione dell’altra ed è soltanto nella luce della fede che possono essere unitariamente accolte insieme. Il progetto umano di Gesù non differisce dal piano che il Cristo ha compiuto da parte del Padre, anche se l’uomo di oggi preferisce guardare alla croce e alla morte di Gesù come al termine della tensione di tutta la sua vita, tuttavia rimane sempre vero il monito di Paolo: “Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne, e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor.5, I6s): le cose nuove sono la morte e la risurrezione di Cristo nella nostra vita donata al mondo nella carità.

NOTE

(1) La “festa” senza specificazioni menzionata in 5,1 secondo alcuni esegeti è detta eortè = con l’articolo, è la festa per eccellenza, la Pasqua, ma per la maggior parte; secondo la più probabile tradizione manoscritta, è semplicemente una festa senza articolo, forse quella dei Purim: Così Blinzler, J. Giovanni e i sinottici, (Paideia) Brescia 1969 pag.18.

(2) cfr. Blinzler,o. c. 87-110.

Questo testo è stato elaborato dal MIOLA per il

XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE – PESCARA 1977

 

 

Miola Gabriele

“LA TENSIONE DELLA VITA DI GEDSU’ VERSO L’ULTIMA PASQUA”

*Sintesi

La lettura che gli scritti neotestamentari fanno della vita di Gesù dell’ultima Pasqua e della sua morte, è una lettura di fede. Paolo scrive: “A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s). Analizzata la struttura letteraria dei Vangeli con cui gli autori mettono in evidenza da una parte la tensione di Gesù verso la Pasqua e la morte e dall’altra il piano salvifico di Dio, questa relazione si ferma soprattutto ad analizzare le tappe salienti della vita di Gesù a partire dal momento del battesimo e mette in luce le scelte concrete del Cristo nell’annuncio del “regno”, lo scontro con le autorità religiose, politiche, culturali del tempo ed i motivi del rifiuto del messaggio di Gesù.

Stando allo schema dei sinottici, Gesù dopo la crisi galilaica si ritira con i suoi a comincia a parlar loro del suo futuro, carico del rifiuto da parte delle autorità e quindi del suo patire e della sua morte. In questa prospettiva Gesù vede la sua morte come obbedienza al Padre e dono per la salvezza di tutti. L’atteggiamento ultimo di Gesù è un atteggiamento religioso e non politico o rivoluzionario anche se motivazioni di tipo politico sociale rientrano nei motivi della sua condanna.

Gesù è un uomo autentico e la nobiltà inalienabile dell’uomo è di potere, di dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza in un avvenire che ignora. Se questo uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta è Dio nella sua libertà e nella sua immensità” (H. U. von Balthasar, La foi du Christ, Aubier, Paris 1969 pag.181).

LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ VERSO LA PASQUA

  1. INTRODUZIONE

Nella prima lettera ai Corinti, affrontando due questioni importanti, quella dell’unità nella carità nel celebrare la cena del Signore, e quella della fede nella risurrezione dei morti, Paolo scrive:

– io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. (11,23)

“A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè:

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e

che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s).

Quel “ho ricevuto dal Signore” circa la cena (11, 23) non è differente dall’altro “vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto” sulla risurrezione (15,3s): si tratta della tradizione che risale agli apostoli. Questo senso così spiccato della tradizione, cui Paolo si appella in una maniera ancora, più forte nella lettera ai Galati (1,18; 2,9), rappresenta una indicazione molto importante: Paolo si rifà attraverso la tradizione a dei fatti storici, la cena pasquale, la morte (e la resurrezione) di Gesù, e ad una loro lettura di fede, ad una interpretazione teologica, che è diventata normativa nella comunità cristiana: la cena dell’ultima Pasqua, nella notte in cui fu tradito, e la sua morte, non sono dei fatti casuali, ma rispondono ad un piano di Dio, tutto è avvenuto secondo le scritture (15,3). Paolo ha ricevuto questa lettura dei fatti della cena pasquale e della morte di Gesù dalla comunità cristiana e se pensiamo che la lettera ai Corinti è stata scritta, secondo l’opinione più comune, nella primavera del 57 e che il suo primo incontro con Cefa (Gal.1, 18) va posto nel 39 vediamo che questa ermeneutica dei fatti risale immediatamente a Pietro e alla, comunità postpasquale gerosolimitana.

Abbiamo detto ‘lettura teologica’, cioè lettura dei fatti alla luce della fede, che vede nella vita di Gesù, in tutta, ma specialmente nei punti culminanti, come la cena della sua ultima Pasqua e la morte, il compimento di un piano di Dio. Questa è la linea costante di lettura che ritroviamo negli scritti del N.T., non solo nelle lettere di Paolo, anche nei Vangeli, la sintesi più completa di questa lettura la troviamo nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, che esprimono l’unità del piano di Dio, che opera in Cristo la salvezza degli uomini, ricapitolando in lui tutto il suo disegno.

E’ evidente che questo tipo di lettura parte dal Cristo della fede, dal Gesù della gloria che, esaltato, siede alla destra del Padre ed ha compiuto ogni purificazione dei peccati (Eb. 1,3) e sottolineando il piano divino richiede una sapienza e una intelligenza spirituale (Col.1 ;10; Ef., 3,5.10.I8) per comprenderlo e vederlo realizzato nella storia presente della comunità dei salvati, cioè della Chiesa (Ef. 3,10;1 Cor. 2,7-10)„

E’ evidente anche che questo tipo di lettura non prescinde dalla storia, dai fatti, anzi ci si richiama continuamente, ma certo è meno attenta ai dati cronologici, topografici, circostanziali in genere, allo sviluppo psicologico, alla evoluzione di atteggiamento e di pensiero delle persone. La fede sottolinea da una parte la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, la sua iniziativa gratuita, che entra nella storia attraverso Cristo e dall’altra sottolinea l’accettazione di questo piano, l’ubbidienza del Figlio, il valore di liberazione, redentivo ed espiatorio, della vita di Gesù, ma soprattutto di alcuni momenti e fatti significativi come la cena pasquale e la morte in croce (cfr. Fil.2,1-10).

Per noi che ci interroghiamo su “la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua”, il problema invece si pone sul piano storico, cioè sul piano delle scelte di Gesù di Nazareth, sul piano della sua decisione e volontà, della sua coscienza.

Si pone quindi il problema delle fonti storiche su Gesù, cioè dei Vangeli. Non è questa la sede per trattare il problema della storicità dei Vangeli quale base per evidenziare il cammino di Gesù verso la Pasqua. Stiamo ai dati più accreditati ed accolti dal magistero della Chiesa, l’istruzione sulla verità storica dei Vangeli del 21.4.1964 della Pontificia Commissione Biblica precisa che “la vita e l’insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservarne il ricordo, ma ‘predicati’ in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi” (n. 2a). In altre parole ciò significa dire che l’ottica degli evangelisti nel presentare i detti e le azioni di Gesù è un ‘ottica di fede e che il narrare “per ordine”, come dice Luca (1,3), è un ordine di tipo teologico e non semplicemente cronologico o topografico, come del resto afferma la stessa istruzione: “Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n.2b).

I Vangeli non sono la cronistoria di una vita, ma quel che vogliono essere come il nome stesso indica, cioè ‘buona notizia’, annuncio di salvezza.

Il nostro problema quindi è duplice: uno di carattere letterario, di analisi letteraria, vedere cioè qual’è l’impostazione teologica dei Vangeli e quale posto vi occupa l’ultima Pasqua di Gesù, l’altro di carattere ermeneutico e storico, risalire cioè attraverso i dati evangelici alla tensione reale della vita di Gesù, alla coscienza che ha avuto della sua missione ed il significato che ha dato alla Pasqua e alla sua morte.

Ancora un’osservazione introduttiva: abbiamo detto che ci sono due tagli differenti con cui leggere i Vangeli e la vita di Gesù: c’è la prospettiva teologica che parte dal Cristo della fede, il Risorto esaltato alla destra del Padre e che tende a sottolineare il piano di Dio e l’obbedienza del Figlio, e c’è la prospettiva storica di chi vuol analizzare i dati della vita di Gesù e lo sviluppo delle sue scelte.

Le due non sono contraddittorie: la prima vede l’umanità di Gesù alla luce della divinità del Cristo, sottolinea il piano di Dio che si attua in uno stile e in uno schema prestabilito: è il tipo di lettura privilegiata dalla teologia basata sull’ontologia della persona e prevalente ancor oggi nella catechesi e nell’omiletica e se portata alle ultime conseguenze corre il rischio di una lettura di tipo monofisita. La seconda è la linea che privilegia il tema delle scelte e della crescita psicologica di Gesù, che è visto come l’uomo libero, l’uomo delle decisioni forti e radicali, dell’appello alla conversione e all’impegno, è una linea più attenta alla cultura odierna e alla lettura dell’io personale del Cristo in chiave psicologica e se portata agli estremi corre il rischio di una lettura di tipo nestoriano in cui Gesù è unito al Figlio di Dio o arriva a diventarlo, ma se supera le difficoltà di un certo dualismo cristologico, è più rispondente all’uomo di oggi.

Ecco i nostri due problemi:

-l’ultima Pasqua di Gesù nell’analisi letteraria dei Vangeli;

-la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua.

Il primo problema, più semplice, è di carattere letterario, il secondo, più importante, è di carattere storico-esegetico.

  1. L’ULTIMA PASQUA DI GESÙ’ NELL ‘ANALISI LETTERARIA DEI VANGELI.

.a. – Anche un profano che leggesse per la prima volta i Vangeli, sia i sinottici sia Giovanni, percepisce che il racconto tende verso la morte del protagonista Gesù, e che questo evento si inserisce nel quadro della celebrazione della Pasqua: Gerusalemme, il tempio, l’agnello pasquale, la preparazione della cena pasquale fatta dai discepoli (Mc 14,12-16) e l’affermazione: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15) formano la cornice di questa tensione.

I Vangeli presentano altri punti salienti della vita di Gesù, come l’inizio con il battesimo, la trasfigurazione, ma anch’essi sono in rapporto con la morte e la Pasqua. Luca dice che Mosè ed Elia apparsi accanto a Gesù “parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,28-36), ‘portato a compimento’  con il verbo “pleroo” ha un senso  forte e pregnante.

Questa impostazione dei Vangeli è il risultato del Kerygma originario, dell’annuncio della salvezza che Dio ha operato per tutti nella morte e risurrezione del Cristo. Il kerygma come ci è testimoniato negli Atti degli Apostoli attraverso i discorsi di Pietro (At. 2,22-24.32s; 3,14s; 4,10-12V e di Paolo (13,26-35) è tutto centrato sulla passione, la morte e la risurrezione di Gesù con una attenzione particolare a mettere in evidenza il piano di Dio realizzatosi secondo le scritture. Questo ci spiega la prospettiva unitaria dei Vangeli e l’origine del racconto della passione, che è il racconto più sviluppato nei Vangeli e in cui gli evangelisti, nonostante qualche accentuazione particolare, più profondamente concordano conformemente alla centralità dell’annuncio cristiano, gli evangelisti impostano tutto il racconto della vita di Gesù facendolo convergere verso l’ultima sua Pasqua.

.b. – Diciamo l’ultima Pasqua chiaramente in rapporto al vangelo di Giovanni perché è ben risaputo che mentre i Vangeli sinottici parlano di una sola Pasqua durante la vita pubblica di Gesù, quella della sua morte, Giovanni invece esplicitamente fa menzione di almeno altre due Pasque: la cosiddetta Pasqua di Nicodemo (2,13.23) e la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) (1).

Nonostante il taglio più teologico dell’opera giovannea, oggi gli esegeti sono d’accordo nel riconoscere un valore storico ai dati cronologici fornitici da Giovanni e quindi a sviluppare l’attività pubblica di Gesù nell’arco di tre Pasque e quindi di due anni e mezzo almeno (2), ma ciò mette subito in evidenza che la scelta dei sinottici di sviluppare la vita pubblica di Gesù secondo il quadro: attività in Galilea, salita a Gerusalemme, Pasqua e morte di Gesù. Non è un quadro cronologico, ma teologico, cioè un quadro che vuol evidenziare la tensione pasquale della vita di Gesù.

.c. – Del resto gli evangelisti sottolineano questa stessa tensione anche al di là dì questo grande quadro cronologico con altre indicazioni che evidenziano in maniera più sottile, ma non meno significativa, il cammino di Gesù e l’emergere della Pasqua, della morte come compimento di un piano e di una vita. Marco, che secondo l’opinione oggi più comune è il primo estensore di una narrazione evangelica completa, ha impostato il racconto della vita di Gesù su tre momenti: attività in Galilea e attività fuori del territorio della Palestina, salita a Gerusalemme per la Pasqua e attività nella città santa, conclusione con la morte di Gesù e l’annuncio della risurrezione. Matteo e Luca che dipendono da Marco riprendono la stessa impostazione, ma ognuno vi porta l’accento suo particolare. Vediamo queste sfumature:

.1. – Marco imposta il suo racconto sulla manifestazione progressiva della persona di Gesù. Non solo il quadro cronologico, ma anche la manifestazione di Gesù tende alla Pasqua. E’ risaputo che nel Vangelo di Marco ha un posto particolare il cosiddetto “segreto messianico”, cioè Gesù tiene segreta la sua personalità ed impone il segreto a quanti in qualche modo la conoscono. E’ come un segreto custodito gelosamente dinanzi a tutti, dinanzi alle folle e dinanzi ai suoi (Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36); dopo la cosiddetta crisi galilaica il mistero viene progressivamente svelato prima ai tre prescelti (8,26-30) e poi e tutti i discepoli nell’annuncio delle sofferenze che il figlio dell’uomo dovrà subire (8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). L’affermazione solenne della sua personalità e delle sue prerogative Marco la vede realizzata da Gesù stesso dinanzi ai sommi sacerdoti Anna a Caifa e questa affermazione diventa il motivo ultimo della sua condanna: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto? – Gesù rispose: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,61-63). Il segreto era in vista di questo momento definitivo in cui Gesù stesso fa la proclamazione ufficiale della sua personalità, quasi una tensione che pervade il vangelo e la vita di Gesù.

.2. – Il Vangelo di Matteo, oltre al quadro cronologico-topografico Galilea, Gerusalemme, Pasqua della morte, per i destinatari cui il Vangelo cui è indirizzato, adotta un altro metodo da cui traspare la tensione di tutto il racconto evangelico. Matteo è il teologo del compimento delle scritture: Gesù è colui che realizza il piano di Dio così come era stato annunciato nelle Scritture.

In Matteo troviamo 66 citazioni dell’Antico Testamento, 37 delle quali sono precedute da una introduzione e di queste tipiche quelle dette di “compimento’ e ne sono 11, cioè introdotte con la formula tecnica “affinchè si adempisse…” (cfr. Sabourin L., Il Vangelo di Matteo, pag. 4-ss ). L’evangelista vuol mostrare Gesù come colui che compie le attese messianiche. Sabourin scrive (pagg.44—45): “Secondo Matteo, Gesù portando a termine l’A.T. lo illumina: ciò è possibile perché Dio governa il mondo (…)  Questa concezione corrisponde fedelmente all’antico modo ebraico di comprendere la parola di Dio: essa, come agente personificato, produce quello che proclama, dirige ogni cosa verso l’evento escatologico, che dovrà manifestarsi alla venuta di Gesù. E’ certo che Matteo intese l’antica economia come un’ombra e un modello del bene che verrà (Eb. 8,5;10,1)”. Ora Matteo iniziando il racconto della passione mette in bocca a Gesù queste parole: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (26,2). Per Matteo quindi che vede negli eventi di Gesù il compimento del disegno del Padre, la Pasqua, o almeno questa specifica Pasqua è strettamente legata con Gesù, è il compimento della tensione di Gesù, che dà il pieno significato salvifico ad essa con la sua morte.

.3. – Nel Vangelo di Luca, Gerusalemme è il fine e il vertice dell’attività di Gesù. Nonostante che nel prologo dell’opera Luca protesti di voler narrare “con ricerche accurate su ogni circostanza (…) con ordine” risulta chiaro che non si tratta di un ordine biografico, cronologico o geografico, ma di un altro ordine di tipo tematico e teologico.

Le notazioni geografiche e cronologiche servono a Luca per mettere in evidenza il “cammino” la “salita” a Gerusalemme. Questo cammino verso la città santa ha un significato pregnante: a Gerusalemme nella Pasqua Gesù con la sua morte aprirà le porte ad un nuovo inizio. Ecco perché dopo il ministero galilaico Luca raccoglie, nonostante le contraddizioni in cui incorre nel racconto e nei confronti delle fonti, tutto il materiale a sua disposizione nel quadro di una “salita” a Gerusalemme attraverso la Samaria. Comincia la sezione dicendo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (9,51,cfr. anche 9,31) e spesso richiama questo camminare :”mentre erano in cammino” (9,57), “attraversava città e villaggi insegnando e dirigendosi verso Gerusalemme” (13,22),”mentre erano in cammino (verso Gerusalemme) entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa” (10,38), “grandi folle erano in cammino con lui” (14,25), “mentre si avvicinava a Gerico” (18,35) e Gerusalemme diventa la meta finale delle peregrinazioni (9,51.53; 13»33; 17,11; 18,31; 19,11) “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”(13,33).

.4 -. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo già detto, ci dà un quadro cronologico a giudizio dei critici più attendibile. Giovanni mette in evidenza la tensione della vita di Gesù verso Gerusalemme e la Pasqua non con dati cronologici o geografici, ma con un’altra indicazione apparentemente temporale, carica di significato teologico “la mia ora”. Troviamo consonanza tra i sinottici e Giovanni nell’indicare la passione, il momento della solitudine di Gesù, dell’abbandono da parte degli amici, la croce e la morte, come l’ora di Gesù, che è anche l’ora della potenza delle tenebre (così Mt 26,45; Mc 14,35; Lc 22,53). Giovanni sottolinea la tensione di Gesù verso questa ora: è l’ora da cui nascerà una nuova vita, come dalle doglie della madre nasce una vita nuova (16,21), è un’ora di dolore, d’angoscia, ma accettata e voluta da Gesù, sarà l’ora in cui il Padre mostrerà la gloria del Figlio e nello stesso tempo il Figlio rivelerà l’amore del Padre e la sua gloria nel darsi per la vita degli uomini, come il chicco è dato alla terra perché muoia e porti fruttò. Così si esprime Gesù nella preghiera al tempio dinanzi ai pagani, che per mezzo di Filippo avevano chiesto di vedere Gesù (cfr. Gv 12,20-27).

I ritmi della vita di Gesù sono scanditi da questa ora, che è il momento nascosto nei segreti del Padre (e che solo il Figlio conosce). A Cana Gesù quasi anticipa questo momento per richiesta di Maria, ma la vera ora deve ancora venire (Gv 2,1-11). Giovanni sottolinea che a Cana Gesù dette inizio ai “segni“ e mostrò la sua “gloria”: si può dire che ogni miracolo evoca la sua “ora” perché ogni miracolo è un “segno” che ne mostra o anticipa un aspetto e verso quest’ora Gesù coordina la sua attività di profeta e di taumaturgo. Per questo Giovanni inizia il racconto della sua passione con questa frase solenne: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Questa Pasqua è il vero passaggio, è la pienezza del cammino della liberazione, è arrivare al Padre; la tensione di Gesù si scioglie in questa Pasqua di passaggio al Padre: L’evangelista vede questa ora come programmata, la vita di Gesù scorre verso questa ora e i suoi nemici non possono far nulla contro di lui (né lapidarlo 7,30 né arrestarlo 8,20) perché non era giunta la sua ora. Quando invece questa ora arriva, è il Figlio stesso che prega: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo…”(17,1).

Bastano questi accenni rapidi ed incompleti per vedere che, pure in un quadro cronologico e geografico differente da quello dei sinottici, il Vangelo di Giovanni ha come tensione la Pasqua ultima di Gesù.

Questa rapida analisi raggiunge un dato già conosciuto e scontato, può esser servita a mettere in evidenza il lavoro redazionale di ogni evangelista, l’architettura tipica data ad ogni opera, a far percepire lo scopo fondamentale di tutti quattro i Vangeli: mostrare che la vita di Gesù era tutta protesa verso Gerusalemme e la Pasqua, l’ora del giudizio e della gloria.

.3. – LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ’ VERSO L’ULTIMA PASQUA

In questa seconda parte dovremo passare dalla struttura dei Vangeli al Gesù storico. Visto che i Vangeli sono una testimonianza ed un annuncio di fede, dobbiamo porci la domanda: qual’è stata la coscienza che Gesù ha avuto di sé, della sua missione, quale prospettiva ha avuto dinanzi alla morte? che significato ha avuto per lui l’ultima Pasqua?

E’ il problema fondamentale ed arduo del rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia. Da quando questo problema è stato posto da M. Kaehler non lo si può più evitare e la risposta oscilla tra la posizione radicale di Bultmann che nega ogni rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia ponendo una separazione netta tra fede e storia, ed un’esegesi fondamentalista che sovrappone materialmente fede e storia e legge in chiave letterale per non dire fisicista ogni riga del vangelo senza preoccuparsi dei tipi di linguaggio e di messaggio religioso.

Nel tentativo di raggiungere il messaggio religioso di Gesù necessariamente ognuno vi porta una certa precomprensione che accentua alcuni aspetti e limita altri della figura di Gesù, così dall’accentuazione di alcuni aspetti della salvezza emergono diversi tipi di lettura del Vangelo, che vanno dalla teologia della liberazione alla teologia della croce, dalla teologia della speranza alla teologia politica, da cui emergono alcuni tagli che, se assolutizzati, diventano una lettura parziale del messaggio di Gesù; se integrati, lasciano spazio ad un arricchimento di aspetti della profondità della sua figura. Questa lettura molteplice trova la sua garanzia ultima in una lettura ecclesiale, cioè fatta all’interno della Chiesa ed accolta, autenticata dal magistero, che è stato dato ad essa perché conservi integro il Cristo ed il suo messaggio. Ancora qualche osservazione preliminare:

.a. – la prima mi viene da un’esperienza costante che ho avuto in incontri biblici, sia con laici che con preti, sia con adulti che con giovani: il problema della scienza del Cristo. I nostri trattati di teologia impostavano la questione sulla “base della distinzione tra i diversi tipi di scienza presenti nel Cristo beatifica, infusa, acquisita (cfr. Parente P., De Verbo incarnato, Marietti 1956 pagg. 186-191 ). E’ un’impostazione che parte dal mistero dell’incarnazione, un’impostazione che ha i suoi meriti, ma corre il rischio di far pendere la “bilancia” dalla parte della scienza o visione beatifica e di misconoscere la scienza umana del Cristo. E’ quel monifisimo larvato che tante volte appare nella presentazione della vita di Gesù in rapporto alla sua passione, morte e risurrezione, che diventano come atti di un dramma di cui l’attore recita la parte conoscendone lo sviluppo. Questa presentazione, qui un po’ esagerata, certamente è poco accessibile all’uomo di oggi, più attento ad una umanità che cresce e si sviluppa sotto tutti gli aspetti ed è anche poco rispondente allo sforzo che si chiede oggi all’esegesi di evidenziare il Gesù storico, la sua posizione di fronte alla realtà del suo tempo, di fronte al processo e al giudizio cui è stato sottoposto e alla morte cui è stato condannato.

Il problema rimarrà sempre perché tocca il mistero dell’incarnazione, il mistero dell’uomo-Dio. E’ questione di metodo piuttosto, mi sembra: altro è porre il problema della tensione pasquale di Gesù partendo dalla triplice divisione della scienza del Cristo (che è un problema teologico), altro è porsi il problema analizzando i dati storici del Vangelo ed il cammino di Gesù verso la Pasqua e magari poi rileggerli alla luce della risurrezione cioè della fede come fa la comunità cristiana e come fanno gli evangelisti.

.b. – la seconda osservazione: ho notato che viene sempre accolta con piacere la presentazione di Gesù a partire dall’inserimento nel suo tempo e nel suo ambiente: può essere un dato scontato, ma non lo è per tutti: presentare Gesù immerso nel suo mondo da cui mutua cultura e linguaggio, ma che nello stesso tempo supera il suo mondo per una comprensione nuova che ha di esso. Gesù si forma sulle pagine dell’A.T. nella lettura sinagogale, ma nello stesso tempo supera la lettura che di esso faceva la ufficialità,  sadducea o farisaica o di altre estrazioni che sia; Gesù fa una nuova ermeneutica dell’A.T., bisogna dire che Gesù è l’esegeta dell’A.T. tirandolo a se, cioè facendone l’esegesi non a livello culturale, ma vitale, esistenziale, psicologico, immedesimandosi in maniera tutta nuova e tutta sua nelle linee religiose che attraversavano le Scritture del suo popolo. Egli ha unificato nella sua persona, interpretandole in maniera nuova, la figura del fedele israelita che prega nei salmi ed invoca la salvezza totale da Dio, la figura del profeta chiamato ed inviato a portare la parola, la figura del figlio dell’uomo, (ben ‘adam,) dell’uomo che riceve onore e gloria da Dio, la figura del servo umile ed obbediente, sacrificato ed esaltato, descritto da Isaia, la figura del ‘consacrato’, del messia atteso da Israele secondo gli oracoli dei profeti e dei salmi. Gesù ha vissuto questa realtà in sé aprendosi alla prospettiva di un nuovo Israele raccolto ed unificato dal Padre nel suo regno al di là di ogni confine, nella persona del servo, dell’uomo, del Messia. Questo significa leggere la vita di Gesù sulla linea profetica, dell’uomo cioè che appartiene tutto al suo tempo, ma appartiene tutto a Dio, che gli affida la sua parola perché sia giudizio e salvezza. E come il profeta rappresenta continuità e rottura nello stesso tempo, così Gesù è la continuità con le Scritture, che egli fa sue, ma è anche rottura perché le legge in maniera nuova. Gesù diceva ai suoi uditori: “Scrutate le Scritture, sono esse che parlano di me”(Gv 5,39 cfr. 1,45; 2,22; 5,46; 12,16. 41; 19,28.36; Lc 24,32.43 ; Mt 22,29).

Scrive Jeremias: “L’entrata in scena di Gesù fu preceduta da una vocazione, che verosimilmente ebbe luogo al momento del battesimo. A partire da quell’ora Gesù ebbe coscienza di avere l’incarico di partecipare ad altri la conoscenza di Dio che era stata accordata a lui. Avendo avuto questo incarico Gesù ebbe sentore di essere inserito nella serie degli inviati, ma la coscienza che egli aveva del suo potere trascendeva la categoria del fenomeno profetico. Quando infatti Gesù annunciava che con la sua venuta era iniziato il tempo della salvezza e la sconfitta di Satana, quando legava la decisione pro o contro Dio e la salvezza nel giudizio finale solo all’obbedienza prestata alla sua parola, quando dava il nome di vera vita all’imitazione di lui, quando contrapponeva alla torà (la legge) una nuova legge divina e faceva proclamare dai suoi inviati l’inizio dell’era salvifica, in breve, quando indicava il suo messaggio e le sue opere come evento escatologico di salvezza, dava a vedere che la sua coscienza di essere inviato non andava più inserita nella categoria dei dati profetici. Costatare tutto questo significa prendere atto che Gesù sapeva di essere il portatore della salvezza.

Questa linea ha il vantaggio di essere realistica e di essere accettata dall’uomo di oggi e in fondo corrisponde a quei criteri di analisi dei Vangeli e di accesso al Gesù storico basati sulla dissomiglianza o discontinuità come sulla conformità o continuità, comuni nell’analisi critica dei Vangeli, divulgati in opere di recente successo come “Ipotesi su Gesù” di Messori.

Su questa linea tentiamo ora un approccio al cammino di Gesù verso la Pasqua. Nell’impossibilità di fare un quadro completo scegliamo, sullo schema dei sinottici, alcuni momenti salienti della vita pubblica di Gesù lasciando da parte l’esame pur importante dei titoli che nei Vangeli vengono dati a Gesù, come: profeta, figlio dell’uomo, figlio di David, Messia, figlio di Dio, salvatore e altri.

Esamineremo brevemente: 1) l’inizio della vita pubblica, il battesimo; 2) la predicazione del regno e la crisi galilaica; 3) le predizioni della passione e della morte; 4) la trasfigurazione; 5) un breve cenno (sarà infatti trattato da altra relazione) alla cena pasquale.

.1. – E’ significativo che Gesù cominci la sua attività pubblica ricevendo il battesimo da Giovanni. Il battezzatore aveva rievocato la linea profetica: la forza dello Spirito, la parola di Dio che giudica, l’invito alla conversione. Le risonanze della predicazione di Giovanni trovano un’eco nell’animo di Gesù: il momento del battesimo diventa il momento della sua vocazione, la scena battesimale va analizzata alla luce anche delle vocazioni dei profeti, quella di Isaia (6), di Geremia (1), di Ezechiele (1-3). E’ illuminante il confronto tra la scena a colori teofanici, come è descritta dai sinottici, e la confessione che fa invece il solo Battista nel Vangelo di Giovanni ove dichiara: “Ho visto la Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). La differenza tra i sinottici e Giovanni ci dà sicurezza che la scena va letta non materialmente, ma in chiave religiosa e che il linguaggio è carico di simbolismi: i cieli aperti, la colomba, le acque, il deserto, la voce. La voce dà il contenuto della scena battesimale: è un’esperienza di Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). E’ un’esperienza originaria ed unica che si rifà alla vocazione del servo di Jahweh in Isaia 42.

Tralasciamo altri elementi di analisi, solo consideriamo che il battesimo è un fatto storico e segna l’inizio dell’attività di Gesù. E’ il criterio di continuità e discontinuità che lo garantisce. Il movimento ‘battista’ iniziato da Giovanni di cui troviamo tracce fino al periodo delle comunità cristiane (At 19,3-6) rivendicava una priorità del battesimo di Giovanni su quello di Gesù, priorità di tempo e di importanza. Questa difficoltà i cristiani la superarono ammettendo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, ma affermando che Giovanni stesso aveva riconosciuto la superiorità di Gesù e che il battesimo di Gesù (e quindi dei cristiani) era un battesimo non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nello Spirito.

La fede della comunità cristiana illuminerà di una nuova luce il momento del battesimo di Gesù e il racconto prenderà un andamento teofanico in cui tanti elementi si intrecciano, il nuovo Israele, il passaggio del Giordano come esodo ed entrata nella terra promessa, tematiche paradisiache (Mc 1,13) e altre, ma certo gli apostoli e quindi la comunità cristiana soltanto da Gesù potevano conoscere la sua esperienza filiale.

Bastano questi pochi cenni per comprendere che si tratta di una vocazione e di una missione, di apertura di Gesù all’accettazione del piano del Padre, che gradualmente lo porterà fino alla Pasqua della sua morte.

.2. – La predicazione del regno e la crisi galilaica. La missione di Gesù è la predicazione del “regno”: “Predicava il Vangelo di Dio e diceva: -il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo -” (Mc 1,15).

Le parabole sono il compendio dell’annuncio del regno, il succo della buona notizia: Dio è presente in mezzo al mondo. Le parabole più che un significato didattico hanno la carica di uno stimolo, di un invito alla decisione, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare il regno: è un tesoro grande, è la più preziosa delle perle, vale la pena acquistarlo ad ogni costo; è una piccola cosa, ma ha la forza di fermentare, di cambiare il tutto, è piccolissimo seme, ma cresce fino a diventare albero.

Il dinamismo è dato dalla parola che Dio semina e che è accolta in maniera differente dagli uomini o addirittura soffocata e respinta. Questa parola opera distinzioni così come il pescatore distingue i pesci buoni e cattivi nella rete o in un campo si mescola buon grano ed erbaccia.

La pratica del regno diventa presenza amorevole di Dio, che attraverso Gesù si fa presente ai deboli, ai peccatori, ai malati d’ogni genere e giudica quanti ostacolano il cammino del regno, giudica gli uomini e le strutture compromesse con un potere che non libera, ma rende schiavi.

Per questo gli evangelisti mettono in evidenza che le parabole sono accolte da pochi e che la pratica del regno contrasta con quanti detengono in qualche modo il potere: farisei, sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani.

Ad un primo periodo di entusiasmo della gente che rimane attonita, meravigliata della parola e dell’autorità di Gesù, entusiasta per le sue opere, attenta ai contrasti di Gesù con i farisei, subentra un atteggiamento di freddezza e di allontanamento. Il discorso di Gesù diventa più esigente, è considerato duro (Gv 6,60), la presa di posizione contraria sempre più forte ed aperta dei farisei, l’accusa di indemoniato, la ‘pretesa’ di Gesù di perdonare i peccati, la polemica sul sabato, sono tutti elementi che portano ad una rottura.

I Vangeli notano che Gesù riserva la spiegazione delle paratole ai suoi, perché gli altri hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, che Gesù non opera i miracoli perché non trova la fede in Israele e si ritira con i suoi a parte, comincia con essi un’azione particolare al cui centro c’è l’apostolo Pietro, che lo confessa Messia e su cui Gesù fonderà una nuova comunità. Stando allo schema dei sinottici è il momento della crisi galilaica.

Gesù sperimenta il rifiuto di Israele. E’ un momento di trapasso di estrema importanza nella sua vita da cui emerge da una parte la prospettiva di una fine come quella dei profeti e dall’altra la prospettiva di una comunità che continui, dopo la sua morte, l’opera messianica.

  1. Le predizioni della passione e della morte.

E’ in questo contesto che vanno poste le predizioni che Gesù ha fatto della sua morte. Ammesso anche che nella formulazione attuale le tre predizioni, che ognuno dei tre sinottici riporta, siano formulazioni post-pasquali, cioè profezie ex eventu, certo però che esse sono storiche nella sostanza perché si trovano in alcuni contesti che non potevano esser graditi alla comunità cristiana primitiva, come, ad esempio, il rimprovero duro dato a Pietro e l’appellativo di Satana, quando questi tentò di distogliere Gesù dalla sua linea (Mc 8,33), così pure alcune formulazioni sono troppo vaghe: “il figlio dell’uomo sarà preso, sarà consegnato”  ecc.) per poter essere formulazioni ex eventu (cfr. Mc 9,31).

Come Gesù arriva a parlare di una morte violenta e a vivere in questa prospettiva? Non è facile dare una risposta definitiva, ma potremo ipotizzare questa linea: Diverse accuse mosse dai circoli dirigenti giudaici al modo di agire e all’insegnamento di Gesù comportavano la pena di morte: Gesù è accusato di magia per i suoi esorcismi (Mc 3>22), perché, si dice, – scaccia i demoni in nome di Beelzebul – e questa accusa comportava la lapidazione; è accusato di bestemmia, perché annuncia il perdono dei peccati (Mc 2,7); è accusato di trasgredire il sabato (Mc 2,23-3,6). Si tratta di violazioni, che una volta accertate, venivano punite, secondo il diritto penale giudaico, con la morte. Inoltre la sorte toccata al Battista, ucciso da Erode Antipa, era un monito preciso anche per Gesù, come esplicitamente richiama Luca (13,31-33). L’opinione pubblica collocava Gesù nella serie dei grandi profeti biblici, come già il Battista stesso (Mc 6,14 ; 8,29). Anche questo suggeriva a Gesù la sorte che l’attendeva: la persecuzione e il martirio (Mt 23,37; Lc13,33) (cfr.Jeremías,o.c.; Fabris . I Vangeli pagg.804-5).

Ancora una domanda: ha Gesù annunciato anche la sua risurrezione? quale coscienza ne aveva? Al di là dei testi evangelici noi non abbiamo altra possibilità che quella di riferirci all’ambiente culturale in cui Gesù agisce. Ora Gesù si è identificato con il pio fedele, il giusto perseguitato dei salmi, che attende salvezza solo da Dio, si è identificato con il servo obbediente e sofferente dei carmi del secondo Isaia; Gesù ha fatto sua l’attesa apocalittica e la fede nella risurrezione dei morti. Gesù deve aver vissuto in una maniera più profonda e tutta nuova l’attesa e la speranza del giusto e del servo sofferente: il desiderio della vita piena, di contemplare il volto di Dio, di annunziare anche ai morti la vittoria di Dio, di vedere una posterità senza numero, di essere strappato alle fauci degli inferi e alla corruzione della fossa: tutte queste espressioni e situazioni dell’A.T. prendono un significato pregnante e nuovo. Gesù risorto ne sarà l’ermeneuta (Lc 24), ma è Gesù di Nazareth che vive questa realtà e l’annuncia ai suoi. Gesù ha dinanzi la morte violenta e non si tira indietro, ma l’affronta “sì con il timore del giusto e del profeta perseguitato, ma soprattutto con la forza del martire e la certezza che nella morte il suo annuncio del regno di Dio riceverà la conferma definitiva e il pegno più sicuro: che Dio, il Padre, gli si rivelerà definitivamente come il Dio vicino e fedele” (così Fabris R., I Vangeli, pag.807 ).

Niente in questi annunci contraddice quel che noi attendiamo da Gesù perché egli sia un uomo reale. Scrive H.U. von Balthasar :”Gesù è un uomo autentico, e la nobiltà inalienabile dell’uomo e di potere, da dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza, in un avvenire che ignora. Se quest’uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta, è Dio nella sua libertà e nella sua immensità. Privare Gesù di questa possibilità e farlo avanzare verso un fine conosciuto in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità di uomo” (La fede di Cristo,1969 pag.18l). Con la liturgia potremo ripetere l’antifona pasquale: Resurrexi et adhuc tecum sum. Sono risorto e son con te, come il canto nuovo di Cristo.

  1. La trasfigurazione. In Marco e nei vangeli sinottici la trasfigurazione occupa un posto ben preciso. Collocata dopo la confessione di Pietro e il primo annuncio della passione, la scena della trasfigurazione ne è come la rispostala: Solo Luca mette esplicitamente in evidenza lo stretto collegamento dicendo che Mosè ed Elia “parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (9,31).

Al culmine della crisi galilaica, quando Gesù comincia a restringere la sua attività ai discepoli, nella decisione di salire a Gerusalemme, questa scena teofanica, carica di simbolismi, sta ad indicare la prospettiva di tutta la vita di Gesù. E’ inutile per noi porci la domanda di quel che è avvenuto esteriormente e quanto poteva essere fisicamente colto in questa esperienza mistica di Gesù e dei tre prescelti: l’alto monte, la luce, la nuvola, Mosè ed Elia, la paura dei tre, la proposta della tenda fatta da Pietro sono tutti elementi simbolici ricchi di significato. Come sempre il punto focale è la parola, la voce: Gesù è proclamato il figlio diletto e la gloria di cui è circonfuso illumina il dramma della sua passione. Si tratta di un’esperienza che preannuncia la vera persona di Gesù: il suo cammino verso la morte non è la rassegnata sottomissione ad una fatalità storica, non è il fallimento di un progetto, ma la rivelazione piena della sua identità: il Figlio che è in un rapporto unico col Padre. Sarà l’esplosione del suo amore e della sua piena libertà: quell’amore e quella libertà rimandano ad un mondo che già traspare nei suoi gesti e nelle sue parole quotidiane, ma che i discepoli nella loro intimità con Gesù in modo privilegiato hanno potuto intravvedere”(Fabris, 766).

  1. La cena pasquale.

Non è il momento qui di fare una teologia della Pasqua né di discutere la cronologia della cena pasquale di Gesù, né di illustrare i motivi della condanna di Gesù nella sua ultima Pasqua richiamando i tentativi e le ipotesi avanzate da Winter , Brandon, Blinzler, Carmichael, Wilson, Masson e altri, ma solo di fare un quadro rapido dell’atteggiamento di Gesù nella cena pasquale e vedere con quale prospettiva l’ha celebrata

L’attività di Gesù a Gerusalemme è presentata in un quadro di tensioni e di contrasti con le autorità: i sacerdoti del tempio, i sadducei, i farisei, gli scribi, gli erodiani e il potere politico in genere. Giovanni e i sinottici concordano anche se in un quadro molto differente: i sinottici concentrano l’attività di Gesù a Gerusalemme nell’ultima settimana, nella festa di Pasqua, Giovanni presenta le controversie di Gesù in periodi diversi. I sinottici concentrano in questa settimana le parabole polemiche di Gesù, quella dei due figli, dei vignaiuoli omicidi, degli invitati a nozze e le controversie più dirette, quella su: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, la questione messianica, il più grande dei comandamenti. Giovanni illumina la persona e l’atteggiamento di Gesù attraverso i segni e i discorsi di Gesù a Gerusalemme e circostanze diverse, la guarigione dello storpio alla piscina di Betesda, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, il perdono della donna adultera, la discussione sull’origine del Cristo.

A Gerusalemme si consuma il rifiuto di Gesù e tutto questo lo pone in un atteggiamento nuovo nella celebrazione della Pasqua. Con sicurezza si può affermare che per Gesù la celebrazione della Pasqua non era stata mai un fatto di pura tradizione, come del resto per ogni pio israelita, ma questa ultima Pasqua acquista in lui un rilievo unico: l’agnello, il sangue, il tempio e il sacrificio pasquale; la liberazione, l’alleanza, il Messia, il figlio dell’uomo, il servo di Jahweh, il giudizio di Dio e il nuovo Israele, il rifiuto di Israele e la fedeltà di Dio, il cuore nuovo e la nuova alleanza, la parola e lo Spirito, la morte e la vita, sono tutte realtà, segni, simboli che ormai convergono in uno, nella persona di Gesù. Dopo l’esperienza del Risorto si svilupperà una lettura nuova e più profonda, ma questa trova la sua radice qui nella coscienza di Gesù e nella conoscenza ed esperienza che di essa hanno avuto gli apostoli.

E’ in questo quadro che vanno lette le espressioni di Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (12,50) e nel celebrare la cena pasquale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (22,15). Il battesimo che Gesù vede dinanzi nel prendere la decisione di salire a Gerusalemme (9,51) è l’immersione nelle acque di morte (Salmo 124,4s) da cui Dio soltanto può liberare, è l’oscurità del piano di Dio e del suo amore, che passano attraverso la gioia sofferta del dono di sé nella fede.

Gesù invita a questo anche i discepoli: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? “(Me. 10,38 ).

La Pasqua ultima di Gesù diventa il suo battesimo. All’ombra della Pasqua antica che era il segno di una presenza di Dio mai vissuta totalmente, il segno dell’amore liberante di Dio mai accolto in pienezza, si sostituisce la Pasqua di Gesù che diventa accoglienza piena dell’amore e della presenza del Padre nella vita, cioè il suo corpo spezzato e il suo sangue versato per “i molti”, cioè per tutti, sotto il peso del peccato del mondo che stronca una vita che è ripresa e salvata per sempre da Dio.

Gesù celebra la sua ultima Pasqua in questa prospettiva sotto l’incalzare degli eventi a cui egli non si sottrae, anzi liberamente e volontariamente la accetta. Tanta e forte è la consapevolezza di Gesù, che egli chiama a parteciparvi i discepoli: “prendete e mangiate, prendete e bevete, fate questo in memoria di me”. La celebrazione pasquale diventa una nuova liturgia, che non è rito, ma vita per quanti vogliono seguire Gesù e sfocerà nel banchetto escatologico dove sarà bevuto il vino nuovo.

La cena pasquale di Gesù anticipa, nel segno del banchetto del pane e del vino, la sua passione e la sua morte, anticipa il banchetto escatologico che Dio prepara per il suo figlio e per quelli che celebrano nella fede la stessa cena.

Gesù vive la sua ultima Pasqua come una scelta religiosa di obbedienza al Padre. Giuocano in questo evento tanti altri motivi, politici e sociali: i politici di fronte al potere dell’impero di Roma e dell’autorità ebraica, quelli sociali di fronte ai contrasti di Gesù nei riguardi delle diverse correnti religiose e sociali, farisei, sadducei, zeloti e altri, ma nessuno di questi motivi può esser presentato come unico ed esclusivo. Ogni tentativo di questo genere è destinato a naufragare.

L’interpretazione con cui la comunità cristiana primitiva presenterà la morte di Gesù più che essere un ostacolo è una garanzia non solo alla comprensione teologica della Pasqua di Gesù, anche alla ricostruzione dei motivi storici che si intrecciano nel motivo di fondo che è quello del rapporto di Gesù col Padre.

Le espressioni che troviamo nella letteratura neotestamentaria:

– “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (…)

e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui “ (Lc 24,26s);

– “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture” (I Cor.l5,3s);

– “Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5,6);

– “Colui che non aveva, conosciuto peccato, Dio lo trattò’ da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).

e tante altre espressioni che si potrebbero citare, sono senz’altro frutto della elaborazione teologica successiva della prima tradizione cristiana e della sistemazione redazionale degli evangelisti, ma l’analisi ci mostra che questo lavoro e questa riflessione non erano possibili senza rifarsi al Gesù storico e al suo messaggio.

Due linee si incontrano:  una che viene dal basso e preferisce analizzare il cammino umano di Gesù nel mondo in cui ha operato e in cui si è posto come compimento e discrimine, l’altra che parte dall’alto, dal piano e dal volere di Dio, dal Cristo immagine del Padre, e Figlio eterno per mezzo del quale tutto è stato creato, Verbo fatto carne che ha portato la parola definitiva del Padre e per la cui morte gli uomini sono stati salvati. Le due linee non solo sono legittime entrambi, ma convergono e si integrano a vicenda e l’una prospettiva soffrirebbe se si facesse la riduzione o l’assolutizzazione dell’altra ed è soltanto nella luce della fede che possono essere unitariamente accolte insieme. Il progetto umano di Gesù non differisce dal piano che il Cristo ha compiuto da parte del Padre, anche se l’uomo di oggi preferisce guardare alla croce e alla morte di Gesù come al termine della tensione di tutta la sua vita, tuttavia rimane sempre vero il monito di Paolo: “Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne, e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor.5, I6s): le cose nuove sono la morte e la risurrezione di Cristo nella nostra vita donata al mondo nella carità.

NOTE

(1) La “festa” senza specificazioni menzionata in 5,1 secondo alcuni esegeti è detta eortè = con l’articolo, è la festa per eccellenza, la Pasqua, ma per la maggior parte; secondo la più probabile tradizione manoscritta, è semplicemente una festa senza articolo, forse quella dei Purim: Così Blinzler, J. Giovanni e i sinottici, (Paideia) Brescia 1969 pag.18.

(2) cfr. Blinzler,o. c. 87-110.

Questo testo è stato elaborato dal MIOLA per il

XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE – PESCARA 1977

 

 

Miola Gabriele

“LA TENSIONE DELLA VITA DI GEDSU’ VERSO L’ULTIMA PASQUA”

*Sintesi

La lettura che gli scritti neotestamentari fanno della vita di Gesù dell’ultima Pasqua e della sua morte, è una lettura di fede. Paolo scrive: “A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s). Analizzata la struttura letteraria dei Vangeli con cui gli autori mettono in evidenza da una parte la tensione di Gesù verso la Pasqua e la morte e dall’altra il piano salvifico di Dio, questa relazione si ferma soprattutto ad analizzare le tappe salienti della vita di Gesù a partire dal momento del battesimo e mette in luce le scelte concrete del Cristo nell’annuncio del “regno”, lo scontro con le autorità religiose, politiche, culturali del tempo ed i motivi del rifiuto del messaggio di Gesù.

Stando allo schema dei sinottici, Gesù dopo la crisi galilaica si ritira con i suoi a comincia a parlar loro del suo futuro, carico del rifiuto da parte delle autorità e quindi del suo patire e della sua morte. In questa prospettiva Gesù vede la sua morte come obbedienza al Padre e dono per la salvezza di tutti. L’atteggiamento ultimo di Gesù è un atteggiamento religioso e non politico o rivoluzionario anche se motivazioni di tipo politico sociale rientrano nei motivi della sua condanna.

Gesù è un uomo autentico e la nobiltà inalienabile dell’uomo è di potere, di dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza in un avvenire che ignora. Se questo uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta è Dio nella sua libertà e nella sua immensità” (H. U. von Balthasar, La foi du Christ, Aubier, Paris 1969 pag.181).

LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ VERSO LA PASQUA

  1. INTRODUZIONE

Nella prima lettera ai Corinti, affrontando due questioni importanti, quella dell’unità nella carità nel celebrare la cena del Signore, e quella della fede nella risurrezione dei morti, Paolo scrive:

– io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. (11,23)

“A voi, infatti, ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè:

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e

che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (I Cor. l5,3s).

Quel “ho ricevuto dal Signore” circa la cena (11, 23) non è differente dall’altro “vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto” sulla risurrezione (15,3s): si tratta della tradizione che risale agli apostoli. Questo senso così spiccato della tradizione, cui Paolo si appella in una maniera ancora, più forte nella lettera ai Galati (1,18; 2,9), rappresenta una indicazione molto importante: Paolo si rifà attraverso la tradizione a dei fatti storici, la cena pasquale, la morte (e la resurrezione) di Gesù, e ad una loro lettura di fede, ad una interpretazione teologica, che è diventata normativa nella comunità cristiana: la cena dell’ultima Pasqua, nella notte in cui fu tradito, e la sua morte, non sono dei fatti casuali, ma rispondono ad un piano di Dio, tutto è avvenuto secondo le scritture (15,3). Paolo ha ricevuto questa lettura dei fatti della cena pasquale e della morte di Gesù dalla comunità cristiana e se pensiamo che la lettera ai Corinti è stata scritta, secondo l’opinione più comune, nella primavera del 57 e che il suo primo incontro con Cefa (Gal.1, 18) va posto nel 39 vediamo che questa ermeneutica dei fatti risale immediatamente a Pietro e alla, comunità postpasquale gerosolimitana.

Abbiamo detto ‘lettura teologica’, cioè lettura dei fatti alla luce della fede, che vede nella vita di Gesù, in tutta, ma specialmente nei punti culminanti, come la cena della sua ultima Pasqua e la morte, il compimento di un piano di Dio. Questa è la linea costante di lettura che ritroviamo negli scritti del N.T., non solo nelle lettere di Paolo, anche nei Vangeli, la sintesi più completa di questa lettura la troviamo nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, che esprimono l’unità del piano di Dio, che opera in Cristo la salvezza degli uomini, ricapitolando in lui tutto il suo disegno.

E’ evidente che questo tipo di lettura parte dal Cristo della fede, dal Gesù della gloria che, esaltato, siede alla destra del Padre ed ha compiuto ogni purificazione dei peccati (Eb. 1,3) e sottolineando il piano divino richiede una sapienza e una intelligenza spirituale (Col.1 ;10; Ef., 3,5.10.I8) per comprenderlo e vederlo realizzato nella storia presente della comunità dei salvati, cioè della Chiesa (Ef. 3,10;1 Cor. 2,7-10)„

E’ evidente anche che questo tipo di lettura non prescinde dalla storia, dai fatti, anzi ci si richiama continuamente, ma certo è meno attenta ai dati cronologici, topografici, circostanziali in genere, allo sviluppo psicologico, alla evoluzione di atteggiamento e di pensiero delle persone. La fede sottolinea da una parte la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, la sua iniziativa gratuita, che entra nella storia attraverso Cristo e dall’altra sottolinea l’accettazione di questo piano, l’ubbidienza del Figlio, il valore di liberazione, redentivo ed espiatorio, della vita di Gesù, ma soprattutto di alcuni momenti e fatti significativi come la cena pasquale e la morte in croce (cfr. Fil.2,1-10).

Per noi che ci interroghiamo su “la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua”, il problema invece si pone sul piano storico, cioè sul piano delle scelte di Gesù di Nazareth, sul piano della sua decisione e volontà, della sua coscienza.

Si pone quindi il problema delle fonti storiche su Gesù, cioè dei Vangeli. Non è questa la sede per trattare il problema della storicità dei Vangeli quale base per evidenziare il cammino di Gesù verso la Pasqua. Stiamo ai dati più accreditati ed accolti dal magistero della Chiesa, l’istruzione sulla verità storica dei Vangeli del 21.4.1964 della Pontificia Commissione Biblica precisa che “la vita e l’insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservarne il ricordo, ma ‘predicati’ in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi” (n. 2a). In altre parole ciò significa dire che l’ottica degli evangelisti nel presentare i detti e le azioni di Gesù è un ‘ottica di fede e che il narrare “per ordine”, come dice Luca (1,3), è un ordine di tipo teologico e non semplicemente cronologico o topografico, come del resto afferma la stessa istruzione: “Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n.2b).

I Vangeli non sono la cronistoria di una vita, ma quel che vogliono essere come il nome stesso indica, cioè ‘buona notizia’, annuncio di salvezza.

Il nostro problema quindi è duplice: uno di carattere letterario, di analisi letteraria, vedere cioè qual’è l’impostazione teologica dei Vangeli e quale posto vi occupa l’ultima Pasqua di Gesù, l’altro di carattere ermeneutico e storico, risalire cioè attraverso i dati evangelici alla tensione reale della vita di Gesù, alla coscienza che ha avuto della sua missione ed il significato che ha dato alla Pasqua e alla sua morte.

Ancora un’osservazione introduttiva: abbiamo detto che ci sono due tagli differenti con cui leggere i Vangeli e la vita di Gesù: c’è la prospettiva teologica che parte dal Cristo della fede, il Risorto esaltato alla destra del Padre e che tende a sottolineare il piano di Dio e l’obbedienza del Figlio, e c’è la prospettiva storica di chi vuol analizzare i dati della vita di Gesù e lo sviluppo delle sue scelte.

Le due non sono contraddittorie: la prima vede l’umanità di Gesù alla luce della divinità del Cristo, sottolinea il piano di Dio che si attua in uno stile e in uno schema prestabilito: è il tipo di lettura privilegiata dalla teologia basata sull’ontologia della persona e prevalente ancor oggi nella catechesi e nell’omiletica e se portata alle ultime conseguenze corre il rischio di una lettura di tipo monofisita. La seconda è la linea che privilegia il tema delle scelte e della crescita psicologica di Gesù, che è visto come l’uomo libero, l’uomo delle decisioni forti e radicali, dell’appello alla conversione e all’impegno, è una linea più attenta alla cultura odierna e alla lettura dell’io personale del Cristo in chiave psicologica e se portata agli estremi corre il rischio di una lettura di tipo nestoriano in cui Gesù è unito al Figlio di Dio o arriva a diventarlo, ma se supera le difficoltà di un certo dualismo cristologico, è più rispondente all’uomo di oggi.

Ecco i nostri due problemi:

-l’ultima Pasqua di Gesù nell’analisi letteraria dei Vangeli;

-la tensione della vita di Gesù verso l’ultima Pasqua.

Il primo problema, più semplice, è di carattere letterario, il secondo, più importante, è di carattere storico-esegetico.

  1. L’ULTIMA PASQUA DI GESÙ’ NELL ‘ANALISI LETTERARIA DEI VANGELI.

.a. – Anche un profano che leggesse per la prima volta i Vangeli, sia i sinottici sia Giovanni, percepisce che il racconto tende verso la morte del protagonista Gesù, e che questo evento si inserisce nel quadro della celebrazione della Pasqua: Gerusalemme, il tempio, l’agnello pasquale, la preparazione della cena pasquale fatta dai discepoli (Mc 14,12-16) e l’affermazione: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15) formano la cornice di questa tensione.

I Vangeli presentano altri punti salienti della vita di Gesù, come l’inizio con il battesimo, la trasfigurazione, ma anch’essi sono in rapporto con la morte e la Pasqua. Luca dice che Mosè ed Elia apparsi accanto a Gesù “parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (9,28-36), ‘portato a compimento’  con il verbo “pleroo” ha un senso  forte e pregnante.

Questa impostazione dei Vangeli è il risultato del Kerygma originario, dell’annuncio della salvezza che Dio ha operato per tutti nella morte e risurrezione del Cristo. Il kerygma come ci è testimoniato negli Atti degli Apostoli attraverso i discorsi di Pietro (At. 2,22-24.32s; 3,14s; 4,10-12V e di Paolo (13,26-35) è tutto centrato sulla passione, la morte e la risurrezione di Gesù con una attenzione particolare a mettere in evidenza il piano di Dio realizzatosi secondo le scritture. Questo ci spiega la prospettiva unitaria dei Vangeli e l’origine del racconto della passione, che è il racconto più sviluppato nei Vangeli e in cui gli evangelisti, nonostante qualche accentuazione particolare, più profondamente concordano conformemente alla centralità dell’annuncio cristiano, gli evangelisti impostano tutto il racconto della vita di Gesù facendolo convergere verso l’ultima sua Pasqua.

.b. – Diciamo l’ultima Pasqua chiaramente in rapporto al vangelo di Giovanni perché è ben risaputo che mentre i Vangeli sinottici parlano di una sola Pasqua durante la vita pubblica di Gesù, quella della sua morte, Giovanni invece esplicitamente fa menzione di almeno altre due Pasque: la cosiddetta Pasqua di Nicodemo (2,13.23) e la Pasqua della moltiplicazione dei pani (6,4) (1).

Nonostante il taglio più teologico dell’opera giovannea, oggi gli esegeti sono d’accordo nel riconoscere un valore storico ai dati cronologici fornitici da Giovanni e quindi a sviluppare l’attività pubblica di Gesù nell’arco di tre Pasque e quindi di due anni e mezzo almeno (2), ma ciò mette subito in evidenza che la scelta dei sinottici di sviluppare la vita pubblica di Gesù secondo il quadro: attività in Galilea, salita a Gerusalemme, Pasqua e morte di Gesù. Non è un quadro cronologico, ma teologico, cioè un quadro che vuol evidenziare la tensione pasquale della vita di Gesù.

.c. – Del resto gli evangelisti sottolineano questa stessa tensione anche al di là dì questo grande quadro cronologico con altre indicazioni che evidenziano in maniera più sottile, ma non meno significativa, il cammino di Gesù e l’emergere della Pasqua, della morte come compimento di un piano e di una vita. Marco, che secondo l’opinione oggi più comune è il primo estensore di una narrazione evangelica completa, ha impostato il racconto della vita di Gesù su tre momenti: attività in Galilea e attività fuori del territorio della Palestina, salita a Gerusalemme per la Pasqua e attività nella città santa, conclusione con la morte di Gesù e l’annuncio della risurrezione. Matteo e Luca che dipendono da Marco riprendono la stessa impostazione, ma ognuno vi porta l’accento suo particolare. Vediamo queste sfumature:

.1. – Marco imposta il suo racconto sulla manifestazione progressiva della persona di Gesù. Non solo il quadro cronologico, ma anche la manifestazione di Gesù tende alla Pasqua. E’ risaputo che nel Vangelo di Marco ha un posto particolare il cosiddetto “segreto messianico”, cioè Gesù tiene segreta la sua personalità ed impone il segreto a quanti in qualche modo la conoscono. E’ come un segreto custodito gelosamente dinanzi a tutti, dinanzi alle folle e dinanzi ai suoi (Mc 1,25.34.44; 3,12; 5,43; 7,36); dopo la cosiddetta crisi galilaica il mistero viene progressivamente svelato prima ai tre prescelti (8,26-30) e poi e tutti i discepoli nell’annuncio delle sofferenze che il figlio dell’uomo dovrà subire (8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). L’affermazione solenne della sua personalità e delle sue prerogative Marco la vede realizzata da Gesù stesso dinanzi ai sommi sacerdoti Anna a Caifa e questa affermazione diventa il motivo ultimo della sua condanna: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto? – Gesù rispose: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,61-63). Il segreto era in vista di questo momento definitivo in cui Gesù stesso fa la proclamazione ufficiale della sua personalità, quasi una tensione che pervade il vangelo e la vita di Gesù.

.2. – Il Vangelo di Matteo, oltre al quadro cronologico-topografico Galilea, Gerusalemme, Pasqua della morte, per i destinatari cui il Vangelo cui è indirizzato, adotta un altro metodo da cui traspare la tensione di tutto il racconto evangelico. Matteo è il teologo del compimento delle scritture: Gesù è colui che realizza il piano di Dio così come era stato annunciato nelle Scritture.

In Matteo troviamo 66 citazioni dell’Antico Testamento, 37 delle quali sono precedute da una introduzione e di queste tipiche quelle dette di “compimento’ e ne sono 11, cioè introdotte con la formula tecnica “affinchè si adempisse…” (cfr. Sabourin L., Il Vangelo di Matteo, pag. 4-ss ). L’evangelista vuol mostrare Gesù come colui che compie le attese messianiche. Sabourin scrive (pagg.44—45): “Secondo Matteo, Gesù portando a termine l’A.T. lo illumina: ciò è possibile perché Dio governa il mondo (…)  Questa concezione corrisponde fedelmente all’antico modo ebraico di comprendere la parola di Dio: essa, come agente personificato, produce quello che proclama, dirige ogni cosa verso l’evento escatologico, che dovrà manifestarsi alla venuta di Gesù. E’ certo che Matteo intese l’antica economia come un’ombra e un modello del bene che verrà (Eb. 8,5;10,1)”. Ora Matteo iniziando il racconto della passione mette in bocca a Gesù queste parole: “Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (26,2). Per Matteo quindi che vede negli eventi di Gesù il compimento del disegno del Padre, la Pasqua, o almeno questa specifica Pasqua è strettamente legata con Gesù, è il compimento della tensione di Gesù, che dà il pieno significato salvifico ad essa con la sua morte.

.3. – Nel Vangelo di Luca, Gerusalemme è il fine e il vertice dell’attività di Gesù. Nonostante che nel prologo dell’opera Luca protesti di voler narrare “con ricerche accurate su ogni circostanza (…) con ordine” risulta chiaro che non si tratta di un ordine biografico, cronologico o geografico, ma di un altro ordine di tipo tematico e teologico.

Le notazioni geografiche e cronologiche servono a Luca per mettere in evidenza il “cammino” la “salita” a Gerusalemme. Questo cammino verso la città santa ha un significato pregnante: a Gerusalemme nella Pasqua Gesù con la sua morte aprirà le porte ad un nuovo inizio. Ecco perché dopo il ministero galilaico Luca raccoglie, nonostante le contraddizioni in cui incorre nel racconto e nei confronti delle fonti, tutto il materiale a sua disposizione nel quadro di una “salita” a Gerusalemme attraverso la Samaria. Comincia la sezione dicendo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (9,51,cfr. anche 9,31) e spesso richiama questo camminare :”mentre erano in cammino” (9,57), “attraversava città e villaggi insegnando e dirigendosi verso Gerusalemme” (13,22),”mentre erano in cammino (verso Gerusalemme) entrò in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa” (10,38), “grandi folle erano in cammino con lui” (14,25), “mentre si avvicinava a Gerico” (18,35) e Gerusalemme diventa la meta finale delle peregrinazioni (9,51.53; 13»33; 17,11; 18,31; 19,11) “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”(13,33).

.4 -. Il Vangelo di Giovanni, come abbiamo già detto, ci dà un quadro cronologico a giudizio dei critici più attendibile. Giovanni mette in evidenza la tensione della vita di Gesù verso Gerusalemme e la Pasqua non con dati cronologici o geografici, ma con un’altra indicazione apparentemente temporale, carica di significato teologico “la mia ora”. Troviamo consonanza tra i sinottici e Giovanni nell’indicare la passione, il momento della solitudine di Gesù, dell’abbandono da parte degli amici, la croce e la morte, come l’ora di Gesù, che è anche l’ora della potenza delle tenebre (così Mt 26,45; Mc 14,35; Lc 22,53). Giovanni sottolinea la tensione di Gesù verso questa ora: è l’ora da cui nascerà una nuova vita, come dalle doglie della madre nasce una vita nuova (16,21), è un’ora di dolore, d’angoscia, ma accettata e voluta da Gesù, sarà l’ora in cui il Padre mostrerà la gloria del Figlio e nello stesso tempo il Figlio rivelerà l’amore del Padre e la sua gloria nel darsi per la vita degli uomini, come il chicco è dato alla terra perché muoia e porti fruttò. Così si esprime Gesù nella preghiera al tempio dinanzi ai pagani, che per mezzo di Filippo avevano chiesto di vedere Gesù (cfr. Gv 12,20-27).

I ritmi della vita di Gesù sono scanditi da questa ora, che è il momento nascosto nei segreti del Padre (e che solo il Figlio conosce). A Cana Gesù quasi anticipa questo momento per richiesta di Maria, ma la vera ora deve ancora venire (Gv 2,1-11). Giovanni sottolinea che a Cana Gesù dette inizio ai “segni“ e mostrò la sua “gloria”: si può dire che ogni miracolo evoca la sua “ora” perché ogni miracolo è un “segno” che ne mostra o anticipa un aspetto e verso quest’ora Gesù coordina la sua attività di profeta e di taumaturgo. Per questo Giovanni inizia il racconto della sua passione con questa frase solenne: “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Questa Pasqua è il vero passaggio, è la pienezza del cammino della liberazione, è arrivare al Padre; la tensione di Gesù si scioglie in questa Pasqua di passaggio al Padre: L’evangelista vede questa ora come programmata, la vita di Gesù scorre verso questa ora e i suoi nemici non possono far nulla contro di lui (né lapidarlo 7,30 né arrestarlo 8,20) perché non era giunta la sua ora. Quando invece questa ora arriva, è il Figlio stesso che prega: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo…”(17,1).

Bastano questi accenni rapidi ed incompleti per vedere che, pure in un quadro cronologico e geografico differente da quello dei sinottici, il Vangelo di Giovanni ha come tensione la Pasqua ultima di Gesù.

Questa rapida analisi raggiunge un dato già conosciuto e scontato, può esser servita a mettere in evidenza il lavoro redazionale di ogni evangelista, l’architettura tipica data ad ogni opera, a far percepire lo scopo fondamentale di tutti quattro i Vangeli: mostrare che la vita di Gesù era tutta protesa verso Gerusalemme e la Pasqua, l’ora del giudizio e della gloria.

.3. – LA TENSIONE DELLA VITA DI GESÙ’ VERSO L’ULTIMA PASQUA

In questa seconda parte dovremo passare dalla struttura dei Vangeli al Gesù storico. Visto che i Vangeli sono una testimonianza ed un annuncio di fede, dobbiamo porci la domanda: qual’è stata la coscienza che Gesù ha avuto di sé, della sua missione, quale prospettiva ha avuto dinanzi alla morte? che significato ha avuto per lui l’ultima Pasqua?

E’ il problema fondamentale ed arduo del rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia. Da quando questo problema è stato posto da M. Kaehler non lo si può più evitare e la risposta oscilla tra la posizione radicale di Bultmann che nega ogni rapporto tra il Cristo della fede ed il Gesù della storia ponendo una separazione netta tra fede e storia, ed un’esegesi fondamentalista che sovrappone materialmente fede e storia e legge in chiave letterale per non dire fisicista ogni riga del vangelo senza preoccuparsi dei tipi di linguaggio e di messaggio religioso.

Nel tentativo di raggiungere il messaggio religioso di Gesù necessariamente ognuno vi porta una certa precomprensione che accentua alcuni aspetti e limita altri della figura di Gesù, così dall’accentuazione di alcuni aspetti della salvezza emergono diversi tipi di lettura del Vangelo, che vanno dalla teologia della liberazione alla teologia della croce, dalla teologia della speranza alla teologia politica, da cui emergono alcuni tagli che, se assolutizzati, diventano una lettura parziale del messaggio di Gesù; se integrati, lasciano spazio ad un arricchimento di aspetti della profondità della sua figura. Questa lettura molteplice trova la sua garanzia ultima in una lettura ecclesiale, cioè fatta all’interno della Chiesa ed accolta, autenticata dal magistero, che è stato dato ad essa perché conservi integro il Cristo ed il suo messaggio. Ancora qualche osservazione preliminare:

.a. – la prima mi viene da un’esperienza costante che ho avuto in incontri biblici, sia con laici che con preti, sia con adulti che con giovani: il problema della scienza del Cristo. I nostri trattati di teologia impostavano la questione sulla “base della distinzione tra i diversi tipi di scienza presenti nel Cristo beatifica, infusa, acquisita (cfr. Parente P., De Verbo incarnato, Marietti 1956 pagg. 186-191 ). E’ un’impostazione che parte dal mistero dell’incarnazione, un’impostazione che ha i suoi meriti, ma corre il rischio di far pendere la “bilancia” dalla parte della scienza o visione beatifica e di misconoscere la scienza umana del Cristo. E’ quel monifisimo larvato che tante volte appare nella presentazione della vita di Gesù in rapporto alla sua passione, morte e risurrezione, che diventano come atti di un dramma di cui l’attore recita la parte conoscendone lo sviluppo. Questa presentazione, qui un po’ esagerata, certamente è poco accessibile all’uomo di oggi, più attento ad una umanità che cresce e si sviluppa sotto tutti gli aspetti ed è anche poco rispondente allo sforzo che si chiede oggi all’esegesi di evidenziare il Gesù storico, la sua posizione di fronte alla realtà del suo tempo, di fronte al processo e al giudizio cui è stato sottoposto e alla morte cui è stato condannato.

Il problema rimarrà sempre perché tocca il mistero dell’incarnazione, il mistero dell’uomo-Dio. E’ questione di metodo piuttosto, mi sembra: altro è porre il problema della tensione pasquale di Gesù partendo dalla triplice divisione della scienza del Cristo (che è un problema teologico), altro è porsi il problema analizzando i dati storici del Vangelo ed il cammino di Gesù verso la Pasqua e magari poi rileggerli alla luce della risurrezione cioè della fede come fa la comunità cristiana e come fanno gli evangelisti.

.b. – la seconda osservazione: ho notato che viene sempre accolta con piacere la presentazione di Gesù a partire dall’inserimento nel suo tempo e nel suo ambiente: può essere un dato scontato, ma non lo è per tutti: presentare Gesù immerso nel suo mondo da cui mutua cultura e linguaggio, ma che nello stesso tempo supera il suo mondo per una comprensione nuova che ha di esso. Gesù si forma sulle pagine dell’A.T. nella lettura sinagogale, ma nello stesso tempo supera la lettura che di esso faceva la ufficialità,  sadducea o farisaica o di altre estrazioni che sia; Gesù fa una nuova ermeneutica dell’A.T., bisogna dire che Gesù è l’esegeta dell’A.T. tirandolo a se, cioè facendone l’esegesi non a livello culturale, ma vitale, esistenziale, psicologico, immedesimandosi in maniera tutta nuova e tutta sua nelle linee religiose che attraversavano le Scritture del suo popolo. Egli ha unificato nella sua persona, interpretandole in maniera nuova, la figura del fedele israelita che prega nei salmi ed invoca la salvezza totale da Dio, la figura del profeta chiamato ed inviato a portare la parola, la figura del figlio dell’uomo, (ben ‘adam,) dell’uomo che riceve onore e gloria da Dio, la figura del servo umile ed obbediente, sacrificato ed esaltato, descritto da Isaia, la figura del ‘consacrato’, del messia atteso da Israele secondo gli oracoli dei profeti e dei salmi. Gesù ha vissuto questa realtà in sé aprendosi alla prospettiva di un nuovo Israele raccolto ed unificato dal Padre nel suo regno al di là di ogni confine, nella persona del servo, dell’uomo, del Messia. Questo significa leggere la vita di Gesù sulla linea profetica, dell’uomo cioè che appartiene tutto al suo tempo, ma appartiene tutto a Dio, che gli affida la sua parola perché sia giudizio e salvezza. E come il profeta rappresenta continuità e rottura nello stesso tempo, così Gesù è la continuità con le Scritture, che egli fa sue, ma è anche rottura perché le legge in maniera nuova. Gesù diceva ai suoi uditori: “Scrutate le Scritture, sono esse che parlano di me”(Gv 5,39 cfr. 1,45; 2,22; 5,46; 12,16. 41; 19,28.36; Lc 24,32.43 ; Mt 22,29).

Scrive Jeremias: “L’entrata in scena di Gesù fu preceduta da una vocazione, che verosimilmente ebbe luogo al momento del battesimo. A partire da quell’ora Gesù ebbe coscienza di avere l’incarico di partecipare ad altri la conoscenza di Dio che era stata accordata a lui. Avendo avuto questo incarico Gesù ebbe sentore di essere inserito nella serie degli inviati, ma la coscienza che egli aveva del suo potere trascendeva la categoria del fenomeno profetico. Quando infatti Gesù annunciava che con la sua venuta era iniziato il tempo della salvezza e la sconfitta di Satana, quando legava la decisione pro o contro Dio e la salvezza nel giudizio finale solo all’obbedienza prestata alla sua parola, quando dava il nome di vera vita all’imitazione di lui, quando contrapponeva alla torà (la legge) una nuova legge divina e faceva proclamare dai suoi inviati l’inizio dell’era salvifica, in breve, quando indicava il suo messaggio e le sue opere come evento escatologico di salvezza, dava a vedere che la sua coscienza di essere inviato non andava più inserita nella categoria dei dati profetici. Costatare tutto questo significa prendere atto che Gesù sapeva di essere il portatore della salvezza.

Questa linea ha il vantaggio di essere realistica e di essere accettata dall’uomo di oggi e in fondo corrisponde a quei criteri di analisi dei Vangeli e di accesso al Gesù storico basati sulla dissomiglianza o discontinuità come sulla conformità o continuità, comuni nell’analisi critica dei Vangeli, divulgati in opere di recente successo come “Ipotesi su Gesù” di Messori.

Su questa linea tentiamo ora un approccio al cammino di Gesù verso la Pasqua. Nell’impossibilità di fare un quadro completo scegliamo, sullo schema dei sinottici, alcuni momenti salienti della vita pubblica di Gesù lasciando da parte l’esame pur importante dei titoli che nei Vangeli vengono dati a Gesù, come: profeta, figlio dell’uomo, figlio di David, Messia, figlio di Dio, salvatore e altri.

Esamineremo brevemente: 1) l’inizio della vita pubblica, il battesimo; 2) la predicazione del regno e la crisi galilaica; 3) le predizioni della passione e della morte; 4) la trasfigurazione; 5) un breve cenno (sarà infatti trattato da altra relazione) alla cena pasquale.

.1. – E’ significativo che Gesù cominci la sua attività pubblica ricevendo il battesimo da Giovanni. Il battezzatore aveva rievocato la linea profetica: la forza dello Spirito, la parola di Dio che giudica, l’invito alla conversione. Le risonanze della predicazione di Giovanni trovano un’eco nell’animo di Gesù: il momento del battesimo diventa il momento della sua vocazione, la scena battesimale va analizzata alla luce anche delle vocazioni dei profeti, quella di Isaia (6), di Geremia (1), di Ezechiele (1-3). E’ illuminante il confronto tra la scena a colori teofanici, come è descritta dai sinottici, e la confessione che fa invece il solo Battista nel Vangelo di Giovanni ove dichiara: “Ho visto la Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). La differenza tra i sinottici e Giovanni ci dà sicurezza che la scena va letta non materialmente, ma in chiave religiosa e che il linguaggio è carico di simbolismi: i cieli aperti, la colomba, le acque, il deserto, la voce. La voce dà il contenuto della scena battesimale: è un’esperienza di Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). E’ un’esperienza originaria ed unica che si rifà alla vocazione del servo di Jahweh in Isaia 42.

Tralasciamo altri elementi di analisi, solo consideriamo che il battesimo è un fatto storico e segna l’inizio dell’attività di Gesù. E’ il criterio di continuità e discontinuità che lo garantisce. Il movimento ‘battista’ iniziato da Giovanni di cui troviamo tracce fino al periodo delle comunità cristiane (At 19,3-6) rivendicava una priorità del battesimo di Giovanni su quello di Gesù, priorità di tempo e di importanza. Questa difficoltà i cristiani la superarono ammettendo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, ma affermando che Giovanni stesso aveva riconosciuto la superiorità di Gesù e che il battesimo di Gesù (e quindi dei cristiani) era un battesimo non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nello Spirito.

La fede della comunità cristiana illuminerà di una nuova luce il momento del battesimo di Gesù e il racconto prenderà un andamento teofanico in cui tanti elementi si intrecciano, il nuovo Israele, il passaggio del Giordano come esodo ed entrata nella terra promessa, tematiche paradisiache (Mc 1,13) e altre, ma certo gli apostoli e quindi la comunità cristiana soltanto da Gesù potevano conoscere la sua esperienza filiale.

Bastano questi pochi cenni per comprendere che si tratta di una vocazione e di una missione, di apertura di Gesù all’accettazione del piano del Padre, che gradualmente lo porterà fino alla Pasqua della sua morte.

.2. – La predicazione del regno e la crisi galilaica. La missione di Gesù è la predicazione del “regno”: “Predicava il Vangelo di Dio e diceva: -il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo -” (Mc 1,15).

Le parabole sono il compendio dell’annuncio del regno, il succo della buona notizia: Dio è presente in mezzo al mondo. Le parabole più che un significato didattico hanno la carica di uno stimolo, di un invito alla decisione, a non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare il regno: è un tesoro grande, è la più preziosa delle perle, vale la pena acquistarlo ad ogni costo; è una piccola cosa, ma ha la forza di fermentare, di cambiare il tutto, è piccolissimo seme, ma cresce fino a diventare albero.

Il dinamismo è dato dalla parola che Dio semina e che è accolta in maniera differente dagli uomini o addirittura soffocata e respinta. Questa parola opera distinzioni così come il pescatore distingue i pesci buoni e cattivi nella rete o in un campo si mescola buon grano ed erbaccia.

La pratica del regno diventa presenza amorevole di Dio, che attraverso Gesù si fa presente ai deboli, ai peccatori, ai malati d’ogni genere e giudica quanti ostacolano il cammino del regno, giudica gli uomini e le strutture compromesse con un potere che non libera, ma rende schiavi.

Per questo gli evangelisti mettono in evidenza che le parabole sono accolte da pochi e che la pratica del regno contrasta con quanti detengono in qualche modo il potere: farisei, sadducei, scribi, sacerdoti, erodiani.

Ad un primo periodo di entusiasmo della gente che rimane attonita, meravigliata della parola e dell’autorità di Gesù, entusiasta per le sue opere, attenta ai contrasti di Gesù con i farisei, subentra un atteggiamento di freddezza e di allontanamento. Il discorso di Gesù diventa più esigente, è considerato duro (Gv 6,60), la presa di posizione contraria sempre più forte ed aperta dei farisei, l’accusa di indemoniato, la ‘pretesa’ di Gesù di perdonare i peccati, la polemica sul sabato, sono tutti elementi che portano ad una rottura.

I Vangeli notano che Gesù riserva la spiegazione delle paratole ai suoi, perché gli altri hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, che Gesù non opera i miracoli perché non trova la fede in Israele e si ritira con i suoi a parte, comincia con essi un’azione particolare al cui centro c’è l’apostolo Pietro, che lo confessa Messia e su cui Gesù fonderà una nuova comunità. Stando allo schema dei sinottici è il momento della crisi galilaica.

Gesù sperimenta il rifiuto di Israele. E’ un momento di trapasso di estrema importanza nella sua vita da cui emerge da una parte la prospettiva di una fine come quella dei profeti e dall’altra la prospettiva di una comunità che continui, dopo la sua morte, l’opera messianica.

  1. Le predizioni della passione e della morte.

E’ in questo contesto che vanno poste le predizioni che Gesù ha fatto della sua morte. Ammesso anche che nella formulazione attuale le tre predizioni, che ognuno dei tre sinottici riporta, siano formulazioni post-pasquali, cioè profezie ex eventu, certo però che esse sono storiche nella sostanza perché si trovano in alcuni contesti che non potevano esser graditi alla comunità cristiana primitiva, come, ad esempio, il rimprovero duro dato a Pietro e l’appellativo di Satana, quando questi tentò di distogliere Gesù dalla sua linea (Mc 8,33), così pure alcune formulazioni sono troppo vaghe: “il figlio dell’uomo sarà preso, sarà consegnato”  ecc.) per poter essere formulazioni ex eventu (cfr. Mc 9,31).

Come Gesù arriva a parlare di una morte violenta e a vivere in questa prospettiva? Non è facile dare una risposta definitiva, ma potremo ipotizzare questa linea: Diverse accuse mosse dai circoli dirigenti giudaici al modo di agire e all’insegnamento di Gesù comportavano la pena di morte: Gesù è accusato di magia per i suoi esorcismi (Mc 3>22), perché, si dice, – scaccia i demoni in nome di Beelzebul – e questa accusa comportava la lapidazione; è accusato di bestemmia, perché annuncia il perdono dei peccati (Mc 2,7); è accusato di trasgredire il sabato (Mc 2,23-3,6). Si tratta di violazioni, che una volta accertate, venivano punite, secondo il diritto penale giudaico, con la morte. Inoltre la sorte toccata al Battista, ucciso da Erode Antipa, era un monito preciso anche per Gesù, come esplicitamente richiama Luca (13,31-33). L’opinione pubblica collocava Gesù nella serie dei grandi profeti biblici, come già il Battista stesso (Mc 6,14 ; 8,29). Anche questo suggeriva a Gesù la sorte che l’attendeva: la persecuzione e il martirio (Mt 23,37; Lc13,33) (cfr.Jeremías,o.c.; Fabris . I Vangeli pagg.804-5).

Ancora una domanda: ha Gesù annunciato anche la sua risurrezione? quale coscienza ne aveva? Al di là dei testi evangelici noi non abbiamo altra possibilità che quella di riferirci all’ambiente culturale in cui Gesù agisce. Ora Gesù si è identificato con il pio fedele, il giusto perseguitato dei salmi, che attende salvezza solo da Dio, si è identificato con il servo obbediente e sofferente dei carmi del secondo Isaia; Gesù ha fatto sua l’attesa apocalittica e la fede nella risurrezione dei morti. Gesù deve aver vissuto in una maniera più profonda e tutta nuova l’attesa e la speranza del giusto e del servo sofferente: il desiderio della vita piena, di contemplare il volto di Dio, di annunziare anche ai morti la vittoria di Dio, di vedere una posterità senza numero, di essere strappato alle fauci degli inferi e alla corruzione della fossa: tutte queste espressioni e situazioni dell’A.T. prendono un significato pregnante e nuovo. Gesù risorto ne sarà l’ermeneuta (Lc 24), ma è Gesù di Nazareth che vive questa realtà e l’annuncia ai suoi. Gesù ha dinanzi la morte violenta e non si tira indietro, ma l’affronta “sì con il timore del giusto e del profeta perseguitato, ma soprattutto con la forza del martire e la certezza che nella morte il suo annuncio del regno di Dio riceverà la conferma definitiva e il pegno più sicuro: che Dio, il Padre, gli si rivelerà definitivamente come il Dio vicino e fedele” (così Fabris R., I Vangeli, pag.807 ).

Niente in questi annunci contraddice quel che noi attendiamo da Gesù perché egli sia un uomo reale. Scrive H.U. von Balthasar :”Gesù è un uomo autentico, e la nobiltà inalienabile dell’uomo e di potere, da dover persino proiettare liberamente il disegno della sua esistenza, in un avvenire che ignora. Se quest’uomo è un credente, l’avvenire nel quale si getta e si proietta, è Dio nella sua libertà e nella sua immensità. Privare Gesù di questa possibilità e farlo avanzare verso un fine conosciuto in precedenza e distante solamente nel tempo, equivarrebbe a spogliarlo della sua dignità di uomo” (La fede di Cristo,1969 pag.18l). Con la liturgia potremo ripetere l’antifona pasquale: Resurrexi et adhuc tecum sum. Sono risorto e son con te, come il canto nuovo di Cristo.

  1. La trasfigurazione. In Marco e nei vangeli sinottici la trasfigurazione occupa un posto ben preciso. Collocata dopo la confessione di Pietro e il primo annuncio della passione, la scena della trasfigurazione ne è come la rispostala: Solo Luca mette esplicitamente in evidenza lo stretto collegamento dicendo che Mosè ed Elia “parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (9,31).

Al culmine della crisi galilaica, quando Gesù comincia a restringere la sua attività ai discepoli, nella decisione di salire a Gerusalemme, questa scena teofanica, carica di simbolismi, sta ad indicare la prospettiva di tutta la vita di Gesù. E’ inutile per noi porci la domanda di quel che è avvenuto esteriormente e quanto poteva essere fisicamente colto in questa esperienza mistica di Gesù e dei tre prescelti: l’alto monte, la luce, la nuvola, Mosè ed Elia, la paura dei tre, la proposta della tenda fatta da Pietro sono tutti elementi simbolici ricchi di significato. Come sempre il punto focale è la parola, la voce: Gesù è proclamato il figlio diletto e la gloria di cui è circonfuso illumina il dramma della sua passione. Si tratta di un’esperienza che preannuncia la vera persona di Gesù: il suo cammino verso la morte non è la rassegnata sottomissione ad una fatalità storica, non è il fallimento di un progetto, ma la rivelazione piena della sua identità: il Figlio che è in un rapporto unico col Padre. Sarà l’esplosione del suo amore e della sua piena libertà: quell’amore e quella libertà rimandano ad un mondo che già traspare nei suoi gesti e nelle sue parole quotidiane, ma che i discepoli nella loro intimità con Gesù in modo privilegiato hanno potuto intravvedere”(Fabris, 766).

  1. La cena pasquale.

Non è il momento qui di fare una teologia della Pasqua né di discutere la cronologia della cena pasquale di Gesù, né di illustrare i motivi della condanna di Gesù nella sua ultima Pasqua richiamando i tentativi e le ipotesi avanzate da Winter , Brandon, Blinzler, Carmichael, Wilson, Masson e altri, ma solo di fare un quadro rapido dell’atteggiamento di Gesù nella cena pasquale e vedere con quale prospettiva l’ha celebrata

L’attività di Gesù a Gerusalemme è presentata in un quadro di tensioni e di contrasti con le autorità: i sacerdoti del tempio, i sadducei, i farisei, gli scribi, gli erodiani e il potere politico in genere. Giovanni e i sinottici concordano anche se in un quadro molto differente: i sinottici concentrano l’attività di Gesù a Gerusalemme nell’ultima settimana, nella festa di Pasqua, Giovanni presenta le controversie di Gesù in periodi diversi. I sinottici concentrano in questa settimana le parabole polemiche di Gesù, quella dei due figli, dei vignaiuoli omicidi, degli invitati a nozze e le controversie più dirette, quella su: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, la questione messianica, il più grande dei comandamenti. Giovanni illumina la persona e l’atteggiamento di Gesù attraverso i segni e i discorsi di Gesù a Gerusalemme e circostanze diverse, la guarigione dello storpio alla piscina di Betesda, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, il perdono della donna adultera, la discussione sull’origine del Cristo.

A Gerusalemme si consuma il rifiuto di Gesù e tutto questo lo pone in un atteggiamento nuovo nella celebrazione della Pasqua. Con sicurezza si può affermare che per Gesù la celebrazione della Pasqua non era stata mai un fatto di pura tradizione, come del resto per ogni pio israelita, ma questa ultima Pasqua acquista in lui un rilievo unico: l’agnello, il sangue, il tempio e il sacrificio pasquale; la liberazione, l’alleanza, il Messia, il figlio dell’uomo, il servo di Jahweh, il giudizio di Dio e il nuovo Israele, il rifiuto di Israele e la fedeltà di Dio, il cuore nuovo e la nuova alleanza, la parola e lo Spirito, la morte e la vita, sono tutte realtà, segni, simboli che ormai convergono in uno, nella persona di Gesù. Dopo l’esperienza del Risorto si svilupperà una lettura nuova e più profonda, ma questa trova la sua radice qui nella coscienza di Gesù e nella conoscenza ed esperienza che di essa hanno avuto gli apostoli.

E’ in questo quadro che vanno lette le espressioni di Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto” (12,50) e nel celebrare la cena pasquale: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (22,15). Il battesimo che Gesù vede dinanzi nel prendere la decisione di salire a Gerusalemme (9,51) è l’immersione nelle acque di morte (Salmo 124,4s) da cui Dio soltanto può liberare, è l’oscurità del piano di Dio e del suo amore, che passano attraverso la gioia sofferta del dono di sé nella fede.

Gesù invita a questo anche i discepoli: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? “(Me. 10,38 ).

La Pasqua ultima di Gesù diventa il suo battesimo. All’ombra della Pasqua antica che era il segno di una presenza di Dio mai vissuta totalmente, il segno dell’amore liberante di Dio mai accolto in pienezza, si sostituisce la Pasqua di Gesù che diventa accoglienza piena dell’amore e della presenza del Padre nella vita, cioè il suo corpo spezzato e il suo sangue versato per “i molti”, cioè per tutti, sotto il peso del peccato del mondo che stronca una vita che è ripresa e salvata per sempre da Dio.

Gesù celebra la sua ultima Pasqua in questa prospettiva sotto l’incalzare degli eventi a cui egli non si sottrae, anzi liberamente e volontariamente la accetta. Tanta e forte è la consapevolezza di Gesù, che egli chiama a parteciparvi i discepoli: “prendete e mangiate, prendete e bevete, fate questo in memoria di me”. La celebrazione pasquale diventa una nuova liturgia, che non è rito, ma vita per quanti vogliono seguire Gesù e sfocerà nel banchetto escatologico dove sarà bevuto il vino nuovo.

La cena pasquale di Gesù anticipa, nel segno del banchetto del pane e del vino, la sua passione e la sua morte, anticipa il banchetto escatologico che Dio prepara per il suo figlio e per quelli che celebrano nella fede la stessa cena.

Gesù vive la sua ultima Pasqua come una scelta religiosa di obbedienza al Padre. Giuocano in questo evento tanti altri motivi, politici e sociali: i politici di fronte al potere dell’impero di Roma e dell’autorità ebraica, quelli sociali di fronte ai contrasti di Gesù nei riguardi delle diverse correnti religiose e sociali, farisei, sadducei, zeloti e altri, ma nessuno di questi motivi può esser presentato come unico ed esclusivo. Ogni tentativo di questo genere è destinato a naufragare.

L’interpretazione con cui la comunità cristiana primitiva presenterà la morte di Gesù più che essere un ostacolo è una garanzia non solo alla comprensione teologica della Pasqua di Gesù, anche alla ricostruzione dei motivi storici che si intrecciano nel motivo di fondo che è quello del rapporto di Gesù col Padre.

Le espressioni che troviamo nella letteratura neotestamentaria:

– “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (…)

e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui “ (Lc 24,26s);

– “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture” (I Cor.l5,3s);

– “Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5,6);

– “Colui che non aveva, conosciuto peccato, Dio lo trattò’ da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).

e tante altre espressioni che si potrebbero citare, sono senz’altro frutto della elaborazione teologica successiva della prima tradizione cristiana e della sistemazione redazionale degli evangelisti, ma l’analisi ci mostra che questo lavoro e questa riflessione non erano possibili senza rifarsi al Gesù storico e al suo messaggio.

Due linee si incontrano:  una che viene dal basso e preferisce analizzare il cammino umano di Gesù nel mondo in cui ha operato e in cui si è posto come compimento e discrimine, l’altra che parte dall’alto, dal piano e dal volere di Dio, dal Cristo immagine del Padre, e Figlio eterno per mezzo del quale tutto è stato creato, Verbo fatto carne che ha portato la parola definitiva del Padre e per la cui morte gli uomini sono stati salvati. Le due linee non solo sono legittime entrambi, ma convergono e si integrano a vicenda e l’una prospettiva soffrirebbe se si facesse la riduzione o l’assolutizzazione dell’altra ed è soltanto nella luce della fede che possono essere unitariamente accolte insieme. Il progetto umano di Gesù non differisce dal piano che il Cristo ha compiuto da parte del Padre, anche se l’uomo di oggi preferisce guardare alla croce e alla morte di Gesù come al termine della tensione di tutta la sua vita, tuttavia rimane sempre vero il monito di Paolo: “Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne, e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor.5, I6s): le cose nuove sono la morte e la risurrezione di Cristo nella nostra vita donata al mondo nella carità.

NOTE

(1) La “festa” senza specificazioni menzionata in 5,1 secondo alcuni esegeti è detta eortè = con l’articolo, è la festa per eccellenza, la Pasqua, ma per la maggior parte; secondo la più probabile tradizione manoscritta, è semplicemente una festa senza articolo, forse quella dei Purim: Così Blinzler, J. Giovanni e i sinottici, (Paideia) Brescia 1969 pag.18.

(2) cfr. Blinzler,o. c. 87-110.

Questo testo è stato elaborato dal MIOLA per il

XIX CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE – PESCARA 1977

 

 

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