MIOLA = IL CAMMINO DELLE FEDE NELL’EUCARISTIA DEL CRISTO IMMOLATO E RISORTO PER NOI

MIOLA DON GABRIELE E INSIEME  DON SILVIO PATERNESI SPIEGANO L’ESPERIENZA DELL’UMANITA’ IN CAMMINO CON LA FEDE

= Homo viator = pellegrini

Prendiamo spunti dai discepoli di Emmaus: perché lasciano Gerusalemme e si dirigono verso Emmaus? Forse per uscire da quell’atmosfera di sgomento e di angoscia, forse per poter svuotare il loro cuore ad altri, che potessero capirli, forse per tornare alle loro famiglie che avevano lasciato, per seguire Gesù di cui, dopo la conoscenza di Lui e delle sue opere e le tante speranze fiorite nel loro animo, avevano visto la brutta fine e stavano vivendo anche la fine delle loro speranze e dei loro desideri.

Mettersi in cammino è sempre come avviarsi verso un nuovo inizio e questi due avevano proprio bisogno di buttarsi alle spalle un momento della loro vita, bello per la conoscenza che avevano fatto di Gesù, ma brutto per la conclusione disastrosa, che adesso volevano dimenticare.

Le speranze e le delusioni trasparivano dai loro volti e da quanto si stavano raccontando: le speranze sorte dal contatto di Gesù e con i suoi discepoli, dal vedere la folla attorniare Gesù e forse anche qualche miracolo compiuto dal Maestro e poi la delusione nel constatare il fallimento dì tutto, in quella Pasqua in cui Gesù arrestato al Getsemani, fu ridotto a nulla, condannato alla croce. Un camminare straziato dal buio che avvolgeva il loro cuore e la loro mente e senza alcuna speranza, e mentre camminavano tristi i loro discorsi servivano ad attenuare la sof¬ferenza e le delusioni che portavano in cuore.

Oggi non si cammina più; ci si sposta in macchina, il parlare diventa spezzato e meno sentito, la riflessione quasi sfuggente e meno approfondita e i sentimenti velati e nascosti. Altro è parlare di quanto si è vissuto insieme mentre si fa un tratto di strada e altro è dirsi le esperienze in breve tempo mentre si fanno pochi chilometri in macchina. Si può dire oggi che non esiste più il camminare, l’incontrarsi, il passare del tempo insieme mentre si va parlando. Sono preziose le iniziative di pellegrinaggio in cui si fanno chilometri insieme, pregando, meditando, rileggendo il Vangelo e la vita della Chiesa, è un dialogare con Dio la propria conoscenza con chi ci sta vicino e porta con se gli stessi nostri problemi e le nostre stesse richieste.

I due avevano raccontato che due degli undici che stavano con Gesù, all’annunzio delle donne erano corsi al sepolcro e avevano trovato la tomba vuota e il telo con cui era stato avvolto il corpo di Gesù al suo posto, ma afflosciato come se il corpo si fosse volatilizzato, ma non avevano visto Gesù. Tornati raccontarono tutto alla comunità, ricordarono anche quanto Gesù aveva detto loro, ma non sbocciò la Fede nel loro animo.

Per questo i due si stavano allontanando dagli altri e da Gerusalemme. Forse sarebbero tornati alla vita normale con in cuore amarezza e delusione per le loro aspettative. Il Viandante si fa raccontare quanto era avvenuto, ciò che è accaduto loro a Gerusalemme.

Raccontano anche di alcune donne, che stavano con Gesù: andate alla tomba hanno visto due persone, che hanno detto loro che Gesù è vivo e per questo la tomba era vuota. I due hanno raccontato con passione. Si capiva che gli eventi l’avevano toccati, ma era rimasti freddi dinanzi al racconto delle donne e alle loro affermazioni. Non riuscivano a capire l’affermazione che Gesù era vivo, mentre loro l’avevano visto morto e l’avevano messo nel sepolcro. Contro l’esperienza certa della morte i racconti delle donne non potevano persuaderli e cambiare la loro esperienza diretta del Gesù morto.

Succede anche a noi quando uno ci racconta della conversione e della vita nuova di una persona che avevamo conosciuta lontana dalla Fede, spiritualmente chiusa e morta, bestemmiatore e denigratore della Chiesa e della vita religiosa. Quando cii si dice invece che è cambiata, che fa opere buone di carità, che prega, che frequenta la Chiesa e i sacramenti. Non ci crediamo subito, ma vogliamo rendercene conto personalmente nella realtà. Forse i due ricordano che Gesù aveva predetto loro la sua fine. Non riescono ora a capirlo dal Viandante. Gustano i richiami che il Viandante fa alle Sacre Scritture, ma nel loro cuore dinanzi alla certezza che hanno della morte di Gesù, non riescono a venire alla Fede. La Fede infatti si pone su un altro piano: la Fede è fiducia alla parola che ci viene trasmessa, e superamento delle proprie idee e certezze per accogliere una parola nuova.

La Fede ha sempre un lato oscuro, che non ci fa aderire alla parola di un’altra persona, alla testimonianza altrui. I due sapevano anche che alcuni di quelli che stavano con Gesù erano andati al sepolcro e l’avevano trovato vuoto, ma non avevano visto Gesù. Anche dopo questa esperienza in loro non era sbocciata la Fede, ma piuttosto la delusione. Oggi noi ci stiamo allontanando da Gerusalemme per tornare ai nostri villaggi, alle nostre attività.

A questo punto il Viandante che è intervenuto rimprovera chiaramente i due che raccontavano quel che era avvenuto a Gerusalemme: Il Viandante mostra una visione differente dalla loro. Li rimprovera: “Stolti e lenti di cuore a credere a quel che dicono le Scritture”. Ricorda loro tutto quello che le Scritture dicono sul Messia, che egli doveva passare attraverso il rifiuto, la sofferenza e la morte prima di entrare nella gloria. Ma nonostante questa presa di posizione del Viandante gli occhi dei due discepoli non si aprono e non fioriva la Fede nel loro animo.

Le persone che, anche oggi, non sono più praticanti e si sono allontanate dalla Fede, pur di fronte alle prediche, alle esortazioni dei colleghi, dinanzi a quanti vivono il Cristianesimo in maniera serena ed aperta, anche tra racconti di cose meravigliose fatte o avvenute nella Chiesa, non accettano la Fede e la vita cristiana, la rifiutano. Rimangono nella loro indifferenza e addirittura nella loro ostilità nei confronti di Cristo e della Chiesa. Hanno bisogno di un’esperienza nuova, forte, personale, che li scuota dal torpore ed incredulità loro.

E noi, dopo arrivati in chiesa con un viaggio più o meno comodo a piedi o in macchina, dopo aver ascoltato la parola del celebrante: “Mistero della fede” acclamiamo: «Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione, Signore!». Questa Fede proclamata, ha la forza dell’esperienza vissuta, della gioia condivisa, dell’esultanza che parte dalla mente e dal cuore e ci fa sobbalzare di una gioia vera che inonda il nostro essere e trasforma la vita nella celebrazione e nella realtà. Quello che noi chiamiamo Messa è un rito. Noi corriamo il rischio di biascicare parole senza esultanza, parole che non fanno presa nel nostro cuore e tanto meno le sentiamo come parole di Fede che ci pervadono e trasformano la vita. Cantiamole, gridiamole quelle parole «È risorto il Signore!». Quel pane che spezziamo e quel vino che beviamo sono il Signore vivo in mezzo a noi, sentiamo il Signore che parla e ci unisce.

L’espressione originale “Ite, missio est” significa: andate, ecco comincia la nostra missione di annunciare, di mostrare con la vita, il lavoro, la gioia che ci pervade che Gesù è risorto, che vive accanto a noi, in noi, con noi e con tutti.

Da questa Fede viene la trasformazione della vita e del mondo, fioriscono l’aiuto vicendevole, la comprensione degli uni e degli altri, il perdono, la benevolenza, la speranza, la carità. E così che si vive veramente la vostra Fede, si fa sperimentare la speranza, si pratica la carità che unisce i cuori di tutti.

Nelle nostre parrocchie ci dobbiamo sforzare di vivere e far vivere la celebrazione della Cena del Signore come parte della nostra vita, come forza per il cammino verso la nostra salvezza. Questo ci dice e ci insegna l’Eucarestia che è il Sacramento più grande, l’apice della nostra preghiera e della nostra vita di fede.

Don Gabriele Miola e insieme Don Silvio Paternesi

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