LE MANI SANTE DELLA BEATA MADRE SPERANZA DI GESU’ libro di P. Claudio Corpetti Figlio dell’Amore Misericordioso

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

INDICE

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso più. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt’altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la finestra si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2 Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non nava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, sente urgentemente la responsabilità “di essere nel mondo, il segno vivo dell’amore del Padre”. “È proprio di Dio usare misericordia, e specialmente in questo, si manifesta la sua onnipotenza. Paziente e misericordioso è il Signore (cf Sl 103,3-4). Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio (cf Is 49; Es 34,6-8). Il suo amore, infatti, non è solo ‘virile’, ma ha anche le caratteristiche della ‘tenerezza uterina’”. Papa Francesco arriva ad affermare con autorità che “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia”. Ricordando l’insegnamento di San Giovanni Paolo II nell’enciclica ‘Dio ricco in misericordia’, fa questa splendida affermazione: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia, il più stupendo attributo del Creatore e Redentore, e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Dio ricco in Misericordia, 13).

“Dio è Padre buono e tenera Madre”, ripeteva, sorridendo ai pellegrini, la Fondatrice della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso. Però, precisava che il suo amore non ha i limiti e i difetti dei nostri genitori!

 

Mani che continuano a benedire e a fare del bene

Quando qualcuno muore, siccome non lo vediamo più e non possiamo più stringergli la mano e farci una chiacchierata insieme, siamo soliti dire che è ‘scomparso’. Morire, apparentemente, è un punto finale.

Il 13 febbraio 1983, a Collevalenza, durante i funerali della Madre, mentre la folla gremiva la Basilica applaudendo, il coro, accompagnato dalle trombe squillanti dell’organo, cantava con fede: “Ma tu sei viva!”

Domenica 1 giugno, all’ora dell’Angelus, affacciato alla finestra del palazzo pontificio, papa Francesco, col volto sorridente, annunciava ai numerosi pellegrini, venuti da tanti paesi differenti: “Ieri a Collevalenza è stata proclamata beata Madre Speranza; nata in Spagna col nome di María Josefa Alhama Valera, Fondatrice delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. La sua testimonianza aiuti la Chiesa ad annunciare dappertutto, con gesti concreti e quotidiani, l’infinita misericordia del Padre celeste per ogni persona. Salutiamo tutti, con un applauso, la beata Madre Speranza!”. Ricordo che alla buona notizia, la folla reagì con un boato di entusiasmo.

Il giorno prima, a Collevalenza, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza, finita la lettura della lettera apostolica, fu scoperto lo stendardo gigante che raffigurava la ‘nuova beata’, mentre le campane della Basilica squillavano a festa, come la domenica di Pasqua. Sì, “viva Madre Speranza!” Lei, infatti, è viva più che mai ed è ‘beata’! Si tratta della beatitudine che godono i santi della gloria. Però, con santo orgoglio, siamo contenti e beati anche noi, suoi figli e figlie spirituali.

‘Bene-dicono’ le mani grate che sanno lodare Dio, che è il nostro più grande benefattore. Infatti, è l’unico che ci dà tutto gratis, durante la nostra vita, e se stesso, come nostra eterna beatitudine.

 

L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza

A Cana di Galilea, durante il banchetto nuziale, la mediazione sollecita di Maria, fu proprio efficace e immediata. Davanti a tanta insistenza materna, Gesù si vive costretto a intervenire, e per togliere d’imbarazzo gli sposini e la famiglia, realizzò il suo primo miracolo, e tutti, alla fine, bevvero abbondantemente il vino nuovo, migliore e gratuito. L’effetto positivo fu che, i discepoli sorpresi, avendo assistito a questo inaspettato ‘segno prodigioso’, cominciarono ad avere fede in Lui (cf Gv 2,1-11).

A Collevalenza, presiedendo il solenne della beatificazione, il cardinal Amato, nell’omelia, tra l’altro, ricordava, con umore, la maniera simpatica e famigliare con cui la Madre Speranza, trattava con Gesù quando, come ‘una zingara’, stendeva la mano per chiedere. Diceva: “Gesù, se tu fossi Speranza ed io fossi Gesù, la grazia che Ti sto chiedendo, Te l’avrei concessa subito!”. Lo vedi di cosa è capace una mamma quando prega e chiede con fede e insistenza?

Solo Dio, che scruta il nostro intimo, conosce il numero delle persone che dichiarano di aver ottenuto una grazia, un aiuto o un miracolo per intercessione della Beata. Qualcuno poi, ogni tanto, appare in pubblico con un ex voto, per ringraziare o accendere un cero davanti alla sua immagine.

Tra tante testimonianze, ne propongo una, che mi è capitata tra le mani nel dicembre del 2014, pochi mesi dopo la beatificazione della Madre. Riguarda il curato della vicina città di Pulilan e parroco di San Isidro Labrador. Da un certo tempo, don Mar Ladra, era preoccupato perché non riusciva più a parlare normalmente a causa di un problema alla gola. Si vide costretto a consultare il dottor Fortuna, presso una clinica specializzata, a Manila. Gli riscontrarono un polipo alle corde vocali, perciò la sua voce era rauca. Il dottore gli ricettò una cura medicinale. Dopo qualche giorno, però, il paziente, fu costretto a interromperla a causa di una forte reazione allergica.

Io, tornando da Collevalenza, mi ero portato un po’ d’acqua del Santuario dell’Amore Misericordioso e sentii l’ispirazione di donarne una bottiglia all’amico don Mar. Quando, dopo circa un mese, ritornò in clinica per la visita di controllo, il medico rimase sorpreso e gli disse: “Reverendo; la cura che gli ho prescritto, ha prodotto un rapido effetto, infatti, il polipo, è scomparso completamente”. Al che, il curato contestò: “Guardi, dottore, la medicina che mi ha guarito è stata ‘l’idroterapia’. Ogni giorno ho bevuto un po’ d’acqua del Santuario e ho pregato con forza il Signore che mi guarisse, per intercessione della beata Madre Speranza. Così è successo!”. La chirurgia alla gola fu cancellata e la voce del parroco è tornata normale.

Ogni primo martedì del mese, sono solito aiutare don Mar nella ‘Messa di guarigione’ partecipata con devozione da centinaia di malati, di cui alcuni molto gravi. Alla fine benediciano tutti con Santissimo Sacramento poi, ungiamo ciascuno, usando olio proveniente dall’orto degli ulivi di Gerusalemme, balsamo profumato mescolato all’acqua di Collevalenza. Una volta, incuriosito, ho domandato al parroco: “Ma, don Mar … questa sua ricetta, funziona?” Lui mi ha risposto convinto e col volto sorridente: “Dio, con me, per intercessione di Madre Speranza, ha compiuto un miracolo. Bisogna pregare con fede: ‘Be glory to God (sia data gloria a Dio)!’”

Pellegrini, sempre più numerosi, malati nella mente o nel corpo, recuperano la sanità o ricevono un sollievo, facendo il bagno nelle vasche del Santuario a Collevalenza. Ma, i miracoli ancor più grandi della resurrezione di Lazzaro che uscì dalla tomba dopo quattro giorni dalla sepoltura (cf Gv 11,1 ss), sono le guarigioni spirituali e le conversioni di vita. Quanti ‘figli prodighi’, sono ritornati a casa e hanno ricevuto il perdono e l’abbraccio tenero dell’Amore Misericordioso! Solo Dio, potrebbe contare il numero di persone scettiche, indifferenti o dichiaratamente atee, che hanno ricevuto luce e forza, incontrandosi con Madre Speranza e oggi, grazie alla sua continua intercessione.

 

Le nostre mani prolungano la sua missione profetica

I pellegrini, a Collevalenza, sempre più numerosi, quando visitano il sepolcro della ‘suora santa’, nella cripta della magnifica Basilica, si sentono alla presenza di una persona vivente, e ormai definitivamente, presso Dio. Perciò, nella preghiera, si aprono allo sfogo fiducioso, alla supplica insistente e al ringraziamento gioioso.

Oggi, i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, servendo presso il Santuario o partendo in missione per altri paesi, prolungano le mani e l’opera della Fondatrice, annunciando ovunque, che Dio è un Padre buono e desidera che tutti i suoi figli siano felici.

Madre Speranza è vissuta usando santamente le sue mani, e continua ancor oggi, a fare il bene. Infatti, i tanti prodigi che le sono attribuiti, dimostrano che non è una ‘beata’…che se ne sta con le mani in mano!

 

Verifica e impegno

“Viva la beata Madre Speranza!’’, ha esclamato papa Francesco, dalla finestra del palazzo apostolico, ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro, domenica 1 giugno del 2014, invitandoli ad applaudire. La Madre è viva, è beata e speriamo che tra non molto, dalla Chiesa, sia dichiarata ‘Santa’. È viva anche nel tuo ricordo e nelle tue preghiere? Cerchi di conoscerla sempre meglio e di meditare i suoi scritti? La sua immagine è presente nel tuo telefonino e tra le foto della tua famiglia, affinché ti protegga?

Ormai la devozione all’Amore Misericordioso, è diventata patrimonio universale della Chiesa. Quale collaborazione dai per divulgare la Novena all’Amore Misericordioso e far conoscere il Santuario di Collevalenza?

Nella Fondatrice, vibrava la passione per ‘il buon Gesù’ e la sollecitudine per la Chiesa. Perciò, ha dato un forte impulso missionario alle due Congregazioni, nate da lei ed impegnate nel progetto della ‘nuova evangelizzazione’. Domandati come potresti essere utile per collaborare nella promozione delle vocazioni missionarie, e così prolungare le mani di Madre Speranza per mezzo delle tue mani.

Lo sai che per i laici che vogliono seguire più da vicino le tracce di santità della Fondatrice e vivere in famiglia e nella società la spiritualità dell’Amore Misericordioso, esiste l’associazione dei laici (ALAM), di cui potresti far parte anche tu?

L’ambiente scristianizzato in cui viviamo, esige, con urgenza, una nuova evangelizzazione, e soprattutto, la testimonianza convinta di vita cristiana. La Madre, ha consacrato e consumato tutta l’esistenza per questa universale missione. “Debbo arrivare a far sì che tutti conoscano Dio come Padre buono e tenera Madre”. Non basta più…‘dare una mano’ soltanto, a servizio di questo progetto missionario, visto che il Signore te ne ha date due. Forza, muoviti e … buona missione!

Ormai, quasi alla fine della lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, conoscendo meglio la Messaggera e Serva dell’Amore Misericordioso, che uso vorresti fare delle tue mani, d’ora in avanti?

 

Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

“Dio, ricco di misericordia, che nella tua provvidenza, hai affidato alla Beata Speranza di Gesù, vergine, la missione di annunciare con la vita e con le opere, il tuo Amore Misericordioso, concedi, anche a noi, per sua intercessione, la gioia di conoscerti e servirti con cuore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen”.

 

 

PREGHIERA ALLA BEATA SPERANZA DI GESÙ

 

“Padre, ricco di misericordia,

Dio di ogni consolazione e fonte di ogni santità:

Ti ringraziamo per l’insigne dono alla Chiesa della Beata Speranza di Gesù, apostola dell’Amore Misericordioso.

Donaci la sua stessa confidenza nel tuo amore paterno e, per sua intercessione e la mediazione della Vergine Maria, concedi a noi la grazia che, con perseverante fiducia imploriamo … Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.

(Padre nostro, Ave, Gloria).

 

LE MANI SANTE DI MADRE SPERANZA

E LE NOSTRE MANI

 

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE (P. Aurelio)

PRESENTAZIONE (P. Claudio)

 

CAPITOLI

 

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO
  • Il saluto è l’inizio di un incontro
  • “Shalom-Pace!”
  • Il saluto gioioso della Madre
  • Un saluto non si nega a nessuno
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI E BRACCIA APERTE CHE ACCOLGONO
  • L’ospitalità è sacra
  • La portinaia del Santuario che riceve tutti
  • La dedizione ai più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti
  • Benvenuto Santità!
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO
  • Vivere per servire a esempio di Gesù
  • Mani che servono come Maria, la Serva del Signore
  • L’onore di servire come una scopa
  • La superiora generale col grembiule
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO
  • I calli nelle mani come Gesù operaio
  • Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?
  • La testimonianza del lavoro fatto per amore
  • Mani all’opera e cuore in Dio
  • Maneggiare soldi e fiducia nella divina Provvidenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO
  • Come il buon Samaritano
  • Le mani celeri di Madre Speranza
  • Pronto soccorso in catastrofi naturali
  • “Mani invisibili” in interventi di emergenza
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO
  • Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo
  • Pugno chiuso o mano aperta?
  • Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire
  • Un grande amore in piccoli gesti
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO
  • Madre Speranza: tenerezza di Dio Amore
  • La carezza: magia di amore
  • Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO
  • Con la penna in mano… Raramente.
  • Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale
  • Un ceffone antiblasfemo
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI D’ARTISTA CHE CREANO E RICREANO
  • Mani d’artista che creano bellezza
  • “Ciki ciki cià”: mani sante che modellano santi
  • Mani che comunicano vita e gioia
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO
  • La clinica spirituale di Made Speranza e la fila dei tribolati
  • Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione
  • Balsamo di consolazione per le ferite umane
  • Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa “Beata”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO
  • Il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno
  • Persecuzioni diaboliche e lotte con il “tignoso”
  • Quella mano destra bendata
  • Verifica e proposito
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO
  • Perdonare i nemici vincendo il male col bene
  • “Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”
  • Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO
  • Gesù modello e maestro nell’arte di pregare
  • La familiarità orante con il Signore
  • Le mani di Madre Speranza nelle “distrazioni estatiche”
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO
  • “Di notte presento al Signore la lista dei pellegrini”
  • Madonna santa, aiutaci!
  • Intercessione per le anime sante del Purgatorio
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO
  • Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo
  • Mani trafitte e le ferite delle stimmate
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO
  • Le tante tribolazioni e le croci della vita
  • “Me ne vado; non ne posso piú. Ma… c’è la grazia di Dio!”
  • Le mani tremule dell’anziana Fondatrice
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO
  • “È morta una Santa!”
  • Mani composte che finalmente riposano
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO
  • Di mamma ce n’è una sola!”
  • Madre, prima di tutto e sempre più Madre
  • Le mani della mamma
  • Quella mano con l’anello al dito
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con Madre Speranza
  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI
  • La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa
  • Mani che continuano a benedire e a fare il bene
  • L’intercessione efficace ed universale della Beata Madre Speranza
  • Le nostre mani prolungano la sua missione profetica
  • Verifica e impegno
  • Preghiamo con la Chiesa e per intercessione della Beata Madre Speranza

 

 PREGHIERA AL PADRE RICCO DI MISERICORDIA PER LA BEATA SPERANZA DI GESÙ

-.-.-.-.-.

Presentazione

Un cordiale saluto a te, cara lettrice e caro lettore.

Hai con te il libro: “Le mani sante di Madre Speranza”. MADRE FONDATRICE

La messaggera e serva dell’Amore Misericordioso è vissuta in mezzo a noi godendo fama di santità ed è ancora vivo il ricordo di quella sua mano bendata che tante volte abbiamo baciato con riverenza e ci ha accarezzato con tenerezza materna. Io ho avuto la grazia speciale di passare alcuni anni con la Fondatrice come “Apostolino”, in seminario presso il Santuario di Collevalenza, e più tardi, come giovane religioso. Un’esperienza che conservo con gratitudine e che mi ha segnato per sempre.

Ma, vi devo confessare che le mani della Madre, hanno risvegliato in me un interesse molto speciale. Infatti, le ho viste accarezzare i bambini, consolare i malati, salutare i pellegrini, unirsi in preghiera estatica con le stimmate in evidenza, sgranare il rosario, tagliare il pane e sfaccendare in cucina, tra pentole enormi. Ricordo quelle mani che ricevevano individualmente tante persone che facevano la fila per consultarla; quelle mani che gesticolavano quando ci istruiva e ammoniva o ci accoglieva allegramente nelle feste. Quelle mani che mi hanno dato una benedizione tutta speciale quando nell’agosto del 1980 sono partito missionario per il Brasile. Oggi “le mani sante” della Beata, continuano a benedire tanti devoti, a intercedere presso il buon Dio, mentre il numero crescente dei suoi figli e delle sue figlie spirituali, ormai non si può più contare.

Per noi, le mani, le braccia, accompagnate dalla parola, sono lo strumento privilegiato di espressione, di relazione e di azione. Quante persone si sono sentite toccate dal “Buon Gesù”, o hanno sperimentato che Dio è un Padre buono e una tenera Madre, proprio grazie alle “mani sante” della Beata Madre Speranza! Le mani, infatti, obbediscono alla mente, e nelle varie situazioni, manifestano i sentimenti del cuore: prossimità, allegria, compassione, benevolenza, amore o … tutt´altro!

E le nostre mani”.

È il sottotitolo che leggi nella copertina. Tra le manine tremule che nella sala parto cercano ansiose il petto della mamma per la prima poppata e le mani annose che, composte sul letto di morte, stringono il crocifisso, c’è tutta un’esistenza, snodata negli anni, in cui queste due mani, inseparabili gemelle, ci accompagnano ogni giorno del nostro passaggio in questo mondo.

Per favore: fermati un minuto e osserva attentamente le tue mani!

I poveri, gli immigrati, i sofferenti, i drogati, ormai li troviamo dappertutto. Il mondo moderno, drammaticamente, ha creato nuove forme di miseria e di esclusione. Da soli non riusciamo a risolvere i gravi problemi sociali che ci affliggono né a cambiare il mondo per farlo più giusto e umano, come il Creatore lo ha progettato. Ma, abbiamo due mani che obbediscono alla mente e al cuore. Se queste nostre mani, vincendo l’indifferenza e l´idolatria dell´io, mosse a compassione, avranno praticato le opere di misericordia corporale e spirituale, allora la nostra vita in questo mondo non sarà stata inutile, ma, utile e preziosa. Nel giudizio finale saremo ammessi alla vita eterna e alla beatitudine senza fine. Il Signore ci dirà: “Venite benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il Regno. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” (cf Mt 25, 31-46).

Dio voglia che, seguendo l’esempio luminoso di Madre Speranza, impariamo a usare bene le nostre mani, e alla fine del nostro viaggio terreno, poter far nostre  le parole con cui la Fondatrice conclude il suo testamento: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito!”.

Ti saluto con affetto e stima, con l’auspicio che la lettura di “Le mani sante di Madre Speranza”, sia gradevole, e soprattutto, fruttuosa.

San Ildefonso-Bulacan-Filippine 30 settembre 2017, compleanno di Madre Speranza

                                                                                     P.Claudio Corpetti F.A.M.

-.-.-.-.-.

  1. MANI CORDIALI CHE SALUTANO.

Il saluto è l’inizio di un incontro.

Quando avviciniamo una persona, il saluto è il primo passo che introduce al dialogo e può sfociare in un incontro più profondo. Negare il saluto al nostro prossimo significa disprezzare l’altro, ignorarlo, e praticamente, liquidarlo.

Tutt’altro è successo nell’episodio evangelico della Visitazione (cf Lc 1, 39-45).

Maria, già in attesa di Gesù ma sollecita e attenta ai bisogni degli altri, da Nazaret, si mise in viaggio verso le montagne della Giudea. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il saluto iniziale delle due gestanti, permise l’incontro santificatore tra Gesù e il futuro Giovanni Battista, prima ancora di nascere, in un festivo clima di esultanza in famiglia, di ringraziamento e di complimenti reciproci.

 

“Shalom-Pace!”

È il saluto biblico sempre attuale che augura all’altro tutti i beni materiali e spirituali: salute, ricchezza, abbondanza, sicurezza, concordia, longevità, posterità… Insomma, desidera una vita quotidiana di benessere e di armonia con la natura, con se stessi, con gli altri e con Dio. Shalom! È pienezza di felicità e la somma di tutti i beni ( cf Lv 26,1-13). È un dono dello Spirito Santo che si ottiene con la preghiera fiduciosa. Questa pace Gesù la regala dopo aver guarito e perdonato, come vittoria sul potere del demonio e del peccato. Il Risuscitato, la notte di Pasqua, apparendo nel cenacolo, saluta e offre ai suoi, il dono pasquale dell’avvenuta riconciliazione: “Shalom-Pace a voi!” (Gv 20,19.21.26). Saranno proprio loro, gli apostoli e i discepoli, che dovranno portare la pace alle città che visiteranno nella missione che dovranno svolgere ( cf Lc 10,5-9).

Nella notte di Pasqua del lontano 1943, nella casa romana di Villa Certosa, la Madre Speranza, radiante di allegria, radunò le suore per la cerimonia della Cena Pasquale. Trasfigurata in Gesù che cenava con gli apostoli, a luce di candela, indossando un bianco mantello ricamato, e avvolta da un intenso clima mistico, stendendo le braccia, tracciò un grande segno di croce e pronunciò con solennità: “La benedizione di Dio onnipotente scenda su di voi, eternamente!”.

‘Bene-dire’, è salutare, augurando ogni bene, in nome di Dio, che è il nostro primo e grande benefattore. Ci dà tutto gratis!

 

Il saluto gioioso della Madre

I pellegrini, a Collevalenza, spesso, sollecitavano un saluto collettivo, tanto desiderato. Essi, si accalcavano nel cortile sotto la finestra e aspettavano ansiosi che la veneziana si aprisse e la Madre si affacciasse. Quante volte ho assistito a quella scena! Quando appariva, tutti zittivano e lei, agitava lentamente la mano bendata. In tono cordiale, era solita dire poche e brevi frasi, mescolando spagnolo e italiano, mentre la suora segretaria traduceva a braccio, come meglio poteva. “Adios, hijos míos… Ciao, figli miei!”.  La gente rispondeva con un fragoroso applauso, agitando i fazzoletti per il ‘ciao’ finale e ripartiva contenta per tornare a casa, accompagnata dalla benedizione materna.

Specie nelle feste in cui ci si riuniva in tanti, non era facile, tra la calca, arrivare fino alla Fondatrice. Si faceva a gara per poterla avvicinare e salutarla, baciandole la mano. Lei distribuiva un ampio sorriso a tutti e, ai bambini specialmente, regalava una carezza personale e una manciata di caramelle. Se poi chi la volesse salutare era un figlio o una figlia della sua famiglia religiosa… lei si trasfigurava di allegria!

 

Un saluto non si nega a nessuno

Viviamo in una società in cui non è facile aprirsi agli altri. Pare che ci manchi il tempo e siamo sempre tanto occupati… Si, è vero, siamo collegati ‘online’ con tutto il mondo, perciò andiamo in giro col telefonino in tasca. Sono frequenti i nostri ‘contatti virtuali’. Andiamo in giro chiusi in macchina, magari con la radio accesa. Sui mezzi pubblici e nei raduni, conosciamo poche persone. Ci si isola nel mutismo o con le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica.

Specialmente chi non conosciamo, viene guardato con sospetto. Eppure salutare le persone che avviciniamo con un semplice ‘ciao’, con un ‘salve’ o un ‘buon giorno’ accompagnato da un sorriso, non costa niente; annulla le distanze e crea le premesse per un dialogo o un incontro più ricco.

Perbacco! Perfino i cani quando si incontrano per strada, si salutano con un ‘bacio’ sul musetto!

Poco tempo fa, di buon mattino, andando a piedi nel nostro quartiere popolare di Malipampang verso la parrocchia Our Lady of Rosary, sono stato raggiunto dalla signora Remedy, nostra vicina che, scherzando mi ha chiesto: “Padre Claudio: che per caso sei candidato alle prossime elezioni? Stai salutando tutte le persone che incontri per strada!” Sorridendo le ho risposto: “Faccio come papa Francesco, anche senza papamobile. Saluto tutti… Perfino i pali della luce elettrica!”. Io ho deciso così: voglio fare la parte mia e per primo. Ho sempre un saluto per ciascuno. Faccio mio il messaggio che i giovani, in varie lingue, nelle euforiche giornate mondiali della gioventù, esibiscono stampato sulle loro magliette: “Dio ti ama… E io pure!”.

 

Verifica e impegno

Quando incontri le persone, le tratti ‘umanamente’, cioè, con dignità e rispetto o, le ignori? Le saluti con educazione, o limiti il tuo saluto solo agli amici e conoscenti? Se non arrivi a “prostrarti fino a terra”, come fece Abramo alla vista di tre misteriosi personaggi (cf Gen 18,1-2), o a “salutare con un bacio santo”, come esorta a fare l’apostolo Paolo (cf 2Cor 13,12), almeno, cerchi di allargare il tuo orizzonte, salutando tutti, con una parola, un gesto, o un semplice sorriso?

Madre Speranza non negava il saluto a nessuno! Provaci anche tu e ricomincia ogni giorno, con amabilità.

 

 

Preghiamo con Madre Speranza

Aiutami, Gesù mio ad essere un’autentica Ancella dell’Amore Misericordioso. Aiutami a far sì che tutte le persone che io avvicini, si sentano trascinate verso di Te dal mio buon esempio, dalla mia pazienza e carità.

 

 

 

 

  1. MANI CHE ACCOLGONO

L’ospitalità è sacra

Oltre ad essere un’opera di misericordia, Dio ama in modo speciale l’ospite che ha bisogno di tetto e di alimento. Anche il popolo di Israele è stato schiavo in un paese straniero, e sopra la terra, è un viandante (cf Dt 10,18).

Abramo con la sua accoglienza sollecita e piena di fede, è il prototipo nell’arte dell’ospitalità. Egli, nell’ora più calda del giorno riposava pigramente all’ingresso della tenda. All’improvviso notò il sopraggiungere di tre misteriosi ospiti sconosciuti. Appena li vide, corse loro incontro e si inchinò fino a terra. E disse loro di non passare oltre senza fermarsi. “Andrò a prendervi un po’ d’acqua. Lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi prima di proseguire il viaggio”. Servì loro un pasto generoso. La sua squisita ospitalità ricevette un prezioso premio. Sara sua sposa, che era sterile, avrebbe finalmente concepito il figlio tanto desiderato (cf Gen 18,1-10).

Chi accoglie un ospite può sembrare che stia dando qualcosa, o addirittura, molto, come successe a Marta che ricevette Gesù nella sua casa di Betania, tutta agitata e preoccupata per mille cose, mentre sua sorella Maria, preferì ricevere il Maestro come un prezioso dono, facendogli compagnia, e accovacciata ai suoi piedi, accogliere la sua parola di vita (cf Lc 10,38-42). Vera ospitalità, ci insegna Gesù, non è preparare numerosi piatti e rimpinzire l’ospite di cibo e regali, ma accogliere bene la persona. Maria infatti, ha scelto la parte migliore, l’unico necessario.

L’ospitalità è una forma eccellente di carità. Gesù in persona si identifica con l’ospite che è accolto o rifiutato (cf Mt 25, 35-43).

I capi di governo di molte nazioni europee, hanno timore di accogliere le migliaia di profughi disperati che, sospinti dalla fame e fuggendo dalla guerra, cercano migliori condizioni di vita, come anche tanti Italiani, in epoche passate, hanno fatto, emigrando all’ estero. La crisi economica che ci tormenta da anni e gli episodi di violenza che sono annunciati di continuo, ci fanno vedere gli emigranti e gli stranieri come un pericolo, e  guardare con sospetto le persone, specialmente se sconosciute. Ci rintaniamo in casa con i dispositivi di allarme e di sicurezza innescati. La nostra capacità di accoglienza, di fatti, è molto ridotta.Purtroppo.

 

La portinaia del Santuario che riceve tutti

A partire dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, nei lunghi anni trascorsi a Collevalenza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre a salutare collettivamente dalla finestra i vari gruppi, e rivolgere ai pellegrini qualche parola di saluto e di incoraggiamento spirituale, ha ricevuto, individualmente, migliaia di persone che ricorrevano a lei.

L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali, chiedendo un aiuto, sollecitando una preghiera o domandando un consiglio.

Così come Gesù accoglieva i peccatori, le folle, i bambini e i malati, anche lei, sullo stile dell’Amore Misericordioso che non giudica, né condanna, ma accoglie, ama, perdona e aiuta, cercò di concretizzare il motto: “Tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Tante persone sofferenti, o assetate di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, Padre Pio e Madre Speranza.

Moltitudini sfilarono per quel corridoio che immette nella sala di attesa, e noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica al pianterreno, e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, assistevamo a una variopinta fila di visitatori, tra cui anche presuli illustri, capi di stato, politici e sportivi famosi.

Lo stendardo gigante esposto nel campanile del santuario di Collevalenza il 31 maggio 2014, in occasione della beatificazione, mostra la Madre col volto sorridente, il gesto amabile delle braccia stese e le mani aperte in atteggiamento di accoglienza e di benvenuto. Sembra che dica: “Il mio servizio è quello di una portinaia che ha il compito di ricevere i pellegrini che arrivano, e dare loro un orientamento. Qui, ‘il Capo’ è solo Gesù. Cercate Lui, non me. In questo santuario, Dio sta aspettando gli uomini non come un giudice per condannarli e infliggere loro un castigo, ma come un Padre che li ama e perdona, che dimentica le offese ricevute e non le tiene in conto”.

Il 5 novembre 1927 Madre Speranza aveva appuntato nel suo diario, la missione speciale che il Signore le aveva affidato. “Il buon Gesù mi ha detto che debbo far si che tutti Lo conoscano non come un padre offeso per l’ingratitudine dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà che cerca, con tutti i mezzi, la maniera di confortare, aiutare e fare felici i suoi figli. Li segue e cerca con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro”.

Sepolta nella cripta del grande tempio, ancora oggi, continua ad accogliere tutti. La sua missione è quella di attrarre i pellegrini da tutte le parti del mondo a questo centro eletto di spiritualità e di pietà.

 

La dedizione verso i più bisognosi e l’accoglienza ai sacerdoti

Animata dalla spiritualità dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza, ha perseguito un interesse apostolico nei confronti di varie categorie di persone bisognose, in risposta alle diverse emergenze sociali del momento. Confessa apertamente: “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri!”. Alle famiglie con figli numerosi, o a bimbi senza genitori, ha offerto collegi enormi. Alle persone malate e abbandonate, ha aperto ospedali e case di accoglienza. Durante la guerra ha offerto rifugio, soccorso e alimenti. Agli orfani, ha cercato di offrire un ambiente familiare e la possibilità di studiare, e alle persone anziane o sole, il calore di una casa accogliente. Alle sue suore, ha insegnato che le persone bisognose “sono i beni più cari di Gesù”, e ogni forma di povertà, materiale, morale o spirituale, deve trovarle sensibili e pronte a intervenire. Ha fatto capire che l’Amore Misericordioso deve essere annunciato non solo a parole, ma soprattutto con le opere di carità e di misericordia. Ricorda loro, infatti: “La carità è il nostro distintivo” e abbiamo come molto: “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”.

Essendo vissuta circa 15 anni presso la canonica di Santomera, con lo zio don Manuel, ha scoperto la vocazione di consacrare la sua vita per il bene spirituale dei sacerdoti del mondo intero. Per l’amato clero, offre la sua vita in olocausto. I sacri ministri, primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini, sono la sua passione. Li desidererebbe tutti santi e strumenti vivi del Buon Pastore.

Sente la divina ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso che ha, come missione prioritaria, quella di favorire la fraternità sacerdotale e l’unione con il clero diocesano. A tal fine, i religiosi apriranno le loro case per accogliere i preti, prendendosi cura della loro formazione e della loro vita spirituale, collaborando col loro nel ministero pastorale. La Fondatrice, ha avuto un’attenzione tutta speciale per i sacerdoti in difficoltà, per l’assistenza dei preti malati e per l’accoglienza di quelli anziani.

Se, stando a Collevalenza, vai alla Casa del Pellegrino e sali al settimo piano, puoi visitare la comunità di accoglienza per i preti anziani e malati, provenienti da differenti diocesi. Finché il parroco può correre nella sua attività pastorale, sta a servizio di tutti, ma quando è anziano e diventa inabile per malattia o per età, spesso, rimane solo ed è abbandonato a se stesso.

Madre Speranza, negli ultimi anni, viveva all’ottavo piano di questo edificio, e quando la salute glielo permetteva, con piacere, in carrozzella, scendeva al settimo, per partecipare alla Messa con i sacerdoti, anziani come lei. Tra le tante opere che costituiscono il ‘complesso del Santuario’, a Collevalenza, quella era la pupilla dei suoi occhi: la casa di accoglienza per “l’amato clero”.

Mi faceva tanta tenerezza vederla stringere le mani tremule di quei preti anziani e baciarle con reverenza e gli occhi socchiusi.

 

Benvenuto, Santità!

Memorabile quel 22 novembre 1981, solennità di Cristo Re. Dopo anni, in me, è ancora vivo il ricordo di quella visita storica di Giovanni Paolo II, il “Papa ferito”, al Santuario dell’Amore Misericordioso.

Ricordo ancora l’arrivo dell’elicottero papale, la basilica gremita, il popolo in ansiosa attesa, la solenne concelebrazione eucaristica in piazza, l’incontro gioioso di sua Santità con la famiglia dell’Amore Misericordioso nell’auditorium della casa del pellegrino.

Discreto, ma tanto desiderato ed emozionante, l’incontro tra il Santo Padre e la Fondatrice. Poche parole, ma quel bacio del Papa sulla fronte di Madre Speranza, vale un tesoro inestimabile!

C’ero anch’io, e mi sembrava di sognare, ricordando le parole che lei, parlando a noi seminaristi, ci aveva rivolto anni prima.”Figli miei, preparatevi per una grande missione. Collevalenza, ora, è un piccolo borgo, ma in futuro, qui, sorgerà un grande Santuario e verranno a visitarlo pellegrini di tutto il mondo. Perfino il successore di Pietro, verrà in pellegrinaggio a Collevalenza”. La lontana profezia, quel giorno, si realizzava pienamente.

Nel primo anniversario della pubblicazione dell’enciclica papale “Dio ricco in misericordia”, proprio a Collevalenza, il Santo Padre, ha proferito con autorità queste ispirate parole. “Fin dall’inizio del mio ministero nella sede di San Pietro a Roma, ritenevo il messaggio dell’Amore Misericordioso, come mio particolare compito”.

Ecco perché le campane squillavano a festa!

 

Verifica e impegno

Ti sei ‘sentito in cielo’, quando sei stato ben accolto, e ci sei rimasto male quando ti hanno trattato con fretta o con poca educazione. E tu, come pratichi l’accoglienza e l’ospitalità?

“La portinaia del Santuario”, non ha mai escluso nessuno. Cosa ti insegnano le braccia aperte di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza.

“Fa’, Gesù mio, che vengono a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo con il desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le loro anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale. Aiuta, consola e conforta, o Gesù, tutti i bisognosi; e fa’ che tutti vedano in Te, non un giudice severo, ma un Padre pieno di amore e di misericordia, che non tiene conto le miserie dei propri figli, ma le dimentica e le perdona”. Amen.

 

 

  1. MANI DINAMICHE CHE SERVONO

 

 Vivere per servire, a esempio di Gesù

Per la cultura imperante nella società odierna, in genere, le persone aspirano a guadagnare soldi e a godersi la vita in maniera abbastanza egocentrica. Gesù, invece, è venuto per occuparsi degli interessi di suo Padre (cf Lc 2,49) e sente vivo il dovere di fare la sua volontà (cf Mt 16,21). Dichiara apertamente che “il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti” (Mc 10,45). Educando i suoi discepoli, fa loro questa confidenza: “Io vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 

Mani che servono come Maria, la Serva del Signore

La Madonna che nella nostra famiglia religiosa veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie’, per la Madre Speranza, “è il modello che dobbiamo seguire nella nostra vita, dopo il buon Gesù. Lei è una creatura di profonda umiltà e solo desidera essere per sempre la serva del Signore”. Accettando l’invito dell’angelo, gioiosamente, si mette a disposizione: “Eccomi qui, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Maria e Madre Speranza sono due donne che hanno fatto la stessa scelta: servire Dio, amorosamente, servendo l’umanità, specie quella più sofferente e bisognosa.

Quante volte, visitando le comunità ecclesiali brasiliane, dai leaders più impegnati nella missione della nuova evangelizzazione, mi sono sentito ripetere questa frase: “Non ha valore la vita di chi non vive per servire!”.

 

L’onore di servire come una scopa

‘Servo o Serva di Dio’, è un titolo speciale che la Bibbia riserva per colui o colei che sono chiamati a svolgere una missione importante a favore del popolo eletto (cf Mt 12,18-21).

Madre Speranza, parlando alle suore, il 15 ottobre 1965 e facendo una panoramica retrospettiva della sua vita, così commentava: “Oggi sono cinquant’anni che ho lasciato la casa paterna col grande desiderio di assomigliare un po’ a Santa Teresa e diventare, come lei una grande santa. Così, in questo giorno, entrai a Villena, nella Congregazione fondata dal padre Claret. In quella piccola comunità delle Religiose del Calvario, la mia vita diventò un vero… Calvario!

Dopo tre anni, il vescovo di Murcia che conoscevo molto bene, venne a visitarmi e mi domandò: ‘Madre, che fa?’. Gli risposi: ‘Eccellenza, sono entrata in convento per santificarmi, ma vedo che qui ciò non mi è possibile, e pertanto, sono del parere che non debba fare i voti perpetui’. ‘Ma perché?’, esclamò. Io gli manifestai ciò che sentivo ed egli mi disse: ‘Madre, immagini che lei è una scopa. Viene una suora ordinata che usa maniere delicate e fini. Dopo aver pulito il salone, rimette con ordine la scopa al suo posto. Poi, ne arriva un’altra, frettolosa e poco delicata che la usa con modi bruschi, e infine, la butta in un angolo. Così, tu devi pensare che sei una scopa, disposta a tutto e senza mai lamentarsi’”.

Le parole di monsignor Vicente Alonso, per l’azione dello Spirito, le trapassarono l’anima, e in quella circostanza, risuonarono come una ricetta miracolosa. Poi, la Madre, aggiunse: “Posso dirvi, figlie mie, che a partire da quel giorno, ho cercato di servire sempre come una scopa, pronta per raccogliere l’immondizia e per pulire, e a cui non importa niente se la trattano bene o la maltrattano”.

La fondatrice concludeva la narrazione con quest’ultimo commento: “Ma io purtroppo, ho servito solo di impiccio al Signore, invece di collaborare con Lui per realizzare le grandi opere che mi ha chiesto”.

 

Verifica e impegno

Gesù dichiara che è venuto per servire e Madre Speranza, si autodefinisce: “La serva del Signore”. E tu, perché vivi? Cosa ti dice questo proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere”? Come utilizzi le due mani che il Signore ti ha regalato?

Per imparare a servire basta cominciare… E continuare, seguendo l’esempio vivo della ‘Serva dell’Amore Misericordioso’!

 

Preghiamo con Madre Speranza

posto il mio tesoro e ogni mia speranza. Dammi, Gesù mio, il tuo amore e poi fa quello che vuoi!”. Amen.

 

 

  1. MANI ATTIVE CHE LAVORANO

 I calli nelle mani come Gesù operaio

Il lavoro è un dato fondamentale della condizione umana (cf Gn 3,19). La fatica quotidiana, è segnata dalla sofferenza e dai conflitti (cf Ecl 2,22 ss). Mediante il lavoro proseguiamo l’azione del Creatore ed edifichiamo la società, contribuendo al suo progresso. Ma il lavoro comporta sacrificio, e oggi come sempre, dal sacrificio si tende scappare, per quanto è possibile.

Un giorno, la Fondatrice, ci raccontò di aver ricevuto una religiosa che, in lacrime e tutta sconsolata, si lamentava perché, da segretaria che era, la nuova superiora l’aveva incaricata della cucina. Le rispose con decisione: “Non provi vergogna di ciò che mi stai dicendo? Io sono la cuoca di questa casa. Alle tre del mattino scendo in cucina e faccio i lavori più pesanti e preparo tutto il necessario, così, facilito il servizio delle suore che scendono più tardi e lavorano come cuoche. Se mi fossi sposata, non avrei fatto lo stesso per il marito e per i figli? È proprio della mamma lavorare in cucina con dedicazione. Quando preparo il cibo per la comunità, per gli operai e i pellegrini, lo faccio con tutta la cura perché sia sano, nutriente e gustoso, come se a tavola, ogni giorno, venisse Gesù in persona”.

Una mattina il signor Lino Di Penta, impresario edile, rimase sorpreso di essere ricevuto, proprio in cucina, mentre la Madre sbrigava le faccende domestiche. Gli scappò di bocca: “Ma… Madre, lei, la superiora generale… Sbucciando le patate… Preparando il minestrone?” La risposta sorridente che ricevette fu questa: “Figlio mio, io sono la serva delle serve!”.

È risaputo che lavorare in cucina è un servizio pesante e che, anche nelle comunità religiose, si cerca di starne a distanza. Rimanere ore ed ore lavando e cucinando, non è certamente considerata una funzione di prestigio sociale! Eppure, oggi, nelle cucine delle nostre case, ammiriamo la foto della Fondatrice che, con ambedue le mani, stringendo un lunghissimo cucchiaio di legno, mescola la carne in un’enorme pentola, più grande di lei.

I trent’anni di vita occulta di Gesù, passati a Nazaret, restano per noi un grande mistero. Il Figlio di Dio, inviato ad annunciare il Regno, passa la maggior parte della sua breve esistenza, lavorando manualmente, obbedendo ai suoi genitori, come un anonimo ‘figlio del carpentiere’ (cf Mt 13,35). Così cresce in natura, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini e valorizza infinitamente la condizione della maggioranza dell’umanità che deve lavorare duro, si guadagna la ‘pagnotta’ di ogni giorno con il sudore della fronte e mai compare sui giornali, mentre fa notizia solo la gente famosa (cf Lc 2,51-52).

Anche San Paolo, seguendo la scia dell’umile artigiano di Nazaret, pur avendo diritto, come apostolo, ad essere mantenuto nel suo ministero dalla comunità, vi rinuncia dando a tutti un esempio di laboriosità. Scrive: “Quando sono stato in mezzo a voi, non sono rimasto in ozio, non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica perché non volevo essere di peso a nessuno”. Perciò l’apostolo, dà a tutti, una regola d’oro: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi !”(2Ts 3,7-12).

La Madre aveva i calli alle ginocchia e sulle mani, armonizzando nella sua vita, il dinamismo di Marta e la mistica amorosa di Maria (cf Lc 10, 41-42). Era solita ripetere: “Figlie mie, nessun lavoro o ufficio è piccolo o umiliante, se lo si fa per Gesù, cioè, con un grande amore”. Per lei il lavoro manuale, intellettuale o pastorale, equivale a collaborare con l’azione creatrice di Dio, per dare esempio di povertà concreta guadagnandoci il pane quotidiano e sostenendo le opere caritative e sociali della Congregazione. Con lei, nelle nostre case, è proibito incrociare le braccia e seppellire i talenti, nascondendoli come fece il servo apatico ed indolente (cf Mt 25,14-30).

Lavorare per il Regno di Dio o per mammona?

In Congregazione, poveretto chi lavora solo per dovere, per motivi umani, o pensando, principalmente ai soldi. La Madre ci ripeteva: “Dobbiamo lavorare per amore e solo per la gloria del Signore!”

Il 4 ottobre del 1965, riunisce Angela, Anna Maria e Candida, le tre suore incaricate del refettorio dei pellegrini. Dopo una notte insonne e rattristata, sfoga il suo cuore di mamma: “Mi hanno riferito che l’altro giorno, una povera vecchietta, è venuta a chiedervi un piatto di minestra e le avete fatto pagare 150 lire. No, figlie mie. Quando, tra i pellegrini, viene a pranzare la povera gente che non ha mezzi, noi la dobbiamo aiutare. Nell’anno Santo del 1950, ho aperto a Roma la casa per i pellegrini. Ho dovuto sudare sette camice con i gestori degli alberghi e ristoranti romani. Mi accusavano di aver messo i prezzi troppo bassi. Protestando gridavano: ‘Suora, lei ci manda falliti. Così non possiamo andare avanti: deve mettersi al nostro livello e seguire la tabella dei prezzi’. Io, non mi sono mai posta a livello di un albergo o di un hotel, ma al livello della carità. I nostri ospiti potevano mangiare a sazietà e ripetere a volontà. Sorelle, siate generose! Chi può pagare 100 lire per un piatto, le paghi; chi può pagare 50, le dia, e chi non può pagare niente, mangi lo stesso e se ne vada in pace. Voi penserete: ‘Noi stiamo qui a servire e ci rimettiamo pure!’. No. Non ci perdiamo niente. Se diamo con una mano, il Signore ci restituisce il doppio con tutte e due le mani, quando noi aiutiamo i suoi poveri. A questo Santuario di Collevalenza, vengano i poveri a mangiare, i malati a ricevere la guarigione, e i sofferenti il sollievo e la preghiera. Noi saremo sempre ad accoglierli e a servirli. Non voglio assolutamente che le mie suore lavorino per guadagnare soldi. Ci siamo fatte religiose non per il denaro, ma per santificarci. Mi avete capito?”.

La nostra società è organizzata in funzione dei soldi. Il denaro è ciò che vale. Eppure Gesù ci ha allertati contro la tentazione ricorrente di mammona: “Non potete servire  Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

Apparentemente tutti cercano il lavoro, ma in realtà ciò che la gente desidera  veramente, è un impiego stabile che garantisca sicurezza economica, salario mensile, benefici, ferie, e quanto prima, la sognata pensione. Come possiamo constatare, guardandoci attorno, generalmente, si lavora svogliati e il minimo possibile, desiderando tagliare la corda quando si presenti l’occasione. Il lavoro, infatti, è fatica e comporta un sacrificio penoso, per di più, quasi sempre, in clima di concorrenza e di conflitto. In genere si lavora perché è necessario, con il segreto desiderio di guadagnare soldi, e se è possibile, diventare ricchi.

Nella nostra società si vive per i soldi, anche se, siamo convinti che essi, da soli, non garantiscono la felicità. Siamo sotto la tirannia del capitale che occupa il centro, mettendo la persona umana in periferia, o addirittura fuori gioco. Se poi si lavora tanto e troppo, senza riposo e senza domenica, il lavoro può diventare una schiavitù che disumanizza e abbrutisce, invece di dare dignità alla persona ed edificare la società.

La testimonianza del lavoro fatto per amore

lo stile di Madre Speranza ricalca l’esempio di Gesù che è nato in una stalla, è vissuto poveramente lavorando con le sue mani, è morto nudo, è stato sepolto in una tomba prestata ed ha proclamato ” beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli” (cf Lc 6,20).

Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte nella casa romana di Villa Certosa ricorda che la Madre, una volta terminati i lavori della cucina, e dopo aver servito, si sedeva per cucire e ricamare. Lei era specialista per fare gli occhielli. Ogni suora, aveva un compito da svolgere nel lavoro in serie. Ammoniva la Fondatrice: “Noi religiose non possiamo perdere un minuto. Il tempo non ci appartiene, ma è del Signore che ce lo concede per guadagnare il pane e sostenere le opere di carità della Congregazione. Dovete lavorare come una madre di famiglia che ha cinque o sei figli da mantenere. Non siete state mica fondate per vivere come ‘madames’, nell’ozio, ma per le opere di carità e di misericordia in favore dei più poveri”.

La ‘serva’ deve servire, facendo bene la sua opera e con dinamismo, seguendo l’esempio di Maria che, in fretta, si diresse verso le montagne della Giudea per visitare ed assistere la cugina Elisabetta (cfc 1,39-56). La Madre del Signore portava Gesù nel grembo perciò, Madre Speranza educava le suore a lavorare con lena, ma col pensiero in Dio. Infatti, durante le ore di lavoro, ogni tanto si pregava il Rosario, il Trisagio alla Santissima Trinità, si cantava, e ogni volta che l’orologio a muro suonava l’ora, si recitava la  ‘comunione spirituale’.

Avrebbe potuto accettare l’eredità milionaria della signorina María Pilar de Arratia.  Se l’avesse fatto non bisognava piú lavorare, ma avrebbe preso le distanze da Gesù che, invece, ha scelto di lavorare, identificandosi con tutti noi, specie i piú poveri che sopravvivono con stenti e col sacrificio del lavoro.

La Fondatrice sentiva il bisogno di dare l’esempio in prima persona, lavorando incessantemente e scegliendo i servizi piú umili e pesanti. Chi è vissuto con lei nel periodo romano, ancora la ricordano vangare l’orto e trasportare la carriola colma di mattoni, durante la costruzione della casa, mentre le altre suore collaboravano celermente e la gente che passava, sorpresa, le chiamava: “Le formiche operaie”!

Per lei, il lavoro era un impegno molto serio. Soleva dire: “Nei tempi attuali porteremo gli operai a Dio, non chiedendo l’elemosina, ma lavorando sodo e solo per amore del Signore!”.

 

Mani all’opera e cuore in Dio

Appena passata la guerra, su richiesta del Signore, la Madre, per combattere la fame nera, organizzo’ una cucina economica popolare che arrivò a sfamare, ogni giorno, fino a 2000 operai e disoccupati, centinaia di bambini e di famiglie povere. Sfogliando le foto dell’epoca, in bianco e nero, si vedono i bimbi seduti in circolo, per terra, gli operai sotto una tettoia, con una latta in mano che fungeva da piatto, la Madre Speranza e alcune suore in piedi per servire e con le maniche del grembiule azzurro rimboccate. Dovette sudare sette camice per organizzare ed avviare quest’opera di emergenza, vincendo l’opposizione delle proprietarie della casa affittata che resistevano tenacemente perché temevano che i poveri avrebbero calpestato il loro prato e sparso tanta sporcizia. Le Dame di San Vincenzo, facevano la carità raccogliendo l’elemosina e bussando alla porta di famiglie facoltose. Lei oppose loro un rifiuto deciso, dicendo: “Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e sacrificarci, facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo”. Il Creatore ci ha regalato due braccia e due mani per lavorare e fare del bene!

 

Maneggiare soldi e fiducia della Divina Provvidenza

Per le mani della Madre è passato tanto denaro, soprattutto durante gli anni della costruzione del magnifico e artistico Santuario, coronato dalle numerose opere annesse. Per sé e per le sue Congregazioni religiose, ha scelto uno stile di vita sobrio, innamorata di Gesù che si è fatto povero per amore e ha proclamato “beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli” (Lc 6,20).

Ammoniva i figli e le figlie con queste precise parole: “Nelle nostre case non deve mancare il necessario, ma niente lusso né superfluo”.

Come è stato possibile affrontare le spese per edificare tante grandiose costruzioni?

Il ‘segreto’ di Madre Speranza, è questo: confidare nella divina Provvidenza come se tutto dipendesse da Dio e … lavorare … lavorare … lavorare, come se tutto dipendesse da noi. Essere, allo stesso tempo Marta e Maria (cf Lc 10,38-42).

Con intuizione geniale, si preoccupò di organizzare un dinamico laboratorio di ricamo e maglieria presso la Casa della Giovane che, per più di vent’anni, vide impegnate circa centoventi tra operaie e suore che lavoravano con macchine moderne, a un ritmo impressionante. A chi, curioso, la interpellava, la Madre, argutamente, rispondeva: “Il cemento ce lo regala il Signore (donazione di una benefattrice), ma per impastarlo, i sudori e le lacrime sono nostri!”. Altre volte, con fine umorismo, commentava: “Finanziamo le opere del Santuario con il lavoro instancabile delle suore che sgobbano dalla mattina presto fino a notte inoltrata; con le offerte generose dei benefattori; con l’obolo dei pellegrini e … con le chiacchiere dei ricchi!”.

Non sono mancate situazioni difficili di scadenze economiche e di…‘pronto soccorso’. In questi casi, come lei stessa bonariamente diceva, diventava una ‘zingara’ e nella preghiera insistente reclamava familiarmente con il Signore: “Figlio mio, si vede proprio che in vita tua, non hai mai fatto l’economo, infatti, non sai calcolare, ma solo amare! Su questa terra, chi ordina, paga. Il Santuario non l’ho mica inventato io… Allora, datti da fare perché i creditori mi stanno alle calcagna!”.

Non sono pochi i testimoni che raccontano episodi misteriosi di soldi arrivati all’ultimo momento, o addirittura di mazzetti di banconote piovuti dal cielo, mentre la Serva di Dio pregava in estasi, chiedendo aiuto al Signore e aspettando il soccorso della Provvidenza.

Dovendo pagare le statue della Via Crucis e non avendo una lira in tasca, la Madre, cominciò a pregare con insistenza. All’improvviso, si trovò sul letto un pacco chiuso. Chiamò, allora suor Angela Gasbarro, e accorsero anche padre Gino ed altri religiosi della comunità di Collevalenza. Insieme contarono quel pacco di banconote da lire diecimila. Erano quaranta milioni precisi; la somma necessaria per pagare lo scultore! La Fondatrice, commentò: “Vedete come il Signore ci ama ed è di parola? Queste opere volute da Lui, è Lui stesso che le finanzia, e nei momenti difficili, interviene in maniera straordinaria per pagarle. Se non fosse così, povera me, andrei a finire in carcere!”.

 

Verifica e impegno

Guadagni il pane di ogni giorno lavorando onestamente, con responsabilità e competenza? Rispetti la giustizia e promuovi la pace nell’ambiente di lavoro? Sei schiavo del lavoro e dei soldi, o lavori per mantenere la famiglia, per edificare la società e per il Regno di Dio? Cosa dice alla tua vita questa frase di Madre Speranza: “Dobbiamo avere i calli sulle mani e sulle ginocchia”?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Quando vi alzate al mattino, dite: ‘ Signore, è arrivata l’ora di cominciare il mio lavoro. Che sia sempre per Te e sii Tu ad asciugare il sudore della mia fronte. Signore, niente per me, ma tutto per Te e per la tua gloria’. Di notte, quando vi ritirate in camera, possiate dire: ‘Signore, per la stanchezza, non ho nemmeno le forze per togliermi il vestito, tutto il mio lavoro, però, è stato per Te”. Amen.

 

 

  1. MANI SAMARITANE CHE SOCCORRONO

 

Come il buon Samaritano

Nella vita, si presentano delle situazioni inattese e di emergenza in cui la rapidità di intervento è decisiva per soccorrere, e a volte, addirittura per salvare vite umane. A tutti noi può capitare un incidente automobilistico, un malessere improvviso, o addirittura, essere coinvolti in un assalto terroristico oppure dover intervenire tempestivamente in una catastrofe naturale, come ad esempio un incendio, un’inondazione o un terremoto.

In situazioni come queste, le persone reagiscono in maniera differente. Alcune si paralizzano impaurite; altre, passano oltre indifferenti o scappano terrorizzate; altre ancora, non vogliono scomodarsi, tutt’al più chiamano le istituzioni incaricate. Altre, invece, vedendo l’urgenza, si fermano, rimboccano le maniche e mettono le mani in opera, come fece il buon Samaritano.

Al vedere la vittima dell’assalto armato, ferita e morente ai margini della strada, l’anonimo viandante di Samaria, mosso a compassione, soccorse immediatamente e tempestivamente la vittima malcapitata. In questa parabola molto realista, raccontata da Gesù, l’evangelista Luca descrive la scena del pronto intervento con dieci verbi di azione: vide, sentì pena, si avvicinò, fasciò le ferite, versò olio e vino, lo caricò sul cavallo, lo portò nella locanda, si prese cura di lui, sborsò i soldi e pagò in anticipo le spese del ricovero (cf Lc 10,29-35). Questo straniero che professava una religione differente, offrì un servizio completo veramente ammirevole, e perciò, è probabile che sia figura-tipo dello stesso Gesù, il vero ‘Buon Samaritano’ dell’umanità ferita e tanto sofferente. Il Maestro salutò il dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il nostro ‘prossimo’, comandandogli di avere compassione di chi avviciniamo ed ha bisogno del nostro aiuto: “Va, e anche tu, fa così!”

Ed è proprio quello che fece Madre Speranza, la ‘buona Samaritana’, quando si accorse di un incidente mentre padre Alfredo l’accompagnava in macchina da Fermo a Rovigo. Nel 1955, non c’era la A14, l’attuale “Autostrada dei fiori”, ma soltanto l’Adriatica. Verso Ferrara il traffico si bloccò a causa di un incidente stradale. Un camion, viaggiando con eccesso di velocità, aveva lanciato sull’asfalto varie bombole di gas e una di queste aveva investito un motociclista che era caduto fratturandosi la gamba. Tanti curiosi si erano fermati per vedere quel giovane che imprecava e versava sangue dalle ferite. Erano tutti impazienti per la perdita di tempo e nessuno si decideva a soccorrerlo per non insanguinare la propria macchina ed evitare dolori di testa con la polizia. Racconta P. Alfredo: “Non avendo come fasciare il povero ragazzo, la Madre mi chiese un paio di forbici con le quali tagliò una parte della sua camicia e bendò la gamba fratturata, mentre il pubblico, al vedere che i soccorritori erano una suora e un sacerdote, si burlavano della vittima, sghignazzando: ‘Sei capitato in buone mani!’. Caricammo il giovane sul sedile posteriore della nostra vettura. E lei, gli sosteneva la gamba dolorante. Durante il viaggio, l’accidentato, ci raccontò che stava preparando i documenti per sposarsi e che ora, aveva paura di morire. Lei cercò di calmarlo e consolarlo con carezze e parole materne. Lo accompagniammo fino all’ospedale”. Questo episodio, non potremmo definirlo: “La parabola del buon Samaritano”, in chiave moderna?

 

Le mani celeri di Madre Speranza

Cosa faresti se, mentre siedi sullo scompartimento di un treno, all’improvviso, una donna cominciasse a gridare per le doglie del parto?

Successe con Madre Speranza mentre, accompagnata da una consorella, viaggiava verso Bilbao. Una giovane signora, tra grida e sospiri supplicava “Ay, mi Dios! Socorro, socorro (Oh Dio mio! Aiuto, aiuto)!”. Lei, intuendo la situazione di emergenza, invitò i viaggiatori allarmanti ad allontanarsi rapidamente. Stese la sua mantellina nera sul pavimento ed aiutò la signora Carmen, tutta gemente, ad adagiarvisi sopra. In pochi minuti avvenne il parto. Volete sapere che nome scelse la famiglia della bella bambina frettolosa, nata in viaggio? “Esperanza”!

Ancora vivono tanti testimoni del secondo tragico bombardamento avvenuto a Roma il 13 agosto 1943, causando distruzione e morte. Quando finalmente gli aerei alleati se ne furono andati, le suore, a Villa Certosa, uscirono in tutta fretta, dai rifugi sotterranei per soccorrere i feriti. Il panorama era desolante: almeno una ventina di persone giacevano morte e ottantatre feriti erano stesi sul prato del giardino, gemendo tra dolori atroci. Più di venticinque bombe erano esplose intorno alla casa che si manteneva in piedi per miracolo, grazie all’Amore Misericordioso. La Madre, con l’aiuto di Pilar Arratia, si mise a medicare i feriti usando i pochi mezzi di cui disponeva, in una situazione di estrema emergenza. Utilizzò ritagli di camicie militari come bende e fasce; usò filo e aghi per cucire e un po’ di iodio. Lei stessa annota nel diario: “Attendemmo un uomo con il ventre aperto e gli intestini fuori. Io li rimisi dentro con la mano, dopo averli ripuliti, poi l’ho cucito da cima a basso, con filo e aghi che usiamo per ricamare le camicie. Ma la mia fede nel Medico divino era così grande che, ero sicura, che tutti sarebbero guariti”. L’ospedale da campo, improvvisato a Villa Certosa, in un giardino, senza letti, senza anestesia né bisturi, è testimone di autentici miracoli… Nonostante le rimostranze dei medici e del personale paramedico della Croce Rossa. Quando arrivò la loro ambulanza, con le sirene spiegate, ormai le suore avevano concluso il loro ‘servizio chirurgico’. Il personale medico accorso se ne andò rimproverandole e minacciando di processarle per non aver agito secondo le norme igieniche e sanitarie, prescritte dalla legge. La Madre ha lasciato annotato: “Tutte le numerose persone che abbiamo assistito, si sono ristabilite e guarite grazie all’aiuto e alla presenza del Medico divino. Con la sua benedizione, ha supplito tutto quello che mancava. Dopo alcune settimane, i feriti, rimessi in salute, quando sono venuti a ringraziarmi, mi hanno garantito che, mentre io li operavo, non sentivano alcun dolore e che la mia mano era dolce e leggera, causando un grande benessere”.

“Le mani sante di Madre Speranza”: è proprio il caso di dirlo!

 

Pronto soccorso in catastrofi naturali

Il 4 novembre 1966 un vero cataclisma meteorologico investì Firenze. Il fiume Arno straripò e le acque invasero il centro della città. Molti tesori del patrimonio storico-artistico furono trascinati dalla corrente. Mentre migliaia di giovani volontari, soprannominati “gli angeli del fango”, cercavano di salvare alcune delle opere d’arte della città, culla del Rinascimento, un altro angelo della carità, viaggiò,  ‘misteriosamente’ a Firenze, in aiuto di vite umane. Infatti, passate alcune settimane dalla catastrofe, venne a Collevalenza un gruppo di pellegrini fiorentini per ringraziare l’Amore Misericordioso e la Madre Speranza per il soccorso ricevuto durante l’inondazione. Alcune di quelle persone garantirono che furono riscattate, non dai pompieri, ma da una suora che stendeva loro la mano, sollevandole dalla corrente. Ricordo che in quei giorni noi seminaristi aiutammo il padre Alfredo a caricare il pulmino di viveri e coperte per gli allagati. La Madre non si era mossa da Collevalenza invece…era ‘volata’ a Firenze, misteriosamente!

 

‘Mani invisibili’, in interventi di emergenza

il 28 aprile 1960, presso il Santuario di Collevalenza, la Fondatrice stava seduta su una cassa di ferramenta, al riparo di una tenda, mentre gli operai, nell’orto, erano intenti a scavare il pozzo. Disse al padre Mario Gialletti che l’accompagnava: “Ieri, una famiglia ha portato al Santuario un ex voto di ringraziamento per la salvezza di un bambino”. Gli raccontò il caso. In un paese vicino, stando a scuola, un alunno chiese alla maestra di andare al bagno che era situato al lato della classe. Una volta uscito, invece, il bimbo fece quattro rampe di scale e salì fino all’ultimo piano. Affacciatosi nel vuoto della scalinata, perse l’equilibrio e precipitò dall’alto. Ma una ‘mano invisibile’, lo tenne sospeso in aria, evitando che si schiantasse sul pavimento, in forza dell’impatto. La Madre raccontò che stava in camera malata, ma all’improvviso, si trovò presso la scala della scuola, quando vide il bimbo cadere a piombo. Istintivamente stese le braccia e lo prese al volo, appoggiandolo ad un tavolino che divenne morbido come un materasso di spugna. Il monello ne uscí completamente illeso. Le maestre che accorsero, rimasero sbalordite e con le mani sui capelli. Subito dopo, la Madre Speranza, si trovò sola nella sua cella.

Nell’aprile del 1959 il Signore la portò in bilocazione in un paesino dell’alta Italia dove, in una casetta di campagna, la signora Cecilia correva grave pericolo di vita, insieme alla sua creatura, a causa di complicazioni durante il parto. Inesplicabilmente, la donna aveva notato la misteriosa presenza di una suora che l’aiutava come suol fare una levatrice.

Un altro episodio causò scalpore il 24 luglio 1954. La mamma di madre Speranza, María del Carmen Valera Buitrago, viveva in Spagna, a Santomera, in provincia di Murcia. La nipotina María Rosaria, all’improvviso, vide entrare una suora nella camera della nonna. Dopo pochi minuti, trovò la nonna morta, vestita a lutto, nel suo letto rifatto. Più tardi, si seppe che Madre Speranza, senza lasciare Collevalenza, si era recata a Santomera per compiere l’ultimo atto di amore, in favore della mamma ottantunenne che era in fin di vita.

A Fermo si presentò di notte a Don Luigi Leonardi, e anni prima avvenne lo stesso fenomeno con il vescovo di Pasto, in Colombia. Li esortò a lasciare tutto in ordine e a prepararsi per una santa morte, come di fatto avvenne.

Lo stesso accadde a Castel Gandolfo nel settembre del 1958. Il Papa, a porte chiuse, se la vide apparire in ufficio.

Pochi sanno di ‘missioni speciali’ che il Signore le ha affidato, a livello di storia internazionale o di vita ecclesiale universale.

Pur stando a Madrid, il 26 aprile 1936, entrò, a Roma, nello studio di Benito Mussolini, tentando dissuadere ‘il Duce’ dalla sua alleanza con Hitler. Purtroppo, non fu ascoltata.

Il 10 ottobre 1964, apparve, in Vaticano, a Paolo VI per trasmettergli preziose indicazioni riguardanti il Concilio Vaticano Secondo, in pieno andamento.

Sappiamo anche che, la stessa Madre Speranza, è stata visitata in bilocazione da padre Pio, che si trovava a S. Giovanni Rotondo quando, nel 1940, dovette comparire in tribunale inquisitorio per essere interrogata. Un giorno il monsignore di turno al Santo Ufficio, le domandò: “Mi dica, Madre; come avvengono queste visioni, guarigioni, apparizioni e viaggi a distanza, senza treno né automobile?” Lei rispose candidamente: “Padre, che questi fatti avvengono, non posso negarlo. Ma come questo succede non saprei proprio spiegare. Il Signore fa tutto Lui!”

 

Verifica e impegno

In situazioni di emergenza e di urgente necessità, Gesù è intervenuto celermente ed ha fatto perfino miracoli, in favore di gente malata, affamata o in pericolo di vita. Il tuo cuore e le tue mani, come reagiscono davanti alle urgenze che ti capitano o interpellano?

Anche a te, può capitare un doloroso imprevisto o un problema grave. In casi simili, cosa desidereresti che gli altri facessero per te? E tu, davanti a queste situazioni, intervieni o resti indifferente?

Santa Teresa di Calcutta ammoniva la nostra società riguardo al peccato grave e moderno dell’indifferenza alle tante sofferenze altrui, spesso drammatiche. E tu, cosa fai davanti a simili situazioni? Intervieni o resti indifferente? Cosa ti insegna l’atteggiamento dinamico e samaritano di Madre Speranza?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”. Amen.

 

 

  1. MANI GENEROSE CHE DISTRIBUISCONO

 

Gesù: un amore compassionevole fino all’estremo

Innalzato sulla croce, Gesù, prima di spirare, prega il Padre scusandoci e perdonandoci. Arriva all’estremo di chiedere l’assoluzione generale per tutta l’umanità. “Padre, perdonali; non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Camminando tra noi, come missionario itinerante, si commuove per le nostre sofferenze. I vangeli, infatti, mettono in risalto la sua carità pastorale e la sua misericordiosa compassione.  Passando a Naim, il Maestro, si commuove profondamente al vedere una povera vedova in lacrime. Fa fermare il corteo funebre e riconsegna con vita il fanciullo che giaceva morto nella bara, trasformando il dolore della povera mamma in gioia incontenibile (cf Lc 7,11-17). osservando la folla abbandonata dalle autorità, affamata e sfruttata, il cuore di Gesù non resiste e si vede costretto a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. “E tutti si saziarono abbondantemente” (Mt 14,20). Prevedendo la tragedia politica del suo popolo, Gesù piange su Gerusalemme che perseguita i profeti e rifiuta il Messia, inviato da Dio (cf Lc 19,41-44). Egli dona la vita liberamente per gli amici e i nemici. È Lui il ‘grande sacramento’ che ci rivela il volto di Dio misericordioso.

 

Pugno chiuso o mano aperta?

Quante volte abbiamo visto la Madre accarezzare, con la mano bendata, e stringere quel crocefisso pendente sul suo petto, baciandolo con intensa tenerezza. Quante volte abbiamo osservato le sue braccia aperte all’accoglienza e le sue mani pronte per distribuire cibo a tutti!

Nelle nostre case religiose, per invogliarci a imitarla, abbiamo esposto delle foto a colori che la ritraggono con un cesto colmo di mele o con due pagnotte appena sfornate. Col sorriso in volto e l’ampio gesto delle braccia, sembra invitarci, dicendo con gioia materna: “Venite figli; venite figlie. Ce n’è per tutti. Servitevi!”

Madre Speranza ha dato continuità al gesto eucaristico che Gesù ha compiuto durante la cena pasquale quando, in quella notte memorabile, ha distribuito ai suoi amici il pane della vita e il vino della nuova ed eterna alleanza (cf Lc 22,18-20).

Il mio popolo in Brasile mi ha insegnato una spiritosa e originale espressione che mi faceva ridere e … riflettere, ogni volta che la sentivo ripetere. L’ascoltai la prima volta quando uscimmo da un supermercato con dei giovani che raccoglievano degli alimenti per le famiglie povere delle ‘favelas’, durante la ‘campagna della fraternità’, nel tempo della Quaresima. José Ronilo, il padrone, ci diede solo due sacchetti di farina di manioca. Aparecida, la ragazza che mi stava vicino, sdegnata, non riuscí a trattenere il suo amaro sfogo: “Ricco miserabile! Mano di vacca!”. Leggendo sul mio volto un’espressione di sorpresa, mi spiegò subito che la vacca non ha le dita e perciò non può aprire la mano per servire o aiutare. “Aaahhh!”, fu la mia risposta. Oggi potrei concludere: José aveva ‘mano di vacca’. La beata Speranza, invece, aveva mani di mamma; mani aperte, mani eucaristiche.

 

Un cuore ardente di carità e due mani per distribuire

Aperto all’azione santificatrice dello Spirito, il cuore di Madre Speranza, era trasbordante di carità, perciò, il Signore, mediante le sue mani, operava perfino miracoli.

Due santini che le diedero in una festa, cominciò a distribuirli a decine di bambini. Furono sufficienti. Quando tutti ne ricevettero uno, allora, anche i santini finirono. I ragazzi, pieni di allegria per il prezioso ricordino, se lo portarono a casa contenti, ma non si resero conto del prodigio.

Così pure noi seminaristi, che per occasione della festa di Natale, mangiammo carne di tacchino per più di una settimana. Avevano regalato alla Fondatrice un tacchino avvolto in un sacchetto di plastica e lei affettò…afettò…afettò per diversi giorni. Solo noi ragazzi, senza contare le suore, i padri e i numerosi pellegrini, eravamo una sessantina. Oggi, con ammirazione, mi domando: quell’animale, tra le mani della Madre, era un tacchino normale o … un tacchino elefante?!

Come i servi, alle nozze di Cana, rimasero sbalorditi con la trasformazione dell’acqua in vino, nell’anno santo del 1950, il futuro padre Alfredo Di Penta, allora contabile di impresa, domandò interdetto a suor Gloria, incaricata di riempire i quartini di vino da distribuire sui tavoli dei pellegrini: “Ma che fai; servi l’acqua al posto del vino?”. Al sapere che in dispensa era finito il vino e ormai non c’era più tempo per andare a comprarlo, la Madre aveva comandato di riempire le damigiane al rubinetto dell’acqua. All’ora di pranzo i pellegrini tedeschi elogiarono tanto la fine qualità dell’ottimo ‘Frascati’. Comprarono varie bottiglie da portare in Germania, ignorando che proveniva dall’acquedotto comunale di Roma! Ad Alfredo che aveva presenziato il fatto e chiedeva spiegazioni, la Madre, si limitò a dire: “Io ci prego e il Signore opera. Anche i pellegrini sono figli suoi!”.

Pietro Iacopini, che ha vissuto tanti anni con la Fondatrice ed è testimone di numerosi prodigi, si delizia a raccontare, ai gruppi dei pellegrini che lo ascoltano meravigliati, il miracolo della moltiplicazione dell’olio. “Una sera stavamo pregando nel Santuario di Collevalenza, e all’improvviso le suore della cucina comunicarono alla Madre che era finito l’olio nel deposito. Lei si rivolse al crocifisso, dicendo: “Signore, già ho un sacco di debiti per causa delle costruzioni. In tasca non mi ritrovo una lira e non posso comprare l’olio. Se non provvedi Tu, tutti dovranno mangiare scondito”. Quando scesero per la cena, i serbatoi erano pieni fino all’orlo!

Se hai dei dubbi riguardo alla divina Provvidenza, puoi leggere le testimonianze di suor Anna Mendiola, suor Angela Gasbarro e suor Agnese Marcelli che collaborarono con la Fondatrice per far funzionare la cucina economica. In tempi di fame, appena dopo la seconda grande guerra, il parroco di San Barnaba, padre Vincenzo Clerici, rimaneva sbigottito al vedere una fila interminabile di gente lacera, infreddolita ed affamata. Ma rimaneva ancor più sbalordito al constatare che la pentola della Madre e delle altre suore che servivano, rimanevano sempre piene e si svuotavano verso le tre di pomeriggio, quando tutti si erano sfamati abbondantemente. Ogni giorno la stessa scena. Se il prodigio ritardava e le suore cominciavano a dubitare, lei, gridava con coraggio: “Forza, figlie: pregate e agitate il mestolo!”. La pasta cresceva fino a riempire le pentole. Gesù che, a suo tempo moltiplicò pani e pesci per sfamare moltitudini sul lago di Galilea, continuava lo stesso prodigio, grazie alla fede viva e alle mani agili di Madre Speranza.

 

Un grande amore in piccoli gesti

Il motore potente che spinge i santi a praticare le varie opere di misericordia, è la carità, cioè l’amore di Dio. La carità, afferma l’apostolo Paolo, è la regina e la più preziosa di tutte le virtù e non avrà mai fine (cf 1Cor 13,1-13).

Per Madre Speranza la carità, non è qualcosa di astratto o di vago. Al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta. Essa è autentica solo quando si concretizza nell’agire quotidiano, e quasi sempre, agisce nel silenzio e nel nascondimento, diventando la mano tesa di Cristo che fa sentire amata una persona che soffre.

I grandi gesti eroici e sovrumani, sono molto rari nella vita, ma le opere di misericordia in piccole dosi, stanno alla portata di tutti. Esse, sono il miglior antidoto contro il virus dell’indifferenza, e ci permettono di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli più piccoli. Tra l’altro, l’esame finale al giudizio universale, per potere essere ammessi in Paradiso, sarà proprio sulla ‘misericordia fattiva’ (cf Mt 25,31-46).

Tutti, siamo tentati di vivere pensando solo a noi stessi, come il ricco epulone che ignorava il povero Lazzaro che stendeva la mano presso la porta del suo palazzo (cf Lc 16,19-31). L’unica soluzione per la fame e la miseria del mondo sarà la solidarietà e la condivisione; non la corsa agli armamenti né le rivoluzioni violente.

Constato che questa profezia è vera nella Messa che celebro ogni giorno. All’ora della comunione, tutti sono invitati a mensa e ciascuno può alimentarsi. Infatti, distribuisco il pane eucaristico senza escludere nessuno. Se, per caso, le ostie scarseggiano, le moltiplico dividendole, come fece Gesù con i cinque pani e i due pesci per sfamare in abbondanza la folla affamata (cf Mt 14,13-21). La distribuzione e la condivisione, non l’accumulo nelle mani di pochi o lo spreco, sono l’unica soluzione vera per la fame del mondo attuale. Questo ci ha insegnato Madre Speranza, nostra maestra di vita spirituale.

 

Verifica e impegno

Gesù non è vissuto accumulando per sé, ma donando la sua vita per noi. Nella tua esistenza, sei indifferente ai bisogni del prossimo o sai distribuire il tuo tempo e i tuoi beni anche gli altri?

I tuoi familiari e gli amici che ti conoscono, potrebbero dire che tu hai ‘mani di vacca’, cioè chiuse, o mani aperte al dono?

Madre Speranza ha praticato la ‘carità fattiva’, rendendo visibile così, la mano tesa di Cristo che raggiunge chi soffre, è solo o è sfigurato dalla miseria e dai vizi.  Che risonanza ha in te questa parola del Maestro: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me?”.

Preghiamo con Madre Speranza

“Fa’, Gesù mio che il mio cuore arda del tuo amore, e che questo non sia per me un semplice affetto passeggero, ma un affetto generoso che mi conduca fino al più grande sacrificio di me stessa e alla rinuncia della mia volontà per fare soltanto la tua”.  Amen.

 

 

 

 

 

  1. MANI AFFETTUOSE CHE ACCAREZZANO

 

Madre Speranza: tenerezza di Dio amore

Leggendo i vangeli, sembra di assistere alla scena come in un filmato. Le mamme di allora, quando Gesù passava, facevano quello che fanno i genitori di oggi al passaggio del Papa in piazza San Pietro. Protendevano i loro figli perché il Signore imponesse loro le mani e li benedicesse. Leggiamo che “gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i fanciulli vengano a me; no glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”(cf Lc 18,15-17). Gesù ci sa fare con i bambini. Non li annoia con lunghi discorsi o prediche, ma dopo averli benedetti e imposto loro le mani, li lascia tornare di corsa a giocare.

Che passione, i bambini! Sono loro la primavera della famiglia, la fioritura dell’amore coniugale, la novità che fa sperare in una società che si rinnova. Essi sono sempre al centro della nostra attenzione di adulti, eternamente nostalgici di innocenza e di semplicità.

L’ho sperimentato mille volte nelle riunioni e negli incontri, pur nelle diverse culture, sia in Europa, sia in America, sia in Asia. Accarezzi i bambini? Hai accarezzato anche le persone grandi. Saluti i piccoli, dai preferenza ai figli, conquisti subito i loro genitori e tutti gli adulti presenti. È un segreto che funziona sempre, come una calamita!

Ricordo, anni fa, un Natale a Cochabamba tra le altissime cime delle Ande. Secondo l’usanza della cultura ‘quechua’, le mamme, prima di confezionare il presepe in casa, lo portano in chiesa per ricevere la benedizione del parroco. Mentre spruzzavo acqua santa con un bottiglione, passando tra la gente, accarezzavo i loro bambini. Ancora ho vivo il ricordo del loro volto radiante di allegria, mentre i piccoli sgambettavano sostenuti sulla schiena della mamma dal caratteristico mantello degli Indios Boliviani.

Qui nelle Filippine, alla fine della Messa, i genitori portano i loro bambini chiedendo: “Bless, bless (benedici, benedici)!”. Nel caldo clima tropicale, un bello spruzzo d’acqua, oltre che benedire, serve anche a rinfrescare! Penso che ai nostri giorni, Gesù, è contento quando in Chiesa i piccoli fanno festa e … un po’ di chiasso!

La Madre era felice quando, nelle feste, si vedeva attorniata da tanti bambini. Per tutti loro c’era un ampio sorriso, e per ciascuno, una carezza e una mano colma di cioccolatini. Lei ha stretto ed accarezzato le mani di gente di ogni classe sociale, specie nelle visite e negli incontri. Tante persone, da quel contatto, hanno sperimentato la bontà di Dio, Padre amoroso e tenera Madre.

 

La carezza: magia di amore

In genere, nei rapporti con le persone, specie in Occidente dove “il tempo è oro”, siamo piuttosto frettolosi e freddi. È tanto bello e gratificante, invece, potersi fermare, salutare e scambiare quattro chiacchiere con le persone che avviciniamo.

La carezza è un gesto ancor più profondo della sola parola. Siamo soliti accarezzare solamente le persone con cui abbiamo un rapporto di vera amicizia e di sincero amore. Infatti, la carezza, è un contatto che annulla le distanze.

Ricordo la sorpresa di un bambino in braccio alla mamma che, mentre passavo nella chiesa gremita, ho accarezzato, posando la mia mano sulla sua testolina. Stavamo concludendo le missioni popolari in una cittadina vicino a Belo Horizonte. Il bimbo sorpreso chiese alla mamma: “Perché quel signore con la barba, mi ha accarezzato?” E lei, con viva espressione, commentò: “È un padre!”. Il figlioletto sorrise contento, come se la mamma le avesse detto: “Ti ha trasmesso la carezza di Gesù!”. Spesso l’espressione del volto e le parole che l’accompagnano, chiariscono il significato del gesto e dissipano possibili ambiguità.

“Noi viviamo per fare felici gli altri”, dichiarava la Fondatrice, ai membri della sua famiglia religiosa. Lo insegnava con gesti concreti, come la carezza, ma, soprattutto, con le opere di misericordia. La carezza, in lei, era anche espressione di un cuore materno grande dove tutti, come figli e figlie, si sentivano accolti con tanto affetto. “Fare tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Perfino le carezze!

 

Quelle mani mi hanno accarezzato lungamente

Era il 5 agosto del 1980. Con la barba lunga, il biglietto aereo in tasca e le valigie pronte, mi presentai alla Madre per salutarla, prima di partire per l’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Le dissi che stavo per imbarcare per São Paulo del Brasile e a Mogi das Cruzes, avrei raggiunto P. Orfeo Miatto e P. Javier Martinez. Le chiesi se era disposta a venire anche lei in missione con noi. Ricordo che mi osservò a lungo con i suoi occhi profondi, e mentre mi avvicinai per baciarle la mano, lei prese le mie mani tra le sue e le accarezzò soavemente e lentamente. In quell’epoca già non parlava più. Infatti non proferì nemmeno una parola. Dentro di me desideravo tanto che mi dicesse qualcosa. Niente!

Tante volte ho ripensato a quel gesto prolungato, così simile all’unzione col crisma profumato che l’anziano arcivescovo di Fermo Monsignor Perini spalmò sulle mie mani, a Montegranaro, il giorno in cui fui ordinato sacerdote. Oggi, a distanza di anni, ho chiara coscienza che quel gesto della Madre, non era un semplice saluto di addio, o una comune carezza di circostanza, ma un rito di benedizione materna e di protezione divina. Quella carezza silenziosa della Fondatrice, è stato l’ultimo regalo che lei mi ha fatto e anche, l’ultimo incontro. Quel gesto, mi ha segnato per sempre, e certamente vale più di un discorso!

 

Verifica e impegno

Gesù accarezzava e si lasciava toccare. Le mani affettuose di Madre Speranza, con dei gesti concreti, hanno rivelato che Dio è Padre buono e tenera Madre. Come esprimi la tua capacità di tenerezza, specie in famiglia e il tuo amore con le persone che avvicini durante la giornata? Che uso fai delle tue mani?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, abbi pietà di me e rendi il mio cuore simile al tuo”. Amen.

 

 

  1. MANI SAPIENTI CHE EDUCANO

 

Con la penna in mano… Raramente

Pochi di noi hanno visto la Madre con la penna tra le dita. Le erano più familiari il rosario, la scopa, il mestolo, l’ago e le forbici. Non era avvezza ai grandi libri e a quei tempi ancora non esisteva il computer. Il Signore le ha chiesto di costruire, ma anche di formare religiose e religiosi dell’unica famiglia dell’Amore Misericordioso. Lei infatti, non ha mai avuto la pretesa di essere una intellettuale, una persona colta, o una scrittrice che insegna, seduta in cattedra, come fa una professoressa. Lei stessa si definisce una ‘semplice religiosa illetterata’. Infatti, non ha compiuto alti studi specialistici, né ha scritto per lasciare dei libri in biblioteca, con la sua firma. Eppure i suoi scritti, formativi e normativi, ammontano a circa due mila e trecento pagine.

Gli argomenti trattati fanno riferimento all’ampia area della teologia spirituale ed hanno la caratteristica della praticità e della sapienza che è dono dello Spirito Santo.

Gli scritti di Madre Speranza, come le pagnotte del pane fatto a casa o l’acqua di sorgente, sono sostanziosi e sorprendentemente vivi perché riflettono il contatto privilegiato e prolungato che ha avuto con il Signore in via mistica straordinaria, a partire dall’età di circa 30 anni. Che poi, ai suoi tempi, gli scritti della Fondatrice, specie quelli che si riferivano al carisma e alla spiritualità dell’Amore Misericordioso, fossero innovatori, lo dimostra il fatto che fu accusata di eresia, processata, e infine, assolta.

Certamente, formare i suoi figli e le sue figlie è stato un lavoro duro, un impegno lungo e serio, e una missione essenziale che ha richiesto tatto, dedicazione e non poche sofferenze. Formare, infatti, è un processo delicato di gestazione, di generazione e di paziente coltivazione.

Ormai anziana, in una frase sintetica e felice, ha espresso questa sua missione speciale che l’ha impegnata come Madre e Fondatrice. “Sono entrata nella vita religiosa per farmi ‘santa’, ma da quando il Signore mi ha affidato dei figli e delle figlie da formare, sono diventata una ‘santera’!

Questa espressione spagnola allude al laboratorio artistico dove lo scultore, con un processo lento, progressivo e sapiente, trasforma il tronco grezzo di una pianta in un’opera d’arte, come per esempio una statua di santo o un’immagine sacra.

Per lunga esperienza propria, la Madre era cosciente di quanto sia essenziale e preziosa la formazione. Da essa, infatti, dipende la vitalità della Congregazione, la sua efficacia apostolica e missionaria e la felicità dei suoi membri.

Come Gesù evangelizzava le moltitudini facendo uso di parabole (cf Mt 13,1-52), anche lei, si serviva di racconti, di sogni e visioni che il Signore le concedeva. Erano istruzioni interessanti e che le figlie chiamavano ‘conferenze’.

Solo a titolo di esempio, spizzicando qua e là, ne cito qualcuna. Risalgono alla quaresima del 1943, nella vecchia casa romana di Villa Certosa. Le suore avevano notato uno strano chiarore notturno nella camera della Madre. Nella parete, come su uno schermo luminoso, vedeva illustrate parabole del vangelo ed episodi della vita del Salvatore. Al mattino, dettava a Pilar, ciò che aveva visto e lei, come segretaria, batteva a macchina il racconto, poi, lo leggeva alla comunità ad alta voce.

“Questa notte il Signore, mi ha mostrato in sogno un sentiero impervio e pietroso. Lo percorrevano tre religiose, ciascuna con la propria croce sulle spalle. Di queste, la prima ardentemente innamorata, camminava così veloce che sembrava volare. La seconda, con poco entusiasmo, ogni tanto inciampava e cadeva, ma presto si rialzava e riprendeva con sforzo il suo duro cammino. La terza, invece, assai mediocre, non faceva altro che lamentarsi delle difficoltà e della croce che sembrava opprimerla (cf Mc 8,31-33). Inciampata, cadeva per terra, e scoraggiata, rimaneva ferma e seduta, mentre le altre due, concluso il percorso, ricevevano il premio ed erano introdotte nel palazzo, alla presenza dello Sposo divino” (cf Mt 25,1-12).

Al termine, la Fondatrice, concludeva con una lezione pratica: “Forza, figlie mie. Dobbiamo essere perseveranti nel seguire Gesù. Giustamente, un proverbio dice che in Paradiso non ci si va in carrozza. Il cammino della santità è in salita, ma chi persevera fino alla fine, arriva alla meta”.

Vedendo l’interesse delle figlie, lei, per formarle, approfittava raccontando sogni e parabole, mentre loro, la osservavano senza battere ciglio.

“Il buon Gesù, stanotte, con sembiante di agricoltore, mi ha mostrato un campo dorato di grano, pronto per la mietitura. Mi disse: ‘Guarda bene. A prima vista, chi fa bella figura, sono le spighe alte e vuote che, volendo apparire, ondeggiano orgogliosamente. Invece le spighe basse, senza mettersi in bella vista, inchinano il capo con umiltà perché sono cariche di frutto abbondante’. Figlie mie, viviamo in un mondo che si preoccupa delle apparenze ingannevoli.

Oggi, sullo stesso terreno, convivono il buon grano e la zizzania, ma questa storia durerà solo fino al giorno della mietitura (cf Mt 13,24-30). Successivamente, sempre durante il sogno, l’agricoltore mi mostrò dei vasi ripieni e dichiarò: ‘Nemmeno l’Onnipotente che rovescia dai troni i superbi e innalza gli umili (cf Lc 1,52), può riempire un vaso già colmo’.” Concludendo, la formatrice commentava: “Perché, allora, deprimerci se ci umiliano o gonfiarci se ci applaudono? In realtà, noi siamo ciò che siamo davanti a Dio; l’unico che ci conosce realmente” (cf Sl 139).

 

Mano ferma nei richiami comunitari e nella correzione personale

 

Ci sono dei momenti in cui i nodi vengono al pettine, e chi è rivestito di autorità, sente il dovere di intervenire con fermezza, quando percepisce che sono in gioco valori essenziali.

Nei casi in cui la mancanza era personale, lei stessa interveniva, correggendo direttamente, con parole decise e con atteggiamento sicuro. Se percepiva che la correzione era stata dolorosa, lei, subito medicava la ferita con la dolcezza di un gesto affettuoso o di un sorriso conciliatore. Tutto in clima di famiglia: “i panni sporchi si lavano in casa!”

Avvisare o richiamare i padri della Congregazione, fondata da lei, che sono uomini e hanno studiato, era un intervento complesso, e lei, col suo tatto caratteristico, a volte, si vedeva costretta a usare qualche stratagemma, raccontando una storiella ad hoc, o parlando in forma indiretta, senza prendere di petto nessuno. Pur mescolando spagnolo e italiano, si faceva capire e come! “A buon intenditore poche parole”

Quando poi la mancanza si ripeteva con frequenza, alcune volte, lei sorprendeva tutti, usando una pedagogia propria, con gesti simbolici che erano più efficaci di una predica. Per esempio: se qualche figlia distratta rompeva un piatto, causava un danno, o arrivava ingiustificata in ritardo a un atto comunitario, lei si alzava in piedi al refettorio o in cappella e rimaneva con le braccia aperte in croce, pagando di persona lo sbaglio altrui. Che lezione! Chi aveva più l’ardire di ripetere lo stesso errore, causando la ‘crocifissione pubblica’ della cara Madre?!

Educava soprattutto col suo buon esempio, esortando all’unione col Signore mediante la preghiera continua, a una vita di fraternità sincera, alla pratica della carità e del sacrificio per amore del Signore. Ripeteva con energia che non siamo entrati in convento per contemplae noi stessi, conducendo una vita comoda, ma per santificarci.

Quando notava che lo spirito mondano si era infiltrato nella casa religiosa, lei diventava inflessibile e tagliava corto, con mano decisa, e … senza usare i guanti.

Un esempio concreto. Stava facendo la visita canonica alle comunità di Spagna. Osservando attentamente, aveva notato oggetti superflui nel salone o nelle camere delle suore. Nella conferenza finale, allertò la comunità, in clima di correzione fraterna. Non accettò la scusa che i suddetti oggetti erano stati donati da benefattori. Dando un giro per la casa, fece ritirare tutto ciò che considerava improprio per la vita religiosa e ordinò che tutta quella ‘robaccia’ fosse ammucchiata nel cortile. Mentre le suore stavano in circolo, chiese alla cuoca che era la più ‘cicciottella’, di calpestare tutto quel materiale. Una Fondatrice, specie nel fervore degli inizi, poteva permettersi questa ‘libertà profetica’!

Detestava il culto della sua persona. Cercava perfino di sfuggire all’obiettivo fotografico e non tollerava che si facesse propaganda di lei. Asseriva con determinazione che nel Santuario di Collevalenza, c’è solo l’Amore Misericordioso.

A questo proposito, cito due episodi che sono rimasti storici.

Il 20 settembre 1964, di buon mattino, approfittando che i padri della comunità di Collevalenza erano riuniti, la Fondatrice, si presentò con un sembiante che dimostrava grande sofferenza. Subito diede sfogo ai suoi sentimenti: “Figli miei, dovete essere più prudenti quando parlate di vostra Madre in pubblico, o fate dichiarazioni alla stampa. Ieri, mi è giunto tra le mani, un periodico che riporta affermazioni molto compromettenti fatte a un giornalista. Vostra Madre avrebbe le stimmate occulte. Ora, se ho le piaghe nascoste, perché le rivelate ad estranei? Avete affermato che la superiora generale fa tanti sacrifici, alzandosi di notte per lavorare in cucina. Forse non è dovere della mamma riservarsi i lavori più pesanti e insegnare alle figlie a cucinare per i poveri, con amore, come se lo facessero per nostro Signore in persona? Avete dichiarato che mentre pregavo, affannata per le spese delle costruzioni, in certe circostanze speciali, prodigiosamente, sono apparsi pacchi di soldi piovuti dall’alto … Niente di più giusto che il buon Gesù provveda il denaro dovuto perché Lui è il progettista dell’opera. Non pensate, però che i soldi cadono dal cielo… tutti i giorni! Comunicate che Madre Speranza ha doni mistici straordinari come le bilocazioni, le estasi, le guarigioni, le visioni… Figli miei, voi avete studiato teologia e sapete meglio di me che il Signore, per le sue grandi opere, sceglie le persone più incapaci (cf 1Cor 1,27-30. In questo Santuario, solo l’Amore Misericordioso è importante e solo Lui fa miracoli. Io sono una povera religiosa che fa da portinaia, che asciuga amorevolmente le lacrime dei sofferenti, riceve le richieste dei peccatori e le presenta al Signore. Ad Assisi c’è S. Francesco, a Cascia, c’è Santa Rita. A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso! È Lui che risolve, benedice, guarisce, conforta e perdona. Sento tantissima pena quando qualche pellegrino, con ammirazione, afferma erroneamente: ‘Tutto questo l’ha fatto Madre Speranza’. No figli miei, no! Non fomentate questo equivoco con una propaganda erronea. Questa è opera del Signore e voi, insieme a me, dovete condurre a Lui tutti quelli che vengono.

Tempo fa, ho dovuto fare un richiamo anche alle vostre consorelle, che mi hanno causato un dispiacere simile al vostro. Hanno mandato da Roma, non so quante centinaia di cartoline postali. C’era la foto di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di me, quando ero bambina. A questa vista, sono rimasta inorridita. Di notte, mentre tutti dormivano, siccome non riuscivo a caricare quella cassa pesantissima di cartoline che stava in portineria, l’ho legata con una corda, e giù per le scale e lungo il corridoio, l’ho trascinata fino in cucina. Ho gettato tutto quel materiale in una grande pentola. Poi, dopo aver versato acqua bollente, ho cominciato a mescolare le cartoline fino a distruggerle e farne un grande polentone. Cos’è mai questo! A che punto siamo arrivati!  A Collevalenza si deve divulgare l’Amore Misericordioso e non fare pubblicità di Madre Speranza! Non può ambire l’incenso una religiosa che ha scelto per suo sposo un Dio inchiodato in croce (cf 2Cor 11,1-2). Perdonatemi la franchezza! Pregate per me! Adios!”.

 

Un ceffone antiblasfemo

Anni di guerra, tempi di fame. Persino il pane scarseggiava: o con la tessera o al mercato nero. Come Gesù che, vedendo la moltitudine affamata e mosso a compassione, si vide obbligato a moltiplicare pani e pesci (cf Gv 6,1-13), così anche la Madre.

Su richiesta del Signore, appena finita la guerra, organizzò nel quartiere Casilino, in situazione di estrema emergenza, una cucina economica popolare. A Villa Certosa, perfino tre mila persone al giorno formavano la fila per poter mangiare. Chi ha fame, non può aspettare! Durante tutto il giorno era un via vai di bambini, operai e poveri che accorrevano da varie parti.

Un giorno, un giovane di 24 anni, per causa di un collega che lo spinse facendogli cadere il piatto, bestemmiò in pubblico. La Madre, gli si avvicinò e senza fiatare gli dette un sonoro ceffone. Quello, la guardò in silenzio poi, portandosi la mano sul viso, mormorò: ‘È il primo schiaffo che ricevo in vita mia!’. E lei: ‘Se i tuoi genitori ti avessero corretto prima, non ci sarebbe stato bisogno che lo facessi io!’. La lezione servi per tutti. Il giovane abbassò la testa, e abbozzando un sorriso, si sedette a tavola. Rimase così affezionato alla Madre che per varie settimane, tutte le sere dopo cena, volle che lo istruisse nella religione, e quando ricevette nello stesso giorno la prima comunione e la cresima, scelse lei come madrina. Oggi sarebbe impensabile voler combattere il vizio infernale e l’abitudine volgare della bestemmia con gli schiaffi. All’epoca della Madre è da capirsi perché, in quei tempi si usavano i metodi forti, e in genere i genitori, per correggere facevano uso della ciabatta; a scuola i professori utilizzavano la bacchetta, e in Chiesa il parroco fustigava con i sermoni… Sta di fatto che, in quella circostanza, lo schiaffo sonoro della Madre, funzionò!

 

Verifica e impegno

Nessuno è formato una volta per sempre, ma la formazione umana, cristiana e professionale, è un processo permanente. Hai coscienza della necessità della tua formazione globale e del tuo costante aggiornamento? La formazione, ha occupato tantissimo la Madre, perché è un compito impegnativo e necessario.

“Chi ama, corregge”. Come va la pratica di quest’arte così difficile, delicata e preziosa che ci permette di crescere e migliorare? Quando è necessario, specie in casa, eserciti la correzione e sai ringraziare quando la ricevi?

Una proposta: perché non scegli Madre Speranza come tua madrina spirituale? Se decidi di percorrere un itinerario di santità, fatti condurre per mano da lei che ha le ‘mani sante’! Nei suoi scritti, con certezza, troverai una ricca, sana e pratica dottrina ascetica e mistica.

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che mai Ti dia un dispiacere e che il mio dolore d’averti offeso, non sia mosso dal timore del castigo, ma dall’amore filiale. Dammi anche la grazia di vivere unicamente per Te, per farti amare da tutti quelli che trattano con me”. Amen.

 

 

  1. MANI CHE CREANO E RICREANO

 

Mani d’artista che creano bellezza

Le suore che per tanti anni sono vissute accanto alla Fondatrice, sono concordi nel dichiarare che lei aveva uno spiccato senso della bellezza e del buon gusto. È anche logico che, chi vive per la gloria di Dio e agisce non per motivazioni puramente umane ma per amore a nostro Signore Gesù Cristo, dia il meglio di sé e produca opere belle; infatti, quando il cuore è innamorato, si lavora cantando e dalle mani escono capolavori meravigliosi.

L’autore sacro della Genesi, in modo poetico descrive il Creatore come un grande artista. Mediante la sua parola efficace e con le sue mani ingegnose, tutto viene all’esistenza, con armonia e ordine crescente di dignità. Contemplando compiaciuto le sue opere, cioè il firmamento, la terra, le acque, le piante e gli esseri viventi, asserisce: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,25). Ma, il coronamento di tutto il creato, come capolavoro finale, è la creazione dell’essere umano in due edizioni differenti e complementari, cioè, quella maschile e quella femminile. Interessante: l’uomo e la donna, sono creati ad immagine e somiglianza del Creatore e posti nel giardino di Eden. Alla fine, l’autore sacro commenta: “Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona!”(Gen 1,31).

Anche Madre Speranza era così: la persona umana, prima di tutto, specie se sofferente o bisognosa. Il nostro lavorare e agire dovrebbero riflettere quello di Dio.

Una tovaglia di lino, ricamata da lei, senza difetto, diventava un’opera d’arte, bella e preziosa. Le sue mani erano così abili che le suore lasciavano a lei, che era capace, il compito di tagliare il panno delle camice. Era specialista nel fare gli occhielli per i bottoni e per le rifiniture finali. Le maglie migliori dell’impresa perugina Spagnoli, erano prodotte nel laboratorio di Collevalenza; tant’è vero che, un anno, vinse il premio di produzione e di qualità. In tempo di guerra e di ricostruzione, a Roma, l’orto in Via Casilina, doveva produrre meraviglie, a tal punto che la gente lo soprannominò: “Il paradiso terrestre”. In cucina le suore dovevano preparare piatti abbondanti, saporiti e salutari, come se Gesù in persona fosse invitato a tavola. Persino il tovagliolo, non poteva essere di carta usa e getta, come si fa in una pizzeria o in una trattoria qualsiasi, ma doveva essere di panno ben stirato e profumato, come si fa in casa. I padri della Congregazione, specie nel ministero della riconciliazione, non potevano essere dei confessori comuni, ma una copia viva del buon Pastore, ministri comprensivi e misericordiosi. Lei stessa, che certamente non aveva studiato ingegneria né arquitettura, durante i lunghi anni in cui veniva costruito il Santuario insieme a tutte le opere annesse, a volte interveniva dando suggerimenti illuminati, lasciando sorpresi l’architetto e l’equipe tecnica.

Ma il capolavoro che la riempiva di santo orgoglio è, senza dubbio, l’artistico e maestoso Santuario: la sua opera massima. È un tempio originale e unico nel suo genere e unisce armoniosamente arte, bellezza, grandiosità e sacra ispirazione.

A un gruppo di pellegrini marchigiani, nel maggio del 1965, in uno sfogo di sincerità, rivelò ciò che sentiva nell’anima. “Pregate perché riusciamo a inaugurare il Santuario nella festa di Cristo Re. Chiedo al Signore che non ce ne sia un altro che dia tanta gloria a Dio; che sia così grandioso e bello, e in cui avvengano tanti miracoli, come nel Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. Vedete come sono orgogliosa!”

Lei aveva il gusto del bello e puntava all’ideale.

 

“Ciki, ciki, cià”: mani sante che modellano santi

“Ciki, ciki, cià”. È il ritornello di un canto che le suore composero alludendo a un racconto fatto dalla Madre che voleva educare le sue figlie e condurle sul cammino della santità.

“Ciki, ciki, cià”. È il rumore che si può percepire passando vicino a una officina in cui sta al lavoro lo scultore, usando la sua ferramenta, soprattutto lo scalpello, il martello e la sega.

“Ciki, ciki, cià”. L’artista sta lavorando pazientemente su un rude tronco che i frati hanno portato chiedendo che scolpisca una bella statua di San Francesco da mettere nella loro cappella. Dopo un mese, il guardiano comparve in officina per verificare se l’opera era pronta. Lo scultore rispose dispiaciuto che non era riuscito a fare un’opera grande, come desiderava, perché il tronco aveva dei grossi nodi. Avrebbe fatto il possibile per scolpire almeno una piccola immagine di Gesù bambino. Passato un bel tempo i frati, chiamarono l’artista per sapere se finalmente la statua era pronta. Lo scultore, desolato commentò amaramente: “Purtroppo, il tronco presentava troppi nodi che mi hanno reso impossibile la scultura dell’immagine sacra … Mi dispiace tanto, ma sono riuscito a cavarci solo un cucchiaio di legno!”.

Madre Speranza era cosciente che le case religiose sono come una fabbrica di santi, una accademia di correzione e un ospedale che cura gente debole e malata. I suoi membri, però, non possono dimenticare di essere chiamati a correre sul sentiero dei consigli evangelici, mossi dal desiderio della santità e vivendo solo per la gloria d Dio.

“Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È la chiamata alla santità che Gesù rivolge ai discepoli di ieri, e a ciascuno di noi, suoi discepoli di oggi. È una vocazione universale e comune a tutti i battezzati. Consiste nel vivere le beatitudini evangeliche, lasciando lo Spirito Santo agire liberamente e praticando le opere di carità.

Lei, a ventun’anni, scelse la vita religiosa, mossa dal desiderio di divenire santa, rassomigliando alla grande Teresa d’Avila. Ma, a causa della nostra fragilità morale, delle continue tentazioni, e della concupiscenza, nostra inseparabile compagna di viaggio in questa vita, l’itinerario della santità diventa un arduo cammino in salita, e non una comoda e facile passeggiata turistica, magari all’ombra e con l’acqua fresca a disposizione.

Madre Speranza, parlando ai giovani e ai gruppi dei pellegrini, li esortava con queste parole: “Santificatevi. Io pregherò per voi affinché possiate crescere in santità” (Rm 1,7-12). Certamente chi ha scelto la vita religiosa, è protetto dalla regola ed è aiutato dalla comunità. È libero, grazie ai voti religiosi e può dare una risposta piena, amando il Signore con cuore indiviso. Può sfrecciare nel cammino della santità come una Ferrari sull’autostrada, senza limiti di velocità, ma se l’autista si distrae, non schiaccia l’accelleratore, o addirittura si ferma, allora, anche una semplice bicicletta lo sorpassa!

“Figlio mio; fatti santo. Figlia mia; fatti santa!”. Era il ritornello con cui ci esortava, per non desistere dall’ideale intrapreso, quando la incontravamo nel corridoio o quando ci visitava. Anche negli scritti e durante gli esercizi spirituali, ci interrogava ripetutamente. “Perché abbiamo lasciato la famiglia e abbiamo bussato alla porta della casa religiosa? Per dare gloria a Dio; per consacrare tutta la nostra vita al servizio della Chiesa e facendo tutto per amore di nostro Signore Gesù Cristo!”. Ma le difficoltà incontrate lungo il cammino ci possono causare stanchezza e scoraggiamento. Ecco, allora, l’esempio stimolante e la parola animatrice della Madre, che ci aiutano a perseverare.

“Chiki, chiki, cià”. Pur anziana e con le mani deformate dall’artrosi, la Fondatrice è sempre al lavoro, come formatrice. La beata Madre Speranza, continua, a tempo pieno, la sua missione di ‘Santera’, fabbricando santi e sante: “Chiki, chiki, cià”!

 

Mani che comunicano vita e gioia

Chi ha conosciuto la Madre da vicino, può testimoniare che lei aveva la stoffa di artista arguta, spassosa e simpatica. Insomma, era una donna ‘spiritosa’, oltre che spirituale.

Una suora vissuta con lei a Roma per vari anni, racconta: “La Madre, sbrigata la cucina veniva da noi al laboratorio per aiutarci ed era attesa con tanta ansia. Quando notava che, a causa del calore estivo e del lavoro monotono, il clima diventava pesante, rompeva il silenzio e, per risollevare gli animi, intonava qualche canto folcloristico della sua terra, o se ne usciva con qualche battuta umoristica tipo questa: “Figlie mie, lo sapete che la sorpresa fa parte dell’eterna felicità, in Paradiso? Lassù, avremo tre tipi di sorprese: Dove saranno andate a finire tante persone che laggiù sembravano così sante? Ma guarda un po’ quanti peccatori sono riusciti ad entrare in cielo! Toh, tra questi, per misericordia di Dio, ci sono perfino io!”. In questo modo, tra una risata e l’altra, la stanchezza se ne partiva, le ore passavano rapide, e perfino il lavoro, ci guadagnava.

Suor Agnese Marcelli era particolarmente dotata di talento artistico e la comunità, volentieri, la incaricava di inventare un canto o una composizione teatrale, in vista di qualche ricorrenza o data festiva da commemorare. Lei ci ha lasciato questo commento. “Ai nostri tempi non si usava la TV, ma le ricreazioni erano vivacissime e divertenti. Dopo pranzo o dopo cena, a volte, la Madre, ci raccontava alcuni episodi ed esperienze della sua vita. Gesticolava tanto con le mani, utilizzando vari toni di voce, tra cui anche quella maschile, a secondo dei personaggi e usava una mimica facciale e corporale, che ci sembrava di assistere ‘in diretta’ a quegli avvenimenti proposti. La narratrice, presa dall’entusiasmo, diventava un’artista e noi, assistevamo con tanto interesse che, perdevamo la nozione del tempo, come succede con gli innamorati!”

A proposito di espressione corporale e di mani agitate, mi fa piacere riferirti una simpatica e umoristica storiella che mi hanno raccontato, diverse volte e con varianti di dettagli, tra sonore risate, durante i lunghi anni trascorsi in Brasile. Al sapere che ero missionario Italiano, mi domandavano se conoscevo la barzelletta degli Italiani che ‘parlano… con le mani’. Una nave trasportava emigranti provenienti da differenti paesi d’Europa, avendo il Brasile come meta. All’improvviso, stando in alto mare, si scatenò una furiosa tempesta che nel giro di pochi minuti, sommerse l’imbarcazione con onde giganti fino ad affondarla. Tutti i passeggeri perirono annegati, drammaticamente. Tutti meno due ed erano Italiani. Ambedue i naufraghi, riuscirono a scampare miracolosamente, giungendo zuppi d’acqua, ma illesi, sulla spiaggia di Rio de Janeiro. I parenti e gli amici che attendevano ansiosi nel porto, si precipitarono correndo verso i due sopravvissuti, domandando concitati: “Porca miseria! Dov’è la nave? Dove sono tutti gli altri passeggeri?” I due, ignari di tutto, avrebbero risposto: “Perché? Che è successo? Noi stavamo sul ponte della nave, conversando, parlando… parlando”. Insomma; si erano salvati perché gesticolando con le braccia mentre parlavano, avevano nuotato, senza accorgersi ed erano riusciti a scampare dalla tragedia. Appunto: parlando… parlando! All’estero noi Italiani, siamo riconosciuti perché parliamo gridando come se stessimo bisticciando. Agitiamo le mani e gesticoliamo molto con le braccia, durante la conversazione. Se questa è una caratteristica nazionale che ci contraddistingue, è anche vero, però, che tutti abbiamo due mani e due braccia, e pur nelle diverse culture, specie quando parliamo, comunichiamo ‘simbolicamente’, con la gestualità corporea.

Perciò, il Figlio di Dio, nascendo da mamma Maria, si è fatto carne e ossa come noi (1Gv 1,14)! È venuto come ‘Emanu-El’ per svelarci il mistero di Dio, comunità d’amore e il mistero dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza e destinato alla felicità eterna.

Chi di noi, che abbiamo vissuto con la Madre, non ricorda il suo sorriso ampio, luminoso e contagioso? Lei, non voleva ‘colli torti’ e ‘salici piangenti’ attorno a sé, ma gente affabile e sorridente. Infatti, è proprio di chi ama cantare e sorridere, e se è vero che ‘l’allegria fa buon sangue’, è anche vero che fa bene alla salute ed è una benedizione per la vita fraterna in comunità.

La gioia è il segno di un cuore che ama intensamente il Signore ed è profondamente innamorato di Dio. Ammonisce la Fondatrice: “Un’anima consacrata alla carità deve offrire allegria agli altri; fare il bene a tutti e senza distinzioni, desiderando saziare la fame di felicità altrui. Io temo la tristezza tanto quanto il peccato mortale. Essa dispiace a Dio e apre la porta al tentatore”. La lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre, paradossalmente, conferma che è possibile essere felici pur con tante croci (cf 2Cor7,4), vivendo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf Mt 5,1-11). Infatti, come sentenziava in rima San Pio da Pietralcina: “Chi ama Dio come purità di cuore, vive felice, e poi, contento muore!”

 

Verifica e impegno

La Madre ti raccomanda: “Sii santo! Sii santa!”. Come vivi il tuo battesimo, la tua cresima e la tua scelta vocazionale di vita? Ti prendi cura della tua vita spirituale e sacramentale? Che spazio occupa la preghiera durante la tua giornata? In che modo coltivi le tue capacità artistiche e i tuoi talenti creativi?

Madre Speranza contagiava le persone con la sua allegria e la sua vita virtuosa. In che puoi imitarla per essere anche tu una persona felice e realizzata?

Vai in giro con il telefonino in tasca. Non riesci più a vivere senza il cellulare che ti connette con il mondo intero e permette che ti comunichi ‘virtualmente’ con chi vive lontano. Cerchi anche di comunicarti ‘realmente’, con chi ti vive accanto?

E il sorriso? È possibile vederlo spuntare sul tuo volto, anche oggi, o dobbiamo aspettare di goderne solo in Paradiso?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, è grande in me il desiderio di santificarmi, costi quello che costi e solo per darti gloria. Oggi, Gesù mio, aiutata da Te, prometto di nuovo di camminare per questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, senza voltarmi indietro, mossa dall’ansia della perfezione che Tu mi chiedi”. Amen.

 

 

  1. MANI SALUTARI CHE CONFORTANO E GUARISCONO

 

La clinica spirituale di Madre Speranza e la fila dei tribolati

Dal gennaio 1959 fino al 1973, Madre Speranza, su richiesta del Signore, ha svolto un prezioso lavoro di assistenza spirituale. Oltre ai numerosi gruppi di pellegrini che salutava collettivamente, riceveva, individualmente, circa centoventi persone al giorno. L’accoglienza personale è stata un servizio duro e prolungato, a favore di tanta gente che voleva consultarla per problemi morali, spirituali e corporali; che sollecitava una preghiera o domandava un consiglio.

Tante persone sofferenti o con sete di Dio, facevano la spola tra S. Giovanni Rotondo e Collevalenza, tra Padre Pio e Madre Speranza. Moltitudini di tutte le classi sociali sfilarono per il corridoio in attesa di essere ricevute. Noi seminaristi, dalla nostra aula scolastica e con la porta ‘strategicamente’ socchiusa, osservavamo una variopinta fila di visitatori. Sembrava un ‘ambulatorio spirituale’!

Suor Mediatrice Salvatelli, che per tanti anni, assistette la Madre come segretaria, con l’incarico di accogliere i pellegrini che si presentavano per un colloquio, così racconta: “Quando la chiamavo in stanza per cominciare a ricevere le persone, lei, si alzava in piedi, si aggiustava il velo, baciava il crocifisso con amore, supplicando: ‘Gesù mio, aiutami!’. Sono rimasta molto impressionata al notare come riusciva a leggere l’intimo delle persone, e con poche parole che mescolavano lo spagnolo con l’italiano, donava serenità e pace a tanti animi sconvolti, con i suoi orientamenti pratici e consigli concreti”.

 

Un sorriso di compassione e un tocco di guarigione

Svolgendo la sua missione itinerante, Gesù incontrava, lungo il cammino, tanti malati e sofferenti. Predicare e guarire, furono le attività principali della sua vita pubblica. Nella predicazione, egli annunciava il Regno di Dio e con le guarigioni dimostrava il suo potere su Satana (cf Lc 6,19; Mt 11,5). A Cafarnao, entrato nella casa di Simon Pietro, Gesù gli curò la suocera gravemente inferma. Il Maestro le prese la mano, la fece alzare dal letto, e la guarì.

Marco, nel suo vangelo, annota: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò numerosi demoni” (Mc 1,29-34). Gesù risana una moltitudine di persone, afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche e spirituali. Egli, mostra una predilezione speciale per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati e gli esclusi. È Lui il ‘buon Samaritano’ dell’umanità sofferente. È lui che salva, cura e guarisce.

I poveri e i sofferenti, li abbiamo sempre con noi. Per questo motivo Gesù affida alla Chiesa la missione di predicare e di realizzare segni miracolosi di cura e guarigione (cf Mc 16,17 ss). Guarire è un carisma che conferma la credibilità della Chiesa, mostrando che in essa agisce lo Spirito Santo (cf At 9,32 ss;14,8 ss). Essa trova sempre sulla sua strada, tante persone sofferenti e malate. Vede in loro la persona di Cristo da accogliere e servire.

A Gerusalemme, presso la porta del tempio detta ‘Bella’, giaceva un paralitico chiedendo l’elemosina. Il capo degli apostoli gli dichiarò con autorità: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina”. Tutto il popolo rimase stupefatto per la guarigione prodigiosa (cf At 3,1 ss).

Oggi il popolo fa lo stesso. Affascinato, corre dietro ai miracoli, veri o presunti, alle apparizioni e ai fenomeni mistici straordinari.

Balsamo di consolazione per le ferite umane

Madre Speranza rimaneva confusa e dispiaciuta, quando vedeva attitudini di fanatismo, come se essa fosse una superdotata di poteri taumaturgici. Con energia affermava: “A Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso che opera miracoli. Io sono solo uno strumento inutile; una semplice religiosa che fa la portinaia e riceve i pellegrini”. Cercava di spiegare che, ringraziare lei è come se un paziente ringraziasse le pinze del dentista o il bisturi del chirurgo, ma non il dottore!

San Pio da Pietralcina, a volte, diventava burbero per lo stesso motivo e lamentava che quasi tutti i pellegrini che lo consultavano, desideravano scaricare la croce della sofferenza a S. Giovanni Rotondo, ma non chiedevano la forza di caricarla fino al Calvario, come ha fatto Gesù. Madre Speranza aborriva fare spettacolo, apparendo come protagonista principale. Chiedeva ai malati che si confessassero e ricevessero l’unzione degli infermi, per mano dei sacerdoti (cf Gc 5,14 ss). Imponeva loro le mani e pregava intensamente, lasciando lo Spirito Santo operare. Ricordava che la guarigione non era un effetto magico infallibile. Gesù, infatti, con la sua passione, ha preso su di sé le nostre infermità, e con le nostre sofferenze, misteriosamente, possiamo collaborare con Lui per la redenzione e la santificazione di tutto il corpo ecclesiale (cf 2Cor 4,10; Col 1,24). Soffrire con fede e per amore è un grande miracolo che non fa rumore!

Lei ci credeva proprio alle parole del Maestro: “Ero malato e mi avete visitato” (Mc 25,36).   Che l’amore cura e guarisce, lo dichiarano medici, psicologi e terapeuti. Anche il popolo semplice conferma questa verità per esperienza vissuta.

Le pareti del Santuario, mostrano numerose piastrelle con nomi e date che testimoniano, come ex voto, le tante grazie ricevute dall’Amore Misericordioso per intercessione di Madre Speranza, durante la sua vita o dopo la sua morte.

La Fondatrice, esperta in umanità, dà dei saggi consigli pratici alle suore, descrivendoci così, la sua esperienza personale, nella pratica della pastorale con i malati e i sofferenti. “Figlie mie: la carità è la nostra divisa. Mai dobbiamo dimenticare che noi ci salveremo salvando i nostri fratelli. Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale, prima ancora di offrirgli soccorso, o una esortazione, dovete donarle uno sguardo di compassione. Allora, sentendosi compresa, le nostre parole saranno un balsamo di consolazione per le sue ferite. Solo chi si è formato nella sofferenza, è preparato per portare le anime a Gesù e sa offrire, nell’ora della tribolazione, il soccorso morale agli afflitti, agli malati, ai moribondi e alle loro famiglie”. È il suo stile: uno sguardo sorridente e amoroso, come espressione esterna e visibile, mentre la ‘com-passione’ che è il sentimento di condivisione, dal di dentro, muove le mani per le opere di misericordia. È così che faceva Gesù!

Anch’io, di sabato sento la sua stessa compassione, alla vista di moltitudini sofferenti che partecipano alla ‘healing Mass’ (Messa di guarigione), presso il Santuario Nazionale della Divina Misericordia, a Marilao, non lontano da Manila. Le centinaia di pellegrini vengono da isole differenti dell’arcipelago filippino e ciascuno parla la sua lingua. Ognuno arriva carico dei problemi personali o dei famigliari di cui mostrano, con premura, la fotografia.  Sovente sono afflitti da drammi terribili, da malattie incurabili.  Quasi sempre sono senza denaro e senza assistenza medica. Entrano nella fila enorme per ricevere sulla fronte e sulle mani, l’olio profumato e benedetto. Vedeste la fede di questo popolo sofferente e abbandonato a se stesso! Ho notato che basta una carezza, un po’ di attenzione e i loro occhi si riempiono di lacrime al sentirsi trattati con dignità e compassione. Rimangono specialmente riconoscenti, se ti mostri disponibile per posare, sorridendo, davanti alla macchina fotografica per la foto ricordo. Pur sudato, mai rispondo no. Povera gente!

 

Dio ci ha messo la firma e Madre Speranza diventa ‘Beata’

Chi crede non esige miracoli e in tutto vede la mano amorosa di Dio che fa meraviglie nella vita personale e nella storia, come canta Maria nel ‘Magnificat’ (cf Lc 1,46 ss).

Chi non crede non sa riconoscere i segni straordinari di Dio ed essi non bastano per credere (cf Mt 4,2-7; 12,38). In genere, è la fede che precede il miracolo e ha il potere di trasportare le montagne cioè, di vincere il male. Dio è meraviglioso nello splendore dei suoi santi che hanno vissuto la carità in modo eroico.

La Chiesa, dopo un lungo il rigoroso esame e il riconoscimento di un ‘miracolo canonico’, ufficialmente e con certezza, ha dichiarato che Madre Speranza è “Beata!”.

Il 31 maggio 2014, con una solenne cerimonia, a Collevalenza, testimone della vita santa di Madre Speranza, una moltitudine di fedeli, ascolta attenta il decreto pontificio di papa Francesco che proclama la nuova beata. Che esplosione di festa!

Ed è proprio il quindicenne Francesco Maria Fossa, di Vigevano, accompagnato dai genitori Elena e Maurizio, che porta all’altare le reliquie di colei che lo aveva assunto come “madrina”, quando aveva appena un anno di età. Colpito da intolleranza multipla alle proteine, il bambino, non cresceva e non poteva alimentarsi. I medici non speravano più nella sua sopravivenza. Casualmente, la mamma, viene a sapere di Madre Speranza, dell’acqua ‘prodigiosa’ del Santuario di Collevalenza che il piccolino comincia a bere. In occasione del suo primo compleanno, il bimbo mangia di tutto senza disturbi e nessuna intolleranza alimentare. Secondo il giudizio medico scientifico si trattava di una guarigione miracolosa, grazie all’intercessione di Madre Speranza.

Dio ci aveva messo la firma con un miracolo! Costatato ciò, papa Bergoglio ha iscritto la ‘Serva di Dio’ nel numero dei ‘Beati’.

 

Verifica e impegno

Le sofferenze e le infermità ci insidiano in mille modi e sono nostre compagne nel viaggio della vita. Gesù le ha assunte, ma le ha anche curate. Come reagisco, davanti al mistero della sofferenza? Le terapie e le medicine, da sole, non bastano. Madre Speranza ci insegna un grande rimedio che non si compra in farmacia: la compassione, cioè l’affetto, la vicinanza, la preghiera…

Provaci. L’amore fa miracoli e guarisce!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio: per il tuo amore e per la tua misericordia, guarisci noi, che siamo tuoi figli, da ogni malattia, specialmente da quelle infermità che la scienza umana non riesce a curare. Concedici il tuo aiuto perché conserviamo sempre pura la nostra anima da ogni male”. Amen.

 

 

  1. MANI BENEDETTE CHE LIBERANO

 

il Regno di Dio e la vittoria di Gesù sul maligno

I vangeli narrano lo scontro personale e diretto tra Gesù e Satana. In questo duello, il grande nemico ne esce sconfitto (cf Mt di 4,11 p.). Sono numerosi gli episodi in cui persone possedute dal demonio, entrano in scena (Mc 1,23-27 p; 5,1-20 p; 9,14-29 ss).    Gesù libera i possessi e scaccia i demoni a cui, in quell’epoca, si attribuivano direttamente malattie gravi e misteriose che, oggi, sono di ambito psichiatrico.

Un giorno, un babbo angosciato, presentò al Maestro suo figlio epilettico. “ll ragazzo, caduto a terra, si rotolava schiumando. Allora Gesù, vedendo la folla accorrere, minacciò lo spirito impuro, dicendogli: ‘Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrate più’. Gridando e scuotendolo fortemente, uscì e il fanciullo diventò come morto. Ma, Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi (Mc 9,14 ss). Le malattie, infatti, sono un segno del potere malefico di Satana sugli uomini.

Con la venuta del Messia, il Regno di Dio si fa presente. Lui è il Signore e con il dito di Dio, scaccia demoni (cf Mt 12,25-28p). Le moltitudini rimangono stupefatte davanti a tanta autorità, e assistendo a guarigioni così miracolose (cf Mt 12,23;Lc 4,35ss).

 

Persecuzioni diaboliche e le lotte contro il  ‘tignoso’

La Fondatrice, parlando alle sue figlie il 12 agosto 1964, le allertò con queste parole: “Il diavolo, rappresenta per noi un pericolo terribile. Siccome lui, per orgoglio, ha perso il Paradiso, vuole che nessuno lo goda. Essendo molto astuto, dato che nel mondo ha poco lavoro perché le persone si tentano reciprocamente, la sua occupazione principale è quella di tentare le persone che vogliono vivere santamente”.

Ha avuto l’ardire di tentare perfino il Figlio di Dio e propone anche noi, con un ‘imballaggio’ sempre nuovo e seduttore, le tipiche tentazioni di sempre: il piacere, il potere e la gloria (cf Gen 3,6). Sa fare bene il suo ‘mestiere’ e, furbo com’è, fa di tutto per tentarci e sedurci, servendosi di potenti alleati moderni che si camuffano con belle maschere. Anche il ‘mondo’ ci tenta con le sue concupiscenze e i tanti idoli.

Con Madre Speranza, così come ha fatto con Gesù e come leggiamo nella vita di numerosi santi, spesso, ha agito direttamente, a viso scoperto e con interventi ‘infernali’.

La Fondatrice ci consiglia di non avere paura di lui: “Il demonio è come un cane rabbioso, ma legato. Morde soltanto chi, incautamente, gli si avvicina (cf 1Pt 5,8-9) Oltre a usare suggestioni, insinuazioni e derisioni, in certi casi si è materializzato assumendo sembianze fisiche differenti. Così passava direttamente alle minacce e alle percosse, cercando di spaventarla per farla desistere dalla realizzazione di ciò che il Signore le chiedeva.

Chi è vissuto accanto alla Fondatrice, è testimone delle numerose vessazioni che lei ha sofferto da parte di quella “bestia senza cuore”. Si trattava di pugni, calci, strattoni, colpi con oggetti contundenti, tentativi di soffocamento e ustioni. Nel  suo diario, la Madre, numerose volte, si rivolge al confessore per confidarsi con lui e ricevere orientamenti. Cito solo un brano del 23 aprile 1930. “Questa notte l’ho passata abbastanza male, a causa della visita del ‘tignoso’ che mi ha detto: ‘Quando smetterai di essere tonta e di fare caso a quel Gesù che non è vero che ti ama? Smetti di occuparti della fondazione. Lo ripeto, non essere tonta. Lascia quel Gesù che ti ha dato solo sofferenze e preparati a sfruttare della vita più che puoi’”.

 

Con noi, in genere, il demonio è meno diretto, ma ci raggira più facilmente, tra l’altro diffondendo la menzogna che lui non esiste. Quanta gente cade in questo tranello!

 

Quella mano destra bendata

Il demonio, come perseguitava Padre Pio, non concedeva tregua nemmeno a Madre Speranza, rendendole la vita davvero difficile.

La vessazione fisica del demonio, la più nota, avvenne a Fermo presso il collegio don Ricci, il 24 marzo del 1952. L’aggressione iniziò al secondo piano e si concluse al piano terra. Il diavolo la colpì più volte con un mattone, sotto gli occhi esterrefatti di un ragazzo che scendeva le scale e vide che la povera religiosa si copriva la testa con le mani, mentre, il mattone, mosso da mano invisibile, la colpiva ripetutamente sul volto, sul capo e sulle spalle, causandole profonde ferite, emorragia dalla bocca e lividi sul volto.

Monsignor Lucio Marinozzi che celebrava la santa messa nella vicina chiesa del Carmine, all’ora della comunione, se la vide comparire coperta di lividi e sostenuta da due suore; malridotta a tal punto che non riusciva a stare in piedi da sola. Rimase molto tempo inferma e fu necessario ricoverarla in una clinica a Roma.

Ma la frattura dell’avambraccio destro, non guarì mai per completo, tanto è vero che lei, per molti anni, fu obbligata, per poter lavorare normalmente, a utilizzare un’apposita fasciatura di sostegno. I pellegrini che, a Collevalenza, avvicinavano la Madre e le baciavano la mano con reverenza, in genere, pensavano che lei, come faceva anche Padre Pio che usava semi-guanti, utilizzasse quella benda bianca per nascondere le stimmate. Se il motivo fosse  stato quello, avrebbe dovuto fasciare ambedue le mani!

Il demonio era entrato furioso nella sua stanza mentre lei stava scrivendo lo ‘Statuto per sacerdoti diocesani che vivono in comunità’, e dopo averla massacrata con il mattone fratturandole la mano, il ‘tignoso’ aveva aggiunto: “Adesso va a scrivere!”. Ehhh… Diavolo beffardo!

 

Mani stese per esorcizzare e liberare

Gesù invia gli apostoli in missione con l’incarico di predicare e il potere di curare e di scacciare i demoni (cf Mc 6,7 p;16,17).

Le guarigioni e la liberazione degli indemoniati, lungo i secoli e ancor oggi, è uno dei segni che caratterizzano la missione della Chiesa (cf At 8,7; 19,11-17). Satana, ormai vinto, ha solo un potere limitato e la Chiesa, continuando la missione di Gesù, conserva la viva speranza che il maligno e i suoi ausiliari, saranno sconfitti definitivamente (cf Ap 20,1-10). Alla fine trionferà l’Amore Misericordioso del Signore.

Una sera, ricorda il professor Pietro Iacopini, facendo il solito giro in macchina per far riposare un po’ la Madre, come il medico le aveva prescritto, notò che il collo della Fondatrice, era arrossato e mostrava graffi e gonfiori. Preoccupato le domandò cosa fosse successo. Lei gli raccontò che il tignoso l’aveva malmenata, poi, sorridendo, con un pizzico di arguzia, commentò: “Figlio mio, quando il nemico è nervoso, dobbiamo rallegrarci nel Signore perché significa che i suoi affari, povero diavolo, non vanno affatto bene!”.

Noi seminaristi studiavamo nel piano superiore e ogni tanto, impauriti per le ‘diavolerie’, sentivamo urla e rumori strani nella sala sottostante, dove la Madre riceveva le visite.

A volte, non si trattava di possessione diabolica. Allora, lei, spiegava ai familiari che trepidanti accompagnavano ‘ i pazienti’ a Collevalenza che, era solo un caso di isteria, di depressione, o di esaurimento nervoso. Quando invece, percepiva che era un caso serio, mandava a chiamare l’esorcista autorizzato del Santuario che arrivava con tanto di crocifisso, stola violacea e secchiello di acqua santa per le preghiere di esorcismo. Noi seminaristi, ci dicevamo: “Prepariamoci. Sta per cominciare una nuova battaglia!”.

Una mattina, noi ‘Apostolini’, dalla finestra, vedemmo arrivare da Pisa una famiglia disperata, portando un ferroviere legato con grosse funi che, in casa creava un vero inferno. Stavano facendo un esorcismo nella cappellina. Quando la Madre entrò, impose le sue mani sulla testa del poveretto, che cominciò a urlare, a maledire e a bestemmiare, gridando: “Togli quella mano perché mi brucia!” E lei, con tono imperativo, replicava: “In nome di Gesù risuscitato, io ti comando di uscire subito da questa povera creatura”. “E dove mi mandi?, ribatteva lui. “All’inferno, con i tuoi colleghi”, concludeva lei (cf Mc 5,1ss).

l’11 febbraio 1967, la Madre stessa, raccontò alle sue suore un caso analogo, accaduto con una signora fiorentina, posseduta dal demonio da undici anni. “Si contorceva per terra come una serpe, gridando continuamente: ‘Non mi toccare con quella mano’. Urlava furiosa, facendo schiuma dalla bocca e dal naso”. Lei, con più energia, la teneva ferma e le passava la mano sulla fronte, comandando al demonio: “Vattene, vattene!”. Padre Mario Gialletti, commenta che la Madre le consigliò di passare in Santuario, di pregare, di confessarsi e fare la santa comunione. La signora uscì dalla saletta tutta dolorante per i colpi ricevuti e una cinquantina di pellegrini che avevano presenziato il fatto straordinario, rimasero assai impressionati.

 

Verifica e impegno

Il diavolo è astuto e sa fare bene il suo  lavoro che è quello di tentare, cioè di indurre al male, alla ribellione orgogliosa, come successe,  fin dall´inizio, con Adamo ed Eva che commisero il peccato per niente ‘originale’, perché è ciò che anche noi facciamo comunemente (cf Gen 3)! Nel mondo attuale, ha numerosi alleati, più o meno camuffati, che collaborano in società con lui. Come reagisco per vincere le tentazioni che sono sempre belle e attraenti, ma anche, ingannevoli e mortifere?

Ecco le armi che la Madre ci consiglia di usare per vincere il nemico infernale e il mondo che ci tenta con le sue concupiscenze e l’idolatria del piacere, del potere e della gloria: la penitenza, la fuga dai vizi, fare il segno della croce, invocare l’Angelo custode e la Vergine Immacolata; usare l’acqua santa, ma soprattutto, la preghiera di esorcismo. I santi e Madre Speranza per prima, garantiscono che questa ricetta è un santo rimedio! Fanne l’esperienza anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Dio mio, Ti prego: i miei figli e le mie figlie, mai, abbiano la disgrazia di essere mossi dal demonio o guidati da lui. Signore, non lo permettere! Aiutali, Gesù mio perché nella tentazione non Ti offendano, e se per disgrazia cadessero, abbiano il coraggio di confessare come il figlio prodigo: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te; non merito di essere chiamato tuo figlio’. Da’ loro il bacio della pace e  riammettili nella tua amicizia”. Amen.

 

 

 

 

 

 

  1. MANI MISERICORDIOSE CHE PERDONANO

 

Perdonare i nemici, vincendo il male con il bene

Il Dio dei perdoni (cf Ne 9,17) e delle misericordie (cf Dn 9,9), manifesta che è onnipotente, soprattutto nel perdonare (cf Sap 11,23.26).

Gesù dichiara che è stato inviato dal Padre, non per giudicare, ma per salvare (cf Gv 3,17 ss). Per questo motivo, invita i peccatori alla conversione, e proclama che la sua missione è curare e perdonare (cf Mc 1,15). Egli stesso, sparge il suo sangue in croce e muore perdonando i suoi carnefici: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Il Maestro ci rivela che Dio è un Padre che impazzisce di gioia quando può riabbracciare il figlio perduto. Desidera che tutti i suoi figli siano felici e che nessuno si perda (cf Lc 15). Il Signore, nella preghiera del Padre nostro, ci insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona e che per ottenere il suo perdono, è necessario che anche noi perdoniamo i nostri nemici (cf Lc 11,4; 18,23-35). Nel discorso delle beatitudini, l’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Egli, con tono imperativo, ci chiede di imitare il Padre misericordioso che è benevolo anche verso gli ingrati e i malvagi.

Il Maestro, ci indica un programma di vita evangelica tanto impegnativo, ma anche ricco di gioia e di pace. “Amate i vostri nemici e fate del bene a quanti vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono; pregate per quelli che vi trattano male” (Lc 6, 27-28).

Per vincere il male con il bene (cf Rm 12,21), il cristiano è chiamato a perdonare sempre, per amore di Cristo (cf Cl 3,13). Gesù ci chiede di donare e  per-donare come Dio che ci perdona settanta volte sette, e ogni giorno (cf Mt 18,21). Ancor più siamo chiamati ad aprire il cuore a quanti vivono nelle differenti periferie esistenziali che il mondo moderno crea in maniera drammatica, escludendo milioni di poveri, privati di dignità e che gridano aiuto (cf Mt 25, 31-45).

 

“Questa vostra Madre ha imparato a perdonare”

Come succede  un poco con tutti noi, anche Madre Speranza, durante la sua lunga esistenza, ha dovuto affrontare tanti problemi e conflitti, tensioni ed esplosioni di passionalità. Solo che, in alcuni casi, le sue prove, le incomprensioni, le calunnie e le persecuzioni, sono state ‘superlative’. Vere dosi per leoni!

Addirittura un caso di polizia fu il doppio attentato alla sua vita, sofferto a Bilbao, nel novembre del 1939 e nel gennaio del 1940. Lei era malata e le offrirono del pesce avvelenato con arsenico. Non ci lasciò le penne per miracolo e perché non era giunta ancora la sua ora.

Un altro episodio che uscì perfino sui giornali, lei stessa lo racconta nel diario del 23 ottobre 1939. Stando a Bilbao, durante la fratricida guerra civile, fu intimata a presentarsi al comando militare per essere interrogata riguardo all’accusa di collaborazione con i ‘Rossi Separatisti Baschi’. Rischiò di essere messa al muro e fucilata. Si salvò per un pelo. Al soldato che la minacciava con voce grossa, chiese di poter parlare con il ‘Generalissimo Francisco Franco’ che la conosceva e apprezzava la sua associazione di carità. Fu chiarito l’equivoco e lasciata libera, ma don Doroteo, un prestigioso ecclesiastico, da amico e confessore che era stato, passò a ostilizzarla quando la signorina Pilar de Arratia gli tolse l’amministrazione delle scuole dell’Ave Maria e le donò all’Associazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Si sentì fortemente offeso e, sobillando autorità ed ecclesiastici influenti, cominciò, con odio implacabile, a diffamarla e danneggiarla. Era stato lui a calunniarla e denunciarla. Quando, anni più tardi, arrivò a Collevalenza la notizia della morte di don Doroteo, una suora, che conosceva la dolorosa storia, non seppe contenersi e le scappò di bocca un commento sconveniente. Accennò, addirittura, a un applauso di contentezza, ma la Madre, puntandole l’indice contro, e guardandola con severità, l’interruppe energicamente. “No, figlia, no! Dio permette la tormenta delle persecuzioni perché la Congregazione si consolidi con profonde radici e noi, possiamo crescere in santità, imitando il buon Gesù che, accusato ingiustamente, non si difese, ma amò tutti e scusò tutti. La persecuzione è dolorosa, ma è come il concime che alimenta la pianta della nostra famiglia religiosa. Ricordatevi che i nostri nemici sono ciechi e offuscati dalla passione, ma il Signore, si serve di loro e perciò, diventano i nostri maggiori benefattori”.

Solo Dio sa quante ‘messe gregoriane’, la Madre, mandò a celebrare in suffragio  dell´anima di don Doroteo e… compagnia!

 

Le mani misericordiose della Madre che abbracciano chi l’ha tradita

“Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Gesù ci chiede la forma più eroica di amore verso il prossimo che è la benevolenza verso i nemici. Ma, ancor più eroico, è perdonare chi è membro della famiglia, e per interessi o per altre passioni, ci abbandona, come fecero gli apostoli con Gesù, ci rinnega, come fece Simon Pietro e ci tradisce come fece Giuda Iscariote che vendette il Maestro al Sinedrio, per trenta monete d´argento. Il costo di un bue!

Quanti abbandoni di illustri ecclesiastici che le hanno voltato le spalle, ha sofferto Madre Speranza! Quanti superiori prevenuti e consorelle invidiose, l’hanno diffamata e tradita. Così, lei, si sfogava nella preghiera il 27 luglio del 1941: “Dammi, Gesù mio, molta carità. Con la tua grazia, sono disposta a soffrire, con gioia, tutto ciò che vuoi mandarmi o permetti che mi facciano. Spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione, e che le persone di alta dignità mi perseguitano. Ma io Ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto”.

Durante gli anni 1960-1965, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle, si era prodotta una forte contestazione delle scelte della Madre, impegnata nelle opere del Santuario che il Signore le aveva chiesto. Un notevole numero di suore dissidenti, abbandonò la Congregazione e alcune, addirittura, senza riuscirci,  tentarono di dare vita a una nuova fondazione religiosa.

Il giovedì santo del 1965, in un’estasi, la Fondatrice in preghiera, così si sfogò col buon Gesù: “Signore, ricordati di Pietro che Ti amava moltissimo. Fu il primo a rinnegarti per paura, e tu lo hai perdonato. Perché oggi, giovedì santo, giorno di perdono, non dovresti perdonare queste mie figlie, addottrinate da un tuo ministro che, come un Giuda, ha riempito la loro testa di tante calunnie? Io non Ti lascerò in pace fino a che non mi dici che non Ti ricordi più di quanto queste figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu, dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto. Questo è il momento, Signore! Perdona queste figlie mie, e perdona questo tuo ministro!”. Pur amareggiata, ma con il cuore del Padre del figlio prodigo, arrivò a confessare: “Se queste figlie mie, pentite, volessero ritornare in Congregazione, io le accoglierei di nuovo”.

Ah, il cuore, le braccia e le mani misericordiose di Madre Speranza! Penso che noi, gente comune, nella sua stessa situazione, non avremmo avuto un coraggio così eroico nel perdonare, ma le avremmo pagate con altre monete!

 

Verifica e impegno

Gesù vive e muore perdonando. Ci chiede di perdonare i nostri ‘nemici’. L’esperienza mi ha insegnato che, i più pericolosi sono quelli che vivono vicino, e sotto lo stesso tetto…

Madre Speranza ha amato tutti, ma ha avuto tanti nemici che l’hanno fatta soffrire con calunnie gravissime  e con  persecuzioni superlative, fino al punto che hanno tentato addirittura di avvelenarla e di fucilarla. Lei ha abbracciato chi l’ha tradita. Con i tuoi nemici, come reagisci?

Siamo soliti dire: perdonare è ‘eroico’. Madre Speranza, ci insegna invece, che, perdonare, è ‘divino’: solo con l’amore appassionato del buon Gesù e con il dono dello Spirito Santo, si può vincere la legge spietata del ‘taglione’. Se nel sacramento della penitenza sperimenti la misericordia di Dio,  poco a poco, con la forza della preghiera, imparerai a vincere il male con il bene. Con la Madre ha funzionato; provaci anche tu!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Gesù mio, fa’ che io ami i miei nemici e perdoni quelli che mi perseguitano. Che io faccia della mia vita un dono e segua sempre la via della croce”. Amen.

 

 

 

 

  1. MANI GIUNTE CHE PREGANO

 

Gesù modello e maestro nell’arte di pregare

Non possiamo nascondere un certo disagio riguardo alla pratica della nostra orazione. Sappiamo che la preghiera è importante e necessaria, ma allo stesso tempo, ci sentiamo eterni principianti, un po’ insoddisfatti e con non poche difficoltà riguardo alla vita di preghiera.

I Vangeli mostrano costantemente Gesù in preghiera, non solo nel tempio o nella sinagoga per il culto pubblico, ma anche che prega da solo, specie di notte, ritirato in un luogo appartato, o magari sul monte (cf Mt 14,23). Egli sentiva il desiderio di intimità silenziosa con il Padre  suo, ma la sua preghiera era anche collegata con la missione che doveva svolgere, come ci ricorda l’esperienza della tentazione nel deserto (cf Mt 4, 1-11), infatti, l´orante, è  sempre messo alla prova.

San Luca mostra con insistenza Gesù che prega in situazioni di speciale importanza: nel battesimo (3,21), prima di scegliere i dodici (6,12-16), nella trasfigurazione (9,29) e prima di insegnare il ‘Padre nostro’(11,1). Era così abituato a recitare i salmi che li ricordava a memoria. Infatti, li ha recitati nella notte della Cena Pasquale (Sl 136), li ha fatti suoi durante la passione (Sl 110,1) e perfino sulla croce (Sl 22,2). Gli apostoli erano così ammirati del modo come Gesù pregava che, uno di loro, gli domandò: “Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,11). Il ‘Padre nostro’, infatti, è il salmo di Gesù e il suo modo filiale di pregare, con fiducia, umiltà, insistenza, e soprattutto, con familiarità (cf Mt 6,9-13).

 

La familiarità orante con il Signore

Per pregare bisogna avere fede e il cuore innamorato.

Madre Speranza, mossa dalla grazia divina, ha espresso il suo amore profondo verso il Signore mediante una costante ricerca orante e assidua pratica sacramentale. Così supplicava: “Aiutami, Gesù mio, a fare di Te il centro della mia vita!”. Era mossa, infatti, dal vivo desiderio di rimanere sempre unita al buon Gesù, ” l’amato dell’anima mia”. “Per elevare il cuore al nostro Dio, è sufficiente la considerazione che Egli è il nostro Padre”, affermava. Infatti, per lei, la preghiera “è un dialogo d’amore, una conversazione amichevole, un intimo colloquio” con Colui che ci ama per primo e sempre.

Prima di prendere importanti decisioni, ella diceva che doveva consultare ‘il cuscino’, perciò chiedeva preghiere, e durante il giorno, mentre lavorava o attendeva ai suoi molteplici impegni, si manteneva in clima di continua preghiera, ripetendo brevi ma fervide  giacolatorie.

Era solita confessarsi ogni settimana e riceveva la santa comunione quotidianamente. A questo riguardo fa un’affermazione audace e bellissima. “Se vogliamo veramente camminare nella via della santità, dobbiamo ricevere ogni giorno il buon Gesù nella santa comunione e invitarlo a rimanere con noi. Siccome Lui è sommamente cortese e amabile, accetta di restare perché il cuore umano è la sua dimora preferita, così che noi, diventiamo un tabernacolo vivente”. La preghiera infiamma il nostro cuore, ci insegna a combattere i vizi e realizza in noi una misteriosa trasformazione. È lì che apprendiamo la scienza di vivere uniti al nostro Dio e attingiamo la forza per svolgere con efficacia la missione affidataci.

Pregare è come respirare o mangiare: è questione di vita o di morte! Attraverso il canale della preghiera il Signore ci concede le sue grazie per vincere le tentazioni e i nostri potenti nemici. La Fondatrice ci catechizza riguardo alla necessità della preghiera con questa viva ed efficace immagine: “Un cristiano che non prega è come un soldato che va alla guerra senza le armi!”. Non solo perde la guerra, ma ci rimette perfino la pelle!

 

Le mani di Madre Speranza nelle ‘distrazioni estatiche’

Chi ha frequentato a lungo Madre Speranza, specie negli ultimi anni, si porta stampata negli occhi l’immagine della Fondatrice con la corona del rosario tra le dita, sgranata senza sosta. Quelle mani hanno lavorato incessantemente e costruito opere giganti che hanno del miracoloso: sono le mani operose di Marta e il cuore appassionato Maria (cf Lc 18, 38-42).

Lei per prima dava l’esempio di ciò che insegnava con le parole: “Dobbiamo essere persone contemplative nell’azione. La nostra vita consiste nel lavorare pregando e pregare amando”. Ogni tanto ripeteva alle suore che si dedicavano al taglio, cucito e ricamo: “A ogni punto d’ago un atto di amore. Attenzione all’opera, ma il cuore e la mente sempre in Dio”. Vissuta in questo modo, la preghiera, diventa una santa abitudine, un modo costante di vivere in clima orante, in risposta a ciò che Gesù ci chiede: “Pregate sempre, senza stancarvi mai” (Lc 18,1). La preghiera, infatti, è un’arte che si impara pregando.

Il rapporto personale di Madre Speranza con il  Signore può essere compreso solo alla luce di alcuni fenomeni mistici straordinari che lei ha potuto sperimentare nella piena maturità. In particolare ‘l’incendio di amore’, sentito più volte a contatto diretto con il Signore e ‘lo scambio del cuore’, verificatosi nel 1952, come lei stessa nota nel suo diario del 23 marzo.

Un altro fenomeno mistico ricorrente, di cui anch’io sono stato testimone, sono le estasi, iniziate nel 1923 e che si verificavano con frequenza ed ovunque: in cucina, in cappella, in camera, di giorno, di notte, da sola o in pubblico. Quanto il Signore si manifestava in ‘visione diretta’, lei generalmente cadeva in ginocchio; univa le mani, intrecciava le dita e stringeva il crocifisso sul petto. “Fuori di me e molto unita al buon Gesù”, è la frase che usa per definire questo fenomeno che lei chiama ‘distracción (distrazione, rapimento)’. Le mie distrazioni, e forse anche le tue, sono di tutt’altro tipo. Io, quando mi distraggo nella preghiera, divento un ‘astronauta’ e volo di qua e di là, con la fantasia sciolta! Lei dialogava intimamente con un ‘misterioso interlocutore invisibile’, ma in genere, riuscivamo a capire l’argomento trattato, come quando si ascolta uno che parla al telefono con un’altra persona. Quando la sentivamo dire: “Non te ne andare”, capivamo che l’estasi stava per finire, e allora, tutti fuggivamo per non essere rimproverati da lei, che non voleva perdessimo il tempo curiosando la sua preghiera.

La prima volta che  l’ho vista in estasi, mi ha fatto tanta impressione. Eravamo alla fine del 1964. Avevo quindici anni ed ero entrato in seminario da pochi mesi. Stavamo a scuola, e una mattina, si sparse la voce che la Madre stava in estasi presso la nostra cappellina. Fu un corri corri generale in tutta la casa. La trovammo  in ginocchio e con le mani giunte, immobile come una statua. Solo le labbra, ogni tanto si muovevano e noi cercavamo di capire cosa lei dicesse, mescolando l’italiano  con lo spagnolo, tra lunghe pause di silenzio. “Signore mio: quanta gente arriva a Collevalenza, carica di angustie e sofferenze. Io li raccomando a Te… Concedi il lavoro a chi non ce l’ha e pace alle famiglie in discordia… Stanotte sono morte varie galline e sono poche quelle che depongono le uova: cosa do da mangiare ai seminaristi?… L’architetto dell’impresa edile, vuole essere pagato e devo pagare anche le statue della via crucis. Dove lo prendo il denaro? Forse pensi che io ho la macchinetta che stampa i soldi? Che faccio? Vado a rubare?”. Due cose sono rimaste stampate per sempre nella mia mente: le mani supplicanti della Fondatrice e la sua familiarità audace con cui trattava con il Signore della vita e delle necessità di ogni giorno. Che sorpresa e che lezione fu per me vedere ed ascolare la Madre in estasi!

 

Verifica e impegno

Per la mentalità mondana e secolarizzata, pregare equivale a perdere tempo. Ma Gesù ha pregato; ha alimentato la sua unione con il Padre e ci ha insegnato a pregare ‘filialmente’. Madre Speranza, donna di profonda spiritualità, per esperienza personale afferma che la preghiera è come un canale attraverso il quale passano le grazie  di cui abbiamo bisogno. Come il soldato ha fiducia delle armi, noi, confidiamo nel potere divino della preghiera? Tu preghi?

Vuoi migliorare la tua preghiera? Mettiti alla scuola di Gesù. Se frequenti assiduamente la liturgia della Chiesa e partecipi di movimenti ecclesiali, con il passare degli anni, imparerai a pregare e la tua preghiera diventerà di prima qualità.

Un consiglio pratico: dedica ogni giorno, un tempo prolungato alla lettura orante della parola di Dio, specialmente del Vangelo. La Madre, che di preghiera se ne intende, ti consiglia: abituati a meditare mentre lavori o  viaggi, e ogni tanto, eleva il tuo pensiero a Dio. Ripeti lentamente una giaculatoria o una breve formula. È facile. Non c’è bisogno di usare libri, e questo tipo di orazione la puoi fare ovunque. Le giaculatorie sono frecce d’amore che ci permettono di mantenere il contatto con il Signore giorno e notte. Provare per crederci!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, fa’ che nella mia preghiera non perda il tempo in discorsi o richieste che a Te non interessano, ma esprima sentimenti di affetto affinché la mia anima, ansiosa di amarti, possa facilmente elevarsi a Te”. Amen.

 

 

  1. MANI ALZATE CHE INTERCEDONO

 

“Di notte, presento al Signore, la lista dei pellegrini”

Nella sacra scrittura, tra tutte le figure di oranti, quella che domina, è Mosè. La sua orazione, modello di intercessione, preannuncia quella di Gesù, il grande intercessore e redentore dell’intera umanità (cf Gv 19, 25-30 ).

Mosè è diventato la figura classica di colui che alza le braccia al cielo come mediatore. Grazie a lui, Il ‘popolo dalla dura cervice’, durante la traversata del deserto, mise alla prova il Signore reclamando la mancanza d’acqua dolce: “Dateci acqua da bere”.  Su richiesta sua, Il Signore, dalla roccia sull’Oreb, fece scaturire una sorgente per dissetare il popolo e gli animali (cf Es 17,1-7). Continuando il cammino, la comunità degli israeliti, mormorò contro Mosè ed Aronne: “Ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine!”. Grazie all’intercessione di Mosè, il Signore promise: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi” (Es 16,4).

Decisiva fu la mediazione della grande guida, nel combattimento contro i razziatori Amaleciti: ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma, quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole”  (Es 17, 11-12).

La supplica del grande legislatore, diventa, addirittura, drammatica quando il popolo pervertito pecca di infedeltà, tradisce il patto dell’alleanza e adora, idolatricamente il vitello d’oro. “Mosè, allora, supplicò il Signore suo Dio e disse: ‘perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese di Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, e di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato di rendere la loro posterità numerosa come le stelle del cielo’ “. Grazie alla preghiera di intercessione di Mosè, l’autore sacro, conclude il racconto con queste significative parole: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).

Madre Speranza ha esercitato per lunghi anni la sua maternità spirituale in favore dei pellegrini, bisognosi e sofferenti, che ricorrevano a lei con insistenza e fiducia. Seleziono alcuni stralci, dalle lettere circolari del 1959 e del 1960, inviate alle nostre comunità religiose in cui, lei stessa, che si definisce ‘la portinaia del Santuario’, descrive la sua preziosa missione e la sua materna intercessione.

“Cari figli e figlie: qui sto ore e ore, giorni e giorni, ricevendo poveri e ricchi, anziani e giovani, tutti gravati da grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. Terminata la giornata, vado a presentare al buon Gesù le necessità di ciascuno, con la certezza di non stancarlo mai. So infatti, che Lui, come vero Padre, mi aspetta con ansia perché io interceda per tutti coloro che aspettano da Lui il perdono, la salute, la pace e il necessario per la vita. Lui, che è tutto amore e misericordia, specie con i figli che soffrono, non mi lascia delusa. Che emozione sento, davanti all’amorevole delicatezza del nostro buon Padre! Debbo comunicarvi che il buon Gesù, sta operando grandi miracoli in questo suo piccolo Santuario di cui occupo il posto di portinaia.

Quando ho terminato di ricevere i pellegrini, vado al Santuario per esporre al buon Gesù ciò che mi hanno presentato… Gli raccomando queste anime bisognose; Lo importuno con insistenza e gli chiedo che conceda loro quanto desiderano. Il buon Gesù, le sta aspettando come una tenera madre per concedere loro, molte volte, delle guarigioni miracolose e delle grazie insperate”.

 

Madonna santa, aiutaci!

La Fondatrice coltivava una tenera devozione verso la Madonna, che veneriamo con il titolo di ‘Beata Vergine Maria Mediatrice di tutte le grazie’, patrona speciale, della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso.

Madre Speranza ci ha spiegato il significato di questo titolo mariano. Solo Gesù è la fonte, l’unico mediatore necessario (cf 1Tim 2,5-6). Lei è ‘il canale privilegiato’, attraverso cui passano le grazie divine, continuando così, eternamente, la sua missione di ‘Serva del Signore’, per la quale, l’Onnipotente ha operato grandi meraviglie (cf Lc 1,46-55). Specie in situazioni di prova o di urgenti necessità, la Fondatrice, si rivolgeva fiduciosamente alla Madonna santa.

Particolarmente sofferta fu la gestazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. Il 25 maggio 1951, in viaggio verso Fermo per visitare l’arcivescovo Mons. Norberto Perini, lei, sua sorella madre Ascensione, madre Pérez del Molino e Alfredo di Penta, arrivarono in macchina al Santuario di Loreto, presso la ‘Santa Casa’ dove, secondo la tradizione popolare, ‘il Verbo si è fatto carne’. Viaggiarono, come pellegrini, per chiedere alla Madonna lauretana una grande grazia: ottenere da Gesù che Alfredo potesse arrivare ad essere il primo Figlio dell’Amore Misericordioso e un santo sacerdote. Alfredo, infatti era un semplice laico e aveva urgente bisogno di ricevere un po’ di scienza infusa per poter cominciare, a trentasette anni suonati, gli studi ecclesiastici che, in quel tempo erano in latino. La Madre pregò tanto e con fervore. Sull’imbrunire domandò al custode del Santuario: “Frate Pancrazio, mi potrebbe concedere il permesso di passare la notte in veglia di orazione, nella Santa Casa?”. “Sorella, mi dispiace tanto, le rispose l’osservante cappuccino. Sono figlio dell’obbedienza, e dopo le 19:00, devo chiudere la basilica. Questo è l’ordine del guardiano”. Racconta P. Alfredo: “Allora, un po’ dispiaciuti, uscimmo, consumammo una frugale cena al sacco presso un piccolo hotel e poi, ci ritirammo ciascuno nella propria camera. Al mattino presto, la suora segretaria, bussò alla porta della mia stanza per chiedermi dove fosse la Madre perché non era nella sua camera. Uscimmo dall’albergo, la cercammo dappertutto e arrivammo fino all’ingresso della Basilica, aspettando l’apertura delle porte. Quale non fu la nostra meraviglia quando, entrati, vedemmo la Madre assorta in preghiera e inginocchiata, all’interno della Santa Casa”. In realtà, chi veramente rimase spaventato e ansioso fu il povero frate cappuccino: “Ma dov’è passata questa benedetta suora, se la porta stava chiusa e le chiavi appese al mio cordone?”. Preoccupati, le domandammo: “Madre dove ha passato la notte? Com’è entrata nel Santuario?”. “Non sono venuta in pellegrinaggio a Loreto per dormire, ma per pregare! Il mio desiderio di entrare era così grande che non ho potuto aspettare!”, fu la risposta che ricevettero. Lei stessa registra nel suo diario, un fatto meraviglioso che avvenne in quel mattino del 26 maggio, definito come ‘visione intima e affettuosa’. “All’improvviso vidi il buon Gesù. Mi si presentò con accanto la sua Santissima Madre e mi disse di non temere perché avrebbe assistito Alfredo, sempre, e gli avrebbe dato la scienza infusa nella misura del necessario. Allora chiesi che benedicessero Alfredo e questa povera creatura. E, il buon Gesù, stendendo le mani disse: ‘Vi benedico nel nome di mio Padre, mio e dello Spirito Santo’. Subito dopo la Vergine Santissima, disse: ‘Permanga sempre in voi la benedizione dell’eterno Padre, di mio Figlio e dello Spirito Santo’. Che emozione ha sperimentato la mia povera anima!”.

Non siamo orfani. Gesù che dalla croce, ci ha dato come nostra la sua propria Mamma, ha anche dotato il suo cuore di misericordia materna (cf Gv 19,25-27).

 

Intercessione per le anime sante del Purgatorio

La carità spirituale di Madre Speranza ha beneficato perfino tante anime sante del Purgatorio, che lei ha visitato in bilocazione, o che, sono ricorse a lei, sollecitando messe di suffragio, preghiere e sacrifici personali. Se hai dei dubbi a questo riguardo, poiché si tratta di fenomeni assolutamente straordinari, ti consiglio di consultare i testimoni ancora viventi e leggere ciò che la Madre stessa, ha annotato nel suo diario, il 18 aprile 1930. “Verso le 9:30 o le 10:00 del mattino del sabato santo, accompagnata dalla Vergine Santissima, mi ritrovo nel Purgatorio, avendo la consolazione di vedere uscire le anime per le quali mi ero interessata… Che buono sei, Gesù mio, non hai neppure aspettato il giorno di Pasqua!”

  1. Alfredo ci ha lasciato la testimonianza processuale di un memorabile viaggio a Campobasso, avvenuto verso la fine dell’agosto del 1951. “Passando per Monte Cassino, volle visitare il monastero in ricostruzione. Ci fermammo al cimitero polacco. La Madre compiangeva tutti quei giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria. Al mattino dopo, durante la messa nella cappella della casa di Matrice, io ero accanto a lei e la sentivo parlare con il Signore: ‘Chi vuole più bene a queste anime, io o tu? Allora, porta in Paradiso questi poveri giovani, morti lontano dalla famiglia e dalla patria!’. All’elevazione, la Madre non era più in sé. Toccai il suo viso e sentii che era freddo… Poi, la Madre rinvenne e ringraziava il Signore. Alla fine della messa gli domandai che cosa fosse avvenuto, dato che era ancora gelida. Lei mi disse che era andata in bilocazione nel Purgatorio per vedere il passaggio di tutte quelle anime per le quali aveva tanto interceduto”.

Era molto devota delle anime sante del Purgatorio, e specie a novembre, viveva misteriosi incontri con loro. Quelle mani supplicanti della Madre, nell’intercessione insistente, erano proprio efficaci!

 

Verifica e impegno

Si racconta che un tale era viziato nel chiedere, anche quando pregava. Ossessivamente domandava: “Signore, dammi una mano!”. Un giorno, finalmente, sentì una voce interiore che gli diceva: “Te ne ho già date due di mani! Usale. Per istinto naturale, siamo più portati a chiedere, come ‘eterni piagnoni’, e fatichiamo la vita  intera per educarci a dire ‘grazie’ e a ‘bene-dire’ il Signore che ci dà tutto gratis come, con gratitudine, canta Maria nel ‘Magnificat’, riconoscendo che il Signore compie meraviglie in nostro favore (cf Lc 1,46-56).

Stai imparando ad alzare le braccia per ringraziare, e a stendere le mani anche per chiedere, soprattutto per gli altri, come era solita fare Madre Speranza, ‘la zingara del buon Gesù’?

Per pregare e intercedere in favore dei defunti, non c’è bisogno di sconfinare nell’ oltretomba, ma seguendo l’esempio di Madre Speranza, lo possiamo fare anche noi. Magari cominciamo con i vivi… Sono di carne e ossa e sotto i nostri occhi. I poveri, infatti, i sofferenti, i disperati, non è necessario nemmeno cercarli perché li troviamo per strada. Li vediamo, ma non sempre li guardiamo o ci fermiamo per soccorerli. Purtroppo!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore mio e Dio mio; la tua misericordia ci salvi. ll tuo Amore Misericordioso ci liberi da ogni male”. Amen

 

 

  1. MANI PIAGATE CHE SANGUINANO

 

Rivivere la passione dolorosa e redentrice di Cristo

Per circa settant’anni anni, la vita di Madre Speranza, è stata segnata da una serie  sorprendente di fenomeni mistici, decisamente straordinari o soprannaturali, quali le estasi, le rivelazioni, le comunioni celesti, le levitazioni, le bilocazioni, le profumazioni, le introspezioni, le profezie, le lingue, le guarigioni, la moltiplicazione di alimenti, le elargizioni di denari, i dialoghi con i defunti e le anime sante del Purgatorio, gli incontri con gli angeli e gli scontri con il demonio…

Un’attenzione speciale meritano le ‘sofferenze cristologiche’ che la Madre ha sperimentato quali l’angoscia, la sudorazione, la flagellazione, la crocifissione e l’agonia. La sua partecipazione mistica ai patimenti del Signore, oltre ad essere un evento spirituale, erano anche fenomeni dolorosi, con tracce e segni visibili nelle sue membra, in concomitanza con le rispettive sofferenze del Signore e perciò, concentrati specialmente nel tempo penitenziale della Quaresima, e soprattutto, della Settimana Santa.

Col passare degli anni, però, questi fenomeni mistici, si andarono attenuando fino a scomparire completamente, come sappiamo è avvenuto anche con altre persone che sono vissute santamente. La Fondatrice stessa, non dava loro eccessiva attenzione, mentre la stampa e l’opinione pubblica, tendevano a super valorizzarli e mitizzarli, spesse volte confondendoli con la santità che, invece, è ciò che realmente vale e consiste nella comunione con il Signore e con uno stile di vita virtuosa, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche e la pratica concreta dell’amore (cf Mt 5). Vivere santamente è lasciarsi condurre dallo Spirito Santo in un itinerario in salita, mentre i fenomeni mistici, il Signore li dona liberamente a chi vuole.

Era così grande il suo amore per Gesù e il desiderio di unirsi sempre più intimamente a Lui che le ha concesso di rivivere i patimenti della sua passione. Le persone che sono vissute con lei per anni, hanno potuto osservare, nel suo corpo, il sudore di sangue, il solco sui polsi, le lacerazioni sulle spalle, i segni sul capo e sulla fronte, lasciati dalla corona di spine.

Si conservano in archivio le foto che padre Luigi Macchi, scattò, alla presenza di altri testimoni, mentre la Madre riviveva la sofferenza delle tre ore di agonia di Gesù in croce. Anche padre Mario Gialletti, impressionato, ricorda la scioccante esperienza. “La Madre, vestita col suo abito religioso, era distesa sopra il letto. Una sottocoperta le lasciava libere solo le braccia e il volto. Era in estasi e non si rendeva conto della nostra presenza. Noi avemmo l’impressione di rivivere, momento per momento, tutta la sequenza della crocifissione. Si sollevò dal letto almeno una trentina di centimetri. Distese il braccio destro come se qualcuno glielo tirasse e vedemmo la contrazione delle dita e dei muscoli della mano, come se qualcuno la stesse attraversando con un chiodo… Quando fu tutto finito, mi fece anche impressione il sentire lo scricchiolio delle ossa delle braccia, mentre lei si ricomponeva”.

La Madre era solita pregare il Signore con queste significative parole: “Ti ringrazio, perché, mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire!”. Animata dalla sua missione in favore dei sacerdoti, con atteggiamento oblativo, in forza del voto di vittima per il clero, offriva tutto per la santificazione dei sacri ministri. “Oggi, Giovedì Santo, Ti chiedo, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima. In riparazione delle loro mancanze, Ti offro le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori”.

 

Mani trafitte e le ferite delle stimmate

Madre Speranza, come San Padre Pio, lo stigmatizzato del Gargano, e come S. Francesco, lo stigmatizzato della Verna di cui l’umanità ha nostalgia perché icona di Signore.

Ricevette il dono delle stimmate il 24 febbraio 1928, quando faceva parte della comunità madrilegna di via Toledo. Era il primo venerdì di Quaresima. Il dottor Grinda, pieno di ammirazione, poté toccare e contemplare le cinque piaghe aperte e sanguinanti. Per serietà professionale, volle consultare un cardiologo specialista. Il dottor Carrión, osservando la radiografia, rimase spaventato e assai allarmato, perché il cuore della paziente era perforato. Ignorando l’azione soprannaturale prodotta nella religiosa, chiese che fosse riportata a casa in macchina, ma molto lentamente perché c’era pericolo che morisse per strada. La Madre però, appena arrivata, si mise subito a trafficare e a sbrigare le faccende di casa.

Per circa due anni, fu costretta a portare sulle mani i mezzi guanti finché, riuscì ad ottenere dal Signore, la grazia che, pur provando il dolore, le ferite si chiudessero, permettendole di lavorare, come al solito.

Padre Pio, quando notava che i pellegrini lo cercavano per curiosare sulle sue piaghe, soleva diventare burbero e li sgridava pubblicamente. Madre Speranza, al percepire, da parte di qualcuno, attitudini di fanatismo, cercava di scappare e poi si sfogava nella preghiera: “Signore mio, mi terrorizza il comportamento di gente che viene a Collevalenza per vedere questa ‘povera scimmia’(!) che tu hai scelto per realizzare opere grandiose. Vorrei soffrire in silenzio per darti gloria ed essere il concime del tuo Santuario”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, nella sua testimonianza processuale, dichiara: “Io sapevo, per voce di popolo, che la Madre Speranza aveva le stimmate. Qualche volta l’avevo veduta con delle bende che ricoprivano il dorso e il palmo delle mani. Quando, come medico curante, ebbi il modo di osservarla da vicino, notai che, prendendola per le mani, queste presentavano una ipertermia eccessiva, come se avesse la febbre oltre i 40°, mentre, nel resto del corpo, la temperatura era normale. Lo stesso fenomeno si verificava anche ai piedi. Certamente provava un forte dolore nel camminare”.

Nel 1965, studiavo il quinto ginnasio, e una mattina, la Madre stava ricevendo una fila enorme di pellegrini marchigiani di Grottazzolina, che con frequenza venivano al Santuario. Quando arrivò il turno di Peppe, il fabbro, questi, commosso, prese la mano bendata della Fondatrice tra le sue manone, e incosciente del violento dolore che le causava, la strinse a lungo e con tanto entusiasmo che lei, ‘poverina’, in pieno giorno, deve aver visto tutte le stelle del firmamento!

Eppure, negli ultimi anni, proprio al vertice della sua maturità mistica, le sue stimmate sono scomparse per completo, come è già successo con altre persone sante. Ciò che vale, e resta per sempre, è l’ideale che l’apostolo Paolo ci propone: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Vivo nella fede del Figlio di Dio, che, mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20).

Crocifissa per amore, alzando le braccia e mostrando le mani piagate, anche lei, in cammino verso la canonizzazione e già proclamata ‘beata’ dalla Chiesa, con l’apostolo Paolo, può affermare: “Io porto nel mio corpo le stimmate di Cristo Gesù” (Gal 6,17).

 

Verifica e impegno

Padre Pio diventava furioso quando alcuni pellegrini lo avvicinavano per‘curiosare’ sulle sue stimmate e Madre Speranza fuggiva da persone fanatiche che la ricercavano per indagare sulle sue ferite. Chi, per dono mistico ha le cinque piaghe, diventa una icona viva della passione dolorosa di Cristo; perciò, merita venerazione. Quanta gente ‘crocifissa’, oggi, mostra le piaghe ancora sanguinanti del Signore. Nel loro corpo martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla droga, dai tumori, e dai vizi, Cristo continua a soffrire la passione. Tu, come ti comporti? Cosa fai per alleviare tanto dolore?

Quando la malattia o la sofferenza ti visitano, come reagisci? Hai scoperto la misteriosa preziosità del dolore? Se lo vivi unito alla passione di Cristo, puoi collaborare con Lui alla redenzione del mondo! Ecco l’insegnamento della Madre: “L’amore si nutre di dolore”. “Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato un cuore per amare e un corpo per soffrire”.

Chiedi alla Madre Speranza che ti aiuti ad accogliere la sofferenza con viva fede e ardente amore, come faceva lei.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore dammi la sofferenza che credi. Vorrei soffrire, ma in silenzio. Soffrire in solitudine. Soffrire per Te, e insieme con Te e per la tua gloria”. Amen.

 

 

  1. MANI FRAGILI E STANCHE CHE TREMANO

 

Le tante tribolazioni e le croci della vita

La vita, non risparmia a nessuno l’esperienza dell’umana fragilità che, lo stesso Gesù, ha voluto assumere e provare, facendosi uno di noi e nascendo da Maria…‘al freddo e al gelo’, come cantiamo a Natale. Le tribolazioni, le difficoltà, le differenti prove, che popolarmente chiamiamo ‘croci’, sono nostre assidue compagne di viaggio, anche se si presentano in forme differenti.

Dopo che Gesù ha portato la croce, da strumento di morte e di maledizione, ne ha fatto, un albero di vita e prova del più grande amore. Caricarsi della propria croce, dice la Fondatrice, è diventato un onore e un segno di sequela evangelica (Cf Lc 9,22-26).

Il vero discepolo non sopporta passivamente e con fatalismo la sua croce, come se fosse ‘un Cireneo’, obbligato a trascinare il patibolo fino al Calvario. Il cammino della croce è quello scelto da Gesù. È inconcepibile, infatti, un Cristo senza croce, e una croce senza Cristo, diventa insopportabile. E’ la croce redentrice del Venerdì Santo che innalza Gesù, nostra Pasqua, Signore della storia e re universale di amore e misericordia (cf Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17).

La croce, scandalo per i Giudei e pazzia per i pagani, è scomoda, dà ripugnanza e disgusto (cf 1Cor 1,23), ma è il cammino scelto da Gesù ed è il segno distintivo del vero discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso; prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).

Eppure, la lunga e dura esperienza di vita della nostra Madre conferma, paradossalmente, che è possibile essere felici con tante croci. L’apostolo Paolo, pur in mezzo a ingenti fatiche missionarie, e afflitto da resistenze, opposizioni e persecuzioni, arriva a dichiarare che è trasbordante di consolazione e pervaso di gioia, in ogni sua tribolazione (cf 2Cor 7,4). Ai cristiani di Corinto, confessa: “Mi compiaccio delle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).

Madre Speranza, ha coscienza di essere la sposa di un Dio crocifisso, perciò, si rallegra di partecipare ai patimenti di Cristo. Raccontando la sua esperienza, commenta come i grandi mistici: “L’amore si nutre di dolore ed è nella croce, che impariamo le lezioni dell’amore”. Senza esagerare, conoscendo la sua lunga storia, potremmo dire che la vita dell’apostola dell’Amore Misericordioso è stata una lunga via crucis con tante, tantissime stazioni. Insomma… Ne ha accumulate tante di ‘croci’ che, se fosse scoppiata, scappata o caduta in depressione, avremmo motivi sufficienti per capirla e compatirla!

Lei stessa racconta che, dopo un periodo tanto tormentato, in una distrazione mistica, il Signore le dice candidamente: “Io, i miei amici, li tratto così”. E lei, rispondendogli per le rime, con le parole di Teresa d´Avila, sentenzia: “Ecco perché ne hai cosí pochi. Poi… Non Ti lamentare!”.

 

“Me ne vado; non ne posso più… Ma c’è la grazia di Dio!”

Tutti passiamo, prima o poi, per ‘periodacci brutti’ quando sembra che tutto vada storto. Le delusioni ci tagliano le gambe e ci fanno cadere le braccia. Ci sono momenti in cui le tribolazioni prendono il sopravvento e le nostre forze vengono meno. Tocchiamo con mano che siamo creature di argilla, deboli e fragili.

Racconta padre Mario Tosi che, passando per Collevalenza, una sera vide l’anziana Madre seduta all’entrata del tunnel che porta alla casa dei padri. Ne approfittò per salutarla, e quasi scherzando, le disse: “Ma lei, Madre, che conforta tante persone e infonde a tutti coraggio e speranza, non ha mai dei momenti di sconforto e di abbattimento? Fissatolo, gli disse: ‘Se non fosse per la grazia che Dio mi dà, in certi momenti gli direi: Non ne posso più. Me ne vado!’”.

Padre Elio Bastiani, testimonia personalmente: “Tante volte l’ho vista piangere!”. Nei momenti amari di aridità, di abbandono e di sofferenza, si sfogava con il Signore: “O mio Gesù: in Te ripongo tutti i miei tesori e ogni mia speranza!”.

 

Le mani tremule dell’anziana Fondatrice

Quando lei giunse a Collevalenza il 18 agosto del 1951, aveva 58 anni di età. Era arrivata alla sua piena maturità umana. L’attendeva la stagione più intensa di tutta la sua vita.

Oltre a esercitare il ruolo di superiora generale delle Ancelle, per vari anni, dedicò diverse ore al giorno all’apostolato spirituale di ricevere i pellegrini che, attratti dalla sua fama di santità, desideravano parlare con lei per avere un consiglio, un sollievo nelle pene, o per chiedere una preghiera.

Un altro lavoro, sudato e prolungato, fu l’accompagnamento delle numerose costruzioni che oggi costituiscono il complesso del grandioso Santuario con tutte le opere annesse.

Nel settembre del 1973, essendo lei ormai ottantenne, iniziava l’ultimo decennio della sua vita, segnata da una progressiva decadenza delle energie e riduzione delle attività.

Ricordo ancora che riusciva a muoversi lentamente e con difficoltà. Per fare quattro passi, doveva appoggiarsi su due suore che la sostenevano, sollevandola sulle braccia.

Per una persona di carattere energico e dinamico, non è facile vedere le proprie mani, ormai tremule e lasciarsi condurre dagli altri, diventando dipendente, in tutto!

Ma proprio durante questo decennio finale, il Signore le concesse la soddisfazione di poter raccogliere alcuni frutti maturi.

La vecchiaia per chi ci arriva, è la tappa più lunga della vita. Siccome viene pian piano e si porta dietro vari acciacchi e malanni, spesso è fonte di solitudine e tristezza, in una società che esalta il mito dell’eterna giovinezza e accantona la persona anziana perché dispendiosa e improduttiva. Però, la longevità, vista con l’occhio della fede, è una benedizione del Signore, l’età della saggezza, e come l’autunno, la stagione dei frutti maturi (cf Gen 11,10-32). Le persone sagge, perché vissute a lungo, dicono che “la terza età, è la migliore età!”.

E’ successo così anche con Madre Speranza. Stando ormai immobilizzata e dovendo muoversi con la carrozzella, vide finalmente arrivare l’approvazione della sospirata apertura delle piscine, aspettata da diciotto anni; il riconoscimento autorevole della sua missione ecclesiale, con la pubblicazione del documento pontificio sulla divina misericordia (enciclica ‘Dives in misericordia’) e la visita al Santuario di Collevalenza di Giovanni Paolo II, ‘il Papa ferito’, avvenuta in quel memorabile 22 novembre del 1981, solennità di Cristo Re.

Il sommo Pontefice, si chinò benevolmente su di lei e la baciò sulla fronte con venerazione ed affetto. Era il riconoscimento ecclesiale per tutto ciò che lei, con ottant’otto anni, aveva realizzato, con tanto amore e sacrificio (cf Lc 2,29-32).

Aveva chiesto al Signore di vivere a lungo, fino a novanta o cent’anni, ma desiderava che gli ultimi dieci, potesse trascorrerli in silenzio, fino a scomparire in punta di piedi. Dovuto alla fama di santità e ai numerosi fenomeni mistici, suo malgrado, era diventata centro di attenzioni. Scomparendo pian piano, voleva far capire a tutti che lei, era solo una semplice religiosa, un povero strumento e che al Santuario di Collevalenza c’è solo l’Amore Misericordioso.

A volte, i pellegrini gridavano che si affacciasse alla finestra, per un semplice saluto collettivo. Lei, afflitta dall’artrosi deformante, fu trasferita all’ottavo piano della casa del pellegrino dove c’è l’ascensore. I malanni vennero di seguito: frattura del femore, polmoniti, emorragie gastriche…

Suor Amada Pérez l’assisteva continuamente e lei, in silenzio, accettava i servizi prestati in serena dipendenza dalle suore infermiere che la seguivano e accudivano con grande amore e premura. Rispondeva con devozione alla recita del Rosario scorrendo i grani della corona, oppure, le sue mani intrecciavano i cordoni per i crocefissi e i cingoli che i sacerdoti usano per la santa messa.

Il declino fisico della Fondatrice fu progressivo. A volte dava l’impressione di essere come assente, ma sempre assorta in preghiera. A chi aveva la fortuna di avvicinarla e visitarla, parlava più con gli occhi che con le parole. In certi momenti lasciava trasparire, fino agli ultimi mesi, di essere al corrente di tutto quanto stava accadendo.

Sentendo il peso degli anni e rivedendo il film della sua vita passata, con un pizzico di ironia autocritica e con una buona dose di umorismo che la caratterizzava, si era lasciata sfuggire questa battuta: “Ricordo ancora questa scena, quando stavo a Madrid, una bambina entrando in collegio per la scuola, gridava: ‘Mamma, mamma: lasciami aiutarti’. Così dicendo, si adagiava sulla borsa della spesa e la povera mamma, doveva sostenere la borsa pesante e anche la figlioletta. Poi, ridendo, concludeva: ‘Così ho fatto io con l’Amore Misericordioso. Sono stata più d’impiccio che di aiuto!’”.

In verità, invecchiare con qualità di vita, mantenendo lo spirito giovanile, senza inacidire col passare degli anni, è uno splendido ideale anche per me che scrivo e per te che mi leggi! Non ti pare?

 

Verifica e impegno

Le croci ci visitano continuamente. Se le consideriamo uno strumento di morte e di maledizione, cercheremo di scrollarcele di dosso, o di sopportarle passivamente, come una fatalità. Se, invece, la croce redentrice la carichiamo come prova di grande amore, allora, ci insegna la Fondatrice, essa diventa un onore e un segno di sequela evangelica. Come tratti le croci della tua vita?

Nei momenti di sconforto e di abbattimento, ricorri alla preghiera e ti consegni nelle mani di Dio?

Gli acciacchi e i malanni, in genere, vanno a braccetto con gli anni che passano. La vecchiaia, o meglio, l’anzianità, viene pian piano. L’affronti lamentandoti, con tristezza e rassegnazione, o con serenità, la vedi come la stagione dei frutti maturi e l’età della saggezza?

La longevità, per te, è un tempo di grazia e di benedizione divina? Certi vecchietti arzilli scommettono che ‘la terza età è la migliore età’! Concordi?

Mentre gli anni passano ‘volando’ e desideri andare in Paradiso (…senza troppa fretta, naturalmente), stai imparando a invecchiare con qualità di vita e senza inacidire?

Madre Speranza ha chiesto al Signore di vivere a lungo e serenamente. È vissuta ‘santamente’, arrivando a quasi novant’anni. È un bel progetto di vita, no? Cosa ti insegna il suo esempio? Coraggio!

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore, sono anziana, ma il mio cuore è giovane. Lo sai che io Ti amo e Tu sei l’unico bene della mia vita!”.

 

 

 

  1. MANI COMPOSTE CHE RIPOSANO

 

“È morta una santa!”

Fu questo il commento spontaneo e generale della gente, quando la grande stampa divulgò la luttuosa notizia.

Madre Speranza si era spenta, concludendo la sua giornata terrena. Erano le ore 8,05 di martedì 8 febbraio 1983. A padre Gino che l’assisteva, qualche giorno prima, aveva sussurrato con un fil di voce: ” Hijo mío, yo me voy (Figlio mio, io me ne vado)!”.  Quegli occhi neri e penetranti che tante volte avevano scrutato, nelle estasi terrene, il volto del Signore, ora lo contemplavano nella visione eterna. Dopo tanti anni di amicizia e di speranzosa attesa, finalmente, era giunto il momento dell’incontro definitivo con il suo ‘buon Gesù’. Può entrare nella festa delle nozze eterne, nella beatitudine del Signore che le porge l’anello nuziale (cf Mt 25,6).

Pensando alla nostra morte, nel suo testamento spirituale, aveva scritto questa supplica: “Fa’, Gesù mio, che nell’ora della morte, tutti i figli e le figlie, pieni di amore e di fiducia, possano dire ciò che io Ti dico, in questo momento, confidando nella tua carità, amore e misericordia: ‘Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!’” (Lc 23,46).

Mani composte che, finalmente, riposano

Lei, nella cripta del Santuario, adagiata sul tavolo come vittima sull’altare, bella e fresca come una rosa, col volto sereno, sembra addormentata tra fiori, luci e preghiere.

Quelle mani annose e deformate dall’artrosi che hanno tanto lavorato per il trionfo dell’Amore Misericordioso e per servire i fratelli più bisognosi, facendo ‘todo por amor’ (tutto per amore), finalmente riposano. La famiglia religiosa, raccolta attorno a lei, ha messo tra le sue mani il crocifisso dell’Amore Misericordioso, l’unica passione della sua vita che, innumerevoli volte lei ha accarezzato, baciato e fatto baciare a coloro che   l’avvicinavano.

La salma rimane esposta per più di cinque giorni, senza alcun segno di disfacimento e senza alcun trattamento di conservazione. Fuori cade insistente la candida neve, ma un vero fiume di pellegrini e di devoti commossi, accorre da ogni parte per dare l’addio alla Madre comune. Tutti i santini e i fiori scompaiono. La gente fa a gara per rimanere con un ricordino della Fondatrice. Tocca il suo corpo con i fazzoletti ed indumenti per conservarli come reliquie di una donna che consideravano una santa.

I funerali si svolgono domenica 13 febbraio, mentre le campane suonano a festa e le trombe dell’organo squillano giulive le note vittoriose dell’alleluia per la Pasqua festosa di Madre Speranza. La morte del cristiano, infatti, è una vittoria con apparenza di sconfitta. Non si vive per morire, ma si muore per risuscitare!

Grazie alla sua amicizia con il buon Gesù, lei aveva vinto la paura istintiva che tutti noi sentiamo davanti al mistero e al dramma della morte fisica (cf Gv 11,33. 34-38).

Un giorno, aveva dichiarato alle sue figlie: “Che felicità essere giudicate da Colui che tanto amiamo e abbiamo servito per tutta la vita!”. Per educarci e formarci, sovente ripeteva: “Non sarà felice la nostra morte, se non ci prepariamo a ben morire durante tutta la nostra vita”. La società materialista e dei consumi, negando la trascendenza, ci vuole sistemare ‘eternamente’ in questo mondo, producendo e consumando. Ciò che vale è godere il momento presente. Ma il vangelo, ci illumina sul senso vero della vita in questo mondo in cui tutto passa. Anche la morte, però, è un passaggio obbligatorio. Gesù l’ha sconfitta per sé e per noi, pellegrini, passeggeri e destinati alla vita piena e felice. “Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in Me, non morirà mai” (Gv 11,25-26).

A noi che, ancora temiamo la morte, la beata Madre Speranza dà un prezioso consiglio: “Sta nelle tue mani il segreto di far diventare la morte soave e felice. Impariamo dal divino Maestro l’arte sovrana di morire, così, nell’ora della morte, potrai dire con piena fiducia: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!’”

 

Verifica e impegno

La cultura dominante nella nostra società materialista, esorcizza il pensiero della morte, fingendo che essa non esista per noi. Infatti, apparentemente, sono sempre gli altri che muoiono e per questo siamo noi che li accompagniamo al cimitero. Per questa filosofia l’uomo è una ‘passione inutile’; la vita passa in fretta, e con la morte, inesorabilmente tutto finisce. Solo resta da godersi il fuggevole momento presente. Invece la fede ci garantisce che siamo stati creati per l’eternità e sopravviviamo alla nostra stessa morte fisica. Dio ci ha messo nel cuore il desiderio di vivere per sempre.

La fede nella resurrezione di Cristo e nella vita eterna, ti sprona a vivere gioiosamente e a vincere progressivamente l’istintiva paura della morte?

La certezza della morte e l’incertezza della sua ora, ti aiuta a coltivare la spiritualità del pellegrinaggio e della vigilanza attiva?

La Pasqua di Gesù è garanzia della nostra Pasqua; cioè che la vita è un ‘passaggio’. Viviamo morendo e moriamo con la speranza della resurrezione finale. Questa bella prospettiva pasquale ti infonde pace e gioia?

Quando dobbiamo viaggiare, ci programmiamo con attenzione. Con cura prepariamo tutto il necessario. Per l’ultimo viaggio, il più importante e decisivo, le nostre valigie sono pronte? E i documenti per l’eternità, sono in regola?

Madre Speranza era dominata da questa certezza, perciò non si permetteva di perdere un minuto, riempendo la sua giornata di carità, di lavoro, di preghiera e di eternità. Credi anche tu che la vita terrena sfocia nella vita eterna e che con la morte incontriamo il Signore, meta finale della nostra beatitudine eterna?

Per Madre Speranza la morte è l’incontro con lo Sposo per la festa senza fine. Ci ha indicato un compito impegnativo e una meta luminosa: “Abbiamo tutta la vita per preparare una buona morte, e Gesù, è il nostro modello”. Prima che si concluda il nostro viaggio in questa vita, ce la faremo a cantare con San Francesco: “Laudato sie mi Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale null´omo vivente pò scampare?”.

 

Preghiamo con Madre Speranza

“O mio Gesù, abbi pietà di me, in vita e in morte. O Vergine Santissima, intercedi per me, presso il tuo Figlio, durante tutta la mia vita e nell’ora della mia morte affinché io possa udire, dalle labbra del buon Gesù, queste consolanti parole: ‘Oggi starai con me in Paradiso’”.

 

 

  1. MANI MATERNE E CONSACRATE ALL’AMORE MISERICORDIOSO

 

“Di mamma ce n’è una sola”

Così recita un detto popolare che conosciamo fin da bambini. E, in genere, è vero. Ma…

Nella mia vita missionaria, ho avuto occasione di visitare numerosi orfanotrofi. Una pena da morire al vedere tanti bambini abbandonati, figli di nessuno. Nelle ‘favelas’ sudamericane, tra le misere baracche di cartone, tanti bambini non sanno chi è la mamma che li ha messi al mondo. Tanto meno il papà…

In un asilo gestito dalle suore di Madre Speranza, a Mogi das Cruzes, vicino a São Paulo, una simpatica bambinetta, mi spiegava che in casa sua sono in cinque fratellini che hanno la stessa mamma e i papà… tutti differenti! Chi nasce in una famiglia ben costituita, può considerarsi fortunato e benedetto: ha la felicità a portata di mano.

Tu, quante mamme hai? Io ne ho tre! Mamma Rosa, che mi ha messo al mondo il 31 maggio 1948, Madre Speranza che mi ha fatto religioso della sua Congregazione il 30 settembre 1967 e Maria di Nazaret che Gesù mi ha regalato prima di morire in croce, raccomandandole: “Donna ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Tutte e tre le mie mamme godono la beatitudine eterna del Paradiso e io spero tanto di rivederle e di far festa insieme, per sempre.

Tra gli amori che sperimentiamo lungo il cammino della vita, generalmente, quello che più lascia il segno, è proprio l’amore materno, riflesso dell’amore di Dio Padre e Madre. Ricordo, anni fa, stavo visitando dei parenti in Argentina, vicino Rosario. Di notte mi chiamarono d’urgenza al capezzale di un vecchietto ultra novantenne che stava in agonia. Delirando, José ripeteva: “Quiero mi mamá (voglio la mia mamma)!”.

La lunga missione in Brasile mi ha insegnato un bel proverbio che riguarda la mamma e si applica a pennello a Madre Speranza: “Nel cuore della mamma c’è sempre un posto libero”. A secondo dell’urgenza del momento, nel suo grande cuore di Madre, hanno trovato un posto preferenziale i bambini poveri, gli orfani e abbandonati, i sacerdoti soli e anziani, le famiglie bisognose, i malati e i rifugiati, gli operai disoccupati e i giovani sbandati e viziati, le vittime delle calamità naturali e delle guerre…

Gesù, nel discorso della montagna, dichiara beati tutti i tipi di poveri che Dio ama con amore preferenziale (cf Mt 5,1-12). Anche Madre Speranza, ha fatto la stessa scelta e lo dichiara apertamente con queste parole tipiche: “I poveri sono la mia passione!”. Per lei “i più bisognosi sono i beni più cari di Gesù”.

 

‘Madre’, prima di tutto e sempre più Madre

“E una Madre come questa, è molto difficile trovar,

che questa la fè il Signore per noi tutti consolar!”

Sono le parole di un ritornello che le cantammo in coro in occasione del suo compleanno, molti anni fa. E lei, con un ampio sorriso in volto… si gongolava! Ci sentivamo amati, e di ricambio, le volevamo dimostrare quanto l’amavamo.

“Hijo mío, hija mía (Figlio mio, figlia mia)”, era il suo frequente intercalare che denotava una maternità spirituale intima e creava un gradevole clima di famiglia. I figli, le figlie, eravamo il suo orgoglio e la sua passione. Infatti, lei è Madre due volte! Le figlie, fondate nel Natale del 1930, a Madrid, le ha chiamate ‘Escalavas’ cioè, ‘Ancelle, Serve’, sempre a disposizione, come Maria, ‘la Serva del Signore’ (cf Lc 1,38). Il loro distintivo è la carità senza limiti, con cuore materno, facendo della loro vita un olocausto per amore. La fondazione dei Figli, avvenuta a Roma il 15 agosto del 1951, fu un ‘parto’ particolarmente difficile perché, in quei tempi, avere per fondatore… una ‘fondatrice’, era un’eccezione rara, come una mosca bianca! Eppure, tutti nasciamo da donna, come è avvenuto anche con Gesù (cf Gal 4, 4).

La santa regola dichiara apertamente che, insieme, formiamo un’unica famiglia religiosa, speciale e distinta. Ma, vivere questa caratteristica carismatica originale, è un grosso ed esigente impegno. E lei, poverina, come tutte le buone mamme, non perdeva occasione per incoraggiarci, educarci e correggerci, quando notava che era necessario farlo. Ci ricordava questo bello ed evangelico ideale dell’unica famiglia, esortandoci: “Figli miei, vivete sempre uniti come una forte pigna, nel rispetto reciproco e nell’amore mutuo, come fratelli e sorelle tra di voi perché figli della stessa Madre”. Aspirando alla santità, come lei, saremmo stati felici, avremmo dato gloria a Dio e alla Chiesa e ci saremmo propagati nel mondo intero, come un albero gigante, vivendo il motto: “Tutto per amore!”.

A noi seminaristi, rumorosi e vivaci, cresciuti all’ombra del Santuario, ci chiamavano con il titolo sublime di ‘Apostolini’. Chi le è vissuto accanto, conserva viva la memoria di parole e fatti personali che sono rimasti stampati per sempre, perché segni di un amore materno vigoroso, affettuoso e premuroso.

Specie quando era ormai anziana e qualcuno la elogiava per le sue grandiose realizzazioni e le ricordava i titoli onorifici di ‘Fondatrice’ e di ‘Superiora generale’, lei, tagliava corto ed asseriva con convinzione: “Niente di tutto questo. Io sono solo la Madre dei miei figli e delle mie figlie. E basta!”

Un fenomeno che mi sta sorprendendo in questi ultimi anni è constatare che, pur riducendosi il numero di coloro che hanno conosciuto personalmente la Fondatrice o hanno convissuto con lei, cresce, invece, mirabilmente, il numero di figli e figlie spirituali, specialmente dopo la sua beatificazione, che la riconoscono come Madre. Mi domando: come può una ragazza africana chiamarla ‘madre’ se non l’ha mai vista, o un gruppo di genitori delle Ande, celebrare il suo compleanno, se non l’hanno mai sentita parlare; o, dei sacerdoti brasiliani, pregarla nella Messa, se non l’hanno mai visitata, o giovani seminaristi filippini e ragazze indiane seguire l’ideale religioso della Fondatrice, senza averla mai incontrata? Eppure tutti, pur nelle varie lingue, la chiamano ugualmente: ‘Madre’! Per me questa misteriosa comunione di maternità e figliolanza, può solo essere generata dallo Spirito Santo.

È la maternità spirituale, sempre più feconda, di Madre Speranza!

 

Le mani della mamma

Tra altri episodi che potrei citare, voglio solo rievocarne uno, simpatico e gioioso, che ha come protagoniste le mani di Madre Speranza.

Noi seminaristi, abitualmente, la chiamavamo: “Nostra Madre”, o più brevemente ancora: “La Madre”. Ricordo che all’epoca in cui frequentavo il ginnasio a Collevalenza, un giorno, durante il pranzo, all’improvviso lei entrò nel refettorio tutta sorridente e fu accolta con un caloroso applauso. Non riuscivamo a trattenere le risa, vedendola sostenere, con tutte e due le mani, un’enorme mortadella che tentava di sollevare in alto, come se fosse stata un trofeo. Lei, invitandoci a sedere, annunciò: “Questa è la prima delle mortadelle che stiamo fabbricando qui, in casa. Ne ho mandata una in omaggio a ognuna delle nostre comunità e perfino al Papa”. Poi, passando davanti a ciascuno, ne tagliava una bella fetta, esortandoci: ‘Alimentatevi bene, figli miei, e crescete con salute per studiare e un giorno, lavorare tanto in questo bel Santuario di Collevalenza’”.

 

Quella mano con l’anello al dito

Animata dall’azione interiore dello Spirito e dalla ferma decisione di farsi santa per rassomigliare alla grande Teresa d’Avila, Madre Speranza ha percorso uno sviluppo graduale, mediante un aspro cammino di purificazione ascetica, raggiungendo le vette supreme della vita mistica di tipo sponsale.

Studiando il suo diario, è possibile notare che negli anni 1951-1952 raggiunse la maturazione spirituale e mistica che coincide, anche, con la tappa della sua piena maturazione apostolica e operativa.

Così scrive nel diario che indirizza al suo direttore spirituale, il 2 marzo 1952: “Io mi sento ferita dall’amore di Gesù e il mio povero cuore, non resiste più alle sue dolci e soavi carezze; e la brace del suo amore, mi brucia fino al punto di credere che non ce la faccio più”. Sembra di ascoltare i versetti appassionati del Cantico dei Cantici (cf Ct 8,6). Questi fenomeni mistici sono chiamati: “gli incendi di amore’’.

Suor Anna Mendiola testimonia, sotto giuramento, che la Madre somatizzava la fiamma di carità che ardeva impetuosa nel suo cuore, fino a causarle una febbre altissima. “Molto spesso, quando le stringevo le mani, sentivo che erano caldissime e sembravano di fuoco”.

Madre Perez del Molino, tra i suoi appunti, annota: “Nostra Madre si infiamma di amore verso Gesù a tal punto, che le si brucia la camicia e la maglia, dalla parte del cuore”.

Il dottor Tommaso Baccarelli, il cardiologo che l’assistette per tanti anni, nella sua testimonianza processuale, ha lasciato scritto: “La gabbia toracica della Madre presentava delle alterazioni morfologiche, come se avesse subito un trauma toracico. L’arco anteriore delle costole, appariva sollevato e allargato bilateralmente”.

Tutto indica che ciò sia avvenuto dopo il fenomeno mistico dello ‘scambio del cuore’ che durò una sola notte e che si verificò durante la permanenza delle Ancelle dell’Amore Misericordioso nell’antico borgo di Collevalenza, dall’agosto 1951 fino al dicembre del 1953. Era ciò che lei chiedeva con insistenza nell’orazione: “Fa’, Gesù mio, che la mia anima, si unisca fortemente alla tua, in modo che, possiamo essere un cuore solo e un’anima sola”.

Per lei, la consacrazione religiosa costituisce un vero ‘patto sponsale’ con il Signore, una ‘alleanza di amore’, di chiaro sapore biblico (cf Ez 16,6-43; Os 2,20-24).

Quando conclude un documento, o una lettera, li sottoscrive con la firma: “Madre Esperanza de Jesús”. Lei appartiene incondizionatamente a Lui. È ‘di Gesù’. L’Amore Misericordioso, infatti, era diventato l’unico assoluto della sua esistenza: “Mio Dio, mio tutto e tutti i miei beni!”.

L’anello nuziale che porta al dito, infatti, è un simbolo della sua totale consacrazione al Signore, allo sposo della sua anima. È il segno esterno di un compromesso e di una alleanza di amore irrevocabile. “Figlie mie, Gesù dice all’anima casta: ‘Vieni, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione’ “.

 

Verifica e impegno

È normale rassomigliare ai nostri genitori. Quando la gente vuol farci un complimento, suole dire: “Il tuo volto mi ricorda tua madre”, oppure: “Tale il padre, tale il figlio o la figlia”. Guai a chi ci tocca il babbo o la mamma che ci hanno dato la vita ed educato con dedicazione ed amore. Siamo orgogliosi di loro. Della mamma poi, siamo soliti dire: “Ce n’è una sola”. Il buon Dio, invece, con noi, è stato generoso; ce ne ha date due: la mamma di casa e Madre Speranza… senza contare la Madonna che Gesù, dalla croce, ci ha donato come ‘mamma universale’. Ne sei grato e riconoscente al Signore?

Chi ha una madrina spirituale beata, presso Dio, può contare con una potente e tenera mediatrice. Ti rivolgi a lei nella preghiera fiduciosa e filiale, specie nei momenti di sofferenza e di difficoltà?

Quando lei stava a Collevalenza, per essere ricevuti in udienza, bisognava prenotarsi, viaggiare e fare la fila. Oggi, per noi, suoi figli e sue figlie spirituali, il contatto è facile e immediato.

Madre Speranza ha l’anello al dito, infatti, lei è consacrata: è ‘di Gesù’. Osserva bene la tua mano e guarda attentamente il dito anulare. Per il battesimo anche tu sei una persona consacrata. Fai onore al tuo anello, alla tua fede matrimoniale e cerchi di vivere fedelmente l’impegno di alleanza che hai assunto e promesso con giuramento?

 

Preghiamo con Madre Speranza

“Signore voglio fare un patto con Te. Oggi, di nuovo, Ti do il mio cuore senza riserva, per possedere il tuo e così poter esaurire tutte le mie forze amandoti, scordandomi di me e lavorando sempre e solo per Te. Signore, sei il mio patrimonio. In Te ho posto il mio amore e Tu mi basti. Voglio essere tua vera sposa”. Amen.

 

 

  1. LE MANI DELLA BEATA MADRE SPERANZA E LE NOSTRE MANI

 

La diffusione planetaria della spiritualità dell’Amore Misericordioso liderata dal Papa

La cultura imperante nella nostra società attuale e la politica internazionale non sono propense alla pratica della misericordia e della tolleranza, ma più inclini all’uso della furbizia e della forza. L’uomo moderno, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, è tentato di salvarsi da solo, in assoluta autonomia, e di costruire la città secolare ignorando Dio (cf Gen 11,1-9).

La Madre, dal lontano 1933, aveva intuito profeticamente questa situazione storica. Così annotava nel suo diario: “In questi tempi nei quali l’inferno lotta per togliere Gesù dal cuore dell’uomo, è necessario che ci impegniamo affinché l’umanità conosca l’Amore Misericordioso di Gesù e riconosca in Lui un Padre pieno di bontà che arde d’amore per tutti e si è offerto a morire in croce per amore dell’uomo e perché egli viva”.

La Chiesa del 21º secolo, illuminata dallo Spirito e impegnata nel progetto della nuova evangelizzazione, in dialogo col mondo moderno, sente che deve ripartire da Cristo, inviato dal Padre amoroso, non per condannare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (cf Gv 3,16-17).

Papa Wojtyla, nella storica visita al Santuario di Collevalenza il 22 novembre 1981, rivolgendosi alla famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, ricordava che la nostra vocazione e missione sono di viva attualità. “L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita”.

Anche il magistero di papa Francesco è su questa linea. Proclamando il giubileo straordinario della misericordia, papa Bergoglio ci ricorda che “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”. Il sommo pontefice riafferma che il divino Maestro, con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona, rivela la misericordia di Dio. “Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato”. La Chiesa, oggi, se

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, Documenti in cronologia, LUOGHI, Notizie Recenti, PERSONE and tagged , , . Bookmark the permalink.