LA PENITENZA o Riconciliazione nell’Antico e nel Nuovo Testamento nell’insegnamento di don Gabriele Miola Biblista nel 1978

Miola  don Gabriele docente all’Istituto teologico di Fermo

MIOLA GABRIELE  –  LA PENITENZA NELLA BIBBIA

ARCIDIOCESI DI FERMO – SETTIMANA TEOLOGICA PER IL CLERO FERMANO – ESTATE 1978 – su LA PENITENZA (vedi programma qui alla fine)

Matteo 16, 18-19 “E io a te dico: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Giovanni 20,23 «A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».<traduzicne CEI 2008>

I – Introduzione

Questi brani fondano il potere delle chiavi di aprire e chiudere, di legare e sciogliere, di rimettere i peccati o di ritenerli, potere dato a Pietro e ai dodici, e attraverso loro, ai successori. Senza entrare in problemi storico-critici è chiaro, e tutti l’ammettono, che i passi di Mt. 16,19 e di Gv. 20,23 fondano un potere di Pietro e degli apostoli (e quindi dei loro successori) di legare e di sciogliere, di rimettere i peccati o di non rimetterli, che si può riassumere nel potere generale di garantire la presenza di Dio nella storia dell’uomo, che, attraverso la Chiesa per il ministero di Pietro e degli apostoli, riceve la certezza di essere accolto, perdonato da Dio, liberato dal peccato. Meno evidente è il testo di Mt. 18,18 “ In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” in cui non è precisato il soggetto di questa “potestas” di perdonare, se cioè è la comunità nel suo insieme o gli apostoli nella comunità o la comunità attraverso gli apostoli.

Ma altro è il problema della prassi penitenziale attuale. A mio parere il richiamo dei manuali a questi testi per la prassi penitenziale presuppone un’altra questione cioè quella della natura della “confessione” come atto giudiziale: se la confessione è un “giudizio” in cui il confessore è colui che giudica della gravità o meno dei peccati, della coscienza del peccatore, del suo pentimento o meno, in questa visione i testi detti vengono invocati come fondamento di questo potere di giudizio, di assolvere o non assolvere. Questa lettura dei testi ne restringe di molto la portata generale, ma soprattutto ha il torto di partire da una visione prestabilita e da una prassi che cerca la sua giustificazione.

Nella rivista “La Maison-Dieu”, rivista di pastorale liturgica, n° 117, dedicato a “Penitenza e riconciliazione“, un articolo di B. Rigaux (pag.86-135) su questi testi così conclude: “la Chiesa e i suoi rappresentanti, legano e sciolgono, assolvono o meno. Ma non pare che si possa vedere nei nostri passi evangelici un’istituzione in senso letterale del sacramento della penitenza come direttamente affermato. Bisogna tuttavia notare che la Chiesa post-apostolica non ha falsato il tenore di questi testi estendendoli alla disciplina penitenziale. Essi la contengono in nuce, nella totalità della sua profondità e nell’ampiezza della sua estensione” (pag. 135)»

II – IL TEMA

Il tema della penitenza nella Bibbia non è affatto ristretto all’atto giudiziale, ma è un tema più vasto e generale che attraversa tutta la Bibbia dall’inizio alla fine, perché è il tema fondamentale della parola di Dio, che cerca l’uomo, lo raggiunge, lo porta a conversione, gli ridona la gioia di scoprire, di conoscere, di accedere a Dio, alla sua bontà di Padre; in fondo il tema della Bibbia è unico, la ricerca che Dio fa dell’uomo, è la testimonianza della forza creatrice del suo amore che riprende l’uomo alla dignità di figlio nel Figlio suo Gesù.

Non occorre che ci addentriamo nell’analisi dei termini; è risaputo che la Bibbia preferisce esprimere questo concetto della “penitenza” con quello della “conversione”: e il termine “sub” che lo esprime nell’Antico Testamento e che significa: cambiar rotta, tornare indietro, tornare a Dio, fonte della vita; è il termine (greco)”metanoeite”, che lo esprime nel Nuovo Testamento, che è stato tradotto con “convertitevi”, ma nel senso di cambiar mentalità per ritrovare quella giusta, quella del Vangelo di Gesù. Anche “penitenza può andar bene, se spogliato del senso di cosa penosa da fare, e riportato al senso originario di poenitet (= poena me tenet) cioè mi duole, mi dispiace.

Ma sarebbe bene prendere tutta la ricchezza del linguaggio biblico con altre espressioni: riconciliazione, conversione, celebrazione del perdono, dell’amore, della pace di Dio e altre.

Il tema della penitenza-conversione attraversa tutta la Bibbia; scegliamo ora alcuni aspetti principali a cui il tema si rifà, ben coscienti che ce ne sono tanti altri sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

  1. ANTICO TESTAMENTO
  2. I) La Santità di Dio.

Un tema ricorrente a cui si richiama l’invito alla penitenza- conversione è quello della santità di Dio. Jahweh è il Santo, il Separato, il Diverso, per usare un’espressione moderna, il Totalmente altro, dinanzi a cui ci si può solo prostrare in adorazione con un senso di sgomento, ma nello stesso tempo di attrazione piena e assoluta. Egli abita altezze inaccessibili in una luce abbagliante, che lo sguardo non può sostenere, dinanzi al cui splendore l’uomo si sente nulla; solo tenebra che lo splendore di Dio può vincere. Dinanzi al Santo, l’uomo è sempre impuro, la cui impurità è accresciuta dalla propria ribellione e dal peccato.

I testi biblici sono tanti (vedete la voce “santità” in un dizionario biblico). Vediamo solo tre testi:

.a. – Isaia 6 : è il capitolo che proclama la santità di Jahweh.

Dio si eleva immensamente al di sopra di Israele, del tempio, della storia; Egli riempie ogni cosa, è il ‘tre volte Santo’. E’ circondato dai “serafini”, gli ardenti che bruciano ogni immondezza.  La chiamata di Isaia, avviene in questo contesto teofanico, egli si sente impuro ed ha paura, ma viene sollevato da Colui che chiama e manda, mentre lo purifica dalla sua impurità, perché peccatore e in mezzo ad un popolo di peccatori.

.b. – Esodo 33,  18-23; 34, 5-9 (cfr. anche Esodo 19):

E’ la grande teofania che proclama il nome di Dio sopra Israele dopo che ha fatto l’esperienza del peccato. Mosè vorrebbe poter vedere il volto di Dio, accedere alla sua gloria, ma questa è inaccessibile e il volto di Dio non si può vedere perché Mosè insieme al suo popolo è peccatore. Ma sopra questo popolo Dio proclama il Suo nome: “Jahweh, Jahweh, Dio pietoso e misericordioso lento all’ ira e ricco di amore e di fedeltà”. Ecco, il presupposto della penitenza- conversione è il sapere che Dio proclama sopra di me, sopra il suo popolo la misericordia, la bontà, la gratuità del dono.

.c. – Levitico 17-26: il rapporto con Dio

Il libro del Levitico potrebbe sembrare un testo lontano dalla nostra mentalità con le sue leggi cultuali e il suo rubricismo e invece non fa che proclamare la santità di Dio e le esigenze che essa crea nell’uomo: “siate santi perché io sono Santo” è il ritornello che scandisce queste leggi. La santità è appartenenza al Santo, è separazione, è dono della vita che appartiene a Dio; segno di questa appartenenza è lo stato dì purità legale attraverso le purificazioni e i riti, che acquistano così un alto valore religioso ed etico. Attraverso questi aspetti il credente è richiamato costantemente al suo rapporto con Dio.

.d. – Ezechiele 36,22-32: il popolo santificato

Jahweh mostrerà la sua santità nell’azione, poiché Egli raccoglierà Israele, al di là di ogni aspettativa, lo renderà di nuovo il Suo popolo, gli perdonerà i suoi peccati e lo purificherà. Questo mostrerà dinanzi a tutti i popoli che Dio è il Santo, è l’Unico che può salvare. La santità di Dio è la gloria stessa di Jahweh, che manifesta nel perdono e ricostruisce il Suo popolo.

Questo senso della santità di Dio è pastoralmente importante nell’annuncio e nella prassi penitenziale, molto più importante oggi per uscire da una pratica per molti quasi meccanica della penitenza. Ad essa si oppone il vero peccato dell’uomo, che è il suo orgoglio, la sua autonomia che si erge in una libertà contro o al di fuori dì Dio. Ecco un tema su cui riflettere per il rinnovamento della penitenza. La prassi attuale facilita o oscura questa esperienza della santità di Dio? come la si può vivere nella parrocchia comunitariamente e singolarmente?

.2. –  – L’ alleanza.

Un altro tema che attraversa tutta la Bibbia, più importante anche del primo, è quello dell’alleanza; Dio ha offerto un patto di alleanza al suo popolo, gratuitamente, per libera elezione di Dio e sua bontà (cfr Es 19,4-6; Dt 7,7-10, e altro). L’alleanza è fondata su una azione previa di elezione e di salvezza, che i padri, il popolo hanno sperimentato: Abramo, chiamato da Ur e fatto uscire fuori dalla sua terra; il popolo salvato dalla schiavitù. Questo fonda un diritto di appartenenza, di conquista quasi: rifiutare l’alleanza quindi significa rifiutare i gesti della storia come salvezza. Il popolo accoglie questo patto, legge la sua storia in questa luce, perché questa è la sua esperienza; “tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo” (cfr Es 24,7; Gs 24,21 e altro). L’alleanza non è che la lettura della propria storia in rapporto a Dio; è il tema di tutto il libro dell’Esodo; non solo, ma partendo da qui, è la rilettura della storia dei padri nel libro del Genesi. (12-25) e di tutta l’umanità nella tradizione jahwista (Gen 3). La dimenticanza di Dio (sarebbe importante analizzare anche questo tema della “memoria- dimenticanza”), la rottura dell’alleanza è il vero male di Israele: è la sostanza del peccato. Non potendo, esaminare i testi biblici, né tutti né molti, accenniamo solo a due.

2.1. – Osea 2,3-25; è un capitolo antichissimo e bellissimo, è la prima volta che nella Bibbia viene introdotta la metafora matrimoniale per esprimere il rapporto tra Jahweh e il suo popolo come un rapporto sponsale. Israele come un’adultera ha abbandonato il suo sposo e ne ha sperimentato nella sua vita e nella sua storia, le terribili conseguenze morali, sociali ed economico- politiche. Israele e la terra, che il Signore gli ha dato, formano un tutt’uno, l’aver abbandonato Jahweh è stata la causa di tutto il suo male; Israele si è dimenticato della sua origine, cioè del dono di Dio. Per questo Dio la riprenderà per i suoi adulteri sentirà vergogna e sarà riportata alla sua origine, ai tempi del deserto quando fu conclusa l’alleanza.

2.2. – Geremia 2,1-12; 3,1-13; 31,31-34 e tanti altri brani del profeta riprendono la stessa tematica e la sviluppano mettendo in evidenza la perfidia insita nell’idolatria, che è dimenticanza di Dio e tradimento del suo amore gratuito, chiusura ad una lettura profetica della storia.

Geremia proietta nei tempi escatologici la vera alleanza, quella piena che il Signore rinnoverà con il suo popolo, che Egli stesso renderà capace di essere fedele (cfr il rapporto tra Ger 31,31-34 e Eb 8,8-12 e tra Os 2,3-25 e I Pt 2,1-10).

.3. –        La Legge.

La Legge è la carta base che serve di guida ad Israele per vivere il suo rapporto di alleanza con Dio. Essa è un dono, fatta da Dio al suo popolo per il suo bene e il popolo l’accetta e la sente come giusta e santa. La Legge è la sua felicità. Essa è fondamentalmente formulata con le dieci parole, i dieci comandamenti (Esodo 20 e Deuteronomio 5) e si specifica poi e si concretizza nella vita attraverso le diverse legislazioni.  Israele vede la Legge come data positivamente da Dio, essa viene dalla sua santità (basti pensare alle speculazioni sulla legge e la sua origine nei libri sapienziali: cfr Prov 8 e Sir 24 e altro), ma sa anche che essa corrisponde alle esigenze più profonde dell’uomo e che violare la legge significa distruggere se stesso. Altro è la legge ed altro sono le leggi: la prima è santa ed immutabile, le seconde cambiano attraverso i tempi secondo le circostanze nuove ed occorre un occhio vigile per sentire e cogliere le esigenze della prima sulle situazioni della vita e le singole leggi.

Dio viene a contendere con Israele sulla base della Legge; Egli costituisce un “rib”, cioè un giudizio, chiama in tribunale Israele e gli rinfaccia le sue mancanze e soprattutto mostra che il torto è tutto dalla parte di Israele, che ha deviato e misconosciuto la legge. Questa idea sottostà a tutti i brani di minaccia, così frequenti nei profesti. (cfr ad esempio: Is 1, 24s; 3, 13ss; Ez 16, 38; Ger 25, 30-38; Sal 50, 4ss). Tutto e tutti sono sotto il giudizio di Dio e nulla gli potrà essere sottratto: Egli giudica Israele, giudica i popoli, giudica l’intera storia degli uomini.

I fatti mostrano questo giudizio e bisogna avere occhi per leggerli. Dinanzi all’incombere del giudizio di Dio, Israele è chiamato a conversione; i profeti sono gli annunciatori di questo giudizio (cfr Amos: “Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre e non luce” 5,18ss), mentre l’uomo è chiamato a convertirsi perché Dio ritragga il male che ha minacciato. Qui si dovrebbe analizzare l’altro concetto importante, quello del “Dio geloso”: “io sono un Dio geloso” proclama Jahweh Es 20,5; Dt 5,9; Es. 34,6: geloso dell’uomo di cui punisce la colpa fino alla quarta generazione, ma a cui conserva la benevolenza e la fedeltà fino a mille generazioni, cioè le conseguenze del male, del peccato sono gravi e durano fino alla terza e quarta generazione, ma l’amore di Dio è più grande perché è capace di riprendere l’uomo, di rinnovarlo per mille generazioni, per sempre. La gelosia di Dio esprime l’onnipotenza del suo amore, che è immensamente più grande del peccato dell’uomo.

.4. –         La riflessione sapienziale.

Non mi riferisco ai libri sapienziali e al loro valore etico, ma al capitolo terzo del Genesi, che va letto in chiave sapienziale. Basti soltanto qualche cenno, l’autore jahwista parte dalla concretezza e dalla storia di Israele, che, letta religiosamente, è una storia di idolatria e di peccato: Israele ha continuamente rotto l’alleanza con il suo Dio. L’autore allarga la sua visione e legge in questa chiave tutta la storia dell’umanità: il peccato si è annidato nel cuore dell’uomo e costui si è ribellato a Dio. Con una ricchezza stupenda di simboli, magistralmente lo jahwista ci dà una lettura del mistero del cuore dell’uomo e del suo rapporto con Dio: il peccato radicale dell’uomo è la mancanza di fede, non si fida di Dio, anzi lo percepisce come una potenza avversa, che gli toglie qualcosa, la conoscenza del bene e del male, cioè l’esserne arbitro; vuol sperimentare, si erge contro Dio e fa l’esperienza invece del suo male, da cui soltanto l’intervento misericordioso di Dio potrà liberarlo: l’uomo fa l’esperienza che egli non è e non può essere salvezza a se stesso, ma la sua felicità non può essere che Dio.

E’ questa una tematica quanto mai attuale per l’uomo moderno e va pastoralmente situata nelle celebrazioni della penitenza.

.5. –        L’eschaton.

La promessa, l’attesa, il compimento è la tensione dell’Antico Testamento, il compimento in Cristo, anticipazione prolessi dell’eschaton; – l’arrabon, la caparra dello Spirito nella Chiesa. L’eschaton assoluto è la tensione che va dal Vangelo all’Apocalisse. E’ questa una linea fondamentale che attraversa tutta la Bibbia. La chiamata alla conversione, è tutta basata su questa tensione, che non è che l’espressione della potenza creatrice di Dio, che fa le cose nuove:” non ricordate più le cose passate (…) ecco io faccio una cosa nuova” (Is 43, l8s), a cui fa eco la voce di Colui che siede sul trono: “ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).

La comunità che celebra la penitenza deve essere in ascolto di questa proclamazione, che dona profonda gioia: tutto può cambiare, perché Dio tutto può ricreare. Senza questa fede non si percepisce nemmeno la buona notizia che porta Cristo: “convertitevi perché il regno di Dio è vicino”.

.B. NU0V0 TESTAMENTO

Come per il V.T. così per il N. ci limitiamo solo a qualche spunto unificando alcune riflessioni sulla conversione- penitenza.

.1. – Il regno di Dio e il potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati.

Il punto centrale dell’annuncio di Gesù è la buona notizia della prossimità, della presenza del regno di Dio: “esso è in mezzo a voi” (Lc 17,21). Esso non è che la presenza di Dio, per questo richiede la conversione, l’accoglienza del regno e dove c’è la presenza di Dio, lì c’è la salvezza, la liberazione dal male, con i suoi segni, con il perdono dei peccati, con tutta la sua persona. La presenza di Gesù e la sua parola, accolte nella fede, fanno irrompere il regno di Dio, per questo Gesù dice: “ti sono rimessi i tuoi peccati”.

L’episodio del paralitico (Mc 2, 1-12; Mt 9, 1-8; Lc 5, 17-26) è esemplare a questo proposito: l’uomo da sé non può dire, o fare, né l’una né l’altra cosa, perdonare i peccati o far miracoli, ma Dio può fare l’una e l’altra, anzi la guarigione miracolosa è il segno, la prova della realtà del peccato perdonato e la folla, che ha occhio per leggere, “resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9, 8). In fondo il regno di Dio è il perdono dei peccati, il perdono da parte di Dio e la forza che l’uomo riceve da Dio di perdonare a sua volta. Non dimentichiamo che il celebre capitolo 15 di Luca con le parabole della misericordia comincia presentando lo scandalo dei farisei che protestavano e accusavano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15, 2). Nella terza parabola quella dei due figli si sottolinea che la festa non è completa fino a quando il secondo figlio non ha capito l’atteggiamento del padre, che ha accolto il figlio prodigo. Il perdono tra gli uomini è il segno del perdono di Dio. In ultima analisi la misericordia di Dio si identifica con il suo amore creatore, che rinnova l’uomo e lo rende capace di percepire la novità di Dio in sé e negli altri: questo fa superare ogni legalismo, ogni confronto con gli altri, ogni fariseismo.

L’atteggiamento di Gesù nei confronti dei peccatori ci dà la misura di quello che è il regno: è l’opera di Dio, che si è manifestata in Gesù, è il suo amore creatore, che rinnova e dona pace e felicità: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia voglio e non sacrifici.  Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, mai peccatori” (Mt 9,13).

Pastoralmente è un grosso interrogativo per noi: quale esperienza di Dio c’è nelle nostre confessioni, nella pratica penitenziale delle nostre parrocchie? Non dobbiamo trovare una catechesi e una prassi adeguata nella celebrazione del sacramento della penitenza?

.2.- Il mistero pasquale.

Senz’altro questo aspetto è stato il più sottolineato nella catechesi della confessione, almeno parzialmente sotto la visione: ‘il peccato è la causa della morte di Cristo’. La nostra predicazione ha sempre sottolineato la morte redentrice di Cristo, spesso lasciando in ombra la risurrezione. S. Paolo ai Romani scrive: “il Signore Gesù è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (4, 25).

Nella vita di Gesù, il giusto che è passato beneficando e sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (At 10, 38), il peccato ha mostrato la sua forza e la virulenza delle sue strutture, che hanno stroncato la sua vita portandolo alla morte. L’obbedienza di Cristo ha mostrato il mistero del peccato dell’uomo e della sua potenza: “si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 8). Ma nella morte di Cristo si è manifestata la giustizia di Dio, che lo ha risuscitato da morte, perché il Figlio gli è stato fedele in tutto. Ora il risorto dona lo Spirito suo e del Padre per la remissione dei peccati (Gv 20, 22 “ ricevete lo Spirito Santo”), perché noi possiamo essere giustificati, cioè partecipare del dono misericordioso di Dio, che distrugge il peccato e la morte e ci fa risuscitare alla vita: la giustizia di Dio infatti è la sua misericordia.

I sacramenti celebrano il mistero di Cristo e l’Eucaristia ne è il vertice e attraverso essi entriamo in questo mistero di salvezza. Noi dobbiamo domandarci se la nostra prassi penitenziale si svolge in questa atmosfera o se piuttosto non acquista più sovente l’aspetto di una amministrazione vuota e meccanica.

.3. –  La comunità del N.T.

Senza addentrarci in analisi per caratterizzare la specificità e le prerogative della comunità cristiana, un testo, a mio parere fondamentale, fa al nostro tema della conversione- penitenza. Il brano della 2 Corinzi 5,14-21 specifica questa situazione: la comunità cristiana si ritrova intorno a Cristo perché lui è morto per tutti e i cristiani non vivono più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per tutti (v. 15); essi in Cristo sono una creatura nuova, le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove (v. 17). Tutto questo è opera di Dio, “ che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” ed ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione (v. 18). Gli apostoli hanno un potere da Dio perciò essi fungono da ambasciatori per Cristo (v. 20); essi annunciano: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”, cioè oggetto della sua misericordia e bontà (v. 21). Qui giustizia di Dio significa che Dio è giusto perché è fedele alla sua promessa di salvezza e la opera in nostro favore, per cui noi siamo l’espressione di questa giustizia, cioè siamo giustizia di Dio.

Questo è il ministero della riconciliazione affidato alla Chiesa, affidato agli apostoli e ai loro successori, che continuamente gridano con Paolo: lasciatevi riconciliare con Dio (v. 20). E’ il ministero nella sua pienezza che si esprime nell’annuncio della parola, nella celebrazione dei sacramenti, nell’esercizio della carità di creature nuove.

Noi dobbiamo domandarci se tutto questo si esprime nella prassi attuale della confessione. Certamente c’è in luce tutto quel gesto di assolvere da parte del prete e di accostarsi all’Eucaristia da parte del fedele, ma quanta povertà! Credo che c’è da dissotterrare una ricchezza immensa rimasta sotto forme sclerotizzate, frettolose, meccaniche, senz’anima. Il Nuovo Ordo i Poenitentiae ci avvia verso questa riscoperta con la ricchezza della parola di Dio, con il senso sacramentale riportato alla sua espressività specialmente nella seconda e terza formula, che sono capaci di ricostruire piano piano il senso della comunità e della riconciliazione.

Altro è la riconciliazione nel suo aspetto generale ed altro la riconciliazione del singolo cristiano per una colpa singola. La comunità cristiana è chiamata la comunità dei “santi” cioè dei santificati perché c’è Cristo, ma è anche la comunità peccatrice perché c’è il peccato dei cristiani, la Chiesa è ben cosciente di questo (cfr LG n° 8) e S. Paolo ce lo mette bene in luce, soprattutto nella prima lettera ai Corinzi quando deve intervenire per casi concreti come quello dell’incestuoso (5, 1-8), delle liti tra fratelli (6, 1-10), e del buon ordine nella celebrazione della cena del Signore (11, 17-34) e nell’uso dei carismi (cap. 12-14).

Senza analizzare a fondo questi brani si può dire che risulta un potere di Paolo e della comunità insieme (radunati insieme voi e il mio spirito: 5,4) per cui il peccatore viene dato in balia di satana per la rovina della sua carne (v. 5), cioè privato del sostegno della chiesa dei santi e per ciò stesso, esposto al potere che Dio lascia al suo avversario, che ha potere sulla carne cioè sulla debolezza umana, mentre la Chiesa continua a sostenerlo perché ottenga la salvezza nel giorno del Signore, cioè della sua visita.

A questo proposito sottolineo che non tocca a me parlare delle diverse prassi penitenziali adottate dalla Chiesa attraverso i secoli; ma mi interessa evidenziare che altro è la riconciliazione e il perdono nella Chiesa ed altro i modi con cui questa è stata esercitata.

Alcuni testi ci richiamano queste prassi nella Chiesa apostolica: in questa luce va letto forse il brano di Mt 18,15-18 sulla correzione fraterna: i fratelli e la comunità richiamano, correggono, legano e sciolgono. C’è da supporre che la comunità è strutturata e che all’interno si svolge il ruolo dell’apostolato, e, come vediamo da altri testi, dell’episcopo, del presbyteros; ma certo che è tutta la comunità ad esserne interessata.

D’altra parte il ruolo della comunità lo vediamo anche da altri passi come quello di Giacomo: confessate i vostri peccati agli altri (5,16), o anche in I Gv 1, 8s “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi e gli alri … “.

Anche su questo aspetto del ruolo della comunità nella prassi attuale penitenziale c’è da porsi interrogativi e pastoralmente bisogna valorizzare questi aspetti comunitari che l’Ordo Poenitentiae mette in rilievo.

.III. – BREVE CONCLUSIONE.

Dai cambiamenti vistosi di cui siamo testimoni in questi ultimi anni circa la prassi della confessione, non si può non cogliere un certo senso di malessere. Biblicamente si può dire che la prassi attuale, anche nonostante l’Ordo Poenitentae Nuovo, rimane sostanzialmente quella di prima, è molto povera come segno, come celebrazione, come catechesi. La stessa ricchezza delle letture bibliche che l’Ordo stesso indica non è sfruttata.

Il problema della penitenza oggi non è tanto il problema del potere di assolvere o meno i peccati o quello dell’accusa specifica, ma è il problema di senso di Chiesa, di ricostruire la coscienza di essere la Chiesa di Cristo, santa, ma peccatrice e bisognosa di conversione. I temi cui abbiamo sopra, sommariamente accennato: la santità di Dio, l’alleanza, la legge e il peccato, il mistero di Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, la Chiesa comunità dei salvati, lo Spirito creatore, sono tutti aspetti essenziali e primari su un certo persistente sacramentalismo. Bisogna domandarsi quali sono le vie per arrivare a ricreare questa coscienza; catechesi, catecumenato, celebrazione autentica dei sacramenti.

don Gabriele Miola

\

*** ECCO IL PROGRAMMA DI QUESTA SETTIMANA TEOLOGICA PER IL CLERO FERMANO

LA PENITENZA

-I.a – PARTE: la situazione di fatto

A – Inchieste: .1. inchiesta tra il clero (relaziono- del Vicario per la pastorale Mons. Rolando Di Mattia)

.2  inchiesta tra gli studenti (relaziono di d. Francesco Monti)

B – Prassi penitenziali nei movimenti e gruppi ecclesiali;

.1- Piccola Comunità Vocazionale (d. Giovanni Crocetti)

.2- Comunità Neocatecumenali (d. Raffaele Canali)

.3- Corsi di Cristianità (d. Vincenzo Antinori)

.4- Comunione e Liberazione (d. Franz Cudini)

.5- Movimento GEN; (d. Pierluigi Ciccaré)

C – Nei santuari:

.1. Santuario dell’Ambro (p. Maurizio, guardiano)

.2. Santuario dell’Amore Misericordioso, Collevalenza (intervento di p. D. Cancian e p. A. Ambrogi)

D – Testimonianza di un laico (Walter Tulli)

-II.a – PARTE: Relazioni teologiche

.1 I testi di Mt 16,185 18,18; Gv 20, 23 o la penitenza nella Bibbia (d. Gabriele Miola) ..QUI TRASCRITTO.

.2 Teologia del peccato e della riconciliazione nella prassi sacramentale ecclesiale (Mons. Duilio Bonifazi)

.3 Crisi attuale del sacramento della penitenza alla luce della storia (d. Romolo Illuminati)

.4 Riflessioni teologiche su: “Chiesa e sacramento della riconciliazione (d. Angelo Fagiani)

.5 Le indicazioni dell’Ordo Poenitentiae di fronte -alla prassi pastorale attuale (d. Giovanni ‘Cognigni)

-III.a  – PARTE: Relazioni dei 4 gruppi di studio

-IV.a   PARTE: Conclusioni- del Vicario per la Pastorale:

  1. a) conclusioni della prima settimana (26-30 giugno 1978)
  2. b) conclusioni della seconda settimana (28/8 – 1/9. 1978)

 

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, LUOGHI, Notizie Recenti, PERSONE and tagged , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra