MEMORIA DI MIOLA GABRIELE pubblicata nella Rivista FIRMANA n. 67 (2018/2) riedita qui per gentile concessione

Si pubblica per gentile Concessione dell’Istituto Teologico di Fermo con rinnovate Grazie agli scrittori

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Scritti in memoriam di Mons. Gabriele Miola

< T. CHIURCHIU’> Editoriale – “Testimonianze ed interventi”  pp. 7-8

A. ANDREOZZI, “Alla scuola del professor Miola: radici, metodo, intuizioni” pp. 11–15

N. DEL GOBBO, “Un ponte, una finestra, una Bibbia in ebraico. Testimonianza autobiografica di Mons. Gabriele Miola” pp.17-22

MIOLA, G. “Pubblicazioni” <completabile>  pp.23-24

[nella rivista] “F I R M A N A”  QUADERNI DI TEOLOGIA E PASTORALE

a cura dell’Istituto Teologico Marchigiano sede di Fermo
N. 67  anno 2018  / 2

L’UOMO IN CAMMINO VERSO LA NUOVA GERUSALEMME

Cittadella Editrice -Assisi

 

<si chiede perdono per i refusi della scansione dell’edito. La concessione sia revocabile >

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EDITORIALE del Direttore

Abbiamo in questa rivista onorato in varie occasioni <ad es. nel N. 49> la figura ed il servizio di mons. Gabriele Miola, quale docente di questo Istituto Teologico e co-fondatore di Firmana. Giunti al primo anniversario da quando don Gabriele ha raggiunto la Nuova Gerusalemme, vogliamo ricordare la sua grande personalità dedicandogli una miscellanea biblica in questo nuovo numero della rivista. Quanti l’hanno conosciuto, quanti gli sono succeduti nella cattedra di Sacra Scrittura presso l’Istituto Teologico, i suoi amici e biblisti di fama internazionale hanno voluto offrire il loro contributo perché sia degnamente ricordato lui e la sua missione, quella di far camminare la Parola sulle strade del mondo. Credo che questa immagine, filo conduttore dell’opera dell’evangelista san Luca, della Parola in cammino, ben si addica all’operato di mons. Miola e riassuma complessivamente il suo instancabile apostolato. Un apostolo della Parola che ha macinato migliaia di chilometri, mosso solo dal desiderio di far conoscere la Parola e far crescere nel popolo di Dio l’amore verso di essa, attraverso anche l’approfondimento teologico. Non ha trascurato la lezione della Parola, attraverso le preziose pietre della Terra Santa, – reliquie di quella Parola che sapeva rivitalizzare attraverso un amore tutto particolare. Aveva stabilito dei patti di fedeltà non scritti in nessun contratto ma difesi fino all’ultimo, che ha offerto un tratto inconfondibile di quello che era don Gabriele. Oltre alla sua fede e alla sua scelta di vita cristiana nel sacerdozio, mons. Gabriele è stato fedele alla sua Chiesa e al luogo dove era stato destinato nella sua missione presbiterale: il seminario. Lungi dall’essere un uomo in carriera, riconoscendo anche le sue insufficienti forze da leader senza scrupoli, non ha cercato promozioni (pur essendogli offerte e rifiutando); è stato al suo posto, nella sua cattedra, tra i suoi studenti con la Bibbia in mano. Quella Bibbia che non lasciava neanche quando si recava nei Luoghi Santi per fare da guida ed esegeta di quei monumenti storici, muti testimoni della storia di Gesù e che è rimasta aperta nel suo studio privato al momento del suo passaggio dalla terra al cielo. Ricordarlo in questo numero speciale di Firmana, dedicato a lui e agli studi sulla Sacra Scrittura ha un valore simbolico molto importante. È il ritorno alla sorgente dello studio teologico, fondato sulla Parola per ritrovare in essa la fonte della riflessione e orizzonte entro quale muoversi e camminare. E non disperdere il patrimonio di uomini come don Gabriele, votati nella loro missione sacerdotale a tradurre il loro impegno in una sola direzione, senza inutili dispersioni, realizzando un modello di prete, non meno dedito alla pastorale ordinaria vissuta nelle comunità parrocchiali. Questo è il modello del prete, maestro della Parola, dedito ad approfondire con lo studio i tesori della Sacra Scrittura e formare il popolo di Dio, per renderlo libero di pensare, di sognare una Chiesa diversa e più rispondente al messaggio evangelico. Ha pagato di persona le sue scelte, soprattutto il prezzo di una solitudine e di un isolamento: quello interno al clero, sempre pronto a sminuire i “cosiddetti preti-professori” considerati più dediti ai libri che alle anime, più immersi tra i libri che in mezzo alla gente. Gli stessi parroci che però dovevano ricorrere alla sua competenza, per organizzare incontri formativi biblici per parrocchiani che chiedevano cibo sostanzioso (quello culturale) e che loro non erano in grado di fornire. Ha pagato il prezzo anche di un isolamento istituzionale quando ha voluto a tutti i costi difendere non il suo posto di lavoro, ma la possibilità che la diocesi abbia tutti i mezzi per formare il popolo di Dio. L’Istituto Teologico è debitore a lui del suo contributo e del suo coriaceo impegno nel promuovere la cultura teologica e dotare l’Istituto stesso di una sua Rivista. Senza mai alzare la voce, ha dato voce ai laici credendo fortemente in una cultura teologica che fosse patrimonio del popolo di Dio, in una fede pensata che aiuta a vivere a pieno il mondo contemporaneo. In questo non si è lasciato confondere, ha tirato dritto col suo aratro senza volgersi indietro favorendo il terreno ad accogliere i semi della Parola che ha seminato senza risparmiarsi. I contributi di questo numero sono altrettanti semi che intendono proseguire il solco tracciato da mons. Gabriele Miola per far crescere un amore alla Parola. Grazie don Gabriele, per la tua dedizione ma soprattutto grazie per aver seminato la Parola con il tuo immancabile sorriso: hai cosi dimostrato che si può essere colti senza presunzioni, senza creare inutili distanze. Si può fare cultura senza perdere il sorriso.

Don Tarcisio Chiurchiù Direttore e Docente di Storia della Chiesa all’Istituto Teologico Marchigiano in Fermo

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SEZIONE ‘TESTIMONIANZE E INTERVENTI”

 

ANDREA ANDREOZZI  Docente di Sacra Scrittura e Lingue Bibliche all’Istituto Teologico Marchigiano – Fermo

ALLA SCUOLA DEL PROFESSOR MIOLA: RADICI, METODO E INTUIZIONI

Il primo anno non si scorda mai. Quando, nel 1987-1988, iniziai, presso il Seminario di Fermo, gli studi teologici del primo ciclo, ebbi la fortuna di frequentare da subito il Corso di Introduzione Generale alla Sacra Scrittura tenuto dal Prof. Gabriele Miola. Fu quello Tasse principale di tutta la proposta del primo anno attorno al quale ruotavano, come pianeti attorno al sole, tutte le altre discipline. Le ore settimanali dedicate alla Sacra Scrittura, infatti, erano ben sei nel primo semestre, cinque nel secondo semestre. All’interno di questo blocco si trovavano la geografia biblica, la lettura e la presentazione delle varie parti della Bibbia Ebraica e Cristiana.

L’impostazione e il metodo di lavoro, proposti agli studenti, erano finalizzati alla lettura e alla conoscenza del testo biblico, dentro un quadro di riferimento concepito essenzialmente come storia e messaggio di salvezza, portati avanti da Dio attraverso l’elezione d’Israele e le vicende storiche di questo popolo. Il rapporto tra quanto raccontato dal testo e quanto ricostruito dalla ricerca storico-critica veniva affrontato dal Professor Miola con coraggio, in base agli apporti dei moderni metodi esegetici, in particolare quelli di carattere storico-critico.

Lo strumento principale di lavoro era la stessa Bibbia. Avevamo la chiara consapevolezza dei rischi che si correvano se per caso fossimo arrivati alla scuola di Miola senza questo testo. Erano consigliati sì dei libri fondamentali: Von Rad, Soggin, De Vaux, ma la Bibbia era l’opera che costituiva il principale testo di riferimento e strumento di lavoro in classe e nel compito di preparazione personale. In particolare era raccomandata l’edizione della Bibbia di Gerusalemme, frutto del lavoro dei professori dell’École Biblique, conosciuti e seguiti dal nostro Professore durante la sua permanenza di studio in Terra Santa, dove, pur essendo di stanza allo Studium Biblicum Franciscanum, accadeva, come lui stesso racconta, che: «A dire il vero non è che le lezioni ci entusiasmassero molto e quando potevamo approfittavamo per andare all’École Biblique a sentire le lezioni di De Vaux, Benoit, anche se il direttore, Padre Baldi, non voleva. Il Padre Testa stava stampando la sua tesi di laurea “Il simbolismo giudeo-cristiano” e ci teneva lezione sull’argomento, ma era talmente confusionario che non ci faceva gustare la tematica, che pure era importante. Mentre i domenicani dell’École Biblique avevano curato l’archeologia dell’AT e di Qumran, i francescani quella del NT e quella legata ai santuari, che per lo più erano affidati alle loro cure».

Leggendo ancora le memorie del Prof. Miola, si può intuire quale sia la radice profonda di questa fedeltà alla lettura del testo come opera da accogliere, oltre che per il messaggio che veicola, anche nella sua qualità artistico-letteraria: «Nel secondo anno del Biblico1959-60 oltre i corsi di ebraico 2 e greco 2, come seconda lingua semitica scelsi siriaco e poi i corsi di esegesi: quello sui Salmi del Padre Vogt e quello su La lettera ai Romani tenuto dal Padre Lyonnet. Era stato chiamato al Biblico un professore nuovo, il Padre Luis Alonso Schokel, che tenne un corso libero dal titolo “Lectio cursiva di ebraico”. Ci inscrivemmo in molti al suo corso. Lui leggeva il testo ebraico come si legge un qualsiasi testo in prosa o poesia nella propria lingua. Rimanemmo stupiti tutti e capimmo come fosse lontano il corso ufficiale di ebraico, tenuto dal Padre Boccaccio, che ci faceva conoscere grammatica e sintassi, ma non ci dava il gusto della lingua e della lettura del testo. Le conseguenze me le son portate poi sempre dietro».

In sintesi: fu veramente tanto il tempo dedicato da noi studenti alla lettura della Bibbia in quel primo anno del primo ciclo trascorso a Fermo. Tempo che, grazie al Professor Miola, non fu sprecato.

LE LEZIONI SUL CAMPO

L’insegnamento attraverso i libri biblici veniva supportato dal Professore Miola con l’ausilio delle conoscenze della storia e delle fonti extrabibliche, come pure dalle testimonianze archeologiche delle diverse epoche prese in esame. Lo sguardo veniva allargato alle vicende e alle culture delle civiltà del Medio Oriente Antico, rispetto alle quali la storia d’Israele potrebbe apparire insignificante, ma, proprio per questo, ancora più affascinante e misteriosa. Tra le memorie lasciate per inerii to dallo stesso Professore possiamo intuire quanto la conoscenza si sia formata sul campo e sia stata approfondita attraverso lunghi e faticosi viaggi, guidati anche da un briciolo di imprudenza e incoscienza negli anni giovanili.

La lettura delle avvincenti e affascinanti note di viaggio circa le esplorazioni nelle terra della Bibbia, che sono riportate in parte nel con­tributo di Nicola Del Gobbo, ci permette di comprendere come, se le lezioni del Professore Miola a Fermo sono state sempre seguite con grande attenzione e numerosa partecipazione di studenti, non è possibile pensare che siano state meno scientifiche e accurate le spiegazioni fornite sul campo ai visitatori che prendevano parte con lui ai viaggi o ai pellegrinaggi in Terra Santa, in Egitto, Giordania, Siria, Turchia, o in terre più difficilmente raggiungibili, come l’Iraq o l’Iran. Il personaggio di Miola, come guida di Terra Santa, in pellegrinaggi o in viaggi studio nelle terra menzionate dalla Bibbia, non rinunciava mai alla scientificità, sapientemente unità alla spiritualità e alla diplomazia con cui dover gestire il gruppo a lui affidato e le situazioni, talora complicate, che si potevano creare cammin facendo. Come studente, ricordo in modo molto chiaro come, durante Tesarne, il Professor Miola mise davanti a me una cartina geografica del Medio Oriente priva di nomi di città, di fiumi o di monti e poi mi chiese di indicare con la matita il punto esatto di una determinata località. Quando la matita andava lontano dal posto esatto, il Professore emetteva un rumore sinistro, quando si avvicinava alla zona precisa, allora faceva un cenno di approvazione. Ricordo di aver preso parte ad un pellegrinaggio in Terra Santa sotto la guida del Professore Miola. Una mattina io e un altro seminarista salimmo per ultimi sul pullman con uno o due minuti di ritardo. Ci disse che, se fosse capitato ancora, non avrebbe più atteso il nostro arrivo.

LA MISSIONE E IL METODO DI LAVORO

Un capitolo a parte richiede il metodo di insegnamento adottato dal Professor Miola. Anche in questo caso è utile andare al dibattito in corso tra gli esegeti durante gli anni della sua formazione a Roma. Ascoltiamo dalle sue memorie come lui li ha vissuti, per poi capire come abbiano inciso nel suo lavoro futuro: «Mi iscrissi al terzo anno nel 1960-61, senza avere la prospettiva di fare il dottorato. Feci comunque tutti gli esami; mi iscrissi anche al quinto anno di teologia al Laterano, con l’idea di fare la tesi. Feci tutti gli esami, ma, una volta tornato in diocesi, non sono mai riuscito a concludere.

Intanto era scoppiato lo scontro tra il Laterano e il Biblico. Alcuni professori del Laterano, tra cui Spadafora, che aveva sostituito Garofalo, e il religioso Padre Garcia, Lattanzi e Romeo attaccarono il Biblico accusandolo di progressismo e di eterodossia, specialmente vennero presi di mira i professori Lyonnet e Zerwick: Lyonnet per l’esegesi della lettera ai Romani di 5,12 quasi riducesse il peccato originale ai peccati dei singoli e Zerwick che, applicando, secondo la Divino Afflante Spiritu, i generi letterari ai racconti di Le e Mt 1-2, negasse la storicità dei racconti dell’infanzia. Circolavano ciclostilati con accuse e risposte, che noi studenti ci passavamo l’un l’altro. Un tipo di letteratura di bassa lega, che risentiva degli scontri che ormai si facevano sentire tra le correnti preconciliari. Noi parteggiavamo evidentemente per i nostri professori e rimanemmo male quando ai Professori Zerwick e Lyonnet fu tolto l’insegnamento. Accusavamo d’ignoranza e prepotenza il Laterano e il conservatorismo della facoltà teologiche romane e della Congregazione degli Studi della Santa Sede».

Neppure per il Professor Miola i primi anni di insegnamento a Fermo furono facili. Le resistenze che trovò erano simili a quelle incontrate dai Professori del Biblico da lui menzionati. Il suo impegno per la formazione biblica non si arrestò, anzi fu intenso e tenace. Ai corsi tenuti all’Istituto teologico aggiunse le serate di aggiornamento rivolte alle catechiste e agli operatori pastorali nelle diverse e più lontane zone della Diocesi.

Nel 1997, al termine di un ciclo di convegni organizzato per celebra­re i trent’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, così scriveva sulla rivista Firmano: «La Dei Verbum ha creato un atteggiamento nuovo negli studi biblici, ma soprattutto ha riportato la Parola di Dio al centro della vita ecclesiale, nella liturgia e nella catechesi. Se nell’ambito scientifico il frutto è evidente e buono, bisogna invece riconoscere che dopo trenta anni il lavoro di base si può dire appena cominciato. Del resto dopo secoli nei quali il popolo cristiano era stato lontano dalla S. Scrittura e non aveva accesso al testo biblico, non ci si poteva aspettare, nonostante i tanti mezzi di cui la comunicazione oggi può disporre, di colmare vuoti generazionali e di arrivare ad un rapido cambiamento di mentalità. D’altra parte il rapporto con la Bibbia non è un fatto puramente conoscitivo, ma di assimilazione di una parola, che è parola di Dio, e richiede ascolto e impegno di vita».

Quello che importa sottolineare, tuttavia, è la chiarezza nel proporre una preparazione del tutto nuova in campo biblico, capace di destare vivo interesse in tutti e gelosa custode delle conquiste fatte dagli studiosi. La questione dei generi letterari, ad esempio, veniva affrontata con sapiente equilibrio, ma anche con coraggio. I testi della creazione furono da noi studiati con le giuste chiavi di lettura. Al Professore Miola va riconosciuto il merito di aver accolto nel corso degli anni le diverse e nuove metodologie di approccio al testo biblico con grande disponibilità e onestà intellettuale. Lui diceva che non aveva mai tenuto corsi di esege­si, ma solo di introduzione. Non aveva mai perso l’impronta dell’esegesi storico critica e il piglio dello studioso capace di entrare nello specifico delle questioni nascoste nei singoli versetti di un testo. Un suo cavallo di battaglia, ad esempio, era l’approfondimento della figura di Giovanni Battista. Dallo studio su La Predicazione, pubblicato nel numero 25/26 della rivista Firmana del 2001, possiamo scorgere sia la competenza nell’inquadramento storico sia la raffinatezza nella lettura delle diverse sfumature con le quali i Vangeli delineano il personaggio in questione. La biblioteca, gli studi e le lezioni del Professor Miola dicono a chiare let­tere che l’aggiornamento era costantemente aperto ad ogni importante novità apportata dagli studiosi al dibattito esegetico in ogni ambito dello studio della Bibbia Ebraico-Cristiana.

Andrea Andreozzi Istituto Teologico Marchigiano – Fermo – andreozzo. aa@libero. it

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UN PONTE, UNA FINESTRA, UNA BIBBIA IN EBRAICO. TESTIMONIANZA AUTOBIOGRAFICA DI MONS. GABRIELE MIOLA

NICOLA DEL GOBBO Docente di Teologia Pastorale all’Istituto Teologico Marchigiano – Fermo

Sono questi i simboli che mi vengono in mente pensando a Mons. Gabriele Miola, nato a Montegiberto il 19 Febbraio del 1934 e salito in Paradiso il 22 dicembre 2017.

E STATO UN PONTE

E stato un ponte tra una chiesa preconciliare e una Chiesa Popolo di Dio.

Ha lavorato spendendosi fino all’inverosimile. Ha voluto che tanti uomini e donne, sacerdoti e religiose potessero attraversare il gap che si era costruito tra chiesa e mondo, tra clero e laicato, tra ignoranza e sapienza dando voce ai documenti del Concilio Vaticano II non si è mai tirato indietro. Con pioggia, neve o afa era sempre in prima linea dovunque lo si chiamasse per parlare ad adulti, a catechisti, a comunità parrocchiali e religiose.

L’Istituto Teologico di Fermo si è formato grazie alla scienza, alla laboriosità e all’impegno che Mons. Miola ha profuso. Voleva a tutti i costi che gli operatori pastorali fossero formati teologicamente e spingeva tanti laici e laiche a continuare gli studi a Roma. Aveva la certezza che il futuro si prepara prima di tutto con la competenza teologica.

Negli ultimi tempi però si leggeva la delusione nel suo volto quando si accennava all’Istituto Teologico. Si sentiva solo, incompreso, emarginato dai colleghi e dai superiori. Nelle sue memorie si trovano spesso di queste confidenze amare: «Ci tenni a dare risalto alla nostra sede, quella di Fermo, sia perché a mio parere aveva un corpo docente più qualificato e sia per il numero superiore di iscritti. Alcuni nostri docenti, però […] preferirono avere più ore di insegnamento a Loreto e in Ancona perché c’era una retribuzione per ore di lezione e un consistente rimborso viaggi.

Un momento cruciale per l’ITM fu il passaggio da Istituto “affiliato” ad “aggregato” alla PUL. Mi sembra che si era nell’anno 1994-95. [… Un docente] riprese la sua attività d’insegnamento in Ancona all’ITM di cui divenne anche preside. Il vescovo di Senigallia, Mons. Odo Fusi-Peci, incaricato della CEM per gli Istituti Teologici, avviò presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica la pratica per il passaggio dell’ITM da “affiliato” ad “aggregato”. [Quel collega] ebbe l’incarico di redigere lo statuto dell’ITM, ma fece un lavoro che noi della sede di Fermo giudicammo pessimo, perché, basandosi sul modello dello statuto della teologia di Assisi, che aveva già ottenuto l’aggregazione e che era un Istituto con una sola sede, declassò il nostro Istituto di Fermo a pura appendice dipendente in tutto da quella di Ancona, che aveva ogni diritto sulla nostra sede, anche quello di nominare i professori. Lo stesso arcivescovo Bellucci ci rimase male e dovemmo scontrarci con [quel collega] io e don Albanesi, che, come professore di diritto, redasse un preambolo allo statuto, che riservava diritti essenziali all’arcivescovo e alla sede di Fermo, come la presentazione dei professori, del vice-preside, l’autonomia amministrativa. Ne derivò purtroppo un atteggiamento guardingo e di sospetto permanente di noi nei confronti della sede di Ancona e della direzione di Ancona nei nostri riguardi».

In un’intervista a La Voce delle Marche n.7 del 14 maggio 2017, don Gabriele conferma: «Purtroppo qualche docente (…) ha (…) svalutato l’Istituto Teologico di Fermo parlandone male e facendolo passare come un istituto di progressisti».

Ma quel ponte comunque c’è. C’è stato. Ha permesso alla Diocesi Fermana di oltrepassare i secoli del modernismo e di affacciarsi alla contemporaneità, al post-moderno.

E’ STATO UNA FINESTRA APERTA

Ha aiutato tante persone ad avere una prospettiva diversa. Là dove sembrava esserci un muro, lui ha fatto intravedere l’universo. Dove sembrava esserci aria asfittica, egli ha portato una folata ai Spirito. i suoi studi lo hanno portato a vedere con ottimismo il futuro. E non si è mai arreso.

Ha aperto il cuore di tanti giovani alla scelta presbiterale.

A qualcuno che chiedeva: come ringraziare il Signore per quanto mi ha dato? Rispondeva citando il salmo 115: «Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore». Indicava così la strada ministeriale di un servizio a tempo pieno alla Chiesa di Dio nel presbiterato.

Dal 1968 al 1972 fu vicerettore dei teologi e dal 1972-78, per sei anni, rettore del seminario. Così racconta quell’esperienza mons. Miola: «L’arcivescovo Mons. Cleto Bellucci si trovò ad affrontare la crisi del seminario o dei seminari. Volle che facessi il rettore e nominò lo storico rettore, mons. Cardenà, vicario generale.

Per il seminario formò un’equipe: me, rettore generale, ma mi occupavo soprattutto dei teologi; don Trastulli rettore della media; nel ginnasio c’era don Armando Monaldi, che era professore di francese, nel liceo don Vittorio Rossi, poi venne don Angelo Fagiani. Ogni settimana, in un mattino libero per tutti noi dalla scuola o da altri impegni, ci si riuniva, si affrontavano i problemi del seminario, collaboravamo con l’animatore vocazionale dei pp. della Consolata, p. Bonomi, che sembrava avere in tasca la panacea per risolvere ogni crisi.

Organizzammo incontri con ragazzi di quarta-quinta elementare e le parrocchie a turno alla domenica ne mandavano tanti. I teologi li intrattenevano con incontri al mattino e li preparavano alla Messa. Dopo pranzo li guidavano nella ricreazione e nel pomeriggio facevano un intrattenimento in teatro con canti e piccoli sketch. Così si chiudeva la giornata. Era un lavoro faticoso, ma ci si impegnava nella speranza di avere frutti e invece vedevamo che ogni anno calava l’entrata dei ragazzi nella Media, che era stata parificata e ben organizzata, ma d’altra parte ormai la Media stava in tutti i Paesi. Il vecchio criterio per cui si accoglievano in seminario molti ragazzi e poi nel corso degli anni avveniva la selezione verso la teologia e il presbiterato era finito!

Vedevano più chiaro i giovani teologi che noi superiori! Nel giro di quegli anni la scuola media finì; rimaneva il liceo parificato, aperto agli esterni, che man mano vedeva sempre più la prevalenza degli esterni che dei seminaristi interni. Don Trastulli andò parroco alla pievania di Montegranaro, io rimasi con la teologia e i ragazzi di liceo. La crisi era generale, erano stati chiusi i seminari minori nelle Marche e non solo, e tuttavia le critiche del clero, soprattutto anziano, erano feroci. Io e i miei collaboratori eravamo gli affossatori del seminario! Mons. Bellucci era consapevole della crisi e non recepiva, per nostra fortuna, le critiche e ci sosteneva nello scoramento generale.

Per di più in quegli anni di crisi mons. Bellucci dovette affrontare la questione della permanenza del nostro seminario teologico. Il seminario regionale di Fano, finito il liceo, ridotto il numero dei teologi, si vide costretto ad abbandonare il grande edificio, proprietà della S. Sede, perché dispersivo e perché i seminari regionali erano passati alle dipendenze delle conferenze episcopali regionali e il Vaticano reclamava la possibilità di vendere l’immobile. Ci furono grandi discussioni su dove portare il seminario regionale, la sede più appropriata sembrava Loreto perché era fuori da accaparramenti delle diverse diocesi marchigiane in quanto era prelatura a sé stante, ma i vescovi interessati non trovarono un accordo. Volevano che anche la diocesi di Fermo in quanto diocesi più grande in Regione aderisse all’unificazione in un solo seminario maggiore, ma mons. Bellucci sostenuto da me e dai superiori del seminario e dal clero diocesano non aderì. Giustamente disse: “Il seminario maggiore con il suo corpo docente è un bene grande per una diocesi, io ce l’ho e non vedo perché dovrei disfarmene”. Aprì il seminario teologico diocesano ad accogliere teologi di altre diocesi, specialmente di vocazioni adulte e di seminaristi inviati dai rispettivi vescovi per motivi diversi e così ospitò teologi aquilani, teramani, pugliesi e andò avanti abbastanza bene. Intanto il corso di teologia divenne Istituto affiliato alla PUL con i quattro anni di teologia e un quinto per poter fare il baccellierato.

Il seminario regionale trovò ospitalità in una villa a Montesicuro, se ricordo bene, stabilì i corsi teologici nel collegio dei Saveriani in Ancona in zona Posatora, aperto anche ai religiosi. Noi di Fermo mantenemmo la nostra autonomia; i nostri proff. [….] andarono ad insegnare a Fano prima e poi a Posatora; ci si incontrò diverse volte tra teologi e superiori, io feci amicizia con il rettore di allora don Delio Lucarelli, poi vescovo di Rieti.

Come rettore, dialogando con i giovani, continuai a proporre una buona liturgia: lodi e meditazione al mattino, vespro ed eucaristia con omelia alla sera; il rosario libero a gruppetti; incontri quindicinali o mensili di revisione comunitaria della vita di seminario, attività pastorale alla domenica in parrocchia. L’arcivescovo fu d’accordo per mandarli in parrocchia fin dal sabato pomeriggio dando anche una certa libertà ai teologi per uscire avvisando il rettore. Furono messi in programma: un turno per le pulizie, oltre alle proprie stanze, dei corridoi e del refettorio; esercizi spirituali di tre giorni all’inizio e prima della fine dell’anno e ritiri nei tempi liturgici forti e in altre occasioni. Il padre spirituale era sempre don Marcello, stimato per la sua pietà, ma ormai non teneva più le meditazioni, se non raramente. Fungeva anche da padre spirituale don Marziali, che i teologi andavano a trovare a Villa Nazareth. Ero fermo nel chiedere la presenza ai momenti comunitari, specialmente al mattino mentre qualcuno rivendicava una certa libertà, ma non consentivo per educarli alla precisione e alla correttezza verso gli altri.

La vita di comunità era imprescindibile per me, che venivo dalla disciplina del seminario romano, e mi dava fastidio vedere la fatica o meglio la trascuratezza dei teologi, almeno di alcuni. Negli anni settanta si parlava molto di vita di comunità, ma si guardava fuori, c’era una certa smania di andare a fare esperienze, che a me non piaceva, ma che dovevo tollerare. Fu così che l’arcivescovo Bellucci permise ad alcuni, finita la teologia, dì andare un anno dai focolarini, se ben ricordo a Grottaferrata, e mi stupivo quando qualcuno, dopo quattro anni di teologia, al ritorno diceva: Adesso sì che ho imparato che cos’è la comunione e che cosa significa essere cristiani!!

Tenevo molto allo studio della teologia e cercavo di farne capire l’importanza, spinsi mons. Bellucci a mandare giovani capaci a fare delle specializzazioni a Roma. E molti andarono».

Mons. Gabriele Miola era certo che lo Spirito di Dio, attraverso la scienza e l’intelletto, diventa consiglio e sapienza, per poi trasformarsi in pietà, timor di Dio e fortezza.

Occorre essere forti per non farsi tentare dal vizio della amarezza e della delusione. Ogni tentazione si sconfigge, come insegna Gesù, con: “Sta scritto!”.

Mons. Gabriele è riuscito ad essere forte fino all’ultimo giorno della sua vita. Infatti sopra il suo tavolo c’erano il Libro della Liturgia delle ore e il”Novum testamentum graece et latine” di Agostino Merk ancora aperto. Sono il segno evidente che si nutriva quotidianamente della Parola di Dio che è stata luce ai suoi passi.

L’ultimo segno è stato appoggiato sopra la bara durante la celebrazione delle esequie in Cattedrale, domenica 24 dicembre 2017: una bibbia in ebraico.

La bibbia è un libro difficile da capire, da interpretare, da intendere. Scritta in ebraico è impossibile per i profani. Eppure don Gabriele riusciva a leggerla in lingua originale. Aveva fatto anche un corso di aramaico da studente in Palestina che aveva visitato in lungo e in largo.

Racconta così il 1962, ultimo anno della sua permanenza nella terra di Gesù:

«La divisione della Terra Santa in due tra Israele e Giordania non ci permetteva di andare liberamente nella Galilea, la pianura di Sharon e il Negev; rimasero fuori così le zone archeologiche di Meghiddo e Bet- shean, Hazor, il Carmelo. La Gerusalemme storica, quella entro le mura di Solimano, era in mano giordana e quindi eravamo liberi di visitarla.

Noi studenti non francescani eravamo avidi di visite perché sapevamo che poi non avremmo avuto più occasioni. Così noi cinque: io, Barbaglio, Cortese, i due pp. benedettini Basilio Girbau e Antonio Figueras decidemmo di partire per visitare la Mesopotamia e la Persia. Organizzammo il viaggio scrivendo prima alle case religiose dei diversi luoghi,

Bagdad, Mosul, Teheran per avere ospitalità e quindi nel marzo del 1962 partimmo servendoci dei mezzi pubblici. A Bagdad fummo ospiti in un grande collegio dei pp. Gesuiti; a Mosul dei pp. Francescani; a Teheran dei salesiani. Visitammo il museo di Bagdad e i siti archeologici della cultura sumera, accadica, assira, neobabilonese, persiana: Ur, Warka, Larsa, Nippur, Aqarquf, Ninive, Korsobad ecc, e poi in Persia: Tcoga Zambil, Persepoli, Beishtum ecc. Furono quattro settimane stupende, che solo una certa spregiudicatezza giovanile ci permise di affrontare senza far conto di difficoltà e rischi.

Con maggio finiva la nostra permanenza presso lo Studium Biblicum Franciscanum a Gerusalemme e per il ritorno noi tre italiani, Barbaglio, Cortese ed io decidemmo di far ritorno in Italia attraverso Siria, Turchia, Grecia.

Ci organizzammo con lo stesso metodo: mezzi pubblici e ospitalità presso le case religiose, dove era possibile. Facemmo: Gerusalemme-Amman-Damasco. In Siria oltre Damasco e il suo museo visitammo: Mahalula e poi Palmira e lungo l’Eufrate: Mari, Deir ez-Zor e poi Aleppo e qui, le città morte a Qalaat-Sheman (cioè S. Simone stilila); andammo poi sul mare e visitammo Lataqie, Ugarit. Passammo poi in Turchia e visitammo: Tarso, Antiochia, e poi andando verso Ankara ci fermammo alla capitale degli Hittiti: a Hattusha (Bagaskoej). Da Ankara in Cappadocia e poi sul Mediterraneo: Laodicea, Efeso, Mileto, Pergamo e arrivammo ad Istambul. Dalla Turchia passammo in Grecia e visitammo i luoghi paolini: Filippi, Tessalonica, Berea; passammo alle Meteore, Delti e ad Atene, Corinto. Ormai verso la fine del ritorno, passammo per Olimpia, ci imbarcammo a Patrasso e da qui a Brindisi. E con il treno prendemmo la via di casa.

Quando arrivai a Porto S. Giorgio salutai i colleghi don Cortese e Barbaglio. Cera ad aspettarmi mio fratello Umberto. Appena mi vide, mi disse: sei più nero di un africano! In lambretta tornammo a casa a Piane di Falerone: fu veramente l’anno più intenso e diverso dei miei studi».

E stato don Gabriele a diffondere l’amore per la Parola di Dio e l’amore per i luoghi santi, dove ogni anno accompagnava comitive per vari pellegrinaggi. E stato lui a tradurre parole difficili in parole che entrano nella mente e accendono il cuore. Ha dato spirito a quei segni. Ha animato ruderi e pietre antiche. Ha dato valore al libro sacro perché è Parola di Dio per ogni persona. Racconta la storia di ciascuno, se si sa interpretare. E don Gabriele ha dato a ciascuno il metodo per far parlare quelle parole, che, se anche scritte in italiano, hanno bisogno di essere tradotte e interpretate alla luce dello Spirito di Dio così da diventare fuoco vivo che alimenta i passi di ogni giorno

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PUBBLICAZIONI

*San Giacomo il minore, insieme con Giuseppe Barbaglio, FPP, Jerusalem 1962.

*Varie voci sull’Enciclopedia “la storia di Gesù”, I VI voll. Rizzoli Bologna.

* Varie voci nelle “Schede Bibliche Pastorali”, edizioni Dehoniane, Bologna.

*Pleonexia etis estin eidolatria (Col 3,5). L’avarizia che è idolatria, in: «Firmana» 2 (1993) 29-35.

*“Questo mistero è grande”. Il matrimonio in Ef 5,21-33, 77-90 in: «Firmana» 2(1993).

*Charis, agape, Koinonia nel saluto di conclusione di 2Cor 13,13,69-76 in «Firmana» 19-20 (1999).

*La predicazione di Giovanni Battista, in «Firmana» 25-26 (2001) 41-60.

Recensione a: R. Virgili, “Geremia, l’incendio e la speranza. La figura e il messaggio del profeta”, (Quaderni di Camaldoli 13), Edizioni Dehoniane, Bologna 1998, in: «Firmana» 27 (2001) 190-192.

Recensione a: V. Albanesi, “Il Dio della compagnia. Per una spiritualità della condivisione”, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, in: «Firmana» 27 (2001) 192-194.

Recensione a: V. Albanesi, “Le tribù dell’antico mondo. Lettera ai nipoti sulla fine del millennio”, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, in: «Firmana» 27 (2001) 192-194.

Recensione a: V. Albanesi, “La dolcezza di Dio”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2000, in: «Firmana» 27 (2001) 192-194.

Recensione a: J. L. Ska, “La strada e la casa. Itinerari biblici”, (Collana Biblica 2), Edizioni Dehoniane, Bologna 2001, in: «Firmana» 31 (2003) 203-210.

Recensione a: J. L. Ska, “Abramo e i suoi ospiti. Il Patriarca e i credenti nel Dio unico”, (Collana Biblica 6), Edizioni Dehoniane, Bologna 2003, in: «Firmana» 31 (2003), 203-210.

Recensione a: P. Sacchi, “Gesù e la sua gente”, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, in: «Firmana» 31 (2003), 210-212.

Recensione e note a:< I. Finkelstein – N. A. Silberman, “Le tracce di Mosè, la Bibbia tra storia e mito”. (Saggi 14) Carocci editore, Roma 2002 pp. 409 >- L’unificazione d’Israele al tempo di David e Salomone. Storia o racconto fondativo”? A proposito di un libro recente, in «Firmana» 32-33 (2003) 223-233.

Recensione a: J. Cabaud,  “Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale”, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, in «Firmana» 33-33 (2003), 233-236.

*Figure di giovani nell’Antico Testamento, in «Firmana» 35-36 (2004) 73- 99.

Recensione a: E. Scognamiglio, “Catholica. Cum Ecclesia et cum mundo”, Messaggero, Padova 2004, in: «Firmana» 35-36 (2004) 289-294.

Recensione a: E. Zolli, “Prima dell’alba”, (a cura di) A. Latorre, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, in: «Firmana» 35-36 (2004), 294-297.

Recensione a: Y. Simoens, “Il libro della pienezza. Il Cantico dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005, in: «Firmana» 41-42 (2006), 297-299.

Recensione a: J. L. Ska, “Il Libro Sigillato e il Libro aperto”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005, in: «Firmana» 41-42 (2006), 299-305.

Recensione a: J. L. Ska, “I volti insoliti di Dio. Meditazioni bibliche”, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, in: «Firmana» 41-42 (2006), 305.

*Il matrimonio nel Nuovo Testamento: la novità cristologica, in: «Supple­menti di Firmana» 5 (2007), 19-32.

Traduzioni dal tedesco di:

  1. Rahner, Sull’ispirazione della Sacra Scrittura, Morcelliana, Brescia 1967.
  2. Bunzler, Giovanni e i Sinottici, Paideia, Brescia 1969.
  3. Loretz, La verità della Bibbia, Edizioni Dehoniane, Bologna 1968.

 

 

 

 

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