MIOLA MONS. GABRIELE RICORDATO DALLA NIPOTE MARIA GRAZIA CHE LO RINGRAZIA

<Il ricordo  di Maria Grazia Miola figlia di Umberto fratello di don Gabriele. – La ringraziamo>

A zio Gabriele

Ricordo ancora la gioia del giorno in cui mi fu espressa la volontà di raccogliere gli scritti di zio Gabriele, editi ed inediti, in un unico testo cartaceo o digitale <luoghifermani.it>. Era un’idea che mi balenava in mente da tempo e subito mi resi conto che quella era la grande opportunità per poterla realizzare, così eccomi qua a parlare di lui in veste di parente più prossima. Sono già passati due anni dalla sua scomparsa ma il suo ricordo è talmente intenso e vivo che quasi sembra che sia ancora qui con noi. E non nascondo che anche tutti i libri, gli scritti e la grande mole di appunti per le sue lezioni trovati nello studio del suo appartamento in seminario abbiano contribuito a farci scoprire molto più della sua figura e della sua immensa cultura.

Cercherò di proiettarmi nel passato più remoto e più prossimo per svelare ciò che zio è stato veramente per noi famigliari, in particolare per mio fratello Massimo e me, i suoi due nipoti, in certi momenti della nostra vita. I ricordi iniziano a farsi nitidi all’età di dieci-undici anni, quando attendevamo la domenica per averlo in casa a pranzo con noi e sbalorditi ascoltavamo i suoi racconti di viaggi fatti in paesi lontani, di gente incontrata e culture scoperte. Inconsciamente ci stava preparando ad amare il mondo oltre i confini dell’ambito familiare o paesano e in un certo senso a diventare cittadini globalizzati. Poi sono arrivate le estati delle partenze e il primo viaggio fu a Roma in 500, ospiti presso la parrocchia di Sant’Ignazio d’Antiochia, da don Giovanni e sua sorella Caterina. Una settimana alla scoperta dei luoghi più belli e significativi di Roma con gli occhi attenti di una bimba affascinata dalla novità e da tanta magnificenza, sotto la guida di uno zio esperto e pratico di questa città. Che meraviglia Roma dal terrazzo della Cupola di San Pietro, un panorama davvero unico da godere e da lasciare impresso nel cuore!

Poi venne l’anno della scoperta della Sicilia grazie ad una serie di conferenze tenutesi ad Erice. Conobbi gente squisita, di una rara cordialità e, in tour nell’isola, zio ci diede modo di scoprire le imponenti vestigia architettoniche di templi e teatri, le grandi cattedrali con gli stupendi mosaici bizantini e gli immensi panorami marini. Ma non dimenticò di farci toccare con mano la devastazione della Valle del Belice in seguito all’evento sismico della notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968: Gibellina, Salaparuta ed altre località ridotte a cumuli di macerie, spettrali, senza più segni di vita. Rimasi talmente colpita da questa realtà che la visione del tutto rimase per anni scolpita nella mia mente e all’esame di maturità scelsi il tema sulla solidarietà che mi permise di parlare anche di questa esperienza vissuta.

Ma non era finita qui, c’era la terra di Gesù da esplorare e così ci invitò a seguirlo in quelle zone a lui tanto care. Partiti un po’ come turisti, ritornammo pellegrini con una fede più autentica e viva, toccati nel profondo del cuore dalla vista dei luoghi in cui visse Gesù. Nazareth, Betlemme, Gerusalemme, ovunque lettura dei brani evangelici di riferimento, spiegazioni illuminanti e momenti di profondo raccoglimento e preghiera. Zio era talmente in sintonia con quei luoghi che avevamo l’impressione che fosse uno che aveva sempre vissuto lì: quella terra faceva parte della sua vita, era la sua seconda patria, e credo che sia stato così fino agli ultimi anni, quando ancora manifestava il desiderio di ritornare a Gerusalemme e spendere del tempo lì da solo, non come guida per gruppi di pellegrini ma come uomo alla scoperta del non ancora rivelato.

Qualche giorno fa ho provato a rovistare tra le carte di cassetti chiusi da tempo e con mia grande meraviglia ho ritrovato tutto il materiale di quel viaggio, così ora voglio provare a raccontarlo e riviverlo nei dettagli. Era il lontano luglio 1971 e a presiedere il gruppo di partecipanti – moltissimi erano sacerdoti – c’era S.E. Rev.ma Mons. Cleto Bellucci, Amministratore Apostolico di Fermo. Mio zio Gabriele era il Direttore Tecnico e Spirituale. Spendemmo i primi quattro giorni a Gerusalemme e facemmo escursioni a Gerico, al Mar Morto, Qumran e Betania. A Gerusalemme i momenti più toccanti furono all’Orto degli Ulivi e alla Grotta del Getsemani dove zio ci invitò a riflettere prendendo spunto dalla lettera di San Paolo agli Ebrei (5, 7-10), il Salmo 22 e il vangelo di Luca (22, 39-46). Nel giardino del Getsemani si trovano ulivi vecchi più di 3000 anni che ancora danno frutti. “Allora venne Gesù con loro in un podere, detto Getsemani, e disse ai discepoli: sedete qui, mentre io mi allontano a pregare” (Matteo 26). Pregammo anche noi perché era il luogo che meglio esprimeva la sofferenza di Cristo uomo e la presenza divina.

Il giorno seguente partimmo alla volta di Hebron e Betlemme, la città della Giudea che si estende su un fertile altopiano coperto di pascoli, campi e frutteti. Su questi campi lavorò Ruth, qui nacque il Re Davide e qui, mille anni dopo, i pastori di Betlemme furono i primi a udire “la buona novella”. “Voi troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia…Gloria a Dio nel più alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” (Luca 2). Ed altre ancora furono le letture sulle quali ci soffermammo a riflettere: in particolare la lettera di S. Paolo agli ebrei e il prologo al vangelo secondo Giovanni nel quale si parla del Verbo venuto nel mondo, mandato dal Padre, per compiervi una missione, cioè trasmettere al mondo un messaggio di salvezza. Sul pavimento sotto l’altare della Natività, incassato nel marmo, brilla una stella d’argento incorniciata da un’iscrizione latina “Hic de Virgine Maria Jesus Christus Natus Est” <qui è nato Gesù Cristo dalla Vergine Maria>: ricordo ancora la grande emozione che provai nel realizzare che stavo posando i piedi proprio nel punto in cui Gesù era venuto al mondo.

Poi Nazareth, il luogo dell’Annunciazione, dove l’Arcangelo Gabriele venne inviato “ad una vergine fidanzata ad un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide; la vergine si chiamava Maria… e l’angelo le disse…ecco, tu concepirai e darai alla luce un figlio al quale porrai nome Gesù” (Luca, 1).  Qui un altro richiamo alla riflessione fu la lettura tratta dal libro del profeta Isaia (7, 10-16) dove si parla della nascita di un figlio il cui nome, Emmanuele, cioè “Dio con noi”, è profetico e annuncia che Dio sta per proteggere e benedire Giuda.  Insomma, in ogni luogo zio cercava di offrirci spunti di riflessione per ravvivare e rinsaldare la nostra fede alla luce di testi biblici tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento che ci parlavano di Gesù e in un certo senso ci permettevano di calcare le sue orme.

L’indomani ci dirigemmo al Monte Tabor che si erge maestoso tra la pianura di Esdraelon e la Galilea. Nella tradizione cristiana il Tabor è considerato il Monte della Trasfigurazione. “Il Tabor e l’Hermon nel tuo nome esultano”, si legge nei Salmi (Salmi, 89). Ci vennero proposte letture di riferimento tratte dalla seconda lettera di San Pietro (1, 16-19) e dal vangelo secondo Matteo (17, 1-9). Nella prima lettura Pietro e gli apostoli si fanno trasmettitori di fatti di cui sono stati testimoni oculari e che le Sacre Scritture avevano preannunciato. La manifestazione gloriosa del Cristo sul monte della trasfigurazione ha permesso di vederne una prima realizzazione. Nella seconda lettura Gesù trasfigurato appare come il nuovo Mosè; la voce celeste ordina ai discepoli di ascoltarlo come tale e questi si prostrano in ossequio del Maestro. Quando l’apparizione termina resta solo Lui perché basta lui come dottore della legge perfetta e definitiva.

Il giorno prima del rientro in Italia visitammo Cana, il Monte delle Beatitudini e Cafarnao.  Cafarnao è sulla riva settentrionale del Lago di Tiberiade; era una città di frontiera tra la Galilea e il territorio del Golan, sulla strada principale che conduce da Damasco alla costa mediterranea e all’Egitto. Cafarnao divenne per Gesù una seconda patria dopo aver lasciato Nazareth ma vi ritornò a più riprese. Qui Gesù guarì la suocera di Simon Pietro (Luca, 4), curò il servo del centurione romano e risuscitò la figlia di Giairo, il capo della Sinagoga (Luca, 8). Il Monte delle Beatitudini è alto circa 150 m e si erge sul lago di Tiberiade. È il luogo del Discorso della Montagna dove Gesù insegnò ai suoi discepoli a distaccarsi dai beni terreni, ad evitare giudizi affrettati e a pregare. Per riflettere e comprendere meglio il messaggio evangelico zio ci propose la lettura della prima lettera di San Giovanni (4, 7-16) in cui ci veniva suggerito che amare è proprio dei figli di Dio perché è proprio di Dio. La missione del Figlio unico come salvatore del mondo manifesta che l’amore è da Dio perché Dio stesso è amore e fa partecipare all’amore il credente figlio di Dio. Nel vangelo secondo Matteo (5, 1-12), tra i temi principali zio individuava e ci proponeva i seguenti spunti di riflessione: quale spirito deve animare i figli del regno, con quale spirito essi devono perfezionare le leggi e le pratiche, il distacco dalle ricchezze, le relazioni con il prossimo, scelte decise che si traducano in opere.

Così, con la Bibbia in mano letta, ascoltata e vissuta, stava per concludersi il nostro pellegrinaggio in Terra Santa con zio Gabriele: un pellegrinaggio gioioso, un’esperienza religiosa unica, un viaggio verso le fonti che ci aveva indotti verso una migliore comprensione e ad una più profonda conoscenza e avrebbe inciso fortemente nella nostra vita per sempre.

Passarono gli anni e poi fu la volta di un’altra esperienza forte e toccante: l’incontro a Porto S.  Elpidio con Madre Teresa.  Era il lontano 1985 e per la chiusura del congresso eucaristico diocesano furono organizzati diversi incontri, tra questi quello per la giornata dei giovani con Madre Teresa di Calcutta.  Mio zio andò a prenderla a Roma alla casa delle suore sulla Casilina insieme al dott. Astorri e a Dolores e sulla strada del ritorno mi chiamò al telefono dicendo che dovevo recarmi al palazzetto dello sport di Porto S. Elpidio per fare da interprete a Madre Teresa. Non mi aveva avvertito prima e rimasi senza parole ma capii che non potevo tirarmi indietro così “ubbidii”. Da una parte rimasi toccata dalla sua minutezza e dall’altra sbalordita dal gran numero di giovani che erano accorsi ad ascoltarla. Come disse più volte zio parlando di questo momento speciale “Fu un delirio tra i giovani che non finivano di applaudire e ascoltavano in religioso silenzio. Segno proprio che la santità si impone da sé”. Io ascoltavo e traducevo e nel mio intimo cercavo di far penetrare quante più parole possibili, toccata dalla loro profondità e dalla verità delle stesse. In quel periodo ero in attesa di Michela, la mia primogenita, così lo dissi alla Madre e le chiesi una benedizione: con semplicità ci benedisse e posò le mani sulla mia pancia. Mi commuovo ancora al ricordo di quel giorno, di quei momenti che hanno segnato così profondamente la mia vita e rimarranno per sempre incisi nella mia memoria.

Un ultimo aspetto sul quale vorrei soffermarmi è la presenza costante e l’aiuto che zio ha assicurato alla sua famiglia durante i lunghi periodi di sofferenza e malattia. Gli anni ’80 furono particolari da questo punto di vista: nell’83 la morte di nonna Pierina, i frequenti ricoveri in ospedale di zio Pietro che aveva bisogno di assistenza e poi la morte di nonno Angelo nel marzo dell’86. Eravamo sette in famiglia, otto quando veniva a trovarci zio Gabriele, e lentamente stavamo diminuendo di numero, ma sempre rimanendo saldi nella fede e nei principi cristiani, ancorati a grandi esempi di pazienza nelle difficoltà, di perdono verso tutti, di laboriosità, di serenità e umiltà. E zio Gabriele era con noi! Quando si trattò di fare scelte importanti per la sua vita, come scrisse nelle sue memorie, non se la sentì di lasciare babbo Umberto e la sua famiglia a far fronte a tutte le difficoltà nonostante mamma Fulvia si fosse prodigata sempre e in modo ammirevole durante tutte le varie infermità.

Questo e molto altro ancora è stato zio Gabriele per me in certi momenti della mia vita. Penso anche che molto sia stato per la diocesi di Fermo per aver fatto conoscere e vivere il rinnovamento del Concilio Vaticano II.  Dal profondo del cuore ringrazio il Signore per avercelo dato!

<Maria Grazia Miola figlia di Umberto fratello di don Gabriele>

 

 

 

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, LUOGHI, Notizie Recenti, PERSONE and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra