MIOLA Gabriele biblista studia la religiosità popolare di Israele nell’ottavo secolo a. C. dalla testimonianza del profeta Amos che condanna l’idolatria e il culto magico

MIOLA GABRIELE

LA VITA RELIGIOSA DEL POPOLO NEL  PROFETA  AMOS

ESTRATTO ABBREVIATO E RILETTO

Il biblista MIOLA Gabriele nel 1960 ha redatto una esercitazione nel Pontificio Istituto Biblico in Roma, riguardante TESTIMONIANZE DEL PROFETA AMOS SULLA CULTURA RELIGIOSA DEL POPOLO DI ISRAELE.

< N. d. r. Il popolo del regno d’Israele nell’VIII secolo è contaminato da forme di culto di varie divinità, mentre vive l’alleanza con Jahweh. L’attività profetica di Amos porta a cercare Dio nella sua assoluta trascendenza e ad onorarlo nel culto vero, mentre i concetti religiosi del popolo hanno perso la loro purezza e la loro forza contaminandosi a contatto con il paganesimo esteriore circostante. L’attesa del “giorno di Jahweh” fa sognare il trionfo di Israele su tutti i popoli. Al contrario il profeta proclama un tempo di purificazione e di ricerca della giustizia. La pratica religiosa popolare nei luoghi sacri regi è inquinata fortemente della pratica magica e assorbe il veleno della licenziosità immorale. Il regno scismatico d’Israele creato da Geroboamo I (930-909 a. C.) aveva creato una separazione religiosa dal regno di Gerusalemme nella Giudea. Amos vissuto al tempo di Geroboamo II (c. 783- 753 a. C.) nota l’abuso politico delle feste e dei culti per cui esprime oracoli contro diverse città e nazioni: Damasco e la Siria, Gaza e altre città filistee; Tiro, Edom, Ammon, Moab, Giuda, Israele. Il sacerdote di Baal in Betel, Amasia chiede che il re scacci Amos perché parla di disgrazie, ma Amos incoraggia alla conversione e infine proclama un oracolo favorevole di Iahweh: «Muterò le sorti del mio popolo Israele, ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno»  (Am 9,14 Traduzione C.E.I.). >

I N D I C E

  • Bibliografia

PARTE 1° – Testi: (1) Amos  2,4b; (2)  2,7b-8; (3)  3,14; (4)  4,40; (5)  5,4s;

(6)  5,21-27; (7)  7,9; (8)  7,13; (9)  8, 5; (10)  8,14;

– PARTE 2° – La mentalità religiosa popolare deteriora

il concetto di Dio:

(a) La mentalità magica;

(b) Luoghi di Jahweh al modo dei Baalim;

(c) Il “giorno di Jahweh.

– PARTE 3° – La pratica religiosa popolare:

(a) Il loro Dio;

(b) luoghi di culto;

(c) il culto e il suo valore

BIBLIOGRAFIA

La letteratura sul tema è quanto mai vasta, specialmente se si entra nel campo archeologico; mi limito ad indicare solo quelle opere che il tempo e le possibilità mi hanno permesso di consultare; altre sono state indicate nelle note al testo.

 

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1° ANALISI DEI TESTI

.1.

Amos 2,4-5   «Così dice il Signore: «Per tre misfatti di Giuda e per quattro non revocherò il mio decreto, perché hanno disprezzato la legge del Signore e non ne hanno osservato i decreti; si son lasciati traviare dai loro idoli che i loro padri avevano seguito; appiccherò il fuoco a Giuda e divorerà i palazzi di Gerusalemme».

Per il popolo che rigetta Dio cfr. 1Re 11,4-8, 15,12; 2Re 11, 18; 2Cr 15,8,21,11,23,17, 25,14.

.2.

Amos 2, 7-8  «  essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome. 8Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio».

Per la prostituzione nel culto di divinità cfr. Os 4,14; 1Re 14, 24;15,12;22,46; 2Re 23,7; Deut 28, 17. Per il mantello preso in pegno cfr. Es 22,25; Deut 24,12

.3.

Amos 3,14 «Quando colpirò Israele per i suoi misfatti, colpirò gli altari di Betel; saranno spezzati i corni dell’altare e cadranno a terra».

Per i corni, parti di altare cfr. 1Re 1,50; 2,28.

.4.

Amos 4, 4s «Andate pure a Betel e peccate, a Gàlgala e peccate ancora di più! Offrite ogni mattina i vostri sacrifici e ogni tre giorni le vostre decime. Offrite anche sacrifici di lode con pane lievitato e proclamate ad alta voce le offerte spontanee, perché così vi piace fare, o figli d’Israele» dice il Signore».

Espressioni ironiche contro i pellegrinaggi per i culti idolatrici a Betel cfr. Gen 12,8; 13,3s; 28,19;31,13; 35,3-5. Culti naturistici (cfr. Mic 6,5) a Gàlgala cfr. 1Sam 10,8;11,14s; 13,4.7ss; per il divieto di offerta de pane lievitato Lev 2,7.11; 6,17;Es 23,18.

.5.

Amos 5,4s  «Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: «Cercate me e vivrete!  Non cercate Betel, non andate a Gàlgala, non passate a Bersabea, perché Gàlgala andrà certo in esilio e Betel sarà ridotta al nulla».

Sulla distruzione dei luoghi idolatrici Os 12,12; Mic 1,10-15.

.6.

Amos 5,21-27  «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne. Mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto per quarant’anni, o Israeliti? Voi avete innalzato Siccut come vostro re e Chiion come vostro idolo, e Stella come vostra divinità: tutte cose fatte da voi. Ora, io vi manderò in esilio al di là di Damasco», dice il Signore, il cui nome è Dio degli eserciti».

Il profeta Amos nota che nei santuari regi le feste e le offerte sono idolatriche con manifestazioni esteriori non gradite da Jahweh il quale ne è nauseato e farà giustizia.

Quando il popolo era nel deserto le offerte erano fatte con cuore sincero.

Al veder onorate le divinità di idoli assiri, il profeta prevede la deportazione.

.7.

Amos 7,9 «Saranno demolite le alture d’Isacco e saranno ridotti in rovina i santuari d’Israele, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo».

Per l’idolatria cfr. Os 4,12-14.

Per i culti in “altura” cfr. 1Sam 9,13; 1Re 14,23; 2Re 17, 9ss:

Per la punizione 2Re 18,12.

.8.

Amasia contro Amos 7,13  « a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».

Betel era santuario del re scismatico cfr. 1Re 12,31; 2Cr 11,15. Israele ha culto a Gerusalemme.

.9.

Amos 8,5 «voi che dite: «Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false».

Amos stigmatizza la mentalità affaristica oppressiva.

Il novilunio è festivo, giorno di sospensione di affari commerciali.

.10.

Amos 8,14 «Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: «Viva il tuo Dio, Dan!», oppure: «Viva la via sacra per Bersabea!», cadranno senza più rialzarsi!»

Il popolo idolatra cadrà in sventura cfr. Deut 12, 12; 1Re 14,23; 2Re 16,4; 23, 4; Os 4,13; Ger 3,6.

In Canaan la gente ha divinità antropomorfe che personificano le forze della natura ambientale onorate per mezzo di persone dedite al loro culto con sacrifici ed orge per la fecondità umana, animale e campestre.

 

Il profeta non dà un’esposizione unitaria della sua dottrina e della sua concezione teologica; i vari elementi dobbiamo coglierli e riunirli dall’insieme delle parole che furono pronunciate dal profeta in circostanze diverse e a scopi diversi, e che poi furono raccolte in un sol libro. (1)

 

 

 

 

 

2°   LA MENTALITA’ RELIGIOSA POPOLARE

DETERIORA IL CONCETTO DI DIO

 

Poco prima del profeta Osea, è Amos a svolgere la sua attività nel regno del Nord, e gli indizi del libro indicano che la svolge tutta sotto il regno di Geroboamo II (cfr. Am 7,12); mentre l’attività di Osea segue dalla fine del regno di Geroboamo II alla caduta di Samaria. Per quanto i due profeti siano quasi contemporanei, tuttavia parlano in modo molto diverso, non per questo però contraddittorio, della religione di Israele.

Ad una prima lettura balzano subito agli occhi le differenze. Amos soprattutto tende a svelare il pericolo di una falsa religione, del culto idolatrico dato a Jahweh in Betel e Dan, come pure a Galgala e Bersabea. Tali culti che il profeta considera illegittimi sono sotto la protezione del re e il popolo vi partecipa con entusiasmo e cieco fanatismo; il profeta rigetta una religione concepita come culto fatto di esteriorità e per di più infetta di una mentalità magica, senza alcun valore per influire sulla vita privata e pubblica delle persone.

Osea,da parte sua, rimprovera Israele perché ha abbandonato Jahweh, il vero e unico Dio e sono andati dietro a ad idoli baalim ed astaroth: gli israeliti sono entrati in una falsa strada che conduce inevitabilmente alla rovina; in questo modo agiscono come la moglie infedele che abbandona il suo marito per seguire i suoi amanti. Soltanto Jahweh è il vero Dio che ha dato ad Israele i segni e le prove di un affetto di sposo amoroso e di una fedele intimità coniugale e da sempre gli fa dono di ogni bene.

Al contrario baalim ed astaroth non sono dei, ma tronchi, legni, pietre, opere delle loro stesse mani, idoli, a cui tuttavia, quasi prostituendosi, il popolo, come sposa infedele ed impudica, offre sacrifici ed incensi, e innalza preghiere dinanzi ad essi per ottenere abbondanza di frutti; fecondità dei campi e degli animali quasi non fosse Jahweh il largitore munifico di questi doni (cfr. 2,7.10.15; 3,1; 4,12ss; 8,5; 11,2; l3,2).

Di fatto noi storicamente esploriamo la realtà sia in Amos che in Osea, in modo tale che si completano a vicenda, cogliendo nell’uno un aspetto della pratica cultica del popolo, che l’altro ha lasciato in ombra o illustrato in altra maniera. L’acre lotta tra Jahweh e Baal s’era conclusa sul monte Carmelo dove Elia aveva dimostrato chiaramente al popolo che il vero Dio non era Baal, ma Jahweh (1Re 18, 20-46).

Il re israelita Jehu dopo aver sterminato la dinastia di Omri, aveva restaurato il culto di Jahweh nel regno settentrionale, tuttavia non in quella forma pura voluta dai profeti, poiché aveva lasciato sussistere il culto illegittimo di Betel e di Dan.

L’opera di Jehu e della sua dinastia fu benefica in quanto distrusse il culto di Baal in quella forma aperta e quasi ufficiale che aveva sotto gli Omridi, ma fu perniciosa in quanto Jahweh ancora veniva venerato sotto la forma di vitello nei due santuari eretti da Geroboamo I, e in quanto le località sacrali, bamoth, erano invase completamente da elementi cultuali cananei, continuavano a vivere col consenso tacito almeno dei monarchi; e di fatto la Sacra Scrittura parlando dell’ultimo grande re della dinastia di Jehu, di Geroboamo II, sotto cui vivono Amos ed Osea, dice: «Egli fece quello che è male agli occhi del Signore; non si allontanò da nessuno dei peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele». (2 Re, 14,24).

La differenza nella predicazione e nel giudizio tra i Amos e Osea deriva dalla loro differente personalità, dal carattere, dalla formazione e dall’esperienza di ciascun profeta. Il nucleo essenziale del pensiero di Amos e di Osea è la verità primaria che onora Jahweh perché è il vero Dio di Israele, e Israele è il popolo eletto di Jahweh. I profeti applicano personalmente questa verità.

Amos, sebbene sempre tenga dinanzi agli occhi l’elezione del popolo come popolo eletto tra tanti, tuttavia, come base dei benefici di Dio pone i singoli individui dinanzi al Signore: il singolo come singolo tra molti, ha una relazione propria con Jahweh, perciò la relazione del popolo con Dio è relazione di molti con Uno e in questa prospettiva del bene individuale ognuno riceve la mercede del proprio operato. In questa luce Amos parla delle singole classi e dei singoli individui, della giustizia sociale, del culto, dei costumi.

La riflessione di Osea si porta più attentamente sull’elezione d’Israele a popolo eletto di Jahweh che è il beneficio unico e tra gli altri il maggiore a vantaggio di tutto il popolo cioè beneficio di ripercussione sociale. Osea penetra più acutamente e profondamente in quel mistero d’amore con cui Jahweh s’è legato alla sua gente eleggendola al Sinai, nel deserto, a popolo suo peculiare, dopo averlo strappato dalle mani del faraone, acquistandoselo e amandolo come la sua sposa, dandoglisi a conoscere come marito amoroso (2).

La relazione di tutto il popolo a Jahweh sono quelle della sposa verso il proprio marito: il profeta non considera i singoli individui, ma tutto il popolo come una persona, e questo popolo come ha sperimentato l’amore di Jahweh, così, ora che ha abbandonato il suo Dio, ne sperimenterà il giudizio e l’ira. Tutta la vita di questo profeta rappresenta in modo tragico una verità: la tragedia della vita matrimoniale di Osea, reale o simbolica, è una vivida rappresentazione della tragedia delle relazioni tra Jahweh e il suo popolo.

A scoprire quale era la mentalità religiosa del popolo cercheremo di cogliere, attraverso il profeta Amos, qual era il concetto popolare (3) di Dio (4).

Il concetto monoteistico di Dio, retaggio del popolo ebraico, dopo che aveva occupato la terra promessa, ebbe a subire due gravi prove: l’una al contatto del politeismo naturistico dei cananei; l’altra per l’introduzione delle immagini di Jahweh nel culto (5). L’introduzione ufficiale della immagine di Jahweh nel culto avvenne sotto Geroboamo I con lo scisma. L’unione politica delle dodici tribù d’Israele fu qualcosa di contingente che fu possibile sotto David e Salomone a causa della loro forte e potente personalità, ma la vera unità del popolo d’Israele è quella religiosa che raccoglie tutto il popolo intorno a Jahweh (6) e quest’unità religiosa prima di Salomone non aveva imposto un’unità cultuale, in un determinato luogo, ma la vita religiosa del popolo si svolse in più luoghi che erano i più vicini alla memoria della gente come Betel, Galgal, Mispa.

Il tempio di Salomone (dal 960 a. C.) portò all’unità del culto, che fu quanto mai solenne, realizzato con elementi tradizionali e con elementi importati dalla religione cananea purificati e resi atti ad esprimere il proprio pensiero religioso. Il monoteismo del popolo ebreo è stato l’unità cultuale, vissuta nel fasto e nella grandezza del culto nel tempio sul Sion, ma non fece distruggere gli altri luoghi tradizionali (7). Lo scisma di Geroboamo I (re da 922 asl 901 ca. cfr. 2Re 17,7-23) non era in alcun modo un rigetto dello javismo, perché questo re intendeva solo una decentralizzazione del culto in modo da mantenere, anche dal punto di vista religioso, lo scisma perpetrato sotto spinte e preoccupazioni politico-sociali, rafforzando la divisione delle dieci tribù settentrionali. Né dobbiamo dimenticare che tutto questo fu compiuto per comando di Jahweh e sotto la direzione del suo profeta. Il peccato di Geroboamo, come fa ben notare il testo sacro, non era la scissione politica e la decentralizzazione del culto, ma l’aver introdotto nuovi elementi che esulavano dalla pura tradizione ed erano veicoli che portavano il paganesimo, un falso culto, il deterioramento del concetto di Dio.

Il peccato grave fu l’aver eretto a Betel e a Dan raffigurazioni di Jahweh. Certamente il vitello fu eretto come simbolo di Jahweh e non di altra divinità (8). Jahweh era assimilato al simulacro stesso. La statua il vitello fu creata piuttosto come lo sgabello dei piedi e come trono di Jahweh. Questi nuovi elementi portavano altre implicazioni da cui furono tratte conclusioni tali che il vitello era simbolo di Jahweh, in un modo che forse eccedeva la mente di colui che l’aveva eretto, conclusioni però che erano consone alla mentalità popolare che non era abituata a distinzioni sottili e non sapeva percepirle.

In Canaan il toro era il simbolo di Baal-Hadad, divinità principale della regione, e simbolo della fecondità, e per il popolo il simulacro era la stessa divinità: per la mentalità semita la distinzione tra statua e cosa rappresentata è troppo sottile e il popolo pose il parallelo tra toro-statua e Baal-Hadad e toro-statua e Jahweh arrivando ad identificare il simulacro come divinità.

All’inizio il pericolo non fu tanto grande, ma col passar degli anni il pericolo latente diveniva sempre più palese. Possiamo arguire ciò dal fatto che Elia non parla contro il culto di Betel e di Dan, ma la sua attività è tutta protesa a rigettare il culto di Baal che era sotto la protezione regia o piuttosto sotto quella dell’intraprendente regina Jezahel, di Tiro, moglie di Ahab. Alla metà del secolo VIII, Amos ed Osea combattono acremente contro il culto di Betel e di altri luoghi sacrali. L

La vera interpretazione dell’azione precedente di Geroboamo I la dà Osea: ” Con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli ma per loro rovina. Ripudio il tuo vitello, o Samaria! La mia ira divampa contro di loro; fino a quando non si potranno purificare i figli di Israele? Esso è opera di un artigiano, esso non è un dio: sarà ridotto in frantumi il vitello di Samaria.” (Os 8, 4b-6; cfr. 13,2): evoluzione operatasi nel corso degli anni poiché quando un secolo e mezzo prima Geroboamo esclamava: “ecco il tuo Dio, Israele, che ti condusse fuori dalla terra d’Egitto” facilmente un altro senso avevano le parole in bocca al primo re del Nord. (9)

Come il concetto di Jahweh si sia deteriorato lo cogliamo da questi tre elementi:

-a) mentalità magica che entra nel culto;

-b) modo di parlare di Jahweh localizzandolo in diversi siti come si faceva dei Baalim;

-c) concezione del giorno di Jahweh” e della nozione di “popolo eletto”.

-.a. Mentalità magica nel culto

Nella mentalità popolare Jahweh era diventato, sebbene non parlandone espressamente, ma realmente, una divinità tutelare locale, assimilato a Baal. Risulta questo dalla mentalità ritualistica, magica direi, con cui il popolo esercitava il culto. La vita morale privata e pubblica viene disgiunta dalla religione e dal culto: la religione si esaurisce nel culto fatto di riti e questo è pensato un valore assoluto dinanzi a Dio.

Quando sono fatte scrupolosamente le cerimonie e con la massima diligenza, con abbondanza di sacrifici ed oblazioni, con la celebrazione solenne delle feste, la divinità è contenta ed elargisce i suoi doni prescindendo da un impegno morale che animi la vita del fedele devoto. Jahweh si placa, volge il suo sguardo con benignità al suo popolo allora soltanto quando vede abbondanza di vittime, può respirare il buon odore dei sacrifici, può soddisfare alle sole necessità fisiche, e vede pellegrinaggi solenni arrivare ai suoi templi (10): tutto ciò placa necessariamente Dio, se adirato, ne ricupera la benevolenza se allontanata.

Della vita morale del popolo Jahweh non ha cura, è piuttosto qualcosa che esula dall’ambito della religione che si esaurisce tutta nel culto: le relazioni di Jahweh con gli uomini si concludono nella pratica rituale poiché egli non si cura della giustizia e della virtù degli uomini. Con questa mentalità religiosa si spiega come il popolo possa congiungere l’oppressione del povero con lo zelo per il culto nei santuari (cfr. Am 2,6-8; 5,11; 8,5).

Questo modo d’agire dimostra chiaramente come costoro ritenessero che Dio non chiede conto della propria vita e della propria condotta, né del male operato qualora essi adempivano il cerimoniale liturgico scrupolosamente. Ai contemporanei del profeta infatti è ben noto che ingiustizie, crimini sociali, immoralità sono male, ma pensano che i riti del culto stanno a cuore alla divinità più che non la vita morale del fedele: Jahweh si era spesso adirato con il suo popolo e lo aveva punito (ma ora tutto corre bene, in questo periodo di prosperità!), ma stimano che l’indignazione divina derivi non dall’incongruenza della vita morale separata dal culto, ma ha la sua ragion d’essere solo nella negligenza dell’osservanza dei riti.

Così Amos 4,4-12 mostra bene qual’è la mentalità del popolo e ciò che invece Jaweh vuole: il profeta pone una contraddizione tra l’assiduo cerimoniale di culto del popolo nei templi e il modo d’agire di Jahweh che invano punisce il suo popolo per ritrarlo dal male, mentre questi pensano che l’ira di Dio si scateni per l’insufficienza del culto. E così in Am 5,4-6: « Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: Cercate me e vivrete! Non cercate Betel, non andate a Gàlgala, non passate a Bersabea, perché Gàlgala andrà certo in esilio e Betel sarà ridotta al nulla. Cercate il Signore e vivrete» e il vero significato di queste parole è spiegato nel v. 14s: «Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e solo così il Signore, Dio degli eserciti, sarà con voi, come voi dite. Odiate il male e amate il bene e ristabilite nei tribunali il diritto»: il culto non basta a cattivarsi il favore di Jahweh, ma è necessario operare il bene; fuggire il male, fare la giustizia poiché Jahweh è anzitutto giusto e cerca la giustizia.

A dire il vero, il profeta non usa mai l’aggettivo “giusto”. E’ chiaro che se Jahweh punisce l’ingiustizia questo lo fa poiché anzitutto egli è giusto. In 5, 21-24 leggiamo: ” Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!  Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne”.

Le idee di religiosità che dominano tra il popolo circa il valore assoluto del culto rituale sono comuni nella mentalità semita, e Israele le ha assorbite dai suoi vicini. I sacrifici vengono offerti con l’intenzione di piegare la volontà divina, di ridurla e condizionarla alla propria. Ciò rivela un concetto abnorme di Jahweh e quanto mai lontano dalla tradizione mosaica e dei padri, e completamente estraneo alla mentalità profetica (cfr. Am 4, 13).

Dio è concepito in modo antropomorfo non solo, ma con le necessità fisiche a cui gli uomini soddisfano, un dio che ha bisogno quindi della benevolenza e del favore degli uomini che gli offrano sacrifici e doni. Questo non è esplicitamente affermato, né si dice che Dio mangi i sacrifici offerti; certo però che il concetto di Jahweh ha perso la sua purezza e la mentalità degli israeliti si è avvicinata quanto mai alla mentalità pagana: offrendo i sacrifici si fa un bene alla divinità e in questo modo si attira la sua benevolenza; alla divinità poi poco importa della vita morale dell’uomo.

Pensando che egli non si cura della giustizia, si opera una frattura nella vita intima dell’individuo poiché il valore religioso della vita è separato dal culto esteriore.

Con questa concezione della religione intesa come “bene della divinità” e non come “bene dell’uomo” si nega implicitamente la trascendenza di Dio: i sacrifici ascendono ‘in alto’ (si dice) ma non comportano una mutazione negli oblatori affinché Dio doni loro la sua amicizia, mutazione che necessariamente deve essere nella vita spirituale e morale, ma salgono al cielo per soddisfare i bisogni di Dio.

Ecco la risposta di Amos che è precisa e mostra qual è la trascendenza e l’onnipotenza di Jahweh che forma il tuono, crea il vento e versa fiumi di acque sulle campagne: 5, 8 «cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte; colui che comanda alle acque del mare e le spande sulla terra, Signore è il suo nome». (11)

.b. Vari luoghi di culti

Il testo di Amos 8,14 rivela ancora quanto forte fu l’influsso delle idee pagane presso gli israeliti che trasferirono a Jahweh certe nozioni pagane comuni tra i popoli vicini. Israele, in questo periodo, aveva ridotto Jahweh ad essere una specie di divinità tutelare, una divinità locale al modo dei baalim. Il testo, secondo l’interpretazione più probabile implica che nella mentalità popolare Jahweh viene localizzato in differenti santuari e quindi, corrispondentemente, pensano forse a differenti Jahweh come si pensava a differenti Baal: Am 8,14 «Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Per la vita del tuo dio, Dan!” oppure: “Per la vita del tuo diletto, Bersabea!», cadranno senza più rialzarsi!“: dal testo risulta che gli Israeliti giurano per divinità di Samaria, di Dan, di Bersabea: questo giuramento rivela un sottofondo religioso nella coscienza popolare, poiché il giuramento era fatto generalmente in nome della divinità adorata da colui che emetteva il giuramento, di conseguenza giurare nel nome di una divinità era un ammettere, anche se indirettamente, che quella era la divinità riconosciuta (ad esempio, cfr. Deut.6,13; 10,20; Ger 12,16; Is 48, 1) a cui si presta servizio e a cui si affida il valore del proprio giuramento.

La rivelazione di Dio al Sinai e la vocazione del popolo ad essere il servitore di Jahweh implicava una divisione profonda di Israele dalle altre nazioni.

I popoli semiti, per quanto fossero lontani tra loro spiritualmente e culturalmente, pure avevano questo in comune, che le loro divinità facevano parte di uno stesso pantheon e ogni divinità, per sé, non era da più di quelli dei popoli vicini: ognuno aveva il suo dio che era come il padre e il datore dei beni e ogni gente, come ogni terra aveva il suo nume.

La rivelazione del Sinai è quanto mai lontana da questa concezione, essa implica la fede nell’esistenza di un solo Dio che è il creatore della terra, il largitore si ogni bene; comporta la fede che Dio è santo e giusto, senza vita sessuale e quindi senza mitologia; Dio invisibile; che non è ristretto ad una parte della terra , che la sua dimora è tanto il cielo che la terra, tanto il deserto che Canaan. Egli ha eletto Israele con un patto che implica da parte del popolo servizio devoto ed assoluto secondo la legge donatagli, da parte di Jahweh vengono protezione e benedizione. (12)

Questa elevata concezione non fu pienamente afferrata dal popolo: di fatto Jahweh fu riconosciuto come il Dio della nazione, ma una volta entrati in Canaan essi vennero a contatto dei Baalim che erano in quella terra come padroni di essa e dispensatori di beni, di frumento e di vino, di olio e di frutti (cfr. Os 2,10). Si verificò quindi una tensione nella mentalità popolare tra Jahweh e Baal, tra il Dio di essi conquistatori, e quelli della terra occupata, tensione che si risolse però con un compromesso in cui Jahweh nominalmente soppiantò i baalim come Signore di Canaan, ma il cui concetto fu degradato al livello quasi di una divinità naturistica con l’assorbimento di elementi cananei nella mentalità e nel culto (Am 2,4).

Al contrario, per i profeti, per Amos come per Osea, Jahweh e Baal si escludono a vicenda e in quanto il carattere di una religione è determinato non tanto dal nome della divinità, ma dal modo di concepirla e di prestarle servizio, i profeti non esitano a caratterizzare la religione popolare come adorazione di Baal sotto il veto dell’adorazione di Jahweh (13). Sotto questa luce debbono essere letti i vv. 13-14 del capitolo 8: «In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete. Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: “Per la vita del tuo dio, Dan!” oppure: “Per la vita del tuo diletto, Bersabea!”, cadranno senza più rialzarsi!» (14)

.c. Concezione del giorno di Jahweh

Una peculiarità della concezione religiosa semita, sta nel fatto che tutti i popoli hanno le loro divinità e ogni popolo riconosce l’esistenza e la realtà degli dei delle altre nazioni concependo però i propri come più forti e superiori (15). La divinità e tutto il clan o tribù o nazione erano considerati una cosa unica e la potenza e la sorte del Dio erano la stessa quale la potenza e la sorte del popolo: una divinità può sì punire e mandar dei mali alla propria gente sia per la carenza di culto che per altre offese, ma nel caso estremo in cui una nazione veniva vinta e distrutta dai nemici questo avveniva solo perché il Dio era inferiore e senza potenza dinanzi agli dei del popolo vincitore (16).

I cananei e i popoli semiti in genere concepivano le relazioni tra la divinità e il popolo a modo quasi di generazione fisica; questo concetto era estraneo al popolo ebreo tuttavia esercitò un nefasto influsso sul concetto fondamentale del patto tra Jahweh e Israele. L’elezione sinaitica e il patto, nella concezione popolare come nella mentalità delta classe sacerdotale e di quella dirigente, legano Jahweh al popolo in modo che sempre ed assolutamente Jahweh difende la sua nazione dai nemici, dalla sconfitta, dalla cattività, indipendentemente da ogni condizione, dalla vita e dai costumi: l’onore di Jahweh era implicato incondizionatamente alla sorte e all’onore della nazione. Questo concetto in fondo nega la libertà di Jahweh e la sua trascendenza.

Il popolo e i militari specialmente aspettano ansiosamente il “giorno di Jahweh” il giorno fatale della rivelazione della potenza del Signore con la distruzione dei loro nemici, come il giorno della gloria di Israele (cfr. Am 5,18). Si sentivano sicuri e pensavano che non sarebbero colti alcun male (cfr. 9, 10; 6,1-7).

Gli studi di Morgenstern spiegano bene (17) i presupposti storici e religiosi di questa concezione del “giorno di Jahweh“. La speranza escatologica fu sempre viva in mezzo al popolo, ma in questo periodo del sec. VIII a. C. prese un significato materialistico di universale dominio terreno del popolo israelitico con implicazioni che, a giudizio del profeta, erano fuori della retta via. I presupposti storici a questa riviviscenza furono la potenza e l’apparente fermezza del regno di Geroboamo II; la distruzione della Siria da parte degli Assiri, il che permise l’espansione del regno di Geroboamo, mentre era presente la debolezza dell’impero assiro dilaniato da lotte intestine per la successione al trono (18). I presupposti religiosi furono l’involuzione del concetto di “elezione” e delle relazioni tra Jahweh e il suo popolo: Jahweh avrebbe destinato Israele alla potenza e al dominio di tutta la terra poiché per mezzo del suo popolo avrebbe conquistato tutti i regni e dominato su di essi; il giorno del Signore è concepito come il “giudizio” delle nazioni e dei loro dei, il trionfo di Jahweh e l’esaltazione del suo popolo sopra ogni altro.

Contro queste concezioni combattono sia Amos che Osea. Di fatto Amos ed Osea concordano con i loro uditori circa il privilegio d’Israele poiché veramente fu eletto fra tanti e reso oggetto da parte di Dio di una speciale ‘conoscenza’ o predilezione (19), ma mentre il popolo vede in questa elezione un incondizionato privilegio e un’affermazione assoluta della protezione di Jahweh (cfr. Am 9,10; Mic 3,11) i profeti al contrario insistono nell’assoluta gratuità del dono divino (Am 9,7). Nell’elezione vedono un’esigenza di giustizia morale e tanto maggiore quanto più grande è l’amore di Dio verso il popolo: perciò se il popolo eletto si mostra infedele sarà certamente punito.

Così Amos: 3,2; «Soltanto voi ho conosciuto tra tutte le stirpi della terra, perciò vi farò scontare tutte le vostre colpe»; 9,10: «Di spada periranno tutti i peccatori del mio popolo, essi dicono: “non si avvicinerà e non giungerà fino a noi la sciagura. (20).

Senza dubbio questo insistere del profeta sull’imminente punizione e distruzione di Israele quando non vivranno in rettitudine e non cercheranno Jahweh, è cosa dura agli orecchi di tutti gli israeliti che fervidamente invece aspettano il giorno del Signore, il giorno della loro gloria e del loro dominio. (21) Il testo eloquente tra altri è Amos 5,18-20; «Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre, e non luce! Come quando uno fugge davanti al leone e si imbatte in un orso, come quando entra rincasa, appoggia la mano al muro, e un serpente lo morde. Non sarà forse tenebra, non luce, il giorno del Signore? Oscurità senza splendore alcuno?»: Guai a coloro che desiderano il loro giorno del Signore.

Nell’opinione popolare il giorno del Signore era concepito come giorno di trionfo e di felicità, giorno in cui Jahweh manifesterebbe alle genti la sua potenza per cui Israele trionferebbe dei suoi nemici per acquisire il dominio della terra. Del resto perché non doveva avvenire questo, proprio ora che Jahweh era considerato contento del suo popolo, del culto solennemente offerto, del numero di sacrifici ed oblazioni? L’attesa di quel ‘giorno’, la tensione escatologica che era una caratteristica peculiare d’Israele, era stata sempre viva in mezzo al popolo ed ora è diventata più acuta, ma aveva deviato per una falsa strada sotto l’influsso di idee pagane. Questa tensione è comune nel popolo, ma con una enorme differenza rispetto ai profeti, anzi in una posizione irriducibilmente antitetica.

Amos da una parte si oppone alla concezione popolare del giorno del Signore, dall’altra presenta la vera concezione escatologica. Certo è vicino il giorno di Jahweh, ma questo giorno sarà “tenebre e non luce”: questo giorno sarà il giorno di Jahweh, ma non sarà il giorno d’Israele, il giorno di Jahweh per una punizione tremenda, giorno di distruzione per Israele e non di loro gloria, il giorno dell’ira e non del suo favore verso il suo popolo.

Qui le concezioni di Dio del profeta e quelle correnti si oppongono: l’idea precisa e chiara che Amos ha delle relazioni tra Dio e il suo popolo è l’idea dell’assoluta trascendenza di Jahweh. Questa fa chiaramente vedere ad Amos che non necessariamente debbono essere congiunti il giorno di Jahweh e il giorno di Israele, il trionfo di Jahweh e quello del popolo. Quello è anzitutto il trionfo della giustizia, ma quando l’iniquità in largo e in lungo è diffusa in Israele, allora il giorno di Jahweh sarà il giorno dalla punizione.

Quest’aspetto negativo conduce peraltro Amos alla considerazione di un aspetto positivo del rinnovamento nel giorno del Signore, espressa nell’ultima parte del libro: dopo la purificazione d’Israele, nel fiorire della giustizia, allora sarà la pace e la gloria della casa di Giacobbe.

L’ultima pericope del libro di Amos e precisamente 9,8 b-15 non è da tutti gli studiosi riconosciuta come autentica: «… io lo sterminerò dalla terra, ma non sterminerò tutta la casa di Giacobbe. Oracolo del Signore. Ecco, infatti, io darò ordini e scuoterò, fra tutti i popoli, la casa d’Israele, come si scuote il setaccio e non cade un sassolino per terra. Di spada periranno tutti i peccatori del mio popolo; essi che dicevano: “La sventura non si avvicinerà, giungerà fino a noi”. In quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è cadente, ne riparerò le brecce, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi, affinché conquistino il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è stato invocato il mio nome. Oracolo del Signore che farà questo. Ecco, verranno giorni -oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete, e chi pigia l’uva con chi getta il seme; i monti stilleranno il vino nuovo e le colline si scioglieranno. Muterò le sorti del mio popolo, Israele; ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti. Li pianterò nella loro terra e non saranno mai divelti da quel suolo che io ho dato loro, dice il Signore, tuo Dio».

Il profeta che ha parlato già della distruzione di Israele, qui sembrerebbe negare se stesso e la sua missione prospettando un futuro glorioso a quel popolo a cui aveva già prospettato il castigo di Dio, ora proclama la speranza messianica e la restaurazione del vero Israele: Amos infatti menziona la casa di David e la futura pace e prosperità del popolo eletto. Questa speranza in Amos è come in boccio, ma si sviluppa, si chiarifica e si precisa sempre più nei profeti seguenti: già in Osea si articola in modo più chiaro (cfr. Os 2,18-23; 3,5) e questo è motivo sufficiente a che non si possa negare a priori ad Amos la pericope (9, 8b-15) che completa bene la sua opera e getta un raggio di luce in mezzo a tanta oscurità.

3°   LA PRATICA RELIGIOSA DEL POPOLO 

Il libro di Amos fa conoscere la reazione del profeta di fronte alla religiosità nei diversi luoghi di culto (21) che il popolo frequentava mentre le autorità politiche avevano dato loro un carattere nazionale di promozione del dominio del re.

Nel seguito si analizzano la pratica religiosa del popolo e la concezione del proprio Dio nei santuari del re, per capire come quel culto non è raccordato con la retta coscienza del culto spirituale, ma ridotto a cerimoniale idolatrico. Betel era il maggior santuario del regno del nord e dovette essere anche il centro dell’attività profetica di Amos (22) che per risvegliare le coscienze alla rettitudine giunge a proclamare qualche previsione apocalittica.

Illustrativo a questo riguardo è il passo autobiografico che è inserito nelle visioni profetiche. Amos: 7,7-17 «Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Dio: il Signore stava sopra un muro tirato a piombo e con un piombino in mano. Il Signore mi disse: «Che cosa vedi, Amos?». Io risposi: «Un piombino». Il Signore mi disse: «Io pongo un piombino in mezzo al mio popolo, Israele; non gli perdonerò più. Saranno demolite le alture d’Isacco e i santuari d’Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo». Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo re di Israele: «Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole, poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboamo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese». Amasia disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasia: «Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele. Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco. Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra».

La pericope ha due parti: i vv. 7-9 : visione del piombino: w. 10-17 e scontro di Amos con Amasia, capo dei sacerdoti di Betel. Questo tratto autobiografico, che ci illumina un po’ sull’attività di Amos e ci chiarisce la sua vocazione, è qui inserito occasionalmente in dipendenza della visione del piombino e dell’oracolo che preannuncia la caduta e la distruzione della casa regale di Geroboamo II. L’episodio ci indica che Betel, in relazione al fatto che era il santuario principale nel regno del Nord e che doveva essere meta frequente di grandi pellegrinaggi e di solenni fastose adunate e celebrazioni religiose, doveva essere il centro in cui il profeta svolge la missione affidatagli: ivi certamente incontra l’animo schietto e sincero del vero israelita che riconosce nella sua parola la ‘voce di Dio’, ma ivi incontra anche i più forti contrasti con quanti vedono nel culto solenne e fastoso il segno tangibile della presente fortuna della nazione e il pegno del glorioso avvenire d’Israele: più viva fra le altre è la reazione da parte di coloro che nel culto trovano la loro ragion d’essere e interessi vitali alla propria economia e al proprio commercio. Di fatto il brano ci riporta una reazione o meglio una denunzia ufficiale fatta da un sacerdote, di nome Amasia, che doveva tenere un posto chiave nel santuario ed essere rivestito d’autorità. Alla denunzia di Amasia segue l’ordine della corte di allontanare l’importuno profeta dal santuario e l’ordine è eseguito dal capo del sacerdozio di Betel con fare sprezzante dando del “visionario” al profeta di Jahweh. La risposta di Amos, precisa e quanto mai chiara, controbatte Amasia opponendo mentalità a mentalità: son come due mondi che si scontrano: «Non ero profeta io né figlio di profeta (23), ero un mandriano e coltivavo piante di sicomori. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: “Va, profetizza al popolo mio Israele». Amos con questa risposta non poteva meglio definire se stesso, caratterizzare la sua missione e riassumere la sua predicazione. Oppone la sua vocazione profetica al mestierantismo di Amasia e delle scuole profetiche e degli associati alla sequela della corte (24), stabilisce il mandato che ha ricevuto da Dio, ove si può vedere l’animo del profeta che compie la sua missione per un impulso superiore, vuol richiamare il popolo alla sincerità d’una vita nella giustizia e nel retto spirito religioso. L’episodio è una documentazione dello scontro tra il sacerdozio ufficiale, gretto, attaccato alla materialità dei riti, fossilizzato in formule anguste e il vero profetismo sostenuto dalla coscienza di possedere l’autentica parola divina (cfr. Os 4,5-14; 5,1-9; Is 28,7-13; Ger 19,14; 20,6). (25)

L’espressione in bocca ad Amasia: “ questo è il santuario del re e il tempio del regno”, ci presenta un momento della vita religiosa del regno del Nord. Betel, come inizialmente era nella mente di Geroboamo I, era dal punto di vista religioso, la Gerusalemme del Nord. Qui il tempio di Betel con il ‘toro’ era il parallelo del tempio di Gerusalemme e godeva della speciale protezione del re: ivi si svolgevano quelle feste solenni e tutti i riti religiosi qui diventati ormai tradizionali e che avevano avuto il loro inizio nel tempio salomonico; e quei riti avevano perso il loro significato intimo e s’erano ridotti ad essere una parata ipocrita da cui Jahaweh stornava il suo sguardo (Am 5,21ss.) Con Betel Amos nomina altri santuari che se non avevano la stessa portata di Betel, pure erano meta frequente d’incontri religiosi, e precisamente Dan e Galgala (cfr. Am 2,4).

Con le invettive Amos va direttamente contro questo culto degenere ufficiale che aveva esternamente tutti i caratteri dell’ortodossia, contro il culto di più evidente provenienza straniera e più prettamente pagano, cioè il culto dei baalim ed àstaroth, al culto delle baamoth, di cui dà cenni.

La parola di Osea sembra più direttamente rivolta contro le abominazioni pagane e le false divinità. Così in Os 2,7.10 rivolgendosi a Gomer, la sua sposa infedele, simbolo di Israele, il popolo che è la sposa infedele: «La loro madre, infatti, si è prostituita, lo loro genitrice si è coperta di vergogna perché ha detto: “ Seguirò i miei amanti che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande … Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, io la coprivo d’argento e d’oro che hanno usato per Baal». (cfr. anche 2,15.18s. e cap. 3; ed Ez 8,14). In Os 4,13 «Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio». Queste espressioni son tutti accenni ai culti proibiti: cfr. Num 33,52; 1Re 14,23; 22,44; per i sacrifici sotto le ombre cfr. 2Re l6,4; Ger 2,20; 3,6; Deut 12,2. Questo profeta esplicitamente dice che il culto di Betel e di Dan, e quello reso al vitello d’oro, sono idolatria cfr. 8,4s; 13,2.

Osea evidentemente accentua le tinte nella sua prospettiva. Di fatto gli abusi più gravi nel campo religioso erano stati tolti con la riforma di Jehu; ma questa riforma condotta sulle tracce della reazione dei profeti, di Elia e di Eliseo e delle loro scuole, pure non ne aveva saputo cogliere chiaramente lo spirito: se le abominazioni pagane più vistose, come Baal di Samaria, le ‘alture’  e altre usanze erano state distrutte da Jehu e si era avuta una restaurazione del culto javista, questo però era rimasto impregnato dello spirito pagano ed aveva assorbito gran parte dei riti con tutta l’atmosfera esteriore materialistica e magica che era proprio a questi riti naturistici cananei (26).

La parola di Amos coglie realmente lo stato attuale della vita religiosa di Israele: e ne tocca la piaga: sotto il culto ufficiale reso a Jahweh c’è paganesimo pratico ed idolatria.

Ha scritto Amos con un’espressione a lui cara: «Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: «Cercate me e vivrete! … Cercate il Signore e vivrete …», (5,4.6.15), ma il Signore va cercato non nel formalismo rituale esteriore, bensì nel servizio umile di Dio nella vita pratica seguendo il bene e ritraendosi dal male, nella conversione del cuore che conduce alla giustizia. Con questa conversione Amos vede il vero giorno di Jahweh e del popolo, la manifestazione della sua gloria e della grandezza del popolo eletto.

.a. Il concetto di Dio

Nella mentalità popolare il concetto di Dio s’era molto deteriorato a contatto del paganesimo circostante. La reale religione autentica del popolo era lo javismo, ma in pratica era ridotta ad un paganesimo e l’apparenza di legalità era più pericolosa. Amos 2,4: «Si sono lasciati traviare dagli idoli che i loro padri avevano seguito». L’espressione va riferita al peccato di idolatria con probabile allusione al peccato dei padri nel deserto quando vollero rappresentare Jahweh in un vitello d’oro e adorarlo sotto questa figura. La parola “lueg” = bugia, menzogna, qui riferita alle immagini, esprime bene il pensiero del profeta: quelle immagini tanto diffuse non fanno che traviare, mandare errando e vagando l’animo dei fedeli. Se l’accenno dei padri, si riferisce ad Es 32,4s Amos mostrerebbe evidentemente qual è il pericolo a danno del culto di Jahweh (come appunto in Es); quando i loro padri vollero adorare Jahweh sotto figura di vitello, e la riprovazione che ha il Signore di tale culto poiché in Es è narrata anche la severa punizione degli incipienti idolatri.

Am 2,7b- 8: «e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome. Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare» L’espressione mostra che queste pratiche (la prostituzione sacra?) erano fatte in onore di Jahweh. E ne abbiamo attestazioni esplicite in Osea 4,14. Scrive Rinaldi (27) che Amos, usando il vocabolo ‘fanciulla’, ragazza, forse intende spogliare anche il frasario del residuo di ipocrisia che esso conserva pretendendo di collegare un turpe crimine con l’idea di sacro.

La pretesa di onorare la divinità (Jahweh stesso nei santuari di Betel, Dan, Galgala e nelle ‘alture’) con un disordine morale, non tollerabile e punibile in sede di giustizia civile, che nel caso particolare ha l’aggravante della specie morale dell’incesto (cfr. Lev 20,11) appare così un empio capovolgimento del male in bene (cfr. Am 5,7) e quasi dichiarazione di una indifferenza di Dio di fronte alle esigenze della rettitudine morale. Questa disgiunzione del culto dall’etica è uno dei dati presi maggiormente di mira dagli strali della predicazione di Amos, assertore tenace della inutilità e del danno di una pratica religiosa disgiunta o nemica della purezza, della santità interiore e della giustizia.

La satira di Amos è pungente in 4,4.5 contro la religiosità che pure si dirigeva a Jahweh in Betel e in Galgala, una religiosità vuota, senza vero senso di pietà profondale in 5,21-25  «Io detesto …  Non gradisco … Lontano da me …» Il profeta fa una più esplicita condanna di questa vita e pratica religiosa affondata ed esaurita nel formalismo e nel ritualismo.

Di fatto Amos non parla esplicitamente di stranieri cui formalmente gli israeliti si dirigessero per il loro culto agli idoli. Ci sono accenni alle ‘alture’, ma senza specificare se si tratta di un culto reso a Jahweh, sebbene illegale, oppure alle divinità pagane. Abbiamo l’unica eccezione in 5,26 in cui vengono nominate due divinità pagane, Sakkut e Kewan, degli Assiri.

Ma se è giusta l’interpretazione (29) (se la correzione apportata al testo masoretico sulle tracce del Sellin e del Sant, serve ad ammettere che sono inserzioni posteriori introdotte nel testo di Amos, allora) resta provato che il punto centrale in Amos è quello di far notare come la presente religione d’Israele sia rivolta a Jahweh, ma è insieme gravemente macchiata delle colpe del paganesimo e impregnata di un senso naturalistico e di una mentalità magica proprie delle religioni pagane. Israele vive una vita ipocrita e perciò dal Signore rigettata.

.b. I luoghi di culto.

In Amos sono nominati cinque luoghi, come centri di culto e di raccolta nelle solennità religiose; sono: Samaria, Betel, Dan, Gàlgala, Bersabea. Tra questi Betel teneva un posto preminente ed era il santuario del regno; comunque gli altri luoghi avevano la stessa vita religiosa e liturgica condotta con più o meno solennità.

Amos 7,9: «Saranno demolite le alture d’Isacco e saranno ridotti in rovina i santuari d’Israele, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo». Il profeta insinua che il culto delle bamoth non era differente, per lo meno nel loro oggetto, da quello dei templi. Sulla costituzione delle ’alture’ riferendoci anche ai dati dell’archeologia studiati da Vincent, la parola “bamah” indica l’uso cultuale di una collina o di un monte (30) quale soggiorno di predilezione della divinità e di conseguenza un luogo di uso normale per l’adorazione e per il culto, poi è divenuto espressione usuale per indicare l’istallazione cultuale stessa. Poiché le popolazioni pagane di Canaan vi introdussero elementi idolatrici e licenziosi, le bamoth furono in pratica severamente represse, sebbene in linea di principio fossero compatibili con il culto reso a Jahweh. Amos usa la parola bamah nella sua accezione cultuale solo qui nel nostro testo, comunque al suo tempo del regno d’Israele, questi luoghi di culto erano molto diffusi. Ce ne dà certezza il libro dei Re a più riprese e quando con monotonia, quasi esasperante, a conclusione dei profili biografici dei monarchi di Israele e di Giuda, riporta la frase: “tuttavia le bamoth non furono abbandonate, il popolo continuava ad offrirvi sacrifici e a farvi oblazioni” lo ripete a proposito del re Joas (2Re 12,3s), di Amasia (14,3s), di Azaria (14,4), di Johatan (15,34s); la riforma che si è avuta sotto Ezechia mette al centro, insieme con l’imposizione delle prescrizioni della legge, anche la riforma cultuale e la distruzione delle bamoth con relative as’erim e massebòth (2Re 18,4). Bamoth in Os 4, 3.10.

Amos mettendo in parallelo i termini templum e excelsum altura sacra pone sullo stesso piano il culto dei templi e il culto delle alture: per il profeta entrambi sono da condannare e dovranno essere distrutti, mentre Osea parla più specificamente di un culto idolatrico delle alture in quanto celebrato per altri e non per Jahweh. Amos, dal suo punto di vista, vede esternamente in tutti quei luoghi il popolo che offre sacrifici ed oblazioni all’indirizzo di Jahweh, ma constata un culto ipocrita che in fondo non è altro che idolatria e magia.

Sotto Geroboamo II, ai tempi di Amos, il culto di Baal è ufficialmente rigettato e questo è un principio politico che il monarca aveva trovato nella sua casa fin dal fondatore Jehu e che in tutta la dinastia s’era mantenuto rigorosamente; ma ciò non impediva in Israele l’invasione dei culti stranieri, o meglio si verificava in questo periodo una specie di sincretismo religioso cultuale che snatura il vero javismo. Amos centra su questo punto la sua predicazione; mentre Osea, un po’ più tardi, dopo la caduta della dinastia di Jehu, si trova dinanzi ad un irrompere aperto, oltre che nella mentalità, anche esternamente, di culti idolatrici. Per questo Osea più esplicitamente ed a lungo parla del culto idolatrico reso a Baal e compara Israele ad una sposa infedele che si va prostituendo dietro ai suoi amanti, cioè dietro ad ogni divinità. In fondo Osea vede l’esplosione di quella penetrazione lenta ma sempre ascendente del paganesimo nella vita religiosa, sociale e morale in Israele, mentre Amos, col suo occhio illuminato da Dio, denuncia questa involuzione e penetrazione, e mette in guardia dalle terribili conseguenze. (31)

.c. Il culto e il suo valore.

La terminologia che il profeta Amos usa nel descrivere il culto è pressoché tradizionale e rispecchia lo stato organizzato del culto nel periodo monarchico e nell’epoca deuteronomica.

Il passo Am 4,4s è una mordace ironia contro il culto d’Israele, culto tanto meticolosamente osservato quanto purtroppo interiormente vuoto. I vocaboli tecnici: sacrificio cruento, decime, pane, offerte volontarie, feste, suoni, canti, vari riti sacrificali in varie festività sono usati da Amos usa per dire qual era il culto praticato dal popolo sono: ‘sacrificio cruento’ in genere, diverso delle ‘decime’ sui beni e sui frutti che i fedeli dovevano offrire al tempio e ai sacerdoti per il culto e per il sostentamento degli addetti al tempio; il ‘pane lievitato’; era proibito offrirlo in sacrificio di lode (cfr. Lev 2,7.11; 7,13; Es 23,18), con uno zelo e un’intenzione fuori modo dato che il popolo pensava di fare oblazioni gradite e tali da per assicurarsi l’approvazione della divinità. Il riferimento del profeta appare polemico e di condanna. Quache studioso dubita che Amos consideri illegale tutto l’apparato sacrificale, da condannare globalmente. Si direbbe piuttosto che Amos condanna un tipo specifico di usanza sacrificale illegale, ma la sua predicazione non è diretta a colpire il dovere del culto. Egli critica evidentemente tutto quanto è ipocrita e contrario al vero spirito religioso. Il pane lievitato, che viene offerto, di per sé, è come sacrificio di lode e di ringraziamento. (32)

Per le ‘offerte volontarie’ la legge non faceva alcuna prescrizione e su esse l’offerente non s’era vincolato con alcuna promessa o voto. Il termine vuol mettere, nel contesto, maggiormente in evidenza il grande affluire di sacrifici al tempio, il che, agli occhi del profeta, non fa che maggiormente rivelare l’insensatezza delle pretese del culto, quelle del popolo che accresce le pretese di propri diritti sulla protezione divina.

Il passo Am 5, 21-27 parla di feste detestate, riunioni sacre non accolte da Signore, olocausti, offerte, vittime, canti e suoni che non pacificano e esigono giustizia e ci dà un altro quadro della vita religiosa del popolo durante il florido periodo di Geroboamo II. Il popolo godeva di relativa pace esterna e di prosperità interna e per questo con ebbra gioia si dava alle feste. Queste feste a cui Amos si riferisce sono senza dubbio le feste religiose e quelle più tradizionali e più solenni, quelle stabilite dalle Legge: festa degli azimi (Es 23,16), delle settimane (Deut 16,16), dei tabernacoli (Lev 23,24) e forse altre feste nazionali e particolari. Queste feste comportavano un pellegrinaggio al tempio (Betel?) e offerte di sacrifici in assemblee generali. Feste e sacrifici erano accompagnaci da suono di strumenti e canti che davano splendore al culto e incantavano attraendo l’anima popolare con fascino, ma che per lo spirito del profeta sensibile ai veri valori religiosi era non gloria del Signore ma strepito assordante per lui. I sacrifici offerti sono diversi: c’è il grande sacrificio che consiste nell’offrire una vittima e bruciarla tutt’ intera sugli altari: c’è il sacrificio pacifico in cui della vittima immolata si bruciano le parti grasse e il sangue veniva sparso intorno all’altare, mentre con le altre parti facevano banchetto gli offerenti e i sacerdoti. Non ogni dono ha esclusivamente né necessariamente significato religioso: può essere un dono dato sia al re sia al Signore (cfr. Gen 4,3ss; 1Sam 2,17; 26,9; 1Re 18,28), può essere di cereali o di animali (Num 16,15; 1Sam 2,17.29; 26,19; Is; 1,13) e in genere nella liturgia è un’offerta di cereali crudi o di farina o sotto forma di focaccia (Lev 2,1; 6,7ss; 7,9s; 10,12) (33) Nelle feste venivano fatte processioni(v. 26) in cui venivano portati lungo le strade forse il ‘vitello'(di Betel e di Dan) o altri idoli (cfr. v. 26 del testo masoretico) mentre si suonava, e si cantava. (34)

In 2,7s il quadro presentato senza dubbio è quello di una festa presso un tempio. Il profeta dice che tutta la festa non è che un susseguirsi di cose sgradite e offese verso Jahweh. Oltre alle ingiustizie sociali, alle oppressioni dei poveri da parte dei potenti, c’era anche la grave piaga della prostituzione, profondamente penetrata nella religione d’Israele dai culti cananei, per cui padre e figlio vanno alla medesima femminetta per profanare il santo nome divino. Questa piaga aveva fatto irruzione nella religione javista legalizzando così, sull’esempio del culto di Astarte, ogni pratica immorale: e la penetrazione fu così profonda che penetrò anche nel tempio di Gerusalemme (2 Re 23,7; cfr. 1Re: 15,12; 22,47; Os 4,13s; Deut 23,17s).

Amos, in 8,5, di passaggio, fa menzione di altre feste che il popolo celebra, una settimanale, il giorno di riposo dedicato a Jahweh e una mensile al novilunio. La festa settimanale del sabato era di antica tradizione: (35), ma della festa della luna nuova non si fa menzione nella legge. Il profeta attesta che la festa della ‘luna nuova’ era una festa assimilata al sabato per la sospensione del lavoro e degli affari. Altri accenni di tale usanza li troviamo in 2 Re 4,23, e in Os, che in 2,13 enumera la ‘neomenia’ in mezzo alle solennità annuali e alla festa settimanale; in questo giorno si celebrano sacrifici e si fanno manifestazioni a carattere religioso e rituale (cfr. Is 1,13s; 1Sam 20,5.24).

Il profeta nota la tremenda contraddizione negli affarismi di chi vuol onorare Jahweh con feste e sacrifici, ma nello stesso tempo vede nelle feste una perdita di tempo per non poter sbrigare i propri affari, accumular danaro. Tutto questo avviene a danno del povero “frodando sul peso e sulle misure”. Il profeta rivelando i pensieri nascosti di tale gente ne stigmatizza la mentalità materialista che li domina e li dirige. Così anche questo accenno fatto di passaggio serve a chiarire in realtà la pratica poco spirituale e la religiosità non disinteressate del popolo.

Dinanzi a questo male che incatenava la nazione e che s’era così largamente diffuso, Amos prende nella sua predicazione un atteggiamento di moralizzatore, un atteggiamento polemico contro questa vita in realtà lontana da Dio. La posizione prima di Amos non è quella del legislatore, quanto piuttosto quella di chi riporta gli altri al rispetto e all’osservanza della Legge in uno spirito nuovo; ed è per questo che si trovano spesso nel suo libro accenni aperti o sottintesi a quella che poteva essere una legge scritta o norma tradizionalmente tenuta ed amministrata (36). Mettendoci da questa punto di vista dobbiamo considerare criticamente se Amos nelle sue invettive contro la vita religiosa d’Israele abbia condannato il culto in quanto tale o solo quell’uso cultuale ipocrita che nascondeva, agli occhi degli uomini, uno stato morale miserando e riprovevole, e pretendeva nasconderlo anche agli occhi di Dio. Certamente alcuni passi di Amos se presi a sé e completamente staccati dal contesto e dall’ambiente in cui sono stati pronunciati, suonano come aperta condanna del culto; ma bisogna precisare che i brani vanno considerati nel tutto e che questi brani sono concatenati con altri che toccano problemi analoghi e di non minor importanza; inoltre Amos fa il predicatore e non il legislatore e quindi bisogna sondare le sue espressioni tenendo conto dell’accento retorico e polemico di questi brani. E’ chiaro, infine, che Amos vuol correggere la vita morale del popolo per ricondurlo alla purezza della fede dei padri nella forma e nello spirito, e che non vuol correggere il rituale e il culto in quanto tale, ma lo spirito personale nella pratica ipocrita.

Le frasi di Am 2,4; 3,14; 8,14 intese nel contesto storico in cui furono pronunciate non esprimono avversità contro il culto javistico, anzi, più che porre Amos contro il culto, chiariscono la posizione di schietta avversità contro il falso culto. Basta leggere i libri dei Re e vedere gli interventi contro il culto illegale cfr. 1Re 15,14; 22,44; 2Re 12,13; 15,4; 2Cr 20,23 e paralleli: in questi passi c’è l’aperta condanna del culto illegale, ma, senza alcun cenno ad una condanna globale del culto in quanto tale.

Am 4,4s. e 5,21-26 esprime aperta condanna del culto che viene particato in modo esteriore, non animato dall’obbedienza ai comandi di Jaweh. Il profeta lo vuol correggere per tutto quanto rispecchia una mentalità blasfema. Nel primo brano cap. 4 i vv. 4 e 5 vanno collegati con i precedenti in cui c’è una forte invettiva contro le donne che per acquisire danaro e saziare le loro brame di godimento opprimono deboli e poveri e inducono i loro mariti a commettere ogni sorta di ingiustizie (vv.1-3: vacche di Basan che saranno scacciate) e poi pensano che i sacrifici sontuosi e il loro frequente “pellegrinare” ai santuari siano sufficienti a quietare la loro coscienza, mentre non fanno che aggiungere colpa su colpa.

Lo stesso valore va attribuito al secondo brano di Amos, specialmente se visto sotto la luce del 5,24 “come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne“; unito contestualmente ai vv. precedenti 18-23 in cui il profeta mostra quale sarà il giorno di Jahweh, su cui Israele tanto fidava e che pretendeva affrettare e accaparrarselo attraverso i riti di un culto spettacolare con abbondanti sacrifici. Ed ecco invece «Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? tenebre e non luce» (5,18b) cioè schianto e abbattimento e non gloria, e a nulla valgono i sacrifici. Dio nemmeno li riguarda, né lo commuove lo spettacolo di festa che si vede intorno ai suoi templi: quello è frastuono e non inno di lode. Manca l’anima della lode cioè la coscienza retta che umilmente si rivolge al Signore. L’esame delle frasi del profeta sul culto nel contesto loro ci mostra che da essi non si può trarre nessuna decisiva condanna del culto in quanto tale; Amos vuol correggere lo spirito del culto.

Am 5,25 «Mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto per 40 anni, o Israiliti?» ha una risposta nel contesto storico (37). Il pensiero di Amos, crudamente espresso non è diverso da quello di Os 6,4ss. e di Is 1,10-17; di Ger 7,21 e al pari del nostro profeta condannano il culto e il sacrificio quando non sono accompagnati da retta coscienza. Questi testi, se guardati senza pregiudizi, danno la via della vera religione e del vero culto. (38)

In conclusione Amos non rigetta l’adorazione esterna, ma è fermamente contrario ad ogni culto religioso che non sia l’espressione di una interna vita spirituale tale che trova la sua manifestazione più viva e fedele nella retta condotta della vita quotidiana. Ai vv. 5,21-25 Amos sembra dar eco alla parola che Isaia mette sulle labbra di Dio: «Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue» (Is.1,15) come diceva Amos.

La vita religiosa del popolo del regno d’Israele del sec. VIII come raffigurata nel libro di Amos e in altri contemporanei documenti riflette le condizioni sociali del tempo: il rituale ricco era dovuto alla ricchezza, alla prosperità materiale sotto Geroboamo II. Il culto fatto con ogni solennità e pompa specialmente in Betel era profondamente corrotto nello spirito poiché in netto contrasto con la condotta quotidiana moralmente depravata. E’ vero che il culto era basato sulla adorazione di Jahweh, ma Dio, il Dio dei padri e della rivelazione Mosaica, era ridotto al livello delle divinità fenicie, di un Baal cananeo, rappresentato in un vitello e probabilmente anche con altre immagini. Il profeta non intende condannare il culto rituale, ma era profondamente colpito dalla sua ipocrisia, poiché era diventato, al seguito dei culti pagani, fonte d’immoralità, causa della morale corruzione dei popoli. (39)

Ha scritto Amos con un’espressione a lui cara: «Poiché così dice il Signore alla casa d’Israele: «Cercate me e vivrete! … Cercate il Signore e vivrete …», (5,4.6), ma il Signore va cercato non nel formalismo rituale esteriore, bensì nel servizio umile di Dio nella vita pratica seguendo il bene e ritraendosi dal male, nella conversione del cuore che conduce alla giustizia. Con questa conversione Amos vede il vero giorno di Jahweh e del popolo, la manifestazione della sua gloria e della grandezza del popolo eletto.

L’atteggiamento che Amos assume nella sua predicazione va spiegato solo in base alla mentalità religiosa, morale e sociale del popolo israelita del sec. VIII; e la mentalità religiosa d’Israele culminava in questo secolo in un sincretismo ipocrita del culto tradizionale mescolato con i culti idolatrici fenici dei baalim. Questo stato di cose ha provocato gli attacchi di Amos contro le pratiche rituali che vedeva. E in base all’episodio sopra analizzato, dello scontro tra Amos e l’avversario Amasia, sacerdote di Betel, possiamo anche concludere che di fatto nella religione s’era avuta una specie di intrusione politica, una secolarizzazione statale, una subordinazione degli interessi religiosi a quelli del consenso al potere del regno. Per Amasia e nella mentalità popolare il ‘santuario’ Betel è “santuario del re” e “casa reale”: la vita religiosa a Betel è subordinata al prestigio del re ed è al suo onore. In altre parole la casa della divinità Betel è vassalla della casa di Geroboamo re. Non per nulla Amos fa la sua condanna del sacerdozio di Betel, della casa reale, dei santuari e di tutto il culto che aveva sotto i suoi occhi. (40)

N O T E

(1) – Sulla struttura del libro di Amos, cfr. NEHER e altri qui citati.

(2) – OESTBORN, pag. 80 ss: Jaweh the God of covenant.

(3) – Circa le tante discussioni sull’origine del monoteismo ebraico e il concetto di Dio, suscitate dai razionalisti, e sul concetto di religione popolare in Israele cfr. KORTLEITNER

(4) – LEAHY, pagg. 68-73.

(5) – DE VAUX, pagg. 82 ss.

(6) – NOTH, BWANT  10.

(7) – DE VAUX, a.c., pag. 87.

(8) – ALBRIGHT, From the Stone age  pagg. 298-301.

(9) – DE VAUX, loc. cit.

(10) – Tale mentalità viene energicamente rigettata, dal punto di vista storico e teologico, con un appello alla storia e alla rivelazione, nel salmo 50(49).

(11) – Anche Am 5,8; 8,6. Sull’origine ed il significato di tali inni in Amos, e l’uso polemico di essi VACCARI, pag.184.

(12) – cfr. ALBRIGHT, Archaeology and the Religion pag.110-119; ID. Jaweh and the goods of Canaan; cfr. anche F.S.A.C. pagg.196-199.

(13) – Amos ed Isaia accettano la professione del popolo che la loro religione è indirizzata a Jaweh, al contrario Osea e Geremia la criticano.

(14) – Per i toponimi e i culti in dati luoghi: cfr. voci nei Dizionari e Repertori biblici; DU BUIT, ALBRIGHT; LEAHY

(15) – Cfr. ad esempio come si esprime la stele di Mesa; cfr. anche Num 21,29; Mic 4,5; cfr. SMITH

(16) – v. 2Re, 18,22. 34s.: il messo di Sargon lancia una sfida ad Ezechia e conferma le sue asserzioni dicendo: «Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? Dove gli dèi di Sefarvàim, di Ena e di Ivva? Hanno forse liberato Samaria dalla mia mano? Quali mai, fra tutti gli dèi di quelle regioni, hanno liberato la loro terra dalla mia mano, perché il Signore possa liberare Gerusalemme dalla mia mano?”» 2Re, 18,34-35.

(17) – MORGENSTERN, pagg. 410 ss.

(18) – MORGENSTERN, loc. cit.; A. POHL, pagg. 86-92.

(19) – Conoscenza nel senso di elezione, amore, idea espressa tante volte nella Sacra Scrittura, Gen 18,19; Os 13,5; Ger 1,5; Deut 7,6; 9,24; 14,2; Es 33,12.

(20) – Osea 9,7ss ironicamente mette a confronto la visione del profeta e la superba sicurezza di Israele. Il profeta nota che ormai la misura è colma e la punizione di Dio è prossima e ricorda agli uditori uno storico esempio, il peccato e la conseguente punizione di Baalfegor.

(21) – WELCH ripetutamente ritorna su questi concetti in tre studi: – Prophet and Priest in old Israel, 1953, pagg. 76-102; – Religion of Israel under the Kingdon, 1912, pagg. 59-96; – Kings and Prophets in Israel, 1953 pagg. 107-129.

(22) – Il profeta richiama i culti favoriti dal re a Betel, Galgala, Dan, Bersabea.

(23) – Recenti studi fanno delle scuole profetiche e dei profeti degli affiliati ai templi e al culto: cfr. SAYDON, pag. 75.

(24) – Sull’espressione del testo biblico cfr. Mc CORMACK, in Exp. Tim. 67/10, 1956, pag. 318; P.R. ACKROYD, in ET; 68/3, 1956, pag. 94; e soprattutto E. VOGT, in ET 68/10, 1957, pag. 301, che spiega: Ich bin kein Prophet das ist kein Prophetensohn (=Berufprophet).

(25) – Vedi l’episodio del profeta Michea ed Acab: 1Re 22,1-28.

(26) – RINALDI, G., pag. 382.

(27) – HARPER, pag. 88.

(28) – RINALDI, I profeti minori: Amos, cit. pag. 165

(29) – SANT, loc. cit.

(30) – Per le “alture” sacre cfr. VINCENT

(31) – NEHER, apre altre prospettive, pag. 82-85.

(32) – Van HOONACKER, commenta sulla base dei LXX, e di congetture con un’interpretazione diversa da altri; traduce: “Proclamer sur dehors sacrifice de louange….”  vocaboli di sua ricostruzione.

(33) – Numerazione dei sacrifici in Lev 1-3 ove sono elencati nello stesso ordine che in questo testo di Amos.

(34) – Frequenti accenni nei salmi inoltre cfr. 1 Re, 18,26ss; Is 28,7; 45,20; 46,9; Ger 10,5.

(35) – Sull’origine, l’evoluzione e il significato della festa del sabato presso gli ebrei cfr. MORAN (dispensa ad uso privato), pag. 74ss. < forse William L. MORAN, “A Kingdom of Priests

(36) – Per Amos e la legge scritta o tradizionale SANT, pag. 42-47.

(37) – Se si negasse il culto di Israele nel deserto, oltre a non cogliere il vero pensiero di Amos e travisare il contesto storico e psicologico del profeta, si negherebbe tutta la tradizione di Israele.

(38) – La lettura di Amos è conforme a tutta la tradizione orientale che si rivela dalla letteratura e dai monumenti oggi sempre in maggior numero messi in luce dall’archeologia cfr. CRIPPA, pag 140.

(39) – SANT, pag. 47. Nel giorno di Jahweh si realizza la salvezza. Il popolo eletto dal Signore, Israele, viene a manifestare la divina sovranità sul mondo intero.

(40) – NEHER, pag. 9: ha suggestivi suggerimenti; ma trae conclusioni di cui a malapena in Amos e si può trovare lo spunto.

 

 

 

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