Lettura di un’opera ULTIMA CENA di Gesù a Fermo docente Germano LIBERATI

LETTURA DI UN’OPERA D’ARTE: “ULTIMA CENA” attribuita ad ALESSANDRO RICCI (1749-1829)

Con alcuni spunti e sottolineature, vorrei far emergere la consistenza e lo spessore storico-culturale di un’opera qual è “l’Ultima Cena” considerando: la storia del dipinto, l’autore e lo stile, ed alcuni cenni per una lettura  iconologica.

La storia  Alle origini, l’opera era stata commissionata ed era stata esposta alla venerazione dei fedeli nella chiesa dei Gesuiti di Fermo, (detta chiesa “del Gesù”) chiamata in seguito alla demaniazione di S. Martino, dalla contrada. I Gesuiti chiamati ed accolti nel 1601 dall’arc.vo card. Ottavio Bandini, vennero a Fermo e si allogarono in contrada S. Martino, sotto l’episcopio e vi costruirono il loro convento, ora sede del liceo classico “A. Caro”. Nella loro attività culturale e di evangelizzazione che li caratterizzavano, i Gesuiti, dopo l’epoca napoleonica, interessandosi della popolazione rurale, istituirono la “Congregazione dei contadini” a cui, per il culto e la devozione, assegnarono una cappella nella cripta della chiesa e nell’ancona dell’altare sistemarono il dipinto di cui ci stiamo occupando: l’Ultima Cena. Esso restò in loco fino al 1870, e dopo demaniata la chiesa, la cappella divenne luogo di culto della Congregazione degli Artisti. La tela fu rimossa e fu collocata in sacrestia.

Quivi rimase fino a quando, cessato l’uso di chiesa parrocchiale, e dopo riconsegnata al Comune di Fermo, l’arc. Bellucci anche per la sua notevole grandezza, larga m. 4,60 h. m.1,50, decise di trasferirla in Episcopio. Quando fu fatta l’attuale Aula Magna dell’Istituto teologico, sempre mons. Bellucci decise di esporla alla pubblica fruizione sulla parete di fondo della stessa anche per caratterizzare l’uso ecclesiale della struttura.

 L’attribuzione

La tela non è firmata e documenti che possono attestare una sicura paternità non sono noti.  È opinione corrente che l’opera sia da attribuire ad Alessandro Ricci (1749-1829) di Fermo. Alessandro è uno degli ultimi rampolli di una famiglia di pittori il cui capostipite, Alessandro senior, urbinate, si era trasferito a Fermo negli ultimi decenni del ‘600. Per quattro generazioni i Ricci hanno contribuito ad illustrare chiese e palazzi a Fermo e nel Fermano. Si può dire che non vi sia chiesa nell’archidiocesi, che non conservi un’opera di un Ricci: vuoi di Natale o di Lucia o di Filippo o, appunto di Alessandro. Di lui si conservano in città, solo per citare qualche opera, il San Ludovico in Cattedrale, la morte di S. Gaetano nella chiesa di San Michele Arcangelo, oltre ai mirabili affreschi del Palazzo. In tutte le sue opere si nota un linguaggio misurato, ma assai alto e colto, curato nel disegno e nel colore, con interessanti effetti chiaroscurali. L’opera dunque può essere attribuita alla piena maturità dell’artista.

Lettura iconologica  La scena è di tipo tradizionale, se pur con una prospettiva di leggero “sotto in su”, probabilmente perché era collocata abbastanza in alto, sopra l’altare. Uniche note decorative sono l’inquadratura ai lati con elementi architettonici e tendaggi e il pavimento a piastrelle colorate: denotazioni di una preziosa sala. Cristo è al centro ed è colto nell’atto di benedire il pane. La tavola è stranamente spoglia: solo il bicchiere ed il vassoio in maiolica, contenitori del pane e del vino. Questa novità fa pensare ad una volontà dei committenti di eliminare tutti gli elementi esornativi, affinché il gesto di Cristo ed il pane ed il vino fossero in piena evidenza e non accompagnati da altro: la centralità dunque dell’Eucaristia nelle sue componenti essenziali.

Gli apostoli sono raggruppati in tre gruppi e le loro espressioni: i volti, gli sguardi, la gestualità definiscono varie comuni reazioni emotive al gesto che Cristo sta compiendo:  come si nota dagli sguardi incantati, alla meraviglia, alla perplessità, al domandarsi e domandare con gli sguardi che cosa Egli stia facendo con quel comportamento nuovo e incomprensibile. Il realismo di alcuni volti, forse presi da persone reali, vuole essere una fuga dagli stereotipi, per rendere la scena viva come per l’attualizzazione.

Gli apostoli sono undici, manca Giuda. Anche qui un messaggio teologico: si vuol affermare che il Giuda non abbia partecipato all’Eucaristia perché indegno. Sembra rimbalzare l’ammonimento di Paolo ai Corinti “ Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”.

Possiamo concludere dunque che quest’opera, ispirata dai dotti Gesuiti, abbia voluto riaffermare la fede nel mistero dell’Eucaristia; in controtendenza, nel periodo in cui il razionalismo illuminista era diventato politica antireligiosa nella rivoluzione Francese, e nel governo napoleonico che tendevano a sopraffare la fede e scristianizzare le masse.

                     Germano Liberati Seminario 22.09.2005

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