VENEZIA e FERMO trattato rinnovato nel 1260 di Germano LIBERATI

LIBERATI Germano: Fermo e Venezia nell’atto notarile del 30 marzo 1260

Il rapporti commerciali tra le Marche e Venezia erano antichissimi. La situazione commerciale Fermana in relazione a Venezia, quale si svolse nel secolo XIV, risulta già fissata nel secolo precedente, sia per i trattati specifici intercorsi tra le parti, sia per le vertenze economiche tra la Serenissima e Ancona, con la concorrenza commerciale, sfociata in azioni militari e di rappresaglia. Un contratto delle 1260 fu rinnovato dopo che tra i mercanti vi saranno stati danneggiamenti reciproci, atti di violenza e di rappresaglia.  Il vantaggio per Fermo era di avere mercati sicuri per i propri prodotti agricoli, specie per il vino. Tuttavia, improntati com’erano gli scambi sulla libera esportazione, i Fermani si riservavano il diritto di proibire l’esportazione del frumento, quando esso, nel territorio, superasse il prezzo – per quei tempi il favoloso – di 30 soldi lo staio.

Una delle pergamene dell’Archivio Storico del Comune di Fermo, presso l’Archivio di Stato di Fermo (ASF), è riportata da LIBERATI GERMANO tradotta per questa occasione in italiano da Carlo Tomassini. Si indicano le pagine della Tesi di Laurea presso l’Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere e Filosofia: “Economia e Governi a Fermo nel primo trecento” del candidato Germano Liberati. Relatore: ch.mo Prof. Lino Marini. Anno Accademico 1969-1970 (citata nel seguito: Tesi, pag.). Cfr. LIBERATI, Germano, “Dinamica della vita economica e politica a Fermo nel secolo XIV” in “Studi Urbinati” a. XLIX, n.2, 1975, Urbino, pagg.9-29.

Doc. – Anno 1260  due atti in data 15 e 30marzo da ASF pergamena n.368 e copie nn. 152 e 372. Tesi pp.273-280 derivata dall’edizione di LUZZATTO, G. I più antichi trattati tra Venezia e le città marchigiane (1141-1345), in “Nuovo Archivio Veneto”  VI, 1906, XI pp.61-65 ma l’esattezza di questa trascrizione è da migliorare)

Testo tradotto dal latino del Trattato di pace e di amicizia rinnovato  tra Fermo e Venezia secondo le antiche consuetudini. Inserito un trattato del 15 marzo 1260

“Nell’anno del Signore 1260, indizione terza, due giorni prima della fine di marzo<=30> presenti < i testimoni> sigg. Giovanni Belligno, Marco Quirini figlio di Giovanni Quirini, allora consiglieri del sig. doge, Iacobo Canterano da San Bartolomeo, Bartolomeo Michele ed altri; venendo alla presenza del magnifico sig. Rainerio Gen (=Zen) doge di Venezia per divina grazia e del suo Consiglio; il provvido uomo Iacobo di Giovanni Pievano, procuratore del podestà e del comune di Fermo, come risulta da pubblico istrumento fatto dal notaio Paolo di Berardo, il cui contenuto è riportato in seguito, su cose che tra il Comune di Fermo e il Comune di Venezia sono in contrasto, giunge alla concordia con lo stesso sig. doge e con il suo Consiglio, in questo modo. Egli promise a nome del comune e del consiglio di Fermo al Doge che accetta a nome del comune e degli uomini di Venezia che Fermo farà la restituzione e la soddisfazione dei beni e delle cose tolte dai Fermani ai Veneziani fino al primo agosto prossimo venturo, escludendo ogni appiglio, e fece remissione e fine di fronte al doge e al comune di Venezia di tutti i danni fatti e dei gravami causati dai Veneziani ai Fermani sino al giorno presente.

Riguardo poi all’interdetto precedente imposto da Fermo sopra le “biade” da non portare dalle terre fermane a Venezia si giunge alla concordia. L’incaricato sindaco fermano Jacobo promise al doge veneziano che in futuro Fermo non farà un ordinamento di interdetto, né bando alcuno su biade né su altri cibi o mercanzie, anzi terranno sempre aperto il porto (fermano) con promessa che da ogni luogo del distretto fermano siano portati, senza alcun impedimento, le biade, i cibi e altre mercanzie da persone di Venezia e del Veneto, con eccezione del vino che sia caricato soltanto quello della città di Fermo e non sia caricato da altri porti verso il porto fermano.

Inoltre il sindaco incaricato promise che Fermo tratterà gli uomini veneti salvi, sicuri nell’andare, nel tornare, nelle persone, nelle mercanzie e cose, nel distretto e nell’influenza di Fermo, senza alcun dazio e con tutti i beni secondo le antiche consuetudini conosciute, salvo il fatto che nei tempi in cui la città di Fermo e nei dintorni il frumento avrà valore più di 30 soldi a staio, Fermo ha licenza di fare come prima, per i cittadini fermani, a volontà, riguardo alle biade. Inoltre se per caso capitasse che gli uomini veneti affrontassero un naufragio nel distretto fermano, a questi naufraghi sarà dato dai Fermani aiuto, consiglio, sostegno nel dover recuperare i loro beni, nel liberare al meglio le persone, come più utilmente questi potranno fare in buona fede. Inoltre promise che gli uomini di Venezia saranno liberi e prosciolti e nulla sarà loro tolto al porto di Fermo, né nel suo distretto o zona d’influenza, per l’ancoraggio, o per lo scalo.

Dall’altra parte il signor doge a nome di Venezia promise di dare soddisfazione per i beni che i Veneziani hanno tolto ai Fermani fino al prossimo primo agosto, facendo fine e remissione al sindaco fermano dei danni arrecati, delle offese inferte ai Veneziani dai Fermani fino al presente giorno. Il doge eliminò l’interdetto fatto da Venezia contro i Fermani proibiti di andare a Venezia con le loro mercanzie,  e che altri portassero a Venezia le mercanzie e cose fermane. Decise e stabilì che gli uomini del distretto Fermano possano recarsi liberamente a Venezia, come di consuetudine, promettendo lo stesso doge per Venezia che i Fermani saranno tenuti salvi e sicuri nelle terre venete, nello stare o nel tornare, con le persone e le cose loro, secondo le antiche buone consuetudini conosciute, e per il resto il trattamento sarà di amicizia speciale in tutto. Il doge, per Venezia, condonò al sindaco per Fermo il “quarantesimo” che si usava pagare a Venezia per ogni cosa che fosse originata da Fermo e nella Marca Anconetana, a volontà sua e di Venezia.  Inoltre  esentò i Fermani e gli uomini del loro distretto dal dazio a Venezia per l’ancoraggio o per lo scalo, in modo che non lo pagassero. Inoltre il doge per Venezia promise a Jacobo sindaco fermano che gli uomini di Venezia non faranno porre un loro naviglio nella Ripa del castello dal fiume Glenchi (Chienti?) alla terra e non vi faranno alcun porto di carico e scarico.

Per tutte le singole queste cose si fece convenzione tra il sindaco per Fermo e il doge per Venezia, come scritto, che saranno adempiute, osservate, fatte rispettare dai Fermani sotto pena di 2000 libbre venete piccole.  Il doge, per Venezia, promise e fece convenzione al sindaco per Fermo, come scritto sopra, di adempiere ad osservare tutte le singole le cose già dette, e di farle rispettare dai veneziani. Redatto nel palazzo del Doge di Venezia.

Il contenuto del documento per il sindaco, cui si è fatto riferimento sopra è il seguente. Nel nome di Dio, amen. Anno 1260, indizione terza, giorno 15 marzo, al tempo del re di Sicilia Manfredi, anno secondo del suo regno, riunito, al modo consueto il Consiglio Generale nel palazzo del comune di Fermo, al suono della campana e per voce dell’annunciatore, il signor Bernardo da Isola, podestà della città di Fermo, insieme con tutti i consiglieri, nessuno discorde, stabilì e ordinò Jacobo del signor Giovanni Pievano, benché assente, nella qualità di loro nunzio, sindaco, agente, procuratore o come meglio può dirsi al fine di trattare e definire e stabilire, a nome di Fermo, una concordia con il doge per Venezia, riguardo ad ogni lite e questione, querela, discordia, che si avesse e fosse insorta tra il doge veneto e Fermo; in modo da dover porre fine e fare remissione di ogni danno, ingiuria, da una parte e dall’altra parte, fino al presente giorno; inoltre a dover pacificare e stabilire patti e convenzioni tra Venezia e Fermo, da osservarsi nel seguito; e a dover fare provvedimenti e impegni con il doge per Venezia e di dover ricevere dai Veneziani l’impegno di osservanza; inoltre a dover fare ogni altra cosa che al riguardo di tutto ciò che sia da compiere, come può fare Fermo; con il promettere che Fermo manterrà valido e deciso con spese ed obblighi, e non contrastare alcunché di quanto il sindaco predetto deciderà di fare sopra le cose già dette.

Redatto nel palazzo <di Fermo> con i testimoni presenti: il sig. Iacobo e il sig. Alberto giudici della città stessa; il sig. Canduo notaio; il sig. Giovanni Plebano, il sig. Iacobo di Matteo di Giovannuccio, il sig. Ufreduccio di Conurumo, i sigg. Filippo e Gabriele, il sig. Rogino. Io Paolo di Berardo, come notaio su incarico del Podestà e su richiesta del Consiglio, ho dato <valore di> memoria e corroborato.”

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