Epigrafi funerarie degli antichi Romani a Petriolo (MC)

EPIGRAFI FUNERARIE ROMANE. Il libro di Aldo Chiavari “Petriolo (2010)” nell’inserto di iconografia da pag. 208 figura 28 riporta le foto di due iscrizioni funerarie romane riferibili ai decenni dopo la lex sumptuaria legge dell’imperatore Augusto contro il lusso (attorno al 18 a. C.)

 L’epigrafe: E P B I S – è interpretabile = Ex Pecunia Benemerentis Impensa Sua – “Dal denaro del benemerito per sua diligenza” dice che la spesa non suntuaria (di lusso) con il  marmo scolpito a cornice per l’iscrizione che copre la nicchia dell’urna contenente l’anfora delle ceneri è stata una spesa fatta per lascito della persona defunta.

L’altra epigrafe parimenti su marmo con scolpita la cornice = E. S. T. – Ex Suo Tumulus – dice un fatto simile: “Dal suo avere il tumulo” giustificando il dispendio per la tomba o tumulo.

Le tipologie sepolcrali nell’antica Roma erano molto varie. I tumuli con monumenti più o meno piccoli, se non edifici, erano costituiti da un cippo con stele ed epigrafe su marmo o travertino. Erano collocati per una legge delle antichissime ‘dodici tavole’ fuori dallo spazio abitativo o urbano, spesso a lato delle vie extraurbane e vi si poteva leggere l’epitaffio che dava qualche prestigio al defunto, almeno con il far intendere che non era uno schiavo o nullatenente perché quand’era vivente si era potuto far provvedere dai superstiti quel sepolcro dopo la cremazione.

Anche nelle tombe di inumazione degli antichi Piceni si dava al defunto il suo corredo di oggetti come suo patrimonio onorevole.

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Fermo e il suo territorio in ottanta toponimi ed altri 27 di relazioni pubbliche fuori di Roma: pergamene elencate da Miche Hubart per il governo dello Stato Fermano nel Medioevo e nel Rinascimento.

Nell’archivio storico del Comune di Fermo presso il locale Archivio di Stato si conserva una delle non poche copie dell’elenco delle pergamene che Michele Hubart di Liegi ebbe a sunteggiare per quanto riguardava il governo dello Stato di Fermo con i castelli sottomessi a Statuta Firmanorum e per le relazioni con altre città italiane. Mentre non ha sunteggiato centinaia di pergamene non riguardanti questo governo, senza indicare Roma. Segue l’elenco  dei toponimi castelli, delle Terre e delle città che sono in tale sommario scritto in latino da Hubart. (Si usa qui la traduzione italiana senza ordine alfabetico) tra parentesi () si indica l’attuale comune di 80   toponimi nell’antica diocesi di Fermo; 27 toponimo fuori di questa stessa diocesi, tra cui cittadine come Ancona, Ascoli Pic., Iesi, Fabriano, Loreto, Recanati, Siena, Spoleto e Venezia e altre minori come Accumuli, Acquaviva, Amatrice, Arquata, Brunforte, Castignano, Cossignano, Fabriano, Ferentillo, Monte Lupone, Monte Milone (Pollenza), Norcia, Offida, Porchia, Serra San Quirico; Episcopato e altre località. Le relazioni intergovernative erano molte e notevoli, senza citare Roma.\

ELENCO di 107 toponimi =FERMO; Accumuli – Amatrice – Amandola – Alteta (Montegiorgio) – Acquaviva – Ancona – Ascoli (Piceno) – Apezzana (Loro Piceno) Arquata – Belmonte (Piceno) –  -Bucchiano (a Monterinaldo) – Borempaduro (San Benedetto del Tronto) – Brunforte (San Ginesio) – Camporo e Carassai – Castignano – Castello Fermano (a Servigliano) – Civitanova – Collicillo (Montegiorgio) – Cossignano – Episcopato Fermano (non castello) – Iesi – Fabriano – Falerone – Francavilla – Gabbiano (a Massa e Fermo) – Grottammare – Gualdo – Guardia (Carassai) – Lapedona – Loro (Piceno)- Loreto – Magliano (di Tenna) – Marano (Cuora Marittima) – Massa (Fermana) – Massignano – Mercato (a S. Benedetto d. T.) – Morico (a San Ginesio) – Mogliano – Monturano – Moresco – Mortula (Montalto) – Morrovalle – Montappone – Montapponello (Montappone e Montegiorgio) – Monte Aquilino (S. Benedetto d. T.) – Montecosaro – Monte Cretaccio (S. Benedetto d. T.) -Montefalcone – Montefiore – Montefortino – Monte Giberto – Montegranaro – Monte Vidon Combatte – Monte Vidon Corrado – Monteleone – Montelupone – Monte Milone (Pollenza) – Monte Passillo (Comunanza) – Monterubbiano – Monte Santo (Potenza Picena) – Monte santa Maria in Georgio (=Montegiorgio) – Monsampietro (Morico) – Monte Sanpietrangeli – Monte Secco (Fermo) – Montone (Fermo) – Monteverde (Montegiorgio) – Monre Ranaldo o Radaldo (Santa Vittoria in Matenano) – Montolmo (Corridonia) – Monte Ferentillo (Ferentillo) – Norcia – Offida – Penna San Giovanni – Petriolo – Petritoli – Poggio san Lorenzo (Montecosaro) – Poggio Santa Lucia (Mogliano) – Ponzano – Porchia (Montalto) – Porto Fermano (Porto San Giorgio) – Rapagnano – Ripatransone – Ripacerreto (Montegiorgio) – Recanti – Sant’Andrea (Ripatransone) – Sant’Angelo in Pontano – Santa Vittoria (in Matenano) – Sarnano – Sant’Elpidio Morico (Monsampietro M.) – Sant’Elpidio a Mare – San Ginesio – San Benedetto del Tronto – Servigliano – San Giusto bis (Monte S. Giusto) – Serra San Quirico – Siena – Smerillo – Sismondo (Gualdo) -Spoleto – Triponzo (Ripatransone) – Torre di Palme (Fermo)- Torre San Patrizio – Torchiaro (Ponzano) – Venezia.

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POESIE LORETO CULTO MARIANO libro: Laudi spirituali nel pellegrinaggio Mantova 1749

SANTUARIO LORETANO

D  I    M  A  R  I  A

CON LE VARIE TRASLAZIONI, MIRACOLI,

INDULGENZE E PRIVILEGI

Composto da quel che hanno scritto il Padre Horatio

Torsellino, della Compagnia di GIESU’

e molti altri Autori.

Con una breve Cronica de’ Protettori e Governatori d’esso,

e delle cose più notabili, e che nel lor tempo si fecero

e accederono dall’Anno 1191, infino

del 1646, e 1647.

DAL SIG. ANTONIO SALT SACERDOTE

Della Città di Valenza nella Spagna.

Tradotto dalla lingua Spagnola nell’Italiana da un

Devoto della Madonna Santissima

Con la  giunta d’alcune altre cose notabili cavate da libri

Originali dell’Archivio e Custodia della S. Casa.

______________________________

In Macerata, Appresso Agostino Grisei, 1648

Con privilegio, e licenza de Superiori.

SANTUARIO LORETANO

D  I    M  A  R  I  A

Dal SIG. ANTONIO SALT VALENTIANO

Dedicato all’Ill.mo e Reverendiss. Sig.

MONSIGNOR

F  R  A  N  C  E  S  C  O

C  A  E  T  A  N  O

Referendario Apostolico dell’una, a l’altra

Signatura, e Governatore della Santa

Casa, e città di Loreto

In Macerata, Per Agostino Crisei, 1648

Con privilegio e licenza de’ Superiori

_____________________

A conto d’Alessandro Greco della Città di Loreto

A l’insegna dell’Aquila nera.

I N N O C E N Z O    P A P A    X

A FUTURA MEMORIA DEL FATTO

Abbiamo saputo che il diletto figlio Alessandro Greco di Loreto intende far stampare a proprie spese nella nostra città di Loreto un libro intitolato “Santuario Loretano” del diletto figlio nostro Antonio Salt presbitero spagnolo di Valenza che l’ha scritto in lingua spagnola e al presente è tradotto in lingua italiana da un altro e con ciò egli tuttavia ha timore che altri che cercano guadagno dal lavoro altrui si adoperino a stampare questo stesso libro con danno per il detto Alessandro e pertanto egli fece fare una supplica rivolta umilmente a Noi affinché ci disegnassimo, di benignità Apostolica, di provvedere opportunamente su ciò: Noi pertanto vogliamo accondiscendere con speciali favori al detto Alessandro e con grazia decidiamo che egli sia dichiarato innocente e sarà assoluto da sentenze Ecclesiastiche di sospensione, di interdetto da altre pene e censure che siano date in qualsiasi modo fosse stato coinvolto per qualsiasi causa, occasione giuridica o umana, se mai ciò fosse avvenuto, in conseguenza solamente di tali fatti presenti. Noi siamo propensi alla supplica di tale tipo a favore di Alessandro in modo che nel prossimo decennio da calcolare dalla prima stampa del detto libro, purché tuttavia egli abbia approvazione antecedente dal Venerabile fratello il Vescovo Lauretano per cui nessuno sia nell’Urbe, sia nel restante Stato Ecclesiastico sottomesso a lui in modo diretto o indiretto, possa né valga vendere uomini di vendita o proporla del libro stampato da altri, né stamparlo senza la specifica autorizzazione del detto Alessandro o dei suoi eredi e successori o di chi ne abbia ragione. Questo Noi concediamo e favoriamo di autorità Apostolica per mezzo del presente scritto. Noi pertanto proibiamo a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, soprattutto a tipografi e librai sotto pena di scomunica e multa di 500 ducati d’oro di camera dei libri e della intera tipografia applicando una parte alla camera apostolica, un’altra parte lo stesso Alessandro e per la restante terza parte a favore dell’accusatore e del giudice esecutore e ciò in modo irreversibile per il fatto stesso, senza alcun altra dichiarazione, in modo che nessuno osi nè presuma nell’Urbe e nel restante anzidetto Stato Ecclesiastico, né stampare, né avere in vendita, né proporla, senza l’autorizzazione per tale libro, in nessun altro modo. Pertanto diamo ordine ai diletti figli nostri e ai Delegati della Sede Apostolica, ai Vicedelegati, o Presidenti, ai Governatori, ai Pretori, agli altri ministri delle Province, delle Città, delle Terre e dei luoghi dello Stato Ecclesiastico anzidetto, che diano assistenza, presidio, difesa al detto Alessandro ed ai suoi eredi e successori e a chi ne ha ragione, per le cose espresse e quanto detto sopra, ogni qualvolta ne siano richiesti dallo stesso Alessandro. Ai suoi predetti eredi: facciano senza remissione dell’esecuzione contro chiunque non sia obbediente, nonostante qualunque Costituzione e Ordine apostolico e qualsiasi Statuto e consuetudine anche con giuramento e conferma apostolica e nonostante qualsiasi altra validazione che sia in contrasto alle cose anzidette ed in qualsiasi modo concesse e approvate che siano in contrasto. Vogliamo che quando sono esibite o presentata tali cose di fedeltà usino il presente scritto con sottoscrizione di un notaio pubblico e munito di sigillo di qualche persona di dignità Ecclesiastica così in fedeltà dovunque.

Data a Roma presso Santa Maria Maggiore sotto l’Anello del pescatore il giorno 6 giugno 1647 anno terzo del nostro Pontificato

                                                      M. A. MARALDO

Nel nome del Signore. Amen. Nell’anno della Natività dello stesso Signore 1647 al tempo del Pontificato del Padre santo in Cristo e Signore nostro signor Innocenzo X Papa per divina Provvidenza, nel suo terzo anno, il giorno 14 del mese di agosto di tale anno 1647 faccio fede al testo con parola di verità io Pietro Antonio Bertinelli da Montottone della diocesi Fermana, notaio pubblico di autorità Apostolica e Imperiale che ho estratto dal proprio originale il Breve Apostolico spedito sotto l’Anello del Pescatore ed esso concorda con lo stesso Breve originale, come ho riscontrato che concorda facendo io la collazione, sempre salvo; eccetera e l’ho pubblicata in fede delle predette cose e ho apposto il sigillo ed il mio nome, eccetera.

                                                                                           LUOGO DEL SIGILLO

All’Illustrissimo e Reveremdissimo Sig.

Monsignor

F  R  A  N  C  E  S  C  O

C A E T A N O

REFERENDARIO APOSTOLICO DELL’

una, e l’altra Signat. E Governatore della

Santa CASA, e Città di Loreto.

CONSAGRO umilmente a V, S, Illustriss. Il Maestoso Santuario Loretano, piccolo parto del mio corto ingegno, però opra immensa in piccolezza ristretta per trattar di Maria. Non lo dedico acciò mi protegga, ò difenda  da gl’Aristarchi, ò Critici: poiche il secondo sarìa empietà (trattando della Madre di Dio) di chi armasse la sua audace, e mordace lingua contro il suo Cielo: e il primo m’assicura la sperienza: percioche havendo questo Santuario nel suo primo arrivo à questi paesi trovato la prottione della Casa di V. S.  Illustriss. riconosco per suo primiero benefattore Bonifacio VIII,  dell’Eccellentiss casa Gaetana, il quale contanto gli illustrò il suo Pontificato con la con la protettione di esso; giudico superfluo ricercare il suo favore, tenendolo per sicuro, per discendere ella dall’istessa prosapia, per haver col materno latte succhiato il cordiale affetto a questa grande Madre, e governare attualmente la sua Casa, e Città con la prudenza che tutto il Mondo vede. Consagrolo dunque non perché lo difenda, ma perché lo legga, leggendolo contempli la grandezza immensa di esso registrata in pochi fogli dell’in molti, che in varij libri si trovano sparsi; perche dedicar libri di conti con quel solo fine tengono li Savil esser vanità della quale fanno capitale li presuntuosi; consagrarli  à quelli che non sanno leggerli è più tosto disprezzarli, che favorirli, imbattendosi l’autore in un mal Padrone, e etiandio con sospetto d’essere tassato se non dell’intento, almeno di non buon’intendimento. Et acciò che questo mio dovuto ossequio non abbia apparenza di Dedicatoria interessata passarò in silenzio la grandezza, della sua casa Gaetana, rimettendo li lelettori per le notizie d’essa alle

 Historie umane, che distesamente la scrivono: dove potranno leggere tutti del nobilissimo sangue di V. S. Illustriss.  incoronati, ò porporati con Regni Pontifici con Porpore Cardinalitie, ò con Mitre, e Bacoli Pastorali, ò con Titoli di Grandi:

______________ il mio detto la Sede Apost. con  ____ Bonifacio VIII il Collegio de Cardinali con quindeci d’essi, la Corte della Maestà del Rè Catholico mio Padrone, e il suo Regno di Napoli con tanti Grandi, e quella di Roma con tutta l’Italia con tante Prelatie, Dignità Ecclesiastiche, e Governatori, chiamando tutti la sua persona alla maggiore esaltatione, che le sue virtudi meritano, e li suoi humili Capellani le bramano. Riceveva adunque questo Santuario più tosto suo, che mio, poiché lo governa, e riconoscerà in esso il suo valore, e dei suoi Maggiori, e se non applaude al mio ingegno disuguale all’opera, e contenuto in essa, e alla persona, à cui si consagra, applauda almeno alla mia buona volontà, e al desiderio di essa, che non è stato altro, che dimostrar la devozion mia, e affetto cordiale a questa Signora, e alla sua S. Casa e la servitù mia verso V. S.  ILlustriss. à cui  Giesù Christo, e la sua S. Madre concedano la loro grazia, e con lunga vita buona salute, con l’augmento, e esaltazione, che di cuore le prego. Loreto 10 Giug. 1646.

   D.V.S. Illustriss. e Reverendiss.

                                                              Humilissimo Servitor, e Capellano

                                                              Antonio Salt Sacerdote Valentiano

PROLOGO DELL’AUTORE

al lettore

Autori da quali si è cavata la presente Historia

L’Intento di questa mia piccola fatica (saggio Lettore) solamente è stato dimostrare la devotion mia verso la mia Signora la Vergine Madre, la quale in questo Santuario è visitata, e venerata da tutto il mondo, e parimente a crescere quella de i miei nazionali, li quali tenendo la stampata ne i suoi cuori etiandio dal tempo della primitiva Chiesa, non giudico per difficile, che questo mio desiderio non sia per avere il suo bramato effetto. Non penso comporre nuova Historia, se non notare in dodeci paragrafi questa che composero, e ordinarono diversi scrittori antichi, e moderni, e fra essi il P. Horatio Torsellino della Compagnia di Giesù, il quale l’anno 1595 in cinque libri descrisse questo Santuario, le sue Traslazioni, Miracoli, Privilegi, Indulgenze, e doni, la quale nell’anno 1600 tradusse in linguaggio Italiano Bartholomeo Zucqui con l’addizione del libro sesto, e acciò che vedi che io non metto niente del mio, ho giudicato nel bel principio, prima di cominciar la narration d’esso fare un Catalogo di alcuni Autori, che di questa Casa hanno scritto diversi trattati o ragionato se i suoi libri, dalli quali come ape ingegnosa ho composto il mellifluo sano di questo Santuario.

     Primieramente oltre gli santi Evangelisti, e in particolare gli Santi Matteo, Marco e Luca, i quali in diversi luoghi della loro Historia Evangelica si dipinsero gl’altri, e secreti misteri, che in esso la potente mano di Dio operò; hanno scritto di questo Santuario molti Dottori, e Scrittori Greci, e Latini, come Sant’Epifanio, San Damasceno, Eusebio, Paolino, San Girolamo, Beda, Niceforo, Guglielmo Tirio, Paolo Emilio, Variaco, Clitoveo, Valterrano, l’Abulense, e molt’altri: come si vedrà nel paragrafo secondo. Doppo che la Maestra di Dio con la sua miracolosa Traslazione volse onorar l’Occidente collocandolo primieramente nella Dalmazia, e poi in Italia, e nel sito dove al presente si trova, non hanno mai mancato Autori gravi, e dotti, i quali con la loro penna l’hanno illustrato, alcuni d’essi scrivendo l’istoria intiera, altri raccontando le sue Traslazioni, e miracoli nelle sue Croniche generali, e particolare, altri componendo Apologie contro gl’Heretici, e non pochi facendo magnifica mentione nelle sue scolastiche questioni, ò libri devoti. I primi che mostrorno la lor devozione verso questa Angelica casa furono quelli, che prima dell’altri (benche pochi anni) goderono di questo Thesoro, li Dalmatini, quali intorno all’anno 1293, descrivendo nelli suoi  Annali questa, e la sua Traslazione, animarono gl’altri imitarli. L’istesso fecero li Recanatesi l’anno 1296, e del 1387 quali assieme con quelli di Dalmazia furono mandati dalli stessi Recanatesi al sommo Pontefice Leone X e l’anno 1355 a tempo di Benedetto XII, il Vescovo di Macerata, e Recanati fece comporre un compendio dell’Historia di questa Santa Casa, e miracoli; e la città di Recanati ordinò che li Maestri di Scola in vece di altri libri profani legessero questo alla Gioventù della sua città, acciò che col studio  succhiarselo la devotion di questa Signora. Doppo l’anno 1435 Flavio Biondo Segretario d’Eugenio IV, lib.3 de Italia illustrata,: compose un grave Elogio di questa Santa Casa, si come riferisce Torsellino lib. I c. 24. Venne l’anno 1460 e in esso Pier Giorgi Preposito Teremano Governatore di Loreto fece scolpire in una tavola di marmo l’Historia, e Traslazioni di questo Santuario in uno linguaggio Italiano, e a imitazion di questo col tempo si sono messe nelle colonne del Tempio molt’altre di varii linguaggi, e al presente se ne vedono tredici, cioè Latina, Arabica, Greca, Spagnola, italiana, Francese, Polacca, Todesca, Illirica, Inglese, Bretana, Hibernese, e Scozzese. Il P. F. Bartholomeo di Valle umbrosa l’anno 1472 compose questa medesima Historia cavata, come l’istesso dice, da scrittore antiche e dall’inscittione del Teremano e l’anno 1491 sendo Pontefice Innocenzo VIII, il  P. F. Battista Mantovano Vicario Generale della Congregat. di Mantova scrisse questa Historia, e la dedicò al Protettore di questo Santuario il Cardinale Girolamo della Rovere, la quale poi tradusse in Italiano Gio: Sabadino Bolognese. Da questi, e massime dalli prefati Annali l’anno 1533 formò la sua Historia Loretana Girolamo Angelita Cittadino, e Segretario di Recanati, e la dedicò a Clemente VII all’’hora Pontefice; l’istesso fece il suo figlio Gio: Francesco Angelita nelli suoi manoscritti dell’anno 1563. Nicolò Bargilesi Sacerdote Bolognese fece un discorso della vera Historia di questo Santuario. Il P. Fra Francesco Millier Romito di Sant’Agostino cavò questa Historia da certe scrittore antiche di carta pergamena. Bernardino Cirillo Commissario Apostolico di Loreto l’anno 1573 illustrò con discorsi acuti questa Historia, l’istesso fece in vari libri Vittorio Briganti Canonico d’Ancona, e parimente fece un aggiunta all’Historia dell’Angelita cominciando da Clemente VI al Pontificato di Sisto V.

     Oltre il Torsellino hanno scritto l’Historia intiera di Loreto il P.  Luigi Richeomo, nel Pellegrino loretano in lingua francese, Silvio Serragli nel libro intitolato La Santa casa abbellita. P. Bartholomeo Casio in lingua Illirica, e il P. Marco Lima in Greco volgare hanno composto un breve compendio, entrambi Penitentieri Apostolici, il primo di San Pietro, e il secondo di questa Santa Casa. Molti hanno composte Apologie in difesa d’essa contra gl’Eretici come lo fecero li Padri Francesco Turriano in Apologetica Respons. Contra Vergerium: Pietro Caniso

de Deipara lib. 5 c. 25 contra l’istesso Heretico, Giorgio Helsteo contra i Calvinisti, Rutilio Benzonio secondo Vescovo di Loreto contra Vegerio lib. 6 de Iubil, à  cap. 8,

ad c. 28, e nel Specchio di Vescovi lib. I d. I q. 2 e sopra il Magnificat lib. i  c. 21-22 dub. 7 e l’Abbate Luigi Cento Fiorini in Clupeo  Lauret, contra Hereticorum Sagittas.

Parimenti l’ illustrarono alcuni Dottori scolastici come il P. Fra Gio: Viguerio nell’instituzioni Teologiche c. 3 $ 2 Versic. 3 de mot. loc. Ang. P. Francesco Suarez tom. 2  in 3 p. disp. 19 sett, 5 e il P. Gabriel Vasquez nell’istesso luogo disp.126 c.3 n.23. Oltre di questi li Cronologi nelle sue Croniche sono diventati eloquentissime lingue in lode di questo Santuario, come Ambrogio Novidio in Fast. Lib.9 lo stesso Torsellino nell’Epitome del mondo circa all’anno 1291 il cardinal Baronio tomo 1 Annal. Anno 9. Abramo Baronio tomo 1 Cron, lib.6 n.6 ann. 1294. Alfonso Giacconio nelle vite dei sommi Pontefici, e Cardinali, Andrea Vittorelli, e Ferdinando Ughelio nell’addizioni alle sodette vite, e in particolare nell’Italia sacra trattando del Vescovato di Loreto. P. Saliano tom.6 Annal. Ann. 405 2 n.61. P. Gualtero in Chron. saecul. 16 an. 1590 P. Nicolo Orlandino tom.1 Histor. Soc. Iesu lib.14 n.23.24.26 lib.15 n,XI e seq. P. Francesco Sacchino tom.2 eiusd. Histor.  Lib.I n.94 lib.3 n-53, lib.5 n. 119, lib.15 n.154. P. Pietro di Ribadeneira nell’istessa Historia p.1 nella vita di Sant’Ignazio lib.4 c.10 e nella seconda parte della vita del B. Francesco di Borgia lib.2 c.23 lib.3.6.13. Abramo Ortelio nel Theatro del mondo. Leandro Alberto nella descrizione d’Italia descrive questa Santa Casa, le sue Traslazioni, e grandezze. Gio: Antonio Magino nella Geographia descript.15. Gioacchino Vadiano descrivendo la Marca, Nicolò Peransoni nella descrizione della medesima Marca, Francesco Scoto e Girolamo Capugnano nell’itinerario d’Italia part.I.  P. Gop: Bonifatio Spagnolo nell‘Istoria Verginale. Hercole _______________ nella vita della Madonna. Alfonso di Vigliega nella  I parte del Flos Sanctorum nella vita della Madonna. Agostino Manno nell’Historia delle case memorabili cap. 89. Landolpho nella vita di Cristo.P. Lorenzo Masselli  nella vita della Beata Vergine. P Pier’Antonio Spinello nel libro de Maria Deipara cap.29 erc tratt.  De festis Deiparae, num.3. Gio: Pietro Guisano nella vita di San Carlo,lib.2, c.30, lib.6 c.1. Gabriel Fiamma nelle vite de Santi; Antonio Santarelli

nella vita di Christo c.1 n.9 e 10. P. Gio: Pietro Maffeo nella vita di sant’Ignatio lib.3 c.4. P. Virgilio Ceppari nel ristretto della vita del beato Francesco di Borgia Scrive che questo Beato Padre essendo Generale doppo d’una lunga infermità stando ancora con la febre volse visitar questo Santuario, e quanto più s’avvicinava a Loreto scemava la febre, e trovandosi trenta miglia discosto svanì affatto la febre; ed anche fa mentione di questo Santuario nella vita del Beato Luigi Gonzaga p.I, c.2.

Modesto Benvenuti nelle vite de Santi Recanatesi. Tomasso Massucci nella prefazione della vita di S. Paolo. La vita della Madonna stampata in Ingolstadio l’anno 1502 il P. Francesco Glavinich nel Flos Sanctorum in lingua Illirica. P. Rafaele Riera della Compagnia di Giesù Penitentiero di questa Santa Casa dei manoscritti come dice Torsellino in varii luoghi della sua Historia; Christoforo Pacamero nella descrittione di questo santuario. Valentino Laido lib. de Imaginibus. Marc’Antonio Moreto ne li suoi versi.

Ultimamente molti altri Autori dotti, e divoti hanno honorato i suoi libri con far mentione in quelli di questa Casa Angelica; come il P. Fra Niccolò di Cataro nel sacro pellegrinaggio alla Santa Casa. Pietro Gomez Duran  dell’Habito di San Giacomo nell’Historia generale della vita, e pellegrinaggio del Figliol di Dio nel mondo con le descrittioni de il luogo dove dimorò. P. Fra Fulgentio Gallucci nelle grandezze della Santa casa.Laimon di Francia nel viaggio della Madonna, Sebastiano Fabrino nel trattato del giubileo c.36. Gio: Bellarino ne la guida alla Santa casa di Loreto. Gio: Battista Magnati nelli devoti applausi alle glorie della Santa Casa; Alessandro Vitaleone nelle glorie Loretane; il libro delle Regole, Indulgenze, e Orazioni della Congregazione de’ Mercanti  d’Ancona. Il P. Fra Gio: di Cartagena nelle homilie de sac. arcan, tom.3 lib.5, homil.3, tom.4, lib.8 homil.7, lib.ult etc 14. P. Fra Christophoro di Fonseca ne’ discorsi morali della vita di Christo tom.I, trattando dell’Annuntiatione della Madonna. P. Lorenzo Crisogono  Dalmata della Compagnia di Giesù in Mundo Mariano part. I, discurs.13 n.86 e seg. P. Gasparo Loarte nell’Itinerario delli sacri pellegrinaggi. P. Francesco Bencio lib.I, carm. P. Gio: Battista Ferrari nella Casa Pellegrina. P. Biderman nel Domicilio Volante. P. Francesco Remondo orat.2, ne i Funerali del Card. Guastavillani Protettore di questa Santa Casa. P Francesco Costero nell’Epistola Dedicatoria dell’Instituzioni Cristiane. P. Andrea Gelsomini nella prefazione del libro intitolato Thesoro celeste della divotione della Madonna il libro intitolato Mater Agonizantium Praxi. 2, ed in particolare l’Archivio della Città di Loreto, e le Bolle Pontificie che in esso si conservano, cominciando da Benedetto XII, il quale nell’anno 1341, concesse le prime indulgenze fin’a nell’anno 1646 nel quale il Sommo Pontefice Innocentio X non ha lasciato d’honorar questa Santa Casa con particolari indulgenze. Molti altri vi sono, e in particolare della mia natione, che hanno illustrato questo Santuario, e honorato le sue opere con particolari Elogi in lode di quest’Angelica Camera, i quali per non sovvenirmi il nome loro, non li ho posti, e numerati in questo catalogo. Solamente mi è parso registrare qui quelli Autori, che sono capitati alle mie mani, e ho letto nell’Italia, acciò che vedi, che quanto in questo compendio con brevità dirò, l’ho cavato da questi; aggiungendo solamente alcune cose delle moltissime, che in questi tempi sono accadute, e sono venute a notizia mia; per tanto non dirò cosa alcuna senza Autore, come lo vedrai nella margine di questo libro diviso in dodeci Paragrafi per maggior chiarezza dell’Historia, supplicandoti a voler gradire la loro ben’impiegata fatica, e la mia divotione; poiché non pretendo altro, se non la maggior gloria di Dio, essaltatuione della Madonna, e della sua Santa Casa, e l’accrescimento della divotione dei miei Nazionali verso questo Angelico Santuario di Giesù, Maria, e Giuseppe, che siano sempre lodati. Amen.

S A N T U A R I O    L O R E T A N O

D I   M A R I A

Con le sue varie Traslatoni, Miracoli,

Indulgenze e Privilegi

P A R A G R A F O   P R I M O.

Misterii oprati in questo santuario, e Angelica Casa stando in Nazaret,

La Santa Zasa, e Santuario Angelico di Maria, che infino al giorno d’hoggi con gloria grande, e singolare splendore dell’Europa si vede,visita,  e adora da tutto il Mondo in Loreto Città della Marca Anconitana, Provincia d’Italia, e la medesima, ò parte di quella, che li Santi Gioacchino, e Anna Progenitori della Verg. diedero per dote al patriarca San Gioseppe suo Sposo. In questa, secondo alcuni vogliono, habitarono avanti molti Patriarchi del Testamento vecchio, dalli quali l’hereditarono li detti Gioachino, e Anna, e ivi santamente morirono. Qui  (come si trova iscritto nelle Bolle d’alcuni Pontefici) fu conceputa la purissima immacolata Vergine. Qui nacque, e fu allevata da Sant’Anna per lo spazio di tre anni, e sino a tanto, che fu presentata nel Tempio di Gierusalemme, nel quale doppo  essersi trattenuta undeci anni se ne ritornò alla detta Santa Casa, dove si sposò con San Gioseppe (secondo il parere dell’Abulense). Qui discese lo Spirito Santo per unire nella persona del Verbo nel purissimo ventre della Vergine la natura divina, e umana, oprando quello stupendissimo misterio dell’Incarnazione del Verbo Eterno per la salute del mondo, dichiarando questa Signora Madre dell’istesso Dio, e nostra. In questa Casa tutte le Gerarchie de gl’Angeli resero omaggio al Verbo Incarnato, li quali poi divisi in chori, e squadre, ogn’uno il suo mese assistettero facendo guardia al suo Principe fatto uomo nel ventre Verginale di Maria, facendo festa, si come havevano fatto nel tempo della Concettione, e in attività della sua Madre, secondo che dice san Vincenzo Ferrerio, e fù rivelato ancora a Santa Brigida. Da questa Casa, doppo che fù annuntiata si partì la Vergine per visitare santa Elisabetta, e a santificare il Precursor di Christo san Gio: Battista, stando tre mesi in casa di Zacaria, se ne ritornò in detta casa; di dove passati sei mesi se ne andò a Bethleem, dove partorì il Fanciullo Giesù; Da Bethleem, avendo adempiuto la legge della Purificazione, se ne ritornò alla sua casa di Nazaret. Di qui doppo un’anno (secondo la più probabile opinione) per ordine del Cielo se ne fuggì in Egitto con il suo Figliuolo, e S. Gioseppe, dove essendosi trattenuta sette anni, poco più, o meno, fece ritorno nella sua primiera casa di Nazaret, e vi dimorò poi successivamente lo spazio diventi, e più anni in compagnia delli medesimi; nel qual tempo ogni anno visitava il Tempio di Gierusalem per celebrare la Pasqua, particolarmente essendo il Fanciullo Giesù di 12 anni. Nella medesima habitò infino all’età di trent’anni di Christo; il quale essendosi partito da questa casa per ricevere il S. Battesimo, e havendo digiunato 40 giorni, e 40 notti, ritornò a Nazaret, dove oprò alcuni miracoli, sanò varii infermi, diede principio alla sua predicatione (secondo afferma Tito Bostrense) eleggendo per suo primo pulpito la Città, e casa dove fatto huomo, cominciò a vivere tra gli huomini, e in questo tempo v’habitò ancora la Verg.. Di qui si partì varie volte Christo per andare al Giordano a visitare la S. Giovanni Battista, e honorar con la sua presenza le sue prediche, e cominciò ad adunare discepoli; e doppo l’anno, che fu battezzato, e che digiunò, conforme la più comune opinione, se ne andò da Nazaret colla sua Madre, e Discepoli alle nozze di Cana di Galilea, dove convertì l’acqua in vino. Da Cana in compagnia delli medesimi ritornò a Nazaret, e quivi essendo stato alcuni giorni, e havendo intesa la Prigionia del suo Precursore S. Gio: Battista, se ne andò ad abitare a Cafarnau. Da questa Città ritornò un’altra volta a Nazaret honorando spesso questa amata Casa con la presenza sua, degli Apostoli, e Discepoli, quali la Vergine in questa stessa Casa alloggiava, e accarezzava. In questa morì San Gioseppe poco avanti la Passione di Christo. Questa parimente visitò Christo molte volte dopo la sua Resurrettione, accompagnato dalli Padri del Limbo dentro li quaranta giorni, che stette in terra apparendo in essa alla Vergine sua Madre, alle tre Marie, e a gl’Apostoli, secondo si raccoglie da gl’Evangelisti; e in essa, come affermano San Girolamo, e Ruperto Abbate, il medesimo Christo mostrò, e diede a toccare le sue Santissime piaghe all’Apostolo San Tomaso stando con gl’altri Apostoli. Finalmente doppo la sua Ascensione la Vergine Madre la maggior parte delli quindeci, ò venti quattro anni che visse, habitò in questa Casa. Dal che raccolgo, che delli  63, ò 72 della sua vita,

(secondo l’opinioni di diversi Autori) habitò in essa più di cinquanta anni, e Christo delle trentatre la maggior parte occupato in intercedere presso il Padre Eterno per la salute dell’huomo, e impiegato nell’arte di legnaiolo per sostentare sua Madre, restando questa santa Casa con la presenza d’entrambi santificata, e consagrata.

P A R A G R A F O   I I

Fù honorato, e visitato questo Santuario da gli

Apostoli, dall’Imperatrice Santa Elena,

San Luigi Re di Francia, altri Santi,

e Principi del Mondo.

Vedendo gli Apostoli, e tra gl’altri il Vicario di Christo, e il suo Principe San Pietro, la stima grande, che il Figliol di Dio, e la sua Madre havevano fatta di questa santa Casa, come Officina delli maggiori misteri, e in particolare della sua sacrosanta Incarnazione, e considerando, che non solo in Gierusalem erano consacrati Tempii, ma ancora in Ispagna nella città di Zaragora, capo del Regno d’Aragona, apparendo la Vergine sopra un pilastro all’Apostolo s. Giacomo il maggiore appresso il fiume Hebro, gl’ordinò che consacrasse un Tempio al suo nome, come lo fece, e attualmente infino ai nostri tempi si chiama la Madonna del Pilastro, ed è venerato da tutta la Spagna, e celebrato dalle penne d’insigni, e famosi Scrittori, e ricevuto per tale dalla traditione di tutte le Chiese della medesima Spagna. Considerando dunq. tutto questo gl’Apostoli, determinarono consacrarla in Chiesa (come fecero) ponendovi l’Altare, nel quale si dicesse Messa, e il primo, che vi celebrò, si dice, che fusse S. Pietro, imitandolo in questo gl’altri Apostoli; e ancora si crede, la prima, che si comunicasse in questa Santa Casa, fusse la Vergine, mentre di quella dice il Anonimo citato dal Metafraste: Ogni giorno si accostava ai divini misteri e colui che prima teneva nella gestazione, poi spesso lo accoglieva nel corpo. Costume della primitiva Chiesa, secondo avvertì il P. Ferdinando di Salazar della Comp. di Giesù, e si cava da gl’atti degl’Apostoli. Dedicò s. Pietro in compagnia de gl’altri Apostoli questa s. Casa all’Incarnazione del Figliol di Dio, e all’Annuntiatione della Madre. Si confermò quest’Angelica camera infino all’anno 326 nel qual tempo l’Imperatrice S. Elena madre del gran Costantino desiderosa di trovare di legno della Santa Croce di Cristo, se ne passò alla Palestina, e avendo ritrovato ciò che desiderava, e visitati i santi luoghi di Gierusalem, e fabbricativi con real magnificenza Basiliche grandissime, e sontuosiss. Tempi, seguitò il suo viaggio, e arrivata a Nazaret  s’incontrò in questa s. Casa, e sapendo li misteri che Dio havea oprati in quella, volle honorarla non solo con la sua presenza, e con preziosissimi doni, ma anco ingrandirla con farvi fabricare intorno a quella un magnifico, e belliss. Tempio; e da questo tempo cominciò questa s. Casa ad essere riverita da fedeli, è visitata da diversi pellegrini. La visitarono s. Girolamo Dottore della Chiesa, e il s. Paola Matrona Romana l’anno del Sig. 385 (secondo riferisce l’istesso Dottore) quali furono imitati da molti Principi, come Gotifredo Duca di Lorena, che conquistò la Terra santa l’anno 1099,  da Alfonso VI Re di Castiglia, che si trovò nell’istessa conquista, secondo dice Paolo Emil. Oltre di questi Tancredo Principe Normando, il quale non solo visitò, e arricchì questa S. Casa con doni, ma anco dichiarò metropoli, e capo della Galilea la città di Nazaret  per risiedervi questo Santuario.

I Religiosi Militari Templari, e quelli di San Gio: Gierosolimitano, de quali li primi hebbero principio l’anno 1096, e li secondi il 1119 non sono mostrarono la loro devotione verso questa santa Casa con visitarla spesse volte, ma anco la loro Christiana fortezza, assicurando con le loro armi il passo a i Pellegrini, e mostrando la loro pietà con alloggiarli, e accarezzarli negli Hospitali Fabbricati a questo effetto, si come racconta Tirio. Mancò doppo un poco di tempo questo concorso, e divotione per essersi impadronito della Palestina l’inimico della Fede, e Religion cristiana; in fin tanto, che Federico re di Sicilia, e di Gierusalemme l’anno 1225 conquistò col suo esercito la Terra Santa, e aprì un’altra volta la strada alla divotione de Pellegrini, in particolare Europei, si come riferisce l’istesso Tirio. Visitata ancora spesse volte nel giorno della festa dell’Annuntiata dal Cardinal Giacomo Vitriaco Patriarca di Gierusalemme, che visse nell’anno 1238 il quale vi disse Messa, si come egli medesimo lo racconta. Ma chi superò tutti i Principi fu il Religiosissimo Re di Francia San Luigi, il quale essendosi incamminato nell’anno 1249 per l’impresa di Terra Santa, volse ancora visitar questa Santa Casa di Maria, e vedendola di lontano smontò da cavallo, si inginocchiò, e con lacrime la salutò, ringraziando Dio, che in essa havesse  oprato così sovrani misteri, e seguitando il suo viaggio a piedi vestito d’un aspro cilizio, arrivò a detta Santa Casa essendo vicino la festa dell’Annunziata, e havendo la vigilia digiunato in pane, e acqua, festeggiò il suddetto giorno con gran pompa, e solennità, communicandosi con grande divotione a la messa, che vi fece cantare con regio apparato, e magnificenza; e altresì con questo ci lasciò un maraviglioso esempio della pietà, e divotione sua verso detta Santa Casa, si come racconta Clitoneo. Durò poco questa consolazione alli devoti, e fedeli Pellegrini per causa delle guerre, che erano nella Soria, e nella Palestina, e per questo cessò il concorso della gente, ma non già la divotione de fedeli verso questa Santa casa di Maria.

P A R A G R A F O    I I I

Fù trasportato da gl’Angeli questo Santuario da

Nazaret à Dalmazia, e da la Dalmazia in

Italia, Miracoli oprati, e diligenze

fatte da Marchigiani.

Vedendo il Signore, e questo Santuario della sua Madre non era riverito come meritava, ordinò a gl’Angeli, che dall’Oriente lo portassero all’Occidente, e da Nazaret nella Galilea a Tersatto nella Dalmazia. Il che successe alle 9 maggio del 1291 nel Pontificato di Nicolò IV, essendo Imperatore Adolfo I. E subito che comparve questa santa Casa nella Dalmazia, cominciò il Signore ad oprar miracoli in confermazione di essa. Primieramente abbonn acciò le tempestose onde dell’Adriatico mare, che solevano infestare le sponde, e riviere della Dalmazia; doppo per mezzo della Vergine rivelò la verità della Traslazione di questa sua Casa, e dei misteri ivi oprati, ad un devoto Sacerdote nominato Alessandro, Rettore, ò Curato  di Terssatto, liberandolo da una infermità mortale, acciò con maggior credito pubblicasse alli popoli circonvicini della sua Terra, e di tutta la Dalmazia la miracolosa Venuta di questo Santuario di Maria, si come lo fece; il quale doppo in compagnia d’altri tre, col consiglio di Nicolò Francipane Cavaliere Romano Governatore della Provincia,  e Signore di Tersatto se ne andò a Nazaret  per informarsi di questa Traslazione; dove ritrovò esser questa la medesima casa della Vergine, che da Nazaret per mano de gl’Angeli era stata trasportata a Dalmazia,

Stette in Tersatto questo Santuario tre anni, e sette mesi riverito da quelli habitatori, e visitato da diversi pellegrini, che in varie nationi vi concorrevano, per adempiere con divozione i loro voti, in fin tanto, che volendo il Signore honorare l’Italia, e in quella lo Stato della Chiesa, e in particolare la Marca Anconitana, ordinò, che vi fusse trasportata dagli stessi Angioli, li quali di peso levandola, passato il Mare Adriatico, la posero in una selva del Territorio di Recanati, lontana dal mare un miglio, qual selva era di una Signora della stessa Città di Recanati, chiamata Loreta, e da questa la Città, nella quale oggi attualmente si vede si cominciò a chiamar Loreto, e la medesima Casa si chiamò la Santa Casa di Loreto.

Successe questa traslazione a’ 10 di Decembre del 1294 in giorno di sabato nel pontificato di Bonifacio ottavo, per l’Eccellentissima Casa casa Caetana, ò secondo altri vogliono, e è opinione più certa in tempo di Celestino V, detto volgarmente S. Pietro Morone, tre giorni avanti di rinunziare il Papato, essendo Imperatore nell’Oriente Michele Paleologo, e nell’Occidente Adolfo, regnando nella Spagna Ferdinando IV, in Francia Filippo chiamato il bello, in Ungaria Filippo III il Veneziano, in Polonia Henrico il buono, ò Primislao II, e in Inghilterra Edoardo II chiamato communemente il primo. Lascio adesso a’ contemplativi il pensare di che dolore fosse alli Dalmatini, e di allegrezza a gli Italiani, a li primi per haver perso si gran tesoro, alli secondi per possedere dentro i suoi confini deposito così sovrano, quelli per lo dolore erano inconsolabili, questi non capivano in se stessi per l’allegrezza, quelli si dolevano della poca fortuna loro, questi pubblicavano la loro felicità, li Dalmatini con ogni umiltà pregando la Vergine ancora stanno dicendo: Tornate a’ noi Madonna, tornate a’ noi. Gli Italiani possessori di così gran Santuario, con affettuose preghiere, umilmente supplicano la Vergine, che non gli abbandoni.

     Si rallegrò dunque con questa venuta l’Italia tutta, e Dio volse con nuovi miracoli illustrare detta sua Traslazione. Primieramente perché venendo questa santa Casa nel più scuro della notte, la fece risplendere con nuova, e meravigliosa luce, dandola a conoscere a’ Pastori, che in detta selva si ritrovavano alla custodia del loro bestiame, li quali rimasti attoniti da così gran lume, corsero alla Città di Recanati lontana quattro miglia dalla selva, a’ dar notizia di tutto quello, che avevano veduto con li propri occhi, e della nuova forastiera, che del loro territorio improvvisamente s’era impadronita; Il che inteso da’ divoti Recanatesi, invitandosi l’un l’altro, se ne andarono a truppe alla selva, e videro la nuova Casa, riverirono le sue muraglie, adorarono la Vergine, e lodando il Signore per un prodigio si grande, lo ringraziarono di tanto favore. Lo stesso fece la pietosa signora Loreta, discorrendo in persona per tutta la Provincia, pubblicando universalmente l’onore, che il Signore gli aveva fatto, collocando nella sua selva si gran tesoro. Secondariamente gli alberi per dove passò questa santa Casa si piegarono in segno di riverenza, e così restarono infino all’anno 1575 quali poi i contadini inconsideratamente per più comodamente coltivare la terra tagliarono. Terzo rivelò il Signore la verità di questa santa Casa ad un divoto Heremita chiamato Paolo della Selva, che abitava vicino al medesimo luogo con nuovi lumi, con li quali varie volte la vidde illuminata, e apparendoli la Vergine, gli dichiarò ciò che in quella si conteneva, ed i grandissimi misteri, che nella medesima il Signore haveva oprati. Quarto cominciarono con questa sua venuta a cessare le guerre sanguinose d’Italia cagionate dalle discordie fra Principi Christiani.

     In questa selva si trattenne per lo spazio di otto mesi, perché vedendo il Signore, che ivi non gli era portata la dovuta riverenza, e che i pellegrini per causa delli latrocinii, e homicidi non potevano liberamente visitarla, ordinò che fusse trasportata in un colle di due fratelli, lontano dalla selva un miglio, dove parimente stette poco tempo, e così nel termine delli quattro mesi della sua terza Traslazione stabilì mutarla la quarta volta, e collocarla nella strada pubblica poco lontana dal colle; e l’origine di questa mutazione furono le discordie nate tra detti due fratelli per causa delli doni, che s’offerivano dalli pellegrini, e per questo determinarono finir  la lite con l’armi; ma la Vergine volse terminarla lei con partirsi da quel colle, e trasferirsi nel luogo, dove al presente si visita, e adora da tutto il mondo.

 Subito, che la Città di Recanati si vidde honorata, e arricchita di così tanto, è prezioso Tesoro, elesse questa sovrana Regina, per sua Avvocata, e particolare padrona insieme con tutta la Provincia Anconitana, fabricandoli un Tempio intorno, imitando in questo l’Imperatrice Santa Elena, a persuasione del Vescovo di Macerata, sotto la di cui Diocesi era allora Recanati (come dice il Torsellino) liberando tutto il suo distretto da ladroni, e banditi, che con furti, e homicidi travagliavano i pellegrini, dal che acquistò il nome di città giustissima; e doppo in rendimento di grazie per essere stata liberata dalla peste ad intercessione della Vergine adornò a proprie spese la santa Imagine di questa sua Madre, e Avvocata con una ricchissima corona d’oro, tempestata di varie gioie, e perle pretiose; e scegliendo sedici huomini di gran fede, e credito di tutta la Marca nel secondo anno della sua Venuta in Italia, li mandò in Dalmazia, e doppo a Nazaret per accertarsi della verità di questa santa Casa, e delle sue traslazioni. Li quali d’accordo, usate le dovute diligenze, si in Dalmazia, come in Nazaret, che giustificarono esser questa Casa la medesima, che stava in Nazaret, e che doppo si trasferì nella Dalmazia, ed dove fu conceputa, e nacque la Madre di Dio, il Verbo Eterno si incarnò, e furono oprati li misteri detti nel primo Paragrafo di questo Santuario, e autenticarono il tutto con istrumento pubblico, sottoscritto da molti testimoni, il quale fu conservato da Recanatesi nel loro Archivio per molti anni, infino che seguì l’incendio, e rovina della loro Città.

P A R A G R A F O   I V

Si descrive questo Santuario con l’Immagini della

Madonna, bambino Giesù secondo vennero

in Italia, e del modo, col quale

al presente si trovano.

    Venne questa Santa Casa di Nazaret in Dalmazia, e doppo in Italia senza fondamenti, e senza pavimento (restando il tutto in Nazaret per più certezza del miracolo) con sole quattro muraglie in forma quadrata più lunga, che larga, coperta di tetto nel di fuori, e di dentro con sottovolta di legno gentilmente soffittata, e lavorata con piccioli quadretti in forma di scacchiera colorita in azurro, adornata, e abbellita d’indorate stelle parimente di legno. Immediatamente sotto il soffitto intorno alli santi Muri spiccavansi tanti archi, o lunette, overo semicircoli insieme congiunti, dentro de quali erano incastrati, ò inseriti certi vasi di creta vitriati, e vergati con colori come scudelle, tazze, o catini piccioli. Le muraglie grosse di due palmi non sono di mattoni, ma di pietra viva di colore castagnaccio, simili però alli mattoni, che si usano da noi, disuguali fra di loro nella grandezza. Erano dipinte in queste muraglie diverse pitture, che rappresentavano alcuni miracoli operati in quella santa Casa, e molti altri Santi, come il S. Giorgio martire, Sant’Antonio Abbate, San Luigi Re di Francia, e molti altri, e infino al di d’hoggi si vedono molte di queste pitture. Tutta la Casa è di lunghezza, quasi quarantatre palmi romani, di larghezza poco più di dieciotto, ed altezza diecinove. In mezzo della muraglia, che riguarda al settentrione, facciata, e frontespizio di questa santa Casa (secondo il parere del P. Torseòòomo) vi era una porta alta diece palmi, e larga poco più di sei, con il suo architrave di legno massiccio, e quasi incorruttibile; qual porta adesso sta ferrata, e ancora si vede l’architrave della stessa muraglia, e vicino alla mano manca di detta muraglia vi era un armario alto tre palmi, e  mezzo, largo due, e mezzo, (e al presente si vede riccamente adornato d’argento dal duca di Parma) dove si crede, che la vergine conservava la sua Bibbia, e li suoi poveri arnesi, e doppo gl’Apostoli il Santiss. Sacramento, e attualmente in essa si conservano le scudelle (dove si crede piamente, che Christo, la Vergine, e S. Gioseppe mangiassero) ornate riccamente d’oro dalle Eminentiss. Signor Cardinal Sandoval Vescovo all’hora di Giaen, e adesso Arcivescovo di Toledo, primate di Spagna, dentro un cassettino d’argento curiosamente lavorato a spese del Duca d’Alcalà, grande parimente di Spagna. Nella muraglia verso mezzo dì stava l’Altare alto cinque palmi, e largo poco più di sei, consacrato dagli’Apostoli, sopra del quale vi era una Croce alta cinque palmi, e altre tanti larga, con un Christo Crocefisso, da una parte la Santissima Vergine, e dall’altra S. Giovanni, il tutto fatto, e dipinto per mano di san Luca. Questa Croce è stata diverse volte levata dalla Santa Casa, e sempre miracolosamente vi è ritornata, e al presente si vede sopra la finestra, dove entrò l’Angelo, adornata riccamente d’argento dall’Eccellentissimo Signor Don Taddeo Barberino Principe Prefetto Nipote di Papa urbano Ottavo. Questo altare doppo per maggior commodità fù posto dove al presente si vede, cioè sotto l’Altare dove si celebra l’incruento sacrificio della Messa. Nella stessa muraglia à mano destra del detto Altare, e sopra la porta che fù fabbricata per entrare nel santo Camino vi era una fenestra ferrata in forma d’armario, dove venne l’Imagine della Vergine coperta, con una veste di seta come di ciambellotto di color di rose secche, che ancora si conserva in un’armario vicino al santo Camino, dentro un cassettino d’argento. Nella muraglia Occidentale vi era una fenestra quattro palmi, e mezzo alta, e larga quattro, che si dice essere stata quella, dove entrò l’Angelo per annuntiare la Vergine, e hoggi attualmente si vede adornata d’argento dal Duca Caetano. Nella muraglia Orientale vi era il Camino dove la Cergine cucinava per lo suo Figliuolo, e per San Gioseppe, suo Sposo, e si chiama il Santo Camino, che è alto poco più di sei palmi, e largo poco meno di tre, e mezzo; la cima del quale stava aperta sopra la medesima muraglia da un lato, e dall’altro un campanile con due campanelle, che adesso ancora si conservano dentro questa santa Casa, il suono delle quali è unico rimedio per le tempeste di grandine, si come l’esperienza lo dimostra. Sopra questo santo Camino vi è stato fabbricato un nicchio adornato, e arricchito con diverse perle, e pietre pretiose, dentro il quale al presente sta collocata, la Santa Imagine della Vergine con quella del suo Figliuolo riccamente vestita; le cui teste sono adornate da due corone d’oro tempestate con molti diamanti: Precioso dono della Maestà Christianissima donna Anna di Borbone, e Austria, moglie di Luigi XIII, Re di Francia, e sorella di Don FilippoIV, Re di Spagna.

     Questa Santa Imagine della Vergine, con quella del Pargoletto Giesù di legno di cedro setino, o d’altro legno incorruttibile poco più di quattro palmi alta, la sua veste dorata con una cinta piena di perle, porta la corona reale in testa, di capelli sono alla Nazarena sparsi per le spalle con un manto di color azzurro, che coprendo la schiena, e le spalle, e piegato sotto il braccio dritto parimente copre la maggior parte del corpo della Vergine, e arriva fino alli piedi, e orlo della veste, e con il braccio sinistro tiene mezzo abbracciato il suo Pargoletto Giesù alto poco più d’un palmo, e mezzo, e con la mano dritta lo sostiene. Questo Bambino con la sua capigliara alla Nazarena, con il suo picciol manto di color azzurro, vesticciola rossa con la bellezza del volto, e fattezze del corpo mostra gran maestà, tiene le prime dita della mano dritta un poco rilevate in forma di dar la benedizione, e con quella della mano sinistra sostenta il mondo. Il volto della Vergine è molto sereno, grave, e bello, illustrato con color bianco, e risplendente come d’argento imbrunito, ma però per lo spazio del tempo, e per lo fumo causato da molte Lampade d’oro, e d’argento, che sempre ardono nella S. Capella si è un poco annegrito, e offuscato. Questa Figura di rilievo della Vergine, e del Santo Bambino fu intagliata nel medessimo legno da S. Luca Evangelista, secondo, che è stato rivelato per mezzo della Vergine a persone serve di Dio, e degne di fede. In questa maniera venne la Santa Casa con l’Imagine della Vergine a Dalmazia, e dalla Dalmazia alla nostra Italia. Vedasi il P. Torsellino.

     Doppo per più comodità di Custodi di questo Santuario Angelico, e delli Pellegrini serrandosi la porta grande con la quale venne, furono aperte nelle sue muraglie tre porte, una per quelli che entrano a visitare il Santo Camino, l’altre due per li pellegrini, e altra gente, e sono quelle per dove ordinariamente s’entra nella medesima Santa Casa; e insieme per fortezza di quella, Paolo III li fece levare il tetto di legno, che fu sotterrato nel pavimento della stessa Casa, e in suo luogo, fabbricata una curiosissima, e bellissima volta, con un occhio, o fenestrino in mezzo. Del detto tetto si conservano ancora due travi, uno de’ quali sta sotto il pavimento vicino a alla muraglia Occidentale, sotto la fenestra per dove entrò l’Angelo, il quale, benché del continuo si ricopra di ferro, o d’argento, per essere calpestato dal popolo, più presto si consuma detto ferro, che detto trave, restando sempre incorruttibile. L’altra si vede hoggidì delle medesime mura della Santa casa, e sta nella cima, o cornice del parapetto, o d’irrisione d’argento, che tra l’altare, e il Santo, coperta parimente d’argento al costo del Cardinal Dietrichstain vescovo di Olmuz nella Moravia; si conserva ancora del detto tetto un pezzo di tavola con una stella attaccata, e con molte altre in una cassetta dentro l’armario delle Sante Scudelle.

     Finalmente per consolatione di quelli, che leggeranno questo Santuario Loretano, avverto, che se contemplano bene il sito di questa Santa Casa, troveranno conforme le regole dei Mathematici, che sta collocata egualmente alle quattro parti del Mondo, cioè Oriente, Occidente, Mezzo dì, e Tramontana, quasi invitando a sé tutti gli uomini, acciò con devoto, e santo pellegrinaggio la visitino, e adorino, e arricchischino con i suoi doni; e così la muraglia dove sta collocata la santissima Vergine riguarda à dirittura l’Oriente, la parte contraria dove sta la fenestra dell’Angelo riguarda l’Occidente, la parte sinistra, dove stava la porta antica di questa Santa Casa rimira la Tramontana, e la parte dove anticamente era l’Altare consagrato dagl’Apostoli rimira il Mezzo dì, e in questa maniera il Sole secondo i suoi diversi corsi, e movimenti va salutando, e scomparendo i suoi raggi alla Madre del vero Sole Christo Giesù; e questo stesso sito (crede probabilmente il Torsellino) che havesse questo Angelico Santuario di Maria in tutti quei luoghi, nei quali era stato e per l’addietro s’era fermato.

     Concludo finalmente questo Paragrafo, con avvertire il Lettore, che quel luogo, dove si posò l’Arcangelo San Gabriele per Salutare, e Annuntiare la Vergine, fù quell’angolo, che vanno dentro le due parti, Occidentale, e Meridionale, e quel luogo dove stava la Vergine in profondissima contemplatione ritirata, fu l’altro angolo opposto, che fanno parimente l’altre due parti, Orientale, e Settentrionale, come lo riferisce il medesimo Torsellino.

P A R A G R A F O   V

Si descrive l’ornamento di Marmo, col quale,

questo santuario e d’ogn’intorno coperto

I Sommi Pontefici per maggior grandezza, splendore, e abbellimento di questo Angelico Santuario, non solo gli fecero fabbricare il magnifico Tempio adornato, ed abbellito con varie colonne, capelle, e pitture, sacrestie diverse, Sala del Tesoro, Choro di canonici, Fonte battesimale, e le porte curiosamente coperte d’effigiati bronzi, ma anco circondarono la medesima Santa Casa con un magnifico, sontuoso, e leggiadro ornamento di bianchi, e fini marmi, i quali con tal’artificio coprissero le sue mura, che componessero per se stessi un superbo edificio, con tal lavoro di statue, e figure, che senza esagerazione potesse essere annoverato fra i sette miracoli del Mondo, e campeggiasse non tanto fra agli innumerabili, e degni edifici di Roma, ma anco di tutto il mondo.

     Quest’ornamento a quattro parti, ò quadri conforme alle quattro muraglie della santa Casa, che d’ogn’intorno la cingono, e l’adornano; nelle quali con maraviglioso, e singolare artifizio sono scolpite bellissime figure, rappresentanti diversi misteri della vita di Nostro Signor Giesù Christo, e della Vergine Santissima, molti dei quali sono stati oprati in questa santa Casa. Nella parte Occidentale, che riguarda la porta del Tempio vi è  scolpita quando la Vergine fu annuntiata, e quando visitò santa Elisabetta, e quando la Vergine, e S. Gioseppe s’arrolavano per pagare il solito tributo in Bethlem, e in mezzo di questo vi è la fenestra dove entrò l’Angelo, sotto la quale sta l’Altare è chiamato communemente dell’Annuntiata. Nella parte Orientale di sono scolpite quando la Vergine fù Assunta, ed i quattro luoghi, nei quali la santa Casa, portata miracolosamente dagl’Angeli, si posò, con una breve inscrezione dell’Historia. Nella muraglia Settentrionale vi è scolpita la Natività della Vergine, con lo sposalitio di S. Gioseppe. Nella muraglia Meridionale vi è scolpito il Natale del Signore con l’adorazione de Magi. Sono adornati questi quadri, e divise le sudette figure da sedici colonne scannellate con le basi, e capitelli lavorati con ordine Chorinthio, e negli spazi tra l’una, e l’altra colonna vi sono i nicchi dove risiedono dieci Sibille, e altrettanti Profeti. Nel quadro Occidentale vi sono due Sibille, e due Profeti, à mano dritta sta la Sibilla Libica, e sotto il profeta Geremia, nella sinistra sta la Sibilla Persica, e sotto il Profeta Ezechiele. Nel quadro Orientale, che riguarda la Capella della Provincia, vi sono altrettanti Sibille, e Profeti, a mano dritta si vede la Sibilla Samia, e sotto il profeta Moise, nella sinistra la Sibilla Cumana, e sotto il profeta Balaam. Nel quadro Settentrionale vi sono intagliate tre Sibille, e tre Profeti, in mezzo sta la Sibilla Frigia, e sotto il Profeta Giona, nella mano dritta la Sibilla Helespontica, e sotto il Profeta Isaia, nella sinistra la sibilla Tiburtina, e sotto il profeta Amos. Nell’altro quadro Meridionale vi sono intagliate altre le Sibille con altrettanti Profeti, nel mezzo sta la Sibilla Cumea, e sotto il profeta Davide, à mano dritta la Sibilla Eritrea, e sotto il profeta Zaccaria, alla sinistra la Sibilla Delfica, e sotto il Profeta Malachia.

     Tutta questa artificiosa macchina e accerchiata, e incoronata di sopra d’una vaghissima, e ben disposta balaustrata di marmo. Si vedono in quest’ornamento quattro porte  effigiate di bronzo; per tre delle quali s’entra dentro la Santa Casa, essendo l’altra stata fabbricata solamente per salire sopra la volta della santa Capella, e per corrispondenza dell’altre, e per abbellimento dell’Edifizio. Tutte queste porte sono adornate di marmo fino con due Angeli sopra l’architrave di ciacheduna, e con l’arma di Lione X, e altri fiorami al lato. Finalmente sotto la parte Orientale si legge la seguente iscrizione scolpita in una tavola di marmo, e contiene un breve sommario di questa Historia, e delle quattro mutazioni che fece, le quali si vedono curiosamente intagliate nel detto quadro; e Clemente VIII ordinò che si facesse la detta iscrizione, essendo Protettore di questa Santa Casa il cardinal Gallo.

P E L L E G R I N O   C R I S T I A N O

che qui sei venuto per pietà o per voto,

contempla la Santa Casa di Loreto venerata in tutto il mondo

per i divini misteri e per la gloria dei miracoli.

Qui è venuta alla luce la Santissima Madre di Dio, qui è stata salutata dall’Angelo, qui l’Eterno Verbo di Dio si è fatto uomo. Gli Angeli in un primo momento la trasportarono dalla Palestina nell’Illirico, presso il Castello di Tersatto, nell’anno della Salvezza 1291, essendo Sommo Pontefice Niccolò IV. Dopo tre anni, all’inizio del Pontificato di Bonifacio VIII, fu trasportata nel Piceno, vicino alla città di Recanati, in una selva di questo colle. La stessa, per opera degli Angeli, mutato per tre volte il sito nello spazio di un anno, fu traslata laddove finalmente fissò la sua sede per volere divino trecento anni or sono. Da quel tempo, i popoli vicini furono presi d’ammirazione per sì stupenda novità e in seguito, per la fama dei miracoli divulgata in largo e in lungo, questa Santa Casa ebbe grande venerazione da parte di tutte le genti. Le sue pareti, senza fondamenta, dopo tanti secoli permangono integre e stabili. Il papa Clemente VII la rivestì con un ornamento marmoreo nell’anno del Signore 1534. Clemente VIII, Pontefice Massimo, ordinò che in questa lapide fosse scritta una breve storia dell’ammirevole Traslazione nell’anno 1595. Antonio Maria Gallo, Cardinale Prete di Santa Romana Chiesa e Vescovo osimano, Protettore della Santa Casa, la fece eseguire. Tu, pio pellegrino, venera con devozione la Regina degli Angeli e la Madre delle grazie, affinché per i suoi meriti e per la sua intercessione, tu possa conseguire dal Figlio dolcissimo, autore della vita, il perdono dei peccati, la salute del corpo e il gladio eterno.

Vedasi in Torsellino la descrittione di quest’ornamento, e nel Paragrafo seguente, e nell’undicesimo di questo Santuario si riferiranno li Pontefici che ordinarono si facesse, per perfezionasse.

P A R A G R A F O    VI

Indulgenze, e privilegi concessi da Sommi Pontefici

à questo Santuario.

     Non contenti di questo i Sommi Pontefici à gara sin dal principio della sua Venuta in Italia, non solo lo visitarono, e arricchirono con i loro doni, ma ancora li ingrandirono, e illustrarono con Privilegi, Grazie, e Indulgenze. Registrarò brevemente tutto ciò, che hanno fatto i pontefici in favore di questo Santuario, rimettendo il lettore al Paragrafo undecimo, dove si vedranno l’altre cose, che li Protettori, e Governatori di questa Santa Casa hanno fatto nel tempo di questi Pontefici. Benedetto XII nell’anno 1342 concesse le prime indulgenze ad istanza dei Recanatesi. Urbano V nell’anno 1365 ovvero 1366 (secondo il parere d’alcuni) venendo da Avignone di Francia a Roma, a persuasione del Legato Apostolico di tutta l’Italia il Cardinal Egidio Carriglio Albornoz visitò questo Santuario, e fu il primo Sommo Pontefice che lo onorò con la sua presenza. Urbano VI nel 1388 a 13 di Novembre con l’occasione delli miracolosi lumi, che si viddero apparire nella S. Casa per la festa della Natività della Vergine concesse per questo giorno indulgenza plenaria. Bonifacio IX nell’anno 1390 prorogò l’istesse indulgenze per li mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, e ne concesse una plenaria per lo giorno dell’Annuntiata, Martino V ad honore di questa S. Casa, si come dice il breve del 1420 diede facoltà di far la fiera alli Recanatesi nelli detti tre mesi con le medesime indulgenze. Nicolò V dell’anno 1447 concesse un’altra indulgenza plenaria per lo dì dell’Annuntiata, e ordinò, che i doni, e regali fatti a questa Santa Casa non si potessero impiegare in altro senza licenza del Pontefice. Calisto III Valentiano dell’Eccellentissima Casa Borgia nel 1456 fortificò questa Santa Casa, ponendovi presidio contro il Turco. Pio II, del 1464 visitò questo Santuario in rendimento di grazie per essersi liberato da una infermità ad intercessione della Madonna di Loreto, e li donò un calice d’oro, con altri doni. Paolo II del 1464 obbligato alla Vergine per averlo liberato dalla peste, e rivelato ancora in questa S. Casa, che doveva essere Papa, concesse indulgenze per li giorni della Natività, Purificazione, Assunzione della Vergine, e per tutte le Domeniche dell’anno, per tutti i giorni della settimana Santa, per le Pasque di Resurrezione, e della Pentecoste con le sue feste, per il Corpus Domini con tutta l’Ottava; esentò questa santa Casa, soggettandola immediatamente al Papa, cominciò il Tempio, e ai Confessori concesse autorità di poter assolvere da’ i casi reservati alla Sede Apostolica. Sisto IV nel 1473 confirmò tutte l’indulgenze concesse dai suoi antecessori, e di nuovo ne concesse una plenaria nel giorno della Natività della Madonna, vi dichiarò un  Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per lo temporale con otto Capellani, ò sacerdoti per assistere al culto divino della S. Casa, e confessare i poveri pellegrini, concedendoli autorità di commutar li voti, fuor de li cinque riservati al Pontefice, e seguitò la fabbrica della Chiesa. Innocentio VIII nel 1491 non solo adornò con l’Imagine della B. Vergine con un preziosissimo gioiello con la sua arma, e la Chiesa con una ricca, e curiosa tapezzaria, ma ancora sapendo, che i Padri Carmelitani havevano avuto cura di questo Santuario stando in Nazaret, ad  istanza del Cardinal della Rovere Nepote di Sisto IX Protettore vi stabilì trenta di loro, con autorità di Penitentieri Apolstolici, sì come si vedrà nel seguente Paragrafo. Giulio II del 1507 al li 21 di Ottobre confirmò tutte le indulgenze, concedendone un’altra plenaria per il giorno dell’Annuntiata, esentantola dalla giurisdizione dei Recanatesi, e volse lui medesimo esserne Protettore, intitolandola Sacello, ò Capella Pontificia, e li suoi ministri Familiari del Papa, e misto imperio al Governatore, fece l’organo, e istituì la musica, fini la Chiesa, fece far due campane grosse, fece condur marmi per l’ornamento di questa Santa Casa, dandoli molte possessioni, la visitò due volte in persona, nella prima disse messa, diede la benedittione al popolo, e li concesse molte indulgenze, e nella seconda in rendimento di grazie alla Vergine per essere stato liberato d’un colpo d’artiglieria nell’assedio della Mirandola, e la palla ancora si vede pendente della Santa Casa in memoria di questo miracolo, e per segnale della vittoria ottenuta da i suoi nemici, e fra gl’altri doni presentò alla Vergine una bella, e ricca Croce, con dei candelieri d’argento indorati l’anno 1510. Leone X nell’anno 1513 alli 19 di Aprile aumentò l’autorità alli Penitentieri, e l’anno 1514 dichiarò, che nella sospensione generale dell’indulgenze non si intendono sospese quelle della Santa Vasa, e alli otto di Decembre eresse in Collegiata la Chiesa di Loreto con dodeci Canonici, e uno di essi con titolo d’Arciprete, e altrettanti beneficiati, con sei chierici aiutanti di coro; e ordinò che da questi s’eleggessero sei, ò otto Penitentieri, due Canonici, e gli altri Beneficiati, e l’anno 1515 a 18 di Gennaro confermò li privilegi, indulgenze, e di nuovo a concesse un’altra plenaria per lo giorno del santo Natale, e le due feste seguenti; e l’anno 1518 al primo d’Agosto confermò un’altra volta li privilegi, indulgenze, e ve ne aggiunge di nuovo un’altra plenaria per tutte le Domeniche che di Settembre, e Ottobre, e l’anno 1519 al primo di Giugno confirmò la terza volta l’indulgenze, e privilegi, e l’esentò dalla giurisdizione del Legato della Marca. Oltre di questo fece un Spedale, e ordinò, che fosse fusa una campana di rara grandezza, e chiamolla dal nome della terra Loreta; cinse, e fortificò Loreto di bastioni, di mura, e di baloardi, ed diede principio all’ornamento di marmo. Adriano VI, l’anno 1522 confirmò tutte le indulgenze concesse a questo Santuario. Clemente VII l’anno 1525 a 11 Aprile, e secondo del suo Pontificato confermò tutte le indulgenze, e privilegi concessi da Leone X ingrandì la fabrica del Tempio, e del palazzo, e fece la maggiore, e migliore parte dell’ornamento di marmo, mandò tre camerieri suoi a Nazaret e per investigar con diligenza la verità di questa santa Casa, nell’anno 1534 la visitò quando ritornò da Bologna da coronare l’invittissimo Carlo V Imperatore Romano Re, e Monarca delle Spagne. Paolo III l’anno 1535 confirmò tutte le indulgenze, e ne concesse dell’altre, fondò un Seminario di putti per cantare le lodi alla Madonna, fabricò tre Hospitali, fece la volta della santa Capella, e li balaustri, che cingono l’ornamento di marmo, e la visitò due volte, offerendoli ricchissimi doni, e li concesse altri privilegi, e esenzioni, e l’anno 1549 un ultimo del suo Pontificato illustrò il Signore questa santa Casa con una colonna di fuoco di grandissimo lume risplendente, la quale apparve su’l Tempio, e fu osservata incaminarsi pian piano verso la Chiesa intitolata a Santa Maria delle Vergini della Città di Macerata quattordici miglia discosto da Loreto, si come dice il Torsellino. Giulio III nell’anno 1554 essendo vivo ancora Sant’Ignazio fondo il collegio della compagnia di Gesù, e in questo stesso tempo illustrò il Signore questa Santa casa con nuovi, e miracolosi lumi, li quali partendosi da essa, si inviarono verso un’altra chiesa della Madonna detta dal borgo Santa Maria di Storaco di Monte Filottrano terra della marca anconetana, e doppo di haverla illustrata, girando intorno intorno per alquanto ispazio di tempo, finalmente se ne tornarono al medesimo luogo donde si erano partiti; e queste celesti fiamme furono ancora vedute nel Tempio medesimo di Loreto l’anno 1555 come si vedrà nel prossimo Paragrafo. Marcello II l’anno 1555 obbligato alla Vergine per averli in questa santa Casa rivelato d’essere eletto P. Apa, pensò di fare tutto ciò, che doppo fece Sisto V si come apparisce in alcune memorie sue, che ancora si confermano in M. Fano sua patria, ma lì pochi giorni del suo Pontificato furono causa di non poter effettuare tutto ciò, che desiderava. Paolo IV Napolitano di casa Caraffa dell’anno 1555 confirmò tutti i privilegi, indulgenze, accrebbe il numero dei ministri di detta santa Casa, facendolì moltissimi, e ricchissimi regali. Pio IV l’anno 1559 confirmò l’indulgenze, e privilegi delli suoi antecessori, e l’anno 1561 vi aumentò il numero dei Canonici, confirmò il Collegio della Compagnia di Giesù, e gli stabilì l’entrata, e adornò la cupola del Tempio. Pio V l’anno 1566 gli inquirenti assai, nel i primi Agnusdei da lumi benedetti di fece improntare l’immagine della Madonna di Loreto, con queste parole: Veramente splendida è la casa che fu a Nazare, fece cercare, e gli determinò buonissimi musici, fece mettere nell’ornamento di marmo diece Sibille, e altrettanti Profeti, fece un Hospitale, istituì quattro Confraternite, e li diede le regole, e leggi che dovevano osservare, prohibì che voti fatti a questa santa Casa non si potessero commutare in altre opere pie, e li fece ricchi, e precisi regali. Gregorio XIII dell’anno 1574 confermò tutte le indulgenze, e concesse l’altre, e di più, che non si intendessero sospese nel tempo del Giubileo universale, accrebbe l’entrata de’ Canonici, fondò il Collegio Illirico sotto il governo dei Padri della Compagnia di Giesù, e donò a questa medesima Vergine la Rosa d’oro, che ogn’anno si benedice la Domenica quarta di Quaresima, con molti altri doni, e l’anno 1577 li concesse un’Altare Privilegiato per l’Anime del Purgatorio, e fece l’altre cose, che si registreranno nel Paragrafo undecimo. Sisto V a 17 di Marzo dichiarò Cathedrale e la Chiesa della santa Casa, li diede il Vescovo, e fece Città Loreto, istituì il Magistrato, eresse il Monte della pietà, finì e perfezionò la facciata della Chiesa, e concesse molti privilegi, indulgenze; per lo che li fu eretta una bellissima statua di bronzo, e le furono messe due iscrizioni sopra le due porte picciole della Chiesa di detta S.  Casa; alcuni vogliono, che diede quaranta mila scudi per far le porte di bronzo del Tempio; altri però affermano, che Gregorio XIII fece questa limosina. Clemente VIII nell’anno 1593 confermò li privilegi, indulgenze di questa santa Casa, la visitò due volte, quando andò, e tornò da Ferrara, vi disse Messa di giorni che si trattenne in Loreto, promuovendo al Sacerdotio il Cardinale Aldobrandino suo Nipote, concesse indulgenza plenaria perpetua a tutti quelli che visitassero, l’arricchì di molti, e preziosi doni, ordinò, che nell’ornamento di marmo si scrivesse l’Hstoria di questa santa Casa, e le quattro mutazioni che fece, e nell’ultimo anno del suo Pontificato per opra de Padri Pemitentieri della Compagnia di Giesù, diede licenza che si celebrasse la festa della Venuta di questa santa Casa in Italia a i 10 Decembre, e poco doppo fu cominciata a celebrare, quale poi l’anno 1632, a 29 di Novembre ad istanza dell’Eminentissimo cardinal Roma vescovo in quel tempo di Loreto, e Recanati, e dell’illustriss. Gio: Battista Rinuccini Arcivescovo di Fermo con  Breve particolare, conformò, e ampliò Urbano VIII concedendo, che si potesse celebrare etiandio per tutta la Provincia della Marca. Paolo V l’anno 1606, confermò tutte le indulgenze, e privilegi di questa santa Casa. Fece venire da Ricanati per un dispendiosissimo, e grandissimo condotto l’acqua, ordinando che si facessero due Fontane ornate di varie figure, e statue di bronzo, e di marmo, una fuori della Città, e l’altra nella piazza del Tempio, abbellì con bellissime, e curiose pitture la cuppola della Chiesa, fece fabbricare la bellissima Sala del Tesoro, dove si rinchiudono in diversi armarii li preziosissimi, e ricchissimi regali, che diversi Principi è in segno della loro divozione, e affetto verso questa santa Casa, e in ricompensa de’ favori, e grazie ricevute, hanno offerto alla serenissima vergine, e finalmente istituì la Confraternita di S. Carlo. Gregorio XV concesse in diverse occasioni molte indulgenze. Urbano VIII ha honorato questa medesima casa di molte indulgenze, nel cui tempo per ordine dell’Illustrissimo, e reverendissimo monsignor Panico vescovo di Loreto, e Recanati s’instituì la devota Confraternita di San Gioseppe. E finalmente non vi è stato Pontefice, che non h oro abbia illustrato questa santa, e Angelica casa di Loreto con privilegi, grazie, e regali.

P A R A G R A F O   VII.

Favoriscono di sommi pontefici questo Santuario,

instituendo in esso la Penitenziaria Apostolica.

     Essendosi mostrati così liberali i Sommi Pontefici nell’ingrandire questo Angelico Santuario, procurando che non mancassero Protettori, e Governatori per lo buon governo, e mantenimento temporale, e spirituale, come si vedrà nel Paragrafo undecimo, non si puole dubitare, che maggiore sia stato il pensiero in provedere questo medesimo Santuario di huomini Apostolici, acciò con zelo evangelico attendessero al culto del Tempio vivo di Dio, che è la salute dell’anime. Di qui è, che i Sommi Pontefici mai hanno consentito, che questa S. Casa restasse priva di tanto bene, e così per tutto dove è stata sempre ha havuto persone vigilantantissime nell’esseguire inpiego così grande, e ministerio così glorioso. Andarò dunq; con la brevità solita registrando il principio, e progetto di questa Penitenziaria Apostolica, e parimente il felice stato, nel quale al presente si ritrova. I primi, che si sa, che avessero cura di questo Santuario, stando in Nazaret, furono i Padri Carmelitani, i quali attendevano all’aiuto spirituale de Pellegrini, che da tutto il mondo concorrevano a visitarlo. Da Nazaret e se ne passò a Tersatto, e il Signore la providde di buoni, e vigilanti Sacerdoti, tra quali vi fù il divoto Alessandro, il quale obbligato alla Vergine per haverlo con le proprie mani risanato d’una infermità che haveva, con grandissima soddisfattione, e fervore si impiegava in alloggiare, confessare, e consolare i poveri Pellegrini, che per devozione, ò voto visitavano detta santa Casa. Venne poi ultimamente in Italia, dove mai li sono mancati i buoni ministri; perche sempre con la vigilanza dei Sommi Pontefici, Protettori, e Governatori di essa si è venuto aumentando; perche subito che apparve nei confini di Recanati, il Vescovo deputò Sacerdoti esemplari in dottrina, e virtù, quali s’impiegavano in confessare i Pellegrini, che venivano a visitare questa santa Casa, quali Paolo II dell’anno 1464 costituì come suoi Penitentieri, dandoli facoltà da assolvere casi reservati al Sommo Pontefice. Doppo Sisto IV dell’anno 1471 esentando questa Santa Casa dalla giurisdizione di Ricanati, stabilì otto Capellani con titolo di Penitentieri, a cui concesse autorità da assolvere i Pellegrini da casi reservati, e anche di commutar li Voti.

     Dura le cose in questa maniera il fino all’anno 1491 nel quale Innocentio Ottavo avendo saputo, che i Padri Carmelitani avevano avuto cura di questo Santuario mentre stava in Nazaret, ordinò che trenta delli medesimi ne avessero il pensiero ancora in Italia con la medesima autorità concessa agli altri; e con questi Padri venne il P. Fra Battista Mantuano Vicario Generale della Congregazione di Mantova uomo dottissimo. Continuarono in Loreto questi Padri per lo spazio di nove anni con molta lode impiegati in così tanto esercizio. Doppo la partenza de quali, il Cardinal Protettore sostituì alcuni sacerdoti dotti, e virtuosi con la medesima autorità, e giurisdittione infino all’anno 1507 nel quale a 21 di Novembre Giulio II rimuovendo il Vicario, e mettendo un Governatore con misto imperio, assegnò molti Sacerdoti, che servissero di Penitentieri con la medesima autorità che gli altri. In questa maniera perseverano infino all’anno 1514 nel quale Leone X a 8 di Decenbre eresse una Collegiata con dodici Canonici, e altrettanti beneficiati con sei Capellani, o chierici per servizio del choro, e ordinò, che da questo numero si eleggessero due Canonici, e quattro,ò sei beneficiati dotti, e virtuosi per Penitentieri Apostolici, i quali con ampia autorità si esercitassero in confessare i Pellegrini, e altra gente.

     Durò in questo stato intorno a quaranta anni sin tanto che nel 1554 vedendo  Giulio Terzo il progresso, che faceva Sant’Ignazio Fondatore della Compagnia di Giesù con i suoi Figliuoli per lo Mondo, e in particolare nell’Europa, riformando vite, e costumi, domandò alcuni Padri allo stesso S. Ignazio per mandarli al Loreto, dove gli fondò un Collegio, e il Santo ne mandò dodici quali Padri in compagnia di detti Canonici, e Confessori dichiarò suoi Penitentieri con ampia autorità e giurisdittione. Promossero questo negozio il Card. Rodolfo Carpio Protettore di questa santa Casa, e Gasparo de Doctis Governatore di essa. Doppo l’istesso pontefice considerando il frutto notabile, che questi pochi facevano in profitto dell’anime, mandò altri Padri della medesima compagnia a tale effetto. Venne Paolo IV il quale parimente considerando il frutto grande, che li detti Padri havevano fatto in questa S. Casa, e nelle Città, e Terre circonvicini con le loro missioni nel tempo delle vacanze dell’anno 1555 n’aggiunse altri trentadue, ordinando che vi fussero di diverse nazioni per utilità di tutti, dandoli autorità Apostolica, come chiaramente si ricava dalla Bolla del Card. Carpio Protettore, e sempre etiandio dal principio della fondazione del detto Collegio vi sono stati Penitenziero di diverse Nazioni. Leggasi  il Torsellino nel accennato luogo, e il P. Nicolò Orlandino nell’Historia della Compagnia di Giesù.Doppo del 1572 Gregorio XIII non solo confirmò l’autorità concessa da i suoi Antecessori altri Penitentieri, ma ancora lì concesse che potessero assolvere i Religiosi di qualsivoglia ordine, overo instituo da casi riservati tanto al Papa, come alli Superiori della loro Religione, e questo è stato confirmato dagli altri Sommi Pontefici, e massime da Urbano VIII nella sua Bolla. L’istesso concederono Clemente VIII al primo d’agosto l’anno 1600 e Paolo V successor suo con Bolle particolari; e in questa maniera gli altri Pontefici hanno favorito questa Penitenziaria dando facoltà, autorità ampia a suoi Penitentieri d’assolvere da’ tutti i casi riservati al Papa, e quella della Bolla  In coena Domini, eccettuandone quelli che il Sommo Pontefice si riserva, e di poter commutare qualsivoglia voto, fuorché di Castità, e di Religione, d’andare a san Giacomo di Galizia, e per servitio di Terra Santa, si come appare dalla Bolla d’Urbano VIII, spedita alli 20 di Giugno 1636 che comincia: Attendentes ubiversi gregi:  e hoggidì con la medesima autorità risiedono nel Collegio di Loreto venti penitenziere, sei dei quali sono di diverse lingue, Spagnolo, Francese, Fiamminga, Tedesca, Polacca, e Illirica e gli altri Italiani, quali mantenuti con elemosina, e entrata della santa Casa, non solo attendono all’offitio loro principale d’assistere come Penitentieri Apostolici in tempo che si cantano gli uffici divini, per confessare, e consolare di divoti pellegrini, e gli altri penitenti, ma ancora predicano al popolo nelle occorrenze di feste, e delle quarant’hore, e spesso nella Congregazione, visitano gli Hospitali, e le prigioni, aiutano a ben morire, insegnano tutte le Domeniche la Dottrina cristiana, e uno di essi legge in choro al M. Illustre Capitolo di Loreto la Teologia morale; sono più di novant’anni, che questi Padri continuano questo santo essercizio, e ministeri o Apostolico con essempio singolare, e identificazione, e con gran frutto dell’anime cristiane. E quanto sia stata grata a Dio la venuta di questi Padri in Loreto, e quanto goda la Vergine delle loro notabili fatiche, e il demonio senta la guerra che li fanno con la loro vita esemplare, e impiego Apostolico, liberando un’infinità d’anime dalle sue mani, l’ha voluto dimostrare Signore in due miracoli, l’uno successo nella stessa Chiesa, e l’altro dentro il Collegio di Loreto. Il primo fu, che predicando l’anno 1555 nella Chiesa di Loreto in Padre della Compagnia di Giesù fuor d’ora, si vidde calare dal più alto della Chiesa uno splendore molto grande a guisa d’una torcia accesa la quale fermatasi prima sopra la santa Casa, dopo si levò di lì, e scorrendo sopra gli ascoltatori, si fermò sopra i confessionari, dove i Padri penitentieri stavano, e di poi sopra le loro medesime teste, e ancora delli penitenti, e ultimamente posandosi sopra l’imagine miracolosa del Crocifisso, che sta dentro la santa Capella, disparve, lasciando pieni d’una celeste consolazione il cuore, e l’alma di quelli, che con li propri occhi quel miracoloso splendore havevano veduto. Qual miracolo raccontano li Padri Orlandino nella prima parte dell’Istoria della compagnia di Giesù, e il  Torsellino. Il secondo successe due anni dopo la venuta di detti Padri, e fù, che invidiando Il Diavolo il frutto, che facevano nelle anime, cominciò a travagliare il Collegio, e li Padri con diverse forme, e figure orribilissime. Usò il Padre Oliverio Manareo di Nazione Fiamingo, allora Rettore, tutti i rimedi, dei quali la Chiesa santa si serve contro questi spiriti infernali, di scongiuri, e esorcismi, ed altre divote orazioni, riuscendo però tutto in vano. E vedendosi senza rimedio, il Padre Rettore scrisse una lettera al Padre Sant’Ignatio, che dimorava in Roma, il quale rispose, che confidassero in Dio, e nella Beatissima Vergine, a cui come suoi Capellani servivano, che li liberaria dalle molestie di quelle bestie infernali; ricevuta la lettera il Padre Rettore, la lesse in presenza degl’altri Padri, quali assicurò, che ad intercessione della Vergine, e per l’orazione del loro santo Padre svaniriano quelli spiriti maligni, lasciando di inquietare i servi di Dio, che poi con maggior animo seguitarono il pietoso esercizio, nel quale la Maestà di Dio gli aveva applicati. Il tutto raccontano l’istesso padre Nicolò Orlandino nel libro citato, e il Padre Giovan Pietro Maffeo nella vita di Santo Ignatio.

P A R A G R A F O    VIII.

E honorato, e arricchito questo Santuario con

la presenza, e doni di molti Principi,

e Signori grandi del Mondo.

     Si potrebbe fare un grosso volume se volessimo distintamente registrare i grandi Potentati del mondo come Imperatori, Re, Regine, Cardinali, Principi, Prelati, Repubbliche, Città, Terre, Castelli, Communità, Ambasciatori, e altri Signori grandi, e personaggi di Spagna, Germania, Francia, Fiandra, Polonia, Inghilterra, Italia, e etiandio di tutto il mondo, i quali tirati dalla divozione di questa Vergine, hanno honorato con la loro presenza, e arricchito con i suoi preziosi doni questo Santuario. Vedali chi vorrà nell’Hostoria Loredana del Torsellino, e negl’altri autori, che più distesamente hanno scritto di questa materia. E prima di tutti lascio lì Re, e Principi, i quali per non poter venire, come desideravano, a visitare in persona questo Santuario, l’hanno arricchito con i suoi pretiosi, e regii doni, come la Regina di Spagna Donna Isabella moglie del Cattolico Re Don Filippo IV, la quale in Dio a questa Madonna una ricchissima veste guarnita con 6600 diamanti. Donna Isabella Chiara Eugenia figliola di Filippo II Arciduchessa d’Austria, e Contessa di Fiandra, la quale presentò un’altra veste con più di 2600 diamanti, e altrettante perle pretiose. Henrico Terzo Re Cristianissimo, il quale da pubblici negoti impedito di visitare personalmente questo Santuario, spedì un Gentiluomo del suo palazzo, acciò che in sua vece lo visitasse, e offerisse una bellissima coppa di lapis lazulo col suo coperchio di cristallo di montagna, e piede di smeraldo, legato, e coperto d’oro, e sostentato da ogn’intorno di gemme, e di grosse perle adornato, e la sua moglie un cuore con un ricchissimo smeraldo. Donna Anna d’Austria, e Borbone Regina parimente di Francia, oltre delle due corone, che al presente portano nelle sue teste la Madonna, e il suo Bambino, fece presentare un’Angelo d’argento con un Bambino d’oro, in rendimento di grazie di haver ottenuto per intercessione di quella Vergine, figliuoli, e successione. Maria Henrica di Borbone Regina d’Inghilterra, e figliuola di Enrico IV Re di Francia mandò un cuore d’oro con due imagini di smalto assai curiose, e pretiose. Sigismondo re di Polonia una lampana d’oro lavorata con le sue proprie mani. La Principessa Catarina Zamoiski Gran Consigliera di Polonia mandò ad offrire alla Madonna tutto un apparato per dir messa, il cui valore passa cento trentamila scudi. Don Carlo d’Oria Duca di Turfis un diamante di prezzo di dodeci mila scudi, e molti altri Principi altrettanti doni.

     Basta dire al divoto lettore, che tre Imperatori, due della Casa d’Austria Carlo V e Ferdinando Terzo, e prima di questi Federico Terzo. Tre re Alfonso l’Aragonese di Napoli, Stefano Battore, e la di Paolo IV l’uno, e l’altro di Polonia; cinque, Regine due di Napoli l’anno 1514 la Regina d’Ungaria, Bona Sforza figlia del re di Navarra, e moglie di Sigismondo II re di Polonia, e un’altra regina d’Ungaria; e l’anno 1631 D. Maria d’Austria Sorella di Filippo IV, Re di Spagna, Regina parimente d’Ungaria e poi Imperatrice e molto prima l’anno 1576 Don Gio: d’Austria Figliuolo di Carlo V in rendimento di grazie per la vittoria navale ottenuta da Turchi per intercessione di questa Madonna, le quattro anni prima D. Giovanna d’Austria gran Duchessa di Toscana Figlia dell’Imperatore Ferdinando I la quale in pegno del suo cordiale affetto verso questa Madonna gli offrì due cuori d’oro con altri molti regali e mentre viste sempre fù singolar benefattrice di questo Santuario D. Margarita d’Austria Duchessa di Parma, Figlia di Carlo V Christierna Duchessa di Lorena Figlia del Re di Danimarca, e nipote di Carlo V l’Arciduchessa Maria Madre della Regina di Spagna Sorella di Ferdinando II Gran Duchessa di Firenze, la quale presentò alla Vergine due torcieri d’oro di prezzo di 18 mila Scudi molti Duchi di Baviera, e non pochi di Francia di Sangue Reale, come quello di Condè, e Soisons, duchi di Savoia, Mantova, Toscana, Modena, Ferrara, e Urbino, con un altro numero innumerabile di Principi di tutta l’Europa, e tra questi più di seicento Cardinali hanno visitato in persona questa Santa Casa, honorandola con la loro presenza, e arricchendola con i loro doni, e lasciando un singolar esempio della loro pietà, e divotione. Et altre sì dell’istssa India non hanno mancato personaggi, che hanno illustrato questo Santuario, come accadde nell’anno 1585 ultimo del Pontificato di Gregorio XIII nel quale vennero Don Mansio Nipote di Don Francesco Re di Bungo nel Giapponese, e Don Michele cugino di Don Protasio Re d’Arima, primo cugino di Don Bartholomeo Prencipe, e Signore d’Omura, accompagnato da altri due Signori Giapponesi per nome di Don Giuliano, e Don Martino, i quali venendo per Ambasciatori dei detti Re a rendere la dovuta ubidienza al Sommo Pontefice, e doppo d’haver trascorso per le prime, le principali Città di Spagna, Italia, volsero ancora visitare questo Santuario, honorandolo con la loro presenza, come lo riferisce Rutilio Benzonio Vescovo di Loreto nel libro del Giubileo, e l’anno 1643 il Sereniss. Principe Gio: Casimiro Figliuolo di Sigismondo III Re di Polonia, e di Svezia, Fratello di Ladislao al presente regnante in Polonia, e primo Cugino di Ferdinando III Imperatore, e Filippo Quarto Re di Spagna, e di D. Anna d’Austria, e Borbone Regina di Francia, e parente stretto delli maggiori Potentati d’Europa, non solo volse gonorarla con la sua presenza, e arricchirla con suoi doni, presentando alla Madonna un’anello preziosissimo con un grosso diamante, e un vaso d’oro curioso, e ricco, ma ancora dentro la Santa Capella, havendo lasciata la grandezza del mondo, si consagrò alla Beata Vergine facendosi Religioso della Compagnia di Giesù, e doppo d’haver vissuto in essa più di due anni, la Santità di Nostro Sig. Innocenzo X lo promosse alla dignità, e porpora Cardinalizia.

     Finalmente (scritto già questo compendio) a 10 di Decembre di quest’anno 1646 il Principe Mahamet Celebi primogenito del Re di Tunesi nell’Affrica doppo d’haver per inpiratione di Dio abbandonato Padre, Madre, Sposa, Patria, e honorevoli cariche ricevute dal Gran Turco, e biasimando la maledetta Setta di Maometto, e havendo ricevuto il santo Battesimo nella città di Palermo in Sicilia, e con esso appresso il nome di Filippo Innocentio, volse ancora visitar questa Angelica Casa della Madre di Dio in rendimento di grazie per cotanto favore ricevuto dalle sue mani, e communicandosi due volte nella Santa Capella, non dimostrò con la sua divotione, e modestia restar’appagato della fede ricevuta, ma anche un singolare, e cordiale affetto verso questa Signora. Potrei registrare altri innumerabili di questi, i quali con la loro presenza, ò con ricchissimi doni, ò con l’una, ò con l’altre cose l’hanno illustrata, la cui memoria vive, e viverà per sempre, e la Santa Casa nelle sue muraglie, la sala del Tesoro ne li suoi armarii, lo stesso Tempio nelle sue colonne palesano la liberalità di questi, e divenute promulgatrici lingue, obbligano ai presenti, e anche a tutto il mondo li grandi, ricchi, e pretiosi doni, che gli accennati Principi, gli altri molti in pegno della loro divotione, e in ricompensa de’ favori ricevuti gli hanno offerto.

P A R A G R A F O   I X.

Visitano questo santuario, e l’honorano con la

sua presenza molti Santi, e Servi di Dio.

     Era conveniente, che una Casa così  santa, e un  Santuario Angelico fosse visitato,

e honorato con la devota presenza di molti Santi, e servi di Dio; e che si come in Nazaret fu illustrato con tanti misteri, consagrato da gl’Apostoli, abbellito con un Tempio dalla Santa Imperatrice Elena, visitato da li  Santi Girolamo Dottore della Chiesa a Paola Matrona Romana, Luigi re di Francia, e da molti altri, come dicessimo nel Paragrafo secondo; così stando in Italia, capo della Regione Cristiana, conveniva non restasse privato di questo favore. La prima, che sappiamo, che mostrò la sua divotione verso questo Santuario fù Santa Brigida Principessa di Nericia nel Regno di Svecia, la quale nell’anno 1345, partendo dalla sua patria a Roma e da Roma a Gierusalem, e poi un’altra volta a Roma, dove l’anno 1373 morì santamente, è credibile passasse per Loreto, e ivi riverisse la Madre di Dio, e anche in quel luogo ricevesse molte rivelazioni, secondo che il Signore li promise in un’altra rivelazione fattali in favore di questa Santa Casa, come si vede nel libro delle sue rivelazioni, dove si leggono le seguenti parole: In questo luogo dove Maria è nata e fu educata chi sarà venuto non solo avrà la purificazione; ma sarà anche un vaso in mio onore e chi sarà venuto purificato con buona e perfetta volontà avrà da vedere e gustare quanto dolce e quanto lo soave io Dio sia. E poi animando a visitare questo Santuario, aggiunse il Signore: Quando dunque verrai in questo luogo ti farò molte manifestazioni.

      Il Beato Giacomo della Marca de i Minori Osservantihuomo Apostolico, e Evangelico Predicatore, l’anno 1470 visitò molte volte questo Santuario; e in esso una volta dicendo messa restò libero una cura dell’infermità, che impediva il suo Apostolico esercitio, e un’altra dagli assalti interni del Demonio, e parimente gli fù rivelata l’hora della sua morte, come appunto accadde, si come dicono la Cronica di San Francesco, e il Torsellino nella sua Hostoria.  Lo stesso sentono molti di San Bernardino di Siena, del beato Gio: Capistrano, e in particolare di S. Diego d’Alcalà della medesima Religione, quando l’anno 1450 al tempo di Niccolò V, passò da Spagna, a Roma con l’occasione del Giubileo universale, e canonizzazione di San Bernardino di Siena.Lo stesso si crede da altri Santi, e Servi di Dio in questo tempo.

     S. Francesco Xaverio della Comp, di Giesù, e Apostolo dell’Indie due volte illustrò con la sua presenza questo Santuario, e una d’essa fù quando da Roma parti alla volta di Portogallo, e di là all’Indie l’anno 1540 e in essa con la protettione di Maria s’armò per intraprendere la sua missione Apostolica. San Carlo Borromeo Cardinale di Santa Chiesa, Arcivescovo di Milano la visitò due volte, la prima all’anno 1572 quando andò a Roma per la creazione di Gregorio decimoterzo, e in quella si trattenne orando tutta la notte; la seconda l’anno 1579, quando doppo  d’haver visitati i più grandi Santuari d’Italia, venne a piedi da Fossombrone Città del Ducato d’Urbino cinuanta miglia distante da Loreto, e in quella disse messa, communicò, e predicò al popolo nel giorno della Natività della Madonna, e anche, volse desinare con li Canonici del Refettorio commune come allhora si usava. Il B. P. Francesco di Borgia quanto un duca di Gandia, e terzo Proposito Generale della Compagnia di Giesù visitò due volte questo Santuario; la prima quando essendo Commissario delle Province di Spagna venne a Roma l’anno 1560 chiamato dal Pontefice Pio IV, la seconda essendo Proposito Generale, come abbiamo detto nel prologo, la terza quando tornò da Spagna, e Francia l’anno 1572 dove fu mandato per ordine di Pio V in compagnia del Zardinale Alessandrino suo Nipote, e Legato Apostolico, e quì s’armò per l’ultima giornata al cielo, che pochi giorni doppo successe. Il Beato Luigi Gonzaga, Marchesi di Castiglione, e Principe dell’Imperio quando renuntiando il suo Stato l’anno 1581 andò in Roma per essere ammesso nella Compagnia di Giesù obbligato al favore di essere stato liberato dal pericolo della morte assieme con la sua Madre nel tempo del parto per intercessione di questa Madonna, volse con quest’occasione visitando questo Santuario sodisfare alla sua divotione, e al voto della sua Madre, e in questa medesima Capella si communicò due volte, e li giorni, che si trattenne, mai s’allontanò da essa.

     Lo stesso al parere di molti si crede di Santo Ignazio fondatore della Compagnia di Giesù, e delli suoi compagni, e del Beato Stanislao Koska, quando l’anno 1567 da Polonia venne a piedi infino a Roma per entrare nella medesima compagnia. Ma del P. Diego Lainez secondo Generale della compagnia,P. Alfonso Salmerone, e P. Nicolò Bobadilla è cosa certa, che il primo la visitò molte volte quando andò e tornò da Venezia, il secondo quando in compagnia dell’istesso P. Lainez si trasferì al concilio di Trento per teologo del Papa, e il P. Nicolò Bobadilla per la sua grande divotione verso questa Madonna, e la sua Santa Casa elesse il Collegio di Loreto per sua abitazione, in cui visse il rimanente della sua vita, nell’anno 1634 il P. Francesco Marcello Mastrilli Napolitano della stessa compagnia, doppo d’haver miracolosamente ottenuta la sanità per l’intercessione di San Francesco Xaverio, passando al Giappone dove sparse il suo sangue per mano degl’Infedeli nell’anno 1637 a 17 d’Ottobre, volse prima visitare questo Santuario di Maria, nel quale si trattenne alcuni giorni orando sempre di notte, e di giorno nella Santa Capella, accingendosi in essa con la protettione della Madonna per un’impresa così gloriosa. Oltre di questi il P. Carlo di Lorena, che lasciando il mondo, e dignità Vescovale si fece Religioso della Compagnia di Giesù, l’honorò con la sua presenza quando venne a Roma, e quando ritornò in Francia; e il P. Francesco Suarez non solo l’illustrò con i suoi scritti facendo  honorifica mentione di questo Santuario, ma anche l’honoro con la sua religiosa presenza. L’istesso hanno fatto altri molti di diverse Religioni e Stati famosi, e celebri in Santità e dottrina.

P A R A G R A F O   X.

Honora il Signore questo santuario con grandi, e

stupendi miracoli.

     Però quello, che più attese alla grandezza, e essaltazione di questa Santa Casa fù la Maestà di Dio, honorandola con molti, grandi, e prodigiosi miracoli. Di questi dice un autore moderno in una orazione pane civica di questo santuario queste parole: Questa Basilica consacrata alla Regina del cielo pare essere stata fabricata non con pietre; se non con miracoli, e quanto ella è, tutta, tutta è d’un continuo miracolo: l’altro aggiunge: che il numero de i miracoli di questa casa senza numero, e con più facilità potrà uno numerare le stelle, che questi.Oprò dunque il Signore in onore di questa Angelica camera, in profitto de i corpi, e anime i suoi di voti infiniti miracoli. Primi raramente cominciò dalla stessa Si Capella, conservando intiere le sue pareti senza fondamenti, e senza che si potessero unire, ne congiungere con l’ornamento di marmo, liberandola molte volte dall’invasione dei nemici della fede, dalla libertà, e furia militare, e li tesori dalle mani de i ladri; illustrando in molte varie occasioni questo suo Tempio, e Casa, i confessionarii de penitentiere, e i capi de penitenti con celesti lumi, e miracolosi splendori, convertendo i cuori duri, e ostinati, dando la vita a ciechi, l’udito a sordi, mani a i monchi,  piedi a storpiati, e zoppi, salute, e forze a paralitici, liberando molti da schiavitudine, da mani degl’heretici, dalle carceri, le tempeste del mare, fiumi, pozzi, folgori, da disgraziate cadute, infermità incurabili, resuscitando morti, dando prole a persone sterili, e scacciando i demoni da li corpi umani. Sono noti i miracoli del Sacerdote Dalmatino, al quale li turchi per la fede di Cristo, e per non cessare di invocare i santissimi nomi di Gesù, e Maria Loredana, gli tolsero l’interiora con cuore, e con essi nelle mani venne a Loreto e confessandosi, e communicandosi, e rese grazie a Dio, e alla sua adre per lo favore ricevuto spirò. Di Chiarissima, e Clarissima Duchessa di Lorena, paralitica di molti anni la quale entrando in questo Santuario, in un’istante si levò sana, come anche successe a Longa Napolitana. Di Antonia di Grenoble di Francia oppressa da sette Demoni, la quale alla presenza di questa Signora, rimase libera da quelli invernali spiriti, che gridavano ad alta voce essere questa la Santa Casa di Maria, e che il suo nome gli tormentava, e scacciava da quel corpo. Di Gorcut Bajsa Turco che senza speranza di vita l’ottenne per sua intercessione, dando libertà ad un schiavo cristiano, e inviando ricchi doni a questo Santuario. Dìun Hebreo di Nazaret  ostinato nella sua setta, il quale ammonito dal Cielo venne a Loreto, ove si convertì, e battezzò. D’un giovane viziosissimo, il quale negando Christo, e la Vergine si diede per  ischiavo al demonio, e per mezzo di questa Signora si convertì, e si liberò dalle mani del demonio, parimente d’un altro vizioso, che prima di confessarsi volle entrare in questa Santa Capella, e per mezzo d’una spaventosa figura fù respinto, e tornò in sé, si confessò interamente dei suoi peccati, e fu degno di vedere la faccia di questa Signora. Et ultimamente di Don Gio: Suarez Vescovo di  Coimbra in Portogallo, il quale havendo con licenza del Sommo Pontefice inpetrato, e levato una pietra del muro di questa Santa Capella per fabricarne un altra nella sua Città, s’ammalò a morte, e non recuperò la sanità finché non ristituì la detta pietra alla Santa Casa, come appare in Torsellino e dal Breve del Papa, e lettera del medesimo Vescovo, i cui Originali, ritrovati mediante le diligenze dell’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Francesco Caetano Governatore di questa Santa Casa, ancora si conservano nell’armario delle sante Scudelle. Altri infiniti miracoli ha operato il signore per esaltazione di questa casa di sua madre, e di ciò sono testimoni i libri scritti di questa materia, e in particolare l’Hi storia Loretana del Torsellino, gli innumerevoli voti appesi in questo Tempio, e Santa Casa, le persone che li riceverono, e pellegrini, che per voto, o divotione vengono da remoti paesi per visitare, e venerare questo Santuario, i quali divenuti banditori delle grandi maraviglie di Dio oprate in questo luogo, e in altri distanti per intercessione di questa Vergine, svegliano, e invitano gli abitanti del mondo, e in particolare della nostra Europa, accioche lasciate le comodità dei suoi paesi, fatti pellegrini, venghino, visitino, e honorino questo Angelico Santuario, Habitazione di Christo. Talamo dello Spirito Santo, Porta del cielo, Albergo di tutta la Corte celeste, Tesoro di grazia, Memoria interna della Divina pietà, Ufficina de’  miracoli, ed i maggiori di essi l’Incarnazione del Verbo Eterno, e in una parola, la Santa, e Angelica Camera della Madonna di Loreto.

P A R A G R A F O    X I.

Breve cronica de’ li protettori, e governatori,

di questo santuario; e delle cose più notabili,

che in tempo di essi si fecero, e accaderono.

     Questo paragrafo, spero che sarà un compendio di quando negli altri sta registrato, e come una breve tavola cronologica dell’Historia Loredana; dalle Bolle de Pontefici, che nell’Archivio Loretano tuttavia si conservano, e di quelli che scrissero le vite de Pontefici, e Cardinali dal tempo di Bonifacio VIII che cominciò a governare la Chiesa alle 24 di Decembre 1294 quattordeci giorni doppo la venuta di questoSsantuario, sino al 1646, nel quale scrisse questo, e sotto Sommo Pontefice Innocentio X Protettore l’Eminentissimo Cardinal Antonio Barberino, e  Governatore l’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Francesco Caetano della medesima Casa di Bonifacio VIII.

Il primo Protettore di questo Santuario fu il Principe degli Apostoli San Pietro, il quale doppo l’Ascensione del Signore, essendo ancor viva la Vergine, lo consagrò in Chiesa, come dicemmo di sopra, e lo conferma Giulio II in una Bolla: Gli Apostoli consacrarono questa Casa come prima Chiesa in onore di Dio, e della stessa Beata Vergine Maria, dove fu celebrata la prima Messa. Quelli che la governarono doppo , infino alla sua prima transformazione in Dalmazia, non si sanno; solamente aggiungo, che Sisto IV in una Bolla afferma, che i Padri Carmelitani insiemi col governo degli altri luoghi Santi della Palestina avevano cura ancora di questo Santuario, come dice Battista Mantovano, e l’avverte Torsellino lib.2 c.3, l’anno 1291 al li 9 maggio fino all’anno 1294 10 decembre la governò il pietoso Curato, ò Rettore di Tersatto Alessandro, con la protettione del Governatore della Provincia, Nicolò Frangipane. In questo tempo fu a Nazaret e il Sacerdote Alessandro con altri tre Dalmatini per informarsi della verità di questo Santuario, e sua Traslazione,Torsel. Lib. 1 cap. 3,4.

            Anno di Christo                                                                 Anno della Venuta

     L’anno 1294 primo del Pontificato di Bonifacio VIII che fu ancora della venuta di questo Santuario in Italia, fu Protettore, e Governatore di quello il Vescovo di Recanati, e l’anno 1295 nel mese di Agosto si mutò questo Santuario alla collina dei due fratelli, e a 10 di Decembre dello stesso anno trasportato alla strana commune, e maestra, dove al presente si ritrova. In questo tempo rivelò la Madonna ad un devoto Romito la verità di questa Casa, le sue Traslazioni, e ministeri oprati in essa; e l’anno 1296, furono mandati in Dalmazia, e Nazaret sedeci Ambasciatori della Marca per investigare, e esplorare la verità di questa miracolosa Traslazione, come lo fecero, e si disse nel paragrafo terzo; e tutta questa Provincia allegra per la buona relazione dei suoi ambasciatori, elesse questa sovrana Signora per sua particolare Protettrice, e Avvocata, e il Signore illustrò questo suo Santuario con miracolosi splendori. Torsel. lib. 1 c. 7.8.12.13.     L’anno 1300, il Vescovo di Recanati d’ordine del medesimo Pontefice cominciò ad habitare Loreto, e fabricar case per li pellegrini che già visitavano questo Santuario; e il Signore tornò ad illustrarlo facendo apparire sopra di esso miracolosi lumi a guisa di cometa, rinnovandosi ogn’anno questo miracolo nella vigilia della Natività della Madonna, e durò infino al tempo di Paolo III e del 1305 al tempo di Clemente V hebbe la Protettione la Città di Recanati, la qual vedendo che cresceva  Loreto assegnò un Luogotenente che la governasse, e amministrasse giustizia agli abitanti d’esso. Tortel. lib. 1 c, 15,17,18.

     Nell’anno 1322 essendo Pontefice Giovanni XXII la Città di Recanati aggiustandosi col Pontefice, e fabricando di nuovo la Città nel posto dove al presente si vede, hebbe un’altra volta il governo di questo Santuario, e per consiglio del suo Vescovo fabricò un Tempio intorno a quello con alcune case per l’habitazione dei Sacerdoti, e i ministri di questa Santa Casa, e per alloggiare i pellegrini di qualità. Torsel. lib. 1  c. 18, e l’anno 1341 del tempo di Benedetto XII l’istessa città ottenne le prime indulgenze per questo Tempio, e per un Altare che a questa Signora dedicò nella muraglia della Chiesa dall’Arcangelo San Gabrielle, che stava nella sua piazza per consolazione delli poveri vecchi, e infermi, che non potevano andare al Loreto.Torsel. lib.1 c.19.

     Durò in questo stato molti anni, governando la Chiesa, oltre i nominati, Clemente VI  Innocentio VI Urbano V Gregorio XI Urbano VI Bonifacio IX Gregorio XII Alessandro V Giovanni XXIII Martino V riconoscendo questo Santuario per i suoi particolari benefattori Urbano VI Bonifacio IX e Martino V per le indulgenze, e privilegi, che li concessero. Torsel. lib. 1 c. 22.

     Nell’anno 1353 fin’al 1367 essendo Sommi Pontefici prima di Innocento VI, e poi Urbano V Fù Legato Apostolico di tutta l’Italia, e in particolare della Marca Egidio Albornoz, al valor della quale deve la Chiesa la recuperatione della maggior parte del suo Stato: non vi è dubio, che questo Signore molte volte visitato questo Santuario, e in particolare l’anno 1365 ovvero 1366 nel quale Urbano V per consiglio di questo Cardinale venne d’Avignone a Roma, e visitò questa Santa Casa (come vogliono alcuni) essendo il primo Sommo Pontefice che l’honorò con la sua presenza. In questo medesimo tempo Gop: Paleologo Imperatore di Costantinopoli si trasferì a Roma, e riconobbe il Pontefice per capo universale della Chiesa; si crede che visitasse questo Santuario. Lo stesso pensano alcuni di Carlo IV Imperatore quando con la sua moglie, e figliuoli passò in Italia per vedere, e adorare il predetto Pontefice, e l’anno 1408 al tempo di Gregorio XII fu Vescovo di Recanati il Cardinal Angelo Cinno nativo della medesima Città, e morì l’anno 1412 non si sa se questo Cardinale nel tempo di questo Pontefice havesse la protetione, ò governo di questo Santuario; e del 1420 Martino V a gloria, honore di questa Signora imstituì le fiere di Recanati, e confirmò l’indulgenze concesse da Bonifatio IX, e al suo tempo si fabricarono le case per li Sacerdoti, chiamata la Canonica, un palazzo per il Governatore, e l’albergo per li pellegrini nobili. Torsel. lib. I c. 22.

     L’anno 1437, reggendo la Chiesa Eugenio IV Giovanni Vitellesco. ò  Vitellense Cittadino Romano Patriarca d’Alessandria, e Aquileia, Arcivescovo di Fiorenza, e Cardinale, fù Legato della Marca, Vescovo di Recanati, e Protettore di questa Santa Casa. Questo fu quello, che pose in sicuro il tesoro della Vergine, e il più pretioso della sua recamera, liberandolo dalle mani de i soldati, che occupavano la Provincia della Marca, morì in Roma nel castello di Sant’Angelo a i 15 d’Aprile 1440. Torsel. lib. I c. 23.

     L’anno 1447 fin.al 1455 con particolar breve di Nicolò V, hebbe questo Governo la Città di Recanati, la quale cominciò a fortificar Loreto contra il Turco, che l’anno 1452 e come vogliono altri 1455 avendo tirannicamente occupato la città di Costantinopoli, e occiso il suo Imperatore Costantino Paleologo, si impadronì dell’Imperio Orientale, e minacciava l’Italia: in questo tempo l’istesso Papa con particolar breve ordinò che la medesima Città avesse cura di guardar tutta l’argenteria, e l’altre cose pretiose di questo Santuario, e parimente comandò, che ne il Vescovo, né alcun altra persona potesse alienare, ne venderei, ne mutare in altre cose lì doni, che s’offerivano a questa Santa Casa. Torsel. lib. I c. 24.

     Nell’anno 1456 in tempo di Callisto III fu Commissario Apostolico di questo Santuario il Cardinal Roderico Borgia, Valentiano, che appresso fu Alessandro VI, questo essendo Legato della Marca, e Commissario di questo Santuario, fortificò con bastioni, e presidiò con soldati Loreto contro l’istesso Turco; lo dicono Leandro Alberto nella descrizione d’Italia, e Torsel. lib. I c. 29.  L’anno 1458 in tempo di Pio II, alcuni pensano che il Protettore di questo Santuario sia stato il Vescovo di Recanati, che allora era, e si chiamava Nicolò Alfonso, il quale quanto devoto sia stato verso questa Vergine lo mostra la liberale donazione di molte possessioni, che fece a questo Santuario l’anno 1459 a 3 di Decembre, come appare da una Bolla di Sisto IV spedita a 2 d’Aprile 1473 in confirmazione di detta donazione, questi si fondano nelle parole dell’Istrumento della donazione, e in quelle della Bolla, dove se li da titolo di Rettore, ò Commendatore della Chiesa di Loreto. Torsel. lib. I c, 27. E io pure so che il Governatore era Pietro Giorgio Preposito Teremano, e  Vicario, ò Amministratore della Diocesi di Recanati; il quale fu il primo, che compose un compendio di questa Historia in Italiano, quale scritto in una tavola l’anno 1460, ordinò che si mettesse nel Tempio per memoria del miracolo, e consolatione de’ pellegrini; e in tempo di questo l’anno 1464 papa Pio II, accompagnato da molti Cardinali, e dal più fiorito della Corte Romana, visitò questo Santuario in rendimento di grazie d’haver riavuto la sanità per intercessione di questa Madonna, come si disse nel paragrafo sesto. Torsel, lib. I c. 26,27,28.

      L’istesso hanno a 30 di Agosto essendo assonto al Pontificato il Cardinale di San Marco Pietro Barbo Veneziano, che si chiamò Paolo II volse l’istesso essere Protettore di questo Santuario, e confirmò nel Governo il detto Preposito Teremano; e l’anno 1470 il Beato Giacomo della Marca visitò questo Santuario, come si disse nel paragrafo nono. Nell’istesso tempo Maometto II Imperatore XI de Tirchi havendo con una poderosa armata assalito l’Italia, e presa la città di Otranto nel Regno di Napoli, bramoso di saccheggiare il tesoro della Madonna, si inviò verso Castro porto di Recanati, e tosto che il barbarico esercito gonfio d’arroganza, scoprì questo Santuario, si riempì di spavento, e sforzollo per lo stupore attonito a rivolgere il passo, e ritirars  confessando tutti, che Dio medesimo havea particolar cura di questa Santa Casa; e in pena di questa Sacrilega arditezza tra poco dopo poi cadde morto l’altiero Tiranno per un subito accidente. Con questa occasione li Recanatesi quasi dimenticata la propria Patria deliberarono di difendere con tutto il poter loro la Santa Casa, mettendo anche in sicuro i principali doni essa, e guardandoli nella Rocca della loro Città, e del 1471 d’ordine del medesimo Pontefice si cominciò questo sontuoso Tempio, e si fabricò una buona parte di esso. Torsel. lib.2 c. 1,2,4.

     L’anno 1475 sendo Pontefice Sisto  IV Carletta Regina di Cipro, e Catarina regina di Bosna spogliate dal Turco dei loro regni, e haveri, vennero a Roma per esser protette, e soccorse dal Papa, si crede che arrivando queste Signore in Italia, habbino visitato questo Santuario.

     Nell’anno 1478 Sisto IV fece Protettore, e Vescovo di Recanati il Cardinal Girolamo Basso della Rovere suo Nipote. Questo nel Pontificato di suo Zio proseguì la fabrica del Tempio, e fortificò in forma di Rocca, e sdornò con marmi bianchi, e fini.  il pavimento della Santa Capella, e il 1491 ad istanza del detto Protettore pose Papa Innocentio VIII in questo Santuario i Padri Carmelitani, nello stesso anno Battista Mantovano compose l’Historia Loretana, e la dedicò al detto Protettore, e del 1496 la Città di Recanati in rendimento di grazie di essere stata liberata dalla peste per intercessione di questa Madonna, venendo in processione col Magistrato, Nobiltà, e diverse compagnie, presentò una corona d’oro tempestata di perle: il quale essempio di grata pietà poté molto appresso i confinanti popoli: quindi crebbe quel lodevole costume, che pure ancor’hoggi si mantiene, che le Città, Terre, e Castelli della Marca, e altresì di tutta l’Italia, e molte altre dell’Europa con solenne processione, e pompa rechino ogni’anno una corona, ò una città, ò vero qualch’altro dono d’oro, ò d’argento; e la detta città di Recanati ogn’anno nella festa dell’Annunciazione viene con l’istessa pompa a visitare questo Santuario. Torsel. lib. 2 c. 5.6.8.

     Nell’anno 1507 al 1 Settembre, morì il Cardinal della Rovere doppo di essere stato protettore 29 anni, e a li 21 Ottobre Giulio II  volle egli medesimo esser Protettore; levò il Vicario, e mise un Governatore, che havesse cura del Temporale, e Spirituale di questo Santuario, e comandò che facesse residenza in Loreto, e tra questo tempo detto Pontefice visitò questo Santuario. E del 1510 fu nominato governatore di Loreto Domenico Sebastoli d’Anguillara Arch. Loret. E per lo mese di Settembre di quest’anno, passando l’istesso Pontefice a Bologna, tornò a visitare questa Santa Casa, come dice l’Angelica che si trovò presente al suo arrivo, e del 1511 si cominciò il Palazzo Pontificio, e si fecero l’altre cose, che trattando di Giulio II dicemmo nel paragrafo sesto; e si fece la pila grande di marmo mischio d’acqua benedetta a spese di Girolamo Cernotis della Città di Arbe in Dalmazia; e l’anno 1512 ultimo di Giulio fù fatto Governatore il P. Fra Antonio Perotto Generale dei Silvestrini. Questo fece donatione dell’Abbadia di San Lorenzo di Castel Fidardo a questa Santa Casa, la quale con breve particolare confirmò l’istesso Papa, e l’anno 1513 Leone X concesse al detto Governatore che potesse celebrare la messa in habito Episcopale, e infine di essa dar la benedizione al popolo con Episcopale rito, e ceremonia. Torsel. lib. 2 c. 9.12,14.17.

     L’anno 1514 l’istesso Papa fece Protettore di questo Santuario Bernardo Tarlato, ò Divitio Cardinal di Bibiena, e confirmò nel Governo, Perotto; e nel mese di Giugno visitarono questo Santuario due Regine di Napoli chiamate Giovanne le Aroganesi, e il Papa a’ quattro di quello concesse indulgenza plenaria a tutti quelli che visitassero questo Santuario il giorno della venuta delle predette Regine. Con questa occasione si fece il camino di Monte Santo a Loreto, chiamato volgarmente Strada delle Regine; e alle 18 di Decembre diede il titolo di Collegiata alla Chiesa di Loreto, come si disse nel paragrafo sesto. Torsel. lib. 2 c. 15.16.

     L’anno 1519 era Governatore Romualdo Abbate Capisulonense, e al principio di giugno unì il Papa questa Santa Casa con quella di Recanati, comandando, che la governasse un medesimo Protettore, e Governatore, che si fabbricasse uno Spedale per i poveri pellegrini, e che infino da Carrara si portasse una gran quantità di marmi per l’ornamento della Santa Capella, e confirmò le Fiere di Recanati. Torsel. Lib.2 c. 16 Arch. Loret.

     L’anno 1520 accadde il miracolo del Sacerdote Dalmarino: come si disse nel paragrafo un decimo: e è fama, che il suo corpo fosse dentro la Santa Capella seppellito, e si crede esser quel corpo, che al tempo di Monsignor Cenci Vescovo di Jesi all’hora Governatore di essa, e al presente Cardinale, si scoprì dentro una cassa vicino al Santo camino: volendo Iddio che quello che per la difesa degli Santissimi nomi di Giesù, e Maria soffrì tanti tormenti, havesse il suo corpo per albergo, e sepoltura l’istessa Casa di Gesù, e Maria: favore veramente singolare, e a niun’altro fin’adesso concesso. E dell’istesso tempo liberò iddio un’altra volta questo Santuario dall’invasione di Selimo Imperador di Turchi Nipote di Maometto, il quale avendo dato il guasto alle riviere della Schiavonia, e della Puglia, e impadronitosi del porto di Recanati, e occise le persone, e brugiate le case, allettato dalla speranza della preda di questa Santa Casa, con grandissimo ardore indirizzava il camino a Loreto; ma alla vista del Santo Albergo di Maria persero tutti le loro forze, e temendo, e tremando furono miracolosamente scacciati. Conservò ancora Iddio in questo tempo intatta la Santa Casa dall’avarizia dei soldati cristiani, castigando l’esercito del Duca d’Urbino, che contra la volontà del Duca, sitibondo di questi Tesori, si inviò a Loreto con risoluzione d’involarneli; però Iddio mandò miracolosamente una frotta da affamati lupi, che saltando fuori dal bosco vicino a Monte Filottrano sbranarono molti, e ripressero l’ingordigia di tutti gli altri. Torsel. lib. 2 c. 19.20. E alli 8 Novembre di quest’anno morì il Cardinal di Bibiena doppo d’essere stato sei anni Protettore, e il Leone X sul1 di Decembre fece Commissario Apostolico Giuliano Rodolfo Priore di Capua, Cavaliero dell’habito di San Giovanni, e al di otto del medesimo mese fu nominato governatore di Loreto, e Recanati Rainaldo de Cancellariis Vescovo di Sant’Angelo in Lombardia. In questo tempo si diede principio all’ornamento di marmo, e si fortificò con nuove mura, belloardi, e artiglieria la Terra dei Loreto. Torsel. lib. 2 c. 21. Arch. Loret.

     L’anno 1522 Adriano VI fece Governatore di Loreto Pietro Flores Referendario Apostolico Vescovo di Castellamare, dandoli la medesima autorità, che aveva il Cardinal di Bibiena, come dice il Breve. Arch. Loret.

     Nell’anno 1523 alli 17 di Novembre Clemente VII fece Commissario Apostolico di Loreto, e Recanati, e Protettore di questo Santuario il sudetto Giuliano Rodolfo; e questo nominò suo Luogotenente Girolamo Mazzurillo d’Aversa Arciprete di Loreto, al quale il Papa l’anno 1525 a 15 di Settembre li diede titolo di Governatore. In questo tempo si levò a i Recanatesi tutta la giurisdizione, che tenevano a Loreto, e commandò che si dovesse continuare l’ornamento di marmo. Torsel. lib. 2 c. 22

Arch. Loret.

     L’anno 1527 fù fatto Protettore Gio: Matteo Giberto Vesc. di Verona, e questo nominò per Governatore Antonio Bonfio Commissario Generale della Marca, e doppo di lui fu Benedetto Bontempo. Quest’anno alli  11 d’Ottobre Papa Clemente VII dal castello di Sant’Angelo di Roma scrisse all’Arciprete, e al Capitolo di Loreto un breve, di mandando per suo riscatto, e delli Cardinali alcun soccorso di denaro, e subito li furono inviati tremila scudi. Torsel. lib.2 c. 24 Arch. Loret.

     L’anno 1528 il Vescovo di Verona protettore sostituì Governatore Alessandro de Praesbyteris Canonico Lanciano; e l’anno 1530 governò questo Santuario Antonio Benolo Arcivescovo di Ravenna Protonotario Apostolico. In questo tempo Clemente VII, tornando da Bologna, dove incontrò l’Invittissimo Carlo V, visitò questa santa Casa, e ordinò che si perfettionasse l’ornamento di marmo, parimente col Tempio, e cupola, e tutto ciò si esseguì a tempo di questo Pontefice, e del medesimo Protettore; e restituì il denaro, che aveva pigliato per suo riscatto l’anno 1527. In questo tempo molte Città, e Terre della Marca presentarono ricchi, e pretiosi doni a questo Santuario; e fra l’altre campeggiò grandemente il devoto affetto di Macerata, Fermo, Tolentino, Monte Santo, Monte Lupone, Monte dell’Olmo, Monte Alboddo, Monte Filattrano, e Massa offrendo ciascheduna una ricca corona d’argento, e le Città di Pesaro, Siena, e Verona presentarono i suoi ritratti fabbricati d’argento, oltre d’altri regali presentati da Principi, e persone divote.

     L’anno 1531 a i 23 di Giugno fu nominato Governatore Gio: Antonio de Statis Canonico di S. Pietro, e al tempo di questo l’anno 1532 si cominciarono a diseccare le paludi, tagliar le selve, e ad atterrare alcuni colli, che causavano mal’aria a Loreto; e del 1533 fù Governatore Bernardino Zenzano e in questo tempo  Girolamo Angelita compose l’Historia Loretana, qual dedicò a Clemente VII, il quale questo hanno inviò tre Camerieri suoi in Dalmazia, e a Nazaret, acciò s’informassero della verità di questo Santuario, e delle sue Traslazioni, come lo fecero, e noi l’habbiamo detto nel paragrafo sesto. Nell’anno 1534 a i 8 d’Aprile l’istesso Pontefice concesse agli habitanti di Loreto, che potessero i giorni festivi vendere a i pellegrini rosari, corone, medaglie, e altre cose di rivoluzione. Torsel. lib. 2 c. 24.25.26.29. Arch. Loret.

     L’anno medesimo a 21 di Decembre, Paolo III, nel principio del suo pontificato in luogo del vescovo di Verona mise Alessandro Argoli Vescovo eletto di Terracina col solo titolo di Governatore, come appare dal breve, e la governò quasi sei anni. Arch. Loret. non ostante il Torselino , che li da titolo di protettore, lib.3 cap. 2.

     Nell’anno 1535 il Governator Argoli d’ordine del Papa comprò da Castelli Fidardo i boschi vicini a Loreto con le vigne, Prati, e Oliveti; per la qual compra si spesero della Tesoreria del Papa sei mila scudi, oltre altre possessioni lungo il fiume Muscione, e fu restituita alla cura, nel dominio di Loreto (eccettuato il Tempio, e salvata la giurisdizione del Governatore sopra i Terrazzsani, e i pellegrini) a Recanatesi con tali condizioni, che eglino dovessero con gagliardo presidio difendere da Turchi questa Angelica Stanza, rinovare le mura, e mantenere a pellegrini le strade sicure da ladri, come sempre havevano fatto; e perciò li divoti, e magnanimi Recanatesi liberamente diedero ottomila scudi alla Camera Apostolica lib.3 c. 2.

     L’anno 1538 al 18 Decembre Paolo III Protettore il Cardinale Gasparo Contarini restando per Governatore il già nominato Alessandro Argoli; in questo tempo si fece la volta della Santa Capella, sotterrandosi nel pavimento, tutti i legni, travi, e coppi del di lei detto, e fù coronato con la bella balaustrata di marmo l’ornamento della medesima Santa Casa; la città di Macerata in questi stesso anno desiderosa di mostrare lo sviscerato affetto che sempre etiamdio dal principio del suo arrivo all’Italia ha portato a questo Santuario, le presentò un’altra bella, e curiosa corona d’argento indorato.

    L’anno 1540  a 8 di Marzo fu nominato Governatore Galeazzo Floremonti, e l’anno 1541 Paolo III ritornando da Lucca illustrò con la sua presenza questo Santuario, e a i 24 maggio del 1542 fu Governatore Francesco Carpo. Torsel. lib. 3 c. 4.10 Arch. Loret.

     In questo medesimo anno 1542 essendo il Cardinal Contarini Legato del Papa per Alemagna lasciò per vice Protettore il Cardinale Pietro Bembo, e al 1 Settembre di questo anno morì il Cardinal Contarini doppo essere stato Protettore tre anni, otto mesi e quattordeci giorni, e al 14 dell’istesso mese il Papa nominò per Protettore Rodolfo Pio Cardinal di Carpo, restando per Governatore Francesco Carpo. In questo tempo si fondò un Seminario di putti, e si fabricarono tre Hospitali, e l’anno 1543 Paolo III tornando da Genova visitò la seconda volta questo Santuario, e ordinò che si proseguisse la fabrica del Palazzo, come si fece. Torsel. lib. 3 c. 34.8.10. Arch. Loret.

     L’anno 1544 a 13 di Febraro il Cardinal di Carpo sostituì per Governatore Luigi

Vannino de Theodolis Vescovo Scalense, e doppo Bertinolense. Governò sette  anni. In questo medesimo tempo il Cardinal Protettore fece adornar con varie figure, e statue di marmo, e abbellire con fine pitture la sua Capella del Santissimo Sacramento; l’istesso fecero il Duca d’Urbino in quella dell’Annunziata, il Principe di Bisignano in quella di Sant’Anna, il Cardinale Cristoforo Madrucci Vescovo di Trento nella Capella del Rosario, il Cardinal Orbone Trucles in quella di San Gio: Battista, e l’Arcivescovo Altoviti in quella della Visitazione della Madonna a Santa Elisabetta, e del 1549 ultimo del Pontificato di Paolo III honorò il Signore questo Santuario, facendo apparire sopra di esso una come colonna di fuoco, la quale s’incamminava infino alla Chiesa di Santa Maria delle Vergini della Città di Macerata come dicemmo nel paragrafo sesto. Torsel. lib.3 c. 11 Srch. Loret.

     L’anno 1551 essendo Sommo Pontefice Giulio III a i 15 di Novembre il medesimo

Cardinal Protettore creò Governatore Gasparo de Doctis  Protonotario Apostolico, e governò undeci anni, e nell’anno 1554 il primo di  Novembre ad istanza del medesimo Cardinale si fondò il Collegio della Compagnia di Giesù della Penitenzieria. E l’anno 1555 a 25 Marzo il Cardinale Marcello Cervini dicendo messa nella Santa Capella, e apparendoli l’1544 Imperatrice del Cielo in sovrumana forma, e accompagnata da celesti spiriti hebbe rivelazione, che sarrebbe Papa, come tra pochi giorni accadde, e si chiamò Marcello II come si disse nel paragrafo sesto, e l’istesso anno a tempo di Paolo IV crebbe il numero de i soggetti del detto Collegio infino a quaranta; e la Città di Udine del Friuli fu liberata per intercessione di questa Madonna da una fiera pestilenza, la quale due anni dopo il rendimento di grazie per lo favore riciuto mandò a Loreto una compagnia di più di trecento Gentiluomini vestiti di sacco, li quali oltre delli privati doni, che offerirono, presentarono ancora a nome della detta Città ricchi, e curiosi regali. Torsel, lib. 3

c. 20.24.

     L’anno 1561 a 18 di Gennaro Pio IV confermò l’istesso Collegio della Penitentiaria, assegnandoli rendita. In questo tempo accadde il miracolo della pietra nella Santa Capella, quale con licenza del Papa Pio D. Gio: Soarez Vescovo di Coimbra, come si disse nel paragrafo decimo; la quale ricevuta con processione, e restituita nel suo luogo si conserva.a nostri tempi in memoria d’un miracolo cotanto notabile; e del 1562 a 21 di Gennaro il Cardinal Protettore fece Arciprete di questo Santuario il predetto Governatore Gasparo de Doctis; e’l 1563 fu nominato Governatore Loreto Lauro Prontonotario Apostolico; il quale ordinò si facesse il secondo Organo di questo Tempio, e in questo tempo Guido Ubaldo della Rovere Duca d’Urbino comprò una vigna, e la donò alla Santa Casa, acciò che il vino di essa servisse per le messe, e communioni di quella. Torsel. lib. 3 c. 12.21 lib. 4 c. 1.3.4.  Arch. Loret.

     L’anno 1564 a i 10 maggio doppo essere stato Protettore 21 anno 7 mesi, e 26 giorni, passò all’altra vita il Cardinal Rodolfo Pio, e l’istesso giorno Pio IV nominò il Cardinale Giovanni Morone, Protettore, e questo alle 25 Settembre sostituì Governatore Pompeo Palanterio Protonotario Apostolico; e a 16 di Decembre rinuntiando il Cardinal Morone la protettione, il Papa pose in suo luogo il Cardinale Giulio Felerio della Rovere figlio del Duca d’Urbino, restando nel governo il medesimo Palanterio il quale fece adornare di dentro con belle figure la cupola di questo Tempio, e coprirla di fuori con piastre di piombo, e comandò si fabbricasse la fontana, che sta nella strada del porto di Recanati. Torsel. lib. 3 c. 1.

     Nell’anno 1566 alli 6 di aprile essendo sommo Pontefice Pio V fu fatto Governatore Gio_Battista Marmovatio, al quale successe Ubaldo Venturelli Protonotario Apostolico, e del 1569 il Cardinale d’Urbino istituì Governatore il Conte Roberto Sassatello Referendario Apostolico. In questo tempo furono collocate nell’ornamento di marmo le statue dellediece Sibille, ed altrettanti Profeti lavorate le tre porte di bronzo dell’istesso ornamento, e istituite quattro compagnie, cioè del Santissimo Sacramento, della Misericordia, del Rosario, e del Nome di Giesù, e la prima fu principiata da certe divote persone della nazione Illirica, e di ordine del papa l’istesso Governatore comprò belli, e fertili poderi: come il Monte Orso nel Territorio di Recanati, e il Monte Turscione fu quello d’Osimo, altre Ville nel Rerritorio di Castelli Fidardo, e una buona possessione chiamata Acquacanina, con molte altre vigne, prati, boschi, spendendo in questo intorno a trenta mila scudi. E del 1571 essendo Pontefice nell’istesso Pio V a 7 di Ottobre s’ottenne quella celebre, e tanto segnalata Vittoria dell’armata turchesca per l’intercessione di questa Vergine di Loreto, (come vuole Torsellino con altri) a cui il Sommo Pontefice, il Generale, Capitani, e Soldati di essa si erano raccomandati. Torsel, lib. 3 cap. 14.15.21. Arch. Loret.

     L’anno 1572 governando la Chiesa Gregorio XIII e Protettore, e Governatore li predetti. Si fabbricò la fontana del Carpino, ed fu eretta una bella Croce di marmo, che ancora hoggidì persevera, e questo Santuario fu arricchito con i pretiosi doni di vari Principi, e in particolare di dieci Cardinali, e le città di Bologna, Milano, Ascoli, Recanati, come anche la terra di Monte Santo presentarono i loro ritratti lavorati d’argento.

     L’anno 1573 s’edificò la fontana detta comunemente delle bellezze, e furono lastricate, e mattonate le strade per dove si viene al Loreto, e del 1576 visitò questo Santuario Don Giovanni d’Austria, il quale imitarono molti Capitani, e Soldati dell’Armata Navale, e in particolare la maggior parte delli diece mila Schiavi Cristiani, i quali scampati dalle mani de’ Turchi vennero a render gratie alla Madre di Dio liberatrice loro; e delli ferri, e catene della loro schiavitudine si fecero i cancelli delle Capelle di questo Tempio. In questo stesso anno volse il Sommo Pontefice, che si guadagnasse il Giubileo plenissimo in questo Santuario, comandando, che per questo effetto s’accomodasse la strada di Roma a Loreto, e con quest’occasione il concorso fu assai grande, e notabile, che da tutta Italia e in particolare dalla Marca la visitò, comparendo ogni giorno gli huomini di sette, di otto, e talora di diece città, ò terre compartiti in belle schiere, e portando seco alla Madonna corone d’argento, grandi torchi pieni di monete d’oro, e argento, paramenti, calici, e non pochi altri doni, concorrendo con tal’ordine, e devotione, che facevano di se, e a cittadini del Cielo, e agli spettatori della Terra grandissima mostra. Però fra tanta moltitudine de popoli il Monte San Ginesio, nobil Terra della Marca, ottenne il primiero honore di quella di divota a pompa, venendo in numero intorno al mille (non comprese di le donne, e la plebe, che seguitava) portando divoti spettacoli, che rappresentavano varie storie dell’uno, e dell’altro Testamento, e molti di loro procedevano mortificati, e contriti, coperti di ruvido sacco, con le teste sparse di genere, e battendo con fiere sferzate le loro nude, e insanguinate spalle, cantando salmi, e altre devozioni apportando a tutti coloro che l’incontravano, non meno maraviglia, che  efficace essempio ad imitarli; leggasi il Torsellino  lib. 4 c. 23. Arch. Loret.

     L’anno 1577 essendo stato promosso al Vescovato di Pesaro il Governatore Roberto Sasatelli, il Cardinale d’Urbino nominò in suo luogo Giulio d’Amico Referendario Apostolico. In questo tempo la città di Palermo mediante un voto, e l’invocatione di questa Madonna scansò il pericolo della pestilenza, che aveva poco meno che infettata tutta la Sicilia, e in rendimento di gratie per cotanto favore, mandò a presentare una gran piastra d’argento, in cui si vede effigiata la Madonna sedente sopra la sua Santa Casa, e sotto a lei intagliata la città di Palermo; e l’anno 1578 a 10 di Gennaro Gregorio XIII fece Altare privilegiato per l’Anime del Purgatorio la Capella di Sant’Anna. Torsel. lib.4 c. 30 Arch. Loret.

   In quest’anno a’ 13 di Settembre essendo stato Protettore di questo Santuario 14 anni, quattro mesi e tre giorni, lasciò questa vita il Cardinal d’Urbino, restò a questo Santuario tutta l’argenteria, tapezzaria, e fornimenti pretiosi della sua Capella, e in luogo suo sostituì il Papa un’altra volta il Cardinal Giovanni Morone: questo fece Governatore Vincenzo Casale Canonico di S. Pietro, e Protonotario Apostolico, e al primo  di Decembre del 1580 morì il Cardinal Morone. Torsel. lib. 5 c. 1 Arch- Loret.

     L’anno 1581 al principio di Gennaro Gregorio XIII fece Protettore il Cardinale Filippo Vastavillano suo Nipote, il quale confirmò nel Governo Vincenzo Casale; e con la buona diligenza di questo Governatore crebbero molto le cose di questa Santa Casa; procurò d’aumentare l’entrata a i Canonici, ordinò che li Penitenzieri al tempo delle confessioni, oltre la cotta, usassero ancora la stola; istituì dodici chierici per servire alle messe, fece, e adornò il choro de i Canonici a ispese del Principe di Bisignano, e di varii voti di argento già invecchiati fece fare con eccellente lavoro dodeci statue de gli Apostoli, pesando ciascuna più di quaranta libbre. Fu il primo, che ad imitazione del Teremano l’anno 1578 fece scrivere il Compendio di questa Historia in otto linguaggi: Latina, Greca, Araba, Spagnola, Francese, Tedesca, Italiana e Illirica, e scritte in altrettante tavole, l’attaccò nelle colonne del Tempio; e in altre quattro di marmo fece scolpire tutte le indulgenze di questo Santuario, con privilegi concessi da Sommi Pontefici a i Protettori, e Governatori di esso. A suo tempo si istituì il Collegio Illirico, sotto la disciplina delli padri della Compagnia di Giesù, per educazione dei trenta giovani illirici di buon ingegno, e ottimi costumi, accioche dopo ritornando al suo paese con la loro dottrina, e virtù ivi per mezzo dei suddetti Padri apprese, insegnassero, e conservassero nell’aprile quella afflitta, e  addolora gente: questi sogliono tutte le Domeniche, e giorni di feste solenni con le sue cotte assistere in Choro nel tempo, che si canta il divino officio; finalmente abbellì, e dotò la Capella di S. Cristoforo di questo Tempio. Torsel. lib. 5 c. 1.2.3. Arch. Loret.

     Nel medesimo anno del 1581 visitò questo Santuario D. Giovanna d’Austria Figliuola di Ferdinando Imperatore Gran Duchessa di Toscana, la quale, tosto che di Recanati vidde questa S. Casa, smontò immantinente dalla lettiga, e quindi compì a piedi il rimanente del viaggio, e presentò alla Madonna ricchi, e pretiosi doni come si disse nel paragrafo ottavo.  E poco doppo Cristina, ò Cristerna Duchessa di Lorena paralitica di molti anni, con real corte di più di 500 persone, venne a Loreto e tosto che entrò nella Santa Capella con istupore, e ammirazione di tutti  guarì, e restò sana, come dicessimo nel paragrafo decimo, e offerì alla sua liberatrice Maria un cuore d’oro massiccio incoronato, una collana d’oro, una corona di perle, un manile fabbricato di gemme, palii d’Altare, pianete, tunicelle di tele d’oro fatte con mirabile’arte alla Damaschina, con una grossa limosina, visitò lo Spedale, donando ad un infermo due scudi d’oro, e Gregorio XIII gli mandò un Giubileo, che fu da lei, e da tutta la sua Corte divotamente ricevuto. Torsel. lib. 4 c. 25.26.  

     L’anno 1583 essendo disegnato Vescovo di Massa il Governatore Vincenzo Casale al li 8 di Ottobre, il Cardinal Protettore sostituì Vitale Leonori Canonico di Bologna Governatore di Loreto; e con la buona diligenza di questo si fabbricò la maggior parte della facciata del Tempio, e anche il Palazzo, o casa di ricreazione per li Governatori nel colle chiamato san Girolamo, il di cui contorno adornò con molte vigne, e deliziosi giardini; il medesimo a spese sue fece adornare, e abbellire con varie, e belle pitture la Capella della Concezione della Madonna. Torsel. lib. 5 c. 2 Arch. Loret.

     Nell’anno 1584 a li 17 e 18 ottobre Gregorio XIII e di due bolle, e le mandò allo stesso Governatore: nella prima gli inviò la Rosa d’oro (che ogni’anno suole il Papa benedire nella quarta Domenica di Quaresima) acciò a nome suo la presentasse alla Regina del Cielo; nella seconda mandò un’indulgenza plenaria a tutti quelli, che confessati, e communicati, si trovassero presenti alla processione che si doveva fare, e alla Messa Pontificale, che si doveva celebrare nella presentazione della predetta Rosa: cantò la Messa il Vescovo Marturano con l’assistenza del Vescovo di Recanati, e del Governatore di Loreto, d’altri molti Prelati, e grande concorso di gente, e in particolare del Sig. Marc’Antonio Florentia mandato dal Papa per portare la detta Rosa, e publicar l’indulgenza. Nell’istesso anno il Duca di Gioiosa venne da Francia a visitare la Santa casa: dove nelle otto giorni che vi dimorò, diede di non minore segni di liberalità, che di devozione comunicandosi in esso tre volte, e presentando 8000 scudi con due lampade d’argento di gran peso; e con questi danari si verificò non vince la parte del palazzo di Loreto. Rorsel. lib. 5 cap.4.5.7 Arch. Loret.

     L’anno 1585 dell’eminentissimo Nicolò Reitano cardinale di sé moneta della stessa casa di Bonifacio ottavo per lo singolare affetto, e cordiale di devozione a questa Madonna, e santuario suo, e per pegno delle grazie, e favori ricevuti dalla sua santissima mano, in memoria dello scoprimento di questo angelico tesoro nel Pontificato del predetto Papa suo parente, e lesse per sepoltura questo tempio, dove ancora sano, fece fabbricare un magnifico sepolcro in forma all’altare, abbellito con varie, e belle statue di marmo finissimo, collocandone in mezzo di esso un’altra di bronzo, che rappresenta la sua persona, con un’iscrizione nell’estremità di esse, scolpita in una tavola di marmo, siccome attualmente si vede nella cappella del Santissimo sacramento di questo santuario: dove dopo con gran pompa collocato il suo corpo con questo epitaffio: Qui abiterò perché scelsi questa.

Torsel. lib. 5 c. 7 e questo medesimo anno s’abbellì la Capella della Pietà con belle, e curiose figure di bronzo a spese di Barbara Maxilla gentildonna Recanatese. Arch. Loret. Visitarono ancora questo Santuario gli Ambasciatori Giapponesi, come dicemmo nel paragrafo ottavo. Rutil. Benzon lib. de Iubil. Et alli 17 di Marzo di questo medesimo anno il Serenissimo Duca di Baviera venne incognito a visitar questa Santa Casa, e offerì alla Madonna un libricciuolo d’oro massiccio in tre parti diviso, e in esse finissime, e divote imagini e la coperta adornata di preziose perle, e diamanti, il qual dono fu apprezzato ottomila scudi, e a nome della Duchessa sua consorte presentò una Croce di smeraldo, e un Christo resuscitato d’oro, col sepolcro composto di diamanti, rubini, e altre perle finissime, e un’anno prima fece presentare un candeliero d’argento di 80 libre lavorato con tal’arte, che in esso possono stare 24 candele, e assegnò un censo il 1100 scudi d’oro per le spese delle candele, accioche ogn’anno in quaranta solenni feste ardano, e attualmente sta pendente in mezzo della Santa Capella. Torsel. lib. 5 c. 6. In questo stesso tempo Gregorio XIII, desideroso di ingrandire questo Santuario, e la Terra di Loreto, ordinò che si dilatasse, e fortificasse il suo sito, a guisa d’una delle più nobili, e forti Città della Marca, e avendo cominciato questo suo desio, volle nostro Signore premiare le sue sante fatiche, morendo alli 10 d’Aprile di quest’anno, riservando Dio l’esecuzione di così buoni desideri ad altro Pontefice. Racconta questo Vittorio Briganti nel compendio dell’Historia di Loreto.

     L’anno 1586 Sisto V Piceno nel primo del suo Pontificato essendo Protettore, e Governatore li medesimi a’ 17 di Marzo fece Città Loreto, e la sua Chiesa Cathedrale, dandoli per Diocesi le Terre di Castel Fidardo, M. Cassiano, M. Lupone, e a 20 d’Aprile nominò suo primo Vesc. Francesco Cantuccio Perugino , il quale durò fino a’ 7 di Decembre di quest’anno, nel quale morì: questo prima di morire a spese sue principiò ad incrostare di marmo i pilastri, o colonne di questo Tempio, e lasciò nel suo testamento che s’adornasse con pitture la Capella della Natività della Madonna detta volgarmente del Cantuccio; e alli 23 dello stesso mese, e anno fu sostituito nel vescovato Rutilio Benzoino, il quale col suo governo, e colla penna grandemente illustrò questo Santuario. In questo tempo la Provincia della Marca abbellì con fine pitture, e curiosi lavori la Capella detta volgarmente della Provincia; l’istesso fece Simone Tagliavia Cardinale d’Aragona figliuolo del Duca di Terra nova con la Capella delle Santissimo Rosario detta comunemente l’Aragona.

Torsel. lib. 5 c. 10.

     L’anno 1587, al tempo dei i medesimi si diede principio alla fabrica dell’habitazione dei ministri di questo Santuario, e si fornì il frontespizio del Tempio, e si fabricò una buona parte del Palazzo; e alle 17 d’agosto di quest’anno morì il Cardinale Vastavillani, dopo di essere stato Protettore sei anni, e sette mesi e 17 giorni, e poco doppo morì Governatore Vitale Leonori, e alli 22 di Agosto Sisto V disegnò Protettore il Cardinale Antonio Maria Gallo vescovo di Perugia. E doppo di Osimo sua patria, antica Città della Marca;  il quale alli 24 del medesimo sostituì Governatore suo Zio ciò Francesco Gallo Osimano Protonotario Apostolico. In questo tempo il Protettore di ordine del Papa n’andò in Loreto, e prescrisse il modo, e assegnò le leggi, che si dovevano osservare nella creazione de novi  Magistrati, e nell’elettione de gli’altri offitiali: e alli 27 d’ottobre dell’istesso anno si fece la prima estrattione d’un Confaloniero, e tre Priori per governare la detta Città, e al primo di Novembre, avendo prestato il solito giuramento uscirono in pubblico con le insegne del Magistrato, e Arme della nuova Città, che sono uno sudo, e in esso tre Monti, e sopra quello di mezzo si vede collocata la Santa Casa, con l’imagine della Madonna di sopra del modo che si suole pingere, e sopra ciascuno degli altri, due rami di pero; e alli 24 di Decembre la Provincia della Marca il rendimento di grazie d’havere Sisto V honorato, illustrato la lor Provincia con varie Porpore Cardinalizie, e nobilitatola con altrettante Città, e in particolare Loreto, e il suo Santuario con tanti privilegi, grazie, e esentioni, gli eresse una bellissima statua di bronzo, e per lo stesso tempo si scolpirono in tre tavole di marmo tre iscrittioni la prima sopra la fenestra grande della facciata del Tempio e dice così:

CASA DELLA MADRE DI DIO
DOVE IL VERBO SI FECE CARNE

La seconda contiene come questa sul Chiesa fu fatta cattedrale dell’ordine di

 Sisto V e sta scolpita sopra la prima porta del Tempio, e è questa:

SISTO V PONTEFICE MASSIMO PICENO DA COLLEGIATA COSTITUI’

CATTEDRALE QUESTA CHIESA. 16 KALENDE DI APRILE ANNO 1586

ANNO PRIMO DEL PONTIFICATO.

La terza contiene come l’istesso Pontefice diede titolo di Città al Loreto, e è collocata sopra la seconda porta picciola del medesimo Tempio, e dice così:

SISTO V PONTEFICE MASSIMO PICENO ORNO’ IL CASTELLO DI LORETO

CON LA DIGNITA’ EPISCOPALE E CON LA GIURISDIZIONE DI CITTA’

ANNO DEL SIGNORE 1586 PRIMO DEL PONTIFICATO

     L’anno 1588 essendo destinato al Governo della Città di Imola nella Romagna il Governatore Gio: Francesco Gallo, fu nominato in suo luogo Girolamo Gabuccio Referendario Apostolico; questo ordinò, che si facesse la scalinata di pietra di Istria per entrare nel Tempio, e la lanterna sopra la cupola dell’istesso Tempio ornata con otto colonne dell’istessa pietra alte nove piedi; e per la sua buona diligenza le Communità di questa Provincia fabbricarono un buon numero di case, e ordinò si fabbricasse l’hospizio alli Frati Cappuccini, e alle 24 di Luglio del 1580 il medesimo Protettore donando una grande quantità di ducati alla Città di Loreto istituì in essa il Monte della Pietà per soccorrere ai poveri nelli loro bisogni. Torsel. lib. 5 c. 12.

     L’anno 1590 a tempo d’Urbano VII fu Governatore Andrea Bentivoglio Bolognese, e nel suo tempo si disegnarono le tre curiose, e sontuose porte del Tempio, e si fabbricò la porta Romana di questa Città, e a spese di Gio: Battista Mazza Canonico di Loreto s’abbellì la Capella della Circoncisione detta communemente del Giesù, e l’istesso anno fu Governatore Fulvio Pauluccio Protonotario Apostolico, e governò a tempo di Gregorio XIII . Innocentio IX infino al principio del pontificato di Clemente VIII. Torsel. lin. 5 c. 18 Arch. Loret.

     L’anno 1592 a’ 22 d’Aprile primo del Pontificato di Clemente VIII fu un’altra volta fatto Governatore Gio: Francesco Gallo; e a 31 di Novembre Cesare Speciano Vesc. di Cremona, e Nuntio Apostolico nella Corte dell’Imperatore mandò in Loreto una fede autentica del capo di S. Gerione Martire, il quale fu presentato a questo Santuario da Donna Polixena Pernestaim Viceregina di Boemia e da donna Giovanna Manrique di Pernestain Moglie di Don VVrastislau di Pernestain Cavaliere del Tosone gran Cancelliero di Boemia, e del concilio dell’Imperatore.

Torsel. lib. 5 c. 21, e del 1593 furono presentati a questo Santuario pretiosissimi regali da vari Principi, e in particolare Ferdinando de Medici Granduca di Toscana mandò una galera d’argento in memoria d’essere state liberate da peste le sue galere per intercessione di questa Vergine, e attualmente sta pendente dell’ingresso della sala del Tesoro. Veda gl’altri chi vorrà nell Torsellino lib. 5 c. 20.21. E del 1591 Christiana Gran Duchessa di Toscana moglie del detto Ferdinando visitò questo Santuario vestita in forma di Pellegrina, e non solo l’honorò con la sua presenza, e esempio singolare di divotione, ma etiandio l’arricchì con molti, e preziosi doni, venne a piedi da Recanati, e offerì palii, pianete, e altri paramenti di broccato riccio soprariccio di stupendo lavoro, e vettovaglie,  ripieni di gentilissimi le imagini del Profeti, Sibille, Apostoli, e Evangelisti, fra ramuscelli, e fiori maestrevolmente inserte, il valore dei quali eccedono otto mila scudi. Torsel. lib. 4 c. 21. Fù ancora a spese di Vittorio Briganti canonico d’Ancona ad ornata, e abbellita la Capella della Madonna del Soccorso. Quest’anno diede fine alla sua Historia Loretana il Padre Horatio Torsellino e del 1595 per ordine di Clemente VIII il Cardinal Gallo ordinò che si scolpisse in una tavola di marmo dell’ornamento l’iscrizione dell’Historia di questo Santuario, come si disse nel paragrafo quinto, e del 1596 abbellì la sua Capella di Sant’Antonio il Governator Gio: Francesco Gallo. Arch. Loret.

L’anno 1598 alli 23 d’Aprile Clemente VIII nel viaggio che fece a Ferrara, passò per Loreto, dove si trattenne tre giorni, e in essi celebrò sempre Messa, nella Santa Capella e ritornando nel mese d’Agosto del medesimo anno, volse un’altra volta onorare con la sua presenza questo Santuario, e ivi concesse, e offerì tutto ciò che dicemmo nel paragrafo sesto e lo riferiscono il Torsellino, e l’iscrizione di marmo, che in una colonna di questo Tempio comandò che si mettesse il Cardinal Gallo. Torsel. lib. 5 cap.20. Nell’istesso tempo Ludovica Reina di Francia mandò a presentare un cuore d’oro con un grosso smeraldo in mezzo tempestato di molti diamanti, e rubini con l’arma sua, e del suo marito Henrico III scolpita in esso. Et il cardinale Aldobrandino Nipote di Clemente VIII presentò un mobilissimo manto formato d’una grossa piastra d’argento da eccellente mano lavorata, indorata, e smaltata: vedesi in essa di basso rilievo scolpita la città di Ferrara col suo Territorio, e effigiato il Cardinale istesso. Arch. Loret.

     L’anno 1599 fu governatore Filippo Bartele, a cui successe doppo Tiberio Orfino ambedue Protonotari Apostolici. Et in questo tempo il duca Ranuccio Farnese venne la PR Loreto incognito non più che con tre gentiluomini in abito da pellegrino, e volle etiandio dall’osteria da solo alla Santa Casa scalzo, e offerì alla Madonna una grossa limosina, e la Serenissima Arciduchessa  D Maria d’Austria Madre della Reina Cattolica tornando da Spagna visitò questo Santuario, e donò una grossa limosina per incrostare di marmo quella parte della Chiesa, che circonda la Santa Casa, con offerta di supplire, se di maggior somma vi fosse stato bisogno. Arch. Loret.

     Nell’anno 1600 Clemente VIII alli 17 di  Giugno concesse al Protettore, Governatore, e altri Sacerdoti, ò Chierici di questo Santuario, che potessero senza incorrere nell’irregolarità catturare, e far prigione, e anche mettere in mano della giustizia secolare tutti quelli che trovassero rubbando le cose di questa Santa Casa, e in questo medesimo tempo si cominciò a fabricare la Sacrestia del Tesoro; e l’anno 1602, fu Governatore Francesco Basso da Ravenna, e in questo tempo del Pontificato di Clemente VIII si fece la fonte del Battesimo tutta di bronzo, ad ornata con tali figure, e abbellita con tali fregi, che senza essageratione può campeggiare tra l’altre simili opere di tutta l’ Italia. Arch. Lauret.

     L’anno 1605 essendo éontefice Paolo V si fabbricò la magnifica Sala del Tesoro, e si cominciò a dipingere dal Cavaliere Cristoforo Roncale da Pomerancio famoso pittore, e nel medesimo tempo si fabbricò il Condotto che va da Recanati a Loreto, come appare da una Bolla di Paolo V spedita a questo effetto. Arch. Lauret.

     L’anno 1607 per la morte di Francesco Basso fu sostituito Governatore Rutilio Matuccio, e a 17 di Settembre successe Tiberio Petronio Protonotario Apostolico, nel cui governo l’anno 1609 s’abbellì con fine pitture la cupola del Tempio per mano del medesimo Cristoforo di Pomerancio; e l’anno 1612 si ridusse a perfettione la Sala del tesoro, come appare dall’iscrittione che in essa si vede. Arch. Loret.

     Nell’anno 1613, la Città di Loreto in memoria dei beneficii ricevuti dall’Eminentissimo Cardinal Antonio Maria Gallo Vescovo d’Osimo, e Protettore di questo Santuario, e massime per avere ad istanza sua Sisto V fatta Città Loreto, e la sua Chiesa Catedrale, dandoli Vescovo, e assegnandoli Diocesi gli eresse una statua di bronzo, con una bella iscrittione nella facciata del Palazzo della Communità. Arch. Loret.

     L’anno 1614 a 29 di Luglio in assenza di Tiberio Petronio restarono per Luogotenenti Isidoro Matuccio Arcidiacono di Loreto, e il Canonico Stefano Delfino, e alli 22 di Novembre fu nominato Governatore Ottavio Orfino Protonotario Apostolico. Questo anno s’instituì la Confraternita di S. Carlo, e a’ 29 di Novembre dell’istesso anno fu aggregata all’Arciconfraternita de i Santi Ambrogio, e Carlo di Roma con licenza del Protettore di essa il Cardinale Paolo Sfondrato; in questo tempo fu Vescovo di Loreto, e Recanati l’Eminentissimo Cardinal Arceli. Arch Loret

E l’anno 1615 il Cardinal Gallo a tempo dell’istesso Governatore in memoria de i benefitii, che questo Santuario ha ricevuto da Ferdinando Arciduca d’Austria, comandò, s’intagliassero in un marmo le sue arme con un’iscrittione honorifica, e che si collocassero in una colonna del Tempio; e l’anno 1619 la onfraternita di S. Carlo adornò la sua Capella con belle, e curiose pitture. Archivio Loretano.

L’anno 1620 a’ 20 di Marzo doppo di essere stato Protettore trentatre anni, sette mesi, meno due giorni, passò a miglior vita il Cardinal Antonio Maria Gallo insigne benefattore di questo Santuario, a cui deve il suo maggior splendore, poiché con la sua protettione, e governo in tempo di sette Pontefici Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV, Innocentio IX Clemente VIII, Leone XI, Paolo V collocò questa Casa nello splendore, e grandezza, con la quale al presente si trova. Doppo in luogo di questo al primo d’Aprile Paolo V sostituire il Cardinale Scipione Borghese suo Nipote, il quale confermò nel governo Ottavio Orsino, e a 15 di Luglio si diede la sopraintendenza del Refettorio, ò tinello delli poveri Religiosi, Sacerdoti, ò Vhierici, alli Frati Cappuccini e Papa Paolo V, dichiarò che questo Santuario, e la Città non fosse soggetta ne al Legato della Marca, ne alla Rota della medesima Provincia, nemmeno ad altra giurisdizione secolare, che dei ministri ufficiali, e familiari appartenenti alla Santa Casa fossero essenti d’ogni altra giurisdizione spirituale fuorché da quella del Protettore, e Governatore di essa, come appare da dui Brevi, che cominciano, La divina clemenza disponente, e Fra innumerevoli cure, l’uno spedito a 14 luglio, e l’altro alle 11 settembre di questo anno.

     L’anno 1621 alli 19 di Giugno al tempo di Gregorio XV essendo promosso il Governatore Ottavio Orsino alla Chiesa di Venafro, il Cardinal Borghese Protettore raccomandò la cura del Governo a Marcello Pignatelli Vescovo di Jesi, e alli 3 di Luglio del medesimo anno fu dichiarato Governatore e alli 10 di Ottobre morendo questo, fu assegnato in suo luogo per Governatore Ottavio Fugini. In questo anno fu nominato Vescovo di Loreto, e Recanati il Cardinal Giulio Roma milanese. Arch. Loret.

     L’anno 1622 alli 20 d’Aprile  fù fatto Governatore Tiberio Cenci Vescovo di Jesi, e al presente Eminentissimo Cardinale di Santa Chiesa; e in tempo di questo essendo Pontefice Gregor. XV s’eresse, e mise in ordine la Fontana in mezzo alla piazza del Tempio, e Palazzo, adornandola con belle statue di marmo, e figure di bronzo, la quale prima di morire fece lavorare, e intagliare il Cardinal Gallo; facendosi l’Hospizio degli Frati Francescani dell’Osservanza con la buona diligenza di Don Francesco Gentile canonico di questa Santa Casa e nel Pontificato di Urbano VIII fece fabbricar la Sala grande del Palazzo; e al tempo di questo il Serenissimo Arciduca Leopoldo in rendimento di gratie di essere stato liberato per due volte dall’assedio dei suoi nemici per intercessione di questa Madonna, mandò a presentare un ricco, e ben lavorato ritratto della Città di Taveroa nell’Alsazia nella quale fu assediato. Arch. Loret. E l’anno 1627 d’ordine del Cardinal Borghese Protettore collocò in una colonna del Tempio l’Arma di Ranuccio Farnese Duca di Parma insigne benefattore di questo Santuario con una una honorifica iscrittione; e l’anno 1631 Donna Maria d’Austria Infanta di Spagna Regina d’Ungheria, e poi Imperatrice, visitò questa Santa Casa, e presentò alla Madonna un’Aquila Imperiale d’oro di gran prezzo tempestata con ricchissimi diamanti. Arch. Loret.

     L’anno 1633 nel mese di Settembre la Serenissima Repubblica di Venezia per avere per l’invocazione di questa Signora scanzato il pericolo della peste, mandò a presentare una lampada d’oro di trentasette libre di peso; e alli 10 di Decembre di questo medesimo anno, doppo di essere stato protettore tredici anni, e otto mesi, e diece  giorni morì il Cardinale Scipione Borghese, il quale lasciò alla Santa Casa una bella, e ricca croce, e due candelieri d’argento indorati con diece mila scudi, e l’istesso giorno Urbano VIII sosteituì il cardinal Antonio Barberini non suo Nipote, il quale non solo con la sua protettione ha favorita questa Santa Casa, ma anche con la sua presenza l’ha honorata spesse volte, e con la sua liberalità degna degna d’un cotal Principe l’ha arricchita con i suoi doni, li quali e per la curiosità del lavoro, e per la ricchezza di essi non lasciano di spiccare tra gli altri; e alli 10 del medesimo mese nominò Governatore Emilio Altieri Vescovo di Camerino, e al presente Nunzio del Papa nel Regno di Napoli; e l’anno 1634 il luogo del Cardinal Roma fù fatto Vescovo di Loreto, e Recanati, l’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Amico Panico da Macerata Conte di Castel Falcino, e Petrella, Prelato veramente vigilantissimo, e divotissimo di questa Vergine, il di cui Santuario, e Casa frequentemente visita, e honora con la sua presenza; e del 1635 alli 24 di Gennaro fu nominato Governatore Pietro Martire Merlino Protonotario Apostolico, che doppo morì Governatore di Benevento, in tempo di questo si fabricò la Cavallarizza, e a 15  di Luglio Ferdinando III Imperatore Re di Boemia, e Ungheria in rendimento di gratie, d ‘haver ottenuto un figlio (che al presente è già coronato Re di Boemia, Ungheria, dell’uno ereditario e dell’altro eletto) mandò il Baron di Tras suo Cameriero, acciò a nome suo, e del pargoletto principe visitasse la Santa Casa, e offerisse un bambino d’oro con un vezzo di preziosi diamanti. Arch. Loret.

     L’anno 1640 il Cardinal Sant’Onofrio fratello d’Urbano VIII e Penitenziario Maggiore non contento d’aver presentato ricchi, e pretiosi doni a questo Santuario, volse ancora fondare l’Hospizio alli Frati Capuccini, e a’ 20 d’Ottobre il Cardinal Antonio Protettore creò Governatore di questo Santuario monsignor Caetano Referendario Apostolico dell’una e dell’altra Signatura, e al suo tempo non ostante le guerre dell’Europa, e in particolare dell’Italia, per industria, e diligenza sua si è aumentato grandemente questo Santuario con nuovi poderi, accresciute le sue entrate, allargata la Città con nuove strade, e le fabriche, distesa la piazza, ordinata l’Armeria, fortificata con nuovi beloardi, e artiglieria la Rocca, fabricati li Magazzeni, mantenuto sempre la Città in abbondanza, e procurato che la Repubblica di Venezia esentasse di gabelle, e datii le cose, che per servizio della Santa Casa se estraggono dalla sua Città, e dominio. Arch. Loret.

     L’anno 1643 al 8 d’Agosto la Città d’Ancona presentò a questo Santuario un ritratto della sua Città da eccellente mano lavorata con una limosina di trecento scudi, e per lo mese di Settembre il Serenissimo Principe Gio: Casimiro (si come si disse nel Paragrafo ottavo) visitò questo Santuario, e lasciando il mondo, si fece Religioso della Compagnia di Giesù, e la maggior parte delle due anni, e  mezzo, che è stato nella Compagnia, ha dimorato nel Collegio di Loreto.

E l’anno 1644 per lo mese di Maggio la Città di Fermo col suo Governatore, Magistrato, Nobiltà, e dodeci compagnie venne in processione a Loreto, e presentò una elemosina di quattrocento scudi; e per il mese di Decembre visitò questo Santuario Donna Maria Infanta di Savoia figliuola del Duca Carlo Emanuelle, e prima cugina del Cattolico Re Don Filippo IV in forma di pellegrina, vestita di un umile, e divoto habito del terzo Ordine di San Francesco, imitandola la sua famiglia e comitiva nella livrea, e havendo dimorato alcuni giorni con ritiramento grande, e di divotione, ella stessa adornò le teste della Madonna, e del Bambino Giesù con due corone d’oro tempestate con molte perle, e ricchissimi diamanti; e del 1645 in assenza del Cardinale Antonio Barberino non Protettore il Sommo Pontefice Innocenzo X nominò per comprettore il Cardinal Gio: Battista Pallotto Piceno, il quale questo Santuario riconosce per particolare divoto, e benefattore suo, e nell’istesso anno Perugia Città dell’Umbria mandò a presentare una Lampana  grande d’argento. Arch. Loret.

     L’anno 1646  a 10 di Giugno (nel quale l’Autore di questo Santuario diede fine alla sua Historia) e sono 352 anni, e mezzo della Venuta di questo Santuario in Italia l’Almirante di Castiglia mio Signore, e Padrone e Vice Ré di Napoli, e Ambasciatore Straordinario del nostro Cattolico Ré Don Filippo IV nella Corte di Roma, doppo di havere a nome del suo Ré resa la dovuta obbedienza al Sommo Pontefice, prima di trasferirsi in Ispagna, volse in compagnia di sua moglie, figliuoli, e numerosa famiglia visitare questo Santuario, al quale presentò un ricchissimo Frontale con una pianeta, tutta ricamata di fregi d’oro. E per lo mese di Ottobre la Città di Valdosta di Savoia per la liberazione dalla peste per intercessione di questa Madonna presentò un bello, e non men curioso ritratto d’argento delle stessa Città, accompagnando il dono con una buona limosina; e tra poco il Vescovo di Samogitia della Polonia, mandò a presentare a questo Santuario una bella ricca Lampana d’ambra gialla curiosamente lavorata; e alli 10 di Decembre di questo medesimo anno visitò questa Santa Casa il Prencipe Maometto Celebi Primogenito del Ré di Tunisi nell’Africa dopo essersi convertito alla Cattolica fede, e battezzato in Palermo di Sicilia, come si disse nel Paragrafo ottavo. Arch. Loret.

     L’anno 1647 a 13 di Maggio la Confraternita della Misericordia di Livorno venne in processione, e presentò a questa Madonna una tavoletta di gloria d’argento adornata con diverse gemme; e al primo di Settembre il Duca di Parma con la Duchessa sua Madre, due sorelle, e la Principessa Vittoria sua Zia visitò questo Santuario, e a nome del Duca suo Padre donò dieci mila scudi con altra grossa limosina; e ultimamente alli 22 dell’istesso mese venne in processione la Terra di Cingoli col suo Contado, e presentò alla Madonna il solito regalo, che ogni cinque anni suole presentare, mostrando non meno il suo cordial’affetto, come anche la sua liberalità verso questa Santa Casa di Maria.

     Altre molte cose si sono fatte, e successe al tempo di questi Protettori, e Governatori, delle quali parte havemo registrato nel discorso di questo Santuario, e massime nel paragrafo stesso trattando de’ Pontefici, e parte ne abbiamo lasciate per brevità, rimettendo il lettore a gl’Autori, che più distesamente ne trattano; ne meno ho fatto qui mentione di tutti li preziosi doni, che in diversi tempi, e occasioni sono stati presentati a questa sovrana Signora; percioche puole con facilità saperli, e aver cognitione delle persone, che gli’hanno offerti, quello, che contempla la magnifica Sala del Tesoro, ove con mirabil’ordine sono collocati, e per quelli che non possono venire a vederli, basta dire, che in numero, e qualità sono tanti, che per descriverli, e registrare desiderano penna più delicata, e dei soli questi si può comporre un ben grosso volume.

P A R A G R A F O   X I I

S’insegna il modo, col quale il divoto Pellegrino

ha da visitare questo santuario.

     Molti hanno scritto di questa materia, solamente io not uomo arò qui ciò che giudicarà esser più necessario, acciò che il divoto pellegrino visiti con profitto dell’anima sua questo Santuario, e ottenga il fine per lo quale si partì dal suo paese, e intraprese così tanto, e divoto pellegrinaggio.

I. Procuri, che il fine del suo pellegrinaggio sia honesto, e virtuoso senza lasciarsi tirare dalla vana curiosità, ò  interesse temporale. Intraprenda adunque questo viaggio si tanto per solo profitto della sua anima, con pura intentione di ottenere le grazie che desidera; e supposto che quì si diede principio alla salute degli uomini per mezzo dell’Incarnazione del Verbo oprata in questa medesima Casa, si incamini con desiderio, che si dia principio alla sua, e non si scordi di pregare il nostro Signore Dio per l’anime del purgatorio.

II. Procuri prima di cominciar il suo Pellegrinaggio, confessarsi, e communicarsi, e quando ciò non potrà fare non parta prima di visitare alcuna Chiesa, ò Capella consagrata a Christo, ò alla Madonna, e ivi prostrato in terra facci un atto di contritione dolendosi di cuore dei suoi peccati e d’haver con essi offeso un Dio degno d’essere amato sopra tutte le cose, e dopo supplichi li conceda grazia efficace per resistere alle tentationi, e assalti del Demonio, e fortezza per sopportare con pazienza, e frutto la fatica del viaggio.

III. Ogni giorno al principio del camino dica alcuna divotione, come l’Itinerario, le Litanie della Madonna, ò de i Santi col  Sotto il tuo presidio, ovvero  la Salve Regina il Rosario, ò Corona della Madonna, ò quella di Giesù Christo, ò qualche altra sua particolare divotione, e per andare Santamente impiegato, saria di gran profitto contemplare alcuni delli Pellegrinaggi che Giesù, Maria, e Gioseppe fecero, partendosi da questa Santa Casa, e ritornando in essa, e acciò possa esseguire questo con facilità, legga il primo paragrafo di questo Santuario; e procuri dare alcuna elemosina a i poveri, e massime a pellegrini.

IV. Subito che da lontano scoprirà questo Santuario saria bene ad imitaztione d’alcuni Santi, come San Luigi Ré di Francia, San Carlo Boromeo, e molti altri celebri in santità, e nobiltà, smontare da cavallo, e con le ginocchia in terra salutare la Madonna con qualche breve, e divota oratione, e se può seguiti a piedi il restante del viaggio col Rosario nelle mani recitando divotamente, ò discorrendo delle grandezze di questo Santuario, e de gli miracoli oprati in esso ad imitazione delli predetti Santi.

V. Arrivando, il suo primo, e principale studio sia il bene, e profitto dell’anima sua, e non la comodità del corpo, entri nel Tempio con grande divotione, e profonda umiltà confessandosi per indegno d’entrare in un luogo dove hanno dimorato li maggiori, e più Santi personaggi del mondo; molti sogliono entrare in ginocchioni: in questo facci quello, che lo Spirito Santo li detterà

VI. Saria utile confessarsi prima d’entrare nella Santa Capella, à quando ciò non si potesse, rinovi l’atto di contritione, e con divotione umile entri in essa, imaginandosi che entra nel Sancta Sanctorum, e nella stessa Casa di Giesù Maria, e Gioseppe, baci le sante mura, che tante volte hanno toccate con le sue sante mani, Venere Ida Madonna, la quale in questo Santuario fù conceèuta, nacque, e concepì il Verbo eterno, dicali questi, ò simili parole: Regina degl’Angeli, Imperatrice del mondo, Monarca dell’universo, e Madre verissima dell’Onnipotente Dio, io mi compiaccio, mi rallegro; e mi congratulo con voi per li doni, privilegi, favori, e grazie segnalaltissime, che dall’eterno Dio vi sono state concedute in questo Santo luogo. Doppo chiedali le grazie, delle quali ha bisogno, offeriscali gli suoi figliuoli, famiglia, e tutte l’altre cose conforme al suo stato, e quel che più importa presenti il suo cuore, e l’anima sua supplicando alla medesima Madre di Misericordia li conceda grazia di fare una buona confessione e avvertendo di non entrare con armi per esser proibito entrar con esse in questa Santa Capella pena di Scommunica.

VII. Fatto il dovuto esame dell’i suoi peccati, butti se ai piedi del Confessore, e si confessi interamente di quelli con dolore, pentimento, e proposito del emendarsi, e per li riservati vada ad alcuno dei Penitenzieri per l’assoluzione di essi conforme la nazione, perché quì li ritroverà di diverse nazioni, Italiana, Spagnola, Francese, Tedesca, Polacca, Illirica, e Greca, e l’Italiana quasi tutti la sanno, o la intendono, oltre la latina commune a tutti.

VIII. Fatta la confessione potrà comunicarsi nella Capella destinata a questo fine, che è  quella del Santissimo Sacramento, il quale amministra uno de’ i Padri Penitenzieri a vicenda, e se desidera communicarsi nella Santa Capella ottenga licenza la Monsignor Governatore, a cui tocca concederla, ò vero a quelli, che saranno da lui designati; e doppo rese le dovute grazie potrà trattenersi in vedere le Sante Scudelle, e l’altre reliquie, che ogni dì a verntidue hore si mostrano a tutti li Pellegrini. Potrà anche vedere il Tesoro, che molte volte nel giorno, e in particolare nella mattina a hora di terza, e doppo desinare a hora del Vespro si suol mostrare; visiti ancora l’Gospitale; e veda parimente tutto ciò sarà più degno d’esser visto in questa Santa Casa, Tempio, e Città.

IX. Non si parta da Loreto senza domandare con humili preghiere la benedittione alla Madonna, rinnovandone nella sua presenza i suoi voti, e buoni propositi, e saria assai utile notarli in una carta per ricordarsi di essi, chiedendo gratia per adempirli, e perseverare in essa fino alla morte.

X. Ultimamente se desidera qualche reliquia di questa Santa Casa per sua consolatione e divotione, avverta che è vietato dalli Sommi Pontefici il levare, ò dare reliquie delle sante pareti, ò altre cose appartenenti alla Madonna; nondimeno potrà procurare qualche pezzetto di candela, di quelle che ardono nella detta Capella, dell’olio della lampana ivi ardente, dell’acqua che è stata nelle sante Scudelle, ovvero alcune misure della Madonna, e del Bambino Gesù, per mezzo delle cui cose ha oprato il Signore, come riferisce il Torsellino, e d‘ordinario opera moltissimi miracoli, e per ricordarsi tutto questo, e haver memoria di quello che ha visto, e per sapere con brevità la grandezza, Santità, Traslazioni, e msravigliosi prodigi di questo Angelico Santuario, e Santa Casa procuri avere alcuno di questi compendiii e per gloria di Dio Figlio, Maria

Madre, e Gioseppe Sposo, che siano sempre lo- dati per li secoli de i secoli. A

AVVERTENZA AL LETTORE

     Per consolatione de Pellegrini, e di molti Habitatori di questa Città, ho giudicato avvertire, che oltre l’indulgenza plenaria perpetua concessa da Clemente VIII e molte altre parimente perpetue, che i Sommi Pontefici in diversi tempi hanno conceduto, e alcune particolari concesse alle cinque Confraternite, che in questa Santa Casa sono state fondate, cioè quella del Santissimo Sacramento, della Misericordia, detta volgarmente della Morte, del Rosario, di San Carlo, e di San Gioseppe. Leone X anche istituì lì sette Altari delle stazioni di Roma in altrettante Capelle; quali sono quella della Trinità, del Giesù, San Carlo, San Cgristoforo, la Concettione, la Pietà, e Santa Anna, nelle quali si guadagnano l’indulgenze delle Stazioni di Roma non solamente al tempo dell’Avvento, e Quaresima, ma etiandio nelli altri giorni dell’anno, ne i quali ci sono Stazioni dentro, e fuori di Roma. Ci sono ancora cinque altri Altari dove si guadagnano le stazioni del Santo Rosario, e sono l’istessa Capella del Rosario detta l’Aragona, l’Annunziata, Santa Elisabetta  chiamata Altoviti, quella della Provincia, e l’Annunziata del Duca. Ultimamente Gregorio XIII fece Altare privilegiata per l’Anime del Purgatorio la Capella di Santa Anna Madre della Madre di Dio, concedendo a tutti li Sacerdoti, tanto Regolari come Secolari che in qualunque dì dell’anno diranno Messa in essa possino cavare un’Anima dal Purgatorio. L’altre indulgenze habbiamo notate nel paragrafo sesto di questo Santuario, solamente ho giudicato mettere quì queste, accioche con facilità si sappiano gl’’Altari, ne’ quali si possono guadagnare, e parimente animarsi ad acquistare tesoro così grande.

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Imprimatur.

Amicus Episc. Lauretanus, e Recanatensis

Imprimatur.

Papirius Episc. Maceratae, e Tolentini

Imprimatur.

Vincentius Paulinus Magister Inquisitor

Generalis Anconae

T A V O L A   D E   P A R A G R A F I

Di questo Santuario Loretano

Misteri oprati in questo Santuario, e Angelica Casa stando in Nazaret. Parag. I

Pagina                                                                                                                            9

Honorano, e visitano questo Santuario l’Imperatrice Santa Elena, San Luigi Re di Francia, altri Santi, e Principi del mondo. Parag. II                                pag. 11

Fa trasportato da gl’Angioli questo Santuario da Nazaret a Dalmazia, e da la Dalmazia in Italia, miracoli operati, e diligenze fatte da Marchigiani. Parag. III

                                                                                                                                pag.  12

Si descrive questo Santuario con l’Imagini della Madonna e del Bambino Giesù, e del modo, col quale al presente si trovano. Parag.IV                               pag. 15

Si descrive l’Ornamento di marmo col quale questo Santuario è d’ogn’intorno coperto. Parag. V                                                                                                  pag. 18

Indulgenze, e privilegi concessi da Sommi Pontefici a questo Santuario

Parag. VI                                                                                                         pag. 20

Favoriscono li Sommi Pontefici questo Santuario instituendo in esso la Penitenzieria Apostolica. Parag. VII                                                           pag. 23

È honorato e arricchito questo Santuario con la presenza, e doni di molti Principi, e Signori grandi del mondo. Parag. VIII                                                        pag. 26

Visitano questo Santuario, e l’honorano con la loro presenza molti Santi, e Servi di Dio.Parag. IX                                                                                                    pag. 28

Honora il Signore questo Santuario con grandi, e stupendi miracoli. Parag. X

                                                                                                                            pag. 30

Breve cronica de’ li Protettori, e Governatori di questo Santuario, e delle cose più notabili, che in tempo di essi si fecero, e accaderono. Parag. XI              pag. 32

S’insegna il modo col quale il divoto Pellegrino ha da visitare questo Santuario.

Parag. XII                                                                                                             pag. 51   

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LORETO SANTUARIO nel libro antico di SALT sul santuario Mariano 1648

SANTUARIO LORETANO

D  I    M  A  R  I  A

CON LE VARIE TRASLAZIONI, MIRACOLI,

INDULGENZE E PRIVILEGI

Composto da quel che hanno scritto il Padre Horatio

Torsellino, della Compagnia di GIESU’

e molti altri Autori.

Con una breve Cronica de’ Protettori e Governatori d’esso,

e delle cose più notabili, e che nel lor tempo si fecero

e accederono dall’Anno 1191, infino

del 1646, e 1647.

DAL SIG. ANTONIO SALT SACERDOTE

Della Città di Valenza nella Spagna.

Tradotto dalla lingua Spagnola nell’Italiana da un

Devoto della Madonna Santissima

Con la  giunta d’alcune altre cose notabili cavate da libri

Originali dell’Archivio e Custodia della S. Casa.

______________________________

In Macerata, Appresso Agostino Grisei, 1648

Con privilegio, e licenza de Superiori.

SANTUARIO LORETANO

D  I    M  A  R  I  A

Dal SIG. ANTONIO SALT VALENTIANO

Dedicato all’Ill.mo e Reverendiss. Sig.

MONSIGNOR

F  R  A  N  C  E  S  C  O

C  A  E  T  A  N  O

Referendario Apostolico dell’una, a l’altra

Signatura, e Governatore della Santa

Casa, e città di Loreto

In Macerata, Per Agostino Crisei, 1648

Con privilegio e licenza de’ Superiori

_____________________

A conto d’Alessandro Greco della Città di Loreto

A l’insegna dell’Aquila nera.

I N N O C E N Z O    P A P A    X

A FUTURA MEMORIA DEL FATTO

Abbiamo saputo che il diletto figlio Alessandro Greco di Loreto intende far stampare a proprie spese nella nostra città di Loreto un libro intitolato “Santuario Loretano” del diletto figlio nostro Antonio Salt presbitero spagnolo di Valenza che l’ha scritto in lingua spagnola e al presente è tradotto in lingua italiana da un altro e con ciò egli tuttavia ha timore che altri che cercano guadagno dal lavoro altrui si adoperino a stampare questo stesso libro con danno per il detto Alessandro e pertanto egli fece fare una supplica rivolta umilmente a Noi affinché ci disegnassimo, di benignità Apostolica, di provvedere opportunamente su ciò: Noi pertanto vogliamo accondiscendere con speciali favori al detto Alessandro e con grazia decidiamo che egli sia dichiarato innocente e sarà assoluto da sentenze Ecclesiastiche di sospensione, di interdetto da altre pene e censure che siano date in qualsiasi modo fosse stato coinvolto per qualsiasi causa, occasione giuridica o umana, se mai ciò fosse avvenuto, in conseguenza solamente di tali fatti presenti. Noi siamo propensi alla supplica di tale tipo a favore di Alessandro in modo che nel prossimo decennio da calcolare dalla prima stampa del detto libro, purché tuttavia egli abbia approvazione antecedente dal Venerabile fratello il Vescovo Lauretano per cui nessuno sia nell’Urbe, sia nel restante Stato Ecclesiastico sottomesso a lui in modo diretto o indiretto, possa né valga vendere uomini di vendita o proporla del libro stampato da altri, né stamparlo senza la specifica autorizzazione del detto Alessandro o dei suoi eredi e successori o di chi ne abbia ragione. Questo Noi concediamo e favoriamo di autorità Apostolica per mezzo del presente scritto. Noi pertanto proibiamo a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, soprattutto a tipografi e librai sotto pena di scomunica e multa di 500 ducati d’oro di camera dei libri e della intera tipografia applicando una parte alla camera apostolica, un’altra parte lo stesso Alessandro e per la restante terza parte a favore dell’accusatore e del giudice esecutore e ciò in modo irreversibile per il fatto stesso, senza alcun altra dichiarazione, in modo che nessuno osi nè presuma nell’Urbe e nel restante anzidetto Stato Ecclesiastico, né stampare, né avere in vendita, né proporla, senza l’autorizzazione per tale libro, in nessun altro modo. Pertanto diamo ordine ai diletti figli nostri e ai Delegati della Sede Apostolica, ai Vicedelegati, o Presidenti, ai Governatori, ai Pretori, agli altri ministri delle Province, delle Città, delle Terre e dei luoghi dello Stato Ecclesiastico anzidetto, che diano assistenza, presidio, difesa al detto Alessandro ed ai suoi eredi e successori e a chi ne ha ragione, per le cose espresse e quanto detto sopra, ogni qualvolta ne siano richiesti dallo stesso Alessandro. Ai suoi predetti eredi: facciano senza remissione dell’esecuzione contro chiunque non sia obbediente, nonostante qualunque Costituzione e Ordine apostolico e qualsiasi Statuto e consuetudine anche con giuramento e conferma apostolica e nonostante qualsiasi altra validazione che sia in contrasto alle cose anzidette ed in qualsiasi modo concesse e approvate che siano in contrasto. Vogliamo che quando sono esibite o presentata tali cose di fedeltà usino il presente scritto con sottoscrizione di un notaio pubblico e munito di sigillo di qualche persona di dignità Ecclesiastica così in fedeltà dovunque.

Data a Roma presso Santa Maria Maggiore sotto l’Anello del pescatore il giorno 6 giugno 1647 anno terzo del nostro Pontificato

                                                      M. A. MARALDO

Nel nome del Signore. Amen. Nell’anno della Natività dello stesso Signore 1647 al tempo del Pontificato del Padre santo in Cristo e Signore nostro signor Innocenzo X Papa per divina Provvidenza, nel suo terzo anno, il giorno 14 del mese di agosto di tale anno 1647 faccio fede al testo con parola di verità io Pietro Antonio Bertinelli da Montottone della diocesi Fermana, notaio pubblico di autorità Apostolica e Imperiale che ho estratto dal proprio originale il Breve Apostolico spedito sotto l’Anello del Pescatore ed esso concorda con lo stesso Breve originale, come ho riscontrato che concorda facendo io la collazione, sempre salvo; eccetera e l’ho pubblicata in fede delle predette cose e ho apposto il sigillo ed il mio nome, eccetera.

                                                                                           LUOGO DEL SIGILLO

All’Illustrissimo e Reveremdissimo Sig.

Monsignor

F  R  A  N  C  E  S  C  O

C A E T A N O

REFERENDARIO APOSTOLICO DELL’

una, e l’altra Signat. E Governatore della

Santa CASA, e Città di Loreto.

CONSAGRO umilmente a V, S, Illustriss. Il Maestoso Santuario Loretano, piccolo parto del mio corto ingegno, però opra immensa in piccolezza ristretta per trattar di Maria. Non lo dedico acciò mi protegga, ò difenda  da gl’Aristarchi, ò Critici: poiche il secondo sarìa empietà (trattando della Madre di Dio) di chi armasse la sua audace, e mordace lingua contro il suo Cielo: e il primo m’assicura la sperienza: percioche havendo questo Santuario nel suo primo arrivo à questi paesi trovato la prottione della Casa di V. S.  Illustriss. riconosco per suo primiero benefattore Bonifacio VIII,  dell’Eccellentiss casa Gaetana, il quale contanto gli illustrò il suo Pontificato con la con la protettione di esso; giudico superfluo ricercare il suo favore, tenendolo per sicuro, per discendere ella dall’istessa prosapia, per haver col materno latte succhiato il cordiale affetto a questa grande Madre, e governare attualmente la sua Casa, e Città con la prudenza che tutto il Mondo vede. Consagrolo dunque non perché lo difenda, ma perché lo legga, leggendolo contempli la grandezza immensa di esso registrata in pochi fogli dell’in molti, che in varij libri si trovano sparsi; perche dedicar libri di conti con quel solo fine tengono li Savil esser vanità della quale fanno capitale li presuntuosi; consagrarli  à quelli che non sanno leggerli è più tosto disprezzarli, che favorirli, imbattendosi l’autore in un mal Padrone, e etiandio con sospetto d’essere tassato se non dell’intento, almeno di non buon’intendimento. Et acciò che questo mio dovuto ossequio non abbia apparenza di Dedicatoria interessata passarò in silenzio la grandezza, della sua casa Gaetana, rimettendo li lelettori per le notizie d’essa alle

 Historie umane, che distesamente la scrivono: dove potranno leggere tutti del nobilissimo sangue di V. S. Illustriss.  incoronati, ò porporati con Regni Pontifici con Porpore Cardinalitie, ò con Mitre, e Bacoli Pastorali, ò con Titoli di Grandi:

______________ il mio detto la Sede Apost. con  ____ Bonifacio VIII il Collegio de Cardinali con quindeci d’essi, la Corte della Maestà del Rè Catholico mio Padrone, e il suo Regno di Napoli con tanti Grandi, e quella di Roma con tutta l’Italia con tante Prelatie, Dignità Ecclesiastiche, e Governatori, chiamando tutti la sua persona alla maggiore esaltatione, che le sue virtudi meritano, e li suoi humili Capellani le bramano. Riceveva adunque questo Santuario più tosto suo, che mio, poiché lo governa, e riconoscerà in esso il suo valore, e dei suoi Maggiori, e se non applaude al mio ingegno disuguale all’opera, e contenuto in essa, e alla persona, à cui si consagra, applauda almeno alla mia buona volontà, e al desiderio di essa, che non è stato altro, che dimostrar la devozion mia, e affetto cordiale a questa Signora, e alla sua S. Casa e la servitù mia verso V. S.  ILlustriss. à cui  Giesù Christo, e la sua S. Madre concedano la loro grazia, e con lunga vita buona salute, con l’augmento, e esaltazione, che di cuore le prego. Loreto 10 Giug. 1646.

   D.V.S. Illustriss. e Reverendiss.

                                                              Humilissimo Servitor, e Capellano

                                                              Antonio Salt Sacerdote Valentiano

PROLOGO DELL’AUTORE

al lettore

Autori da quali si è cavata la presente Historia

L’Intento di questa mia piccola fatica (saggio Lettore) solamente è stato dimostrare la devotion mia verso la mia Signora la Vergine Madre, la quale in questo Santuario è visitata, e venerata da tutto il mondo, e parimente a crescere quella de i miei nazionali, li quali tenendo la stampata ne i suoi cuori etiandio dal tempo della primitiva Chiesa, non giudico per difficile, che questo mio desiderio non sia per avere il suo bramato effetto. Non penso comporre nuova Historia, se non notare in dodeci paragrafi questa che composero, e ordinarono diversi scrittori antichi, e moderni, e fra essi il P. Horatio Torsellino della Compagnia di Giesù, il quale l’anno 1595 in cinque libri descrisse questo Santuario, le sue Traslazioni, Miracoli, Privilegi, Indulgenze, e doni, la quale nell’anno 1600 tradusse in linguaggio Italiano Bartholomeo Zucqui con l’addizione del libro sesto, e acciò che vedi che io non metto niente del mio, ho giudicato nel bel principio, prima di cominciar la narration d’esso fare un Catalogo di alcuni Autori, che di questa Casa hanno scritto diversi trattati o ragionato se i suoi libri, dalli quali come ape ingegnosa ho composto il mellifluo sano di questo Santuario.

     Primieramente oltre gli santi Evangelisti, e in particolare gli Santi Matteo, Marco e Luca, i quali in diversi luoghi della loro Historia Evangelica si dipinsero gl’altri, e secreti misteri, che in esso la potente mano di Dio operò; hanno scritto di questo Santuario molti Dottori, e Scrittori Greci, e Latini, come Sant’Epifanio, San Damasceno, Eusebio, Paolino, San Girolamo, Beda, Niceforo, Guglielmo Tirio, Paolo Emilio, Variaco, Clitoveo, Valterrano, l’Abulense, e molt’altri: come si vedrà nel paragrafo secondo. Doppo che la Maestra di Dio con la sua miracolosa Traslazione volse onorar l’Occidente collocandolo primieramente nella Dalmazia, e poi in Italia, e nel sito dove al presente si trova, non hanno mai mancato Autori gravi, e dotti, i quali con la loro penna l’hanno illustrato, alcuni d’essi scrivendo l’istoria intiera, altri raccontando le sue Traslazioni, e miracoli nelle sue Croniche generali, e particolare, altri componendo Apologie contro gl’Heretici, e non pochi facendo magnifica mentione nelle sue scolastiche questioni, ò libri devoti. I primi che mostrorno la lor devozione verso questa Angelica casa furono quelli, che prima dell’altri (benche pochi anni) goderono di questo Thesoro, li Dalmatini, quali intorno all’anno 1293, descrivendo nelli suoi  Annali questa, e la sua Traslazione, animarono gl’altri imitarli. L’istesso fecero li Recanatesi l’anno 1296, e del 1387 quali assieme con quelli di Dalmazia furono mandati dalli stessi Recanatesi al sommo Pontefice Leone X e l’anno 1355 a tempo di Benedetto XII, il Vescovo di Macerata, e Recanati fece comporre un compendio dell’Historia di questa Santa Casa, e miracoli; e la città di Recanati ordinò che li Maestri di Scola in vece di altri libri profani legessero questo alla Gioventù della sua città, acciò che col studio  succhiarselo la devotion di questa Signora. Doppo l’anno 1435 Flavio Biondo Segretario d’Eugenio IV, lib.3 de Italia illustrata,: compose un grave Elogio di questa Santa Casa, si come riferisce Torsellino lib. I c. 24. Venne l’anno 1460 e in esso Pier Giorgi Preposito Teremano Governatore di Loreto fece scolpire in una tavola di marmo l’Historia, e Traslazioni di questo Santuario in uno linguaggio Italiano, e a imitazion di questo col tempo si sono messe nelle colonne del Tempio molt’altre di varii linguaggi, e al presente se ne vedono tredici, cioè Latina, Arabica, Greca, Spagnola, italiana, Francese, Polacca, Todesca, Illirica, Inglese, Bretana, Hibernese, e Scozzese. Il P. F. Bartholomeo di Valle umbrosa l’anno 1472 compose questa medesima Historia cavata, come l’istesso dice, da scrittore antiche e dall’inscittione del Teremano e l’anno 1491 sendo Pontefice Innocenzo VIII, il  P. F. Battista Mantovano Vicario Generale della Congregat. di Mantova scrisse questa Historia, e la dedicò al Protettore di questo Santuario il Cardinale Girolamo della Rovere, la quale poi tradusse in Italiano Gio: Sabadino Bolognese. Da questi, e massime dalli prefati Annali l’anno 1533 formò la sua Historia Loretana Girolamo Angelita Cittadino, e Segretario di Recanati, e la dedicò a Clemente VII all’’hora Pontefice; l’istesso fece il suo figlio Gio: Francesco Angelita nelli suoi manoscritti dell’anno 1563. Nicolò Bargilesi Sacerdote Bolognese fece un discorso della vera Historia di questo Santuario. Il P. Fra Francesco Millier Romito di Sant’Agostino cavò questa Historia da certe scrittore antiche di carta pergamena. Bernardino Cirillo Commissario Apostolico di Loreto l’anno 1573 illustrò con discorsi acuti questa Historia, l’istesso fece in vari libri Vittorio Briganti Canonico d’Ancona, e parimente fece un aggiunta all’Historia dell’Angelita cominciando da Clemente VI al Pontificato di Sisto V.

     Oltre il Torsellino hanno scritto l’Historia intiera di Loreto il P.  Luigi Richeomo, nel Pellegrino loretano in lingua francese, Silvio Serragli nel libro intitolato La Santa casa abbellita. P. Bartholomeo Casio in lingua Illirica, e il P. Marco Lima in Greco volgare hanno composto un breve compendio, entrambi Penitentieri Apostolici, il primo di San Pietro, e il secondo di questa Santa Casa. Molti hanno composte Apologie in difesa d’essa contra gl’Eretici come lo fecero li Padri Francesco Turriano in Apologetica Respons. Contra Vergerium: Pietro Caniso

de Deipara lib. 5 c. 25 contra l’istesso Heretico, Giorgio Helsteo contra i Calvinisti, Rutilio Benzonio secondo Vescovo di Loreto contra Vegerio lib. 6 de Iubil, à  cap. 8,

ad c. 28, e nel Specchio di Vescovi lib. I d. I q. 2 e sopra il Magnificat lib. i  c. 21-22 dub. 7 e l’Abbate Luigi Cento Fiorini in Clupeo  Lauret, contra Hereticorum Sagittas.

Parimenti l’ illustrarono alcuni Dottori scolastici come il P. Fra Gio: Viguerio nell’instituzioni Teologiche c. 3 $ 2 Versic. 3 de mot. loc. Ang. P. Francesco Suarez tom. 2  in 3 p. disp. 19 sett, 5 e il P. Gabriel Vasquez nell’istesso luogo disp.126 c.3 n.23. Oltre di questi li Cronologi nelle sue Croniche sono diventati eloquentissime lingue in lode di questo Santuario, come Ambrogio Novidio in Fast. Lib.9 lo stesso Torsellino nell’Epitome del mondo circa all’anno 1291 il cardinal Baronio tomo 1 Annal. Anno 9. Abramo Baronio tomo 1 Cron, lib.6 n.6 ann. 1294. Alfonso Giacconio nelle vite dei sommi Pontefici, e Cardinali, Andrea Vittorelli, e Ferdinando Ughelio nell’addizioni alle sodette vite, e in particolare nell’Italia sacra trattando del Vescovato di Loreto. P. Saliano tom.6 Annal. Ann. 405 2 n.61. P. Gualtero in Chron. saecul. 16 an. 1590 P. Nicolo Orlandino tom.1 Histor. Soc. Iesu lib.14 n.23.24.26 lib.15 n,XI e seq. P. Francesco Sacchino tom.2 eiusd. Histor.  Lib.I n.94 lib.3 n-53, lib.5 n. 119, lib.15 n.154. P. Pietro di Ribadeneira nell’istessa Historia p.1 nella vita di Sant’Ignazio lib.4 c.10 e nella seconda parte della vita del B. Francesco di Borgia lib.2 c.23 lib.3.6.13. Abramo Ortelio nel Theatro del mondo. Leandro Alberto nella descrizione d’Italia descrive questa Santa Casa, le sue Traslazioni, e grandezze. Gio: Antonio Magino nella Geographia descript.15. Gioacchino Vadiano descrivendo la Marca, Nicolò Peransoni nella descrizione della medesima Marca, Francesco Scoto e Girolamo Capugnano nell’itinerario d’Italia part.I.  P. Gop: Bonifatio Spagnolo nell‘Istoria Verginale. Hercole _______________ nella vita della Madonna. Alfonso di Vigliega nella  I parte del Flos Sanctorum nella vita della Madonna. Agostino Manno nell’Historia delle case memorabili cap. 89. Landolpho nella vita di Cristo.P. Lorenzo Masselli  nella vita della Beata Vergine. P Pier’Antonio Spinello nel libro de Maria Deipara cap.29 erc tratt.  De festis Deiparae, num.3. Gio: Pietro Guisano nella vita di San Carlo,lib.2, c.30, lib.6 c.1. Gabriel Fiamma nelle vite de Santi; Antonio Santarelli

nella vita di Christo c.1 n.9 e 10. P. Gio: Pietro Maffeo nella vita di sant’Ignatio lib.3 c.4. P. Virgilio Ceppari nel ristretto della vita del beato Francesco di Borgia Scrive che questo Beato Padre essendo Generale doppo d’una lunga infermità stando ancora con la febre volse visitar questo Santuario, e quanto più s’avvicinava a Loreto scemava la febre, e trovandosi trenta miglia discosto svanì affatto la febre; ed anche fa mentione di questo Santuario nella vita del Beato Luigi Gonzaga p.I, c.2.

Modesto Benvenuti nelle vite de Santi Recanatesi. Tomasso Massucci nella prefazione della vita di S. Paolo. La vita della Madonna stampata in Ingolstadio l’anno 1502 il P. Francesco Glavinich nel Flos Sanctorum in lingua Illirica. P. Rafaele Riera della Compagnia di Giesù Penitentiero di questa Santa Casa dei manoscritti come dice Torsellino in varii luoghi della sua Historia; Christoforo Pacamero nella descrittione di questo santuario. Valentino Laido lib. de Imaginibus. Marc’Antonio Moreto ne li suoi versi.

Ultimamente molti altri Autori dotti, e divoti hanno honorato i suoi libri con far mentione in quelli di questa Casa Angelica; come il P. Fra Niccolò di Cataro nel sacro pellegrinaggio alla Santa Casa. Pietro Gomez Duran  dell’Habito di San Giacomo nell’Historia generale della vita, e pellegrinaggio del Figliol di Dio nel mondo con le descrittioni de il luogo dove dimorò. P. Fra Fulgentio Gallucci nelle grandezze della Santa casa.Laimon di Francia nel viaggio della Madonna, Sebastiano Fabrino nel trattato del giubileo c.36. Gio: Bellarino ne la guida alla Santa casa di Loreto. Gio: Battista Magnati nelli devoti applausi alle glorie della Santa Casa; Alessandro Vitaleone nelle glorie Loretane; il libro delle Regole, Indulgenze, e Orazioni della Congregazione de’ Mercanti  d’Ancona. Il P. Fra Gio: di Cartagena nelle homilie de sac. arcan, tom.3 lib.5, homil.3, tom.4, lib.8 homil.7, lib.ult etc 14. P. Fra Christophoro di Fonseca ne’ discorsi morali della vita di Christo tom.I, trattando dell’Annuntiatione della Madonna. P. Lorenzo Crisogono  Dalmata della Compagnia di Giesù in Mundo Mariano part. I, discurs.13 n.86 e seg. P. Gasparo Loarte nell’Itinerario delli sacri pellegrinaggi. P. Francesco Bencio lib.I, carm. P. Gio: Battista Ferrari nella Casa Pellegrina. P. Biderman nel Domicilio Volante. P. Francesco Remondo orat.2, ne i Funerali del Card. Guastavillani Protettore di questa Santa Casa. P Francesco Costero nell’Epistola Dedicatoria dell’Instituzioni Cristiane. P. Andrea Gelsomini nella prefazione del libro intitolato Thesoro celeste della divotione della Madonna il libro intitolato Mater Agonizantium Praxi. 2, ed in particolare l’Archivio della Città di Loreto, e le Bolle Pontificie che in esso si conservano, cominciando da Benedetto XII, il quale nell’anno 1341, concesse le prime indulgenze fin’a nell’anno 1646 nel quale il Sommo Pontefice Innocentio X non ha lasciato d’honorar questa Santa Casa con particolari indulgenze. Molti altri vi sono, e in particolare della mia natione, che hanno illustrato questo Santuario, e honorato le sue opere con particolari Elogi in lode di quest’Angelica Camera, i quali per non sovvenirmi il nome loro, non li ho posti, e numerati in questo catalogo. Solamente mi è parso registrare qui quelli Autori, che sono capitati alle mie mani, e ho letto nell’Italia, acciò che vedi, che quanto in questo compendio con brevità dirò, l’ho cavato da questi; aggiungendo solamente alcune cose delle moltissime, che in questi tempi sono accadute, e sono venute a notizia mia; per tanto non dirò cosa alcuna senza Autore, come lo vedrai nella margine di questo libro diviso in dodeci Paragrafi per maggior chiarezza dell’Historia, supplicandoti a voler gradire la loro ben’impiegata fatica, e la mia divotione; poiché non pretendo altro, se non la maggior gloria di Dio, essaltatuione della Madonna, e della sua Santa Casa, e l’accrescimento della divotione dei miei Nazionali verso questo Angelico Santuario di Giesù, Maria, e Giuseppe, che siano sempre lodati. Amen.

S A N T U A R I O    L O R E T A N O

D I   M A R I A

Con le sue varie Traslatoni, Miracoli,

Indulgenze e Privilegi

P A R A G R A F O   P R I M O.

Misterii oprati in questo santuario, e Angelica Casa stando in Nazaret,

La Santa Zasa, e Santuario Angelico di Maria, che infino al giorno d’hoggi con gloria grande, e singolare splendore dell’Europa si vede,visita,  e adora da tutto il Mondo in Loreto Città della Marca Anconitana, Provincia d’Italia, e la medesima, ò parte di quella, che li Santi Gioacchino, e Anna Progenitori della Verg. diedero per dote al patriarca San Gioseppe suo Sposo. In questa, secondo alcuni vogliono, habitarono avanti molti Patriarchi del Testamento vecchio, dalli quali l’hereditarono li detti Gioachino, e Anna, e ivi santamente morirono. Qui  (come si trova iscritto nelle Bolle d’alcuni Pontefici) fu conceputa la purissima immacolata Vergine. Qui nacque, e fu allevata da Sant’Anna per lo spazio di tre anni, e sino a tanto, che fu presentata nel Tempio di Gierusalemme, nel quale doppo  essersi trattenuta undeci anni se ne ritornò alla detta Santa Casa, dove si sposò con San Gioseppe (secondo il parere dell’Abulense). Qui discese lo Spirito Santo per unire nella persona del Verbo nel purissimo ventre della Vergine la natura divina, e umana, oprando quello stupendissimo misterio dell’Incarnazione del Verbo Eterno per la salute del mondo, dichiarando questa Signora Madre dell’istesso Dio, e nostra. In questa Casa tutte le Gerarchie de gl’Angeli resero omaggio al Verbo Incarnato, li quali poi divisi in chori, e squadre, ogn’uno il suo mese assistettero facendo guardia al suo Principe fatto uomo nel ventre Verginale di Maria, facendo festa, si come havevano fatto nel tempo della Concettione, e in attività della sua Madre, secondo che dice san Vincenzo Ferrerio, e fù rivelato ancora a Santa Brigida. Da questa Casa, doppo che fù annuntiata si partì la Vergine per visitare santa Elisabetta, e a santificare il Precursor di Christo san Gio: Battista, stando tre mesi in casa di Zacaria, se ne ritornò in detta casa; di dove passati sei mesi se ne andò a Bethleem, dove partorì il Fanciullo Giesù; Da Bethleem, avendo adempiuto la legge della Purificazione, se ne ritornò alla sua casa di Nazaret. Di qui doppo un’anno (secondo la più probabile opinione) per ordine del Cielo se ne fuggì in Egitto con il suo Figliuolo, e S. Gioseppe, dove essendosi trattenuta sette anni, poco più, o meno, fece ritorno nella sua primiera casa di Nazaret, e vi dimorò poi successivamente lo spazio diventi, e più anni in compagnia delli medesimi; nel qual tempo ogni anno visitava il Tempio di Gierusalem per celebrare la Pasqua, particolarmente essendo il Fanciullo Giesù di 12 anni. Nella medesima habitò infino all’età di trent’anni di Christo; il quale essendosi partito da questa casa per ricevere il S. Battesimo, e havendo digiunato 40 giorni, e 40 notti, ritornò a Nazaret, dove oprò alcuni miracoli, sanò varii infermi, diede principio alla sua predicatione (secondo afferma Tito Bostrense) eleggendo per suo primo pulpito la Città, e casa dove fatto huomo, cominciò a vivere tra gli huomini, e in questo tempo v’habitò ancora la Verg.. Di qui si partì varie volte Christo per andare al Giordano a visitare la S. Giovanni Battista, e honorar con la sua presenza le sue prediche, e cominciò ad adunare discepoli; e doppo l’anno, che fu battezzato, e che digiunò, conforme la più comune opinione, se ne andò da Nazaret colla sua Madre, e Discepoli alle nozze di Cana di Galilea, dove convertì l’acqua in vino. Da Cana in compagnia delli medesimi ritornò a Nazaret, e quivi essendo stato alcuni giorni, e havendo intesa la Prigionia del suo Precursore S. Gio: Battista, se ne andò ad abitare a Cafarnau. Da questa Città ritornò un’altra volta a Nazaret honorando spesso questa amata Casa con la presenza sua, degli Apostoli, e Discepoli, quali la Vergine in questa stessa Casa alloggiava, e accarezzava. In questa morì San Gioseppe poco avanti la Passione di Christo. Questa parimente visitò Christo molte volte dopo la sua Resurrettione, accompagnato dalli Padri del Limbo dentro li quaranta giorni, che stette in terra apparendo in essa alla Vergine sua Madre, alle tre Marie, e a gl’Apostoli, secondo si raccoglie da gl’Evangelisti; e in essa, come affermano San Girolamo, e Ruperto Abbate, il medesimo Christo mostrò, e diede a toccare le sue Santissime piaghe all’Apostolo San Tomaso stando con gl’altri Apostoli. Finalmente doppo la sua Ascensione la Vergine Madre la maggior parte delli quindeci, ò venti quattro anni che visse, habitò in questa Casa. Dal che raccolgo, che delli  63, ò 72 della sua vita,

(secondo l’opinioni di diversi Autori) habitò in essa più di cinquanta anni, e Christo delle trentatre la maggior parte occupato in intercedere presso il Padre Eterno per la salute dell’huomo, e impiegato nell’arte di legnaiolo per sostentare sua Madre, restando questa santa Casa con la presenza d’entrambi santificata, e consagrata.

P A R A G R A F O   I I

Fù honorato, e visitato questo Santuario da gli

Apostoli, dall’Imperatrice Santa Elena,

San Luigi Re di Francia, altri Santi,

e Principi del Mondo.

Vedendo gli Apostoli, e tra gl’altri il Vicario di Christo, e il suo Principe San Pietro, la stima grande, che il Figliol di Dio, e la sua Madre havevano fatta di questa santa Casa, come Officina delli maggiori misteri, e in particolare della sua sacrosanta Incarnazione, e considerando, che non solo in Gierusalem erano consacrati Tempii, ma ancora in Ispagna nella città di Zaragora, capo del Regno d’Aragona, apparendo la Vergine sopra un pilastro all’Apostolo s. Giacomo il maggiore appresso il fiume Hebro, gl’ordinò che consacrasse un Tempio al suo nome, come lo fece, e attualmente infino ai nostri tempi si chiama la Madonna del Pilastro, ed è venerato da tutta la Spagna, e celebrato dalle penne d’insigni, e famosi Scrittori, e ricevuto per tale dalla traditione di tutte le Chiese della medesima Spagna. Considerando dunq. tutto questo gl’Apostoli, determinarono consacrarla in Chiesa (come fecero) ponendovi l’Altare, nel quale si dicesse Messa, e il primo, che vi celebrò, si dice, che fusse S. Pietro, imitandolo in questo gl’altri Apostoli; e ancora si crede, la prima, che si comunicasse in questa Santa Casa, fusse la Vergine, mentre di quella dice il Anonimo citato dal Metafraste: Ogni giorno si accostava ai divini misteri e colui che prima teneva nella gestazione, poi spesso lo accoglieva nel corpo. Costume della primitiva Chiesa, secondo avvertì il P. Ferdinando di Salazar della Comp. di Giesù, e si cava da gl’atti degl’Apostoli. Dedicò s. Pietro in compagnia de gl’altri Apostoli questa s. Casa all’Incarnazione del Figliol di Dio, e all’Annuntiatione della Madre. Si confermò quest’Angelica camera infino all’anno 326 nel qual tempo l’Imperatrice S. Elena madre del gran Costantino desiderosa di trovare di legno della Santa Croce di Cristo, se ne passò alla Palestina, e avendo ritrovato ciò che desiderava, e visitati i santi luoghi di Gierusalem, e fabbricativi con real magnificenza Basiliche grandissime, e sontuosiss. Tempi, seguitò il suo viaggio, e arrivata a Nazaret  s’incontrò in questa s. Casa, e sapendo li misteri che Dio havea oprati in quella, volle honorarla non solo con la sua presenza, e con preziosissimi doni, ma anco ingrandirla con farvi fabricare intorno a quella un magnifico, e belliss. Tempio; e da questo tempo cominciò questa s. Casa ad essere riverita da fedeli, è visitata da diversi pellegrini. La visitarono s. Girolamo Dottore della Chiesa, e il s. Paola Matrona Romana l’anno del Sig. 385 (secondo riferisce l’istesso Dottore) quali furono imitati da molti Principi, come Gotifredo Duca di Lorena, che conquistò la Terra santa l’anno 1099,  da Alfonso VI Re di Castiglia, che si trovò nell’istessa conquista, secondo dice Paolo Emil. Oltre di questi Tancredo Principe Normando, il quale non solo visitò, e arricchì questa S. Casa con doni, ma anco dichiarò metropoli, e capo della Galilea la città di Nazaret  per risiedervi questo Santuario.

I Religiosi Militari Templari, e quelli di San Gio: Gierosolimitano, de quali li primi hebbero principio l’anno 1096, e li secondi il 1119 non sono mostrarono la loro devotione verso questa santa Casa con visitarla spesse volte, ma anco la loro Christiana fortezza, assicurando con le loro armi il passo a i Pellegrini, e mostrando la loro pietà con alloggiarli, e accarezzarli negli Hospitali Fabbricati a questo effetto, si come racconta Tirio. Mancò doppo un poco di tempo questo concorso, e divotione per essersi impadronito della Palestina l’inimico della Fede, e Religion cristiana; in fin tanto, che Federico re di Sicilia, e di Gierusalemme l’anno 1225 conquistò col suo esercito la Terra Santa, e aprì un’altra volta la strada alla divotione de Pellegrini, in particolare Europei, si come riferisce l’istesso Tirio. Visitata ancora spesse volte nel giorno della festa dell’Annuntiata dal Cardinal Giacomo Vitriaco Patriarca di Gierusalemme, che visse nell’anno 1238 il quale vi disse Messa, si come egli medesimo lo racconta. Ma chi superò tutti i Principi fu il Religiosissimo Re di Francia San Luigi, il quale essendosi incamminato nell’anno 1249 per l’impresa di Terra Santa, volse ancora visitar questa Santa Casa di Maria, e vedendola di lontano smontò da cavallo, si inginocchiò, e con lacrime la salutò, ringraziando Dio, che in essa havesse  oprato così sovrani misteri, e seguitando il suo viaggio a piedi vestito d’un aspro cilizio, arrivò a detta Santa Casa essendo vicino la festa dell’Annunziata, e havendo la vigilia digiunato in pane, e acqua, festeggiò il suddetto giorno con gran pompa, e solennità, communicandosi con grande divotione a la messa, che vi fece cantare con regio apparato, e magnificenza; e altresì con questo ci lasciò un maraviglioso esempio della pietà, e divotione sua verso detta Santa Casa, si come racconta Clitoneo. Durò poco questa consolazione alli devoti, e fedeli Pellegrini per causa delle guerre, che erano nella Soria, e nella Palestina, e per questo cessò il concorso della gente, ma non già la divotione de fedeli verso questa Santa casa di Maria.

P A R A G R A F O    I I I

Fù trasportato da gl’Angeli questo Santuario da

Nazaret à Dalmazia, e da la Dalmazia in

Italia, Miracoli oprati, e diligenze

fatte da Marchigiani.

Vedendo il Signore, e questo Santuario della sua Madre non era riverito come meritava, ordinò a gl’Angeli, che dall’Oriente lo portassero all’Occidente, e da Nazaret nella Galilea a Tersatto nella Dalmazia. Il che successe alle 9 maggio del 1291 nel Pontificato di Nicolò IV, essendo Imperatore Adolfo I. E subito che comparve questa santa Casa nella Dalmazia, cominciò il Signore ad oprar miracoli in confermazione di essa. Primieramente abbonn acciò le tempestose onde dell’Adriatico mare, che solevano infestare le sponde, e riviere della Dalmazia; doppo per mezzo della Vergine rivelò la verità della Traslazione di questa sua Casa, e dei misteri ivi oprati, ad un devoto Sacerdote nominato Alessandro, Rettore, ò Curato  di Terssatto, liberandolo da una infermità mortale, acciò con maggior credito pubblicasse alli popoli circonvicini della sua Terra, e di tutta la Dalmazia la miracolosa Venuta di questo Santuario di Maria, si come lo fece; il quale doppo in compagnia d’altri tre, col consiglio di Nicolò Francipane Cavaliere Romano Governatore della Provincia,  e Signore di Tersatto se ne andò a Nazaret  per informarsi di questa Traslazione; dove ritrovò esser questa la medesima casa della Vergine, che da Nazaret per mano de gl’Angeli era stata trasportata a Dalmazia,

Stette in Tersatto questo Santuario tre anni, e sette mesi riverito da quelli habitatori, e visitato da diversi pellegrini, che in varie nationi vi concorrevano, per adempiere con divozione i loro voti, in fin tanto, che volendo il Signore honorare l’Italia, e in quella lo Stato della Chiesa, e in particolare la Marca Anconitana, ordinò, che vi fusse trasportata dagli stessi Angioli, li quali di peso levandola, passato il Mare Adriatico, la posero in una selva del Territorio di Recanati, lontana dal mare un miglio, qual selva era di una Signora della stessa Città di Recanati, chiamata Loreta, e da questa la Città, nella quale oggi attualmente si vede si cominciò a chiamar Loreto, e la medesima Casa si chiamò la Santa Casa di Loreto.

Successe questa traslazione a’ 10 di Decembre del 1294 in giorno di sabato nel pontificato di Bonifacio ottavo, per l’Eccellentissima Casa casa Caetana, ò secondo altri vogliono, e è opinione più certa in tempo di Celestino V, detto volgarmente S. Pietro Morone, tre giorni avanti di rinunziare il Papato, essendo Imperatore nell’Oriente Michele Paleologo, e nell’Occidente Adolfo, regnando nella Spagna Ferdinando IV, in Francia Filippo chiamato il bello, in Ungaria Filippo III il Veneziano, in Polonia Henrico il buono, ò Primislao II, e in Inghilterra Edoardo II chiamato communemente il primo. Lascio adesso a’ contemplativi il pensare di che dolore fosse alli Dalmatini, e di allegrezza a gli Italiani, a li primi per haver perso si gran tesoro, alli secondi per possedere dentro i suoi confini deposito così sovrano, quelli per lo dolore erano inconsolabili, questi non capivano in se stessi per l’allegrezza, quelli si dolevano della poca fortuna loro, questi pubblicavano la loro felicità, li Dalmatini con ogni umiltà pregando la Vergine ancora stanno dicendo: Tornate a’ noi Madonna, tornate a’ noi. Gli Italiani possessori di così gran Santuario, con affettuose preghiere, umilmente supplicano la Vergine, che non gli abbandoni.

     Si rallegrò dunque con questa venuta l’Italia tutta, e Dio volse con nuovi miracoli illustrare detta sua Traslazione. Primieramente perché venendo questa santa Casa nel più scuro della notte, la fece risplendere con nuova, e meravigliosa luce, dandola a conoscere a’ Pastori, che in detta selva si ritrovavano alla custodia del loro bestiame, li quali rimasti attoniti da così gran lume, corsero alla Città di Recanati lontana quattro miglia dalla selva, a’ dar notizia di tutto quello, che avevano veduto con li propri occhi, e della nuova forastiera, che del loro territorio improvvisamente s’era impadronita; Il che inteso da’ divoti Recanatesi, invitandosi l’un l’altro, se ne andarono a truppe alla selva, e videro la nuova Casa, riverirono le sue muraglie, adorarono la Vergine, e lodando il Signore per un prodigio si grande, lo ringraziarono di tanto favore. Lo stesso fece la pietosa signora Loreta, discorrendo in persona per tutta la Provincia, pubblicando universalmente l’onore, che il Signore gli aveva fatto, collocando nella sua selva si gran tesoro. Secondariamente gli alberi per dove passò questa santa Casa si piegarono in segno di riverenza, e così restarono infino all’anno 1575 quali poi i contadini inconsideratamente per più comodamente coltivare la terra tagliarono. Terzo rivelò il Signore la verità di questa santa Casa ad un divoto Heremita chiamato Paolo della Selva, che abitava vicino al medesimo luogo con nuovi lumi, con li quali varie volte la vidde illuminata, e apparendoli la Vergine, gli dichiarò ciò che in quella si conteneva, ed i grandissimi misteri, che nella medesima il Signore haveva oprati. Quarto cominciarono con questa sua venuta a cessare le guerre sanguinose d’Italia cagionate dalle discordie fra Principi Christiani.

     In questa selva si trattenne per lo spazio di otto mesi, perché vedendo il Signore, che ivi non gli era portata la dovuta riverenza, e che i pellegrini per causa delli latrocinii, e homicidi non potevano liberamente visitarla, ordinò che fusse trasportata in un colle di due fratelli, lontano dalla selva un miglio, dove parimente stette poco tempo, e così nel termine delli quattro mesi della sua terza Traslazione stabilì mutarla la quarta volta, e collocarla nella strada pubblica poco lontana dal colle; e l’origine di questa mutazione furono le discordie nate tra detti due fratelli per causa delli doni, che s’offerivano dalli pellegrini, e per questo determinarono finir  la lite con l’armi; ma la Vergine volse terminarla lei con partirsi da quel colle, e trasferirsi nel luogo, dove al presente si visita, e adora da tutto il mondo.

 Subito, che la Città di Recanati si vidde honorata, e arricchita di così tanto, è prezioso Tesoro, elesse questa sovrana Regina, per sua Avvocata, e particolare padrona insieme con tutta la Provincia Anconitana, fabricandoli un Tempio intorno, imitando in questo l’Imperatrice Santa Elena, a persuasione del Vescovo di Macerata, sotto la di cui Diocesi era allora Recanati (come dice il Torsellino) liberando tutto il suo distretto da ladroni, e banditi, che con furti, e homicidi travagliavano i pellegrini, dal che acquistò il nome di città giustissima; e doppo in rendimento di grazie per essere stata liberata dalla peste ad intercessione della Vergine adornò a proprie spese la santa Imagine di questa sua Madre, e Avvocata con una ricchissima corona d’oro, tempestata di varie gioie, e perle pretiose; e scegliendo sedici huomini di gran fede, e credito di tutta la Marca nel secondo anno della sua Venuta in Italia, li mandò in Dalmazia, e doppo a Nazaret per accertarsi della verità di questa santa Casa, e delle sue traslazioni. Li quali d’accordo, usate le dovute diligenze, si in Dalmazia, come in Nazaret, che giustificarono esser questa Casa la medesima, che stava in Nazaret, e che doppo si trasferì nella Dalmazia, ed dove fu conceputa, e nacque la Madre di Dio, il Verbo Eterno si incarnò, e furono oprati li misteri detti nel primo Paragrafo di questo Santuario, e autenticarono il tutto con istrumento pubblico, sottoscritto da molti testimoni, il quale fu conservato da Recanatesi nel loro Archivio per molti anni, infino che seguì l’incendio, e rovina della loro Città.

P A R A G R A F O   I V

Si descrive questo Santuario con l’Immagini della

Madonna, bambino Giesù secondo vennero

in Italia, e del modo, col quale

al presente si trovano.

    Venne questa Santa Casa di Nazaret in Dalmazia, e doppo in Italia senza fondamenti, e senza pavimento (restando il tutto in Nazaret per più certezza del miracolo) con sole quattro muraglie in forma quadrata più lunga, che larga, coperta di tetto nel di fuori, e di dentro con sottovolta di legno gentilmente soffittata, e lavorata con piccioli quadretti in forma di scacchiera colorita in azurro, adornata, e abbellita d’indorate stelle parimente di legno. Immediatamente sotto il soffitto intorno alli santi Muri spiccavansi tanti archi, o lunette, overo semicircoli insieme congiunti, dentro de quali erano incastrati, ò inseriti certi vasi di creta vitriati, e vergati con colori come scudelle, tazze, o catini piccioli. Le muraglie grosse di due palmi non sono di mattoni, ma di pietra viva di colore castagnaccio, simili però alli mattoni, che si usano da noi, disuguali fra di loro nella grandezza. Erano dipinte in queste muraglie diverse pitture, che rappresentavano alcuni miracoli operati in quella santa Casa, e molti altri Santi, come il S. Giorgio martire, Sant’Antonio Abbate, San Luigi Re di Francia, e molti altri, e infino al di d’hoggi si vedono molte di queste pitture. Tutta la Casa è di lunghezza, quasi quarantatre palmi romani, di larghezza poco più di dieciotto, ed altezza diecinove. In mezzo della muraglia, che riguarda al settentrione, facciata, e frontespizio di questa santa Casa (secondo il parere del P. Torseòòomo) vi era una porta alta diece palmi, e larga poco più di sei, con il suo architrave di legno massiccio, e quasi incorruttibile; qual porta adesso sta ferrata, e ancora si vede l’architrave della stessa muraglia, e vicino alla mano manca di detta muraglia vi era un armario alto tre palmi, e  mezzo, largo due, e mezzo, (e al presente si vede riccamente adornato d’argento dal duca di Parma) dove si crede, che la vergine conservava la sua Bibbia, e li suoi poveri arnesi, e doppo gl’Apostoli il Santiss. Sacramento, e attualmente in essa si conservano le scudelle (dove si crede piamente, che Christo, la Vergine, e S. Gioseppe mangiassero) ornate riccamente d’oro dalle Eminentiss. Signor Cardinal Sandoval Vescovo all’hora di Giaen, e adesso Arcivescovo di Toledo, primate di Spagna, dentro un cassettino d’argento curiosamente lavorato a spese del Duca d’Alcalà, grande parimente di Spagna. Nella muraglia verso mezzo dì stava l’Altare alto cinque palmi, e largo poco più di sei, consacrato dagli’Apostoli, sopra del quale vi era una Croce alta cinque palmi, e altre tanti larga, con un Christo Crocefisso, da una parte la Santissima Vergine, e dall’altra S. Giovanni, il tutto fatto, e dipinto per mano di san Luca. Questa Croce è stata diverse volte levata dalla Santa Casa, e sempre miracolosamente vi è ritornata, e al presente si vede sopra la finestra, dove entrò l’Angelo, adornata riccamente d’argento dall’Eccellentissimo Signor Don Taddeo Barberino Principe Prefetto Nipote di Papa urbano Ottavo. Questo altare doppo per maggior commodità fù posto dove al presente si vede, cioè sotto l’Altare dove si celebra l’incruento sacrificio della Messa. Nella stessa muraglia à mano destra del detto Altare, e sopra la porta che fù fabbricata per entrare nel santo Camino vi era una fenestra ferrata in forma d’armario, dove venne l’Imagine della Vergine coperta, con una veste di seta come di ciambellotto di color di rose secche, che ancora si conserva in un’armario vicino al santo Camino, dentro un cassettino d’argento. Nella muraglia Occidentale vi era una fenestra quattro palmi, e mezzo alta, e larga quattro, che si dice essere stata quella, dove entrò l’Angelo per annuntiare la Vergine, e hoggi attualmente si vede adornata d’argento dal Duca Caetano. Nella muraglia Orientale vi era il Camino dove la Cergine cucinava per lo suo Figliuolo, e per San Gioseppe, suo Sposo, e si chiama il Santo Camino, che è alto poco più di sei palmi, e largo poco meno di tre, e mezzo; la cima del quale stava aperta sopra la medesima muraglia da un lato, e dall’altro un campanile con due campanelle, che adesso ancora si conservano dentro questa santa Casa, il suono delle quali è unico rimedio per le tempeste di grandine, si come l’esperienza lo dimostra. Sopra questo santo Camino vi è stato fabbricato un nicchio adornato, e arricchito con diverse perle, e pietre pretiose, dentro il quale al presente sta collocata, la Santa Imagine della Vergine con quella del suo Figliuolo riccamente vestita; le cui teste sono adornate da due corone d’oro tempestate con molti diamanti: Precioso dono della Maestà Christianissima donna Anna di Borbone, e Austria, moglie di Luigi XIII, Re di Francia, e sorella di Don FilippoIV, Re di Spagna.

     Questa Santa Imagine della Vergine, con quella del Pargoletto Giesù di legno di cedro setino, o d’altro legno incorruttibile poco più di quattro palmi alta, la sua veste dorata con una cinta piena di perle, porta la corona reale in testa, di capelli sono alla Nazarena sparsi per le spalle con un manto di color azzurro, che coprendo la schiena, e le spalle, e piegato sotto il braccio dritto parimente copre la maggior parte del corpo della Vergine, e arriva fino alli piedi, e orlo della veste, e con il braccio sinistro tiene mezzo abbracciato il suo Pargoletto Giesù alto poco più d’un palmo, e mezzo, e con la mano dritta lo sostiene. Questo Bambino con la sua capigliara alla Nazarena, con il suo picciol manto di color azzurro, vesticciola rossa con la bellezza del volto, e fattezze del corpo mostra gran maestà, tiene le prime dita della mano dritta un poco rilevate in forma di dar la benedizione, e con quella della mano sinistra sostenta il mondo. Il volto della Vergine è molto sereno, grave, e bello, illustrato con color bianco, e risplendente come d’argento imbrunito, ma però per lo spazio del tempo, e per lo fumo causato da molte Lampade d’oro, e d’argento, che sempre ardono nella S. Capella si è un poco annegrito, e offuscato. Questa Figura di rilievo della Vergine, e del Santo Bambino fu intagliata nel medessimo legno da S. Luca Evangelista, secondo, che è stato rivelato per mezzo della Vergine a persone serve di Dio, e degne di fede. In questa maniera venne la Santa Casa con l’Imagine della Vergine a Dalmazia, e dalla Dalmazia alla nostra Italia. Vedasi il P. Torsellino.

     Doppo per più comodità di Custodi di questo Santuario Angelico, e delli Pellegrini serrandosi la porta grande con la quale venne, furono aperte nelle sue muraglie tre porte, una per quelli che entrano a visitare il Santo Camino, l’altre due per li pellegrini, e altra gente, e sono quelle per dove ordinariamente s’entra nella medesima Santa Casa; e insieme per fortezza di quella, Paolo III li fece levare il tetto di legno, che fu sotterrato nel pavimento della stessa Casa, e in suo luogo, fabbricata una curiosissima, e bellissima volta, con un occhio, o fenestrino in mezzo. Del detto tetto si conservano ancora due travi, uno de’ quali sta sotto il pavimento vicino a alla muraglia Occidentale, sotto la fenestra per dove entrò l’Angelo, il quale, benché del continuo si ricopra di ferro, o d’argento, per essere calpestato dal popolo, più presto si consuma detto ferro, che detto trave, restando sempre incorruttibile. L’altra si vede hoggidì delle medesime mura della Santa casa, e sta nella cima, o cornice del parapetto, o d’irrisione d’argento, che tra l’altare, e il Santo, coperta parimente d’argento al costo del Cardinal Dietrichstain vescovo di Olmuz nella Moravia; si conserva ancora del detto tetto un pezzo di tavola con una stella attaccata, e con molte altre in una cassetta dentro l’armario delle Sante Scudelle.

     Finalmente per consolatione di quelli, che leggeranno questo Santuario Loretano, avverto, che se contemplano bene il sito di questa Santa Casa, troveranno conforme le regole dei Mathematici, che sta collocata egualmente alle quattro parti del Mondo, cioè Oriente, Occidente, Mezzo dì, e Tramontana, quasi invitando a sé tutti gli uomini, acciò con devoto, e santo pellegrinaggio la visitino, e adorino, e arricchischino con i suoi doni; e così la muraglia dove sta collocata la santissima Vergine riguarda à dirittura l’Oriente, la parte contraria dove sta la fenestra dell’Angelo riguarda l’Occidente, la parte sinistra, dove stava la porta antica di questa Santa Casa rimira la Tramontana, e la parte dove anticamente era l’Altare consagrato dagl’Apostoli rimira il Mezzo dì, e in questa maniera il Sole secondo i suoi diversi corsi, e movimenti va salutando, e scomparendo i suoi raggi alla Madre del vero Sole Christo Giesù; e questo stesso sito (crede probabilmente il Torsellino) che havesse questo Angelico Santuario di Maria in tutti quei luoghi, nei quali era stato e per l’addietro s’era fermato.

     Concludo finalmente questo Paragrafo, con avvertire il Lettore, che quel luogo, dove si posò l’Arcangelo San Gabriele per Salutare, e Annuntiare la Vergine, fù quell’angolo, che vanno dentro le due parti, Occidentale, e Meridionale, e quel luogo dove stava la Vergine in profondissima contemplatione ritirata, fu l’altro angolo opposto, che fanno parimente l’altre due parti, Orientale, e Settentrionale, come lo riferisce il medesimo Torsellino.

P A R A G R A F O   V

Si descrive l’ornamento di Marmo, col quale,

questo santuario e d’ogn’intorno coperto

I Sommi Pontefici per maggior grandezza, splendore, e abbellimento di questo Angelico Santuario, non solo gli fecero fabbricare il magnifico Tempio adornato, ed abbellito con varie colonne, capelle, e pitture, sacrestie diverse, Sala del Tesoro, Choro di canonici, Fonte battesimale, e le porte curiosamente coperte d’effigiati bronzi, ma anco circondarono la medesima Santa Casa con un magnifico, sontuoso, e leggiadro ornamento di bianchi, e fini marmi, i quali con tal’artificio coprissero le sue mura, che componessero per se stessi un superbo edificio, con tal lavoro di statue, e figure, che senza esagerazione potesse essere annoverato fra i sette miracoli del Mondo, e campeggiasse non tanto fra agli innumerabili, e degni edifici di Roma, ma anco di tutto il mondo.

     Quest’ornamento a quattro parti, ò quadri conforme alle quattro muraglie della santa Casa, che d’ogn’intorno la cingono, e l’adornano; nelle quali con maraviglioso, e singolare artifizio sono scolpite bellissime figure, rappresentanti diversi misteri della vita di Nostro Signor Giesù Christo, e della Vergine Santissima, molti dei quali sono stati oprati in questa santa Casa. Nella parte Occidentale, che riguarda la porta del Tempio vi è  scolpita quando la Vergine fu annuntiata, e quando visitò santa Elisabetta, e quando la Vergine, e S. Gioseppe s’arrolavano per pagare il solito tributo in Bethlem, e in mezzo di questo vi è la fenestra dove entrò l’Angelo, sotto la quale sta l’Altare è chiamato communemente dell’Annuntiata. Nella parte Orientale di sono scolpite quando la Vergine fù Assunta, ed i quattro luoghi, nei quali la santa Casa, portata miracolosamente dagl’Angeli, si posò, con una breve inscrezione dell’Historia. Nella muraglia Settentrionale vi è scolpita la Natività della Vergine, con lo sposalitio di S. Gioseppe. Nella muraglia Meridionale vi è scolpito il Natale del Signore con l’adorazione de Magi. Sono adornati questi quadri, e divise le sudette figure da sedici colonne scannellate con le basi, e capitelli lavorati con ordine Chorinthio, e negli spazi tra l’una, e l’altra colonna vi sono i nicchi dove risiedono dieci Sibille, e altrettanti Profeti. Nel quadro Occidentale vi sono due Sibille, e due Profeti, à mano dritta sta la Sibilla Libica, e sotto il profeta Geremia, nella sinistra sta la Sibilla Persica, e sotto il Profeta Ezechiele. Nel quadro Orientale, che riguarda la Capella della Provincia, vi sono altrettanti Sibille, e Profeti, a mano dritta si vede la Sibilla Samia, e sotto il profeta Moise, nella sinistra la Sibilla Cumana, e sotto il profeta Balaam. Nel quadro Settentrionale vi sono intagliate tre Sibille, e tre Profeti, in mezzo sta la Sibilla Frigia, e sotto il Profeta Giona, nella mano dritta la Sibilla Helespontica, e sotto il Profeta Isaia, nella sinistra la sibilla Tiburtina, e sotto il profeta Amos. Nell’altro quadro Meridionale vi sono intagliate altre le Sibille con altrettanti Profeti, nel mezzo sta la Sibilla Cumea, e sotto il profeta Davide, à mano dritta la Sibilla Eritrea, e sotto il profeta Zaccaria, alla sinistra la Sibilla Delfica, e sotto il Profeta Malachia.

     Tutta questa artificiosa macchina e accerchiata, e incoronata di sopra d’una vaghissima, e ben disposta balaustrata di marmo. Si vedono in quest’ornamento quattro porte  effigiate di bronzo; per tre delle quali s’entra dentro la Santa Casa, essendo l’altra stata fabbricata solamente per salire sopra la volta della santa Capella, e per corrispondenza dell’altre, e per abbellimento dell’Edifizio. Tutte queste porte sono adornate di marmo fino con due Angeli sopra l’architrave di ciacheduna, e con l’arma di Lione X, e altri fiorami al lato. Finalmente sotto la parte Orientale si legge la seguente iscrizione scolpita in una tavola di marmo, e contiene un breve sommario di questa Historia, e delle quattro mutazioni che fece, le quali si vedono curiosamente intagliate nel detto quadro; e Clemente VIII ordinò che si facesse la detta iscrizione, essendo Protettore di questa Santa Casa il cardinal Gallo.

P E L L E G R I N O   C R I S T I A N O

che qui sei venuto per pietà o per voto,

contempla la Santa Casa di Loreto venerata in tutto il mondo

per i divini misteri e per la gloria dei miracoli.

Qui è venuta alla luce la Santissima Madre di Dio, qui è stata salutata dall’Angelo, qui l’Eterno Verbo di Dio si è fatto uomo. Gli Angeli in un primo momento la trasportarono dalla Palestina nell’Illirico, presso il Castello di Tersatto, nell’anno della Salvezza 1291, essendo Sommo Pontefice Niccolò IV. Dopo tre anni, all’inizio del Pontificato di Bonifacio VIII, fu trasportata nel Piceno, vicino alla città di Recanati, in una selva di questo colle. La stessa, per opera degli Angeli, mutato per tre volte il sito nello spazio di un anno, fu traslata laddove finalmente fissò la sua sede per volere divino trecento anni or sono. Da quel tempo, i popoli vicini furono presi d’ammirazione per sì stupenda novità e in seguito, per la fama dei miracoli divulgata in largo e in lungo, questa Santa Casa ebbe grande venerazione da parte di tutte le genti. Le sue pareti, senza fondamenta, dopo tanti secoli permangono integre e stabili. Il papa Clemente VII la rivestì con un ornamento marmoreo nell’anno del Signore 1534. Clemente VIII, Pontefice Massimo, ordinò che in questa lapide fosse scritta una breve storia dell’ammirevole Traslazione nell’anno 1595. Antonio Maria Gallo, Cardinale Prete di Santa Romana Chiesa e Vescovo osimano, Protettore della Santa Casa, la fece eseguire. Tu, pio pellegrino, venera con devozione la Regina degli Angeli e la Madre delle grazie, affinché per i suoi meriti e per la sua intercessione, tu possa conseguire dal Figlio dolcissimo, autore della vita, il perdono dei peccati, la salute del corpo e il gladio eterno.

Vedasi in Torsellino la descrittione di quest’ornamento, e nel Paragrafo seguente, e nell’undicesimo di questo Santuario si riferiranno li Pontefici che ordinarono si facesse, per perfezionasse.

P A R A G R A F O    VI

Indulgenze, e privilegi concessi da Sommi Pontefici

à questo Santuario.

     Non contenti di questo i Sommi Pontefici à gara sin dal principio della sua Venuta in Italia, non solo lo visitarono, e arricchirono con i loro doni, ma ancora li ingrandirono, e illustrarono con Privilegi, Grazie, e Indulgenze. Registrarò brevemente tutto ciò, che hanno fatto i pontefici in favore di questo Santuario, rimettendo il lettore al Paragrafo undecimo, dove si vedranno l’altre cose, che li Protettori, e Governatori di questa Santa Casa hanno fatto nel tempo di questi Pontefici. Benedetto XII nell’anno 1342 concesse le prime indulgenze ad istanza dei Recanatesi. Urbano V nell’anno 1365 ovvero 1366 (secondo il parere d’alcuni) venendo da Avignone di Francia a Roma, a persuasione del Legato Apostolico di tutta l’Italia il Cardinal Egidio Carriglio Albornoz visitò questo Santuario, e fu il primo Sommo Pontefice che lo onorò con la sua presenza. Urbano VI nel 1388 a 13 di Novembre con l’occasione delli miracolosi lumi, che si viddero apparire nella S. Casa per la festa della Natività della Vergine concesse per questo giorno indulgenza plenaria. Bonifacio IX nell’anno 1390 prorogò l’istesse indulgenze per li mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, e ne concesse una plenaria per lo giorno dell’Annuntiata, Martino V ad honore di questa S. Casa, si come dice il breve del 1420 diede facoltà di far la fiera alli Recanatesi nelli detti tre mesi con le medesime indulgenze. Nicolò V dell’anno 1447 concesse un’altra indulgenza plenaria per lo dì dell’Annuntiata, e ordinò, che i doni, e regali fatti a questa Santa Casa non si potessero impiegare in altro senza licenza del Pontefice. Calisto III Valentiano dell’Eccellentissima Casa Borgia nel 1456 fortificò questa Santa Casa, ponendovi presidio contro il Turco. Pio II, del 1464 visitò questo Santuario in rendimento di grazie per essersi liberato da una infermità ad intercessione della Madonna di Loreto, e li donò un calice d’oro, con altri doni. Paolo II del 1464 obbligato alla Vergine per averlo liberato dalla peste, e rivelato ancora in questa S. Casa, che doveva essere Papa, concesse indulgenze per li giorni della Natività, Purificazione, Assunzione della Vergine, e per tutte le Domeniche dell’anno, per tutti i giorni della settimana Santa, per le Pasque di Resurrezione, e della Pentecoste con le sue feste, per il Corpus Domini con tutta l’Ottava; esentò questa santa Casa, soggettandola immediatamente al Papa, cominciò il Tempio, e ai Confessori concesse autorità di poter assolvere da’ i casi reservati alla Sede Apostolica. Sisto IV nel 1473 confirmò tutte l’indulgenze concesse dai suoi antecessori, e di nuovo ne concesse una plenaria nel giorno della Natività della Madonna, vi dichiarò un  Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per lo temporale con otto Capellani, ò sacerdoti per assistere al culto divino della S. Casa, e confessare i poveri pellegrini, concedendoli autorità di commutar li voti, fuor de li cinque riservati al Pontefice, e seguitò la fabbrica della Chiesa. Innocentio VIII nel 1491 non solo adornò con l’Imagine della B. Vergine con un preziosissimo gioiello con la sua arma, e la Chiesa con una ricca, e curiosa tapezzaria, ma ancora sapendo, che i Padri Carmelitani havevano avuto cura di questo Santuario stando in Nazaret, ad  istanza del Cardinal della Rovere Nepote di Sisto IX Protettore vi stabilì trenta di loro, con autorità di Penitentieri Apolstolici, sì come si vedrà nel seguente Paragrafo. Giulio II del 1507 al li 21 di Ottobre confirmò tutte le indulgenze, concedendone un’altra plenaria per il giorno dell’Annuntiata, esentantola dalla giurisdizione dei Recanatesi, e volse lui medesimo esserne Protettore, intitolandola Sacello, ò Capella Pontificia, e li suoi ministri Familiari del Papa, e misto imperio al Governatore, fece l’organo, e istituì la musica, fini la Chiesa, fece far due campane grosse, fece condur marmi per l’ornamento di questa Santa Casa, dandoli molte possessioni, la visitò due volte in persona, nella prima disse messa, diede la benedittione al popolo, e li concesse molte indulgenze, e nella seconda in rendimento di grazie alla Vergine per essere stato liberato d’un colpo d’artiglieria nell’assedio della Mirandola, e la palla ancora si vede pendente della Santa Casa in memoria di questo miracolo, e per segnale della vittoria ottenuta da i suoi nemici, e fra gl’altri doni presentò alla Vergine una bella, e ricca Croce, con dei candelieri d’argento indorati l’anno 1510. Leone X nell’anno 1513 alli 19 di Aprile aumentò l’autorità alli Penitentieri, e l’anno 1514 dichiarò, che nella sospensione generale dell’indulgenze non si intendono sospese quelle della Santa Vasa, e alli otto di Decembre eresse in Collegiata la Chiesa di Loreto con dodeci Canonici, e uno di essi con titolo d’Arciprete, e altrettanti beneficiati, con sei chierici aiutanti di coro; e ordinò che da questi s’eleggessero sei, ò otto Penitentieri, due Canonici, e gli altri Beneficiati, e l’anno 1515 a 18 di Gennaro confermò li privilegi, indulgenze, e di nuovo a concesse un’altra plenaria per lo giorno del santo Natale, e le due feste seguenti; e l’anno 1518 al primo d’Agosto confermò un’altra volta li privilegi, indulgenze, e ve ne aggiunge di nuovo un’altra plenaria per tutte le Domeniche che di Settembre, e Ottobre, e l’anno 1519 al primo di Giugno confirmò la terza volta l’indulgenze, e privilegi, e l’esentò dalla giurisdizione del Legato della Marca. Oltre di questo fece un Spedale, e ordinò, che fosse fusa una campana di rara grandezza, e chiamolla dal nome della terra Loreta; cinse, e fortificò Loreto di bastioni, di mura, e di baloardi, ed diede principio all’ornamento di marmo. Adriano VI, l’anno 1522 confirmò tutte le indulgenze concesse a questo Santuario. Clemente VII l’anno 1525 a 11 Aprile, e secondo del suo Pontificato confermò tutte le indulgenze, e privilegi concessi da Leone X ingrandì la fabrica del Tempio, e del palazzo, e fece la maggiore, e migliore parte dell’ornamento di marmo, mandò tre camerieri suoi a Nazaret e per investigar con diligenza la verità di questa santa Casa, nell’anno 1534 la visitò quando ritornò da Bologna da coronare l’invittissimo Carlo V Imperatore Romano Re, e Monarca delle Spagne. Paolo III l’anno 1535 confirmò tutte le indulgenze, e ne concesse dell’altre, fondò un Seminario di putti per cantare le lodi alla Madonna, fabricò tre Hospitali, fece la volta della santa Capella, e li balaustri, che cingono l’ornamento di marmo, e la visitò due volte, offerendoli ricchissimi doni, e li concesse altri privilegi, e esenzioni, e l’anno 1549 un ultimo del suo Pontificato illustrò il Signore questa santa Casa con una colonna di fuoco di grandissimo lume risplendente, la quale apparve su’l Tempio, e fu osservata incaminarsi pian piano verso la Chiesa intitolata a Santa Maria delle Vergini della Città di Macerata quattordici miglia discosto da Loreto, si come dice il Torsellino. Giulio III nell’anno 1554 essendo vivo ancora Sant’Ignazio fondo il collegio della compagnia di Gesù, e in questo stesso tempo illustrò il Signore questa Santa casa con nuovi, e miracolosi lumi, li quali partendosi da essa, si inviarono verso un’altra chiesa della Madonna detta dal borgo Santa Maria di Storaco di Monte Filottrano terra della marca anconetana, e doppo di haverla illustrata, girando intorno intorno per alquanto ispazio di tempo, finalmente se ne tornarono al medesimo luogo donde si erano partiti; e queste celesti fiamme furono ancora vedute nel Tempio medesimo di Loreto l’anno 1555 come si vedrà nel prossimo Paragrafo. Marcello II l’anno 1555 obbligato alla Vergine per averli in questa santa Casa rivelato d’essere eletto P. Apa, pensò di fare tutto ciò, che doppo fece Sisto V si come apparisce in alcune memorie sue, che ancora si confermano in M. Fano sua patria, ma lì pochi giorni del suo Pontificato furono causa di non poter effettuare tutto ciò, che desiderava. Paolo IV Napolitano di casa Caraffa dell’anno 1555 confirmò tutti i privilegi, indulgenze, accrebbe il numero dei ministri di detta santa Casa, facendolì moltissimi, e ricchissimi regali. Pio IV l’anno 1559 confirmò l’indulgenze, e privilegi delli suoi antecessori, e l’anno 1561 vi aumentò il numero dei Canonici, confirmò il Collegio della Compagnia di Giesù, e gli stabilì l’entrata, e adornò la cupola del Tempio. Pio V l’anno 1566 gli inquirenti assai, nel i primi Agnusdei da lumi benedetti di fece improntare l’immagine della Madonna di Loreto, con queste parole: Veramente splendida è la casa che fu a Nazare, fece cercare, e gli determinò buonissimi musici, fece mettere nell’ornamento di marmo diece Sibille, e altrettanti Profeti, fece un Hospitale, istituì quattro Confraternite, e li diede le regole, e leggi che dovevano osservare, prohibì che voti fatti a questa santa Casa non si potessero commutare in altre opere pie, e li fece ricchi, e precisi regali. Gregorio XIII dell’anno 1574 confermò tutte le indulgenze, e concesse l’altre, e di più, che non si intendessero sospese nel tempo del Giubileo universale, accrebbe l’entrata de’ Canonici, fondò il Collegio Illirico sotto il governo dei Padri della Compagnia di Giesù, e donò a questa medesima Vergine la Rosa d’oro, che ogn’anno si benedice la Domenica quarta di Quaresima, con molti altri doni, e l’anno 1577 li concesse un’Altare Privilegiato per l’Anime del Purgatorio, e fece l’altre cose, che si registreranno nel Paragrafo undecimo. Sisto V a 17 di Marzo dichiarò Cathedrale e la Chiesa della santa Casa, li diede il Vescovo, e fece Città Loreto, istituì il Magistrato, eresse il Monte della pietà, finì e perfezionò la facciata della Chiesa, e concesse molti privilegi, indulgenze; per lo che li fu eretta una bellissima statua di bronzo, e le furono messe due iscrizioni sopra le due porte picciole della Chiesa di detta S.  Casa; alcuni vogliono, che diede quaranta mila scudi per far le porte di bronzo del Tempio; altri però affermano, che Gregorio XIII fece questa limosina. Clemente VIII nell’anno 1593 confermò li privilegi, indulgenze di questa santa Casa, la visitò due volte, quando andò, e tornò da Ferrara, vi disse Messa di giorni che si trattenne in Loreto, promuovendo al Sacerdotio il Cardinale Aldobrandino suo Nipote, concesse indulgenza plenaria perpetua a tutti quelli che visitassero, l’arricchì di molti, e preziosi doni, ordinò, che nell’ornamento di marmo si scrivesse l’Hstoria di questa santa Casa, e le quattro mutazioni che fece, e nell’ultimo anno del suo Pontificato per opra de Padri Pemitentieri della Compagnia di Giesù, diede licenza che si celebrasse la festa della Venuta di questa santa Casa in Italia a i 10 Decembre, e poco doppo fu cominciata a celebrare, quale poi l’anno 1632, a 29 di Novembre ad istanza dell’Eminentissimo cardinal Roma vescovo in quel tempo di Loreto, e Recanati, e dell’illustriss. Gio: Battista Rinuccini Arcivescovo di Fermo con  Breve particolare, conformò, e ampliò Urbano VIII concedendo, che si potesse celebrare etiandio per tutta la Provincia della Marca. Paolo V l’anno 1606, confermò tutte le indulgenze, e privilegi di questa santa Casa. Fece venire da Ricanati per un dispendiosissimo, e grandissimo condotto l’acqua, ordinando che si facessero due Fontane ornate di varie figure, e statue di bronzo, e di marmo, una fuori della Città, e l’altra nella piazza del Tempio, abbellì con bellissime, e curiose pitture la cuppola della Chiesa, fece fabbricare la bellissima Sala del Tesoro, dove si rinchiudono in diversi armarii li preziosissimi, e ricchissimi regali, che diversi Principi è in segno della loro divozione, e affetto verso questa santa Casa, e in ricompensa de’ favori, e grazie ricevute, hanno offerto alla serenissima vergine, e finalmente istituì la Confraternita di S. Carlo. Gregorio XV concesse in diverse occasioni molte indulgenze. Urbano VIII ha honorato questa medesima casa di molte indulgenze, nel cui tempo per ordine dell’Illustrissimo, e reverendissimo monsignor Panico vescovo di Loreto, e Recanati s’instituì la devota Confraternita di San Gioseppe. E finalmente non vi è stato Pontefice, che non h oro abbia illustrato questa santa, e Angelica casa di Loreto con privilegi, grazie, e regali.

P A R A G R A F O   VII.

Favoriscono di sommi pontefici questo Santuario,

instituendo in esso la Penitenziaria Apostolica.

     Essendosi mostrati così liberali i Sommi Pontefici nell’ingrandire questo Angelico Santuario, procurando che non mancassero Protettori, e Governatori per lo buon governo, e mantenimento temporale, e spirituale, come si vedrà nel Paragrafo undecimo, non si puole dubitare, che maggiore sia stato il pensiero in provedere questo medesimo Santuario di huomini Apostolici, acciò con zelo evangelico attendessero al culto del Tempio vivo di Dio, che è la salute dell’anime. Di qui è, che i Sommi Pontefici mai hanno consentito, che questa S. Casa restasse priva di tanto bene, e così per tutto dove è stata sempre ha havuto persone vigilantantissime nell’esseguire inpiego così grande, e ministerio così glorioso. Andarò dunq; con la brevità solita registrando il principio, e progetto di questa Penitenziaria Apostolica, e parimente il felice stato, nel quale al presente si ritrova. I primi, che si sa, che avessero cura di questo Santuario, stando in Nazaret, furono i Padri Carmelitani, i quali attendevano all’aiuto spirituale de Pellegrini, che da tutto il mondo concorrevano a visitarlo. Da Nazaret e se ne passò a Tersatto, e il Signore la providde di buoni, e vigilanti Sacerdoti, tra quali vi fù il divoto Alessandro, il quale obbligato alla Vergine per haverlo con le proprie mani risanato d’una infermità che haveva, con grandissima soddisfattione, e fervore si impiegava in alloggiare, confessare, e consolare i poveri Pellegrini, che per devozione, ò voto visitavano detta santa Casa. Venne poi ultimamente in Italia, dove mai li sono mancati i buoni ministri; perche sempre con la vigilanza dei Sommi Pontefici, Protettori, e Governatori di essa si è venuto aumentando; perche subito che apparve nei confini di Recanati, il Vescovo deputò Sacerdoti esemplari in dottrina, e virtù, quali s’impiegavano in confessare i Pellegrini, che venivano a visitare questa santa Casa, quali Paolo II dell’anno 1464 costituì come suoi Penitentieri, dandoli facoltà da assolvere casi reservati al Sommo Pontefice. Doppo Sisto IV dell’anno 1471 esentando questa Santa Casa dalla giurisdizione di Ricanati, stabilì otto Capellani con titolo di Penitentieri, a cui concesse autorità da assolvere i Pellegrini da casi reservati, e anche di commutar li Voti.

     Dura le cose in questa maniera il fino all’anno 1491 nel quale Innocentio Ottavo avendo saputo, che i Padri Carmelitani avevano avuto cura di questo Santuario mentre stava in Nazaret, ordinò che trenta delli medesimi ne avessero il pensiero ancora in Italia con la medesima autorità concessa agli altri; e con questi Padri venne il P. Fra Battista Mantuano Vicario Generale della Congregazione di Mantova uomo dottissimo. Continuarono in Loreto questi Padri per lo spazio di nove anni con molta lode impiegati in così tanto esercizio. Doppo la partenza de quali, il Cardinal Protettore sostituì alcuni sacerdoti dotti, e virtuosi con la medesima autorità, e giurisdittione infino all’anno 1507 nel quale a 21 di Novembre Giulio II rimuovendo il Vicario, e mettendo un Governatore con misto imperio, assegnò molti Sacerdoti, che servissero di Penitentieri con la medesima autorità che gli altri. In questa maniera perseverano infino all’anno 1514 nel quale Leone X a 8 di Decenbre eresse una Collegiata con dodici Canonici, e altrettanti beneficiati con sei Capellani, o chierici per servizio del choro, e ordinò, che da questo numero si eleggessero due Canonici, e quattro,ò sei beneficiati dotti, e virtuosi per Penitentieri Apostolici, i quali con ampia autorità si esercitassero in confessare i Pellegrini, e altra gente.

     Durò in questo stato intorno a quaranta anni sin tanto che nel 1554 vedendo  Giulio Terzo il progresso, che faceva Sant’Ignazio Fondatore della Compagnia di Giesù con i suoi Figliuoli per lo Mondo, e in particolare nell’Europa, riformando vite, e costumi, domandò alcuni Padri allo stesso S. Ignazio per mandarli al Loreto, dove gli fondò un Collegio, e il Santo ne mandò dodici quali Padri in compagnia di detti Canonici, e Confessori dichiarò suoi Penitentieri con ampia autorità e giurisdittione. Promossero questo negozio il Card. Rodolfo Carpio Protettore di questa santa Casa, e Gasparo de Doctis Governatore di essa. Doppo l’istesso pontefice considerando il frutto notabile, che questi pochi facevano in profitto dell’anime, mandò altri Padri della medesima compagnia a tale effetto. Venne Paolo IV il quale parimente considerando il frutto grande, che li detti Padri havevano fatto in questa S. Casa, e nelle Città, e Terre circonvicini con le loro missioni nel tempo delle vacanze dell’anno 1555 n’aggiunse altri trentadue, ordinando che vi fussero di diverse nazioni per utilità di tutti, dandoli autorità Apostolica, come chiaramente si ricava dalla Bolla del Card. Carpio Protettore, e sempre etiandio dal principio della fondazione del detto Collegio vi sono stati Penitenziero di diverse Nazioni. Leggasi  il Torsellino nel accennato luogo, e il P. Nicolò Orlandino nell’Historia della Compagnia di Giesù.Doppo del 1572 Gregorio XIII non solo confirmò l’autorità concessa da i suoi Antecessori altri Penitentieri, ma ancora lì concesse che potessero assolvere i Religiosi di qualsivoglia ordine, overo instituo da casi riservati tanto al Papa, come alli Superiori della loro Religione, e questo è stato confirmato dagli altri Sommi Pontefici, e massime da Urbano VIII nella sua Bolla. L’istesso concederono Clemente VIII al primo d’agosto l’anno 1600 e Paolo V successor suo con Bolle particolari; e in questa maniera gli altri Pontefici hanno favorito questa Penitenziaria dando facoltà, autorità ampia a suoi Penitentieri d’assolvere da’ tutti i casi riservati al Papa, e quella della Bolla  In coena Domini, eccettuandone quelli che il Sommo Pontefice si riserva, e di poter commutare qualsivoglia voto, fuorché di Castità, e di Religione, d’andare a san Giacomo di Galizia, e per servitio di Terra Santa, si come appare dalla Bolla d’Urbano VIII, spedita alli 20 di Giugno 1636 che comincia: Attendentes ubiversi gregi:  e hoggidì con la medesima autorità risiedono nel Collegio di Loreto venti penitenziere, sei dei quali sono di diverse lingue, Spagnolo, Francese, Fiamminga, Tedesca, Polacca, e Illirica e gli altri Italiani, quali mantenuti con elemosina, e entrata della santa Casa, non solo attendono all’offitio loro principale d’assistere come Penitentieri Apostolici in tempo che si cantano gli uffici divini, per confessare, e consolare di divoti pellegrini, e gli altri penitenti, ma ancora predicano al popolo nelle occorrenze di feste, e delle quarant’hore, e spesso nella Congregazione, visitano gli Hospitali, e le prigioni, aiutano a ben morire, insegnano tutte le Domeniche la Dottrina cristiana, e uno di essi legge in choro al M. Illustre Capitolo di Loreto la Teologia morale; sono più di novant’anni, che questi Padri continuano questo santo essercizio, e ministeri o Apostolico con essempio singolare, e identificazione, e con gran frutto dell’anime cristiane. E quanto sia stata grata a Dio la venuta di questi Padri in Loreto, e quanto goda la Vergine delle loro notabili fatiche, e il demonio senta la guerra che li fanno con la loro vita esemplare, e impiego Apostolico, liberando un’infinità d’anime dalle sue mani, l’ha voluto dimostrare Signore in due miracoli, l’uno successo nella stessa Chiesa, e l’altro dentro il Collegio di Loreto. Il primo fu, che predicando l’anno 1555 nella Chiesa di Loreto in Padre della Compagnia di Giesù fuor d’ora, si vidde calare dal più alto della Chiesa uno splendore molto grande a guisa d’una torcia accesa la quale fermatasi prima sopra la santa Casa, dopo si levò di lì, e scorrendo sopra gli ascoltatori, si fermò sopra i confessionari, dove i Padri penitentieri stavano, e di poi sopra le loro medesime teste, e ancora delli penitenti, e ultimamente posandosi sopra l’imagine miracolosa del Crocifisso, che sta dentro la santa Capella, disparve, lasciando pieni d’una celeste consolazione il cuore, e l’alma di quelli, che con li propri occhi quel miracoloso splendore havevano veduto. Qual miracolo raccontano li Padri Orlandino nella prima parte dell’Istoria della compagnia di Giesù, e il  Torsellino. Il secondo successe due anni dopo la venuta di detti Padri, e fù, che invidiando Il Diavolo il frutto, che facevano nelle anime, cominciò a travagliare il Collegio, e li Padri con diverse forme, e figure orribilissime. Usò il Padre Oliverio Manareo di Nazione Fiamingo, allora Rettore, tutti i rimedi, dei quali la Chiesa santa si serve contro questi spiriti infernali, di scongiuri, e esorcismi, ed altre divote orazioni, riuscendo però tutto in vano. E vedendosi senza rimedio, il Padre Rettore scrisse una lettera al Padre Sant’Ignatio, che dimorava in Roma, il quale rispose, che confidassero in Dio, e nella Beatissima Vergine, a cui come suoi Capellani servivano, che li liberaria dalle molestie di quelle bestie infernali; ricevuta la lettera il Padre Rettore, la lesse in presenza degl’altri Padri, quali assicurò, che ad intercessione della Vergine, e per l’orazione del loro santo Padre svaniriano quelli spiriti maligni, lasciando di inquietare i servi di Dio, che poi con maggior animo seguitarono il pietoso esercizio, nel quale la Maestà di Dio gli aveva applicati. Il tutto raccontano l’istesso padre Nicolò Orlandino nel libro citato, e il Padre Giovan Pietro Maffeo nella vita di Santo Ignatio.

P A R A G R A F O    VIII.

E honorato, e arricchito questo Santuario con

la presenza, e doni di molti Principi,

e Signori grandi del Mondo.

     Si potrebbe fare un grosso volume se volessimo distintamente registrare i grandi Potentati del mondo come Imperatori, Re, Regine, Cardinali, Principi, Prelati, Repubbliche, Città, Terre, Castelli, Communità, Ambasciatori, e altri Signori grandi, e personaggi di Spagna, Germania, Francia, Fiandra, Polonia, Inghilterra, Italia, e etiandio di tutto il mondo, i quali tirati dalla divozione di questa Vergine, hanno honorato con la loro presenza, e arricchito con i suoi preziosi doni questo Santuario. Vedali chi vorrà nell’Hostoria Loredana del Torsellino, e negl’altri autori, che più distesamente hanno scritto di questa materia. E prima di tutti lascio lì Re, e Principi, i quali per non poter venire, come desideravano, a visitare in persona questo Santuario, l’hanno arricchito con i suoi pretiosi, e regii doni, come la Regina di Spagna Donna Isabella moglie del Cattolico Re Don Filippo IV, la quale in Dio a questa Madonna una ricchissima veste guarnita con 6600 diamanti. Donna Isabella Chiara Eugenia figliola di Filippo II Arciduchessa d’Austria, e Contessa di Fiandra, la quale presentò un’altra veste con più di 2600 diamanti, e altrettante perle pretiose. Henrico Terzo Re Cristianissimo, il quale da pubblici negoti impedito di visitare personalmente questo Santuario, spedì un Gentiluomo del suo palazzo, acciò che in sua vece lo visitasse, e offerisse una bellissima coppa di lapis lazulo col suo coperchio di cristallo di montagna, e piede di smeraldo, legato, e coperto d’oro, e sostentato da ogn’intorno di gemme, e di grosse perle adornato, e la sua moglie un cuore con un ricchissimo smeraldo. Donna Anna d’Austria, e Borbone Regina parimente di Francia, oltre delle due corone, che al presente portano nelle sue teste la Madonna, e il suo Bambino, fece presentare un’Angelo d’argento con un Bambino d’oro, in rendimento di grazie di haver ottenuto per intercessione di quella Vergine, figliuoli, e successione. Maria Henrica di Borbone Regina d’Inghilterra, e figliuola di Enrico IV Re di Francia mandò un cuore d’oro con due imagini di smalto assai curiose, e pretiose. Sigismondo re di Polonia una lampana d’oro lavorata con le sue proprie mani. La Principessa Catarina Zamoiski Gran Consigliera di Polonia mandò ad offrire alla Madonna tutto un apparato per dir messa, il cui valore passa cento trentamila scudi. Don Carlo d’Oria Duca di Turfis un diamante di prezzo di dodeci mila scudi, e molti altri Principi altrettanti doni.

     Basta dire al divoto lettore, che tre Imperatori, due della Casa d’Austria Carlo V e Ferdinando Terzo, e prima di questi Federico Terzo. Tre re Alfonso l’Aragonese di Napoli, Stefano Battore, e la di Paolo IV l’uno, e l’altro di Polonia; cinque, Regine due di Napoli l’anno 1514 la Regina d’Ungaria, Bona Sforza figlia del re di Navarra, e moglie di Sigismondo II re di Polonia, e un’altra regina d’Ungaria; e l’anno 1631 D. Maria d’Austria Sorella di Filippo IV, Re di Spagna, Regina parimente d’Ungaria e poi Imperatrice e molto prima l’anno 1576 Don Gio: d’Austria Figliuolo di Carlo V in rendimento di grazie per la vittoria navale ottenuta da Turchi per intercessione di questa Madonna, le quattro anni prima D. Giovanna d’Austria gran Duchessa di Toscana Figlia dell’Imperatore Ferdinando I la quale in pegno del suo cordiale affetto verso questa Madonna gli offrì due cuori d’oro con altri molti regali e mentre viste sempre fù singolar benefattrice di questo Santuario D. Margarita d’Austria Duchessa di Parma, Figlia di Carlo V Christierna Duchessa di Lorena Figlia del Re di Danimarca, e nipote di Carlo V l’Arciduchessa Maria Madre della Regina di Spagna Sorella di Ferdinando II Gran Duchessa di Firenze, la quale presentò alla Vergine due torcieri d’oro di prezzo di 18 mila Scudi molti Duchi di Baviera, e non pochi di Francia di Sangue Reale, come quello di Condè, e Soisons, duchi di Savoia, Mantova, Toscana, Modena, Ferrara, e Urbino, con un altro numero innumerabile di Principi di tutta l’Europa, e tra questi più di seicento Cardinali hanno visitato in persona questa Santa Casa, honorandola con la loro presenza, e arricchendola con i loro doni, e lasciando un singolar esempio della loro pietà, e divotione. Et altre sì dell’istssa India non hanno mancato personaggi, che hanno illustrato questo Santuario, come accadde nell’anno 1585 ultimo del Pontificato di Gregorio XIII nel quale vennero Don Mansio Nipote di Don Francesco Re di Bungo nel Giapponese, e Don Michele cugino di Don Protasio Re d’Arima, primo cugino di Don Bartholomeo Prencipe, e Signore d’Omura, accompagnato da altri due Signori Giapponesi per nome di Don Giuliano, e Don Martino, i quali venendo per Ambasciatori dei detti Re a rendere la dovuta ubidienza al Sommo Pontefice, e doppo d’haver trascorso per le prime, le principali Città di Spagna, Italia, volsero ancora visitare questo Santuario, honorandolo con la loro presenza, come lo riferisce Rutilio Benzonio Vescovo di Loreto nel libro del Giubileo, e l’anno 1643 il Sereniss. Principe Gio: Casimiro Figliuolo di Sigismondo III Re di Polonia, e di Svezia, Fratello di Ladislao al presente regnante in Polonia, e primo Cugino di Ferdinando III Imperatore, e Filippo Quarto Re di Spagna, e di D. Anna d’Austria, e Borbone Regina di Francia, e parente stretto delli maggiori Potentati d’Europa, non solo volse gonorarla con la sua presenza, e arricchirla con suoi doni, presentando alla Madonna un’anello preziosissimo con un grosso diamante, e un vaso d’oro curioso, e ricco, ma ancora dentro la Santa Capella, havendo lasciata la grandezza del mondo, si consagrò alla Beata Vergine facendosi Religioso della Compagnia di Giesù, e doppo d’haver vissuto in essa più di due anni, la Santità di Nostro Sig. Innocenzo X lo promosse alla dignità, e porpora Cardinalizia.

     Finalmente (scritto già questo compendio) a 10 di Decembre di quest’anno 1646 il Principe Mahamet Celebi primogenito del Re di Tunesi nell’Affrica doppo d’haver per inpiratione di Dio abbandonato Padre, Madre, Sposa, Patria, e honorevoli cariche ricevute dal Gran Turco, e biasimando la maledetta Setta di Maometto, e havendo ricevuto il santo Battesimo nella città di Palermo in Sicilia, e con esso appresso il nome di Filippo Innocentio, volse ancora visitar questa Angelica Casa della Madre di Dio in rendimento di grazie per cotanto favore ricevuto dalle sue mani, e communicandosi due volte nella Santa Capella, non dimostrò con la sua divotione, e modestia restar’appagato della fede ricevuta, ma anche un singolare, e cordiale affetto verso questa Signora. Potrei registrare altri innumerabili di questi, i quali con la loro presenza, ò con ricchissimi doni, ò con l’una, ò con l’altre cose l’hanno illustrata, la cui memoria vive, e viverà per sempre, e la Santa Casa nelle sue muraglie, la sala del Tesoro ne li suoi armarii, lo stesso Tempio nelle sue colonne palesano la liberalità di questi, e divenute promulgatrici lingue, obbligano ai presenti, e anche a tutto il mondo li grandi, ricchi, e pretiosi doni, che gli accennati Principi, gli altri molti in pegno della loro divotione, e in ricompensa de’ favori ricevuti gli hanno offerto.

P A R A G R A F O   I X.

Visitano questo santuario, e l’honorano con la

sua presenza molti Santi, e Servi di Dio.

     Era conveniente, che una Casa così  santa, e un  Santuario Angelico fosse visitato,

e honorato con la devota presenza di molti Santi, e servi di Dio; e che si come in Nazaret fu illustrato con tanti misteri, consagrato da gl’Apostoli, abbellito con un Tempio dalla Santa Imperatrice Elena, visitato da li  Santi Girolamo Dottore della Chiesa a Paola Matrona Romana, Luigi re di Francia, e da molti altri, come dicessimo nel Paragrafo secondo; così stando in Italia, capo della Regione Cristiana, conveniva non restasse privato di questo favore. La prima, che sappiamo, che mostrò la sua divotione verso questo Santuario fù Santa Brigida Principessa di Nericia nel Regno di Svecia, la quale nell’anno 1345, partendo dalla sua patria a Roma e da Roma a Gierusalem, e poi un’altra volta a Roma, dove l’anno 1373 morì santamente, è credibile passasse per Loreto, e ivi riverisse la Madre di Dio, e anche in quel luogo ricevesse molte rivelazioni, secondo che il Signore li promise in un’altra rivelazione fattali in favore di questa Santa Casa, come si vede nel libro delle sue rivelazioni, dove si leggono le seguenti parole: In questo luogo dove Maria è nata e fu educata chi sarà venuto non solo avrà la purificazione; ma sarà anche un vaso in mio onore e chi sarà venuto purificato con buona e perfetta volontà avrà da vedere e gustare quanto dolce e quanto lo soave io Dio sia. E poi animando a visitare questo Santuario, aggiunse il Signore: Quando dunque verrai in questo luogo ti farò molte manifestazioni.

      Il Beato Giacomo della Marca de i Minori Osservantihuomo Apostolico, e Evangelico Predicatore, l’anno 1470 visitò molte volte questo Santuario; e in esso una volta dicendo messa restò libero una cura dell’infermità, che impediva il suo Apostolico esercitio, e un’altra dagli assalti interni del Demonio, e parimente gli fù rivelata l’hora della sua morte, come appunto accadde, si come dicono la Cronica di San Francesco, e il Torsellino nella sua Hostoria.  Lo stesso sentono molti di San Bernardino di Siena, del beato Gio: Capistrano, e in particolare di S. Diego d’Alcalà della medesima Religione, quando l’anno 1450 al tempo di Niccolò V, passò da Spagna, a Roma con l’occasione del Giubileo universale, e canonizzazione di San Bernardino di Siena.Lo stesso si crede da altri Santi, e Servi di Dio in questo tempo.

     S. Francesco Xaverio della Comp, di Giesù, e Apostolo dell’Indie due volte illustrò con la sua presenza questo Santuario, e una d’essa fù quando da Roma parti alla volta di Portogallo, e di là all’Indie l’anno 1540 e in essa con la protettione di Maria s’armò per intraprendere la sua missione Apostolica. San Carlo Borromeo Cardinale di Santa Chiesa, Arcivescovo di Milano la visitò due volte, la prima all’anno 1572 quando andò a Roma per la creazione di Gregorio decimoterzo, e in quella si trattenne orando tutta la notte; la seconda l’anno 1579, quando doppo  d’haver visitati i più grandi Santuari d’Italia, venne a piedi da Fossombrone Città del Ducato d’Urbino cinuanta miglia distante da Loreto, e in quella disse messa, communicò, e predicò al popolo nel giorno della Natività della Madonna, e anche, volse desinare con li Canonici del Refettorio commune come allhora si usava. Il B. P. Francesco di Borgia quanto un duca di Gandia, e terzo Proposito Generale della Compagnia di Giesù visitò due volte questo Santuario; la prima quando essendo Commissario delle Province di Spagna venne a Roma l’anno 1560 chiamato dal Pontefice Pio IV, la seconda essendo Proposito Generale, come abbiamo detto nel prologo, la terza quando tornò da Spagna, e Francia l’anno 1572 dove fu mandato per ordine di Pio V in compagnia del Zardinale Alessandrino suo Nipote, e Legato Apostolico, e quì s’armò per l’ultima giornata al cielo, che pochi giorni doppo successe. Il Beato Luigi Gonzaga, Marchesi di Castiglione, e Principe dell’Imperio quando renuntiando il suo Stato l’anno 1581 andò in Roma per essere ammesso nella Compagnia di Giesù obbligato al favore di essere stato liberato dal pericolo della morte assieme con la sua Madre nel tempo del parto per intercessione di questa Madonna, volse con quest’occasione visitando questo Santuario sodisfare alla sua divotione, e al voto della sua Madre, e in questa medesima Capella si communicò due volte, e li giorni, che si trattenne, mai s’allontanò da essa.

     Lo stesso al parere di molti si crede di Santo Ignazio fondatore della Compagnia di Giesù, e delli suoi compagni, e del Beato Stanislao Koska, quando l’anno 1567 da Polonia venne a piedi infino a Roma per entrare nella medesima compagnia. Ma del P. Diego Lainez secondo Generale della compagnia,P. Alfonso Salmerone, e P. Nicolò Bobadilla è cosa certa, che il primo la visitò molte volte quando andò e tornò da Venezia, il secondo quando in compagnia dell’istesso P. Lainez si trasferì al concilio di Trento per teologo del Papa, e il P. Nicolò Bobadilla per la sua grande divotione verso questa Madonna, e la sua Santa Casa elesse il Collegio di Loreto per sua abitazione, in cui visse il rimanente della sua vita, nell’anno 1634 il P. Francesco Marcello Mastrilli Napolitano della stessa compagnia, doppo d’haver miracolosamente ottenuta la sanità per l’intercessione di San Francesco Xaverio, passando al Giappone dove sparse il suo sangue per mano degl’Infedeli nell’anno 1637 a 17 d’Ottobre, volse prima visitare questo Santuario di Maria, nel quale si trattenne alcuni giorni orando sempre di notte, e di giorno nella Santa Capella, accingendosi in essa con la protettione della Madonna per un’impresa così gloriosa. Oltre di questi il P. Carlo di Lorena, che lasciando il mondo, e dignità Vescovale si fece Religioso della Compagnia di Giesù, l’honorò con la sua presenza quando venne a Roma, e quando ritornò in Francia; e il P. Francesco Suarez non solo l’illustrò con i suoi scritti facendo  honorifica mentione di questo Santuario, ma anche l’honoro con la sua religiosa presenza. L’istesso hanno fatto altri molti di diverse Religioni e Stati famosi, e celebri in Santità e dottrina.

P A R A G R A F O   X.

Honora il Signore questo santuario con grandi, e

stupendi miracoli.

     Però quello, che più attese alla grandezza, e essaltazione di questa Santa Casa fù la Maestà di Dio, honorandola con molti, grandi, e prodigiosi miracoli. Di questi dice un autore moderno in una orazione pane civica di questo santuario queste parole: Questa Basilica consacrata alla Regina del cielo pare essere stata fabricata non con pietre; se non con miracoli, e quanto ella è, tutta, tutta è d’un continuo miracolo: l’altro aggiunge: che il numero de i miracoli di questa casa senza numero, e con più facilità potrà uno numerare le stelle, che questi.Oprò dunque il Signore in onore di questa Angelica camera, in profitto de i corpi, e anime i suoi di voti infiniti miracoli. Primi raramente cominciò dalla stessa Si Capella, conservando intiere le sue pareti senza fondamenti, e senza che si potessero unire, ne congiungere con l’ornamento di marmo, liberandola molte volte dall’invasione dei nemici della fede, dalla libertà, e furia militare, e li tesori dalle mani de i ladri; illustrando in molte varie occasioni questo suo Tempio, e Casa, i confessionarii de penitentiere, e i capi de penitenti con celesti lumi, e miracolosi splendori, convertendo i cuori duri, e ostinati, dando la vita a ciechi, l’udito a sordi, mani a i monchi,  piedi a storpiati, e zoppi, salute, e forze a paralitici, liberando molti da schiavitudine, da mani degl’heretici, dalle carceri, le tempeste del mare, fiumi, pozzi, folgori, da disgraziate cadute, infermità incurabili, resuscitando morti, dando prole a persone sterili, e scacciando i demoni da li corpi umani. Sono noti i miracoli del Sacerdote Dalmatino, al quale li turchi per la fede di Cristo, e per non cessare di invocare i santissimi nomi di Gesù, e Maria Loredana, gli tolsero l’interiora con cuore, e con essi nelle mani venne a Loreto e confessandosi, e communicandosi, e rese grazie a Dio, e alla sua adre per lo favore ricevuto spirò. Di Chiarissima, e Clarissima Duchessa di Lorena, paralitica di molti anni la quale entrando in questo Santuario, in un’istante si levò sana, come anche successe a Longa Napolitana. Di Antonia di Grenoble di Francia oppressa da sette Demoni, la quale alla presenza di questa Signora, rimase libera da quelli invernali spiriti, che gridavano ad alta voce essere questa la Santa Casa di Maria, e che il suo nome gli tormentava, e scacciava da quel corpo. Di Gorcut Bajsa Turco che senza speranza di vita l’ottenne per sua intercessione, dando libertà ad un schiavo cristiano, e inviando ricchi doni a questo Santuario. Dìun Hebreo di Nazaret  ostinato nella sua setta, il quale ammonito dal Cielo venne a Loreto, ove si convertì, e battezzò. D’un giovane viziosissimo, il quale negando Christo, e la Vergine si diede per  ischiavo al demonio, e per mezzo di questa Signora si convertì, e si liberò dalle mani del demonio, parimente d’un altro vizioso, che prima di confessarsi volle entrare in questa Santa Capella, e per mezzo d’una spaventosa figura fù respinto, e tornò in sé, si confessò interamente dei suoi peccati, e fu degno di vedere la faccia di questa Signora. Et ultimamente di Don Gio: Suarez Vescovo di  Coimbra in Portogallo, il quale havendo con licenza del Sommo Pontefice inpetrato, e levato una pietra del muro di questa Santa Capella per fabricarne un altra nella sua Città, s’ammalò a morte, e non recuperò la sanità finché non ristituì la detta pietra alla Santa Casa, come appare in Torsellino e dal Breve del Papa, e lettera del medesimo Vescovo, i cui Originali, ritrovati mediante le diligenze dell’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Francesco Caetano Governatore di questa Santa Casa, ancora si conservano nell’armario delle sante Scudelle. Altri infiniti miracoli ha operato il signore per esaltazione di questa casa di sua madre, e di ciò sono testimoni i libri scritti di questa materia, e in particolare l’Hi storia Loretana del Torsellino, gli innumerevoli voti appesi in questo Tempio, e Santa Casa, le persone che li riceverono, e pellegrini, che per voto, o divotione vengono da remoti paesi per visitare, e venerare questo Santuario, i quali divenuti banditori delle grandi maraviglie di Dio oprate in questo luogo, e in altri distanti per intercessione di questa Vergine, svegliano, e invitano gli abitanti del mondo, e in particolare della nostra Europa, accioche lasciate le comodità dei suoi paesi, fatti pellegrini, venghino, visitino, e honorino questo Angelico Santuario, Habitazione di Christo. Talamo dello Spirito Santo, Porta del cielo, Albergo di tutta la Corte celeste, Tesoro di grazia, Memoria interna della Divina pietà, Ufficina de’  miracoli, ed i maggiori di essi l’Incarnazione del Verbo Eterno, e in una parola, la Santa, e Angelica Camera della Madonna di Loreto.

P A R A G R A F O    X I.

Breve cronica de’ li protettori, e governatori,

di questo santuario; e delle cose più notabili,

che in tempo di essi si fecero, e accaderono.

     Questo paragrafo, spero che sarà un compendio di quando negli altri sta registrato, e come una breve tavola cronologica dell’Historia Loredana; dalle Bolle de Pontefici, che nell’Archivio Loretano tuttavia si conservano, e di quelli che scrissero le vite de Pontefici, e Cardinali dal tempo di Bonifacio VIII che cominciò a governare la Chiesa alle 24 di Decembre 1294 quattordeci giorni doppo la venuta di questoSsantuario, sino al 1646, nel quale scrisse questo, e sotto Sommo Pontefice Innocentio X Protettore l’Eminentissimo Cardinal Antonio Barberino, e  Governatore l’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Francesco Caetano della medesima Casa di Bonifacio VIII.

Il primo Protettore di questo Santuario fu il Principe degli Apostoli San Pietro, il quale doppo l’Ascensione del Signore, essendo ancor viva la Vergine, lo consagrò in Chiesa, come dicemmo di sopra, e lo conferma Giulio II in una Bolla: Gli Apostoli consacrarono questa Casa come prima Chiesa in onore di Dio, e della stessa Beata Vergine Maria, dove fu celebrata la prima Messa. Quelli che la governarono doppo , infino alla sua prima transformazione in Dalmazia, non si sanno; solamente aggiungo, che Sisto IV in una Bolla afferma, che i Padri Carmelitani insiemi col governo degli altri luoghi Santi della Palestina avevano cura ancora di questo Santuario, come dice Battista Mantovano, e l’avverte Torsellino lib.2 c.3, l’anno 1291 al li 9 maggio fino all’anno 1294 10 decembre la governò il pietoso Curato, ò Rettore di Tersatto Alessandro, con la protettione del Governatore della Provincia, Nicolò Frangipane. In questo tempo fu a Nazaret e il Sacerdote Alessandro con altri tre Dalmatini per informarsi della verità di questo Santuario, e sua Traslazione,Torsel. Lib. 1 cap. 3,4.

            Anno di Christo                                                                 Anno della Venuta

     L’anno 1294 primo del Pontificato di Bonifacio VIII che fu ancora della venuta di questo Santuario in Italia, fu Protettore, e Governatore di quello il Vescovo di Recanati, e l’anno 1295 nel mese di Agosto si mutò questo Santuario alla collina dei due fratelli, e a 10 di Decembre dello stesso anno trasportato alla strana commune, e maestra, dove al presente si ritrova. In questo tempo rivelò la Madonna ad un devoto Romito la verità di questa Casa, le sue Traslazioni, e ministeri oprati in essa; e l’anno 1296, furono mandati in Dalmazia, e Nazaret sedeci Ambasciatori della Marca per investigare, e esplorare la verità di questa miracolosa Traslazione, come lo fecero, e si disse nel paragrafo terzo; e tutta questa Provincia allegra per la buona relazione dei suoi ambasciatori, elesse questa sovrana Signora per sua particolare Protettrice, e Avvocata, e il Signore illustrò questo suo Santuario con miracolosi splendori. Torsel. lib. 1 c. 7.8.12.13.     L’anno 1300, il Vescovo di Recanati d’ordine del medesimo Pontefice cominciò ad habitare Loreto, e fabricar case per li pellegrini che già visitavano questo Santuario; e il Signore tornò ad illustrarlo facendo apparire sopra di esso miracolosi lumi a guisa di cometa, rinnovandosi ogn’anno questo miracolo nella vigilia della Natività della Madonna, e durò infino al tempo di Paolo III e del 1305 al tempo di Clemente V hebbe la Protettione la Città di Recanati, la qual vedendo che cresceva  Loreto assegnò un Luogotenente che la governasse, e amministrasse giustizia agli abitanti d’esso. Tortel. lib. 1 c, 15,17,18.

     Nell’anno 1322 essendo Pontefice Giovanni XXII la Città di Recanati aggiustandosi col Pontefice, e fabricando di nuovo la Città nel posto dove al presente si vede, hebbe un’altra volta il governo di questo Santuario, e per consiglio del suo Vescovo fabricò un Tempio intorno a quello con alcune case per l’habitazione dei Sacerdoti, e i ministri di questa Santa Casa, e per alloggiare i pellegrini di qualità. Torsel. lib. 1  c. 18, e l’anno 1341 del tempo di Benedetto XII l’istessa città ottenne le prime indulgenze per questo Tempio, e per un Altare che a questa Signora dedicò nella muraglia della Chiesa dall’Arcangelo San Gabrielle, che stava nella sua piazza per consolazione delli poveri vecchi, e infermi, che non potevano andare al Loreto.Torsel. lib.1 c.19.

     Durò in questo stato molti anni, governando la Chiesa, oltre i nominati, Clemente VI  Innocentio VI Urbano V Gregorio XI Urbano VI Bonifacio IX Gregorio XII Alessandro V Giovanni XXIII Martino V riconoscendo questo Santuario per i suoi particolari benefattori Urbano VI Bonifacio IX e Martino V per le indulgenze, e privilegi, che li concessero. Torsel. lib. 1 c. 22.

     Nell’anno 1353 fin’al 1367 essendo Sommi Pontefici prima di Innocento VI, e poi Urbano V Fù Legato Apostolico di tutta l’Italia, e in particolare della Marca Egidio Albornoz, al valor della quale deve la Chiesa la recuperatione della maggior parte del suo Stato: non vi è dubio, che questo Signore molte volte visitato questo Santuario, e in particolare l’anno 1365 ovvero 1366 nel quale Urbano V per consiglio di questo Cardinale venne d’Avignone a Roma, e visitò questa Santa Casa (come vogliono alcuni) essendo il primo Sommo Pontefice che l’honorò con la sua presenza. In questo medesimo tempo Gop: Paleologo Imperatore di Costantinopoli si trasferì a Roma, e riconobbe il Pontefice per capo universale della Chiesa; si crede che visitasse questo Santuario. Lo stesso pensano alcuni di Carlo IV Imperatore quando con la sua moglie, e figliuoli passò in Italia per vedere, e adorare il predetto Pontefice, e l’anno 1408 al tempo di Gregorio XII fu Vescovo di Recanati il Cardinal Angelo Cinno nativo della medesima Città, e morì l’anno 1412 non si sa se questo Cardinale nel tempo di questo Pontefice havesse la protetione, ò governo di questo Santuario; e del 1420 Martino V a gloria, honore di questa Signora imstituì le fiere di Recanati, e confirmò l’indulgenze concesse da Bonifatio IX, e al suo tempo si fabricarono le case per li Sacerdoti, chiamata la Canonica, un palazzo per il Governatore, e l’albergo per li pellegrini nobili. Torsel. lib. I c. 22.

     L’anno 1437, reggendo la Chiesa Eugenio IV Giovanni Vitellesco. ò  Vitellense Cittadino Romano Patriarca d’Alessandria, e Aquileia, Arcivescovo di Fiorenza, e Cardinale, fù Legato della Marca, Vescovo di Recanati, e Protettore di questa Santa Casa. Questo fu quello, che pose in sicuro il tesoro della Vergine, e il più pretioso della sua recamera, liberandolo dalle mani de i soldati, che occupavano la Provincia della Marca, morì in Roma nel castello di Sant’Angelo a i 15 d’Aprile 1440. Torsel. lib. I c. 23.

     L’anno 1447 fin.al 1455 con particolar breve di Nicolò V, hebbe questo Governo la Città di Recanati, la quale cominciò a fortificar Loreto contra il Turco, che l’anno 1452 e come vogliono altri 1455 avendo tirannicamente occupato la città di Costantinopoli, e occiso il suo Imperatore Costantino Paleologo, si impadronì dell’Imperio Orientale, e minacciava l’Italia: in questo tempo l’istesso Papa con particolar breve ordinò che la medesima Città avesse cura di guardar tutta l’argenteria, e l’altre cose pretiose di questo Santuario, e parimente comandò, che ne il Vescovo, né alcun altra persona potesse alienare, ne venderei, ne mutare in altre cose lì doni, che s’offerivano a questa Santa Casa. Torsel. lib. I c. 24.

     Nell’anno 1456 in tempo di Callisto III fu Commissario Apostolico di questo Santuario il Cardinal Roderico Borgia, Valentiano, che appresso fu Alessandro VI, questo essendo Legato della Marca, e Commissario di questo Santuario, fortificò con bastioni, e presidiò con soldati Loreto contro l’istesso Turco; lo dicono Leandro Alberto nella descrizione d’Italia, e Torsel. lib. I c. 29.  L’anno 1458 in tempo di Pio II, alcuni pensano che il Protettore di questo Santuario sia stato il Vescovo di Recanati, che allora era, e si chiamava Nicolò Alfonso, il quale quanto devoto sia stato verso questa Vergine lo mostra la liberale donazione di molte possessioni, che fece a questo Santuario l’anno 1459 a 3 di Decembre, come appare da una Bolla di Sisto IV spedita a 2 d’Aprile 1473 in confirmazione di detta donazione, questi si fondano nelle parole dell’Istrumento della donazione, e in quelle della Bolla, dove se li da titolo di Rettore, ò Commendatore della Chiesa di Loreto. Torsel. lib. I c, 27. E io pure so che il Governatore era Pietro Giorgio Preposito Teremano, e  Vicario, ò Amministratore della Diocesi di Recanati; il quale fu il primo, che compose un compendio di questa Historia in Italiano, quale scritto in una tavola l’anno 1460, ordinò che si mettesse nel Tempio per memoria del miracolo, e consolatione de’ pellegrini; e in tempo di questo l’anno 1464 papa Pio II, accompagnato da molti Cardinali, e dal più fiorito della Corte Romana, visitò questo Santuario in rendimento di grazie d’haver riavuto la sanità per intercessione di questa Madonna, come si disse nel paragrafo sesto. Torsel, lib. I c. 26,27,28.

      L’istesso hanno a 30 di Agosto essendo assonto al Pontificato il Cardinale di San Marco Pietro Barbo Veneziano, che si chiamò Paolo II volse l’istesso essere Protettore di questo Santuario, e confirmò nel Governo il detto Preposito Teremano; e l’anno 1470 il Beato Giacomo della Marca visitò questo Santuario, come si disse nel paragrafo nono. Nell’istesso tempo Maometto II Imperatore XI de Tirchi havendo con una poderosa armata assalito l’Italia, e presa la città di Otranto nel Regno di Napoli, bramoso di saccheggiare il tesoro della Madonna, si inviò verso Castro porto di Recanati, e tosto che il barbarico esercito gonfio d’arroganza, scoprì questo Santuario, si riempì di spavento, e sforzollo per lo stupore attonito a rivolgere il passo, e ritirars  confessando tutti, che Dio medesimo havea particolar cura di questa Santa Casa; e in pena di questa Sacrilega arditezza tra poco dopo poi cadde morto l’altiero Tiranno per un subito accidente. Con questa occasione li Recanatesi quasi dimenticata la propria Patria deliberarono di difendere con tutto il poter loro la Santa Casa, mettendo anche in sicuro i principali doni essa, e guardandoli nella Rocca della loro Città, e del 1471 d’ordine del medesimo Pontefice si cominciò questo sontuoso Tempio, e si fabricò una buona parte di esso. Torsel. lib.2 c. 1,2,4.

     L’anno 1475 sendo Pontefice Sisto  IV Carletta Regina di Cipro, e Catarina regina di Bosna spogliate dal Turco dei loro regni, e haveri, vennero a Roma per esser protette, e soccorse dal Papa, si crede che arrivando queste Signore in Italia, habbino visitato questo Santuario.

     Nell’anno 1478 Sisto IV fece Protettore, e Vescovo di Recanati il Cardinal Girolamo Basso della Rovere suo Nipote. Questo nel Pontificato di suo Zio proseguì la fabrica del Tempio, e fortificò in forma di Rocca, e sdornò con marmi bianchi, e fini.  il pavimento della Santa Capella, e il 1491 ad istanza del detto Protettore pose Papa Innocentio VIII in questo Santuario i Padri Carmelitani, nello stesso anno Battista Mantovano compose l’Historia Loretana, e la dedicò al detto Protettore, e del 1496 la Città di Recanati in rendimento di grazie di essere stata liberata dalla peste per intercessione di questa Madonna, venendo in processione col Magistrato, Nobiltà, e diverse compagnie, presentò una corona d’oro tempestata di perle: il quale essempio di grata pietà poté molto appresso i confinanti popoli: quindi crebbe quel lodevole costume, che pure ancor’hoggi si mantiene, che le Città, Terre, e Castelli della Marca, e altresì di tutta l’Italia, e molte altre dell’Europa con solenne processione, e pompa rechino ogni’anno una corona, ò una città, ò vero qualch’altro dono d’oro, ò d’argento; e la detta città di Recanati ogn’anno nella festa dell’Annunciazione viene con l’istessa pompa a visitare questo Santuario. Torsel. lib. 2 c. 5.6.8.

     Nell’anno 1507 al 1 Settembre, morì il Cardinal della Rovere doppo di essere stato protettore 29 anni, e a li 21 Ottobre Giulio II  volle egli medesimo esser Protettore; levò il Vicario, e mise un Governatore, che havesse cura del Temporale, e Spirituale di questo Santuario, e comandò che facesse residenza in Loreto, e tra questo tempo detto Pontefice visitò questo Santuario. E del 1510 fu nominato governatore di Loreto Domenico Sebastoli d’Anguillara Arch. Loret. E per lo mese di Settembre di quest’anno, passando l’istesso Pontefice a Bologna, tornò a visitare questa Santa Casa, come dice l’Angelica che si trovò presente al suo arrivo, e del 1511 si cominciò il Palazzo Pontificio, e si fecero l’altre cose, che trattando di Giulio II dicemmo nel paragrafo sesto; e si fece la pila grande di marmo mischio d’acqua benedetta a spese di Girolamo Cernotis della Città di Arbe in Dalmazia; e l’anno 1512 ultimo di Giulio fù fatto Governatore il P. Fra Antonio Perotto Generale dei Silvestrini. Questo fece donatione dell’Abbadia di San Lorenzo di Castel Fidardo a questa Santa Casa, la quale con breve particolare confirmò l’istesso Papa, e l’anno 1513 Leone X concesse al detto Governatore che potesse celebrare la messa in habito Episcopale, e infine di essa dar la benedizione al popolo con Episcopale rito, e ceremonia. Torsel. lib. 2 c. 9.12,14.17.

     L’anno 1514 l’istesso Papa fece Protettore di questo Santuario Bernardo Tarlato, ò Divitio Cardinal di Bibiena, e confirmò nel Governo, Perotto; e nel mese di Giugno visitarono questo Santuario due Regine di Napoli chiamate Giovanne le Aroganesi, e il Papa a’ quattro di quello concesse indulgenza plenaria a tutti quelli che visitassero questo Santuario il giorno della venuta delle predette Regine. Con questa occasione si fece il camino di Monte Santo a Loreto, chiamato volgarmente Strada delle Regine; e alle 18 di Decembre diede il titolo di Collegiata alla Chiesa di Loreto, come si disse nel paragrafo sesto. Torsel. lib. 2 c. 15.16.

     L’anno 1519 era Governatore Romualdo Abbate Capisulonense, e al principio di giugno unì il Papa questa Santa Casa con quella di Recanati, comandando, che la governasse un medesimo Protettore, e Governatore, che si fabbricasse uno Spedale per i poveri pellegrini, e che infino da Carrara si portasse una gran quantità di marmi per l’ornamento della Santa Capella, e confirmò le Fiere di Recanati. Torsel. Lib.2 c. 16 Arch. Loret.

     L’anno 1520 accadde il miracolo del Sacerdote Dalmarino: come si disse nel paragrafo un decimo: e è fama, che il suo corpo fosse dentro la Santa Capella seppellito, e si crede esser quel corpo, che al tempo di Monsignor Cenci Vescovo di Jesi all’hora Governatore di essa, e al presente Cardinale, si scoprì dentro una cassa vicino al Santo camino: volendo Iddio che quello che per la difesa degli Santissimi nomi di Giesù, e Maria soffrì tanti tormenti, havesse il suo corpo per albergo, e sepoltura l’istessa Casa di Gesù, e Maria: favore veramente singolare, e a niun’altro fin’adesso concesso. E dell’istesso tempo liberò iddio un’altra volta questo Santuario dall’invasione di Selimo Imperador di Turchi Nipote di Maometto, il quale avendo dato il guasto alle riviere della Schiavonia, e della Puglia, e impadronitosi del porto di Recanati, e occise le persone, e brugiate le case, allettato dalla speranza della preda di questa Santa Casa, con grandissimo ardore indirizzava il camino a Loreto; ma alla vista del Santo Albergo di Maria persero tutti le loro forze, e temendo, e tremando furono miracolosamente scacciati. Conservò ancora Iddio in questo tempo intatta la Santa Casa dall’avarizia dei soldati cristiani, castigando l’esercito del Duca d’Urbino, che contra la volontà del Duca, sitibondo di questi Tesori, si inviò a Loreto con risoluzione d’involarneli; però Iddio mandò miracolosamente una frotta da affamati lupi, che saltando fuori dal bosco vicino a Monte Filottrano sbranarono molti, e ripressero l’ingordigia di tutti gli altri. Torsel. lib. 2 c. 19.20. E alli 8 Novembre di quest’anno morì il Cardinal di Bibiena doppo d’essere stato sei anni Protettore, e il Leone X sul1 di Decembre fece Commissario Apostolico Giuliano Rodolfo Priore di Capua, Cavaliero dell’habito di San Giovanni, e al di otto del medesimo mese fu nominato governatore di Loreto, e Recanati Rainaldo de Cancellariis Vescovo di Sant’Angelo in Lombardia. In questo tempo si diede principio all’ornamento di marmo, e si fortificò con nuove mura, belloardi, e artiglieria la Terra dei Loreto. Torsel. lib. 2 c. 21. Arch. Loret.

     L’anno 1522 Adriano VI fece Governatore di Loreto Pietro Flores Referendario Apostolico Vescovo di Castellamare, dandoli la medesima autorità, che aveva il Cardinal di Bibiena, come dice il Breve. Arch. Loret.

     Nell’anno 1523 alli 17 di Novembre Clemente VII fece Commissario Apostolico di Loreto, e Recanati, e Protettore di questo Santuario il sudetto Giuliano Rodolfo; e questo nominò suo Luogotenente Girolamo Mazzurillo d’Aversa Arciprete di Loreto, al quale il Papa l’anno 1525 a 15 di Settembre li diede titolo di Governatore. In questo tempo si levò a i Recanatesi tutta la giurisdizione, che tenevano a Loreto, e commandò che si dovesse continuare l’ornamento di marmo. Torsel. lib. 2 c. 22

Arch. Loret.

     L’anno 1527 fù fatto Protettore Gio: Matteo Giberto Vesc. di Verona, e questo nominò per Governatore Antonio Bonfio Commissario Generale della Marca, e doppo di lui fu Benedetto Bontempo. Quest’anno alli  11 d’Ottobre Papa Clemente VII dal castello di Sant’Angelo di Roma scrisse all’Arciprete, e al Capitolo di Loreto un breve, di mandando per suo riscatto, e delli Cardinali alcun soccorso di denaro, e subito li furono inviati tremila scudi. Torsel. lib.2 c. 24 Arch. Loret.

     L’anno 1528 il Vescovo di Verona protettore sostituì Governatore Alessandro de Praesbyteris Canonico Lanciano; e l’anno 1530 governò questo Santuario Antonio Benolo Arcivescovo di Ravenna Protonotario Apostolico. In questo tempo Clemente VII, tornando da Bologna, dove incontrò l’Invittissimo Carlo V, visitò questa santa Casa, e ordinò che si perfettionasse l’ornamento di marmo, parimente col Tempio, e cupola, e tutto ciò si esseguì a tempo di questo Pontefice, e del medesimo Protettore; e restituì il denaro, che aveva pigliato per suo riscatto l’anno 1527. In questo tempo molte Città, e Terre della Marca presentarono ricchi, e pretiosi doni a questo Santuario; e fra l’altre campeggiò grandemente il devoto affetto di Macerata, Fermo, Tolentino, Monte Santo, Monte Lupone, Monte dell’Olmo, Monte Alboddo, Monte Filattrano, e Massa offrendo ciascheduna una ricca corona d’argento, e le Città di Pesaro, Siena, e Verona presentarono i suoi ritratti fabbricati d’argento, oltre d’altri regali presentati da Principi, e persone divote.

     L’anno 1531 a i 23 di Giugno fu nominato Governatore Gio: Antonio de Statis Canonico di S. Pietro, e al tempo di questo l’anno 1532 si cominciarono a diseccare le paludi, tagliar le selve, e ad atterrare alcuni colli, che causavano mal’aria a Loreto; e del 1533 fù Governatore Bernardino Zenzano e in questo tempo  Girolamo Angelita compose l’Historia Loretana, qual dedicò a Clemente VII, il quale questo hanno inviò tre Camerieri suoi in Dalmazia, e a Nazaret, acciò s’informassero della verità di questo Santuario, e delle sue Traslazioni, come lo fecero, e noi l’habbiamo detto nel paragrafo sesto. Nell’anno 1534 a i 8 d’Aprile l’istesso Pontefice concesse agli habitanti di Loreto, che potessero i giorni festivi vendere a i pellegrini rosari, corone, medaglie, e altre cose di rivoluzione. Torsel. lib. 2 c. 24.25.26.29. Arch. Loret.

     L’anno medesimo a 21 di Decembre, Paolo III, nel principio del suo pontificato in luogo del vescovo di Verona mise Alessandro Argoli Vescovo eletto di Terracina col solo titolo di Governatore, come appare dal breve, e la governò quasi sei anni. Arch. Loret. non ostante il Torselino , che li da titolo di protettore, lib.3 cap. 2.

     Nell’anno 1535 il Governator Argoli d’ordine del Papa comprò da Castelli Fidardo i boschi vicini a Loreto con le vigne, Prati, e Oliveti; per la qual compra si spesero della Tesoreria del Papa sei mila scudi, oltre altre possessioni lungo il fiume Muscione, e fu restituita alla cura, nel dominio di Loreto (eccettuato il Tempio, e salvata la giurisdizione del Governatore sopra i Terrazzsani, e i pellegrini) a Recanatesi con tali condizioni, che eglino dovessero con gagliardo presidio difendere da Turchi questa Angelica Stanza, rinovare le mura, e mantenere a pellegrini le strade sicure da ladri, come sempre havevano fatto; e perciò li divoti, e magnanimi Recanatesi liberamente diedero ottomila scudi alla Camera Apostolica lib.3 c. 2.

     L’anno 1538 al 18 Decembre Paolo III Protettore il Cardinale Gasparo Contarini restando per Governatore il già nominato Alessandro Argoli; in questo tempo si fece la volta della Santa Capella, sotterrandosi nel pavimento, tutti i legni, travi, e coppi del di lei detto, e fù coronato con la bella balaustrata di marmo l’ornamento della medesima Santa Casa; la città di Macerata in questi stesso anno desiderosa di mostrare lo sviscerato affetto che sempre etiamdio dal principio del suo arrivo all’Italia ha portato a questo Santuario, le presentò un’altra bella, e curiosa corona d’argento indorato.

    L’anno 1540  a 8 di Marzo fu nominato Governatore Galeazzo Floremonti, e l’anno 1541 Paolo III ritornando da Lucca illustrò con la sua presenza questo Santuario, e a i 24 maggio del 1542 fu Governatore Francesco Carpo. Torsel. lib. 3 c. 4.10 Arch. Loret.

     In questo medesimo anno 1542 essendo il Cardinal Contarini Legato del Papa per Alemagna lasciò per vice Protettore il Cardinale Pietro Bembo, e al 1 Settembre di questo anno morì il Cardinal Contarini doppo essere stato Protettore tre anni, otto mesi e quattordeci giorni, e al 14 dell’istesso mese il Papa nominò per Protettore Rodolfo Pio Cardinal di Carpo, restando per Governatore Francesco Carpo. In questo tempo si fondò un Seminario di putti, e si fabricarono tre Hospitali, e l’anno 1543 Paolo III tornando da Genova visitò la seconda volta questo Santuario, e ordinò che si proseguisse la fabrica del Palazzo, come si fece. Torsel. lib. 3 c. 34.8.10. Arch. Loret.

     L’anno 1544 a 13 di Febraro il Cardinal di Carpo sostituì per Governatore Luigi

Vannino de Theodolis Vescovo Scalense, e doppo Bertinolense. Governò sette  anni. In questo medesimo tempo il Cardinal Protettore fece adornar con varie figure, e statue di marmo, e abbellire con fine pitture la sua Capella del Santissimo Sacramento; l’istesso fecero il Duca d’Urbino in quella dell’Annunziata, il Principe di Bisignano in quella di Sant’Anna, il Cardinale Cristoforo Madrucci Vescovo di Trento nella Capella del Rosario, il Cardinal Orbone Trucles in quella di San Gio: Battista, e l’Arcivescovo Altoviti in quella della Visitazione della Madonna a Santa Elisabetta, e del 1549 ultimo del Pontificato di Paolo III honorò il Signore questo Santuario, facendo apparire sopra di esso una come colonna di fuoco, la quale s’incamminava infino alla Chiesa di Santa Maria delle Vergini della Città di Macerata come dicemmo nel paragrafo sesto. Torsel. lib.3 c. 11 Srch. Loret.

     L’anno 1551 essendo Sommo Pontefice Giulio III a i 15 di Novembre il medesimo

Cardinal Protettore creò Governatore Gasparo de Doctis  Protonotario Apostolico, e governò undeci anni, e nell’anno 1554 il primo di  Novembre ad istanza del medesimo Cardinale si fondò il Collegio della Compagnia di Giesù della Penitenzieria. E l’anno 1555 a 25 Marzo il Cardinale Marcello Cervini dicendo messa nella Santa Capella, e apparendoli l’1544 Imperatrice del Cielo in sovrumana forma, e accompagnata da celesti spiriti hebbe rivelazione, che sarrebbe Papa, come tra pochi giorni accadde, e si chiamò Marcello II come si disse nel paragrafo sesto, e l’istesso anno a tempo di Paolo IV crebbe il numero de i soggetti del detto Collegio infino a quaranta; e la Città di Udine del Friuli fu liberata per intercessione di questa Madonna da una fiera pestilenza, la quale due anni dopo il rendimento di grazie per lo favore riciuto mandò a Loreto una compagnia di più di trecento Gentiluomini vestiti di sacco, li quali oltre delli privati doni, che offerirono, presentarono ancora a nome della detta Città ricchi, e curiosi regali. Torsel, lib. 3

c. 20.24.

     L’anno 1561 a 18 di Gennaro Pio IV confermò l’istesso Collegio della Penitentiaria, assegnandoli rendita. In questo tempo accadde il miracolo della pietra nella Santa Capella, quale con licenza del Papa Pio D. Gio: Soarez Vescovo di Coimbra, come si disse nel paragrafo decimo; la quale ricevuta con processione, e restituita nel suo luogo si conserva.a nostri tempi in memoria d’un miracolo cotanto notabile; e del 1562 a 21 di Gennaro il Cardinal Protettore fece Arciprete di questo Santuario il predetto Governatore Gasparo de Doctis; e’l 1563 fu nominato Governatore Loreto Lauro Prontonotario Apostolico; il quale ordinò si facesse il secondo Organo di questo Tempio, e in questo tempo Guido Ubaldo della Rovere Duca d’Urbino comprò una vigna, e la donò alla Santa Casa, acciò che il vino di essa servisse per le messe, e communioni di quella. Torsel. lib. 3 c. 12.21 lib. 4 c. 1.3.4.  Arch. Loret.

     L’anno 1564 a i 10 maggio doppo essere stato Protettore 21 anno 7 mesi, e 26 giorni, passò all’altra vita il Cardinal Rodolfo Pio, e l’istesso giorno Pio IV nominò il Cardinale Giovanni Morone, Protettore, e questo alle 25 Settembre sostituì Governatore Pompeo Palanterio Protonotario Apostolico; e a 16 di Decembre rinuntiando il Cardinal Morone la protettione, il Papa pose in suo luogo il Cardinale Giulio Felerio della Rovere figlio del Duca d’Urbino, restando nel governo il medesimo Palanterio il quale fece adornare di dentro con belle figure la cupola di questo Tempio, e coprirla di fuori con piastre di piombo, e comandò si fabbricasse la fontana, che sta nella strada del porto di Recanati. Torsel. lib. 3 c. 1.

     Nell’anno 1566 alli 6 di aprile essendo sommo Pontefice Pio V fu fatto Governatore Gio_Battista Marmovatio, al quale successe Ubaldo Venturelli Protonotario Apostolico, e del 1569 il Cardinale d’Urbino istituì Governatore il Conte Roberto Sassatello Referendario Apostolico. In questo tempo furono collocate nell’ornamento di marmo le statue dellediece Sibille, ed altrettanti Profeti lavorate le tre porte di bronzo dell’istesso ornamento, e istituite quattro compagnie, cioè del Santissimo Sacramento, della Misericordia, del Rosario, e del Nome di Giesù, e la prima fu principiata da certe divote persone della nazione Illirica, e di ordine del papa l’istesso Governatore comprò belli, e fertili poderi: come il Monte Orso nel Territorio di Recanati, e il Monte Turscione fu quello d’Osimo, altre Ville nel Rerritorio di Castelli Fidardo, e una buona possessione chiamata Acquacanina, con molte altre vigne, prati, boschi, spendendo in questo intorno a trenta mila scudi. E del 1571 essendo Pontefice nell’istesso Pio V a 7 di Ottobre s’ottenne quella celebre, e tanto segnalata Vittoria dell’armata turchesca per l’intercessione di questa Vergine di Loreto, (come vuole Torsellino con altri) a cui il Sommo Pontefice, il Generale, Capitani, e Soldati di essa si erano raccomandati. Torsel, lib. 3 cap. 14.15.21. Arch. Loret.

     L’anno 1572 governando la Chiesa Gregorio XIII e Protettore, e Governatore li predetti. Si fabbricò la fontana del Carpino, ed fu eretta una bella Croce di marmo, che ancora hoggidì persevera, e questo Santuario fu arricchito con i pretiosi doni di vari Principi, e in particolare di dieci Cardinali, e le città di Bologna, Milano, Ascoli, Recanati, come anche la terra di Monte Santo presentarono i loro ritratti lavorati d’argento.

     L’anno 1573 s’edificò la fontana detta comunemente delle bellezze, e furono lastricate, e mattonate le strade per dove si viene al Loreto, e del 1576 visitò questo Santuario Don Giovanni d’Austria, il quale imitarono molti Capitani, e Soldati dell’Armata Navale, e in particolare la maggior parte delli diece mila Schiavi Cristiani, i quali scampati dalle mani de’ Turchi vennero a render gratie alla Madre di Dio liberatrice loro; e delli ferri, e catene della loro schiavitudine si fecero i cancelli delle Capelle di questo Tempio. In questo stesso anno volse il Sommo Pontefice, che si guadagnasse il Giubileo plenissimo in questo Santuario, comandando, che per questo effetto s’accomodasse la strada di Roma a Loreto, e con quest’occasione il concorso fu assai grande, e notabile, che da tutta Italia e in particolare dalla Marca la visitò, comparendo ogni giorno gli huomini di sette, di otto, e talora di diece città, ò terre compartiti in belle schiere, e portando seco alla Madonna corone d’argento, grandi torchi pieni di monete d’oro, e argento, paramenti, calici, e non pochi altri doni, concorrendo con tal’ordine, e devotione, che facevano di se, e a cittadini del Cielo, e agli spettatori della Terra grandissima mostra. Però fra tanta moltitudine de popoli il Monte San Ginesio, nobil Terra della Marca, ottenne il primiero honore di quella di divota a pompa, venendo in numero intorno al mille (non comprese di le donne, e la plebe, che seguitava) portando divoti spettacoli, che rappresentavano varie storie dell’uno, e dell’altro Testamento, e molti di loro procedevano mortificati, e contriti, coperti di ruvido sacco, con le teste sparse di genere, e battendo con fiere sferzate le loro nude, e insanguinate spalle, cantando salmi, e altre devozioni apportando a tutti coloro che l’incontravano, non meno maraviglia, che  efficace essempio ad imitarli; leggasi il Torsellino  lib. 4 c. 23. Arch. Loret.

     L’anno 1577 essendo stato promosso al Vescovato di Pesaro il Governatore Roberto Sasatelli, il Cardinale d’Urbino nominò in suo luogo Giulio d’Amico Referendario Apostolico. In questo tempo la città di Palermo mediante un voto, e l’invocatione di questa Madonna scansò il pericolo della pestilenza, che aveva poco meno che infettata tutta la Sicilia, e in rendimento di gratie per cotanto favore, mandò a presentare una gran piastra d’argento, in cui si vede effigiata la Madonna sedente sopra la sua Santa Casa, e sotto a lei intagliata la città di Palermo; e l’anno 1578 a 10 di Gennaro Gregorio XIII fece Altare privilegiato per l’Anime del Purgatorio la Capella di Sant’Anna. Torsel. lib.4 c. 30 Arch. Loret.

   In quest’anno a’ 13 di Settembre essendo stato Protettore di questo Santuario 14 anni, quattro mesi e tre giorni, lasciò questa vita il Cardinal d’Urbino, restò a questo Santuario tutta l’argenteria, tapezzaria, e fornimenti pretiosi della sua Capella, e in luogo suo sostituì il Papa un’altra volta il Cardinal Giovanni Morone: questo fece Governatore Vincenzo Casale Canonico di S. Pietro, e Protonotario Apostolico, e al primo  di Decembre del 1580 morì il Cardinal Morone. Torsel. lib. 5 c. 1 Arch- Loret.

     L’anno 1581 al principio di Gennaro Gregorio XIII fece Protettore il Cardinale Filippo Vastavillano suo Nipote, il quale confirmò nel Governo Vincenzo Casale; e con la buona diligenza di questo Governatore crebbero molto le cose di questa Santa Casa; procurò d’aumentare l’entrata a i Canonici, ordinò che li Penitenzieri al tempo delle confessioni, oltre la cotta, usassero ancora la stola; istituì dodici chierici per servire alle messe, fece, e adornò il choro de i Canonici a ispese del Principe di Bisignano, e di varii voti di argento già invecchiati fece fare con eccellente lavoro dodeci statue de gli Apostoli, pesando ciascuna più di quaranta libbre. Fu il primo, che ad imitazione del Teremano l’anno 1578 fece scrivere il Compendio di questa Historia in otto linguaggi: Latina, Greca, Araba, Spagnola, Francese, Tedesca, Italiana e Illirica, e scritte in altrettante tavole, l’attaccò nelle colonne del Tempio; e in altre quattro di marmo fece scolpire tutte le indulgenze di questo Santuario, con privilegi concessi da Sommi Pontefici a i Protettori, e Governatori di esso. A suo tempo si istituì il Collegio Illirico, sotto la disciplina delli padri della Compagnia di Giesù, per educazione dei trenta giovani illirici di buon ingegno, e ottimi costumi, accioche dopo ritornando al suo paese con la loro dottrina, e virtù ivi per mezzo dei suddetti Padri apprese, insegnassero, e conservassero nell’aprile quella afflitta, e  addolora gente: questi sogliono tutte le Domeniche, e giorni di feste solenni con le sue cotte assistere in Choro nel tempo, che si canta il divino officio; finalmente abbellì, e dotò la Capella di S. Cristoforo di questo Tempio. Torsel. lib. 5 c. 1.2.3. Arch. Loret.

     Nel medesimo anno del 1581 visitò questo Santuario D. Giovanna d’Austria Figliuola di Ferdinando Imperatore Gran Duchessa di Toscana, la quale, tosto che di Recanati vidde questa S. Casa, smontò immantinente dalla lettiga, e quindi compì a piedi il rimanente del viaggio, e presentò alla Madonna ricchi, e pretiosi doni come si disse nel paragrafo ottavo.  E poco doppo Cristina, ò Cristerna Duchessa di Lorena paralitica di molti anni, con real corte di più di 500 persone, venne a Loreto e tosto che entrò nella Santa Capella con istupore, e ammirazione di tutti  guarì, e restò sana, come dicessimo nel paragrafo decimo, e offerì alla sua liberatrice Maria un cuore d’oro massiccio incoronato, una collana d’oro, una corona di perle, un manile fabbricato di gemme, palii d’Altare, pianete, tunicelle di tele d’oro fatte con mirabile’arte alla Damaschina, con una grossa limosina, visitò lo Spedale, donando ad un infermo due scudi d’oro, e Gregorio XIII gli mandò un Giubileo, che fu da lei, e da tutta la sua Corte divotamente ricevuto. Torsel. lib. 4 c. 25.26.  

     L’anno 1583 essendo disegnato Vescovo di Massa il Governatore Vincenzo Casale al li 8 di Ottobre, il Cardinal Protettore sostituì Vitale Leonori Canonico di Bologna Governatore di Loreto; e con la buona diligenza di questo si fabbricò la maggior parte della facciata del Tempio, e anche il Palazzo, o casa di ricreazione per li Governatori nel colle chiamato san Girolamo, il di cui contorno adornò con molte vigne, e deliziosi giardini; il medesimo a spese sue fece adornare, e abbellire con varie, e belle pitture la Capella della Concezione della Madonna. Torsel. lib. 5 c. 2 Arch. Loret.

     Nell’anno 1584 a li 17 e 18 ottobre Gregorio XIII e di due bolle, e le mandò allo stesso Governatore: nella prima gli inviò la Rosa d’oro (che ogni’anno suole il Papa benedire nella quarta Domenica di Quaresima) acciò a nome suo la presentasse alla Regina del Cielo; nella seconda mandò un’indulgenza plenaria a tutti quelli, che confessati, e communicati, si trovassero presenti alla processione che si doveva fare, e alla Messa Pontificale, che si doveva celebrare nella presentazione della predetta Rosa: cantò la Messa il Vescovo Marturano con l’assistenza del Vescovo di Recanati, e del Governatore di Loreto, d’altri molti Prelati, e grande concorso di gente, e in particolare del Sig. Marc’Antonio Florentia mandato dal Papa per portare la detta Rosa, e publicar l’indulgenza. Nell’istesso anno il Duca di Gioiosa venne da Francia a visitare la Santa casa: dove nelle otto giorni che vi dimorò, diede di non minore segni di liberalità, che di devozione comunicandosi in esso tre volte, e presentando 8000 scudi con due lampade d’argento di gran peso; e con questi danari si verificò non vince la parte del palazzo di Loreto. Rorsel. lib. 5 cap.4.5.7 Arch. Loret.

     L’anno 1585 dell’eminentissimo Nicolò Reitano cardinale di sé moneta della stessa casa di Bonifacio ottavo per lo singolare affetto, e cordiale di devozione a questa Madonna, e santuario suo, e per pegno delle grazie, e favori ricevuti dalla sua santissima mano, in memoria dello scoprimento di questo angelico tesoro nel Pontificato del predetto Papa suo parente, e lesse per sepoltura questo tempio, dove ancora sano, fece fabbricare un magnifico sepolcro in forma all’altare, abbellito con varie, e belle statue di marmo finissimo, collocandone in mezzo di esso un’altra di bronzo, che rappresenta la sua persona, con un’iscrizione nell’estremità di esse, scolpita in una tavola di marmo, siccome attualmente si vede nella cappella del Santissimo sacramento di questo santuario: dove dopo con gran pompa collocato il suo corpo con questo epitaffio: Qui abiterò perché scelsi questa.

Torsel. lib. 5 c. 7 e questo medesimo anno s’abbellì la Capella della Pietà con belle, e curiose figure di bronzo a spese di Barbara Maxilla gentildonna Recanatese. Arch. Loret. Visitarono ancora questo Santuario gli Ambasciatori Giapponesi, come dicemmo nel paragrafo ottavo. Rutil. Benzon lib. de Iubil. Et alli 17 di Marzo di questo medesimo anno il Serenissimo Duca di Baviera venne incognito a visitar questa Santa Casa, e offerì alla Madonna un libricciuolo d’oro massiccio in tre parti diviso, e in esse finissime, e divote imagini e la coperta adornata di preziose perle, e diamanti, il qual dono fu apprezzato ottomila scudi, e a nome della Duchessa sua consorte presentò una Croce di smeraldo, e un Christo resuscitato d’oro, col sepolcro composto di diamanti, rubini, e altre perle finissime, e un’anno prima fece presentare un candeliero d’argento di 80 libre lavorato con tal’arte, che in esso possono stare 24 candele, e assegnò un censo il 1100 scudi d’oro per le spese delle candele, accioche ogn’anno in quaranta solenni feste ardano, e attualmente sta pendente in mezzo della Santa Capella. Torsel. lib. 5 c. 6. In questo stesso tempo Gregorio XIII, desideroso di ingrandire questo Santuario, e la Terra di Loreto, ordinò che si dilatasse, e fortificasse il suo sito, a guisa d’una delle più nobili, e forti Città della Marca, e avendo cominciato questo suo desio, volle nostro Signore premiare le sue sante fatiche, morendo alli 10 d’Aprile di quest’anno, riservando Dio l’esecuzione di così buoni desideri ad altro Pontefice. Racconta questo Vittorio Briganti nel compendio dell’Historia di Loreto.

     L’anno 1586 Sisto V Piceno nel primo del suo Pontificato essendo Protettore, e Governatore li medesimi a’ 17 di Marzo fece Città Loreto, e la sua Chiesa Cathedrale, dandoli per Diocesi le Terre di Castel Fidardo, M. Cassiano, M. Lupone, e a 20 d’Aprile nominò suo primo Vesc. Francesco Cantuccio Perugino , il quale durò fino a’ 7 di Decembre di quest’anno, nel quale morì: questo prima di morire a spese sue principiò ad incrostare di marmo i pilastri, o colonne di questo Tempio, e lasciò nel suo testamento che s’adornasse con pitture la Capella della Natività della Madonna detta volgarmente del Cantuccio; e alli 23 dello stesso mese, e anno fu sostituito nel vescovato Rutilio Benzoino, il quale col suo governo, e colla penna grandemente illustrò questo Santuario. In questo tempo la Provincia della Marca abbellì con fine pitture, e curiosi lavori la Capella detta volgarmente della Provincia; l’istesso fece Simone Tagliavia Cardinale d’Aragona figliuolo del Duca di Terra nova con la Capella delle Santissimo Rosario detta comunemente l’Aragona.

Torsel. lib. 5 c. 10.

     L’anno 1587, al tempo dei i medesimi si diede principio alla fabrica dell’habitazione dei ministri di questo Santuario, e si fornì il frontespizio del Tempio, e si fabricò una buona parte del Palazzo; e alle 17 d’agosto di quest’anno morì il Cardinale Vastavillani, dopo di essere stato Protettore sei anni, e sette mesi e 17 giorni, e poco doppo morì Governatore Vitale Leonori, e alli 22 di Agosto Sisto V disegnò Protettore il Cardinale Antonio Maria Gallo vescovo di Perugia. E doppo di Osimo sua patria, antica Città della Marca;  il quale alli 24 del medesimo sostituì Governatore suo Zio ciò Francesco Gallo Osimano Protonotario Apostolico. In questo tempo il Protettore di ordine del Papa n’andò in Loreto, e prescrisse il modo, e assegnò le leggi, che si dovevano osservare nella creazione de novi  Magistrati, e nell’elettione de gli’altri offitiali: e alli 27 d’ottobre dell’istesso anno si fece la prima estrattione d’un Confaloniero, e tre Priori per governare la detta Città, e al primo di Novembre, avendo prestato il solito giuramento uscirono in pubblico con le insegne del Magistrato, e Arme della nuova Città, che sono uno sudo, e in esso tre Monti, e sopra quello di mezzo si vede collocata la Santa Casa, con l’imagine della Madonna di sopra del modo che si suole pingere, e sopra ciascuno degli altri, due rami di pero; e alli 24 di Decembre la Provincia della Marca il rendimento di grazie d’havere Sisto V honorato, illustrato la lor Provincia con varie Porpore Cardinalizie, e nobilitatola con altrettante Città, e in particolare Loreto, e il suo Santuario con tanti privilegi, grazie, e esentioni, gli eresse una bellissima statua di bronzo, e per lo stesso tempo si scolpirono in tre tavole di marmo tre iscrittioni la prima sopra la fenestra grande della facciata del Tempio e dice così:

CASA DELLA MADRE DI DIO
DOVE IL VERBO SI FECE CARNE

La seconda contiene come questa sul Chiesa fu fatta cattedrale dell’ordine di

 Sisto V e sta scolpita sopra la prima porta del Tempio, e è questa:

SISTO V PONTEFICE MASSIMO PICENO DA COLLEGIATA COSTITUI’

CATTEDRALE QUESTA CHIESA. 16 KALENDE DI APRILE ANNO 1586

ANNO PRIMO DEL PONTIFICATO.

La terza contiene come l’istesso Pontefice diede titolo di Città al Loreto, e è collocata sopra la seconda porta picciola del medesimo Tempio, e dice così:

SISTO V PONTEFICE MASSIMO PICENO ORNO’ IL CASTELLO DI LORETO

CON LA DIGNITA’ EPISCOPALE E CON LA GIURISDIZIONE DI CITTA’

ANNO DEL SIGNORE 1586 PRIMO DEL PONTIFICATO

     L’anno 1588 essendo destinato al Governo della Città di Imola nella Romagna il Governatore Gio: Francesco Gallo, fu nominato in suo luogo Girolamo Gabuccio Referendario Apostolico; questo ordinò, che si facesse la scalinata di pietra di Istria per entrare nel Tempio, e la lanterna sopra la cupola dell’istesso Tempio ornata con otto colonne dell’istessa pietra alte nove piedi; e per la sua buona diligenza le Communità di questa Provincia fabbricarono un buon numero di case, e ordinò si fabbricasse l’hospizio alli Frati Cappuccini, e alle 24 di Luglio del 1580 il medesimo Protettore donando una grande quantità di ducati alla Città di Loreto istituì in essa il Monte della Pietà per soccorrere ai poveri nelli loro bisogni. Torsel. lib. 5 c. 12.

     L’anno 1590 a tempo d’Urbano VII fu Governatore Andrea Bentivoglio Bolognese, e nel suo tempo si disegnarono le tre curiose, e sontuose porte del Tempio, e si fabbricò la porta Romana di questa Città, e a spese di Gio: Battista Mazza Canonico di Loreto s’abbellì la Capella della Circoncisione detta communemente del Giesù, e l’istesso anno fu Governatore Fulvio Pauluccio Protonotario Apostolico, e governò a tempo di Gregorio XIII . Innocentio IX infino al principio del pontificato di Clemente VIII. Torsel. lin. 5 c. 18 Arch. Loret.

     L’anno 1592 a’ 22 d’Aprile primo del Pontificato di Clemente VIII fu un’altra volta fatto Governatore Gio: Francesco Gallo; e a 31 di Novembre Cesare Speciano Vesc. di Cremona, e Nuntio Apostolico nella Corte dell’Imperatore mandò in Loreto una fede autentica del capo di S. Gerione Martire, il quale fu presentato a questo Santuario da Donna Polixena Pernestaim Viceregina di Boemia e da donna Giovanna Manrique di Pernestain Moglie di Don VVrastislau di Pernestain Cavaliere del Tosone gran Cancelliero di Boemia, e del concilio dell’Imperatore.

Torsel. lib. 5 c. 21, e del 1593 furono presentati a questo Santuario pretiosissimi regali da vari Principi, e in particolare Ferdinando de Medici Granduca di Toscana mandò una galera d’argento in memoria d’essere state liberate da peste le sue galere per intercessione di questa Vergine, e attualmente sta pendente dell’ingresso della sala del Tesoro. Veda gl’altri chi vorrà nell Torsellino lib. 5 c. 20.21. E del 1591 Christiana Gran Duchessa di Toscana moglie del detto Ferdinando visitò questo Santuario vestita in forma di Pellegrina, e non solo l’honorò con la sua presenza, e esempio singolare di divotione, ma etiandio l’arricchì con molti, e preziosi doni, venne a piedi da Recanati, e offerì palii, pianete, e altri paramenti di broccato riccio soprariccio di stupendo lavoro, e vettovaglie,  ripieni di gentilissimi le imagini del Profeti, Sibille, Apostoli, e Evangelisti, fra ramuscelli, e fiori maestrevolmente inserte, il valore dei quali eccedono otto mila scudi. Torsel. lib. 4 c. 21. Fù ancora a spese di Vittorio Briganti canonico d’Ancona ad ornata, e abbellita la Capella della Madonna del Soccorso. Quest’anno diede fine alla sua Historia Loretana il Padre Horatio Torsellino e del 1595 per ordine di Clemente VIII il Cardinal Gallo ordinò che si scolpisse in una tavola di marmo dell’ornamento l’iscrizione dell’Historia di questo Santuario, come si disse nel paragrafo quinto, e del 1596 abbellì la sua Capella di Sant’Antonio il Governator Gio: Francesco Gallo. Arch. Loret.

L’anno 1598 alli 23 d’Aprile Clemente VIII nel viaggio che fece a Ferrara, passò per Loreto, dove si trattenne tre giorni, e in essi celebrò sempre Messa, nella Santa Capella e ritornando nel mese d’Agosto del medesimo anno, volse un’altra volta onorare con la sua presenza questo Santuario, e ivi concesse, e offerì tutto ciò che dicemmo nel paragrafo sesto e lo riferiscono il Torsellino, e l’iscrizione di marmo, che in una colonna di questo Tempio comandò che si mettesse il Cardinal Gallo. Torsel. lib. 5 cap.20. Nell’istesso tempo Ludovica Reina di Francia mandò a presentare un cuore d’oro con un grosso smeraldo in mezzo tempestato di molti diamanti, e rubini con l’arma sua, e del suo marito Henrico III scolpita in esso. Et il cardinale Aldobrandino Nipote di Clemente VIII presentò un mobilissimo manto formato d’una grossa piastra d’argento da eccellente mano lavorata, indorata, e smaltata: vedesi in essa di basso rilievo scolpita la città di Ferrara col suo Territorio, e effigiato il Cardinale istesso. Arch. Loret.

     L’anno 1599 fu governatore Filippo Bartele, a cui successe doppo Tiberio Orfino ambedue Protonotari Apostolici. Et in questo tempo il duca Ranuccio Farnese venne la PR Loreto incognito non più che con tre gentiluomini in abito da pellegrino, e volle etiandio dall’osteria da solo alla Santa Casa scalzo, e offerì alla Madonna una grossa limosina, e la Serenissima Arciduchessa  D Maria d’Austria Madre della Reina Cattolica tornando da Spagna visitò questo Santuario, e donò una grossa limosina per incrostare di marmo quella parte della Chiesa, che circonda la Santa Casa, con offerta di supplire, se di maggior somma vi fosse stato bisogno. Arch. Loret.

     Nell’anno 1600 Clemente VIII alli 17 di  Giugno concesse al Protettore, Governatore, e altri Sacerdoti, ò Chierici di questo Santuario, che potessero senza incorrere nell’irregolarità catturare, e far prigione, e anche mettere in mano della giustizia secolare tutti quelli che trovassero rubbando le cose di questa Santa Casa, e in questo medesimo tempo si cominciò a fabricare la Sacrestia del Tesoro; e l’anno 1602, fu Governatore Francesco Basso da Ravenna, e in questo tempo del Pontificato di Clemente VIII si fece la fonte del Battesimo tutta di bronzo, ad ornata con tali figure, e abbellita con tali fregi, che senza essageratione può campeggiare tra l’altre simili opere di tutta l’ Italia. Arch. Lauret.

     L’anno 1605 essendo éontefice Paolo V si fabbricò la magnifica Sala del Tesoro, e si cominciò a dipingere dal Cavaliere Cristoforo Roncale da Pomerancio famoso pittore, e nel medesimo tempo si fabbricò il Condotto che va da Recanati a Loreto, come appare da una Bolla di Paolo V spedita a questo effetto. Arch. Lauret.

     L’anno 1607 per la morte di Francesco Basso fu sostituito Governatore Rutilio Matuccio, e a 17 di Settembre successe Tiberio Petronio Protonotario Apostolico, nel cui governo l’anno 1609 s’abbellì con fine pitture la cupola del Tempio per mano del medesimo Cristoforo di Pomerancio; e l’anno 1612 si ridusse a perfettione la Sala del tesoro, come appare dall’iscrittione che in essa si vede. Arch. Loret.

     Nell’anno 1613, la Città di Loreto in memoria dei beneficii ricevuti dall’Eminentissimo Cardinal Antonio Maria Gallo Vescovo d’Osimo, e Protettore di questo Santuario, e massime per avere ad istanza sua Sisto V fatta Città Loreto, e la sua Chiesa Catedrale, dandoli Vescovo, e assegnandoli Diocesi gli eresse una statua di bronzo, con una bella iscrittione nella facciata del Palazzo della Communità. Arch. Loret.

     L’anno 1614 a 29 di Luglio in assenza di Tiberio Petronio restarono per Luogotenenti Isidoro Matuccio Arcidiacono di Loreto, e il Canonico Stefano Delfino, e alli 22 di Novembre fu nominato Governatore Ottavio Orfino Protonotario Apostolico. Questo anno s’instituì la Confraternita di S. Carlo, e a’ 29 di Novembre dell’istesso anno fu aggregata all’Arciconfraternita de i Santi Ambrogio, e Carlo di Roma con licenza del Protettore di essa il Cardinale Paolo Sfondrato; in questo tempo fu Vescovo di Loreto, e Recanati l’Eminentissimo Cardinal Arceli. Arch Loret

E l’anno 1615 il Cardinal Gallo a tempo dell’istesso Governatore in memoria de i benefitii, che questo Santuario ha ricevuto da Ferdinando Arciduca d’Austria, comandò, s’intagliassero in un marmo le sue arme con un’iscrittione honorifica, e che si collocassero in una colonna del Tempio; e l’anno 1619 la onfraternita di S. Carlo adornò la sua Capella con belle, e curiose pitture. Archivio Loretano.

L’anno 1620 a’ 20 di Marzo doppo di essere stato Protettore trentatre anni, sette mesi, meno due giorni, passò a miglior vita il Cardinal Antonio Maria Gallo insigne benefattore di questo Santuario, a cui deve il suo maggior splendore, poiché con la sua protettione, e governo in tempo di sette Pontefici Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV, Innocentio IX Clemente VIII, Leone XI, Paolo V collocò questa Casa nello splendore, e grandezza, con la quale al presente si trova. Doppo in luogo di questo al primo d’Aprile Paolo V sostituire il Cardinale Scipione Borghese suo Nipote, il quale confermò nel governo Ottavio Orsino, e a 15 di Luglio si diede la sopraintendenza del Refettorio, ò tinello delli poveri Religiosi, Sacerdoti, ò Vhierici, alli Frati Cappuccini e Papa Paolo V, dichiarò che questo Santuario, e la Città non fosse soggetta ne al Legato della Marca, ne alla Rota della medesima Provincia, nemmeno ad altra giurisdizione secolare, che dei ministri ufficiali, e familiari appartenenti alla Santa Casa fossero essenti d’ogni altra giurisdizione spirituale fuorché da quella del Protettore, e Governatore di essa, come appare da dui Brevi, che cominciano, La divina clemenza disponente, e Fra innumerevoli cure, l’uno spedito a 14 luglio, e l’altro alle 11 settembre di questo anno.

     L’anno 1621 alli 19 di Giugno al tempo di Gregorio XV essendo promosso il Governatore Ottavio Orsino alla Chiesa di Venafro, il Cardinal Borghese Protettore raccomandò la cura del Governo a Marcello Pignatelli Vescovo di Jesi, e alli 3 di Luglio del medesimo anno fu dichiarato Governatore e alli 10 di Ottobre morendo questo, fu assegnato in suo luogo per Governatore Ottavio Fugini. In questo anno fu nominato Vescovo di Loreto, e Recanati il Cardinal Giulio Roma milanese. Arch. Loret.

     L’anno 1622 alli 20 d’Aprile  fù fatto Governatore Tiberio Cenci Vescovo di Jesi, e al presente Eminentissimo Cardinale di Santa Chiesa; e in tempo di questo essendo Pontefice Gregor. XV s’eresse, e mise in ordine la Fontana in mezzo alla piazza del Tempio, e Palazzo, adornandola con belle statue di marmo, e figure di bronzo, la quale prima di morire fece lavorare, e intagliare il Cardinal Gallo; facendosi l’Hospizio degli Frati Francescani dell’Osservanza con la buona diligenza di Don Francesco Gentile canonico di questa Santa Casa e nel Pontificato di Urbano VIII fece fabbricar la Sala grande del Palazzo; e al tempo di questo il Serenissimo Arciduca Leopoldo in rendimento di gratie di essere stato liberato per due volte dall’assedio dei suoi nemici per intercessione di questa Madonna, mandò a presentare un ricco, e ben lavorato ritratto della Città di Taveroa nell’Alsazia nella quale fu assediato. Arch. Loret. E l’anno 1627 d’ordine del Cardinal Borghese Protettore collocò in una colonna del Tempio l’Arma di Ranuccio Farnese Duca di Parma insigne benefattore di questo Santuario con una una honorifica iscrittione; e l’anno 1631 Donna Maria d’Austria Infanta di Spagna Regina d’Ungheria, e poi Imperatrice, visitò questa Santa Casa, e presentò alla Madonna un’Aquila Imperiale d’oro di gran prezzo tempestata con ricchissimi diamanti. Arch. Loret.

     L’anno 1633 nel mese di Settembre la Serenissima Repubblica di Venezia per avere per l’invocazione di questa Signora scanzato il pericolo della peste, mandò a presentare una lampada d’oro di trentasette libre di peso; e alli 10 di Decembre di questo medesimo anno, doppo di essere stato protettore tredici anni, e otto mesi, e diece  giorni morì il Cardinale Scipione Borghese, il quale lasciò alla Santa Casa una bella, e ricca croce, e due candelieri d’argento indorati con diece mila scudi, e l’istesso giorno Urbano VIII sosteituì il cardinal Antonio Barberini non suo Nipote, il quale non solo con la sua protettione ha favorita questa Santa Casa, ma anche con la sua presenza l’ha honorata spesse volte, e con la sua liberalità degna degna d’un cotal Principe l’ha arricchita con i suoi doni, li quali e per la curiosità del lavoro, e per la ricchezza di essi non lasciano di spiccare tra gli altri; e alli 10 del medesimo mese nominò Governatore Emilio Altieri Vescovo di Camerino, e al presente Nunzio del Papa nel Regno di Napoli; e l’anno 1634 il luogo del Cardinal Roma fù fatto Vescovo di Loreto, e Recanati, l’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignor Amico Panico da Macerata Conte di Castel Falcino, e Petrella, Prelato veramente vigilantissimo, e divotissimo di questa Vergine, il di cui Santuario, e Casa frequentemente visita, e honora con la sua presenza; e del 1635 alli 24 di Gennaro fu nominato Governatore Pietro Martire Merlino Protonotario Apostolico, che doppo morì Governatore di Benevento, in tempo di questo si fabricò la Cavallarizza, e a 15  di Luglio Ferdinando III Imperatore Re di Boemia, e Ungheria in rendimento di gratie, d ‘haver ottenuto un figlio (che al presente è già coronato Re di Boemia, Ungheria, dell’uno ereditario e dell’altro eletto) mandò il Baron di Tras suo Cameriero, acciò a nome suo, e del pargoletto principe visitasse la Santa Casa, e offerisse un bambino d’oro con un vezzo di preziosi diamanti. Arch. Loret.

     L’anno 1640 il Cardinal Sant’Onofrio fratello d’Urbano VIII e Penitenziario Maggiore non contento d’aver presentato ricchi, e pretiosi doni a questo Santuario, volse ancora fondare l’Hospizio alli Frati Capuccini, e a’ 20 d’Ottobre il Cardinal Antonio Protettore creò Governatore di questo Santuario monsignor Caetano Referendario Apostolico dell’una e dell’altra Signatura, e al suo tempo non ostante le guerre dell’Europa, e in particolare dell’Italia, per industria, e diligenza sua si è aumentato grandemente questo Santuario con nuovi poderi, accresciute le sue entrate, allargata la Città con nuove strade, e le fabriche, distesa la piazza, ordinata l’Armeria, fortificata con nuovi beloardi, e artiglieria la Rocca, fabricati li Magazzeni, mantenuto sempre la Città in abbondanza, e procurato che la Repubblica di Venezia esentasse di gabelle, e datii le cose, che per servizio della Santa Casa se estraggono dalla sua Città, e dominio. Arch. Loret.

     L’anno 1643 al 8 d’Agosto la Città d’Ancona presentò a questo Santuario un ritratto della sua Città da eccellente mano lavorata con una limosina di trecento scudi, e per lo mese di Settembre il Serenissimo Principe Gio: Casimiro (si come si disse nel Paragrafo ottavo) visitò questo Santuario, e lasciando il mondo, si fece Religioso della Compagnia di Giesù, e la maggior parte delle due anni, e  mezzo, che è stato nella Compagnia, ha dimorato nel Collegio di Loreto.

E l’anno 1644 per lo mese di Maggio la Città di Fermo col suo Governatore, Magistrato, Nobiltà, e dodeci compagnie venne in processione a Loreto, e presentò una elemosina di quattrocento scudi; e per il mese di Decembre visitò questo Santuario Donna Maria Infanta di Savoia figliuola del Duca Carlo Emanuelle, e prima cugina del Cattolico Re Don Filippo IV in forma di pellegrina, vestita di un umile, e divoto habito del terzo Ordine di San Francesco, imitandola la sua famiglia e comitiva nella livrea, e havendo dimorato alcuni giorni con ritiramento grande, e di divotione, ella stessa adornò le teste della Madonna, e del Bambino Giesù con due corone d’oro tempestate con molte perle, e ricchissimi diamanti; e del 1645 in assenza del Cardinale Antonio Barberino non Protettore il Sommo Pontefice Innocenzo X nominò per comprettore il Cardinal Gio: Battista Pallotto Piceno, il quale questo Santuario riconosce per particolare divoto, e benefattore suo, e nell’istesso anno Perugia Città dell’Umbria mandò a presentare una Lampana  grande d’argento. Arch. Loret.

     L’anno 1646  a 10 di Giugno (nel quale l’Autore di questo Santuario diede fine alla sua Historia) e sono 352 anni, e mezzo della Venuta di questo Santuario in Italia l’Almirante di Castiglia mio Signore, e Padrone e Vice Ré di Napoli, e Ambasciatore Straordinario del nostro Cattolico Ré Don Filippo IV nella Corte di Roma, doppo di havere a nome del suo Ré resa la dovuta obbedienza al Sommo Pontefice, prima di trasferirsi in Ispagna, volse in compagnia di sua moglie, figliuoli, e numerosa famiglia visitare questo Santuario, al quale presentò un ricchissimo Frontale con una pianeta, tutta ricamata di fregi d’oro. E per lo mese di Ottobre la Città di Valdosta di Savoia per la liberazione dalla peste per intercessione di questa Madonna presentò un bello, e non men curioso ritratto d’argento delle stessa Città, accompagnando il dono con una buona limosina; e tra poco il Vescovo di Samogitia della Polonia, mandò a presentare a questo Santuario una bella ricca Lampana d’ambra gialla curiosamente lavorata; e alli 10 di Decembre di questo medesimo anno visitò questa Santa Casa il Prencipe Maometto Celebi Primogenito del Ré di Tunisi nell’Africa dopo essersi convertito alla Cattolica fede, e battezzato in Palermo di Sicilia, come si disse nel Paragrafo ottavo. Arch. Loret.

     L’anno 1647 a 13 di Maggio la Confraternita della Misericordia di Livorno venne in processione, e presentò a questa Madonna una tavoletta di gloria d’argento adornata con diverse gemme; e al primo di Settembre il Duca di Parma con la Duchessa sua Madre, due sorelle, e la Principessa Vittoria sua Zia visitò questo Santuario, e a nome del Duca suo Padre donò dieci mila scudi con altra grossa limosina; e ultimamente alli 22 dell’istesso mese venne in processione la Terra di Cingoli col suo Contado, e presentò alla Madonna il solito regalo, che ogni cinque anni suole presentare, mostrando non meno il suo cordial’affetto, come anche la sua liberalità verso questa Santa Casa di Maria.

     Altre molte cose si sono fatte, e successe al tempo di questi Protettori, e Governatori, delle quali parte havemo registrato nel discorso di questo Santuario, e massime nel paragrafo stesso trattando de’ Pontefici, e parte ne abbiamo lasciate per brevità, rimettendo il lettore a gl’Autori, che più distesamente ne trattano; ne meno ho fatto qui mentione di tutti li preziosi doni, che in diversi tempi, e occasioni sono stati presentati a questa sovrana Signora; percioche puole con facilità saperli, e aver cognitione delle persone, che gli’hanno offerti, quello, che contempla la magnifica Sala del Tesoro, ove con mirabil’ordine sono collocati, e per quelli che non possono venire a vederli, basta dire, che in numero, e qualità sono tanti, che per descriverli, e registrare desiderano penna più delicata, e dei soli questi si può comporre un ben grosso volume.

P A R A G R A F O   X I I

S’insegna il modo, col quale il divoto Pellegrino

ha da visitare questo santuario.

     Molti hanno scritto di questa materia, solamente io not uomo arò qui ciò che giudicarà esser più necessario, acciò che il divoto pellegrino visiti con profitto dell’anima sua questo Santuario, e ottenga il fine per lo quale si partì dal suo paese, e intraprese così tanto, e divoto pellegrinaggio.

I. Procuri, che il fine del suo pellegrinaggio sia honesto, e virtuoso senza lasciarsi tirare dalla vana curiosità, ò  interesse temporale. Intraprenda adunque questo viaggio si tanto per solo profitto della sua anima, con pura intentione di ottenere le grazie che desidera; e supposto che quì si diede principio alla salute degli uomini per mezzo dell’Incarnazione del Verbo oprata in questa medesima Casa, si incamini con desiderio, che si dia principio alla sua, e non si scordi di pregare il nostro Signore Dio per l’anime del purgatorio.

II. Procuri prima di cominciar il suo Pellegrinaggio, confessarsi, e communicarsi, e quando ciò non potrà fare non parta prima di visitare alcuna Chiesa, ò Capella consagrata a Christo, ò alla Madonna, e ivi prostrato in terra facci un atto di contritione dolendosi di cuore dei suoi peccati e d’haver con essi offeso un Dio degno d’essere amato sopra tutte le cose, e dopo supplichi li conceda grazia efficace per resistere alle tentationi, e assalti del Demonio, e fortezza per sopportare con pazienza, e frutto la fatica del viaggio.

III. Ogni giorno al principio del camino dica alcuna divotione, come l’Itinerario, le Litanie della Madonna, ò de i Santi col  Sotto il tuo presidio, ovvero  la Salve Regina il Rosario, ò Corona della Madonna, ò quella di Giesù Christo, ò qualche altra sua particolare divotione, e per andare Santamente impiegato, saria di gran profitto contemplare alcuni delli Pellegrinaggi che Giesù, Maria, e Gioseppe fecero, partendosi da questa Santa Casa, e ritornando in essa, e acciò possa esseguire questo con facilità, legga il primo paragrafo di questo Santuario; e procuri dare alcuna elemosina a i poveri, e massime a pellegrini.

IV. Subito che da lontano scoprirà questo Santuario saria bene ad imitaztione d’alcuni Santi, come San Luigi Ré di Francia, San Carlo Boromeo, e molti altri celebri in santità, e nobiltà, smontare da cavallo, e con le ginocchia in terra salutare la Madonna con qualche breve, e divota oratione, e se può seguiti a piedi il restante del viaggio col Rosario nelle mani recitando divotamente, ò discorrendo delle grandezze di questo Santuario, e de gli miracoli oprati in esso ad imitazione delli predetti Santi.

V. Arrivando, il suo primo, e principale studio sia il bene, e profitto dell’anima sua, e non la comodità del corpo, entri nel Tempio con grande divotione, e profonda umiltà confessandosi per indegno d’entrare in un luogo dove hanno dimorato li maggiori, e più Santi personaggi del mondo; molti sogliono entrare in ginocchioni: in questo facci quello, che lo Spirito Santo li detterà

VI. Saria utile confessarsi prima d’entrare nella Santa Capella, à quando ciò non si potesse, rinovi l’atto di contritione, e con divotione umile entri in essa, imaginandosi che entra nel Sancta Sanctorum, e nella stessa Casa di Giesù Maria, e Gioseppe, baci le sante mura, che tante volte hanno toccate con le sue sante mani, Venere Ida Madonna, la quale in questo Santuario fù conceèuta, nacque, e concepì il Verbo eterno, dicali questi, ò simili parole: Regina degl’Angeli, Imperatrice del mondo, Monarca dell’universo, e Madre verissima dell’Onnipotente Dio, io mi compiaccio, mi rallegro; e mi congratulo con voi per li doni, privilegi, favori, e grazie segnalaltissime, che dall’eterno Dio vi sono state concedute in questo Santo luogo. Doppo chiedali le grazie, delle quali ha bisogno, offeriscali gli suoi figliuoli, famiglia, e tutte l’altre cose conforme al suo stato, e quel che più importa presenti il suo cuore, e l’anima sua supplicando alla medesima Madre di Misericordia li conceda grazia di fare una buona confessione e avvertendo di non entrare con armi per esser proibito entrar con esse in questa Santa Capella pena di Scommunica.

VII. Fatto il dovuto esame dell’i suoi peccati, butti se ai piedi del Confessore, e si confessi interamente di quelli con dolore, pentimento, e proposito del emendarsi, e per li riservati vada ad alcuno dei Penitenzieri per l’assoluzione di essi conforme la nazione, perché quì li ritroverà di diverse nazioni, Italiana, Spagnola, Francese, Tedesca, Polacca, Illirica, e Greca, e l’Italiana quasi tutti la sanno, o la intendono, oltre la latina commune a tutti.

VIII. Fatta la confessione potrà comunicarsi nella Capella destinata a questo fine, che è  quella del Santissimo Sacramento, il quale amministra uno de’ i Padri Penitenzieri a vicenda, e se desidera communicarsi nella Santa Capella ottenga licenza la Monsignor Governatore, a cui tocca concederla, ò vero a quelli, che saranno da lui designati; e doppo rese le dovute grazie potrà trattenersi in vedere le Sante Scudelle, e l’altre reliquie, che ogni dì a verntidue hore si mostrano a tutti li Pellegrini. Potrà anche vedere il Tesoro, che molte volte nel giorno, e in particolare nella mattina a hora di terza, e doppo desinare a hora del Vespro si suol mostrare; visiti ancora l’Gospitale; e veda parimente tutto ciò sarà più degno d’esser visto in questa Santa Casa, Tempio, e Città.

IX. Non si parta da Loreto senza domandare con humili preghiere la benedittione alla Madonna, rinnovandone nella sua presenza i suoi voti, e buoni propositi, e saria assai utile notarli in una carta per ricordarsi di essi, chiedendo gratia per adempirli, e perseverare in essa fino alla morte.

X. Ultimamente se desidera qualche reliquia di questa Santa Casa per sua consolatione e divotione, avverta che è vietato dalli Sommi Pontefici il levare, ò dare reliquie delle sante pareti, ò altre cose appartenenti alla Madonna; nondimeno potrà procurare qualche pezzetto di candela, di quelle che ardono nella detta Capella, dell’olio della lampana ivi ardente, dell’acqua che è stata nelle sante Scudelle, ovvero alcune misure della Madonna, e del Bambino Gesù, per mezzo delle cui cose ha oprato il Signore, come riferisce il Torsellino, e d‘ordinario opera moltissimi miracoli, e per ricordarsi tutto questo, e haver memoria di quello che ha visto, e per sapere con brevità la grandezza, Santità, Traslazioni, e msravigliosi prodigi di questo Angelico Santuario, e Santa Casa procuri avere alcuno di questi compendiii e per gloria di Dio Figlio, Maria

Madre, e Gioseppe Sposo, che siano sempre lo- dati per li secoli de i secoli. A

AVVERTENZA AL LETTORE

     Per consolatione de Pellegrini, e di molti Habitatori di questa Città, ho giudicato avvertire, che oltre l’indulgenza plenaria perpetua concessa da Clemente VIII e molte altre parimente perpetue, che i Sommi Pontefici in diversi tempi hanno conceduto, e alcune particolari concesse alle cinque Confraternite, che in questa Santa Casa sono state fondate, cioè quella del Santissimo Sacramento, della Misericordia, detta volgarmente della Morte, del Rosario, di San Carlo, e di San Gioseppe. Leone X anche istituì lì sette Altari delle stazioni di Roma in altrettante Capelle; quali sono quella della Trinità, del Giesù, San Carlo, San Cgristoforo, la Concettione, la Pietà, e Santa Anna, nelle quali si guadagnano l’indulgenze delle Stazioni di Roma non solamente al tempo dell’Avvento, e Quaresima, ma etiandio nelli altri giorni dell’anno, ne i quali ci sono Stazioni dentro, e fuori di Roma. Ci sono ancora cinque altri Altari dove si guadagnano le stazioni del Santo Rosario, e sono l’istessa Capella del Rosario detta l’Aragona, l’Annunziata, Santa Elisabetta  chiamata Altoviti, quella della Provincia, e l’Annunziata del Duca. Ultimamente Gregorio XIII fece Altare privilegiata per l’Anime del Purgatorio la Capella di Santa Anna Madre della Madre di Dio, concedendo a tutti li Sacerdoti, tanto Regolari come Secolari che in qualunque dì dell’anno diranno Messa in essa possino cavare un’Anima dal Purgatorio. L’altre indulgenze habbiamo notate nel paragrafo sesto di questo Santuario, solamente ho giudicato mettere quì queste, accioche con facilità si sappiano gl’’Altari, ne’ quali si possono guadagnare, e parimente animarsi ad acquistare tesoro così grande.

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Imprimatur.

Amicus Episc. Lauretanus, e Recanatensis

Imprimatur.

Papirius Episc. Maceratae, e Tolentini

Imprimatur.

Vincentius Paulinus Magister Inquisitor

Generalis Anconae

T A V O L A   D E   P A R A G R A F I

Di questo Santuario Loretano

Misteri oprati in questo Santuario, e Angelica Casa stando in Nazaret. Parag. I

Pagina                                                                                                                            9

Honorano, e visitano questo Santuario l’Imperatrice Santa Elena, San Luigi Re di Francia, altri Santi, e Principi del mondo. Parag. II                                pag. 11

Fa trasportato da gl’Angioli questo Santuario da Nazaret a Dalmazia, e da la Dalmazia in Italia, miracoli operati, e diligenze fatte da Marchigiani. Parag. III

                                                                                                                                pag.  12

Si descrive questo Santuario con l’Imagini della Madonna e del Bambino Giesù, e del modo, col quale al presente si trovano. Parag.IV                               pag. 15

Si descrive l’Ornamento di marmo col quale questo Santuario è d’ogn’intorno coperto. Parag. V                                                                                                  pag. 18

Indulgenze, e privilegi concessi da Sommi Pontefici a questo Santuario

Parag. VI                                                                                                         pag. 20

Favoriscono li Sommi Pontefici questo Santuario instituendo in esso la Penitenzieria Apostolica. Parag. VII                                                           pag. 23

È honorato e arricchito questo Santuario con la presenza, e doni di molti Principi, e Signori grandi del mondo. Parag. VIII                                                        pag. 26

Visitano questo Santuario, e l’honorano con la loro presenza molti Santi, e Servi di Dio.Parag. IX                                                                                                    pag. 28

Honora il Signore questo Santuario con grandi, e stupendi miracoli. Parag. X

                                                                                                                            pag. 30

Breve cronica de’ li Protettori, e Governatori di questo Santuario, e delle cose più notabili, che in tempo di essi si fecero, e accaderono. Parag. XI              pag. 32

S’insegna il modo col quale il divoto Pellegrino ha da visitare questo Santuario.

Parag. XII                                                                                                             pag. 51   

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QUALE DEMOCRAZIA PER IRRIDERE LE ALTRI DIGNITA’?

TRUMP e la democrazia totalitaria: “se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (cfr. Enc. Centesimus annus, n° 46).

Si può deridere la dignità del papa vestendo TRUMP da papa.

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LUCIDI, Antonio: NOTIZIE DELLA SANTA CASA DI MARIA VERGINE VENERATA IN LORETO. 1792

NOTIZIE DELLA SANTA   CASADI MARIA VERGINE VENERATA IN LORETO RACCOLTE DAL fu D. ANTONIO LUCIDI già Benefiziato, e Custode della S. CASA – Estratte dall’Angelita, Torsellino, Saragli, Renzuoli, ed altri rari Scrittori”. Loreto MDCCXCII

      CAPITOLO PRIMO

                                                               La  Città di LORETO, e sua Regione.

     La città di Loreto, è posta ai confini della Marca Anconitana, presso le rive dell’Adriatico Mare, ed alla giusta metà del Piceno, la di cui lunghezza dai Geografi, e Cosmografi è tenuta  di cento miglia come uni italiane dalla Foglia di Pesaro al Tronto d’Ascoli, e di larghezza cinquanta, dall’Appennino all’Adriatico, riguardando da Levante l’Illirico, a Mezzodì il Reame di Napoli, a Settentrione la Romagna, ed a Ponente l’Umbria. La Marca tutta è paese fertilissimo al parere di molti, che tale la descrissero, e come anche a nostri dì chiaramente si vede. Abramo Ortelio così ne scrive: Habet haec Regio agrum fertilem, omnis generis frugum copiam producentem etc. è ripartita in pianure coltivate fra Inter posti ameni Colli, che la rendono insieme vaga, ed abbondante di viveri, talmente che ne somministra anche agli Stranieri, e molto ne scrivono Leandro Alberti nella sua Italia, e nella sua geografia Antonio Magni.

   La sua riviera è giocondissime, e vaga per giardini, colma di Viti, e fruttiferi Alberi; abbonda pure di Aranci, Limoni, ed Olive, che ne trasmette altrove, come il Maggino afferma, e lo stesso pure lo Storico Lauretano, dicendo: Picenum regio Italiae satis opulenta etc. fu chiamata da Appiano Giardino d’Italia, e da Boezio maestosa Idea, che fa mostra di sé al Colle Lauretano. Nei tempi andati fu ornata di più città, e più magnifiche, che al presente, ed ora nella Marca novella contansi da trenta Città con i suoi Vescovi popolata del pari, che adorna di moltissime Terre, e Castelli, delle quali ne scrivono Tito Livio, Tolomeo, Plinio, Pietro Mario, Silio Italico, e Giulio Cesare. Evvi di Ducato di Civitanova, e vi è Fermo con quarantotto Luoghi di suo antico dominio. Vi è il Presidato di Montalto celebre per aver dato alla Chiesa Sisto V, Francescano.

Vi si contano i Governi di Ascoli, Fano, Ancona, ora ornata del Porto franco, Jesi, San Severino, Fabriano, Camerino, e Macerata, ov’è la Pubblica Rota, e Gran Tribunale di tutta la Provincia come ancora la Tesoreria della Marca, e pubblico emporio della regione: Città doviziosa, e comoda, ove continuamente concorrono i Popoli al suo Governo soggetti con ogni sorta di vettovaglie, senza verun  dazio delle robbe, e merci; dei quali privilegj godé sempre Loreto, per ordine proprio di Giulio II; Leone X, e Sisto V, i quali la propagarono di Abitazioni, la cinsero di Mura, e la fornirono di Baloardi, e Terrapieni. Nel 1765, poli sono stati i medesimi restaurati per ordine di Roma, e presidiata la Città di Soldati, e ben provveduta di ogni sorta d’armi per schermirsi da qualunque nemico insulto, oltre l’Armeria pubblica per difesa di S. Casa, suo Tempio, e Palazzo, da lungo tempo eretti, per contestazione di che descrisse Ortelio: Lauretum muris, fossis, etc. Turribus cinctum, atque propulsatariis armis instructum.

   In tal modo assicurata la città con le armi, Clemente VII procurò di abborracciar l’aere, facendo seccare le acque stagnanti, e recider le selve che eranvi intorno: la qual’opera fu poi Pio V proseguita.

    Fu parimenti da Clemente VII suddetto atterrato in gran parte il vicin Colle  , che sovrastava al Loreto, e continuata tal’opera da Sisto V, apertavi in esso la via Romana da Gregorio XIII fra i Monti Appennini, per comodo di venire da Roma a Loreto in carrozza.

CAPITOLO II

SANTA CASA di Loreto, e suo antico culto.

Il santuario più celebre, è frequentato fra quanti se ne ve n’erano nella Chiesa, Cattolica da’ suoi fedeli più favorito dal Cielo con non mai interrotti prodigi, e miracoli è quello, che si venera in Loreto, piccola, ma felice città del Piceno. Non è altro questo, che la S. Casa, ora detta di Loreto, la quale fabbricata in Nazaret, fu propria ed abitata dai Ss. Coniugi Gioacchino, e di Anna, l’uno di Nazaret, e l’altra di Bettelemme. Qui fu concepita, data alla luce, ed è allevata MARIA Ss. Loro unica, e di un’inigenia Figliola fino al terz’anno della di lei età, dopo la quale condotta da loro, e consegrata a Dio nel Tempio di Gerusalemme. Morti quivi i S. Genitori, Ella ne restò erede; e data poi in Isposa all’uomo castissimo S. Giuseppe vennero insieme ad abitarla, e vi dimorarono fino alla partenza di Bett. Fu ella ancora in questa med, Casa visitata dall’Arc. S. Gabr, annunciando l’Incarnazione del Verbo nel di lei purissimo Seno; e ricevuto da lei il consenso divenne vera Madre di Dio, e il Divino Verbo d’umana spoglia ammantato suo vero Figlio; e conseguentemente in questo sacrosanto Albergo si dié principio, anzi si gettò il fondamento all’umana Redenzione. Ritornata poi dall’Egitto la tornò ad abitare con di lei S. Sposo Giuseppe, finché questi in essa compì i suoi giorni; e col Santissimo Figliol suo fino all’in cominciamento della predicazione, cioè al trentesimo anno della sua età, il quale appunto per sì lungoa dimora fatta in questa S. CASA, ancorché nato forse in Betlemme, fù poi sempre chiamato Gesù Nazareno. Tornò Ella più volte ancora ad abitarla con S. Giovanni; e con S. Luca, dopo l’Ascensione del Signore, dove i Ss. Apostoli si congregavano per conferire e decretare cose spettanti alla nuova legge di grazia alla presenza di lei lasciata loro dal Redentore direttrice, e maestra.

   Per tali, e tante maraviglie, misterj operati in questa S. CASA fu tenuta da’ Ss. Apostoli, e dai primi Fedeli in grande venerazione, e consagrata in Tempio per celebrarvi i Divini Ufficj. È però dentro di essa innalzato da’ medesimi un’Altare con l’Immagine del Redentore Crocifisso vi celebravano la Santa Messa, vi dispensavano l’Eucaristico Pane, e vi facevano orazione. Che se in altri luoghi ove Gesù Cristo aveva operata qualche azione singolare, sanno molti Sagri Autori, che vi furono edificate Chiese, ed Altari; quanto più si dovrà credere, che i Santi Apostoli la consacrasse, e l’avessero come Chiesa, non essendo altra Chiesa, che più meriti d’essere così chiamata quanto questa, ove lo stesso Iddio prendendo umana spoglia volle essere concepito dalla sua Vergine e Madre Santissima; esser nudrito, allevato, ed abitare corporalmente con gli Uomini: ove con umiltà impareggiabile soggettossi non solamente a’ voleri della sua Genitrice, e del putativo suo Padre: erat subditus illis: ma ancora ai sudori, alle fatiche, erat quasi annorum reiginta ut putabatur filius Joseph. Laonde que’ primi Fedeli vedendola così onorata, e frequentata dai Ss. Apostoli se ne affezionarono talmente, che per molti anni seguirono anco essi a frequentarla, e venerarla, chiamando la Casa dell’Incarnazione del Verbo Domus Incarnationis.

   Benché nell’anno 137, della nostra Redenzione Adriano imperatore facese profanare i principali luoghi di Terra Santa ponendovi Statue, ed Altari de’ falsi Dei, acciò che in avvenire i Fedeli non potessero più in essi piegar le ginocchia, e farvi orazioni; tuttavia la S. CASA non può mai come quelli profanata, ma sempre continua, e stabile vi perseverò la dovozione, e la frequenza. Anzi l’anno 300 quando S. Elena Madre del gran Costantino si portò a venerare quei luoghi Santi, e a  toglier loro l’abominazione, giunta a Nazaret  la vennerò, e la fece circondare d’un magnifico Tempio, nella fronte del quale, fece porre questa iscrizione: Haec est ara in qua primun jactum est humanae salutis fundamentum. Quindi ha bene, che vieppiù si accrebbe la divozione, ed il concorso non sono di Asia, e di Africa, ma ancora della nostra Europa, e per molti secoli si conservò. Indi non poche rivoluzioni successero in quelle parti, possedendo la Palestina diversi Principi. Finalmente l’anno 1245, essendo restata tutta in potere de’ Parti, S. Lodovico, l’ottavo di questo nome, Re di Francia, vi andò con poderoso Esercito per liberarla, ma non riuscito nell’intento, a cagione della peste, che indebolì il suo Esercito, vi restò schiavo. Perloché venuto a composizione cogl’Infedeli, recuperò la libertà. Prima però di allontanarsi da quelle parti volle portarsi in Nazaret e a venerare la S, CASA.

Era quel giorno la vigilia della Festa dell’Annunciazione della Ss. Vergine, la quale passò in digiuno di pane, e acqua. Pigliata la via del monte Tabor appena da lontano la vide, che sceso da Cavallo si prostrò in terra ed umile l’adorò.

La mattina giorno della Festa, vestito di cilizio si portò appiedi alla S. Abitazione, ove con segni di Cristianissima Religione ascoltata la Messa, che fece cantare con gran solennità, ed apparato, si cibò dell’Eucaristico Pane. Serva tutto questo di chiarissima prova in qual concetto, e venerazione fosse stata sempre appresso de’ Fedeli, la S. CASA:. L’esempio del Santo Re fu tale, che non sono efficacemente mantenne la frequenza, e la divozione ad essa; ma vieppiù l’accrebbe, e la dilatò.

CAPITOLO III

Traslazione della SANTA CASA

restato libero agl’Infedeli il possesso della Palestina, che fu l’anno 1291, mancò la frequenza a quei Santi luoghi per timore della fierezza dei Turchi, tuttavia non mai si spense affatto; poiché trovandosi quelli o in Gerusalemme, oppur vicini a qualche città principale, alla quale era l’accesso se non sicuro, almeno non tanto pericoloso per cagion del commercio, la S. CASA solamente come quella ch’era lontana, nella Galilea, e fuor di mano restò del tutto abbandonata, ed esposta alle abominazioni qual gemma. In mezzo al loto. Sicché le fu impedito affatto l’accesso non solo de’ lontani, ma degli stessi Galilei. Io però come quelli, che sempre veglia all’onor della sua Genitrice, a favore della quale non cessa di mostrarsi ora terribile ai nemici di essa, ed ora agli amici soave, e benefico, prevedendo le innumerabili scelleraggini, che si sarebbero commesse in quella Ss, Abitazione, nello stesso anno la fece spiccare dagli angeli dal suol nativo di Nazaret, e trasferire, come Elia nel Paradiso Terrestre, ed Abacuc nel lago di Babilonia, in luogo ove fedeli la potessero come prima con libertà frequentare. Nell’anno adunque di nostra redenzione 1291 ai 9 maggio, del pontificato di Niccolò V, da Nazaret e fu trasportata nella Schiavonia vicino alle rive del Mare Adriatico sopra un Colle, fra le due Terre allora di Tersatto, e di Fiume. Appena si accorsero gli abitatori della casa non mai ivi per l’addietro veduta, che in gran numero concorsero a contemplarla prima esternamente, poi nell’interno ancora: E fissando lo sguardo nelle antiche pareti, nell’Altare, nell’Immagine della gran Madre di Dio si sentirono sorprendere da un insolito sacro orrore, e tenerezza, che prostrati nel suolo, e compunti vi adoravano la Maestà Divina. E benché eglino non sapessero di chi fosse, d’onde fosse venuta, e come ivi portata; tuttavia restavano attoniti ringraziando Dio, e la gran Vergine del benefizio. Con molti segni, e prodigj la medesima Vergine di giorno in giorno faceva loro intendere, che quella era la di lei S. CASA.

      Fra gli altri, due furono i principali. L’uno l’istantanea guarigione di Alessandro Priore di San Giorgio di Tersatto, il quale sin da tre anni si trovava idropico confinato in letto già gonfio, e quasi immarcito senza alcuna speranza di corporale salute. Inteso da’ Domestici il portentoso arrivo di quella Casetta, e che la Madre di Dio, di cui v’era l’Immagine faceva grazie particolari, di vero cuore se le raccomandò. Ella gli apparve la notte pietosamente consolandolo; e gli rivelò cos’era quella Casa, i misteri ineffabili in essa operati, in che modo fosse stata portata, e da che parte: e in questo mentre si sentì perfettamente guarito. Stupefatto si alzò dal letto, e la mattina manifestò al suo popolo il gran prodigio; e perché era Uomo di autorità con prontezza creduto. L’altro fu che Niccolò Frangipani Nobile Romano, allora Governatore di quella Regione detto Ban di Croazia, e Schiavonia per l’imperatore Ridolfo I, e insieme Signor di Tersatto, appena avvisato del prodigio vi si portò, la vidde, la considerò attentamente, e ancor egli prostrato vi adorò l’Imperatrice dell’Universo. Ma oltre la relazione d’Alessandro di San Giorgio, e la di lui guarigione istantanea, e manifesta, volle maggiormente accertarsi. Perlocché scelte quattro persone le più prudenti, e fedeli del Paese, e fra queste lo stesso Alessandro, le spedì a Nazaret e colle misure, acciò dal confronto di queste, dalla contemplazione del luogo, e dalle relazioni dei Nazareni medesimi venissero in cognizione del lor Tesoro. Partono subito, e giunti felicemente colà trovato il sito ove era la S. CASA  mirano il pavimento restato, e i fondamenti, come appunto fossero stati tagliati a pian di suolo; e scontrate le misure le trovano giuste, e uniforme. Poi dalle informazioni di que’ sconsolati pochi Fedeli, che ancora non avevano abbandonato Nazaret, e dal compiuto seco loro fatto della partenza di quella Casa vengono in cognizione della di lei ammirabile Traslazione fra loro. Sì che giubilanti tornati in patria, accertano il loro Signore, e il popolo tutto, che quella Casa fra loro portata è la Casa di Maria Vergine, ov’Ella concepì l’Eterno Verbo per noi fatto Uomo. La qual cosa divulgata, si aumentò in que’ popoli, ed è in queste vicine Province la divozione alla gran Madre di Dio, ed il concorso alla di lei S. CASA.

   Ma siccome nell’eterna Sapienza aveva disposto, che la Schiavonia, e Tersatto fosse unicamente come la casa di Obedenon depositaria dell’Arca, e non mai posseditrice; così dopo tre anni, e mezzo di dimora in quelle parti fu trasferito con lo stesso Ministerio Angelico questo sacrosanto Albergo dalla Schiavonia nella Marca d’Ancona, e da Tersatto in Loreto. Accadde nel 1294 ai 10 Dicembre, nel Pontificato di S. Celestino V, cioè tre giorni prima che egli rinunziasse il Pontificato. Gli successe Bonifacio VIII. Il sito dove fu posato fu il lido dello stesso mare Adriatico per contro alla Schiavonia in una selva del Territorio di Recanati, di cui era padrona una Nobil Donna della Città medesima chiamata Laureta, dalla quale poi derivò il nome della S. CASA di Loreto. Ma perché quivi concorrendo in gran numero i divoti mossi o dall’insolito prodigio, o dalle continue grazie, che si ottenevano dalla gran Madre di Dio, erano molestati da’ Ladroni, che nascosti nelle vicine selve incendiavano le loro vite; dopo la dimora in questo luogo di otto mesi, cioè nel 1295 fù trasferita con lo stesso prodigio più verso Recanati sopra di un Colle di due Cittadini Fratelli. Ancora quì fù breve la dimora; poiché venuti fra di loro a contese, volendo ciascun di loro appropriarsi l’offerte, che si facevano da’ divoti, fu all’improvviso, non più ivi veduta, ma bensì trasferita al solito prodigiosamente non più d’un tiro di frezza lontano posata in mezzo della pubblica via, che da Recanati conduceva al suo Porto. E benché fosse così spesso trasferita, non partì mai dal territorio di Recanati: ed è la prima posata, che pur nella selva, ritenne mai sempre il nome della S. CASA di Loreto.

CAPITOLO IV

SANTA CASA, e sue vestigie.

E’ cosa veramente ammirabile come l’increata Sapienza abbia voluto, che ovunque è stata la S. CASA  sia restato notabile vestigio di lei, e memoria particolare. Quando stava nel primo suolo di Nazaret, S. Elena, come si disse, le fece fabbricare intorno un magnifico Tempio, di cui presentemente si vedono le vestigia, ed i frantumi; e dopo che gli Angeli la staccarono dai suoi fondamenti, e la posarono nella Schiavonia, vi rimasero, ed ancora vi sono, il pavimento e i fondamenti, che giungono fino al piano del suolo. Nel Colle di Tersatto, in mezzo alla cui cima in vaga pianura, chiamata in loro lingua da quella gente raunizza, ove fu posata, e poi tolta la S. CASA, Niccolò Frangipani per memoria, e consolazione de’ sconsolati suddetti sopra le di lei vestigie vi innalzò una piccola Cappelletta simile a lei; e vi fu aggiunta a questa poi da’ suoi discendenti una Chiesa, ed un Convento dei Padri dell’Osservanza Riformati di S. Francesco, nella quale fù posta questa iscrizione incisa in pietra, che fino al presente si legge, cioè: Hic est locus in qua olim fuit Sanctissima Domus Beatae Virginis de Laureto, quae nunc in Recineti partibus colitur.

Nel luogo, dove nel Piceno la prima volta fu posata; e vi dimorò; come si disse otto mesi, finché vi durò la Seiva di Laureta, che fu fino all’anno 1275 sempre vi si sono vedute le di lei vestigie nel suolo. Anzi entro lo spazio delle quattro parti non vi nascevano spine, né ortiche, come ivi d’intorno, e per tutto solevano nascere, ma solamente erbette tenere, e fiori. Chiamasi questo luogo sin da quel tempo la Bandirola, e i Pellegrini andavano per devozione a visitarlo. Questo prodigio dei fiori si vedeva sin dal tempo di Girolamo Angelita, com’egli stesso afferma scrivendo al Pontefice Clemente VII. Inoltre è fama universale, che quando gli Angeli, portando la S. CASA si avvicinarono alla Selva, che noi diciamo Tufa, di color castagno rozzamente riquadrate in forma di mattoni nostrani, ma ineguali talmente fra loro, o per lunghezza, per altezza, che l’una mai confronta con l’altra. La forma quadrangolare, ma lunga, e non ha altro pregio, che nell’antichità. Misurata internamente è lunga 42 palmi romani, e 10 once, larga 18, e 4 once, ed alta 19, e 4 once. Prima che esternamente fosse adornata de’ marmi, e sculture avea il suo tetto aguzzo, sopra del quale si vedeva un semplice Caminetto, ed un piccolo Campanile, con due campanelle, come si vede in alcune povere Chiesole. Internamente sotto questo v’era una tavola come per volta, che noi diciamo soffitto dipinto di color azzurro, e partito in piccoli quadretti, ciascuno dei quali aveva nel mezzo una Stelletta di legno dorato. Sotto questo immediatamente seguivano attorno le S. Mura lunette informate di stucco di mezzana grandezza, le quali si toccavano insieme, ed avevano ne’  lor mezzi incastrati alcuni vasi di terracotta vetrati. È opinione, che questi vasi fossero stati ad uso della S. Famiglia, adoperati dalla Ss. Vergine a preparar il cibo a Gesù Cristo Figliuolo suo, e al suo casto sposo S. Giuseppe, e che i Ss. Apostoli come S. Reliquie di li collocasse a il luogo così eminente.

   Le S. Mura, come dalla pianta che qui si pone, sono di grossezza 2 palmi, e 7 oncie, ma fatti non molto a misura, e a perpendicolo, nelle quali dalla metà all’alto, si vedono certi vestiti si di pittura assai antica, e dalla metà al basso le nude pietre, essendo stata dalla gran frequenza dell’affollato popolo consumata la calce. Nel S. Muro volto a Tramontana, che parmi dovesse essere la facciata della S. Abitazione, vi era quasi in mezzo una porta, ed era l’unica, alta 10 palmi, e larga 6, e 3 oncie, simile a quelle, che da poveri si usano, e per architrave aveva un rozzo Legno, che tuttora si mira in esso muro incorrotto e senza tarlo. A mano sinistra era un piccolo Armario che ancora sussiste, alto 3 palmi, e 6 oncie. È fama, che in questo Armario tenesse la Ss. Vergine la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Nel vicino muro a Ponente v’era una finestra alta 4 palmi, e palmi 9 alta da terra. Dirimpetto nel muro volto ad Oriente vi era basso, e piccolo camino alto 6 palmi, e 2 oncie, largo 3, e 5 oncie, di manifattura come le altre case, povera, ed ordinaria. Finalmente nel muro volto a Mezzo-Giorno dirimpetto alla suddetta Porta (ora chiusa con muro) v’era l’Altare alto 5 palmi, e il lungo 6, e 3once con l’Immagine del Redentor Crocifisso dipinta da S. Luca, che per maggior consolazione de’ fedeli qui viene dimostrata; sul cui Altare è fama che celebrassero i S. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, e per ordine di Clemente VII fu trasferito in mezzo alla S. CASA verso il Camino, e il quadro fu posto sopra la finestra. Entro lo stesso muro verso l’angolo destro, v’era incavata una nicchia ove era collocata la S. Statua della gran Madre di Dio col suo Bambino in braccio, ora trasferita in mezzo al muro d’Oriente sopra il S. Camino. Ella è tutta di rilievo intagliata in legno di Cedro, alta 4 palmi, e il Bambino un palmo, e 8 once. Stà dritta in piedi, e tiene con la sinistra il suo Figliuolo verso la cinta, e con la destra, fatto un piccolo gruppo con le pieghe del manto, le sostiene. La faccia della Madre, e del  Figliolo è miniata di incerta mistura, che pare argento, ma pel tempo, e per continuo fumo de’ lumi è divenuta affatto bruna. In capo, intagliato nello stesso legno, come un velo, o panno bianco, sopra il quale posa una corona fatta a punte. I capelli sono lunghi ondeggianti, divisi, e sciolti, che discendono alle spalle alla Nazarena come ancora è la veste lunga sino a piedi di color rubino lumeggiata d’oro, stretta ai fianchi da una cinta di fondo dorato ornata di vari fioretti rossi, e verdi di figura piana, e larghetta parte della quale pende dal nodo, e va a nascondersi sotto il manto, che è di colore azzurro con fodera di color carminio, sparso di stellette dorate. Posa diritto in piedi il Bambino sopra il gruppo del Manto sostenuto dalla destra materna. È vestito ancor Egli alla Nazarena, con veste, e manto, conforme a’ colori di quello della sua Genitrice. Colla sinistra sostiene un piccolo globo significante il Mondo, e con la destra stà in atto di benedire col pollice, indice, medio alzati, e le due altre dita strette alla palma. Ambidue nella positura, e ne’ sembianti mostrano un’amabilissima Maestà, che sorprendendo, danno insieme conforto, e tenerezza. Si trovava in questo stato la S. CASA quando da Nazaret in  Schiavonia, e da essa in Loreto fu traslata. Dell’altra disposizione, che poi le fù data d’ordine di Clemente VII se ne tratterà diffusamente a suo luogo, ed ora per compimento del capitolo presente, e per maggiore soddisfazione de’ divoti, si pone qui la Tavola dello spaccato, ossia interno della S.CASA, acciò i lontani la posano avere in qualche modo sotto gli occhi, e dei presenti da loro medesimi posano confrontare le cose, e i siti esposti in questo capitolo, e così confermare, ed accrescere la loro divozione.

DICHIARAZIONE DELLA PARTE INTERIORE DELLA S. CASA

====Santo Muro a Settentrione

N.1 Volta della S. CASA fa d’ordine di Paolo III, col suo occhio in mezzo, e grata di ferro, la quale posa solamente sopra le mura, che sostengono i marmi esteriori, distinte affatto dalle S. Mura.

N. 2 Piccolo Armario fabbricato con lo stesso muro con traversa di legno incorrotto, e senza ombra di tarlo. È fama come si è detto, che qui la Ss. Vergine conservasse la S. Bibbia, e i Ss. Apostoli l’Eucarestia.

N. 3 Porta unica ora serrata, che aveva la S. CASA, col suo architrave sopra senza Carlo, e di incorrotto. Fu ferrata per ordine di Clemente VII con aprirne altre, che fossero più atte al numeroso Popolo.

N. 4 Porta moderna corrispondente ad altra aperta per più comodo del Popolo.

N. 5 Sasso portato via, e miracolosamente da sé ritornato al suo luogo. Per segno a una grappa di ferro.

N. 6  pitture antiche fatte in Nazaret e dipinte a fresco su S. Muro.

N. 7 cornicione della volta, che posa ne’ muri de’ marmi.

N. 8 Legno incastrato, e poi segato delle S  Muro incorrotto, e senza tarlo.

=== Santo Muro a Mezzo-Giorno

N. 1 Credenzino, ove si conservano recentemente le reliquie. E’ tradizioni come si disse, che questo fosse il sito e parte della Nicchia, ove fu trovata la B.ma Vergine; e l’altra parte fosse levata nell’aprirsi la nuova Porta del Santuario, comunemente chiamata del S. Camino.

N. 2 Porta del Santuario, o S. Camino a perdita d’ordine di Clemente VII, per comodo dei Sacerdoti, e per ritiro de’ Personaggi.

N. 3 Altra porta corrispondente all’altra, fatta aprire dallo stesso S. éontefice per comodo del popolo.

N. 4 Pila di pietra per uso dell’Acqua Santa fermata nel S. Muro, venuta con essa da Nazaret.

N. 5 Armario dell’Ampolline per le Messe.

N. 6 Pietra del S. Muro fatta estrarre con breve di Pio V da Giovanni Soarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, il quale della Ss.Vergine fu obbligato restituirla, per segno è circondata da una picciola lama di ferro.

N. 7 Immagine di S. Ludovico VIII, Re di Francia dipinta in Nazaret nel S. Muro.

N. 8 Legno incastrato, e poi segato nel S. Muro tuttavia senza tarlo, e incorrotto. Da questi legni così incastrati, e poi segati si suppone, che anticamente nella S.  CASA vi fosse qualche divisione, per cui si formassero due stanze.

N. 9 Cornicione della volta, che posa sopra i muri, che sostengono i marmi.

N.10 Altre pitture antiche fatte a fresco in Nazaret.

=== Santo Muro d’Occidente.

N. 1 La Croce di Legno con l’Immagine dipinta sopra di essa del Crocifisso alta 5 palmi, ed altrettanto larga, l’asta, e le teste 2 palmi. Venne questa da Nazaret colla S. CASA, ed era il Quadro dell’Altare. I Principi d’Aragona gli fecero una Cappella nel Tempio, ove fu trasportata più volte, e sempre miracolosamente ritornò in questo sito. È fama, che tanto questa, quanto la statua della Ss. Vergine, siano opere di S. Luca Evangelista.

N. 2 Unica finestra della S. Casa ora d. della Nunziata.

N. 3 Legno incastrato nel S. Muro, e poi segato senza tarlo, e di incorrotto.

N. 4 Volta della S, CASA sostenuta dal muro de’ marmi.

====Santo Muro d’Oriente.

N. 1 Statua di Cedro della B. Vergine col suo Bambino venuta da Nazaret  colla S. CASA, la quale tuttavia dopo anni 498 della sua venuta in Loreto si mantiene incorrotta, e senza nemmeno ombra di tarlo.

N. 2 Il S. Camino tanto ad uso della S. Famiglia di Gesù, Giuseppe, e Maria.

N. 3 Credenzino, ove si conserva la veste della S. Vergine, e nel disotto una delle S. Scudelle.

Nel Mezzo

Altare formato della stessa materia delle S. Mura, ove celebravano la Messa i Ss. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, detto altare di S. Pietro. L’antico sito era nel S. Muro posto a Mezzo-Giorno, come si disse, dirimpetto all’antica Porta, trasferito ora nel mezzo per ordine di Clemente VII con l’aggiunta della grata, la quale divide la parte del Santuario detta del S. Camino dal resto della S. Casa.

CAPITOLO V – S.CASA riconosciuta nella Marca.

Osservate i Recanatesi le varie mutazioni fatte dalla S. CASA in così poco spazio di tempo, benché niuno di loro sapesse, che Stanza o Chiesa fosse mai quella; nulladimeno restavano stupefatti, riverenti, ed insieme divoti della gran Madre di Dio, nella quale vedevano la di lei Immagine, ed ogni giorno diverse grazie, e miracoli farsi a quelli, che, piamente visitandola di vero cuore se le raccomandavano. Ancora di tempo in tempo veniva a visitarla alcuni della Schiavonia o collocazione di traffico, oppure mossi dalla fama sparsa di tali miracoli, di quelli che trovavano presenti sospirando, e con lacrime dicevano, ch’eglino di quella S. CASA erano stati i fortunati possessori, indi da Dio privati. Queste, ed altre cose dicevano, ma non v’era chi loro ponesse mente, o credesse. Quando un divoto romito, che ivi spesso si tratteneva in orazione, sentendo  un dì tali cose narrare, ed osservando la loro affliizione, o per desiderio di saperne la cagione, o per caritativamente consolarli minutamente l’interrogò. E da quelli intendendo, che quella sacra Abitazione era stata da loro posseduta, e venerata  in Tersatto, trasferita miracolosamente da Nazaret, e che era la stessa Casa, ove nacque la Ss. Vergine, ove vi concepì l’Eterno Verbo, lo allevò, e lo nutrì, entrò in desiderio di saperne dalla medesima Vergine la verità. Dopo molti digiuni, ed orazioni fu consolato. Gli apparve Ella, gli rivelò come aveva fatto ad Alessandro di Teriata, i misteri operati in essa Casa trasferita dalla Galilea, e dalla Schiavonia in quel luogo per ministero Angelico, senza dimora si portò in Recanati a manifestare il prodigio, e la inesplicabile sorte a’ Maggiori della Città. Nel principio a cagione dell’insolito portento, e per la grandezza della cosa, non fu creduto: ma poi a poco a poco animando molti particolari, operò in modo, che fu risoluto di spedire nella Schiavonia, a Tersatto, indi nella Galilea a Nazaret Persone non men fine, prudenti per certificarsi della verità. Furono adunque spediti sedici uomini scelti dalla Provincia della marca a pubbliche spese colle misure della S. CASA, fu l’anno 1296. Giunti in Tersatto, sono appieno informati da quei Abitatori ancor mesti della venuta fra loro, della dimora, e della partenza della S. CASA; e condotti al luogo, osservate le vestigie, sopra delle quali i Frangipani avea fatta innalzare una Cappelletta, con la quale confrontare le misure, e fatto il calcolo dei tempi in tutto corrispondente partono tutti lieti per Nazaret. Quivi giunti, furono da quei Popoli fedeli rimasti, appieni informati, e condotti al luogo. Ivi vedono in frantumi, le rovine del Tempio di S. Elena ruinato dagli Infedeli, e tra queste mirano il pavimento, i fondamenti della S.CASA restati nel suolo, e adattate le misure seco loro portate, le trovano giuste, e conformi, e della stessa materia della Casa loro miracolosamente trasferita, onde tieni di giubilo ritornarono in Recanati. Informarono tutti di quanto trovato aveano in Tersatto, e in Nazaret, e che dai segni, e dalle relazioni avute non avevano alcun dubbio, anzi certezza, che quella tra loro fosse la vera Casa della Madre di Dio già stata a Nazaret. Si accrebbe comunemente negli animi dei Marcheggiani la divozione, e lo zelo verso la S. Abitazione, e la Regina del Cielo, che la costituirono Protettrice, e Padrona di lor stessi, e della loro Provincia. Sparsa appena la voce, e il nome della S.CASA, Abitazione di Gesù Cristo, prima Chiesa della legge di grazia, consagrata con tanti misteri, che non solo i Recanatesi, e i Popoli vicini, ma ancora i lontani a cento , o mille venivano processionalmente con Musiche, ed abiti diversi a venerarla, e riconoscerla. Crescevano per mezzo di lei le grazie, e i miracoli, e con questi ancora la divozione, ed il concorso. Tantopiù che talora si vedevano sopra la S. Abitazione di notte alcune fiamme, che tutto quello spazio d’intorno empivano di meraviglioso splendore. Il vescovo di Recanati ne informò il Pontef. Bonifacio VIII, coll’ordine del quale fabbricò il Borgo di Loreto. Il medesimo Pontefice persuaso del celeste prodigio, ed acceso di tanto zelo, conferì molto alla devozione, e al concorso, poiché nel 1300 fece pubblicare la prima volta l’anno Santo per impetrare da Dio la pace. Questa santa novità diede ai Fedeli un grand’animo di andare a Roma per sì grand’Indulgenze, e quelli che potevano passare per Loreto, con allegrezza particolare visitavano la S.CASA.

   Intanto i Recanatesi, nel dominio dei quali era il Borgo di Loreto temendo che la S. Magione, per essere qui sola, senza fondamento, ed appoggio col tempo potesse rovinare, pensarono al provvedimento. Vi fecero un muro di mattoni contro i fondamenti così vicini alle S. Mura, che in qualunque accidente di pericolo le sostenesse. È fama antichissima come afferma il P. Battista Mantovano, che quasi elle contente del divino appoggio, sdegnassero quello dell’arte umana; e per divina virtù fecero da loro stesse allontanare le nuove mura.Il P- Torsellino aggiugne di avere udito lo stesso del P. Raffaele Riera, Uomo di singolare autorità, ed informato di questa verità da chi aveva il tutto coi propri occhi veduto. La distanza era, che fra il nuovo muro, e quello della S. CASA vi poteva comodamente passare un Putto con una torcia in mano, e così restarono fino al tempo di Clemente VII, quando fu innalzato il nuovo muro pe’ marmi, il quale al presente ancora il lontano dalle S. Mura, come pazientemente, si vede da una fessura vicina alla porta di tramontana, nella quale si suole porre una piccola candela accesa, a di cui lume apparisce questa distanza. Crescevano intanto con la frequenza dei Popoli i doni, e le limosine

V’era più luogo ad altri Voti ancor preziosi. Forse (stimano alcuni autori) per dar luogo a questi, che si risolvesse di elevare dalla sacra cappella l’antico Crocefisso Quadro dell’Alt., e ne seguisse il Miracolo d’essere trovato all’antico loco. Gli stessi Recanatesi per la medesima cagione, e per comodo al gran concorso di fabbricarono attorno ampi portici, ornandole di pitture, che esprimevano le traslazioni, ed insieme innalzarono un Altare appoggiato al S. Muro di Ponente nella parte esteriore sotto la finestra, detto poi dell’Annunziata, perché non potendo tutti per la gran moltitudine entrare nel A. Recinto ad ascoltare la Messa, almeno udir la potesse in altra parte.

   Sebbene ogni giorno era quasi festivo, e solenne per il concorso dr’ Divoti, tuttavia la Ss. Vergine volle mostrare qualche giorno le fosse più grato, che ivi con maggior Solennità si celebrasse. E fu che Paolo di Montorso Romito, che abitava in un vicino Bosco, e che questo si intratteneva orando nella S. CASA, osservata per lo spazio di dieci anni continui, che sulla mezza notte delli 8 Settembre scendeva dal Cielo una fiamma, e si posava sopra di lei; perlocché si pose a supplicare la Vergine, che la cagione le manifestasse: Ella apparendogli, disse, che siccome in quel giorno si celebrava il Natale di lei succeduto in quella casa, così voleva che nella medesima solennemente si celebrasse. Ne diede parte al Vescovo, e ai Maggiori di Recanati, i quali lietamente, e prontamente ubbidirono con far solenne quel giorno: tanto più che ogni anno seguitava a vedersi tal fiamma. Era questa così palese, che non restava persona, che oro dalle mura della Città, o dalle finestre, e dai tetti delle loro Case non mirasse spettacolo così divoto. Durò, dicono i Scrittori, a vedersi fino al tempo di Paolo III. Accertati in questo mentre i Pontefici della verità, con Privilegi, ed Indulgenze particolari accrebbero la Solennità, ed il concorso. Passa la fama delle prodigiose fiamme, dalle città vicine alle lontane, si aumentò il concorso de’ divoti, per lo che i Recanatesi stimando convenirsi accrescere le Abitazioni per ricevere i Pellegrini, e Confluenti, e per accrescimento di comodo de’ Sacerdoti Ministri, circa all’anno 1322, fabbricarono una Chiesa, e molte case, talmenteché il Borgo finora di Loreto, fù innalzato all’essere di Castello.

CAPITOLO VI. – Del Tempio Lauretano.

   Era cresciuta molto la diminuzione dei Popoli verso la S. CASA, ma non mai tanto come quando dai principali Personaggi del Mondo fu solennemente visitata. Furono questi moltissimi sì Ecclesiastici, che Secolari, le memorie dei quali hanno formato un Tesoro. Non riferisco i loro nomi, e le grazie, poiché il mio assunto è di narrare brevemente, e semplicemente la Storia Loretana per comodo de’ Pellegrini divoti. Chi desiderasse una piena notizia ricorra al Torsellino, Seragli, e gli altri, che copiosamente ne trattano. Io solamente ne scelgo due Sommi Pontefici, che fra gli altri molti vennero personalmente a visitare la S. CASA. Sia il primo Pio II, prima chiamato Enea Piccolomini Senese, il quale  assalito da una ostinata febbre mentre che doveva portarsi in Ancona, a facilitare l’impresa contro del Turco, ove s’adunava l’Armata, mosso dalla fama dei miracoli, e grazie, che continuamente la Ss. Vergine otteneva da Dio nella S. Casa, se le raccomandò. E come fosse stato un certo di avere integrata la salute, le spedì un Calice d’Oro. Fatto il voto, cessò la febbre, e talmente ricuperò le perdute forze, che con gran comitiva di Cardinali, e gran Signori si pose in viaggio, e giunse a Loreto perfettamente guarito. Entrato nella Sagrosanta Abitazione, e prostrato avanti la sua Liberatrice, soddisfece il voto, e fù nel 1464. Non si vide mai nella S Cappella così vago spettacolo per esser  ricolma di Principe, Cavalieri, e Baroni prostrati avanti alla gran Madre di Dio.

Molti erano venuti da Roma col Pontefice ad ammirare la grande Armata; altri molti, e particolarmente i primi Uffiziali d’Ancona ad incontrarlo. Intanto la salute di Pio ammirata da gran Signori di diverse Nazioni, e da tanti prodi Guerrieri fu cagione, che si dilatasse la fama del Santuario Loretano per tutta l’Europa. Fu il secondo Pietro Barbo Veneto Card. Di San Marco il quale colpito dalla Peste in Ancona, non potendo come gli altri portarsi in Roma all’Elezione del nuovo Pontefice, ricordevole della potente intercessione di Maria, tanto efficace a Pio, si fece portare in Loreto, e giunto alla S. Casa, volle quivi rimanere solo, e placidamente si addormentò. Fù fama, che dormendo, non solo fosse assicurato della corporale salute, ma altrisì del futuro innalzamento al Pontificato. Se fosse illusione ovvero rivelazione, lo decide l’evento. Destatosi perfettamente guarito, colmo d’allegrezza con istupore universale, e particolarmente de’ suoi famigliari, che erano appieno informati, uscì dalla S.  Cappella. Fece subito chiamare il Rettore della Chiesa, a cui palesò il suo pensiero di voler ivi innalzare un nuovo, e magnifico Tempio alla Regina del Cielo. Ordinogli intanto, che a suo conto facesse scelta dei Muratori, e preparasse i materiali bisognevoli.

   Giunto in Roma, cadde in lui il Pontificato, ed è innalzato alla gran dignità col nome di Paolo II, ricordevole della ricoperata salute, ordinò senza indugio, che atterrata l’antica Chiesa fatta fabbricare dai devoti di Recanati, si fabbricasse il magnifico Tempio, che al presente si ammira. È vero ch’egli non lo poté compire; tuttavia il P. Battista Mantovano ci assicura, che fù da lui quasi a perfezione condotto. Sisto IV, e Giulio II, successori, ed imitatori di Paolo, non tanto nel pontificato, quanto nella particolar divozione della Vergine Loredana, furono quelli, che compirono l’opera, l’adornamento. Terminò il primo non solo la fabbrica, ma ancora tornato, e provvidela d’ottimi Sacerdoti, e di eccellenti Cantori. Il secondo la fortificò esternamente, e in tal guisa, che la fece divenire una ben ordinata, e fortissima Rocca, sì per la varietà delle mura, come per la struttura di esse, che a guisa di bastioni, con corridori coperti, che alla di lei sommità e intorno girano per uso di presidio, e comodo alla città. Provvidela ancora a nell’interno con fondarvi un muro di Musici, e di due grandi Organi dorati, ed ornati di vaghe pitture. Fece fondere due vaste Campane, e di ordinò li amplissimi fondamenti del Campanile.gli otto di lastroni, che sostenevano la grande cupola, non reggendo a tanto peso, rlassatisi in parte, minacciavano ruina: perloché. ispedì subito il suo Architetto Antonio Sangallo per rimedio a tanto pericolo. Fece questo immediatamente ai lati del Pilastroni profondi, e ampi cavi, ne quali fece fabbricare nuovi muri di rinforzo con unire ai grandi Archi laterali un nuovo ordine d’archi minori frapposti alli maggiori, coi quali assicurò mirabilmente la Cuppola, ed insieme accrebbe al Tempio come tuttavia si osserva, nuovo ornamento e decoro.

   Richiedevasi per compimento dell’opera la facciata de’ marmi bianchi. Gregorio XIII, con la sopraintendenza di Lattanzio Ventura Architetto l’incominciò, e Sisto V la compì perfettamente. Questi appena assunto alla dignità Pontificia, come nato, e allevato, e per lo più vissuto nella Marca, ben si avvide quanto gli conveniva non solamente di imitare gli Antecessori, ma lungamente superarli. Ed in fatti fù tale la di lui divozione, e nell’impegno, che pare non volesse lasciare ai suoi Successori luogo ad ulteriori ingrandimenti.

La chiesa da principio fu semplicemente offiziata, ed è amministrata da Pietro di Gregorio Prepositp Teremano, e da altri pochi Sacerdoti Ministri, pel sostentamento de’ quali, e per gli infermi, Mons. Niccolò degl’Asti Vesc. Di Recanati, e Macerata comprò terreno del proprio ed assegnollo per fondo. Leone X, la fece Collegiata con fondarvi 12 Canonicati, 12 Mansionarìe,o Benefiziati, e 6 Chiericati di Coro, assegnando loro il mantenimento dall’entrate del Santuario. Sisto V, la dichiarò cattedrale, ed oltre l’aver confermati i 22 Canonicati, e Mansionarìe, aggiunse 4 Dignità, cioè: l’Arcidiaconato, l’Arcipretatato, Primiceriato, e Tesorierato: ed oltre ai sopradetti 6 Chiericati Corali, ne aggiunsero altri sei. Gli assegnò per suo primo vescovo Mons. Francesco Cantucci Perugino Uomo celebre non meno in pietà, che in dottrina. Stabilì la Diocesi con tre riguardevoli Terre, cioè Castelfidardo, ch’era della Diocesi di Ancona; M. Lupone di Fermo; e M. Cassiano d’Osimo. Confermò vieppiù l’uso delle funzioni introdotte fino dalla Protettoria del Cardin. Morone per ordine Pontificio, cioè: che si facessero nella Chiesa di Loreto, come appunto si fanno in Cappella Papale. Innalzò il Castello di Loreto all’esser di Città deputando Magistrati, ed ornando leggi  pel suo Governo, ed acciò la nuova città non fosse solamente di nome, fece comprare il Colle che le sovrasta, detto Montereale, e fatto a sufficienza appianare, obbligò ciascuna Comunità della Provincia secondo il disegno a fabbricarvi una Casa; concedendo alle Persone, che venissero ad abitarla, o vi fabbricassero, favori, e Privilegi particolari. Fece tuttociò con tanto gradimento della Provincia, che a di lui memoria eresse la magnifica Statua di Bronzo posta su pavimento della Regia Scalinata fuor del Tempio.

CAPITOLO VII. – Facciata del Tempio.

Poiché mi sono proposto oltre la breve Istoria Loretana di narrare ancora qualche altra cosa fu lo stesso soggetto, che possa recar diletto al Forastiere divoto che si porta in questo gran Santuario, e nel tempo stesso non lo allontani, e non lo frastorni dalla divozione anzi vieppiù lo incoraggisca, e l’infiammi; incominceremo a descrivere minutamente ciascuna parte del Tempio, e le opere particolari, che lo costituiscono, e l’adornano. E siccome tutte queste sono eccellenti, e magnifiche sì per lavoro, come per la materia, e conseguentemente per il notabil travaglio, e spesa, onde potrà riflettere a qual segno sia cresciuta, e dilatata la divozione; e l’affetto dell’Imperatrice dell’Universo in questa sua S Casa. Tutti gli ornamenti, e qualsivoglia altra cosa, sono stati fatti con l’elemosine, e doni de’ Divoti, oppure con le entrate; e sì gli uni che le altre o hanno ovvero ebbero lo stesso principio, cioè la divozione, la gratitudine dell’affetto: e così nel considerarli rifletta ancora agli innumerabili benefizi, che di continuo, e largamente si concedono in questo luogo. Daremo principio da quella parte, che prima delle altre ci si presenta allo sguardo, cioè la facciata del Tempio. Ella è posta ad Occidente, fabbricata di pezzi di pietra di Istria così diligentemente squadrati, e con tanto artificio uniti insieme, che sembra fatta d’un pezzo solo. Ha innanzi disse una maestosa scalinata di otto gradini divisa a 4 a 4 da un frapposto pianetto. Sopra questa vi è il pavimento di lastra della medesima pietra, che insieme con la Scalinata occupa tutta la facciata. Nel piano del pavimento sopra li scalini a mano destra vi è una base ottangolare attorniata di nicchie, con figure rappresentanti le Virtù, e Tavole istoriate a mezzo rilievo, e Cartelloni, il tutto fatto di Bronzo, sopra del quale posa la Statua gigantesca del gran Pontefice Sisto V, parimenti di Bronzo, sedente in abito Pontificio col Triregno in capo, in atto di dare al Popolo la Benedizione: opera del Bernardini fatta a spese della Provincia della Marca nel 1587, in memoria di sì degno Pontef., benemerito della stessa Provincia.

Tutta la facciata è divisa in due ordini. Il primo è formato di 4 pilastroni ciascuno dei quali è composto di 4 pilastri, due di fronte e due di fianco con basi, capitelli, cornicioni, e scolature d’ordine Corinto. Fra questi pilastroni si formano tre vuoti, o piani,nei quali, vi sono tre Porte con sue colonne, ed adornamenti. Sopra la Porta di mezzo, che è la maggiore vi è una nicchia, entro la quale posa una vaga Statua di bronzo della Ss.Vergine col suo figliuolo in braccio, a similitudine della Statua Loretana, opera di Girol. Lombardi ciascuna delle due Porte minori laterali ha sopra di sé un Cartellone di Marmo nero con Iscrizione di lettere incise, e dorate. Nel primo. SIXTUS V. P. M.  Picenus Ecclesiam hanc ex Collegiata Cathedram constituit XIV, Kal, Apr.MDLXXXV. P. A. P. Nel secondo. SIXTUS V. P. M.  Picenus Episcopali dignitate ornatumCivitas jure donavit An. MDLXXXVI. P. A. P. Ciascuna di queste iscrizioni ha sopra di se una finestra, con vaghi ornamenti, la quale corrisponde, e porge lume alla sua nave laterale.

   Sopra lo scolatore incomincia il secondo ordine ch’è diviso in due pilastroni, ciascuno dei quali parimenti è composto di 4 pilastri due di fronte, e due di fianco, con sue basi e capitelli, e cornicione di ordine Corinto, tra quali si forma un solo volto, o piano. In questo si apre una gran finestra, che corrisponde, ed illumina la navata maggiore nel mezzo, ornata di Archi, Colonne, Conchiglie, Rosoni, e di altri ornamenti, ed ingegnosissimi rari capricci. Sopra questa sede un cartellone di marmo nero con iscrizione andrà alle lettere incavate, e dorate, che da lontano ben si distinguono; iscrizione, più veneranda e magnifica, cioè: Deiparae Domus, in qua Verbum caro factum est: ai lati della sopraddetta si aprono due ale, che vanno a terminare in due grandi volte, appresso alle quali sorgono due Torrioncini, che hanno in faccia le sfere, e sopra le Campane degli Orologi, uno Astronomico, e l’altro Italiano. Sopra il Cornicione segue il timpano, termine della Facciata, sull’acuto del quale vi è una gran Croce con due Candelieri ai lati di bronzo con basi, ed ornamenti di pietra. Il disegno di questa facciata, e palazzo è del Bramante, ed alla esecuzione ebbe sopraintendente il Ventura. Nel pontificato di Gregorio XIII, sotto la protezione del Card. Vastavillani fu cominciata in quello di Sisto V sotto la protezione del Car. Gallo fu terminata. Le misure di sì vaga facciata, come del nuovo Campanile innalzato sotto il Pontificato di Benedetto XIV, e compiuto l’anno 1753, sù disegno del Vanvitelli; che si espongono qui impresse a vista delli Lettori.

CAPITOLO VIII. – Porte del Tempio.

Le tre Porte del Tempio Loretano, oltre gli adornamenti di marmo, hanno ancora quelli di bronzo quali per l’invenzione, per il disegno, per l’opera, del loro genere, una non cede all’altra. Sono queste porte di bronzo finora ammirate come uniche, non che rare. Nell’ingresso maggiore, che corrisponde alla navata di mezzo, vi è una grande, e magnifica Porta di bronzo divisa in due parti, e ciascuna di esse è distribuita in diverse riquadrature maggiori, e minori.

Nelle maggiori si esprimono alcuni fatti della S. Scrittura appartenenti al Vecchio Testamento; nelle minori al Nuovo: cioè i principali Misteri della vita della Ss. Vergine. Sono tutte ornate di varie bizzarrìe, Fregi, Festoni, Armi, Statue intiere, Semibusti, Arpìe, Satiri, e Centauri, ch’escono graziosamente dagl’incartocciati fogliami. Ho risoluto per brevemente ristringermi, di accennare soltanto le maggiori, come appartenenti al Vecchio Testamento, che comunemente non si distinguono da tutti, e tralasceremo le minori, che da ognuno si conoscono, e distinguono.

Nella prima parte adunque posta a destra della Porta maggiore nella prima riquadratura si esprime la creazione di Adamo nel Paradiso Terrestre. Nella seconda, la maledizione dei primi Genitori dopo trasgredito il precetto con Abramo, che con la Sappa lavora la terra, ed Eva che fila con la rocca. Nella terza, la fuga di Caino instabile e timido dopo l’uccisione di Abele. Nella parte sinistra a capo nella prima riquadratura, la formazione di Eva dalla costa di Adamo addormentato. Nella seconda, l’espulsione dei suddetti afflitti, e piangenti dal Paradiso Terrestre. Nella terza, Abele assalito da Caino che l’uccide. Queste son Opere ammirande di Giacomo, e Antonio Lombardi figliuoli, ed allievi del celebre Girolamo Statuario, e insieme Fonditore.

   Negl’ingressi, che corrispondono alle navate minori, laterali, ancor essi hanno le Porte di Bronzo, e benché siano dei minor grandezza di quella principale, tuttavia però non sono di minor pregio, ed  ingegno. È cosa veramente meravigliosa il mirare in  sì piccoli spazi le figure, e gli atti di esse così ben formati, ed espressi, nelle prospettive di Valli, Monti, Mari, Città, Anfiteatri, Deserti, ed altre cose ingegnosissime, e vaghissime, che sorprendono. Sono ancora queste divise in due parti, e queste parti medesime sono distribuite in riquadrature attorniate da Fregi, Festoni, Statue de’ Profeti, e Sibille, da Gogliami, Arme, Scudi, e da altre molte vaghissime capricciose invenzioni. Nella prima minor Porta posta a mano destra, e nella parte destra a capo nella prima riquadratura, si esprime la creazione di Adamo assai diversa per l’invenzione, dall’altra posta nella Porta maggiore. Nella seconda Asar dolente col moribondo Ismaele, e l’Angelo che la conforta. Nella terza Adamo, che sacrifica il suo figlio Isacco nel Monte, e i Servi che aspettano nella valle sottoposta. Nella quarta Mosè, che passa col popolo Ebreo il Mar Rosso, e l’esercito di Faraone sommerso, e confuso fra l’onde, e gli Ebrei nell’opposto solo giubilanti. Nella quinta la Manna, che cade nel deserto agli Ebrei, i quali si veggono occupati in provedersene. Nella parte sinistra parimente da capo nella prima riquadratura alla formazione di Eva dalla costa d’Adamo addormentato con disposizione diversa dalla prima. Nella seconda Rachele, che dà a bere ai Cameli di Giacobbe, e i Servi cortesi e grati verso di lei.

Nella terza il trionfo di Giuseppe nell’Egitto è saltato da Faraone, degli Egizj, che l’onorano, e fanno applauso. Nella quarta Giuditta, che recide il capo di Oleferne, e la Servente col panno, per porvi il reciso capo. Nella quinta, Mosé nel deserto, che con la Verga fa scaturire dal Selce acque copiose, e gli Ebrei gli avidi a dissetarsi. Ciascuna di queste riquadrature, siccome tutte l’altre ha la sua prospettiva competente e distinta.

   Nella seconda Porta laterale posta a mano sinistra, e nella parte destra a capo, si esprime nella prima riquadratura il sacrificio di Caino incontro al sagrificio d’Abele. Nella seconda il sacrificio di Noè fatto dopo il diluvio, e l’Iride che simboleggia la pace. Nella terza la riduzione dell’Arca con Davidde giubilante, ed il Popolo, che festeggiando lo segue. Nella quarta la comparsa di Dio a Mosé mentre pasceva l’armento del Suocero. Nella quinta, Abigaille incontro a Davidde mentre passa per il Carmelo. Nella parte sinistra parimente a capo, e nella prima riquadratura l’uccisione di Abele fatta da Caino d’invenzione assai diversa dall’altra. Nella seconda, la scala di Giacobbe con gli Angeli, che discendono, e ascendono per essa. Nella sala il Trono di Salomone colle Guardie, e Cortegiani. Nella quarta l’esaltazione del serpente di bronzo nel deserto, ed i percossi, che languenti lo mirano. Nella quinta il Re Assuoero in Trono, appié del quale Ester supplicante per  suo popolo Ebreo. La prima porta laterale è opera di Antonio Bernardini, e la seconda di Tiburzio Verzelli. Silvio Serragli Computista del Santuario nella sua Storia Loretana si afferma, che dalle memorie della Computistarìa si rileva, che la sola fattura di queste tre porte passò il valore di 30 mila scudi, non compresa la materia. In somma sono queste tre Porte fatte con arte, e maestrìa, che non mai abbastanza si può esprimere con parole. Non vi è persona di qualche poco intendimento, che nel contemplarle non provi un particolar diletto, e non resti stupefatta, e sorpresa.

CAPITOLO IX. – Interno del Tempio.

Il Sagro Tempio Loretano a figura di Croce composto in tutte le sue parti a tre navate. È lungo C. 45, largo C. 35 e 147 in circa di giro. Il capo, e le braccia della Croce vanno a finire con tre Cappelle. Quella di mezzo è più grande, e forma Tribuna; le laterali più piccole, e minori a proporzione. Negli 4 angoli della Crociata sotto i gradini sono formate in un ottangolo 4 Sagristìe, o Salvarobbe.

La prima detta Dispensa della S. Cappella, rassegnata ai custodi del santuario, ove da essi si conservano le preziose Vesti della S. Statua, l’imbiancherie, ed argenti per l’Altare  entro laS. Casa, e le gemme, ori, voti, denari dell’elemosine, ed offerte, e qualunque altra preziosa cosa donata al Santuario, infin che giunga il destinato tempo di consegnarsi al Governatore, ed alli Ministri. La seconda chiamata S. Giovanni, è ad uso principale dei canonici, ove vengono i loro capitoli, e del  Can. Sindaco per consegnare ai Corali di semestre in semestre le loro paghe, che consistono tutte in danaro. Serve ancora ai Sagrestani Vescovili per conservare i paramenti solenni, e le argenterie della chiesa. La terza è assegnata ai suddetti sagrestani, ove tengono ben custodite negli Armari le argenterie del Coro, e paramenti. Quivi si apparano tutte le Messe da cantarsi tanto in S. cappella, quanto per la Chiesa, secondo l’intenzione dei Benefattori. Si chiama Sagristia della Cura, perché serve ancora ai Curati quasi di Archivio, e qui si apparano nelle funzioni spettanti al loro uffizio. La quarta detta la Tesorerìa, perché stabilita a conservare danari, elemosine, entrate in denaro, gemme, ori, e qualunque altra cosa preziosa del Santuario.

   Incomincia l’asta della Croce ad Occidente, la quale più lunga dell’altre parti, formata da 12 pilastroni, cioè 6 per parte, riquadrate coi suoi cordoni negli angoli, che ancora girano nelle lunette delle volte, e sono alti palmi 68. La navata di mezzo è la maggiore, sopra i cui pilastroni sorge il basamento, che sostiene gli archi acuti alla gotica, e la volta alta palmi 88. Gli archi, e la volta delle navate laterali sono minori, ma dell’istessia forma, e lavoro, e posano sopra i soli pilastroni alti da terra palmi 68, ogni arco alla sua cappella corrispondente di larghezza palmi 20, e 12 di sfondo.

   Posa la Sagros. Abitazione nel centro della Crociata in vago pavimento di marmo scaccato di quadretti rossi e bianchi, e sollevato dal piano della Chiesa così parimente scaccato da 4 gradini di pietra bianca alto ciascuno un palmo, e 9 oncie. Le stà sopra una magnifica Cuppola sostenuta da 8  gran pilastroni, che attorno ad essa disposti in giro formano un ottangolo, sopra quali posano altrettanti archi, cioè quattro maggiori, e quattro minori, ed i maggiori sono di altezza palmi 78. Ciascuno di detti pilastroni rende per di sopra una colonna piana, che fa un angolo ottuso d’ordine Corinto alto palmi 38, e su questa incomincia a sorgere la grand’opera con un Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 21. Segue il tamburo con 8 gran finestroni, al quale succede un altro Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 30. Finisce col suo proporzionato lanternino circondato da 8 finestre, secondo la forma ottangolare, che rendono.

   Sotto gli scalini del pavimento a linea retta dell’asta segue ad Oriente il capo della Croce, il quale è composto a tre navate, conforme l’ordine con tre pilastroni per parte, sopra i quali posano due archi l’uno minore, l’altro maggiore, e  finisce con tre Cappelle, quella in cui termina la navata di mezzo è assai ampia, e forma tribuna, le laterali sono più piccole a proporzione della prima. A Tramontana ha il braccio destro, e a Mezzo-Giorno il sinistro, i quali hanno gli stessi pilastroni, ed Archi, e terminano con le tribune corrispondenti alle navate minori, e maggiori.

   La Cappella a destra della Tribuna del braccio destro non ha Altare, invece del quale ha una gran Porta che conduce alla Sagristia del Tesoro, ove s’apparano i Sacerdoti per celebrare nell’Altare della S. Cappella, o in quello della Nunziata. Entrata questa, in faccia vi è un altra Porta maggiore, e più magnifica, ornata di pietra bianca, che dà l’ingresso al Tesoro, ove in armarj di noce ben ordinati si conservano le gemme, gli ori, gli argenti, e i preziosi paramenti offerti al Santuario da Personaggi, e gran Signori, dei quali a suo luogo se ne darà sufficiente notizia. Succede a questa un’altra Sagristìa grande detta Vescovile, alla quale si va per mezzo d’un corridore, che conduce per linea retta ai Portici della Piazza, nella qual Sagristia s’apparano in banconi diversi, secondo il rango, i Sacerdoti, che debbono celebrare negli Altari della Chiesa. Come questa, così tutte le altre Sagristìe sono abbondantemente provvedute di sacri Arredi, e argenterìe convenienti al luogo, alle persone, ed alle solennità.

CAPITOLO X. – Ornamenti del Tempio.

Quest’opera, che finora abbiamo veduta così bella, e magnifica nella propria disposizione; conviene ora mirarla adornata, poiché oltre il pregio dell’arte se l’accresce quello della rarità, le ricchezze, che l’adornano, e la distinguono. Nelle navate laterali corrisponde ad ogni arco la Cappella ciascuna delle quali deve ornarsi di ricchi marmi, e di moderni Altari per stabilirvi il quadro di Mosaico. Nella prima Cappella vicina alla Porta della sinistra navata, la di cui Pittura a fresco è del Pomarancio, invece dell’altare vi è il magnifico Fonte Battesimale di Bronzo, opera di Tiburzio Verzelli gran Fonditore.

   Questa stupenda mole pel delicato lavoro, e molto più per le giuste, e meravigliose invenzioni, considerata insieme forma un mezzo sessagono piramidale. È alta in tutto palmi 25 larga 15. Si divide in piedi, vaso, e coperchio. Posa il piede sopra un vago pavimento di pietra elevato di tre scalini parimenti di pietra, che formano ancor essi il sessagono. Egli era formato di graziose volute, legature, incartocciamenti, di fogliami, e di altre invenzioni. Nella parte interiore sono posti a giro, negli angoli 4 putti nudi, alati, di tutto rilievo in atto di sostenere, e con le mani alzate, e colle feste il gran vaso. Segue il corpo di questo con tre finestrini, cioè uno per ciascuna parte per comodo del Ministro, e de’ Battezzanti, ed hanno per serraglio tre quadri. Nel primo si rappresenta la probatica Piscina; nel secondo il Cieco nato; e nel terzo l’Eunuco di Candace…

I frammenti, ed i contorni sono empiuti di volume con Festoni, e mezzi Angoli a tutto rilievo, da Cherubini, e da mille altre vaghissime, e capricciosissime invenzioni. Negli angoli quali in forma di tanti trofei pendono quattro quadri minori come targhette nelle quali sono effigiate le traslazioni della S. Casa. Succede questo il coperchio ultima parte del cessarono piramidale, nelle cui tre facciate vi sono altrettanti quadri, nel primo la circoncisione degli ebrei, nel secondo S. Gio. Battista al Giordano, e nel terzo Naaman Siro nello stesso fiume. Non solamente questi quali, ma tutti gli altri sono accompagnati di prospettive d’Architettura, di Fiumi, Campagne, Boschi, convenienti alle Storie che rappresentano. Fra il vaso, è il coperchio in ciascuna cantonata della sua Statua di tutto rilievo in piedi alta sei palmi, cioè, della Fede, della Speranza, della Carità, e della Perseveranza. Finisce il coperchio con un pianetto, sul quale vi sono due Statue della stessa grandezza delle altre, cioè: di Gesù Cristo

umile, che riceve il Battesimo, e S. Gio. Battista, che glielo conferisce. Tutta questa gran mole costò al Santuario seimila scudi di fattura non compresa la materia, come afferma il Serragli.

    Nella crociata come si disse, posa la S. Casa attorniata da pilastroni, che sostengono la Cupola. E’ coperta questa al di fuori di grammi di piombo di persone in tutto 133 mila libre, ed al di dentro parte è posta tutta d’oro, parte dipinta, e parte ombreggiata ad oro, e dipinta insieme. Nella testuggine si rappresenta la Coronazione in Paradiso della Ss. Vergine dall’Augustissima Trinità con una moltitudine di Celesti festosi Spiriti, che formano melodie, canti, e suoni. Sopra il primo cornicione tutto dorato, va in giro dipinta una balaustrata distinta da otto bassi, sulle quali possano ritti in piedi, e in abiti pontificali i 4 S. Dottori Grecim ed i 4 Latini, e fra mezzo vi sono disposti Stemmi Pontifici, e de’ Cardinali Protettori, nel Tamburro a lato de’ finestroni, vi sono dipinte le Virtù, ed altri ornamenti. Sotto l’ultimo cornicione parimenti messo a oro ne’ 4 gran vuoti sopra gli archi minori, vi sono dipinti i 4 Evangelisti, e gli archi maggiori al di sotto sono ornati di riquadrature, e rosoni tutti i dorati. Quest’opera sì pel disegno ed invenzione, sì per l’esecuzione di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Nella Tribuna volta ad Oriente, che forma il mezzo del capo della Croce vi è l’Altare di S. Filippo Neri adornata dalla Provincia della Marca con quadro del medesimo Santo, i laterali, ed altre Pitture opera dei Gasparini di Macerata. Recentemente è l’Altare ancora del Venerabile, come Cappella la più capace, e comoda al gran concorso di quelli, che si hanno da comunicare. Ha sempre un vago, ricco, e stabile adornamento di Argenterìe, cioè: Tribuna, Ciborio, Scalinata, Candelieri, Vasi, Ceroferarj, e cinque gran Lampade. Il candelabro verso la S. Casa tutto di Bronzo di esquisito lavoro del più volte nominato Girolamo Lombardi. Il medesimo altare è circondato da un ampio giro di Balaustrate di marmo sostenute da colonnette, e distinte da Pilastrini ornati di faccia. Nel destro lato di questa Tribuna, vi è  la Cappella, in cui deve erigersi il nuovo Altare di marmo col Mosaico, qual  Cappella sarà corrispondente all’altra dalla parte sinistra di d. Tribuna, ove sopra il nuovo bellissimo Altare di Marmo si osserva il famoso Mosaico rappresentante la Natività della B V. li laterali della quale sono stupendi per essere opera a fresco del Minchiotti di Forlì. Al lato sinistro di questa Cappella fuori d’ordine, appoggiato al muro in facciata all’arco, vi è il deposito del Card. Sermoneta Gaetano con Statua di bronzo al naturale;

Architettura, e Statue di marmo rappresentanti le Virtù, è opera di Girolamo Lombardi.

   Forma il braccio destro della Croce verso Tramontana, la Tribuna, incominciata ad adornare dal Cardin. di Trento, e poi terminata dai Sig. d’Aragona, è per ciò detta la Cappella d’Aragona; nei laterali della quale si vedono rappresentati alcuni atti di S. Tommaso d’Aquino opera del Gasparini Maceratese, qual Cappella sarà resa più delle altre magnifica per il nuovo Altare di Marmo, che deve erigersi con l’altro Quadro di Mosaico. Al lato destro vi è una Cappella ornata di Pitture, e stucchi dorati come l’altre, ma invece dell’Altare vi è una gran Porta, che introduce alla Sagristia del Tesoro. Al lato sinistro vi è la Cappella, con nuovo Altare, di Marmi, e Quadro di Mosaico rappresentante al vivo la Visitazione di S. Elisabetta, li laterali della quale sono opera del Muziano, e tutte le altre pitture ad affresco di Francesco Orvietano.

   Il sinistro, ed ultimo braccio della Croce è formato dalla Tribuna posta a Mezzo-Giorno, in cui vi è il coro, ove quotidianamente si salmeggia, e si fanno le orazioni come in Cappella Pontificia. Vi sono Arcibanchi di noce, a 2 ordini di sedili ripartiti in nicchie con suoi genuflessorj. Sta a capo il Trono Vescovile apparato con la Sedia Pontificale, ed ha appiedi l’Altare, ma senza Quadro, ed isolato, talmente che nel celebrare il Sacerdote, sta sempre voltato con la faccia verso il Popolo. Gli serve di Quadro la stessa S. Casa, che gli sta dirimpetto. Questo Coro è ufficiato da 4 Dignità, da 19 Canonici, e da 12 Beneficiari, e da altrettanti Chierici Corali tutti  Sacerdoti, e nelle Domeniche, e maggiori Solennità si aggiungono loro 20 Chierici del Collegio Illirico, mantenuti dal Santuario. Ha un pieno coro di Musici fissi e stipendiati, cioè: un ;Maestro di Cappella, un’Organista, e i 16 Musici, cioè 4 per voce. L’Altare è sempre adornato di Argenterìe, ed in esse sempre si servono i Celebranti. Nelle maggiori Solennità, oltre i paramenti preziosi, l’Argenterìe solamente dell’Altare con le quali è adornato superano 600 libre, senza l’importo del lavoro. Il Principe di Bessignano l’adornò con un notabile Soffitto dipinto alla Chinese, e dorato, con due Cantorìe, ed attorno d’insigni quadri, fra i quali quello dell’Adultera, che ora sta riposto nel Tesoro, col sacrificio di Melchisedech, e la Nascita del Redentore, tutte opere egregie del Lotto. Al destro fianco ha la Cappella dell’Annunziata del Duca, perché adornata dai Duchi d’Urbino con gentili bassi rilievi di marmo bianco intagliati. In essa fa spicco particolare il nuovo Altare di Marmi col Quadro di Mosaico rappresentante la SS.ma Annunziata, li laterali della quale e le altre pitture a fresco sono di Federico Zuccheri. Al lato sinistro del coro vi è la cappella di Sant’Anna del Principe di Bessignano, di cui si farà più distinta la descrizione, allorché sarà resa degna di ammirazione col nuovo Altare di Marmo, e Quadro di Mosaico li di cui laterali tutti  a fresco son‘opera del Minchiotti di Forlì. Vicino al medesimo Coro a destra, e sopra la Sagristìa della Cura vi stà il primo organo di Giulio II, messo a oro, con eccellenti pitture, e particolarmente nei telari, che gli servono a modo di porte per difenderlo dalla polvere, vi è dipinta la Natività di N S. opera sorprendente, attribuita al Baccicio, ed alcuni altri al Bassano. A sinistra sopra la Tesoreria viene il secondo organo dallo stesso Pontefice parimenti adornato d’oro, e di pitture come l’altro.

CAPITOLO XI. – Ornamenti esteriori della SANTA CASA.

Eretto, fortificato, ed adornato il gran Tempio Loretano, pareva cosa molto indecente, che solamente la Sagrosanta Abitazione della Vergine restasse rozza, e disadorna, Giulio II fu il primo che incominciò a pensare di adornarla esternamente di preziosi marmi, e sculture. Il grande disegno sarebbe stato certamente eseguito, e la devozione particolare, che professava alla Vergine l’avrebbe accelerato, se la morte, che pone il termine a tutte le cose create, non l’avesse nel principio del pensiero tolto di vita. Tale idea non fu discara a Leone X anzi talmente l’infiammò all’esecuzione, che subito spedì Periti a Carrara ed altrove per la provisione dei marmi, e fattane scelta gli fece condurre al Loreto. Fu fatta ancora nello stesso tempo ottima elezione di maestri, scultori i più celebri di quei tempi con la direzione d’Antonio Sansuino insigne Architetto, e Statuario. Ma ancora questo pontefice non fece altro, che il preparamento de’

marmi, perché la morte del medesimo lasciò la cura ad altri per la grand’opera. Sembra che la Ss.Vergine avesse scelto Clemente VII, il quale  innalzato alla Dignità Pontificia, prontamente e con grand’animo si accinse all’opera, e pose in effetto il pensiero di Giulio, il preparamento di Leone. E però diede ordine, che subito si demolisse il muro attorno la Santa casa, fabbricato dai devoti  Recanatesi, si incominciasse il nuovo, atto a sostenere l’incrostatura de’ marmi. Perlocché fu levato dalla S. Casa il suo tetto, le travi, e il tavolato, che le serviva di volta, e con le altre materie furono collocate sotto il pavimento in mezzo alla medesima.

   E qui non devo lasciare di narrare un fatto mirabile accaduto in quella occasione della persona di Raniero Nerucci da Pisa Architetto soprastante all’opera. Aveva egli avuto preciso ordine dal Pontefice d’aprire nelle S. Mura tre nuove porte, chiusa l’antica, dunque l’una in faccia all’altra per comodo del Popolo e l’altra per li Sacerdoti, Ministri, e Personaggi. Nell’atto di principiare ad aprire la prima Porta, al primo colpo di martello dato alla Sagra Parete restògli il braccio stupido, e senza moto, ed egli insensato, pallido, e come morto fu condotto alla propria abitazione. Dopo lo spazio di più ore per intercessione della Ss Vergine, supplicata fervidamente dai suoi congiunti, riebbe la prima salute. Avvertito il Pontefice dell’accaduto al  Nerucci, non si mutò di pensiero; anzi con ordine più pressante comandò, che si aprissero le Porte, ma che prima di venire all’esecuzione, si preparassero gli Operai, con orazione, e digiuni. Tuttavia il Nerucci non si esponeva, o gli alti almeno non volevano essere i primi. Un chierico della Chiesa chiamato Ventura Perino, così da Dio ispirato, dopo tre giorni d’orazione, e di digiuni, pigliato il Martello, e rivolto alla gran Madre di Dio, le disse: io non percuotono le Mura della vostra S. Casa, ma è Clemente, che così vuole per vostra gloria. Piacciavi adunque di volere ciò che vuole Vicario del Figliolo vostro. Si presenta al S. Muro, e umile, e coraggioso insieme, lo percuote, e dal primo colpo gli si arrende, ed aiutato dagli altri Operai, si aprono facilmente le Porte. Fù ancora in questo tempo trasportato dall’antico sito l’Altare, e posto in mezzo, come presentemente si vede, e il Quadro del Crocifisso fu accomodato sopra la finestra. Inoltre fu fatta la nuova nicchia sopra il S. Camino, ove fu collocata la S. Statua come ora vedesi.

     Nel mentre che così si adornavano le S. Mura, accade che alcuni Schiavoni portarono in Recanati una relazione della Traslazione della S. Casa da Nazaret in Schiavonìa, estratta dagli annali di fiume, che diede occasione a Girolamo Angelita Nobile Recanatese, e Segretario della Città di compilarla, ed aggiungere quella dalla Schiavonìa in Loreto, e dedicarla, e di inviarla allo stesso Sommo Pontefice. O fosse questa relazione, o l’affetto, e divozione di Clemente alla Ss. Vergine, oppure questa vieppiù infiammata da quella, volle egli maggiormente certificarsi delle medesime Traslazioni. Quindi scelti fra i suoi Camerieri Giovanni Senese con due altri fedeli, e divoti, e li spedì prima in Loreto a prender le misure, e attentamente osservare ogni arte della Sagrosanta Magione, e poi nella Schiavonìa a Tersatto, e nella Galilea a Nazaret e furono pienamente informati della verità, e del tempo della Traslazione in ciascun luogo, particolarmente in Nazaret, oltre all’esatto confronto delle misure di Loreto corrispondente a fondamenti ivi restati pigliarono ancora queste due pietre di quelle con le quali si fabbricavano le case comunemente, che poi tornati, e confrontate con le S. Mura furono trovate della stessa qualità, e similitudine. Tornati in Roma, informarono il pontefice, il quale fece intendere al nero si di compire con la più possibile sollecitudine l’ornamento dei marmi, e che in uno di questi fossero descritte le Traslazioni; ma ciò non fu eseguito per cagione della di lui morte poco dopo succeduta. Era quasi giunta al termine questa grande opera, quando fu innalzato al pontificato Paolo II  e solamente restava a farsi la volta, che copri dovea la S. Casa; e benché ella non dovesse posare sopra le S. Mura, ma bensì sopra i nuovi muri de’ marmi, nulladimeno fu necessario levare dalle medesime le lunette, e li vasi nel loro mezzo incastrati. S’era sempre più dilatata l’antica opinione, che quei vasi fossero stati adoperati dalla Ss Vergine in servizio del suo Figlio Gesù Cristo, e di S. Giuseppe; e che gli Apostoli per maggior sicurezza l’avessero collocati in luogo così eminente. Furono dunque con le lune elevati ancor quelli, e posti nell’Armario del S.Muro a Tramontana. Recentemente di questi vasi se ne trovano solamente sei, cioè: quattro nella S. Cappella, e due in quelle del Palazzo Apostolico che serve ancora per Cappella della Penitenzierìa. Indi affinché ciò, che era stato necessariamente levato dalla S. Abitazione per negligenza non si perdesse, o confondesse con altre cose, fu stimato bene di collocarlo entro la medesima S. Casa sotto il pavimento di marmo. Solamente per memoria lasciato fuori un pezzetto di tavola dell’antico soffitto, e le stellette di legno dorate, che lo adornavano, le quali si conservano nel sopraddetto Armario a Tramontana in Cassetta di puro argento. Le travi, come si disse, furono sepolte sotto il pavimento, ed alcune restarono fuori, le furono poste sotto il Cornicione della Volta. Una solamente di queste non si sa come sia restata fuori al paro del pavimento vicino al S. Muro Occidentale sotto la finestra senza alcun riparo; o difesa essendo continuamente sotto i piedi dell’affollato Popolo, calpestato e premuto. È cosa ammirabile, che così esposta, e calpestata per tanti secoli non si consumi, ma intera duri, e senza tarlo. È fama, che prima fosse coperta d’argento, e si fosse consumato, indi di lama di ferro parimente consumato, e poi senza difesa alcuna lasciato, ancora si conserva forte, e costante; ed è cosa probabile, poiché si vedono in essa alcune punte di ferro ivi restate, e consumate al paro del legno. Questa meraviglia si vede ancora nel rinnovarsi il pavimento di marmo di quando in quando consumato dal Popolo, ma non già la trave, come fu veduta nel 1751, che sopravanzava allo stesso pavimento da 4 pollici. Con questa occasione fu particolarmente veduto, che la S. Casa sta posata sopra il suolo senza alcun fondamento. Compita la Volta sotto il medesimo Pontificato si aggiunsero le balaustre, che mancavano per il compimento dell’architettura dei marmi, e le quattro Porte di Bronzo. Tuttavia non si potea dire opera affatto compita, mancando la maggior parte delle Statue, le quali dal Pontificato di Giulio III, fino a quello di Gregorio XIII furono compite.

CAPITOLO XII. – Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura.

La struttura de’ Marmi attorno le S. Mura, che circonda esternamente le S. Mura, si regge tutta sopra uno zoccolo di bianco, e poi di marmo nero di figura quadrilunga come la quadratura della S. Casa ed eccone per maggior chiarezza la pianta. Palmi 61 Romani ha di lunghezza, e 39 di larghezza. Sorgono dal zoccolo le 4 facciate di scelto, e bianco marmo di Carrara, alte 50 palmi, e scompartite in giro da 16 Colonne scanellate, quali ripartiscono l’intero concio d’effigiati Quadri di replicate nicchie, e di porte.. Dai cantoni spargono in fuora le quattro Colonne, che formano due facciate, e sono guida di tutte l’altre egualmente disposte sopra piedistalli d’esquisito lavoro di arabeschi, e in riquadrature, che tengono nei loro vuoti incastonate pietre di diversi colori, e qualità; come ancora nei vani dei medesimi piedistalli e nelle Porte. Su queste, e col medesimo ordine s’ergono diffusi del colonnato a mezzo rilievo, quali terminano con capitelli sfogliati d’ordine Corinto sopra i quali posa l’architrave adornato di vaghissimi intagli. Fra questo architrave e capitelli delle colonne va in giro come una fascia con facce di Leoni sopra festoni pomati sostenuti da due a Aquile con i colli ritorti l’una verso l’altra, che compongono quasi un framezzo fra i quadri, e l’architrave. Segue altra grande fascia, o fregio ornato da capricciosi duplicati rivolti, a cui succede immediatamente il Cornicione, e  Scolatore, sopra cui posa la balaustra. È composta questa di colonnette a mezzo suro, sostenute da basette, e piani, e distinte a luogo a luogo proporzionatamente da pilastrini, nelle principali facciate dei quali sono scolpiti a mezzo rilievo a copia Fanciulli nudi, scherzanti con diversi atteggiamenti, e positure. Ecco tutta la costruzione dell’opera:

     Benché le colonne siano distinte l’una dall’altra, sono ordinate a due a due, e quindi formano fra di loro maggiori, e minori spazi le facciate più lunghe, cioè quelle di Mezzo-Giorno, e Settentrione hanno dunque spazi maggiori, e tre minori. Nelle maggiori vi è una Tavola, o Quadro per ciascuno, che l’empie, e sotto, in mezzo ha una Porta con Cornice e Timpano di fino intaglio, che termina ai lati con due puttini sedenti di tutto rilievo.Nei spazj minori vi sono due nicchie una sopra, una sotto. In quella di sopra vi sono collocate le Statue delle Sibille in piedi, e in quelle di sotto de’ Profeti tutti a sedere. In ciascun lato delle sopradette Porte vi sono i Stemmi del Pontefice Leone X, e vari emblemi di penne, ed anelli, ch’empiono i vuoti tra le Colonne, e le Porte. Le facciate più corte come quella d’Oriente, e d’Occidente a due apazj minori, ed uno maggiore. Le minori hanno le nicchie con me sopra; nelle quali vi sono le Sibille, ed i Profeti. Nei maggiori a quello volto ad Occidente vi è un solo quadro e tavola sotto cui è la finestra della S. Casa, e ai lati di queste due tavole minori, ch’empiono i vuoti tra essa, e le Colonne, e sotto vi è l’Altare parimenti di marmo con le sue facciate adornate secondo l’ordine dei pilastri, e dei vuoti fra essi. A quello volto ad oriente, siccome vi è un gran vuoto a cagione che non vi è alcuna finestra, oppure Altare, così vi sono due tavole, o quadri, l’uno sotto l’altro; e infine la lapide con lettere incavate con la narrazione, e memoria delle ammirabili Traslazioni della S. Casa, ordinata come si disse da Clemente VII al Neruccio, e per cagione della morte di questo fatta eseguire dall’VIII di questo nome medesimo.

     Quest’opera così magnifica, e sorprendente, nella quale si segnalarono con la loro divozione, e generosità tanti Sommi Pontefici, ebbe li Architetti, Statuari, e Scultori lo più eccellenti di que’ tempi. L’architettura è del Bramante, la scultura d’Andrea Contucci di Montesansovino, al quale a cagion della morte succedé Niccolò Tribolo, e sotto questi lavorarono altri eccellenti professori, cioè Flavio Bandinelli, Domenico Lamìa, Francesco Sangallo, Raffaele Montelupo, Girolamo ombardi, e Fra Aurelio Eremita suo fratello, Simone Fiorentino detto il Mosca, Cav. Girolamo della Porta; e suo fratello: così ancora Simone Cioli, Raniero Pietrasanta, Francesco di Tada con 10 Scarpellini, ed altri molti, i quali donarono alla Ss. Vergine parte delle loro opere: perché fra gli Architetti e Scultori, furono spesi più di 50.000 Scudi Romani non compresi materiali, ed i lavori giornalieri, la mercede dei quali ascese a Ducati 1940 in circa. Furono posti i fondamenti del 1514 sotto Leone X, e perfezionata nel 1569 sotto Gregorio XIII. La materia è di bianco marmo di Carrara: le tavole, o quadri quasi di tutto rilievo rappresentano alcuni fatti della vita di Maria Ss.

Le Statue, le Sibille, ed i  Profeti, che predissero l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la Verginità della di lui Madre. Girolamo lombardi fece se profeti incominciando dal Geremìa, due Aurelio suo fratello: i Cav. della Porta fece un Profeta, e nove Sibille, e Tommaso suo fratello, una Sibilla, e un Profeta. Gli otto Angioletti sopra le Porte, tre sono del Mosca, le cinque del Tribolo.

Dichiarazione de’ Marmi attorno la S. Casa

Dicemmo nel precedente Capo, che gli ornamenti principali dei Marmi che compongono le facciate della S. Casa consistono in tavole, o quadri, ed in nicchie. Nelle prime si rappresentano alcuni fatti della Ss.Vergine, e nelle seconde sono collocate le Statue delle Sibille, e de’ Profeti, i quali predissero rispettivamente ai Gentili, ed Ebrei, l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la dignità della gran Madre di Dio.

Facciata a Tramontana. N. 1. Tavola rappresentante la Natività della Ss. ergine su seduta in questa sua S. Casa.  Fù ella abbozzata da Andrea Cabtucci detto il Sansovino, e finita da Flavio Bandinelli, e da Raffaele da Montelupo l’Anno 1531. In questa s’ammora

dagli intendenti con modo particolare un Fanciullo, che scherza con un piccolo Cane, ed una Donna vicino che ne mostra di letto. La frattura di essa solamente fù di Scudi 525. 

N.2. Rappresenta lo Sposalizio della Ss. Vergine con S. Giuseppe abbozzo del Sansovino del 1531, compita poi nel 1533 da Raffaele da Montelupo, e dal Tribolo. Quest’ultimo felice quella figura d’uomo assai lodata, che sdegnato ombre al ginocchio la verga di legno secco, perché non gli ha fiorito, come quella di San Giuseppe. La sola fattura di scudi 730.

N. 3. La Sibilla Elespontica dell’Asia minore.

N. 4. La Sibilla Frigia nell’Asia.

N. 5. La Sibilla Tiburtina del Lazio in Italia.

N. 6. Il Profeta Isaia.

N. 7. Il Profeta Daniele.

N. 8. Il profeta Amos. Statua molto stimata.

N. 9. Porta della Scala a lumaca, che conduce sopra la volta della S Casa, fatta di Bronzo con Scorniciature, Quadri, Festoni, Arme, e di altri vaghi ornamenti.

Facciata a Ponente.

N. 1. In questa tavola si rappresenta l’Annunziazione della Ss. Vergine eseguita in questa S. Casa dall’Arcangelo S. Gabriele, opera abbozzata, e compita dal Sansovino nel 1523. La figura della Vergine e assai ammirata in tutte le sue parti. La sola fattura importò scudi 525.

N. 2. La Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. Tavola minore: opera di Raffaele da Montelupo, fatta nel 1530 di fattura gli furono dati scudi 200.

N. 3. La descrizione di Bettelemme di S. Giuseppe nel pagare il Tributo Imperiale; opera di Francesco Sangallo nel 1530 e la fattura importò scudi 200.

N. 4. La Sibilla Libica della Libia nell’Africa.

N. 5. La Sobilla di Delfo nell’Acaja.

N. 6. Il Profeta Geremia grandemente stimato per la positura, abito, panneggiamento, e pel gesto.

N. 7. Il Profeta Ezechiele.

N. 8. La finestra della S. Casa detta della Nunziata: perché esternamente corrisponde sotto la Tavola, che rappresenta un tal Mistero.

N. 9. Altare detto della Ss, Annunziata.

N.10, Pradella, e gradini del medesimo.

Facciata a Mezzo-Giorno.

N. 1. La Tavola della Nascita di Gesù Cristo, ossia Presepio; opera la più singolare, e perfetta del Sansavino compita nel 1528 per cui ebbe di sola fattura scudi 525.

N. 2. L’adorazione dei Magi, opera assai perfetta, e a Miranda da Raffaele da Monte lupo fatta nel 1532, la di cui fattura ascese a scudi 750.

N. 3. La Sibilla Persica, della Persia nell’Asia maggiore e, ovvero della Caldea.

N. 4. La Sibilla Cumea, di Cuma in Italia.

N. 5. La Sibilla Eritrea, d’Eritrea nell’Asia minore.

N. 6. Il Profeta Malachìa.

N. 7. Il Profeta David vestito da vento regio con la corona in capo, e de’ a piedi alla testa recisa di collina. Questa fu molto ammirata, e lodata da Carlo V Imperatore.

N. 8. Il Profeta Zaccherìa.

N. 9. Porta della S. Casa.

N.10. Porta del S. Camino, per cui s’entra a venerarlo.

Facciata ad oriente.

N. 1. Tavola del transito di Maria Ss. con l’assistenza de’ Ss. Apostoli; opera di Domenico Lamìa nel 1516, aggiunta di Niccolò Tribolo, di Raffaele di Montelupo, e di Francesco Sangallo, la di cui fattura fu di scudi 795.

N. 2. Le traslazioni della S. Casa; opera incominciata da Niccolò tribolo nel 1533, e compita da Francesco Sangallo, dalle cui fattura fù di scudi 750.

N. 3. La Sibilla Samia, dell’isola di Samo del Mar Egeo.

N. 4. La Sibilla Cumana. o Amaltea di Ponto nell’Asia.

N. 5. Il Prof. Mosè lodato assai per le muscolature.

N. 6. Il profeta Balaam.

N. 7. Iscrizione della Traslazione di S. Casa, e dei Misterj operati in essa, posta nel basamento d’ordine di Clemente VII fatta eseguire da Clemente VIII la di cui copia si porrà qui in fine. Le Statue de’ Profeti sono dieci, cinque ne fece Girolamo Lombardi Venez., e incominciò da Geremia l’anno 1551 per scudi 345 l’una. Poi nel 1579 ne fece un’altra breve Sc. 460.Fra Aurelio Eremita suo fratello ne fece due una per scudi 300, e l’altra per scudi 340. Il Cavalier della éorta insieme con Tommaso suo fratello ne fece due nel 1575 per Scudi 450 l’una. Le statue delle sibille sono 10, nove ne furono fatte dal suddetto Cavalier della Porta, ed una dal suo fratello Tommaso per scudi 100 l’una, donando l’inporto di una alla Ss Vergine. Gli 8 Angeli collocati sopra i Timpani delle 4 Porte, 5 ne fecero Niccolò Tribolo, Raffaele Montelupo, e Francesco Sangallo, gli altri tre furono fatti da Simone Mosca per Scudi 35 l’uno. Finalmente nelle 4 Porte di bronzo a bassorilievo fatte da Girolamo Lombardi nel 1576 fu speso Scudi 800 per ciascheduna. Chi desiderasse relazione più particolare questa Opera, veda il Serragli nella Parte II Cap, XI e XII.

ISCRIZIONE SOPRA ACCENNATA. – Christiane Hospes, qui pietatis votivae causa huc advenisti, Sacram Lauretanam Aedem videsDivinis Misteriis et miraculorum gloria toto Orbe Terrarum venerabilem, Hic Sanctissima Dei Genitrix MARIA in lucem edita, hic ab Angelo salutata, hic AETERNUM  DEI VERBUM CARO FACTUM EST. Hanc Angeli primum e Palestina ad Illyricum advexere ad Tersactum Oppidum Anno salutis MCCXCI Nicolao IV Summo Pontigice triennio post initio Pontificatus Bonifacii VIII, in Oicenum translataprope Recinetum Urbem  in huius Collis nemore  eadem  Angelorum opera collocata est ubi loco intra anni spatium ter commutato, hic postremo Sedem Divinutus fixit Anno  ab hinc CCC. Ex eo tempore tam stupendae rei novitate vicinis Populis in admirationem commotis tum deinceps Miraculorum fama longe,  lateque propagata Sanctae haes Domus magnam apud omnes Gentes venerationem habuit, cuius Parietes nullis fundamentis subnixi, post tot saeculorum  aetates integri, stalilesque permanent. Clemens Papa VII illam marmoreo ornatu circumquaq. Convestivit Anno Domini MDXXV, Clemens VIII brevem admirandae Translationis Historiam in hpc lapide inscribi iussit Anno MDXCV.

     Tu pie Hospes Reginam Angelorum, et Matrem  Gratianum hic religiose venerare, ut eius meritis, et precibus a dolcissimo Filio vitae auctore, et peccato rum veniam, et corporis salutem, et aeterna gaudia consequaeris.

CAPITOLO XIII. – Degli Ornamenti interiori della S. Casa – nella parte del S. Camino.

Abbiamo finora trattato degli esteriori adornamenti, conviene ora a trattare degli interiori, che sono adatti a confermare, ed accrescere vieppiù la divozione ed il concetto di questo gran Santuario. Questi altro non sono che memorie, e doni di Personaggi, e gran Signori, offerti alla gran Madre di Dio, o per impetrare grazie, o in un ringraziamento delle grazie ricevute. E per proseguire più ordinatamente con facilità, e chiarezza fa d’uopo dividere l’interno della S. Casa in due parti, come è appunto presentemente divisa. La prima è del S. Camino cioè da questo fino altra mezzo dell’altare, chiamata parte del S. Camino, o Santuario. La seconda dall’altare fino al fine della S. Casa, chiamata parte della medesima.

     La parte del S. Camino è coperta ogni facciata da capo a piedi di lame di purissimo argento, le quali sono così ispesse, e le unite, che sembrano una sola lama, ed un continuato lavoro, che non l’lascia visibile alcuna parte, ancorché minima delle S. Pareti. Alcune poche sono piccole, e moltissime melanzane, e non poche grandi, pesanti, e di getto, ed alcune grandissime, e pesantissime in forma di quadri con adornamenti, e cornice dello stesso metallo; queste ultime sono poste in ordine, e schierate sopra, e ai lati della Nicchia della S. Statua, le principali occupano l’intiera affacciata di Tramontana, e Mezzo-Giorno. Nella prima s’ammira il gran Quadro, e Voto di Alessio, e Gaspare Peretti nipoti di Sisto V di libbre 300 di argento, e nella seconda sopra la porta quello del principe di Vadenonte di Lorena di libbre 150. Al lato destro della Nicchia vi è quello di Marcantonio Colonna di non minor peso, e valore. Sotto il suddetto molto Peretti vi è la finta Porta d’argento del Card, Magalotti, tutti arabeschi di getto traforati, colle scorniciature ricoperte di lame, innanzi alla quale è collocato il genuflessorio parimente di argento del Card. Colonna.

Sopra la detta éorta vi sono le due Statue d’argento genuflesse con le mani giunte l’una delle quali rappresenta Tiberio Pignatelli, l’altra Francesco Peretti Nipote di Sisto V in ciascuna parte particolarmente negli angoli, sono disposti in quantità di Putti d’argento quali a mezzo, e quali a tutto rilievo; quali a cesello, quali tutti di getto, e pesantissimi, quali nudi, e quali fasciati, e più d’uno adornato di gemme. Attorno alla Nicchia se ne contano 18, tutti d’oro purissimo, uno in mezzo all’arco anteriore della medesima con un cuore fiammeggiante in mano, è dono del Co. Brainer Alemanno. E 4 a mezzo rilievo de’ Serenissimi di Baden. I tre a tutto rilievo sono il primo nudo del Principe di Carbogano, l’altro infasciato dell’imperatore Ferdinando II, ed il terzo del Real Principe di Savoja.

Li altri 4 sono il primo nudo del Duca di S. Elìa Napolitano, il secondo infasciato di Sigismondo terzo re di Polonia, il terzo del Duca di Acquasparta, l’ultimo dell’Elettorale Casa di Baviera. Vi sono inoltre varie statue d’oro, e d’argento. La principale d’argento, è un Angelo di libbre 350, che offerisce con le mani alzate alla Ss. Vergine un Putto d’oro di libbre 24 dono del Re Cristianissimo Lodovico VIII mandato in occasione della nascita di Lodovico XIV detto poi il Grande ottenuto dopo 22 anni di sterilità. L’altra del Principe di Condè, e la terza del General Daun Viceré di Napoli. Vi sono parimenti di argento sei altre Statue d’Angeli con Candelieri, nelle quali continuamente ardono candele di cera, cioè 4 alla grata dell’Altare innanzi alla S, Statua, e due ai lati interiori della Nicchia.

I 2 più grandi pesantissimi tutti di getto del Duca, e Duchessa di Laurenzano, l’altre di pie Persone. Due d’oro di mirabil lavoro con Candelieri, sui quali continuamente ardono Candele di cera posti in fuori al piano della Nicchia con basette di Ebano adornate tutte con Cifre, e Fogliame di lastra d’oro traforati, dono di Leopoldo Imperatore Austriaco. Sopra questi vi sono due altre Statue di Angeli uno a destra tutto d’oro assai pesante adornato per ogni parte di varie preziose gemme, che offerisce alla Ss. Vergine un cuore fiammeggiante, entro il quale vi è un Lampadino che arde sempre. Il suddetto cuore è tutto tempestato di spessissimi, e grossissimi diamanti, e le fiamme si sono formate di rubini, dono di Maria d’Este regina d’Inghilterra Moglie di Giacomo II. A sinistra in faccia né corrisponde un altro, che parimenti offerisce un cuore, ma è tutto di argento, ed il cuore solamente d’oro con corona a capo, tutto tempestato di diamanti, rubini, smeraldi, e molte perle orientali assai grosse, forma parimente un Lampadino, che arde di continuo, dono di Laura Martinozzii d’Este Duchessa di Modena Madre della suddetta Regina. Risplendono ancora avanti la S. Statua in ordine vago appese 23 lampade d’oro purissimo di diverse grandezze, e di lavoro esquisito, le quali sempre ardendo danno testimonianza della particolare divozione verso la Regina del Cielo dei donatori, che le hanno a tal’effetto abbondantemente dotate. Con due di questi si distinse Violante Beatrice di Baviera gran Principessa di Toscana. Una per cadauna ne donarno le famiglie Basadonna, Papacoda, e Piccaloga Genovesi, le Famiglie Riccardi, e di Orlandini di Firenze, la famiglia Pignatelli, la famiglia Palma: di Sant’Elìa, la famiglia Torrea, la Città di Macerata, e Fam. Sforzacosta di d. Città, le altre ugualmente disposte rammendano la venerazione di Sigismondo III Re di Polonia, e di Alfonso d’Este Duca di Modena, di Francesco M. Della Rovere Duca di Urbino, del Co.Jabonovvski Palatino Polacco, del Principe di Lorena di Vademonte, e di una Dama Spagnola, che al pari di altre due pie incognite Persone occultato volle il proprio nome. L’altra ben grande dimostra la divozione di Francesco d’Este Duca di Modena. La maggiore poi di tutte del peso di libbre 37 d’oro è una perpetua memoria della grazia da Dio riportata per intercessione di Maria SS. dalla Sereniss. Repubblica di Venezia preservata nell’anno 1576 dall’orribile flagello della Peste, alle Lampade tutte siccome suole ispesso darsene diversa la disposizione, così non puol rendersi stabile la descrizione della rispettiva loro situazione.

     In quella medesima parte si concervano alcune Reliquie preziosamente adornate, ed insieme i doni offerti da gran Signori. Nella Credenzino sopra la Porta (il quale è fama che fosse parte della Nicchia antica entro cui fu trovata la S. Statua) si conservano le reliquie. A destra è collocato un Semibusto d’argento, che rappresenta S. Barbara V. M. Il cui capo è cinto di Corona d’oro tempestata di gemme, e il collo d’una collana parimente gemmata, che termina al petto con una vaghissima, e ricca Croce. Nella sommità della testa a un’apertura con cristallo, dalla quale si vede l’intiero Cranio della medesima Santa; questo è dono di una Arciduchessa d’Austria. A sinistra v’è una Statua d’oro alta più di un palmo in piedi vestita di manto, e di insegne reali, corona in capo, nelle mani lo scettro, il Mondo gemmatati, che posa sopra una base d‘Ebano con fogliami d’oro traforati, con cristalli nelle facciate rappresenta S. Ladislao, e dentro la base si conservano fra le gemme alcune pezzette intinte nel sangue del medesimo Santo, dono di Ladislao III re di Polonia e di Svezia. Fra queste due un poco addietro si vede un altro se mi gusto d’argento di S. Gereone condottiere della S. Legione Tebea vestito d’abito militare sopra una base d’Ebano arabescata a trafori d’argento con cristalli alle facciate. Entro il Capo vi è  il Cranio del Santo, e nella base, le Reliquie d’alcuni Santi suoi Compagni. Dono di Polissena Pernesta Vice.Regina di Boemia. Sotto questo vi è una trama di Rose con foglie, tronchi, e fiori d’argento, ed in mezzo alla principal Rosa, vi è  sotto cristallo la Reliquia di S. Rosalìa V Palermitana dono del P. Maestro Calvanini Generale del Terz’Ordine di San Francesco. Non poco lontano è collocata la tazza di cristallo di Monte legata in oro col suo coperchio, ed ornata di varie gemme, ove S. Eduvige duchessa di Polonia, solea prendere la purificazione dopo essersi comunicata; dono di una Arciduchessa d’Inforuk.

In mezzo fa vaga comparsa un pezzo di legno della S. Croce di Gesù Cristo, chiusa in una Croce di cristallo di monte, legata in filagrana d’oro, e questa racchiusa in nobilissimo Ostensorio d’oro a due facciate, e di mirabil lavoro. La reliquia è dono del Card. Cibo Seniore, e l’Ostensorio del medesimo, che era d’argento, è stato anni sono cangiato in oro d’alcuni Signori del Messico, lasciato al Santuario, e oro, e prezzo pel medesimo. Fù compito anni sono sotto il governo di Monsignor Potenziani da Rieti già Governatore vigilantissimo del Santuario, e Città di Loreto.

CAPITOLO XIV. – Ornamento della Santa Statua.

     In questa medesima parte, in mezzo della facciata d’Oriente sopra il S. Camino v’è una Nicchia, ov’è collocata, e si venera la S. Statua della Ss. Vergine Lauretana intagliata a tutto rilievo in legno di Cedro, opera di S. Luca Evangelista, venuta insieme colla medesima S. Casa da Nazaret. Questa Vicchia è composta di due archi, l’interiore è più grande, il posteriore più piccolo, ambedue con due imposte, pilastrini, e cornici tramezzate da un piano proporzionato, e va a finire concavo, che riceve la S. Statua.. E’ coperta tutta di lastra di purissim’oro con lavori a cesello di arabeschi, e scudetti di diversi emblemi allusivi alla gran Madre di Dio. Il primo Arco, il maggiore è contornato da cornice, ed arabeschi di oro, che formano l’Arco, l’Imposte, e i Pilastrini. Il secondo minore, è ornato di fascia di lapislazzuli, con arabeschi, e scudetti dell’emblemi sovrapposti, e per imposte, e in mezzo a alcuni Cherubinetti fra nuvole, e fra splendori; il concavo fatto a spese del Santuario con voti d’oro, ed altre cose non servibili. Il festone di lapislazzuli fu donato dal Card.d’Augusta, e tutto il resto, quasi di 100 libbre dalla Famiglia Palma Artois de’ Duchi di S. Elìa Napolitana, e particolarmente dal duca Francesco, poi morto sacerdote della Compagnia di Gesù. Nei due lati della sommità dell’arco interiore vi sono due Cori d’oro ornati di grossi zaffiri, e diamanti, che formano alcune cifre, e geroglifici della Principessa Madre l’uno, e l’altro del Figlio Principe di Basen.

     Entro questa ricchissima Nicchia si venera la Vergine Lauretano. Ella ha avanti una grata di argento, chiamato il guardinfante, che dagl’omeri infino a piedi la cinge. Si copre questa di una veste assai ricca di ricamo d’oro, o d’argento, fralle molte a questo effetto donate da gran Signori, sulla quale si fermano ordinatamente le gioje, che formano l’adornamento. Essendo moltissime queste gioje, del valore delle quali, a giudizio dei più eccellenti Professori, è difficile cosa il formarne una giusta idea, se ne accenneranno soltanto le maggiori, e quelle principalmente che le lontananza sono le più visibili. Le due corone d’oro l’una in capo alla B. Vergine, e l’altra in quello del suo Divin Figliuolo ricche talmente di grossissimi diamanti; che appena lasciano distinguere il metallo in cui sono legate, sono dono del Re Cristianissimo Ludovico XIII. Il cerchio d’oro, fra le corone, e la fronte della Vergine, ornato di stelle framezzate di castoni di diamanti, e grosse perle orientali, dono dell’Infante di Savoia. La Principessa d’Armstadt, donò le due grosse perle legate in oro, che pendono dalla destra del S. Bambino, ed i due polsini sotto nella medesima destra l’uno contornato di rubini con ismeraldo in mezzo, dono della famiglia Rospigliosi, e l’altro con amatisto orientale contornato di diamanti, ed uno fra gli altri grosso a spighetta fermato sopra il suddetto amatisto, della Duchessa Salviati. Nella sinistra mano ha egli un mondo d’oro smaltato di color celeste, contornato di diamanti, nella sommità con Crocetta compagna, dono dell’Arciduca Leopoldo d’Austria. S’ammira in petto della Ss. Madre i tre grossi smeraldi della gran Principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera, contornati da altri minori, e questi da diamanti con un anello a man fede composto da un sol rubino, con cui fu sposata dal suo gran Principe. Segue sotto l’ornamento da petto lungo più d’un palmo, e largo a proporzione, composto di moltissimi grossi diamanti, rubini, smeraldi, che fu ornamento Regio d’Anna di Neroburgo Regina di Spagna Moglie di Carlo II, e dalla medesima poi offerto alla Regina del Cielo. Altro ornamento d’oro dal petto composto di Diamanti, di D. Diego Ribas d’Alcalà, il quale ha sopra un picciolo fiocchetto, ma di grossi diamanti, della Famiglia Barberini. Seguono altri preziosi giojelli, e croci. Una bottoniera di 56 bottoncini, e 112 alamari d’oro di getto, nelle quali vi sono 6054 diamanti; dono della Moglie di Filippo IV Re di Spagna, li quali alamari disuniti tra loro sono gajamente sparsi in dosso alla S. Statua, ora in una maniera ora in un’altra. Degna di ammirazione è una Croce da Donna assai stimata, e vaga, composta di 8 grossi, e 8 piccoli risplendenti purissimi brillanti: donata da una incognita Dama Tedesca. Meritano tutta l’osservazione altre due Croci, una dell’Ordine Teutonico, l’altra dell’Ordine di S. Martino, ambedue tempestate da una parte di brillanti, e dall’altra di rubini donate da un Principe di Baviera Gran Maestro degli stessi ordini. Sonovi diversi altri giojelli, fra le quali di maggior comparsa sono quelli di diamanti, ed altre varie gemme del Card.  Ottoboni, del Duca d’Arc, e del Card, Nerli. Altro giojello tutto carico di smeraldi in tavola, contornato di diamanti, ed altri smeraldi a perelle pendenti donato dal Card. Ludovico Portocarrero. Una croce d’oro con grosso diamante di fondo in mezzo, ed altri 12 intorno, e di a piedi tre pendenti a goccia dono del Principe di Dietrinchstain, altra Croce d’oro con 11 grossi diamanti, dono del Card. Spinola. Un giojello d’oro ovato, e nel mezzo un grosso zaffiro contornato di 96 diamanti posti a tre ordini dono del Conte di Pegna Aranda. Due Croci vescovili una del Card. Marescotti di diamanti, e l’altra del Card. Corsi di rubini. Una croce di S, Giacomo contornata di zaffiri, e diamanti, dono di D. Michele dell a Tuente Decano di Trussillo nel Perù. Un gioiello d’oro smaltato, che figura una corona di spine, nel mezzo evvi una Colonna, ed una Crocetta a piedi tutto contornato di 157 diamanti, dono del Marchese Serra Napolitano. Altro giojello d’oro guarnito de 158 diamanti, col ritratto della Regina Maria de’ Medici Donatrice.. Una croce d’oro di zaffiri contornata di diamanti dono il cardinal d’Acugna, e l’altra di brillanti dono nell’anno 1776 il Cardin. Serbelloni. Due Cuori d’oro uniti con Corone Elettorali, e cifre, tutti contornati di diamanti, zaffiri dorati dall’Elettore di Baviera, che fu poi Carlo VII Imperatore. Due Occhi smaltati al naturale in lastra d’oro, contornati di 84 diamanti, col nastro di 34, dai quali pende un Cuore d’oro guarnito di 12 grossi diamanti, quale aprendosi mostra l’Arme, e il nome della Donatrice Cristina di Savoia. Altro gioiello d’oro, con un grosso rubino in mezzo, in forma di cuore contornato di 149 diamanti è dono del cardinale Alberto di Polonia.

     È questa la sincera descrizione delle Gioje più preziose, che attualmente adornano la S. Statua lasciando di descrivere le molte altre benché pregevoli a solo oggetto di non stancare il Leggitore con lunga, e superflua narrazione. Prima per altro di passare all’altra parte della S. Casa fù d’uopo porre in vista quanto in questa prima parte di particolare si conserva. A mano sinistra del S. Camino vicino alla Porta, vi sono due credenzini, l’uno sotto l’altro. Si conserva nell’inferiore una delle S. Scudelle, legata in argento con la custodia dello stesso metallo, nella quale si passano le acque per gli Infermi, ci si toccano le divozioni, e si dà a baciare ai divoti, e confluenti. In quello di sopra e dentro una cassa d’argento con suoi cristalli per ciascuna parte, e adornata di varie, e molte gemme, dono del Cardinal Montalto nipote di Sisto V si conserva una veste tutta tessuta in lana, che comunemente chiamiamo Camelotto, di color rosso, la quale colla S. casa fù trasportata da Nazaret, e trovata indosso alla S. Statua. È fama che questa sia la Veste usata dalla Ss. Vergine tra noi vivendo. Da cristalli si vede, e si riconosce chiaramente il colore, la materia, e la polvere penetrata, e sopra di essa posata, senza alcuna signora, pure alcuna ombra di Prodi giura. Sono 498 anni che qui fù trasferita insieme con la S. Casa. Tutte le altre moltissime Vesti, che si dispongono indosso alla S. Statua, doni di gran Signori, ricchissime, e forti, essendo cose corruttibili, si corrompono, periscono, questa di semplice lana, con polvere, per tanti secoli ancora intatta, senza tignola, deve dirsi ch’Ella abbia qualche prerogativa sopra dell’altre.

CAPITOLO XV. – Ornamento del resto della S. CASA.

     Dalla parte del S. Camino già descritta passiamo all’altra detta della S. Casa. Incomincia questa dal tramezzo di legno, al quale immediatamente appoggia l’Altare, a cui serve d’ornamento, fino alla fine della medesima S, Casa. Questo tramezzo oppure tavolato, che forma la divisione ha tre aperture con due ferrate. Quella di mezzo è grande di figura quadra; di larghezza a paragone dell’Altare in modo, che chiunque, ed in qualsivoglia sito si trovi in S. Cappella può godere comodamente la S. Statua, e gl’ornamenti di faccia dall’altra parte. Le laterali sono più piccole, e formano finestrini, e sotto hanno la loro Porta, per cui si passa da una parte all’altra. Inoltre è adornato di cornicione, e da capo a piedi è ricoperto di lama d’argento non vedendosi in alcuna maniera il legno- sopra ciascuna porta vi è lo stemma, e sotto questo cartello col nome del Card. Francesco Dietrichstein, per ordine, ed a spese del quale fu fatto quest’ornamento sopra le 300 libre d’argento. Ora l’apertura di mezzo non ha più la stessa forma quadrata, perché sopra l’antico quadro si si è innalzato un Arco, che rendendola più alta fa maggiormente distinguere, e godere li preziosi doni collocati nell’altra parte. Fù fatto quest’arco dell’anno 1763 con gli argenti lasciati da impiegarsi entro la S. Casa dall’Ab.Sciare Nobil Sacerdote Francese. Mpnsign, Giovanni Potenziani allora Governatore impiegolli in quest’opera così universalmente ammirata, e lodata. In mezzo al noto Arco vi è riportato un cartellone parimenti d’argento formato graziosamente da nuvole, ed abbellito da splendori dorati, nel di cui piano si legge in lettere di getto, e dorate lo stesso saluto che fece l’Angelo Gabriele in questa S. Casa alla gran Vergine: Ave gratia plena, e sotto vicino alla ferrata vi sono due Angeli della famiglia Barberini con cornucopj sui quali ardono fiaccole di libra, in ciascuna Festa della Madonna. L’adornamento dell’altare è composto d’agate, diaspri orientali, e il lapislazzuli di maraviglioso lavoro, oltre il riquadrature nel prospetto di lastra d’argento; nelle due laterali vi sono a mezzo rilievo gli Stemmi de Medici gran Duchi di Toscana, e in quella di mezzo parimenti a mezzo rilievo il gran Duca Cosimo II con le mani giunte, e ornate nella Sagra Magione, del quale questo stupendo adornamento fù dono. Ai lati interiori del medesimo altare vi sono due cancelli d’argento, con suoni pomi, e nodi del Card. Ludovico Portocarrero. Entro quest’Altare, e fra questi ornamenti è chiuso l’antico Altare dei S. Apostoli venuto colla S. Casa, il quale con l’aprirsi uno sportello nella riquadratura di mezzo si fa vedere. Egli è composto della stessa pietra tenera, che noi diciamo tufo, della quale sono fabbricate le S. Mura, qual pietra però è alquanto più alta della nostra, ed ineguale.

     In questa parte ancora, vi sono Reliquie, e doni. Quivi si mirano intorno le S. Mura scoperte, e nude, le quali, benché per il corso di cinque secoli, siano premute dall’affollato, e stretto popolo, e da questo continuamente toccate, e baciate; tuttavia sono intatte, ed intere, e si sostengono senza alcun fondamento, ed appoggio. Nel S. Muro volto a Mezzo-Giorno, vi è appeso il gran Quadro tutto d’argento, e di getto, e quasi a tutto rilievo, con sua cornice, di Ranuccio Farnese Duca di Parma in atto di porre il proprio Figlio sotto la protezione della Vergine già liberato da una malattia. In petto all’altro S. Muro a Tramontana vi è lo stupendo Armario del medesimo Duca di libbre 500 di fine argento, il quale forma una Tribuna con colonna, capitelli, base, e timpano quasi tutti di rilievo con altri adornamenti d’architettura, di figura, e Sacri Misterj, meravigliosamente lavorati. Quì dentro all’aprirsi d’una grata si vede il picciolo Armario fatto col S. Muro, in cui è fama, che la Ss, Vergine vi tenesse la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Si conservano ora nel bellissimo tre sacre Scudelle fatte legare in oro dal Card. Sandoval, con quello che la prima volta dal Congo fu portato in Ispagna. Due hanno la figura di Ciotole, ed una di piattino piano. Così adornate si tengono racchiuse in una d’argento pesantissima di getto, donata dal Principe Ferdinando d’Alcalà per tal’effetto. Quivi di sotto, entro una cassetta parimente d’argento si conservano le stellette dorate, staccate dall’antico soffitto della S. Casa, ed un pezzo di tavola del medesimo avvolta in un setino. Il mirabil si è, che questo Armario ha un frammezzo di tavola tutto d’un pezzo fino al fondo, e si vede essere stato posto nel fabbricarsi il muro, e pure in tanto tempo non ha nemmeno un segno di corruzione, o di tarlo. Poco sotto vi è appeso un cornucopio d’oro grande, assai ricco, e di egregio lavoro, col compagno nell’altra del S. Muro in faccia nelle quali continuamente ardono candele di libra, dono della gran Duchessa D. Maria Maddalena d’Austria. Nelli due S. Muri di  Tramontana, e Mezzogiorno, vi sono tre braccia per ciascuno con sue padelle, il tutto d’argento dorato, nei quali ardono candele di libra delle principali feste della Madonna, dono del Principe Tommaso di Savoia. Nel muro volto ad Occidente sopra alla Finestra si vede il Crocefisso antico, Quadro dell’Altare de’ S. Apostoli, opera di S. Luca Evangelista, come altrove si disse. Egli è una Croce fatta di grossa tavola di Cedro, sopra cui vi è dipinto il Redentore Crocifisso con 4 chiodi. Nel fine di ciascun braccio della Croce vi sono dipinte due figure, cioè nel destro la Ss. Vergine e nell’altro S. Giovanni Evangelista. E’ ora questo circondato da gran fregj, e cornice d’argento con tre gran Statue dello stesso metallo, cioè sopra del Padre Eterno in atto di benedire con la destra, e sostenere il Mondo con la sinistra: ai lati due grand’Angeli, che pajono sostenere volando la gran Croce.

Tutto l’ornamento ascende a libre 300 d’argento: dono del principe Taddeo Barberini. Ancora la finestra ha il suo ornamento d’argento, cioè una cornice con suoi piani donata dal Duca Gaetani. Qui sotto del pavimento s’ammira l’antica Trave, che era del soffitto di questa S. Casa, ora posta non si sa come, a paro dello stesso pavimento, la quale prenuta collo stare in piedi dell’affollato popolo, benché si consumi il pavimento di marmo, ella non si consuma, ma resiste intatta, senza tarlo, e incorrotta per tanti secoli. Sono appese ed affollate attorno le S. Mura 47 lampade d’argento tutte dorate ad ardere continuamente, e di in mezzo vi è un candelabro d’argento di 68 libbre donato dall’Elettore Guglielmo di Baviera, ed una gran Lampada donata dalla famiglia Rasponi. Nella parte del S. Camino ai lati, e dinanzi alla Statua fra Lampade d’oro, cornucopj  d’argento, ed in altri pezzi ardono altri 27 lumi a oglio, come gli altri dotati. Fra dentro e fuori attorno la S. Casa ardono continuamente 94 Lampade d’argento prescindendo da quelle appese avanti gli Altari della Chiesa, dei quali ne daremo distinta la Relazione, allorché ridotti tutti a perfezione con i nuovi Marmi verranno in essi stabiliti gli altri rispettivi Quadri dei Mosaici.

CAPITOLO XVI. – Indulgenze, e Privilegj conceduti alla S. CASA.

     Tutto il Mondo Cattolico fu sempre affezionato, e divoto di questo gran Santuario: oltre i preziosi doni, come finora abbiam veduto, non vi è Città, e Luogo così sconosciuto, ed abbietto, in cui non siano innalzate Chiese, e Cappelle, o Altari almeno alla Madonna di Loreto. E questo non solamente nella nostra Europa, ma fino nell’Indie, e nel Paraguai. Certamente la santità del luogo consagrato con tanti misterj, trasferito con tanti non più allora veduti prodigj, divinamente conservato sì lungo tempo, la cagione principale di tirare a sé tanta moltitudine di gente, e destare una divozione ed affetto sì universale: dopo questo però ha contribuito molto, e in ogni tempo la vigilanza dei Sommi Pontefici. E siccome il nostro Salvatore fra noi vivo aveva con la sua Abitazione santificata questa povera Casa, e i S. Apostoli dopo l’Ascensione al Cielo del medesimo, avendola consacrata, vi dispensavano ai Fedeli di tesori delle divine grazie; così i S. Pontefici successori di questi, e Vicarj di quello, non cessarono mai di eccitare il Popolo Cristiano a questo Emporio di Benedizioni celesti col dispensarvi i celesti Tesori, dei quali sono rimaste il loro mani le chiavi.

    Fin quando la S. Sede era in Avignone Bened. XIV il primo che nel 1341 concesse Indulgenza Plenaria nella S. Casa mosso dalla divozione dei Recanatesi, mentre le fabbricarono attorno la Chiesa, che poi, come si disse, fu disfatta per ordine di Paolo II. Ritornato poi in Roma Urbano VI certificato dal Vescovo di Recanati delle prodigiose fiamme, che sollevano scendere dal Cielo, e posarsi sopra di essa allp 8 di Settembre, e della rivelazione fatta all’Eremita Paolo di Montorio, concedé in tal giorno a chi la visitasse Indulg. Plenaria. Poi aggiunte quelle concedute da GregorioXI, alla cattedrale d’Ancona , che sono le medesime concedute a S. Marco di Venezia da Alessandro III per la festa dell’Ascensione del Signore. Tali Indulgenze per esser di somma considerazione furono confermate da Bonifazio IX e promulgata la loro durata a tutti e tre mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, dopo averne conceduta un’altra particolare pel dì solenne della Nunziata. Anzi Martino V per aumentare la devozione de’ Popoli ancor lontani, terminato che fu lo scisma, concedé ai Recanatesi la facoltà di far le fiere nei suddetti tre mesi, come dalla bolla: ad laudem, gloriam, et honorem  Lauretanae Virginis. Ed inoltre tutte le concedute dai suoi Predecessori riconfermò Niccolò V dopo aver arricchita la S. Cappella di presenti degni d’un Pontefice, considerando segnalato il giorno della Nunziata lo onorò anch’esso di molte indulgenze.

     Paolo II come si è detto, liberato nella Santa cappella dal mal contagioso, ed ivi sorpreso da placido sonno gli fu palesata la volontà divina del suo innalzamento al Pontificato, che dall’evento si conobbe essere stata vera rivelazione, ed egli stesso lo confessò nella sua Bolla: magna et stupenda miracula, quae ibidem eiusdem Almae Virginis opera apparent et nos in personam nostram experti sumus, et, innalzato dunque al Pontificato, oltre la fabbrica del gran Tempio intrapresa, e quasi compita l’arricchì di copiose indulgenze.Concedé a chi visitasse la S. Casa Indulgenza Plenaria in tutte le Domeniche dell’Anno, nelle Feste della Ss. Vergine, nei giorni della Settimana Santa, di Pasqua di Pentecoste, del Corpo del Signore con la sua ottava. Aggiunge il Serragli, che da Paolo II, da Sisto IV, e da Giulio II con Bolla particolare nella sola S. Casa furono concedute quante indulgenze sono mai per tutta Roma. Tolse il Santuario, i suoi Ministri, le robe dalla giurisdizione del Vescovo, e dal dominio di Recanati, e lo accolse sotto la sua protezione, della Santa Sede, e dei Ss Apostoli Pietro, e Paolo, concedendo ai Sacerdoti del Tempio la potestà di assolvere da’ casi riservati al Vescovo, ed dalla medesima Santa Sede. Non meinor cura ebbe Sisto IV, il quale nell’anno 1473 fece coprire la fabbrica del Tempio, e confermò l’Indulgenze dei suoi Antecessori, concedendo un’altra Plenaria per la Nascita della Ss. Vergine, forse perché ancora duravano in tal tempo a vedersi le prodigiose fiamme. Dichiarò inoltre un Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per il temporale con 8 Cappellani per il Divin culto, per udire comunemente le Confessioni de’ Pellegrini, con facoltà di poter loro commutare qualunque voto fuori di quel cinque alla S. Sede riservati.

     Nel 1507 Giulio II confermò, e rinnovò tutte le Indulgenze allora concedute, incominciando da quella d’Urbano VI e di Martino V terminando con un’altra nuova Plenaria per il giorno della Nunziata. Esentò nuovamente dalla giurisdizione di Recanati il Santuario, con la Terra allora di Loreto, dichiarandolo un suo Sacello, e Pontificia Cappella, e tutti i Ministri di esso familiari, e commensali del Papa. Due volte visitò la S. Casa, nell’andare, e nel ritornare dalla Mirandola, dove però l’illeso per miracolo di Maria Ss. Loret. Da una bomba, la di cui grossa pesante palla egli stesso alla sua presenza fé appendere al S. Muro di Mezzog., ove ancora presentemente si mira. Leone X nel 1513 nella sospensione generale dell’Indulg. dichiarò rimanere nel loro vigore quelle del Santuario Loretano: anzi con una nuova culla le confermò, e aggiunsegli le indulgenze delle sette principali Chiese di Roma, visitandosi sette Altari nel Tempio da deputarsi dal Governatore, ed altra Plenaria nella Solennità del S. Natale. Inoltre fondò in esso la Collegiata insigne; vi stabili Canonicati, Mansionarie, e gli altri sacri Ministri. Ancorché il éontificato di Adriano IV fosse sì breve, di un anno solo pure con le affettuose espressioni nella sua Bolla, e conferma dell’Ondulgenze, e Privilegj fé palese la sua divozione non ordinaria.

     Quale fosse quella di Clemente VII, si è veduta in occasioni, la quale parve, che volesse superare non solamente quella di Leone il suo diretto parente, ma di tutti i suoi Predecessori. Egli per accertarsi della verità delle Traslazioni spedì a Tersatto, ed a Nazaret, e trovata incontrastabile della verità, a perpetua memoria ordinò l’iscrizione da incidersi in marmo negli ornamenti esteriori delle S. Mura. Per le grandi cose ordinate, e fatte eseguire, per l’accrescimento de’ Privilegj, e conformazioni dell’Indulgenze, vien chiamato dagli storici Loretani, il gran Clemente. Paolo III nel 1535 arricchì il Santuario di nuove Indulgenze: fondò un Seminario di Giovani, che cantassero lodi alla gran Madre di Dio, e proseguì l’adornamento de’ marmi. Giulio III nel 1554 informato, che i Sacerdoti della Chiesa non erano sufficienti di numero per udire le Confessioni de’ Confluenti, e Pellegrini, commise a S. Ignazio Lojola, che mandasse a Loreto per aiuto di quelli alcuni soggetti della sua nuova Religione, ne spedì 14 che poi nel Pontificato di Paolo IV furono accresciuti fino a 32 fra i quali molti di diverse nazioni, tutti in qualità di Penitenzieri Pontifici, in luogo dei quali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù sono stati destinati li PP. Minori Conventuali. Pio IV fece collocare nelle Nicchie le Sibille, e i Profeti, accrescé li Sacerdoti, la fondò il Collegio della Penitenzierìa assegnandoli rendite assai con onore: confermò tutte le indulgenze: fondò il collegio lirico, le fece tradurre in otto le lingue la breve, ed antichissima Istoria della S. Casa dal Teremano, le quali poi furono incise in marmi, e disposte nei Pilastri delle Cappelle delle navate. Concedé ancora l’Altare privilegiato per i Defonti, con le stesse Indulgenze, e Privilegj di quelle di S. Gregorio di Roma; e finalmente nell’anno 1576 un plenissimo particolar Giubileo come il passato in Roma per quelli che visitassero la S. Casa. Clemente VIII, dopo aver conceduta Indulgenza Plenaria quotidiana perpetua fece porre la breve istoria della Traslazione ordinata da Clemente VII e permesse la celebrazione della festa della Traslazione ai 10 Dicembre. Paolo V con la sua celebre bolla di più confermò, erano rese chiarissimi i Privilegj Loretani. Fece inoltre innalzare due nobilissime Fontane, l’una nella Piazza del Tempio detta della Madonna, l’altra in quella di Porta Romana detta dei Galli ornate tutte di bronzi, e marmi. Urbano VIII riconfermò la festa della Traslazione ai 10 Dicembre con un Breve particolare nel 1632 dilatandola ancora tutta la Provincia della Marca. Innocenzo X l’Anno Santo 1650 dichiarò con sua Bolla non sospendere in modo alcuno le Indulgenze Lauretane, ma lasciarle nel loro pieno vigore. Alessandro VIII inviò donativi alla S. Casa, e particolarmente una coltre tessuta d’oro, la quale s’espone nella Vhiesa interiormente sopra la Porta maggiore nelle maggiori Solennità dell’anno. Clemente IX fece porre nel Martirologio Romano la festa della Traslazione al 10 Dicemb. Laireti in Piceno Translatio Almae Domus, in qua Verbum  caro factum estm etc.. Clemente X fece ripulire la Chiesa, edificare il Cimiterio, e racchiudere entro Armarj li nobilissimi Vasi della Spezieria di S. Casa.. E ancora nel pubblicare l’anno Santo 1675 dichiarò, e stabilì l’Indulgenze Loretane. Innocenzo VII approvò, e concesse la Messa propria, e  l’Offizio della Traslazione con la breve Istoria della medesima nella sesta lezione. Come ancora nella Bolla dell’erezione della nuova Congregazione Loretana nel Governo del Santuario invece del Protettore. E finalmente ampliò la stessa Messa, ed Offizio per la Provincia della Marca. Clemente XI mandò doni al Santuario, e particolarmente i sagri Arredi per accompagnare il Santissimo Viatico agl’Infermi, e concedé alla Città di Segna in Dalmazia l’Offizio, e la Messa della Traslazione per li 10 Maggio, e poi a tutta la Provincia di Carniola.

Benedetto XIII dopo aver dichiarato l’anno Santo 1725 stabilì le Indulgenze Loretane, concedé la Messa ed Offizio a tutto il Dominio Veneto, alla Dalmazia, ed allo stato Pontificio nel 1728, innalzò l’Insigne cattedrale di Loreto in Basilica, dandone ogni segno d’essa, cioè Chiavi, Confalone, e Campana come le Patriarcali di Roma. Clemente XII dilatò la Messa, e   l’Offizio della Traslazione al Dominio de’ Duchi di Parma, e Piacenza, poi a tutti i sudditi del Re Cattolico infino all’Indie. Benedetto XIV, oltre a molte grazie, o confermate, o concedute alle 10 Maggio 1750 aggiunse ancora il permesso di recitare, in giorno non impedito, una volta il mese nella Basilica l’Officio suddetto della Traslazione. Clemente XIII, che da Prelato, poi dal Cardinale sempre mai mostrò una tenerissima divozione a questo Santuario, col fare delle funzioni Episcopali, le Comunioni Generali, e l’assistenza alle Processioni, innalzato alla dignità Pontificia non ne mostrò minore col governo di esso, e col dono di un Calice d’oro, d’ammirabil lavoro di 8 libbre, e 3once insieme con la Patena dello stesso metallo: con ordine preciso, che se ne facesse uso per le principali solennità dell’anno, e per i Cardinali, che celebrano in S, Cappella, e per altri Sacerdoti riguardevoli.

CAPITOLO XVII

La S. CASA divotamente conservata.

Se ben si riflette a questa Sacros. Abitazione è impossibile, che naturalmente possa stare, e così reggersi per tanti secoli. Le di lei S. Mura non tirate e a perpendicolo, non eguali, e senza alcuna sorta di fondamento, usando solamente sopra del suolo, come anni sono nel rinnovarsi il pavimento fu veduto, minacciano ogni momento rovina. Fin d’allora, che ivi voti canadesi osservando le tali fabbricarono loro attorno un forte muro per sostenerle, ti dirò questo prodigiosamente allontanato in modo, che fra esso, e le S. Mura comodamente pronti a passare un Fanciullo, e conobbero, che l’unico sostegno loro, e difesa, era la Divina Onnipotenza, e lo stesso Dio, fra le quali s’era d’umana spoglia ammantato. Questa medesima Onnipotenza permette, e vuole le divisioni delle Sacre Reliquie degli stessi stromenti di sua Passione, perfino della sua Ss. Croce già divisa in particelle quasi infinite, che in altrettanti luoghi trasferite, e divise; solamente non è permesso mai, che qualunque particella di queste S. Pareti sia dal loro intero divisa. E se qualunque indotto da qualche umana permissione, o da qualche indiscreta di divozione abbisi osato di portar via qualche pezzetto, o miracolosamente da se stesso è tornato al suo luogo onde fu tolto, oppure a forza di infortunj e malori, è stato il delinquente forzato a riportarlo. Sono moltissimi casi succeduti in ogni tempo riferiti dagli Autori della Storia Loretana, e di quando in quando va succedendo fino al presente. Io per non partirmi dalla proposta brevità, ne riporterò qualcuno pigliato dagli Autori, qualcun altro succeduto al nostro tempo per avvertire gli Indiscreti divoti, e dimostrare insieme, che tuttavia la stessa Onnipotenza è quella che costantemente la conserva, e la difende.

     Monsignor Gio. Suarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, Uomo non meno in pietà, che in dottrina singolare, nel 1561 dovendo portarsi in Trento al Concilio, venne a visitare la S. Casa. Soddisfatta la divozione, ricercò una pietra delle S. Mura per spedirla in Portogallo, e qual Reliquia collocarla in una Cappella da dedicarsi nella sua Diocesi alla gran Madre di Dio. Avvertito della Scomunica, nella quale incorreva chiunque avesse tolta qualche cosa delle S. Mura senza replica si ripose in viaggio. Giunto in Trento ottenne segretamente dal pontefice Pio IV un Breve, col quale egli si concedeva il bramato intento. Per subito con questo al Loreto Francesco Stella Senese suo Cappellano. Quivi egli giunto non trovò alcuno dei sacerdoti ministri, né alcun altro, il quale ardisse dalle S. Pareti estrarre la pietra, talmente che per soddisfare il Padrone, egli stesso fu necessitato di estrarla alla presenza di molta gente mal soddisfatta. Dopo un lungo, e disastroso viaggio, in cui più d’una volta ebbe a lasciar la vita, giunto in Trento, consegnò al Vescovo la pietra estratta dalle S. Mura, che racchiusa in una cassa di argento, speravo in breve spedirla a Coimbra. Fù immediatamente assalito da febbre, e da dolori acerbissimi, che non permettevagli alcuna requie, nemmen col sonno. Dopo moltissimi rimedj, tutti inutili, convengono i Professori, che il male non sia naturale, e conseguentemente di alcun profitto la loro arte. Così abbandonato dai Medici il povero Prelato, oltre i dolori del corpo, gli si aggiungono timori e di inquietudini d’animo, che lo riducono all’estremo di sua vita. In tale stato ridotto dagli umani soccorsi isperimentati inutili, si passa ai divini, i quali non furono pochi tanti Padri, ed anime buone ivi adunate in quel tempo. Particolarmente fù fatto raccomandare alle orazioni, e digiuni di due Monasteri di Religiose celebri per Santità. Dopo due giorni la superiora di ciascun Monastero, fra loro assai lontano, manda al Vescovo questa concorde risposta: che se egli voleva recuperare la salute, rimandasse la Madonna di Loreto la sua pietra. Stupefattoli insieme col Stella, poiché fuori di loro due era la pietra tutti ignota, né in alcuna maniera appropriata persino Trento, riconobbe la cagione del suo male, e di vero cuore a Dio, e alla Vergine chiese perdono, e spedì subito lo stesso Stella a Loreto colla pietra, per farne prontissima restituzione. Il viaggio fu tutto affatto diverso dal primo, cioè questo felice, è breve. Giunto prima in Loreto fu dal Cairo, e dal popolo sì locale che forastiere tutti brillanti di divozione, e di gioja processionalmente incontrata la Sacra Reliquia, e ricevuta con sacra pompa, fu ricollocata al suo luogo. Ed acciocché  in avvenire fosse riconosciuta, per memoria le fu posto attorno una piccola lama di ferro. Confrontato poi  il tempo, e l’ora in cui fu riposta al suo luogo la pietra con la perfetta guarigione del Vescovo, fu trovata essere accaduta nello stesso momento. Lo Stella fece in  Loreto  l’esposizione del fatto: il Vescovo ristabilito in perfetta salute, mandò lettera al Governatore della S. Casa di proprio pugno, e questo mandolla allo stesso pontefice Pio IV. La copia di questa lettera in carta pergamena con cornice di legno dorato si conserva nella S. Casa entro l’Armario delle S. Scudelle vicino all’Altare a cornu Evangelii: e la detta pietra si fa osservare ai Pellegrini, e Divoti nel S. Muro a Mezzo Giorno, vicino al piccolo vuoto, ove si tengono l’ampolline per servizio delle Messe.

Nel 1585 un di Palermo venuto a questo Santuario portò via seco un pezzetto di pietra delle S. Mura. Tornato in Patria, fu assalito da una gravissima infermità, della quale, acciò fosse più palese la cagione, in quel tempo, in cui commise il delitto, ogni anno era più tormentato del solito, cioè nel mese di Settembre, e di Ottobre. Apparve il male sempre senza rimedio, perché ogni cura il medicamento era sempre inefficace. Raccomandossi infine alla Ss. Vergine, e gli sovvenne la pietra già tolta dalla di lei S. Casa. E a  tal memoria e riflesso provò primieraramente qualche scrupolo, indi a poco a poco un tal rimorso, che lo manifestò a un Sacerdote dopo lo spazio di venti anni. Fu da esso ammonito a rimandare profondamente la pietra, come cagione sicura del suo male. Profferite appena tali parole, come fossero state un supremo comandamento, l’atterrì in modo, che gli consegnò subito la pietra. Ricevutala con la venerazione dovuta, la portò al P.Provinciale dei Gesuiti, P. Gio. Battista Carminata, il quale la inviò a Roma al Cardinal Vastavillani Protettori all’ora del Santuario, con la relazione del fatto. Intanto l’Infermo, consegnata la pietra, fu rimesso nello stesso momento in salute. Il cardinale la spedì in Loreto al Governatore, ove giunta, dal medesimo, e dai Sacerdoti fù ricevuta, e con sacra pompa alla presenza di folto popolo, e di divoti Pellegrini portata nella S. Casa.

Quivi giunti i Sacerdoti non ebbero alcuna fatica di trovarle l’antico sito, dal quale, benché mancando da 20 anni, perché quasi additandolo Dio, subito si offerse ai loro sguardi; nel quale fu collocata. Le fu messo per memoria un grappetto di ferro, e si vede nel S. Muro, a Mezzo Giorno vicino alla Porta corrispondente al Coro, alto da terra circa 8 palmi.

     Nel 1595 essendo Governatore del Santuario Monsig. Gallo, un Gentiluomo Maceratese di casa Pellicani pigliò parimenti un pezzetto di pietra dalle S. Mura per tenerlo secco con venerazione. Involtolla in un pannolino, e giunto a casa la pose sotto chiave qual prezioso tesoro. Fu questo ancora assalito subito da grave, e pericolosa infermità non mai conosciuta dai Medici, nonché sollevata, anzi nel decorso di tempo abbandonata affatto. Solamente, come assai divoto della Ss. Vergine, di continuo se le raccomandava  nelle sue angustie. Ella un giorno finalmente gli ottenne lume di conoscere la cagione del suo male, che era la pietra tolta alle S. Mura della di lei S. Casa. Le ne domandò perdono, e promise farne una pronta restituzione. E in segno di ciò immediatamente fece aprire lo scrigno, ove l’aveva posta fra le sue cose più care, e preziose, e fattosi portare il pannolino ove era stata da lui avvolta, apertolo non vi trovò più la pietra. Pieno di stupore e rammarico insieme, chiese alla Vergine di nuovo perdono, e fece voto di quanto prima visitare la S. Casa. Ottenne subito la salute, e portossi a Loreto a soddisfare il voto, entrato nella S. Cappella osservò la pietra da lui tolta, ritornata prodigiosamente al suo luogo. Sorpreso da insolito stupore e tenerezza proruppe in dirotte lagrime e clamori, alle quali accorsi i Custodi della S. Cappella, raccontò loro il prodigio pubblicamente additando la pietra, alla quale, come all’altre, fu posto il segno di un grappetto di ferro per memoria. Questa  è nel S. Muro di Tramontana poco sotto i gradini dell’Altare, alta da terra cinque palmi in circa. Siccome delle pietre, così ancora della calce, con cui sono esse fermate, né a Dio una cura particolare. Un cittadino d’Alessandria di Dio poca calce delle S. Mura, e per maggiore venerazione la  racchiuse con un’Agnus in una piccola custodia d’argento. Giunto alla Patria la pose al collo della sua Moglie, non si sa per qual cagione. Ella subito si trovò invasata da Spiriti invernali, che continuamente la tormentavano. L’infelice Marito, non avvertendo la cagione, procurolle ogni rimedio, ma né Orazioni, né Esorcismi ottennero l’effetto. In tale stato fu la misera nove anni. Venuto in Alessandria il P. Battista Vannini della Compagnia di Gesù Predicatore Quaresimale, fu informato dallo stesso Marito dello stato della misera Moglie, il quale considerato l’jncominciamento dell’infortunio della sacra calce pigliata nel muri della S. Cappella, l’esortò a rimandarla a Loreto. Egli levata dal collo della Moglie la custodia ove era la calce, consegnolla immediatamente al P- suddetto, che la spedì al Loreto. Appena fatta la consegna gli Spiriti cominciarono ad obbedire agli Esorcismi, e giunta la calce in mano dei Custodi del Santuario, si trovo ella affatto libera.

     Due Sacerdoti Piacentini pigliarono poca calce delle S. Mura, furono da acuta febbre sorpresi, né mai poterono liberarsi, se non dopo fatta la restituzione, e così in molti altri casi succeduti, e che tuttora succedono: che se volessimo quì narrare i casi in questo particolare avvenuti, e riferiti dagli Autori, e quelli la memoria dei quali sono appresso, e i moderni, e gli antichi Custodi del Santuario, saremmo fuori del nostro proposito di brevità, e si potrebbero formare volumi. E perché non sembri a qualcuno i riferiti esser casi antichi, ne porterò altri pochi tra gli molti per disingannarlo.Un Uffiziale di Nazion Francese di profession militare, di indole franca, ed allegra ricevé lo l’involto con roba tolta dalle S. Mura, con avviso di consegnarlo subito ai Custodi. Egli in presenza d’un suo Amico Cittadino Lauretano incominciò a deridere la semplicità, l’idea, e la premura del suo corrispondente. Avvertito dall’Amico a farne subito la consegna fù ancor egli con maggior coraggio deriso, e riputato semplice e ridendo rispose, che quando non avesse avuto che fare, lo porterebbe nella Chiesa ai custodi. Poco dopo fu sorpreso la tal violente febbre, che ad un’ora di notte disperato dai Medici, fu sagramentato per Viatico. In quell’estremo ricordandosi dell’avvenimento dell’Amico fece consegnare al signor D, Stefano Belli allora Curato l’involto. Fra poco incominciò a migliorare: e la mattina trovossi in stato tale, che si portò nella S. Cappella a chiedere perdono alla Ss. Vergine, e a ringraziarla. Accadde nel 1754 ai 9 dicembre, che un Uomo, che  avea pigliato dalle S. Mura un piccolo sassolino mai poté veder la Porta, per uscir dalla Chiesa, benché gli fosse indicata, e sino a quella condotto, finché non restituì il Sassolino al Lampadaro Pietro Calvi, chìera nella Custodia in assenza dei Custodi. Un Padrone di Nave stato a Loreto, e pigliato un sassolino, mai poté partire dal Porto di Ancona se non fatta la restituzione. Ed il mirabile è, che viaggiando di conserva con altre Navi, tutte avevano vento, e partivano, solamente la sua era sempre senza vento. E questo è accaduto l’anno 1764, ed  il Sassolino fù portato ai Custodi dal signor d’Angelo Giorgi, che si trovava in Ancona. Da questi, e da moltissimi casi succeduti, e che tuttora succedono, avvertamo i divoti di non toccare cosa alcuna delle S. Mura, perché oltre la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici a questi tali, Dio è quello, che custodisce, e conserva qualsiasi minima particella di questa sua diletta Abitazione.

CAPITOLO XVIII. – Delle Cappellanìe, e Messe che si celebrano nella S. CASA, coi loro Fondatori.

L’Augustissima Casa d’Austria tiene un Cappellano con carico di dir Messa tutti i giorni per la famiglia Reale. \ La Serenissima Casa di Baviera tiene due Cappellani, con obbligazione di Messa quotidiana, ed oltre questi fa celebrare altra Messa quotidiana. \ Il Re delle due Sicilie tiene un Cappellano, con obbligo di dire la Messa ogni settimana, che prima era di fondazione della Serenissima Casa Farnese.

Il Re di Francia tiene un Cappellano, con obbligazione di una Messa quotidiana, due delle quali si celebrano all’Altare di S. Anna.

Ogni anno li 26 Agosto festa solenne in onore di S. Ludovico Re di Francia con assistenza del Capitolo, e Clero, Magistrato, due Cori di Musica, e sbaro dei cannoni ec. All’Altare della Ss. Annunziata, annesso alla S. Casa. Più, ogni 1 Sabbato del mese una Messa solenne in musica, con l’assistenza del Capitolo, e Clero, pel Re, e famiglia Reale. La Serenissima Repubblica di Venezia tiene un Cappellano, con obbligo di una Messa quotidiana. Più, 12 Messe cantate all’anno, una per ciascun mese, con l’assistenza del Capitolo, e clero. Francesco Maria Duca di Urbino lasciò una Messa quotidiana. Cosimo III, Granduca di Toscana lasciò per l’anima sua una messa quotidiana. Francesco Loredano Doge di Venezia. Una Messa quotidiana per l’anima sua. Margherita d’Austria, Duchessa di Parma, fondò per l’anima sua una Messa quotidiana. Dorotea Principessa di Lichtestein lasciò pure per l’anima sua una Messa quotidiana. L’eccelsa Casa Peretti lasciò una Messa quotidiana. L’Ill.mo Sig. Francesco Maria Onorati lasciò 10 Messe quotidiane per l’anima sua. E.mo Cardin. di Spagna Portocarrero, lasciò fondate 355 Messe all’anno per l’anima sua.

M. C. Re di Spagna mantiene un Cappellano Nazionale con obbligo di Messa quotidiana per sé, e sua Real famiglia. Nota. Altre diverse Cappellanìe si trovano, con l’obbligazione di celebrare per le Cappelle di questo Santuario, come per esempio: La Casa d’Arco una Messa quotidiana all’Altare della Ss. Annunziata. Ogni giorno una Messa per l’Ecc.ma Casa Vastavillani all’Altare della Ss. Concezione.

Ogni giorno due Messe pel  Cardinal di Gioiosa. Una Messa quotidiana per la Duchessa d’Arguillon, celebrata da un Sacerdote a sua nominazione. Ogni giorno due Messe pel fratello Luigi di S. Antonio Eremita di Besanzone, celebrate da due Cappellani. Cappellanìa, ossia Benefizio, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, col peso di una Messa ogni Settimana, e sei annue di requie all’Altare di Sant’Anna. L’elettorale Casa di Sassonia tiene un Cappellano continuo, con pingue assegnamento avendo questo l’obbligo della celebrazione di tre Messe la Settimana ec. Ed oltre lì sopra detti obblighi ve ne sono moltissimi altri quotidiani, mensuali, ed annuali, che per brevità si tralasciano.

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NUOVO, ED ESATTO C A T A L O G O DE PIU’ QUALIFICATI DONI CONSAGRATI TUTTI A MARIA VERGINE PER DIVOZIONE, O VOTO; Esistenti nel Tesoro della S. CASA, giusta l’ultimo, e accurato inventario dell’anno 1788, tralasciate le cose dei minor rilievo per brevità.

A MANO SINISTRA DEL TESORO. NUMERO I.

Una Canacca, o sia Fornimento da Cavallo, composto di 33 pezzi d’oro di getto smaltato verde al di fuori; ornato con rose di grosse perle, ed in mezzo, e ai lati contornato di rubini,e  smeraldi: dono della Principessa di Regozzi di Transilvania.

Una scatola grande rotonda aperta di oro smaltato a vari colori, sopra cui vi è un basso rilievo in una parte la casta Susanna, e dall’altra S. Giorgio a cavallo: dono del principe di Baden Baden Tedesco. Un pezzo di 9 Coralli ridotti a Camei legate in oro con perle; dono d’incognita Persona.

Un Cuore d’oro lasciato in dono dalle RR. Monache di Torre di Specchj di Roma nel 1765.

NUMERO II. – Una picciola Cassettina bislunga quadra composta di lastra d’argento variamente intagliato, e traforato con ovatini di lapislazzuli: dono del Sig. Andrea Gresti nel 1595.

Due vasi d’argento, ed un ramo di fiori dello stesso metallo, fra mezzo dati da coralli; dono del Principe di Avellino Napolitano.

NUMERO III. – Altro Ramo dei Fiori con suo vaso di argento: dono del suddetto Principe, ed ai lati due Ampolline parimenti di argento.

NUMERO IV. – Una corona di sette poste di grossi grani di adatta già signorina, frammezzo dati da grossi bottoni d’oro smaltato: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania.

Diverse altre Corone, due di grossi coralli, una framezzata da Bottoni d’oro, e l’altra con Coppette dello stesso getto; ed in fondo sopra Croce di Ebano,guernita bei 4 lati d’oro smaltato un Crocifisso di Corallo. Una di agata sardonica, e grossi niccoli bislunghi, a guisa di Olive, framezzati con grani minori tondi, guernita di coppette d’oro smaltato bianco. Due lapislazzuli orientali, una delle quali guernita di coppette d’oro smaltato, e medaglia d’oro appiedi; Aaltra di Diaspro marmorino, con medaglia d’oro rappresentante il P. Eterno da una parte, e dall’altra Innocenzo X, ma la medaglia è riposta al numero XX: donata dalla Contessa Chiara Pallavicini di Parma; e l’altra di Diaspro sanguigno con i Pater noster a forma di olive: altra di Corniola, e in mezzo una di giacinto orientale, tutta guernita d’oro, ed appiedi vi resta un Semibusto rappresentante San Pietro inciso parimenti in un giacinto; doni di diverse pie Persone.

Due Coretti d’oro; donati, uno dalle P. Generale de’ Minori Conventuali nel 1770, e l’altro dal Marchese Bandini di Camerino nel 1774.

S’ammira finalmente nel piano un Canopeo da Pisside di lametta d’argento,       ricamato in oro, e perle: donato dalla Sig. Barbara Coler di Mohrenfelt di Vienna d’Austria, 1761.

NUMERO V – Una Fortezza d’argento, rappresentante la torre di Vensenne, prigione di Stato presso Parigi: donata nel 1595 dal Principe di Conty della Casa Reale di Borbone, da cui fuggire, di libbre 200. Avanti, e intorno vi restano sei piante di città, e terre, lavorate il lastra di argento, che sono: Ascoli, Fermo, Recanati, Monte Santo, Castel-Fidardo, e Sarnano; dalle medesime donate.

NUMERO VI. – Altra canacca di minor grossezza di 67 pezzi simile alla prima già descritta al numero I, e della stessa Donatrice. Un Cuore d’oro: dono del Duca Grimaldi di Genova nel 1766. Un ritratto in lamina d’oro, rappresentante la Contessa Conversavano di Napoli, dalla medesima alla Vergine donato nel 1758.

NUMERO VII.- Un Presepio d’argento: donato dalla Contessa Dismieri di Torino. Una Corona reale d’argento con diverse pietre: donò la Confraternita di S, Monica di Fabriano.

NUMERO VIII. – Altra palma d’argento, col suo Vaso; dello stesso donatore Avellino.

NUMERO IX. – Alquante Medaglie d’oro 10 con l’Effigie di Urbano VIII, 4 con l’Effigie d’Alessandro VII e due altre una col Salvatore, e l’altra coll’Effigie di Innocenzo X donate dalla Principessa D. Costanza Barberini. Una Corona di 6 poste di agata zaffirina, con una Crocetta di oro, di rubini, e diamanti; dono del Sig. Giacomo Menardi Romano.

Una gargantiglia d’oro smaltato nero, composta di 27 diamanti quadri, con una Colomba in mezzo, che ha un diamante in petto a forma di cuore, con altri 4 piccioli: un pajo di Pendenti egualmente smaltati con 30 diamanti; dono della Sig. Marchesa Costacuti di Roma. – Un gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, in forma di Croce, contornato di 32 diamanti, e 10 perle: donò il Marchese Patrizj Corsini del 1690. – Due gioielli d’oro smaltati a vari colori, uno traforato a tre ordini ornato di 39 rubini, e l’altro tondo fatto a fiorami, con 57 diamanti: donati dal Ser.mo Duca Alberto di Baviera. Altro gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, traforato a due ordini, guernito di 64 diamanti, 5 de quali pendono a goccie: donato da una Dama Tedesca..

La Lettera A d’oro contornata di 14 diamanti, ed un Anello d’oro con grosso diamante: dono del Principe Ferdinando di Lobkovvitz duca di Sagan. – Altro giojello traforato a tre ordini d’oro smaltato a diversi colori a due facciate: Ora diviso in due parti, in una delle quali facciate nel mezzo vi sono due manine, tenenti un piccolo coretto coronato da 33 rubini, e 5 perle pendenti, e nell’altra vi è nel mezzo una Crocetta; tutto contornato di 53 diamanti: dono della Casa Doria. – Due Orologi d’oro, uno de’ quali con Cassa di Lapislazzalo guernito di diamanti: donati dal Duca di Gravina Napolitano. – Un’anello Cardinalizio d’oro con uno zaffiro ottangolare in mezzo: dono del Cardin. Sant’Onofrio Barberini. – Altro anello cardinalizio d’oro consimile. – Altro anello d’oro con 7 diamanti di fondo: donò la Duchessa Strozzi. – Un smeraldo lavorato alla Genevrina, ligato in oro, smaltato verde, in forma di Carafaggio: dono della Sig. Emilia Imperiali Genovese. – Un giojello ovato d’oro ornato di 25 diamanti, dono della principessa Ludovisi di Bologna. – Un orologio da petto di argento, dentro una grossa granata ligata in oro,       contornato di 29 rubini: dono del marchese Carlo Antonio Visconti Milanese. – Due anelli d’oro con due smeraldi quadri lunghi: dono di D. Gregorio Fabrizi Benefiziato di questa Basilica. – Una Croce da petto con suo nastro donata di 100 diamanti, e un paio di pendenti guerniti di 52 diamanti, ed un anello lavorato a rosetta con 11 diamanti: dono di Persona incognita. – Altra croce da petto, e 2 boccole d’oro, con 12 zaffiri, e 47 diamanti: dono della Princip. Di Santobuono Napolitana del 1749 – Un Tofon d’oro, con nastro, e fascetta, guernita di 3 diamanti quadri: dono del Principe Santacroce nel 1748. – Un giacinto bislungo ligato in oro: dono del Signore Giorgio Zagni Genovese. – Due anelli d’oro, uno con diamante quadro, e l’altro con 7 diamanti: donati dal Sig. Antonfrancesco Lauretani Preposto di S. Salvatore di Macerata. – Un anello d’oro con diamante quadro gruppito, rappresentante una sirena: dono del Sig, Carlo Chiacci di Cremona. – Altro anello d’oro con  hn smeraldo liscio, e nel cerchio sonovi nove diamanti: dono del Marchese Villa. – Altro anello d’oro, con smalto bianco, e un diamante rotondo in mezzo, ed altri 8 ai lati: dono del Sig. Giuseppe Giannini Genovese. – Altro anello d’oro con 7 diamanti: dono della Sig.  Angela Salicola di Bologna nel 1687. Altro anello d’oro chiamato Mariaggie, con diamanti, e rubini: dono della Principessa di Ardore Napolitana nel 1730. – Una Croce di Malta d’oro smaltato bianco; ed altre due di S. Stefano d’oro smaltato rosso; donate da divoti Cavalieri. – Il ritratto di Leopoldo I Imperadore in ismalto turchino lattato, e contornato di filograna d’oro.

NUMERO X. – Un ostensorio tutto d’argento sostenuto da due Angioletti, e nel mezzo un grosso topazzo orientale, incastrato in oro, con piede di getto triangolare: donato dalla Confraternita della Purità della Vita di Bologna. – Calici d’argento, con patene, uno contornato di 24 granate sardoniche fra grosse, e piccole legate in oro; ella altro tutto dorato guernito con 5 pietre verdi: donati da pie Persone.

Due puttini d’argento, uno simile all’altro: donati dalla Sig. Ortensia Manfroni Bernini.

NUMERO XI. – Un Bambin Gesù di statura naturale, con 3 chiodi in una mano, e la corona di spine nell’altra, posto sovra piedistallo il tutto d’argento: dono del Marchese Roberto Capponi di Firenze nel 1623.

NUMERO XII. – Uno scrigno quadro bislungo d’Ebano con ispecchi, e colonnette scanalate di cristal di monte, con incassatura, capitelli, e basi d’oro, contornato di circa 70 camei antichi, 48 rubini, e 42 grossi smeraldi su fregj d’oro smaltato a varj colori, e nel fondo dell’interno è tutto ricoperto di lastra d’oro intagliata a fogliami, intarsiata di lapislazzuli a varie forme di fiori, con in mezzo un quadrello bislungo, composto di varie preziose pietre orientali riportate a guisa di Mosaico, rappresentanti pure diversi fiori: dono di D Cristina Gran Duch. di Toscana. – Una Croce di cristal di monte con Crocifisso d’argento dorato, guernita  all’intorno di vari ornamenti, e fogliami parimenti d’argento dorato, traforato con ovatini di lapislazzuli, e calcidonia orientali, con piedistallo d’Ebano. Due Candelieri compagni alla detta Croce incassati in Ebano, guerniti di varj ornamenti d’oro smaltato, e perle. Una Calderuola, un Aspersorio, e di un pajo di Ampolline similmente di cristal di monte, con un ornamento d’oro smaltato a più colori: dono del Cardinal Mandruzzi. – Altra Croce composta di tavolette di lapislazzoli incastrate in Ebano, e guarnita di grossi topazi. Il piedistallo è tutto di Ebano con varj quadrelli formati di diaspro orientale, lapislazzoli, agata, e diaspro siciliano: dono del Principe D. Carlo Barberini. – Altra Croce composta di 4 pezzi eguali di diaspro orientale, con riporti, e fornìmenti d’oro smaltato turchino, e sopravi rubini, spinelli, e garantine sardoniche, con piede di cristal di monte: donata da un Duca di Baviera. – Un picciolo Quadro rappresentante in bassorilievo la Vergine Addolorata, la quale è composta di varie pietre orientali, cioè: di diaspro marmorino nel piano, di agata, alabastro, lapislazzoli, e diaspro sanguigno di Boemia nell’Immagine, e di diaspro verde il Tavolino, dove essa si appoggia, con cornice di Ebano: dono della Sig. Isabella Morroni Mantovana. – Una Corona, o sia Rosario di ambra gialla, donata dalla Sig. Rosa Masorini di Vico. – Un grosso pezzo di Corallo, che si divide in due rami, con piedistallo di argento. – Altro ramo di Corallo incassato in una gamba d’Aquila d’argento di getto, appoggiata su base tonda pure d’argento, doni di pie Persone. – Una Croce di cristal di monte con Crocifisso di getto, e ornamenti, e sovrapposti il tutto d’oro; Due Candelieri, e Ampolline simili ugualmente guernite d’oro, fù dono del Cardinale di Lorena. – Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso, guernita d’argento, con base ovata, la donò il Cardin. d’Aragona. – Altra di cristal di monte con varj fornimenti. Una Pisside simile guernita di oro smaltato a varj colori, e tre Candelieri: dono della Duchessa Virginia Savelli Romana. – Altra simile di cristallo di monte con Crocifisso, e varj ornamenti d’argento di getto dorato. Due Candelieri, una Calderuola con Aspersorio, una Bacinella, e due Ampolline della stessa materia, dono di un Duca di Mantova. – Un bacile il grande con vaso d’argento dorato: dono di D. Pietro colonna a parte del monastero di casa Nova, ma il vaso è riposto al numero XXVIII. – Una picciola Fruttiera ovata d’argento dorato, ed intagliato a fogliami, e nei trafori guernita di fiori, e fogliami di corallo, con contorno a pizzetto, similmente d’argento dorato, traforato, smaltato bianco, e turchino, con rosette di corallo, dono di pia Persona. Altre due Fruttiere di grossa lastra d’argento dorato e traforata, ed in mezzo un grosso riporto tondo della stessa lastra smaltata turchino, ed altri simili riporti di ovatini egualmente smaltati: furono donate dal commendatore Pietro Colonna nel 1641. – Una Lampada di ambra gialla, incastrata in argento dorato: fu donata da Mons. Vescovo di Sammogizia. – Altra lampada di cristal di monte lavorata a fogliami con cerchio d’argento dorato, e 4 teste di Cherubini d’oro di getto smaltato a varj colori: la donò

una divota Persona. – Una Tazza in forma di Conchiglia, con collo, e testa di drago, e piede tondo, il tutto di agata orientale contornato di oro smaltato a diversi colori: dono del Duca di Pezzi nel 1572. – Altra Tazza tonda con sua base di agata orientale, con cerchio d’oro smaltato bianco, e nero: donata dal Marchese di Sila. – Una Croce di ambra gialla, con Crocifisso, ed ornamento alle estremità di ambra bianca, un calice, e Statuette con Candelieri compagni alla detta Croce, dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Oltrog. – Due statue d’alabastro; una rappresentante la Santissima concezione di M.V. con piedistallo della stessa materia, e l’altra rappresentante S. Agata ligata ad un Tronco; donate da pie Persone. –

NUMERO XIII – Due collane d’oro smaltato, e ornate di varie figure di smalto al rilievo; la maggiore composta di 19 castone, con 18 grossi diamanti, e l’altra di 15 castoni, con 30 rubini; donate dal principe D. Giovanni d’Austria. – Una Corona di lapislazzoli di 6 poste, con coppette d’oro smaltato turchino; e bianco; ai lati d’ogni Patee noster sonovi tramezzini contornati di 187  piccioli diamantini; ed  appiedi vi è un giojello in forma di Stella, osservandosi, da una parte l’effigie di S. Giuseppe, e dall’altra quella della Maddalena in ismalto miniate, contornato da 60 diamanti: la donò una Persona incognita. – Un giojello d’oro smaltato verde, e rosso, che figura una Corona di Spine; nel mezzo ha una Colonna, ed appiedi un picciolo giojelletto pendente fatto a spighetta, tutto da 107 diamanti contornato: donato dal Principe di Castelforte. – Una Pace d’oro smaltato a diversi colori, con in mezzo una Croce formata da 7 diamanti, e 18 grosse perle: donata da pia Persona.  – Una Collana d’oro smaltato bianco, e nero, composta di 40 castoncini: nel mezzo pende una rosetta smaltata, e di appiedi una Colomba d’oro smaltato, tutta contornata di 54 rubini: la donò la Sig. Giulia Vitale da Trieste. – Una croce da petto d’argento dorato, guernita di 25 diamanti, e 19 granate balasce, dono del Sig. Giuseppe Borghini. – Un Ordine Capitolare d’oro, che nel mezzo ha l’effigie della B. V. , Tutto tempestato di 98 diamanti, due grosse amatissime, ed una perla a goccia appiedi: donato la sua Altezza Ludovico Giuseppe Vescovo di Trifingen, e Principe del S. R. I. Nel 1770. – Un giojello d’oro in forma di mezza luna, nel mezzo vi è una Stella, e sopra di essa un Giove smaltato bianco sedente ad un‘Aquila smaltata verde;guernito di 60 diamanti, e  3 grosse perle pendenti fatte a pere: dono della Principessa Donna Costanza Barberini. – Un Tofone con suo nastro d’oro smaltato rosso, e turchino, dono del Principe Santa Croce nel 1748. – Una Croce di Cavaliere di Malta d’oro con 49 diamanti; fù donata dal Commendatore Martorelli nel 1712. – Un giojello con suo nastro d’oro smaltato bianco, e nero, ed in mezzo ha una Crocetta d’oro smaltato verde, tempestato di 178 amatiste: dono del Sig. D. Ferdinando Gaetani Palermitano nel 1687. – Un’Aquila d’oro contornata di 26 rubini,4 smeraldi, e 7 perle pendenti: dono, e lavoro del Granduca Francesco I di Toscana. – Un Fiore dorato tempestato di perle, e pietre di colori diversi, e nel mezzo un Nettuno, col Delfino appiedi: dono della Principessa Stabilcolonna di Roma. – Un Ordine di S. Jaco d’oro con suo nastro, e Croce di S. Giacomo in smalto rosso in campo di smalto giallo; tutto contornato di 63 diamanti, e 30 topazi gialli, dono della Sig. Francesca Riva Belliseo Verach Spagunola. – Un Quadrettino incassato d’oro smaltato con cristallo, e pittura rappresentante S. Cecilia giacente moribonda: dono di Persona divota.

NUMERO XIV. – Un Ostensorio d’argento fatto a Tronco, composto a tre ordini in figura di nubi, dalle quali escono raggi, Cherubini, spighe, e grappoli d’uva, simboli tutti del Divinissimo Sacramento, ornati di molti smeraldi, topazi, perle, giacinti, e granate: dono di D. Dorotea di Neoburgo Duchessa di Parma. – Due Calici con Patene d’argento, e con Coppe dorate di singolar lavoro: donati da pia Persona.

NUMERO XV, – Un Fanciullo d’argento di statura naturale simile al primo già descritto al numero XI dello stesso donatore. –

NUMERO XVI. – Un Piliale, una pianeta, due tomicelle, due manipoli, una borsa, un messale, e un palliotto di teletta bianca di argento a fiori, e fogliami d’oro a Coralli: dono del Principe di Avellino Napolitano. – Una Lampada,  Lampadino d’argento dorato ornata di coralli: fù dono del Principe di Castelforte. – Un Calice, e a Patena d’argento dorato, tutto contornato di coralli; molti di essi sono ridotti a camei, rappresentanti vari Semibusti, e le Teste di Cherubini: lo donò il P. Vincenzo Bartoli di Firenze della Congregazione di San Filippo di Recanati, dopo averci celebrato il suo Sagrificio nella S. cappella di 12 agosto 1791. – Un Camice di Pietra detto Amianto lavorato a tela, con cingolo, ricamo, e il merletto appiedi di seta; fu donato da Persona incognita.

NUMERO XVII. –  Una Gioia grande d’oro in forma di Stella, tempestata di 8 diamanti, 10 rubini, 16 girasoli, 36 grosse perle, ed un Cuor d’oro nel mezzo smaltato rosso, guernito di un grosso smeraldo, 9 diamanti, 6 rubini, e questa iscrizione: Ludovica Enrici III Galliae et Poloniae Regis Uxor 1598. – Altro giojello d’oro smaltato a diversi colori a guisa d’Arma coronato, e tempestato di 29 diamanti; donato dal Prior Savelli Romano. – Altro giojello d’oro o in forma di rosa alquanto smaltato bianco, e turchino, con un castone in mezzo a guisa di Stella, ornato di 25 diamanti: dono del Sig. Procchieri Perugino. – Una Collana d’oro smaltato bianco, e rosso, composta di 32 castoni tutti rilevati; ed ornati di 20 grossi diamanti quadri di fondo, ed altri 16 di minor grossezza, 20 grossi rubini, e 40 grosse perle, e appieni di è appeso il Toson d’oro di getto, a cui succede altra minor Collana dello stesso metallo smaltato a diversi colori di 25 castoni,9 de’ quali hanno ciascuno in mezzo un diamante, altri 11 hanno in mezzo un rubino in quadro, e nel maggiore esistono intorno 4 rubini, e li altri 4 hanno in mezzo un zaffiro turchino; i quali castori poi, con i 100 alamari d’oro di getto smaltati a più colori, che hanno per cadauno di essi tre grosse perle a sedere, sono gaiamente distribuiti parte in varie Stelle, e parte in altri diversi modi; il tutto è dono del Re Cattolico Filippo IV. Ed appiedi una gargantiglia d’oro smaltato bianco, e nero, consistente in 15 pezzi insieme concatenati con 38 perle, 11 delle quali sono fisse ad una per pezzo, e le altre 27 pendenti: dono di Persona incognita.

NUMERO XVIII – Un Ostensorio d’oro con l’impugnatura, rappresentante S. Francesco d’Assisi, all’intorno contornato viene da picciole figure di basso rilievo, smaltato a vari colori, che rappresentano gli Evangelisti, con diversi Angioli, guernito di 109 diamanti, 386 rubini, 11 smeraldi, 2 perle,2 zaffiri, e di una grossa granata orientale: dono del generale conte Melchiorre Halzfeldt. – Un Calice; e Patena d’oro, guernito di un diamante cedrino,3 tre grossi rubini, e da altri 16 di minor grossezza, uno smeraldo, ed uno zaffiro orientale turchino: dono di un Vescovo Polacco.  – Altro Calice che ha la Coppa, e sottocoppa d’oro di getto con sua Patena, con bassi rilievi, che rappresentano vari Misterj della Passione: dono d’una pia Persona. – Altro calice, e Patena d’oro con piede di cristallo di monte: dono del Cardinale di Lorena. – Altro Calice, e Patena d’argento dorato, traforato, ed ornato di varie pietre: dono di Persona divota. Un Cuore d’oro, da una parte nel mezzo vi è intagliata l’Arme, e il Nome del Duca di Beaurillier, detto S. Agnan, e dall’altra il millesimo, cioè: A. D. MDCCXII.

NUMERO XIX. – Una Statua d’argento di getto, che rappresenta la Ss, Vergine, col bambino: fù dono di Ludovico Perochel Senatore della Suprema Curia di Parigi, di peso libre 21, ed un’oncia.

NUMERO XX. – Un Sopralegivo, un Velo da Calice, due Stole, un Manipolo, due Cuscini da Altare, e una Coperta da Messale di teletta d’argento a fiori, e fogliami d’oro, e coralli: pure dono del Principe di Avellino. – Un Martello, e una Cucchiara, parte di getto, e di lastra d’argento, con vari ornamenti di basso rilievo, che servirono per la Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore nell’Anno del Giubileo 1725, è dono del Cardinale Pietro Ottoboni. – Bacile grandetondo con suo vaso, e due sottocoppe di grossa lastra d’argento dorato, e cesellato a varj fogliami, e fiori, con diversi riporti, e castoni d’oro smaltato giallo, verde, turchino, e bianco; tutto contornato di gioje, cioè 29 diamanti, 99 rubini, 16 smeraldi, e nel mezzo di esso Bacile un grosso zaffiro turchino orientale: dono del Cardinale Vidoni; ma il vaso, e sottocoppe esistono al N. XXVIII.- Una Carta di Gloria, con cornice di argento in parte dorato, intarsiata di lapislazzoli orientali con vari riporti di lastra d’argento lavorata a faccette, rappresentanti in ciascun dei lati di essa Cornice diverse Immagini, e Serafini; all’intorno guarnita da grossi topazi, grosse pietre di color d’acqua marina, granate, e turchina; al di sopra nel mezzo ha un’Arme che rappresenta una Croce con lettere ai lati, R; S: N: con testa di S. Gio. Battista a’ piedi,  e 6 Palle, la prima è di lapislazzolo orientale, 4 sono di granate grezzi, e l’altra appiedi di cristallo faccettato, e tinto rosso; fu donata dalla Compagnia della Misericordia di Livorno nel 1647. – Un Calice, e Patena d’oro, ornato con teste di Cherubini in basso rilievo, e nel piede tre statuette rappresentanti la Ss.Vergine assisa sopra la S. Casa, col Bambino in braccio, S. Giuseppe, e S. Gio. Battista, e sottopiede in lastra d’oro riportata e intagliata l’Arme di D. Enrica Caraccioli Principessa di Ardore di cui è dono, di peso di libbre 5, oncia una, e mezza nel 1733. – Un Ostensorio grande d’argento quasi tutto dorato, ed in parte contornato di lastra d’argento lavorata a fogliami di basso rilievo; contornato di 24 pietre verdi, e nel mezzo due cristalli grandi di monte, con Angioletti di getto all’intorno, e due dentro che sostengono la lunetta, ed altri 2 Angioli grandi appiedi genuflessi, che servono di sostegno: dono dell’Ecc.mo Raniero Zeno Ambasciadore Venez. nel 1621. – Altro Calice, e Patena d’argento dorato smaltato a colori varj, contornato di 356 granate sardoniche ligate in oro; dono di pia Persona. – Altro Calice, e Patena d’oro smaltato a più colori, all’intorno guarnito de 35 diamanti di fondo, e 69 rubini: donato dall’Imperatore Ferdinando II. – Una Pisside d’oro intagliata a basso rilievo di singolar lavoro, rappresentante un Mappamondo con tutta la descrizione del Zodiaco, che posa sopra la testa di un Angiolo sostenuto in piedi da base di nubi con varie teste di Cherubini; il tutto di argento di getto dorato: dono di D. Rodrigo Antonio Guimareus della Città di Porto in Portogallo nel 1791. – Un Ostensorio Ambrosiano di cristal di monte con dentro una lunetta guernita di granate sardoniche, sostenuta da due Angioletti d’argento di getto dorato, e fra mezzo di essi pende un grosso topazzo obbligato a giorno, ed altro simile incassato  a capo del coperchio; all’intorno è ugualmente ornato di altre granate quadre sardoniche ligate in argento dorato, con base dello stesso metallo: dono della duchessa Savelli Romana. – Un Calice, e Patena d’oro con varie figure di alto e basso rilievo. Appiedi di esso sonovi tre statuette che rappresentano le tre teologali virtù: fu un dono di Clemente XIII Rezzonico, li lib. 8, onc, 7, e 6 ott. – Una Custodia, ossia Pisside con coperchio di cristal di monte, ligato in oro smaltato a varj colori, contornato di 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle; ed a capo un Angioletto d’oro con giglio composto di 5 diamanti: La Coppa poi è di lapislazzolo orientale, con coperchio in manico d’oro smaltato a colori diversi, varie figurine  smaltate bianche, e festoncini d’intorno, con 4 diamanti, 4 rubini, e 6 perle, con base di diaspro orientale, il cerchio, e li tre piedi parimenti d’oro smaltato a più colori in forma di Satiretti, similmente smaltati bianchi, con 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle, e sotto la detta base è posto in lastra d’oro il seguente motto: Ut quae tuae prole tuae Mundum beasti == Et Regnum, et Regem prole beate velis == Henricus III Francorum et Poloniae Rex Christianissimus MDLXXXIV. – Un pezzo di miniera d’argento che al naturale forma un Cagnolino, tal quale è stato trovato nella miniera: mandato da una Signora del Messico del 1769. – Un Tavolinetto d’argento in parte dorato, il di cui piano viene formato da un grosso topazzo ligato a giorno, ed un altro di minor grossezza pendente appiedi; contornato di 27 smeraldi parte all’intorno, e parte a goccia: Dal suo contorno spunta una rama di argento smaltato verde con 5 smeraldi cadenti a pioggia sopra un Cocchio tirato da Cavalli, con dentro una figurina, ed altre picciol d’intorno, il tutto di Corallo: dono di Francesco Pagani Spagnuolo nel 1771. – Una Metà, ossia Fondo di Conchiglia, con 3 perle attaccate, una delle quali è      alquanto grossa: donata dal Nobil Gio. Battista Pecorini Veneziano. – Un gioiello d’oro di getto smaltato a vari colori, con sua catenella ornata di 6 rubini, fatto a mezza luna guernita di 6 smeraldi, due altri grossi a’ lati di esso, ed altro simile appiedi con  3 grosse perle; nel mezzo voi sonovi 8 otto rubini, e varie figurine all’intorno di basso rilievo. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a diversi colori, rappresentante la resurrezione con il Salvatore in mezzo circondato da un arco, in cui sonovi 6 diamanti, 10 rubini, 2 smeraldi, 2 perle a’ lati, ed una appiedi. Un Cappio d’oro smaltato nero, ornato da 4 diamanti, 4 rubini, 4 perle a’ lati, e un rubino basso, ossia giacinto in mezzo. Altro simile contornato di 8 rubini, 4 perle a’ lati, ed un grosso smeraldo in mezzo. Un giojello d’oro smaltato a più colori, rappresentante nel mezzo Gallo ornato di rubini, smeraldi, e perle. Una Pietra a Cameo, con figura che abbraccia una Croce, contornata di oro smaltato con due figurine, e teste di Cherubini. Altri quattro piccioli giojelli d’oro smaltato a diversi colori, con varie gioje. Sedici rosette d’oro di getto smaltato a varj colori tutte guernite di perle, ed altre 7 con diamanti, e turchino, ed una Lingua d’oro, e sua catenella dello stesso metallo, con 3 rubini della A. A. R. R. Della gran arciduchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria: il tutto è suo dono. – Da due catenelle, e festoncino a rosetta d’oro, pende un Drago dello stesso metallo tutto di getto smaltato a più colori, guernito viene da 32 diamanti, 22 rubini, 28 smeraldi, ed una grossa perla tonda a piedi; dono di un Duca di Baviera. – Un Nettuno d’oro di getto coronato di frondi smaltate verdì, guernito di diamanti, col Tridente nella destra, e Scudo d’oro alla sinistra, che ha in mezzo una grossa perla a sedere, con sopra un diamante, con banda, e manto smaltato rosso, stando con il ginocchio sinistro sopra una testudine e al di sopra è formata da una grossa perla ovata a sedere, e il rimanente d’oro smaltato verde, ed il piede destro fra mezzo a due Delfini che restano al di sotto similmente d’oro smaltato bianco, ed alquanto rosso, imbrigliati a doppio filo d’oro con madreperla a’ loro lati, e in testa hanno un diamante per ciascuno: dono di una Principessa incognita Napolitana del 1717. – Un Vaso, ossia Bronzino d’argento dorato, ornato di 23 intarsiature di lapislazzoli, con 57 riporti d’oro ingioiellata di 67 rubini; dono del Marchese Olivares Spagnolo, sopra di esso posa un Pozzo d’oro smaltato a colori vari, sostenuto da 4 Palle di agata sardonica, nella base resta di Salvatore, col la Samaritana,  all’intorno viene guernito da amatiste, con l’iscrizione: Mulier da mihi bibere. Nella bocca di esso sonovi due Colonnette di Corniola, che sostengono una Corona, con due Secchj di Corniola ligati in oro, contornato viene ancora da 44 rubini, 12 turchine, e 92 perle; lo donò il cardinal Brancacci. – Un pezzo d’oro oro rozzo estratto dalle miniere del Brasile: fu donato da un ambasciatore straordinario di Portogallo nel 1716. Pesaonce 10 ed un’ottava.- Una picciola Galera tutta di oro smaltato a più colori, guernita di 10 diamanti quadri, 2 grossi zaffiri bianchi quadri di fondo, posti l’uno per bandiera, e 6 perle; dono della Principessa Maria Cristina di Mansfele. – Una grossa Pietra ovata di Belzuar, ligata in oro smaltato a vari colori, e contornata di 12 smeraldi tondi, grezzi: la portò il P. Alfonso Messia al Perù, di cui è dono.

NUMERO XXI. – Una Collana d’oro composta di 36 pezzi traforati, e smaltati bianchi, in neri, infilati in giro, i quali sono guerniti di 610 diamanti; donata dall’Elettore di Colonia il Bavaro. – Altra minor Collana d’oro composta di 36 pezzi smaltati a diversi colori, 19 di essi sono guerniti di amatiste, e gli altri di rubinetti, frammezzo dati da perline, e in mezzo vi è un picciolo giojello tondo smaltato, contornato di amatiste, e rubinetti: dono della Marchesa Negroni Imperiali di Genova. – Un Ordine d’oro smaltato bianco, nero, rosso, con 3 alamari, 2 nastri, o nodi passanti, una fiamma, e tofone appiedi tutto ornato di gioje, cioè, 386 diamanti, 11 grossi smeraldi, ed altri 131 di minor grossezza, 48 rubini: dono del Duca di Madalona D, Domenico Caraffa del 1686. – Una Croce d’argento traforato, guernita di 7 grossi smeraldi quadri di color per effetto ligati in oro, con 40 diamanti quadri brillanti all’intorno; dono del Cardinale dì Altan Tedesco. – Una fermezza da maniglione d’oro smaltato bianco, nero, verde, con in mezzo un grosso smeraldo bislungo di perfettissimo colore, ed intorno guernita di 14 diamanti tondi; dono della Duchessa Gaetani Romana del 1774. – Un anello d’oro smaltato nero con un grosso smeraldo quadro in mezzo, e 3 diamanti per ciascun lato; dono del Cardinale Mellini. – Una Croce d’argento traforato con sua attaccaglia di doppio anello con grosso filo d’oro, con 7 grossi smeraldi brillantati ligati in oro, e 18 diamanti ligati in argento parte nei raggi, e parte all’intorno di essa; dono di Monsignor Francesco Onofrio Hodierna Napolitano nel 1736. – Una Croce d’oro con  6 smeraldi disposti anch’essi in Croce, e contornata di 16 diamanti, dono di Monsignor Paolucci già Vescovo di Ferrara, e il Nunzio Straordinario di Polonia nel 1698. – Altra Croce d’oro smaltato a varij colori, composta di 9 smeraldi, e 22 diamanti, 3 de’ quali formano i 3 chiodi distribuiti in due bracci, e nel tronco; dono dell’Ab. Ettore Riccardi Toledano. – Altra croce d’oro di getto smaltato a colori diversi, al disotto una rosetta punteggiata bianca, con iscrizione: Virgini Lauretanae 1572. Alexander Riarius. Davanti è guarnita di 6 smeraldi, un rubinetto appiedi di essa Croce,e 7 perle, 4 delle quali restano fermate ai lati, e 3 pendono ai bracci, e nel piede. – Una Croce di argento traforato, pendente da un passante fatto a fiore, con un appio similmente d’argento, il tutto è contornato da 38 diamanti, e 20 – smeraldi ligati in oro. Un paio di pendenti d’argento traforato, ornati di diamanti, e smeraldi, ed un giojello bislungo pur d’argento traforato, tempestato di smeraldi, e diamanti; il tutto donato dalla Principessa di Castellaneta nel 1741. – Un’anello d’oro traforato nei lati, con un smeraldo quadro bislungo in mezzo, attorniato da 12 diamanti brillantati ligati in argento, dono di sua Eccell, Francesca Filingeri Duchessa di Piselli nel 1763. – Altro anello d’oro, ossia Rosetta traforata nei lati, e nel mezzo ha un grosso smeraldo ottangolare, contornato da 18 diamanti ligati in argento; dono della Principessa della Riccia Napolitana del 1774. – Un’Alamaro d’argento con una Rosa in mezzo, tutto guernito di 68 diamanti, e 9 smeraldi: dono del Principe Dietrichstein. – Una Croce d’oro di getto smaltato a colori vari, con 7 smeraldi bislunghi, 2 perle pendenti ai lati, ed una appiedi. Un’anello con grosso castone d’oro smaltato, che ha in mezzo un grosso smeraldo: dono di un Duca di Baviera. – Una Croce d’oro ornata di smeraldi: donata dalla Co: Paravicini di Milano nel 1688. – Altra Croce d’oro con pizzetto all’interno smaltato a più colori, ed a capo un Cappio d’oro traforato, il tutto ornato di 19 smeraldi; dono del Sig. Antonio Conti di Ferrara. – Altra Croce d’oro contornata di 12 smeraldi: dono di una pia Persona Polacca  – Altra Croce d’oro di getto smaltato a varj colori, composta di 7 grossi smeraldi; dono di un Vescovo Polacco nel 1461. – Finalmente osserva si una grossa croce d’oro di getto smaltato a più colori, intagliata all’intorno a fogliami con vari uccelli, composta di 8 grossi smeraldi di Roccavecchia di forme diverse, e al di sopra un’Anello d’oro Episcopale, con un grosso smeraldo quadro bislungo pur grezzo ligato a giorno; dono del Card. Sfondrati Milanese Nipote di Gregorio XIV.

NUMERO XXII. – Un’Ostensorio d’argento dorato, guernito all’intorno di 130 diamanti, 14 rubini, e 140 perle; lo donò. Ludovico Mercatelli Priore della Cattedrale di Jesi nel 1737. – Un Calice d’argento dorato con Patena d’oro, all’intorno ornato di castoni, e fogliami d’oro smaltato a diversi colori, parte di essi e con zaffiri ottangolari bislunghi orientali, e parte con perle: dono di un Duca di Mantova. – Altro Calice e Patena d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra d’argento cesellato a fogliami, con 3 Cherubini: dono di benigna Persona. – Due Calici d’argento con Patene dorate: donati da pie Persone.

NUMERO XXIII. – Una Statua d’argento di getto rappresentante la Vergine col Bambino, con Corona di lastra d’argento in capo, Scettro dello stesso metallo nella destra, e nella sinistra il Bambino con Diadema in testa, tenendo un Globo del braccio sinistro, mezza Luna appiedi, ed all’intorno è circondata da raggi parimenti di lastra d’argento dorato: fù donata dalla Città di Fossombrone nel 1660, di peso libre 19, ed un’oncia.

NUMERO XXIV. – Una lampada con  3 catene, composte ognuna di 5 gigli, e 5 stelle d’oro di  getto, guernito ogni giglio di 5 diamanti, ed i 7 rubini quadri ogni stella, le quali restano fermate in 3 rami di lastra pur d’oro terminanti ciascuno in una Stella di più raggi dello stesso metallo di getto, con in mezzo una grossa perla, i quali disposti a triangolo sostengono, ed abbracciano al di dentro una Corona Reale con raggi similmente d’oro traforato, smaltato a diversi colori, e sopra di essa Corona altra simile assai più piccola, che ha dentro un Lampadino di cristal di monte. Le descritte Corone sono all’intorno tempestate di preziose gemme, più, e nemmeno grosse, che restano gaiamente distribuiti in varie foggie, cioè: di 153 diamanti, 110 rubini, 281 perle, 51 smeraldi, 17 o quali, 4 zaffiri,2 granate, e un giacinto orientale. Sotto puoi le medesime restavi annessa una Colomba d’oro di getto smaltato bianco, e negli occhi, e piedini smaltata di altri propri rispettivi colori, nel ne contiene un ramoscello d’olivo smaltato verde, nelle fronti è ornato di 8 smeraldi disposti a guisa d’olive, e in petto a un grosso smeraldo quadro bislungo intagliato colle Arme, e di iscrizione del principe D, Camillo Panfily Donatore, Nipote di Innocenzo X. Pesa libbre 11, e un’oncia. – Un Cerchio d’oro fatto a rosetta contornato di 18 rubini, pendono 3 catene dello stesso metallo unite ad un Cuore grande aperto di lamina d’oro tutto tempestato di diamanti, e rubini: dono del Serenissimo Duca Massimiliano Filippo di Baviera nel 1683. – La veste della S. Immagine di velluto paonazzo, ornata di 16 listre di 4 fiorami a tutto ricamo di perle tonde picciole, e grosse, di lustrini, filo, e francia d’oro appiedi: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania. – Palliotto di teletta d’argento turchino tutto tempestato di perle tonde orientali, picciole,  mezzane, grosse, fascette, e mezze lune d’oro di getto smaltato bianco, ornati tutti di diamanti quadri, e triangolari, e fregio appiedi lavorato a fogliami similmente di perle tonde di varia grandezza, con rosette, e castoni d’oro di getto, pur smaltato bianco, guerniti di diamanti: donò I’Infanta di Spagna, Moglie dell’Arciduca Alberto. –  Una corona reale di lastra d’oro cesellata, composta di 8 raggi, 4 maggiori, e 4

      minori, al di sopra a un picciolo cerchietto d’oro di lastrina d’oro, contornato      di 12 Stelle dello stesso metallo, all’intorno guernito di rubini, zaffiri bianchi      quadri orientali, e perle donata dal cavaliere Wincislao Brizia di Trevigi nel      1608.

Una Statuetta d’argento rappresentante la Ss.Vergine in piedi, col Bambino      nella sinistra, e lo scettro dorato nella destra, con Corona in testa, e raggi      all’intorno: dono di pia Persona.

 Una Fruttiera tutta d’argento di getto traforato, e tirato a rami, e ha foglie in      parte dorato, ornata di 57 pittorine a minio più, e meno picciole ricoperte di      cristallo. Nel mezzo vi è un picciolo Crocefisso, con la B. V. fregiata da un      rubino in testa, e S. Giovanni da un smeraldo, a capo della Croce restavi un      rubino quadro, e 8 diamanti distribuiti in essa. All’intorno viene guernita di 37      smeraldi, e di 37 topazi quadri; dono della Serenissima Duchessa di      Modena nel 1721. – Una corona reale di lastra d’oro composta di 4 raggi, due maggiori, e 2  minori,     ed all’intorno è contornata di diamanti: dono di Persona benigna. – Altra corona reale d’oro, con 12 raggi, e 6  de’ quali sono maggiori, e gli altri      alquanto minori, guernita di diamanti, smeraldi, e perle, dono di Persona      incognita. – Un Triregno d’argento in parte dorato, smaltato, con cCoce sopra di getto  –     dorato, ornato di fogliami intagliati, guernito di smeraldi, topazi bianchi,      amatiste, e granate, e di una picciola Corona di lastra d’argento cesellata,      contornata di varie pietre di colori varj: il tutto è dono della Confraternita di S.      Maria della Purità di Bologna nel 1633. – Una Statuetta d’argento di getto in piedi, rappresentante S. Anatoglia, che ha      nella destra la Palma del Martirio, e nella sinistra, la Pianta della Terra di tal      nome, di cui mostra esser Voto stante la Iscrizione intagliata nel piedistallo      dorato. – Un Bacile ovato d’argento dorato, guarnito di incassi alture di lapislazzoli      orientali, con 48 riporti d’oro traforato, smaltato a colori varj, gioiellati di      rubini, ed altri 8 riporti più piccioli, con un smeraldo per cadauno: dono del      Marchese Olivares Spagnuolo. – Una Corona Reale di grossa lastra d’oro con fascia ornata di 5 castoni pur      d’oro, traforati, e smaltati a più colori, nel castone di mezzo restavi un grosso       rubino in quadro, e negli altri sonovi grossi smeraldi, e zaffiri turchini      orientali: dono di Persona pia. -Altra Corona d’oro smaltato nero composta di 7 raggi, con intagli all’intorno      della fascia, rappresentanti la Natività del Salvatore, con piccioli Cherubini      d’oro di getto ripartiti in giro, nel mezzo ha una grossa granata ottangolare      con iscrizione: Devota Comunitas Recaneti. In ciascuno di detti raggi vi è a      capo un pometto smaltato turchino, e framezzati da 7 Angioletti in piedi      similmente d’oro di getto, in atto di suonare il Violino, ed il settimo raggio ha      una granata quadra bislunga di minor grossezza. Pesa libbra una,once 3,      ottava una, e mezza. Appartiene alla suddetta altra minor Corona d’oro      consistente in 3 raggi, ornata intorno di 2 grosse perle, e nel mezzo della      fascia eravi la grossa Spinella la quale rimirasi al numero XXV. – La Machinetta di argento quasi tutto dorato, singolare travaglio che rappresenta      una Lampada, a capo della quale vi è una Corona Reale guarnita di varie      gioje intagliata di 8 raggi, che terminano tutti in un grosso giglio. Detta      Corona viene sostenuta dalle teste di 3 Angioli di getto disposti a triangolo      all’intorno fra le mani di essi, gira una picciola Collana guisa di festoncino      comporta di diversi pezzi a somiglianza di gigli, Corone, e trofei, tempestata       pur di gioje, e da uno dei detti gigli pende una Croce di Malta smaltata in      bianco, con lo spirito S. in mezzo formato di diamanti. I medesimi Angioli      posano sul dorso di tre Leoni di getto dorato giacenti sopra base tonda pure      d’argento dorato, e tra essi Leoni veggonsi disposte tre Armette coronate i      rappresentanti ognuna un Leoncino in piedi. Tutte le suddette gioje più, e      nemmeno grosse che ornano la solo riferita sono: 40 diamanti, 249 smeraldi,      200 rubini, 66 perle, e 4 zaffiri: donata dal Principe Guido Vaìni Gran      Maestro di Malta nel 1702. – Una Corona Reale d’oro composta di 16 raggi traforati, e smaltati bianchi, e      neri, 8 di essi sono maggiori, e li altri assai minori, contornata di 304      diamanti, e 38 rubini. Uno Scettro pur d’oro smaltato bianco, e nero, con 82      diamanti, e 57 rubini; il tutto fù dono di Cristina Alessandra Regina di Svezia       nel 1656.

Un Triregno d’oro smaltato a varj colori. Le 3 corone che il compongono sono      ornate di 392 diamanti, con una picciola corona pur d’oro contornata di 96      diamanti: dono dell’Infante di Savoia. – Due Corone Reali di lastra d’oro, una per l’Immagine della B.V., e l’altra pel      Bambino, contornate vengono da perle tonde, e da 254 diamanti ligati in oro:      dono di Catarina di Brandeburgo Principessa di Transilvania. – Una Corona Reale di lastra d’argento dorato intagliata a fiorami, ed altri varj      lavori, ornata di 42 diamanti, 185 rubini, 56 smeraldi, 128 perle, e 8 topazi:      la donò il Senatore Ginnori di Firenze. – Altra Corona Reale di lastra d’oro, la maggior parte lavorata a fogliami, e fiori      diversi in ismalto di varj colori, contornata di diamanti, rubini, e perle: donata      da pia Persona. – Sotto la medesima sonovi annessi due fasce o siano Corone d’oro, una      maggiore dell’altra, ornate da diamanti di fondo, smeraldi, rubini, e perle:      donate dalla principessa Ragozzi di Transilvania. – Un Cuore grande d’oro aperto, da un lato del quale vi è il nome di Gesù formato      di 40 grossi diamanti, e dall’altro il nome di Maria, composto di 38 diamanti      più, e nemmeno grosse, all’intorno tempestato di altri 57 diamanti.      Nell’interno stavano 3 miniature in ismalto, rappresentanti da una parte      l’Effigie della B. V. col Bambino in braccio, e dall’altra quella di Enrica Maria      Regina d’Inghilterra moglie di Carlo I, di cui è dono, tenendo nella destra un      Cuore in atto di offerirlo al Bambino Gesù, che presentemente restano negli      esterni di esso cuore. Pesa libbre 3,once 3,  e 3 ottave,Un Alamaro, ossia Razionale ornato da quantità di diamanti, e smeraldi, nel      mezzo ha un Pellicano che nutrisce i suoi Polli, con un grosso rubino in      petto, e nei lati di esso fiammeggiano altri 10 piccioli rubini: dono della      Principessa d’Uceda Spagnola nel 1712.  – Un picciolo Uffiziolo della B.V. racchiuso in copertina d’oro traforato, smaltato a      basso rilievo di colori diversi da quelle parti, e guernito de 109 diamanti;      dono di un Benefattore Spagnuolo nel 1713. – Un picciolo Cuore d’oro smaltato rosso che ha in mezzo un grosso rubino in      quadro balasso, con 9 diamanti quadri all’intorno ligati in argento; dono      d’incognita Persona. – Un giojello grande d’oro smaltato a più colori, nel mezzo ha un smeraldo grande      in forma di Ape, circondato da 14 perle, al di sopra una Corona con 3      diamanti, e 2 rubini, contornato di 95 smeraldi, e 7 diamanti, ed appiedi un       grosso medaglione pur d’oro, con l’Effigie del Principe D.  Masseo Barberini      da una parte, e dall’altra un Sole nascente dal mare, fù dono del detto      Principe. – Una Collana composta di 32 pezzi piani d’oro traforati, elaborati alla Chinese, e      di altri 16 pezzi d’argento traforati a fogliami di basso rilievo, guernita di 303      diamanti piccioli, con Medaglia d’oro ovata appiedi di filograna d’oro, e di un      Semibusto della B. V. d’oro di getto da una parte, e S. Francesco di Sales      dall’altra: fù donata dal Principe Elettorale di Sassonia fratello di D. Maria      Amalia Regina di Napoli, il quale fù in Loreto l’anno 1738. – Un Cuore di lastra d’argento dorato, ornato da 2 palme incrociate, guernite di 24      diamanti, con una Corona che le abbraccia, contornata da 9 diamanti, sotto      di esse vi è una rosetta con un grosso rubino quadro bislungo, e di una      fascia pur d’argento dorato: dono di Pia Persona. –

Tre paja di Pendenti d’oro traforato, un pajo guarnito di amatiste, altro pajo di      smeraldi, uno de’ quali grosso appiedi a goccia, e l’altro di cristallo cedrino di      monte, con grossa goccia di simil cristallo: furono donate dal P. Davia della      Compagnia di Gesù. – Un grosso topazzo che credessi orientaleligato in oro: fù  donato dal Sig. Conte      Pilza. – Una Croce da petto con suo Cappio d’argento traforato e dorato, contornata da      un grosso diamante quadro di fondo in mezzo, ed altri 14 fra grossi, e piccioli      intorno: dono di Persona incognita. – Un grosso gioiello in forma di Rosa d’oro smaltato rosso, con fronde verdi,      guernito di un grosso rubino nel mezzo, ed altre 56 più, e meno grossi      intorno; dono di benigna Persona. – Un Cuore d’oro aperto smaltato bianco, e nero, ed entrambe le parti tempestato       di varj rubini; dono del Co: Fonsalita Governatore di Milano. – Un giojello tondo d’oro smaltato a diversi colori traforato all’intorno, e nel mezzo      evvi un grosso occhio di Gatto orientale bislungo, contornato di 12 rubini      quadri, 12 diamanti di mezzana grossezza, e smeraldi quadri bislunghi; dono      i un Palatino polacco nel 1499,Un gioiello grande in forma di Cuore d’arg. dor. al di sopra guernito da 2 Cristalli      di rilievo in foglia rossa, rappresentanti in uno il Salvatore, e nell’altro la Vergine, appiedi altro Cristallo cedrino bislungo ottangolare coronato di 13      diamanti, 12 topazii, 22 turchine di roccavecchia, e 10 granate sardoniche. – Un’anello d’oro contornato di diamanti con grossa turchina; dono della      Principessa di Rosano Napolit. – Un picciolo Quadretto ovato di diaspro orientale dipintovi Sant’Antonio col      Bambino avanti, con cornice d’oro traforato, smaltato bianco, e turchino, con      suo cappio pur d’oro smaltato a più colori, il tutto contornato da 26 rubini      quadri diversi; dono del Marchese Pizzini Napolitano. – Una Croce da Cavalieri di S. Stefano, con in mezzo un grosso topazzo, ornata      di 9 diamanti,  4 granate che formano la detta Croce, con un Ungaro doppio      appiedi, ed una perla a goccia: dono del Principe Piccolomini d’Aragona nel      1720. – Un’Ala, ossia Pennacchio d’oro quasi tutto traforato, smaltato a varj colori,      tempestato dal 108 diamanti: dono di pia Persona. – Un gioiello d’oro traforato a 2 ordini smaltato a più colori, nel mezzo ha una      Colomba volante smaltata bianca, nel ne becco tiene un ramo smaltato      verde, ed è guernito di 7 rubini, e 3 perle pendenti a goccia: dono d’incognita      Persona. – Un Orologio ovato d’oro, con 2 attaccaglie, e chiavetta d’oro intagliato a fiorami,      circondato da 10 diamanti ligati in argento; dono di Persona pia. – Un gioiello pendente da una Corona, d’argento traforato in forma di Cuore      frezzato, che ha nel mezzo una lastrina tonda d’oro smaltato a varj colori,      rappresentante una Croce di S. Giacomo, tutto ornato di diamanti, e      smeraldi diversi, la donò il Marchese di Arigliano nel 1738.  – Un Cuore d’oro con fascia d’argento traforata, e fregiata col Nome di Maria, con      31 diamanti sparsi nella fascia e Nome; dono di benigna Persona. – Un’Aquila a 2 teste coronata d’oro di getto, tempestata di 321 perle, e 333      rubini; la donò il Marchese del Vasto Spagnuolo. – Un Fiore, ossia Ramo con suo fusto d’argento dorato composto di 22 tremolanti      dello stesso metallo, fregiati da 68 diamanti, e 18 perle: lo donò la      Contestabilessa Olimpia Pamphily Colonna nel 1704. – Una Perla bislunga assai grossa ligata in oro smaltato nero, che ha da un lato      Serpe pur d’oro smaltato verde: donata dal conte Marino Ondeder Pesarese      nel 1688. – Un picciolo Drago d’oro variamente smaltato, col ventre composto di una      grossa perla, con 3  picciole catenelle d’oro da cui pende: dono di pia      Persona. – Un grosso Cameo ovato di agata sardonica orientale, che nel fondo è di color      zaffirino, rappresentante la Dea Pallade ligato in argento, in addietro creduto      Giulio Cesare: la donò la Contessa Anna Catarina di Baviera. – Altro Cameo alquanto minore ovato di pietra sardonica in campo oscuro ligato      in argento dorato, con semibusto a basso rilievo che rappresenta Filippo II      Re delle Spagne; lo donò la Principessa D. Margherita Pio di Savoia nel      1726. – Una Coce d’oro da petto con 38 perle; lo donò il Sig. Antonio Perinetti di      Piacenza. – Due Razionali d’argento dorato con 3 grossi bottoni per ciascuno formati di      perle in giro, e nella sommità di essi restavi una grossa perla; donati, uno dal      Cardinale d’Urbino, e l’altro dal Cardinale del Carpio ambedue Protettori       della S. Casa. – Un vezzo di 31 perle concatenate in altrettante Rosette d’oro smaltato bianco, e      nero; lo donò la Sig. Lanti Veneta. – Un filo di 172 perle tonde formante 2 colli; lo donò un’incognita Persona. – Altro filo di 45 perle orientali, con 2 anelletti d’oro; dono d’occulta Persona. – Altro filo di perle orientali, donato da pia Persona. – Altro filo di 47 perle orientali perfettamente tonde. Un paio di pendenti piccioli      d’argento con un diamante tondo, attaccaglia con diamanti e, e una perla a      goccia; donollo il Cavaliere Antonfrancesco Bojardi Ferrarese nel 1717. – Un vezzo di 2 fili di perle tonde; lo donò del Sig. Filippo Cardirola di Sulmona      nel 1742. – Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e una a goccia; le donò una      divota Persona del 1749. – Un collo di 5 fili di perle tonde, lo dono del Sig. Agostino Marioni Veronese nel      1710. – Altro collo di 2 fili di 148 perle tonde orientali, con 2 anelletti: lo donò una      benigna Persona. – Altro collo di 62 perle tonde orientali; donollo D. Girolamo de Artegna e Bazza      dell’Indie nel 1704. – Altro collo di 4 fili di perle orientali tonde: lo donò la Contessa Felice Costanza      Giurichini Sentinelli Pesarese nel 1731. – Altro collo di 30 perle orientali: dono del nobile Giorgio Pisani Veneto. – Altro collo di 45 perle tonde orientali: lo donò la Sig. Cecilia Sanguinaccio di      Pesaro nel 1734. – Nastro formato di lastra d’oro tutto ornato di perle, pende da esso un giojello      tondo d’oro traforato, composto a 2 ordini, da una parte a una picciola  –      immagine della V., dall’altra quella di S. Teresa, contornato di alquante      rosette parimenti di perle: lo donò la Contessa Chiazza Napolitana. – Una grossa perla orientali a goccia ligata in oro, e con picciola Crocetta a capo:       donata da pia Persona. – Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e altra maggiore a goccia;      donolle la Co. Di Verva. – Un vezzo, ossia filo di 55 perle orientali, tutte di conto: lo donò la Co. Pini di      Pisa nel 1765. – Una gioja da petto composta tutta di perle eguali, con alcune più grossa in      lastra d’oro: la donò la Sig. Aloisia Corsi della Città di Penna nel 1760. – Un nastro formato di foglie d’oro con 62 diamanti, e 108 perle orientali tonde;      donollo la Marchesa di Zoffrano. – Altro nastro d’oro traforato al di sopra, tutto ornato di perle a guisa di rosette:      dono del Sig. D. Gio: Errera Consigliere in S. Chiara di Napoli. – Cappio di lastra d’oro smaltato bianco, e nero, tempestato di rubini, e perle:      dono della Sig. Catarina Centoventi. – Un’Alamaro di argento traforato a fogliami di basso rilievo, guarnito di 24      diamanti, con grossa perla bislunga nel mezzo, e 2 altre minori ai lati: dono      della Principessa della Torrella.  – Un giojello d’oro smaltato bianco, nero, e rosso, contornato di 5 grosse perle      disposte a guisa di Croce, e nelle parti sonovi 4 grossi diamanti, con altri 12,      più piccioli che fregiano dette perle: lo donò una Persona incognita. – Un picciolo nastro di argento traforato ornato di diamanti, col perla a goccia:      dono d’occulta Persona. – Un collo, ossia Vezzo consistente 35 pezzi d’oro smaltato nero, 17 de’ quali      sono in forma di rosette, con grossa perla a sedere nel mezzo di ciascun      pezzo circondato da 2 ordini di perline tonde, e gli altri sono a guisa di      nastrini, guerniti a seconda dei medesimi predetti pezzi. Un’alamaro ovato      da petto d’oro, tempestato di perle, che formano alquante rosette; donollo la      Sig. Teresa Paolini da Santobuono nel 1711. – Un Fiore di perle fatto a Farfalla, che ornava  un cappio di gallone d’oro,       presentato con un Cuore dalle RR Monache di Torre di Specchj di Roma      descritto al N. I.Otto Fiori di lastra d’oro traforato contornati di perle, in 4 di essi sopra Castone      d’oro sonovi 4 diamanti, e negli altri 4 parimenti sopra egual Castone 4      rubini: dono di pia Persona.

NUMERO XXV – Un’Aquila con 2 teste sotto corona imperiale, e picciolo Tofone appiedi il tutto      d’oro di getto smaltato a più colori, ricoperta di 398 diamanti, 37 de’ quali      sono grossi, con uno assai grande nel mezzo: donolla l’Imperatrice Maria      Madre dell’imperatore Leopoldo I. – Una Collana d’oro traforato e smaltato a diversi colori, composta di 42 pezzi in      piano concatenati con 2 anelletti pure d’oro, di alcuni di essi formati sono a      Cifra, altri a Stella, ed altri a guisa di festoncini, contornata da 21 diamanti, e      21 rubini: dono d’incognita Persona. – Un Centiglio d’oro dal cappello smaltato nero, composto di pezzi 41 traforati e      arabeschi, in ciascun lato di esso vi è un cerchietto pur d’oro, liscio,       contornato tutto di 125 diamanti: dono di un Duca di Baviera. – Una gargantiglia d’oro composta di 35 pezzi, ornata da 373 diamanti: donolla D.      io: battista borghesi Principe di Solmona. – Un’Anello d’oro smaltato nero, con grosso Castone pur d’oro, e in mezzo un      grosso diamante di fondo di peso grani 72: dono del Duca Carlo Doria. – Altro anello d’oro lavorato nel cerchio a basso rilievo, con grosso diamante      brillantato tondo nel mezzo color di paglia, contornato di 36 diamantini      brillanti ligati in argento: dono del Principe D. Girolamo Giustiniani di Roma      nel 1717.  – Altro anello d’oro con in mezzo un grosso brillante di acqua perfetta, ornato di      18 brillantini, fù lasciato in dono da Monsig. Giancarlo Molinari morto Nunzio      postolico in Bruxelles nel 1764. – Altro anello d’oro smaltato verde, e turchino, con grosso diamante gruppito     quasi d’acqua cristallina legato in argento; donollo il Co: D. Francesco      Lichstein Canonico della Metropolitana di Salisburgo nel 1746. – Altro anello d’oro variamente smaltato con grosso diamante tondo brillantato di      fondo color paglia: lo donò una benigna Persona. – Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ornato      da 20 quadri diamantini pur di fondo, con altri 19 simili posti in giro del      cerchio: dono di Casimiro Re di Polonia. – Altro anello d’oro smaltato a vari colori, traforato nei lati, guernito di un grosso      topazio giallo, orientale  ottangolare bislungo: dono del Cardin. Ruspoli nel     1741. – Altro anello d’oro e castone di argento con grosso diamante in mezzo, e 12      minori ne’ 4 lati: donollo il conte Stanislao Potoski Polacco. – Altro anello d’oro fatto a quadrello guarnito di 14 diamanti, con uno grosso nel      mezzo: fu dono d’una Persona pia nel 1748. – Altro anello d’oro fatto a rosetta con grosso diamante nel mezzo attorniato da      12 piccioli tutti brillantati: dono della Compagnìa del Ss. Sacramento di      Castel S. Pietro di Bologna. – Altro anello d’oro con diamante grosso ligato a giorno: dono di divota Persona. Altro anello d’oro con diamante quadro di fondo bislungo; dono del Card.      Spinola detto S. Cecilia. – Altro anello d’oro intagliato e traforato nei lati con un grosso diamante brillantato      tondo legato in argento; dono della Sig. Chiara Cauzzi Maggi di Cremona nel 1758. – Altro anello d’oro con un bello, e grosso brillante di acqua perfettissima; dono      del Sig. Co: Ippolito Turconi di Milano nel 1768. – Altro anello d’oro intagliato con un diamante brillantato quadro lig. In argento:      dono di persona incognita nel 1747. – Altro anello d’oro intagliato nei lati con un grosso brillante di fondo di taglio      quasi ovale; dono di occulta Persona. – Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con grosso diamante tondo      brillantato ligato in argento: dono della Regina di Napoli che fu in Loreto      l’anno 1728.  – Altro anello d’oro con in mezzo un ritratto in miniatura contornato di 26      brillantini; dono del conte di Merod marchese di Degniè. – Altro anello d’oro intagliato, con grosso brillante nel mezzo, attorniato da 12      diamantini brillantati, con altro contorno di 13 diamanti brillantati; donollo il      barone D. Giuseppe Cetti da Chieti nel 1788.  – Altro anello d’oro smaltato a vari colori con in mezzo un grosso diamante ovato      bislungo, 62 altri diamanti minori triangolari distribuiti per parte: lo donò il      Marchese Mancinfotte di Ancona. – Altro anello d’oro fatto a Rosetta, ornato di un grosso brillante in mezzo, e      contornato da 12 brillanti: donollo una occulta Persona.  – Altro anello d’oro con grosso diamante di taglio ovale ligato in argento; dono      della Sig. Marchesa Silvia Imperiali Negroni di Genova. – Altro anello d’oro a quadriglia con 9 diamanti ligati in argento: lo donò la Sig.      Marianna  Bresciani Zanettini nel 1770. – Altro anello d’oro di ismalto bianco, e verde, con un grosso diamante a guisa di      cuore ligato in castone d’oro, attorniato da smalto nero a fogliami di basso      rilievo: dono del Marchese di Vitry. – Altro anello d’oro intagliato, e fatto a Rosetta, che ha in mezzo un rubino quasi      tondo brillantato, col 2 contorni di diamantini brillantati ligati in argento: dono      di D. Marianna Montalto Principessa di Arianella nel 1754. –

Altro anello d’oro con grosso zaffiro orientale bislungo nel mezzo, e 6 diamanti,      3 per lato; dono della Sig. Paola Lercari Spinola Genovese nel 1669. – Altro anello d’oro traforato nei lati, con un rubino in mezzo contornato di 14      brillanti, e 6 più piccioli ripartiti 3 per lato: dono del Sig. Giuseppe Piatti      Veneto nel 1768. – Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo, ornato di 22 brillanti      ligati in argento: lo donò il Cardinal Serbelloni nel 1776 unito ad una Croce di      6 zaffiri attorniata di 152 brillanti, che osservati indosso alla Ss.Statua già      descritta alla pagina 43. – Altro anello d’oro detto Mariaggie con un grosso rubino, e di un brillante      uniforme, guarnito di 20 diamanti brillantati, al lato del rubino vi è un brillante      mezzano, e all’altro un rubino eguale. Al di sopra esiste una Coroncina con 2      diamanti brillantati, e sotto il detto Mariaggie altro brillante: lo donò la      Marchesa Patrizi Romana del 1773. – Altro anello d’oro con grosso zaffiro ovato nel mezzo, e 18 piccioli diamanti      d’intorno: dono del Card. Pico della Mirandola. – Altro anello d’oro alquanto intagliato con un rubino triangolare in mezzo, ornato      di brillanti: donollo il Cardinal Salviati. – Altro anello d’oro con in mezzo un grosso zaffiro ottangolare bislungo, guernito      di diamanti: lo donò un Duca di Parma. – Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con in mezzo un topazio del      Brasile, assomigliante ad un rubino, ligato in oro, circondato da 14 diamanti      brillantati ligati in argento, con questo si distinse M. Amalia Arciduchessa      d’Austria Duchessa di Parma, che fù in Loreto l’anno 1780. – Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo e 10 diamanti      all’intorno: lo donò il cardinal Portocarrero. –

Altro anello d’oro con un rubino quadro, e 18 all’intorno: dono di Persona      incognita. –

Altro anello d’oro con in mezzo un zaffiro, contornato di 14 brillanti: dono di Pia      Persona. Altro anello d’oro fatto a rosetta, intagliato, e traforato, con in mezzo un grosso      rubino, e 14 diamanti intorno  ligati in argento: donollo il Marchese Giacomo      Brignoli di Genova nel 1770. – Altro anello d’oro alquanto intagliato, e traforato nei lati, con in mezzo un grosso      zaffiro ottangolare attorniato da 29 diamantini brillantati ligati in argento:      dono della Marchesa Teresa Cambiasi di Genova nel 1777. –

Altro anello d’oro fatto a rosetta con in mezzo un grosso rubino contornato da      13 brillanti: lo donò la Duchessa Maria di Casoli nata Principessa d’Angri      Doria di Napoli nel 1790. – Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo di color paglia, e 2 piccioli      rubini uno per lato; lo dono un’occulta Persona. – Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo di peso grani 20: dono      del Sig. Benedetto, e Veronica Coniugi Delfini Veneti. – Altro anello d’oro fatto a Rosetta intagliato, con in mezzo un diamante      brillantato, ornato di 12 diamanti, ed altri 4 piccioli posti 2 per lato, tutti ligati      in argento: donollo il Canonico Quarantotto di Roma nel 1743. – Un vezzo, ossia Collana guernita di 80 diamanti brillantati gradatamente ordinati      d’ambe le parti, e nel mezzo di essa pende una Croce d’argento dorato,      contornata di 24 diamanti quadri pur brillantati: dono della Principessa Pio di      Ferrara. – Una Croce d’oro composta di 5 grossi diamanti bislunghi di fondo, attorniata di      4 diamanti quadri di fondo disposti parte nei raggi, ed alquanti nell’estremità      di detta Croce; donollo il Cardinal Ghigi nel 1654 che fu poi Pontefice      nomato Alessandro VII. – Un giojello d’oro di getto traforato, composto a 2 ordini, il primo forma un Circolo      perfetto smaltato turchino, ornato di 23 diamanti quadri, col suo Cappietto      variamente smaltato, con in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ed      il secondo a guisa di Stella, con 6 piccoli raggi d’oro smaltato rosso, e      guernita di 30 diamanti ripartiti nei raggi; donollo una benigna Persona. – Altro gioiello ligato in argento dorato con 21 diamanti ligati in argento, e nel      mezzo di esso sotto cristallo si vede l’immagine di S. Gio. Nepomuceno in      ismalto; lo donò un Cavaliere Alemanno. – Una Croce di Malta d’oro ornata di 5 brillanti, ed altri 5 minori nell’attaccaglia:      donata dal Commendatore Spada di Bologna nel 1707. – Una grossa spinella quadra bislunga ligata in oro a guisa di giojello in ismalto a      più colori, che esisteva nella corona d’oro già descritta al N, XXIV. – Un’anello d’oro con grosso diamante cedolino quadro nel mezzo, con altri 11      intorno; dono della contessa Susanna Polissena di Martinez, nata Contessa      Dietrichstein. –  Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, ed altri 14 minori intorno:      dono del Sig. Francesco Paravicini. – Altro anello d’oro fatto a spighetta, con 8 diamanti: dono del marchese di      Nulech d’Anversa. – Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo: lo donò il Marchese      agrati Milanese. – Altro anello d’oro con grosso diamante quadro: dono della Sig. Maddalena      Pazzi Bolognese. – Altro anello d’oro che ha in mezzo una Rosetta, composta di 4 diamanti quadri      di fondo, e 3 altri più ricciolie’ lati che formano una spighetta: lo donò la Sig.      Angela Salicola Bolognese. – Altro anello d’oro a spighetta con 2 diamanti quadri nel mezzo,4 minori intorno a      triangolo, e 2 altri, uno per lato: donollo Monsignor Arcivescovo Presmiglia      Polacco. – Altro anello d’oro con un diamante in mezzo, e 12 altri intorno: donollo il signor      Silvestro Basis Bergamasco. – Altro anello d’oro con 9 diamanti di fondo, che formano un quadro, essendo      minori quelli all’intorno: lo donò il Marchese Avoli. – Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante tondo gruppito, ed altri 6      minori quelli all’intorno: dono del Duca Moles. – Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, e 3 minori per lato; lo donò il       ardinal Altieri. – Altro anello d’oro tutto smaltato a vari colori di basso rilievo, con grosso      diamante quadro di fondo:  lo donò l’Ab.  Udratico de Grasci Bavarese. – Altro anello d’oro lavorato a basso rilievo, con grosso diamante quadro di fondo      nel mezzo quasi cedrino, ornato nei lati da altri diamanti;donollo il Duca di S.      Pietro.  – Altro anello d’oro con diamante di fondo giallo: donollo il Cardinal Sacchetti. – Una Croce d’oro intagliata, e smaltata nero, con 5 grossi diamanti o parti di      fondo color rosa; fu donata dal cardinale Pignatelli, in occasione che      ricevette in Loreto la Berretta Cardinalizia nell’anno 1688 quale innalzato alla         Pontificia Dignità nomossi Innocenzo XII.

NUMERO XXVI – Un Ostensorio d’argento di getto dorato, nei cui raggi sonovi 8 riporti d’oro, 4 in      forma di grossi castoni tondi, uno de’ quali smaltato bianco, e nero, che resta      a capo un grosso smeraldo quadro fascettato, con altri 4 mezzani distribuiti      all’intorno, e 2 altri hanno un grosso rubino grezzo posti uno per lato, nel      quarto puoi che resta appiedi, vi è una grossa amatista ovata. Gli altri 4      riporti sono in forma di Gelsomino con frondi smaltate verdi. Nella Lunetta       vedonsi 2 grossi zaffiri orientali, e al di sopra una picciola Crocetta con      diamanti, il tutto da 106 diamanti tempestato, e 20 rubini quadri mezz. Il      descritto Ostensorio vien sostenuto dalla testa di un Angiolo in piedi, il quale      tiene in ambe le mani elevate 2 grossi smeraldi bislunghi grezzi, avendo      nella cima in il sinistro di essi una picciola Corona reale d’oro ornata di      diamanti, e nel destro un picciolo scettro guarnito pur di diamanti. Al collo, al      petto, e alla cinta restanvi infilate 51 perle tonde, e sotto il collo un bottone      che ha nel mezzo una grossa perla, attorniata da 12 diamanti di fondo. Esso      Angiolo posa sopra una Nube che le serve di base, con in mezzo l’Arme      Reale; donollo M Casimira Regina di Polonia, Moglie di Giovanni III. – Un Calice, e Patena di argento dorato, centinato con lastra cesellata a fogliami,       e fiori, con 3 grossi riporti ovati di getto attorno alla Sottocoppa, e 3 altri      simili intorno al piede, tutti smaltati a figure, che rappresentano vari Misteri      della Passione. Detto Calice è guarnito da 45 perle, 24 topazi gialli, 25 Altro Calice, e Patena d’argento dorato di lastra cesellata a fogliami diversi, e      Angioli che tengono ognuno uno strumento della éassione, con vari riporti      ovati pur d’argento dorato, con dentro molte figure rappresentanti la Cena, il      Salvatore in Croce, i Ss. Martiri, l’Annunziata, la Natività del Signore, e      l’Assunta; lo donò una pia Persona. – Altro Calice d’oro con Patena d’argento dorato, contornato di vari fogliami, e      fioretti a cesello, dono di Persona benigna. – Altro Calice, e Patena d’argento dorato; lo donò un’incognita persona.

NUMERO XXVII. – Un fanciullo in piedi, in atto di correre col suo piedestallo, il tutto d’argento di      grosso oggetto di peso libre 20, eonce 2: dono della Principessa D. Angiola      Colonna Borghese.

NUMERO XXVIII. – Una veste della S. Immagine di damasco bianco, ricamata a fogliami, fiori d’oro,      e coralli, contornata di Gallone d’oro; donolla il più volte nominato Principe di      Avellino. – Un Vaso di grossa lastra d’argento dorato, con 2 Sottocoppe compagne con      riporti d’oro ornati di varie gioie, accennate al N. XX. – Altro Vaso di lastra d’argento dorato, e cesellato con varie figure, a cui va unito      al Bacile descritto al N. XII. – Due vasetti di lastra d’argento ad uso di generazioni ognuno con suoi manichi,      e nodo del piede di getto: donati da divota Persona. – Una Macchina in forma di Gabinetto composta di Ebano con la Pietà figurata      nel mezzo, miniata e chiusa sotto cristallo, ornata di varie statuette      rappresentanti Cherubini, e Angioletti diversi, tenendo ognuno un qualche      Mistero della Passione, con ornamenti intorno d’argento di getto in parte      dorato.Una Croce grande di Ebano filettata di argento con Crocifisso dorato,      titolo, e 4 raggi d’argento di getto traforato, e vari Cherubini dorati. La       suddetta croce viene elevata sopra piedestallo parimenti di ebano, e in cui      sonovi diversi Angioli piccioli, e grandi, ciascuno a vent’uno Stromento della      Passione.Ai lati vi sono due Statuette rappresentanti la Vergine Addolorata      alla destra, e S. Giovanni alla sinistra il tutto dorato.Veggonsi alquanti      Quadretti dipinti significanti  S. Veronica, la Flagellazione, la Coronazione di      Spine, e il viaggio del Salvatore a Calvario. Miransi altre due Statuette e gli      Evangelisti S. Giovanni, e S. Luca. La base del piedestallo è guarnita di      diverse tasse alture di lastra d’argento dorato, e di 8 Cherubini. La base      vien’eretta su dorso di 8 Leoni similmente dorati; il tutto è dono di Clemente      VIII. – Un picciolo Quadretto con Cornice di foglia d’argento che contiene scritti a      minutissimo carattere, e ristretti in 4 globi i 4 Passj, e in altri gruppi sono in      mezzo nel Vangelo di S. Giovanni, In principio etc.; lo donò il Sig. Camillo      Comini da Città Ducale. – Altro picciolo Quadretto di grossa lastra d’argento, incastrato in Cornice liscia      d’argento dorato, ha nel mezzo un picciolo Quadretto arabescato con una Crocetta d’oro smaltato a varj colori, guernita di 10 diamanti ligato in oro: dono      fatto da un grande di Transilvania. – Una Pace di argento dorato con guernimenti d’oro, nel di cui Frontispizio sonovi      4 Colonnette smaltate turchino, e arabescate d’oro, tempestata all’intorno di      rubini, e diamanti. Alla cima di essa vi è il Salvatore risuscitato con la      Bandiera in mano ornata pur di rubini con 2  perle a’ lati del Salvatore. Nel      mezzo di detta Pace vi è una Pietà intagliata in diaspora sanguigno con 2      Camei d’agata orientale, incisi in basso rilievo, nel superiore resta vi      l’adorazione de’ Magi, e nell’inferiore il famoso Giudizio di Salomone: fu      donata dal Duca Carlo Emmanuele di Savoia. – Una Croce grande di Malta d’oro: dono del Co: Mario Floriani di Macerata. – Una Croce, con un pajo di Pendenti d’oro, il tutto guernito di rubini; dono di      Antonia Ruggeri, e Domenico suo Marito Cocchiere del Duca di Madalona      nel 1763. – Un Cuor d’oro liscio, con fiamma smaltata rosso a capo della quale sonovi 12      diamantini brillantati, e 3 maggiori appiedi. All’intorno di esso Cuore vi è un      giro di 16 brillanti mezzani, e nel fondo altro maggiore, presentato in dono      dal Cardinal Lanfredini Vescovo d’Osimo nel 1735.  – Altro Cuor d’oro con Rosa in mezzo formata da 5 smeraldi, e 12 diamanti. Il giro      del Cuore viene ornato da 4 piccioli smeraldi, e 7 diamanti, e nel Cappio      restanvi 2 diamanti, e 2 smeraldi a’ lati: dono di Persona occulta. – Un grosso topazzo quadro bislungo racchiuso all’intorno in cassa d’argento      dorato, con conchiglia a capo, altra a piedi, ed altre 2 ai lati: dono del Nobil      Gio: Battista Pecorini Veneto nel 1733. – Una Croce d’oro variamente smaltato, contornato da 25 per le, con in mezzo      una Statuetta d’oro rappresentante la Vergine col Bambino in braccio,      attorniata da 4 grossi giacinti, e un altro a piedi in forma di mezza luna, con  –      una grossa perla, e sotto vi sta un Cameo, ed in fondo vi è un Bambinello      fasciato smaltato bianco, che giace in un Cuscino smaltato rosso: lo donò la      Marchesa Nerli Mantovana. – Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso d’oro a più colori smaltato, tutta      guernita di diamanti, e perle: dono della Co: Publei di Montalbano. – Un Triangolo d’oro smaltato a vari colori, rappresentante in bassorilievo la Ss.      Trinità, e la Vergine in atto di essere coronata, ed appiedi di essa 4      Angioletti. In ogni angolo vi è una Virtù, cioè: Fede, Speranza, e Carità,      contornato di 75 granate sardoniche; fu donato da tre baroni boemi,      Ludovica, Martanica, e Slavada, MDCX. – Una giojetta d’oro ornata di diamanti, e rubini da una parte vi è il Nome di Gesù,      e dall’altra l’Effigie di S. Francesco di Paola; la donò D. Vittoria Caraffa      Duchessa di Madalona del 1765. – Una Croce da petto composta di 7 grossi diamanti, e attorniata da 16 minori;      dono della Sig. Ortensia Manfroni Bernini nel 1762. – Un grosso topazzo cedrino ottangolare, con cornice d’oro traforato. Una Breccia      di giacinto ligata in oro con perla appiedi. Un giojello in forma di Cuore con 5      pietre, cioè, un grosso giacinto orientale, un’amatista, un zaffiro,  un crisolito,      e nel mezzo un topazzo, con 12 perle ai lati. Altro giojello che ha nel mezzo      un grosso zaffiro in tavola ligato in oro, pendente da 3 catenelle dello stesso      metallo, con 3 perle appiedi. Altro giojello d’oro di getto variamente smaltato,      fatto a guisa di deposito, con 6 grossi diamanti quadri di fondo, 3 rubini,2      pietre rosse, una grossa perla pendente a ppiedi, e 2 altre minori che      restano uno per parte di esso giojello. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a      colori più, che ha in mezzo una figura tenente nella destra una Croce pur      d’oro, tempestata di 14 diamanti. Altro giojello d’oro smaltato a colori diversi,      con un grosso zaffiro in mezzo, e 2 Satiri di smalto bianco uno per lato altro      giojello smaltato a vari colori, rappresentante dell’Arca di Noè con 3 figure, e      diversi animali, contornato di diamanti, e rubini. Sonovi altri molti giojelli d’oro      più, e meno grossi, attorniati da varie gioje; il tutto è dono della gran      duchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria. – Un giojello ovato d’oro, centinato con doppio anello d’oro a capo. Nel mezzo ha      una Croce di Malta smaltata in bianco, sopra cristallo di monte colorito da      smalto rosso, con arabeschi d’Aquilette d’oro all’intorno, donollo un Cavalier        Tedesco.

NUMERO XXIX. – Un grosso giojello rotondo d’oro smaltato a più colori, nel mezzo viene formato       da diamanti il Nome di Gesù, ornato pur di diamanti, con vari Misteri della       Passione; appiedi di esso una grossa perla a goccia, ed a capo una Collana      d’oro composta di 92 pezzi, contornati di diamanti: donolla il Principe      Ferdinando di Polonia. – Una Collana d’oro smaltato a vari colori, composta di 19 pezzi, parte guererniti      di diamanti, e parte da grosse perle: la donò la Duchessa Cristina di Lorena. – Altra minor collana d’oro composta da 42 pezzi smaltati bianchi, e neri, nel      mezzo pende una stella d’oro composta a 2 ordini di raggi, il tutto per netto      da 129 diamanti; dono del Co: Martiniz, e sua Consorte nel 1537. – Un’Aquila d’oro a 2 teste coronata, tutta tempestata di diamanti: la donò      un’incognita Persona. – Un gioiello fatto a nastro d’oro traforato e smaltato nero, e bianco, guernito di 93      diamanti; lo donò il Milord Petriz Inglese. – Un Cuor d’oro smaltato vermiglio, con grosso diamante nel mezzo;donollo il Co:      Filippo di S. Martino di Aliè di Torino.  – Altro cuore d’oro con grosso diamante quadro di fondo ligato a giorno in ambe      le parti: donollo la principessa di Rosano. – Un giojello d’oro smaltato a colori diversi, rappresentante un’Arme smaltata      verde, ornato da 21 diamanti, e 35 rubini: dono della Principessa, Trivulzj      Milanese. – Un Cappio d’oro smaltato nero tempestato di 13 diamanti quadri: dono d’occulta      Persona. -Un giojello grande d’oro traforato composto a 2 ordini a guisa d’Arme coronata,      attorniato da 96 diamanti, 5 de’ quali pendono a gocce: donolla  D. Maria      Vargas Spagnuola. – Altro giojello ovato d’oro che ha in mezzo l’Immagine di S. Veronica, contornato      da 30 diamanti; lo donò la Duchessa di Fiano Romana nel 1735. – Una Croce con sua attaccaglia, e catenella d’oro contornata di 9 grossi      diamanti,e 3 grosse perle pendenti: donolla il Duca di Baviera.  – Un cuore doppio d’oro liscio, con a capo un grosso diamante; dono del Co;       Enrico e Co: Eleonora di Stratman  Tedeschi del 1731. – Un Tofone d’oro con suo nastro, e grosso zaffiro quadro nel mezzo. Altro      Tofone d’oro con suo nastro smaltato rosso, e nero, guernito di 48 diamanti      brillantati; furono donati dal nominato Principe Santacroce. – Una Croce da Cavaliere di Malta in forma di giojello con sua catenella d’oro,      ornata di 34 diamanti: la donò il Co: Silvestro Spada di Terni nel 1721. – Altra Croce contornata di 13 rubini, composta di Castoni d’oro tempestati di 6      grossi diamanti quadri di fondo; dono di Persona benigna. – Un Ufficiziolo  d’oro smaltato a basso rilievo a varj colori, con un Cameo grande      di agata zaffirina da una parte, e con una Rosa composta da 9 diamanti      nell’altra, attorniata da 24 rubini, e nell’interno vi è dipinta l’Arme di Lorena,      con il nome della Principessa Enrichetta Donatrice. – Due Fibbie da manigli tempestate da diamanti, e perle; dono della Sig.        Marianna Lanzeoraguoca Polacca. – Una Gamba con sua catenella d’oro, con grosso diamante verso il fine d’essa      ligato in argento attorniato da 30 minori diamanti; donolla il Gen. Susa      Turinese nel 1686. – Un Quadretto ottangolare con cornice d’oro variamente smaltato, e sua      attaccaglia pur d’oro composta di 5 pezzi traforati parimenti diversamente  –      smaltati, in mezzo vi è scolpito in agata sardonica un Geroglifico da una      parte, e dall’altra l’Immagine della Madonna Ss. Di Loreto dipinta sopra      cristallo: offerto da Persona divota. – Altro Quadretto ottangolare di agata zaffirina orientale, rappresentante in      bassorilievo la Madonna di Loreto, con piccioli raggi all’intorno, fregiati da 36      smeraldini: dono di Madama Margarita Regol Francese.

NUMERO XXX. – Una Croce di lastra d’oro smaltato nero, con suo titolo pur d’oro fregiato da 29

     diamanti di fondo, 45 rubini, e 3 chiodi d’oro che hanno per testa un grosso      diamante  pur di fondo per ciascuno. Il monticello d’oro smaltato bianco, e      turchino, e alquanto verde, che rappresenta il calvario, ornato di smeraldi, e      zaffiri turchini, e bianchi orientali, crisolite, topazi, giacinti, granate,      amatiste, turchine di rocca, o quali, corniole, e malachita . Mirasi in prospetto      un antro figurato il Sepolcro guernito di rubini, e da un canto la vergine col      Salvatore morto, d’oro variamente smaltato; offerta dal Barone Ridolfo di      Teustenbac. –  Un Calice, e Patena d’argento dorato centinato di lastra cesellata a fogliami, e       teste di Cherubini, con riporti ovati pur d’argento dorato, rappresentanti      ognuno in ismalto un mistero della Passione, con un’Arme appiedi, e questa      Iscrizione:Sigismundus Carolus Comes Barcu Can, Salisburgensis etc. Altro Calice, e Patena d’argento traforato, e cesellato a fogliami, con Coppa      d’oro guernito di 6 riporti di lastra d’argento smaltati turchini, e neri, che      rappresentano il Salvatore, l’Assunta, l’Annunziata, la Cena, la Madonna di      Loreto, e i 2 Esploratori della terra promessa, caricati d’un grosso grappolo      d’uva;; donollo il Sig. Marco Mensel Tedesco. –

NUMERO XXXI. – Una Statua rappresentante la Vergine col Bambino assisa dentro un      Tabernacolo quadro, sostenuto da 4 Colonne, il tutto dorato; donollo una pia      Persona. – Due piccioli Candelieri d’argento; donolli una occulta Persona.

NUMERO XXXII. – Un Masso naturale a guisa di Piramide, nella cui facciata, e nei lati scorgonsi       132 pezzi di smeraldi, 42 de’ quali sono assai grossi, e nella cima una Croce      con Crocifisso d’argento dorato, ornata di piccioli fiori smaltati turchini, con      varie gioje, e perle all’intorno, ed  appiedi la genuflessa Immagine di A. M.  –     Maddalena; dato da D. Antonio Forca viceré di Napoli a nome di Filippo IV,       Re di Spagna. – Altro Masso artefatto parimenti a Piramide, composto a marcassìta, e  rena      d’oro, cont. da 26 topazi bianchi, e 46 grossi pezzi di smer., Ed altri 390      minori. In esso veggonsi 7 cavi in quadro distribuiti intorno, 2 sono nella      parte anteriore, in uno posto al di sopra vi è l’Effigie della Madonna di Loreto,      e nell’altro posto al di sotto l’Arme del Cardin. Ginnali Imolese Donatore,      ambedue a basso rilievo in lastra d’argento,e 5 sono in tavolette di pietra,      con varj misteri dipinti della Passione. S’ammira  a capo una Croce eretta da      in un vasetto, e ai lati di esso la V. Addolorata, e S. Giovanni ugualmente      d’argento dorato.  – Una Pianeta, Stola, Manipolo, Borsa, Palla, Cuscino, e Copertina del Messale      di ganzo d’argento tessuto a scacchj, ricamato di grossi festoni e fiorami      d’oro, quasi guernito il tutto di perle diverse, con castoni ornati di rubini      riportati sopra in forma di rosette d’oro di getto. Un Palliotto di ganzo      d’argento in parte d’oro, tessuto a scacchj, ricamato a fiorami d’oro che      sembrano Rose distribuite in varie foggie, contornato di lastrina d’oro      traforato. Nel mezzo vi è il Nome di Gesù d’oro di getto, attorniato da 88       rubini, e sotto un Coretto trapassato da tre chiodi d’oro di getto, guernito      guernito di 59 rubinetti, in un lato vi è la Vergine, e nell’altro lì’Angiolo      annunziatore, e sopra lo Spirito S.  pur d’oro di getto smaltato bianco,      tempestato da 166 rubini. Tutte le nubi che ivi restano formate sono di      piccioli perle; il tutto è dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del      Gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Ostrog.

NUMERO XXXIII. – Una Collana composta di 15 grossi castoni d’oro variamente smaltato, ornati di      42 diamanti, 82 rubini, e 23 grosse perle. Un’Uffiziolo giojellato di diamanti,      rubini, perle, e 10 piccioli Camei di lavoro greco. Il di dentro è diviso in 3      parti, in una osservasi un Crocifisso d’oro smaltato, con Croce ornata di      smeraldi grezzi, e da altre gioje; nell’altra vi è dipinta la B. V.beata con      cornice d’oro guernita di rubini, e diamanti da un lato, e dall’altro la Natività      del Sig. incisa in lastra d’oro, ove sotto il detto Uffiziolo presentemente si      ammirano, e nella parte ultima vi è l’Immagine di S. Gerolamo pur d’oro      smaltato bianco, attorniato di varie gioje; il tutto è dono del Duca Guglielmo      di Baviera. – Una Croce d’oro traforato, smaltato a colori, composta di 22 diamanti, 17 de’      quali sono grossi bislunghi, con 3 grosse perle pendenti, e un grosso rubino      bislungo appiedi;  donolla il Marchese Martinengo di Brescia. –  Un giojello, ossia Rosa d’oro composta a 3 ordini in mezzo ha un grosso      diamante, e 14 altri intorno; donollo D. Eleonora Cavaniglia Duchessa di S.      Giovanni. – Altro giojello ovato attorniato da 50 diamanti con uno grosso nel mezzo; lo donò      il Sig. Ferrante Pollea di Piacenza. – Altro giojello d’oro con 7 granate orientali doppie, circondato da diamanti      brillantati, e un Cappietto d’oro smaltato rosso, con grosso diamante      brillantato, e sotto un Tofone di getto d’oro; donollo il Principe Sansevero      Napolitano nel suo ritorno da Vienna nel 1722. – Altro giojello d’oro a più colori smaltato, rappresentante l’Effigie della Vergine      col Bambino in braccio, e 2 Angeli ai lati ornato di 92 diamanti con grossa      perla appiedi; lo donò la Sig. Eleonora Mandrozzi Duchessa di Pulinghera. – Una croce di S. Stefano con 4 granate orientali che formano i 4 raggi, con sopra      una Corona, tutto contornato di brillanti; lasciolla in dono il marchese      Pierantonio Gierini di  – Firenze nel 1757. – Un giojello grande ovato d’oro traforato a 2 ordini, tempestato di 67 diamanti      con uno grosso nel mezzo; lo donò la Sig. Vittoria Strozzi di Firenze. – Altro giojello d’oro smaltato nero in forma di piume, con diversi fogliami ai lati, ornato di 43 diamanti, 2 de’ quali sono grossi, ed alla cima un Coretto pur d’oro smaltato nero; lo donò la Marchesa Giovanna Gonzaga Mantovana. – Altro giojello d’oro smaltato bianco, e nero, composto di 5 pezzi guerniti di      smeraldi: donollo una Dama Tedesca. – Una grossa perla fatta barchetta ligata in oro appesa a 3 catenelle pur d’oro,      con altre 5 perle cadenti al di sotto. Non è meno prodigiosa, che      inestimabile, mentre dalla parte superiore si ammira effigiata a bassorilievo      la Ss. Vergine di Loreto sopra una nube. FU trovata, e donata da un      Pescatore, che avea promesso alla Vergine la sua prima pescagione. – Un reliquiario d’oro smaltato a più colori, ornato di rubini, da una parte ha un      cameo in agata di bassorilievo rappresentante S. Gio: Battista, che battezza      il Salvatore al Giordano, e dall’altra è intagliata la Croce con vari Misteri della      Passione, e al di dentro sonovi riposte molte Reliquie: lo donà una Persona      incognita. – Una gargantiglia d’oro con 37 perle a goccia, ed altre 13 ligate in essa, dono      d’occulta Persona.

NUMERO XXXIV. – Una Croce con  2 Candelieri di diaspro di Boemia con Crocifisso, e titolo      d’argento dorato, il tutto guernito da piccioli riporti di lastra d’oro, nodi, e      pometti pur d’oro di getto, smaltato a più colori: dono del Principe, e      Principessa Lichtenstain nel 1484.

 NUMERO XXXV. – Un Triregno di lastra d’argento traforata, e intagliata a fiorami in parte dorati;      donollo la Compagnia dei Battilana di Gubbio. – Una Statuetta di argento di getto rappresentante la Vergine in piedi, sopra      piedestallo d’Ebano ornato di teste di Cherubini d’argento di getto dorato,

     con Corona in testa, Bambino nella sinistra, e scettro nella destra, donolla il      Sig. Virgilio Groschedel Consigliere dell’Elettore di Baviera nel 1656. – Un Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata; lo dono una benigna      Persona.

NUMERO XXXVI. – Un’Ostensorio ovato assai grande a 4 ordini di lastra d’argento cesellata. Il      primo è tutto a raggi dorati, il 2 a tronchi, e rami d’Albero, il 3 a tronchi, e      rami di Vite, con grappoli di uva, e manipoletti di spiche ligati alle Viti, ed il 4      rappresenta il P. Eterno con sotto lo Spirito S. sfavillante raggi dorati. Nel      mezzo la Madonna di Loreto pur raggiante che ha in petto una Custodia di      cristallo a guisa di cuore, ornata di 5 ricciole Collane composte di pietre di      diversi colori, e di un fregio nel lembo della Veste guarnito di topazi gialli,      smeraldi, ed altre pietre di vari colori. Ai lati sonovi  2 figure di Personaggi      genuflessi sopra gli predetti manipoli. Il detto Ostensorio viene elevato da un      tronco d’argento di getto, nella cui parte anteriore al di sopra in  ismalto a più      colori si vede l’Arme della Principessa di Neoburg, già Duchessa di Parma,      Donatrice nel 1729, e al di sotto d’essa vendesi la città di Parma sostenuta      dall’Italia: in fondo sopra la base altr’effigie di un Vecchio che versa acqua      da un vasetto dorato, rappresentanti del fiume Po, e al lato opposto ergersi      la città di Piacenza. I descritti Personaggi sono il Duca, e Duchessa delle     Città suddette. – Due Rose con rami, e frondi di lastrina d’oro, e nelle cime hanno u zaffiro      turchino ottangolare, ciascuna posta in vaso d’oro: furono donate una da      Gregorio XIII, e l’altra da Clemente VIII. – Un Putto nudo di argento tutto di rilievo, con collana, e smaniglie d’oro      gemmate, che posa sopra un guanciale dello stesso metallo contornato d’un      fregio formato di perle, rubini, smeraldi, e di altre gemme; donollo la Madre  –     dell’ultimo Duca di Mantova. – Due Vasi d’argento sessagonali  istoriati a basso rilievo con doratura intorno.  –      Ciascuno di essi ha un’alboretto carico di Limoncelli parte dorati, e parte      coloriti verdi, e da balaustre guernite di fiori diversi, e Pavoncelli paonazzi, e      verdi, e molte figurine. Altri 2 Vasi d’argento ognuno de’ quali ha in mezzo      un alboretto d’aranci con pomi coloriti verdi, con picciola balaustra intorno, e      varie piantine dei fiori colorati. Altri 6 vasi d’argento di lastra cesellata, in      parte dorato, con 4 testine di Cherubini, il tutto fu offerto dal Card. Antonio      Barberini Protettore della S. Casa. – Altri 2 Vasi d’argento in forma ottangolare che hanno in mezzo un alboretto di      Limoncelli, con picciola balaustra intorno, e piantine di varj fiori. Altri 2  poco      più piccioli dello stesso metallo, con alboretto di Cerase, guerniti conforme i      predetti; donolli il Card. Filomarini. – Un Libro latino, ossia Panegirico di lode della S. Casa coperto nero, contornato      di argento dorato; dono del P. Partenio della Compagnia di Gesù.

NUMERO XXXVII. – Una Collana d’oro variamente ismaltato, composta di 20 pezzi con contornati di      103 diamanti, e 40 grosse perle; la donò l’Imperatrice Anna Madre      dell’Imperatore Mattìa. – Un Tofone d’oro pendente da 2 nastri, ornati di 262 diamanti, e 36 rubini. Un      picciolo giojello d’oro traforato, e ismaltato bianco, contornato di 29 diamanti      ligati a giorno, con in mezzo un grosso girasole, ossia opale ovato, e sopra      vi è una Croce di S. Giacomo d’oro ismaltato rosso; dono di D Baldassarre      Mendozza Spagnuolo. – Un’Anello d’oro con grosso giacinto ottangolare; lo donò  Monsignor della      Gengha a nel 1762. – Una Croce d’argento dorato, con 5 grossi zaffiri turchini orientali ligati in oro      contornato di diamanti; donolla una pia Persona. – Altra Croce d’oro guernito di 6 amatiste, ornata di diamanti, e 3 perle pendenti;      donolla la Co: Leoni Veneta. – Un giojello grande d’oro fatto a foggia di fiore guernito de 154 diamanti; donollo      la Sig. Paolina Bernardi Veneta. –

Altro gioiello grande ovato d’oro composto a 2 ordini tempestato di 131      diamanti; donollo la Co: Galeffi di Boemia. – Altro gioiello fatto a rosa d’oro traforato composto a 5 ordini guernito di 61      diamanti: dono non lo uno di Casa Loretti. – Un Quadretto di lastra d’oro in ismalto di basso rilievo a colori diversi        rappresentante la Ss. Annunziata contornato d’oro traforato in 33 fioretti, di       varia specie, e grandezza; lo donò la Marchesa Colcoquela Aragonese nel       1720. – Un Cuore cesellato di lastra d’oro, con un grosso rubino in mezzo attorniato da      17 diamanti; dono di Monsignor Gaucci d’Ascoli. – Una Croce di Malta con grosso diamante nel mezzo, e 53 minori all’intorno:       dono del Sig. Priore Vaini Romano. – Un ritratto di lastra d’oro incassato in cornice d’oro variamente ismaltato, ornato      di 4 diamanti quadri, e 16 rubini quadri da un lato, e dall’altro sonovi 2 alberi      incrociati col motto, Umanitas, con altri 4 diamanti, e 16 rubini, donollo il      Marchese del Vasto Spagnuolo. – Un’Ordine di S. Giacomo d’oro con suo Cappio dello stesso metallo traforato,     con in mezzo un ovato di smalto turchino nel quale posa una Croce d’oro      ismaltato rosso, il tutto da 32 diamanti, il 95 picciole turchine tempestato;      offerto da un incognito Cavaliere Spagnuolo.

NUMERO XXXVIII. – Una Croce, e piedistallo di Ebano, con Crocifisso d’oro di getto smaltato bianco,      ed ornamenti d’oro con 34 diamanti, 16 smeraldi, 17 rubini, un’amatista, una      granata, 37 perle, e 2 spiche d’oro nel detto piedestallo, con opali, rubini, e      smeraldi in forma di grani; lo donò la Madama Isabella arciduchessa      d’Austria, Duchessa di Mantova. – Un Calice, e Patena d’oro con teste di Cherubini, e varie misteriose figure, con      un’Arme, e questa Iscrizione: Virgini Lauretanae, Joannes Petrus Vulpius      Episcopus Novarensis 1636. – Altro Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata. Nel nodo maggiore vi sono      al di dentro a tutto rilievo picciole figure rappresentanti la Natività del       Signore, e sotto questa Iscrizione. Ill.ma D. Marchionissa Victoria de Populis      Donat. Kal. Maji 1664. – Un Quadretto con un Cuor d’oro sopra velluto nero, con Cappio pur d’oro:      donato dall’Ab. Cherrè di Parigi nel 1730.

NUMERO XXXIX. – Una Statuetta d’argento di getto che rappresenta la Vergine in piedi, col       Bambino in braccio, posante sopra un Globo di nubi, e sotto vi è un picciolo      piedestallo di lastra d’argento cesellato con 3 teste di Cherubini parimenti      d’argento di getto. La suddetta, e il piedestallo vengono attorniate da grosso      filo, e lastra d’argento in guisa di fusti, foglie, e fiori di rose. Ai lati del detto      piedestallo sonovi  2 Statuette d’argento, rappresentante S. Domenico alla      destra, e S. Rosa alla sinistra; offerto da occulta Persona. – Una Sottocoppa rotonda di mezzana grandezza, con suo piede il tutto di lastra      d’argento; donolla una pia Persona. – Degno di particolare ammirazione è tutto il soffitto ricoperto di fatti Istorici dal      famoso pennello del celebre Pittore Cristoforo Roncagli detto il Pomarancio. – Dello stesso Autore è il Quadro grande rappresentante un Crocifisso collocato      sull’Altare di Marmo, le Colonne del quale tutti in un pezzo di marmo di      Carrara addimostrano la loro rarità.  – Sullo stesso Altare spiccano gli candelieri, carte glorie, e croce di metallo dorato      tempestato di coralli, e di ai lati del medesimo li 2 Torcieri consimili, doni del      Principe d’Avellino. – Il Paliotto d’argento di getto che con li 2 gradini, e basi laterali d’argento ricopre      quotidianamente il detto Altare, è quell’istesso, che nelle maggiori Solennità      serve per l’Altare della Ss. Annunziata. Il detto Paliotto rappresenta in 3      quadri da 4 colonne tramezzati a destra la Nunziata, e a sinistra la      Visitazione, e nel mezzo la S. Casa. – Elevate al piano delle 2 Colonne si vedono le 2 Statue grandi d’argento, una      delle quali del peso di libbre 150 rappresenta la Principessa Adelaide di      Baviera; l’altra del peso di libbre 188, e e mezza, rappresenta il Co: Gio:      Giorgio Clari Barone Boemo di Praga Gran Consigliere di Leopoldo I. – Avanti l’altare dirimpetto alle dette Statue vi sono 2 bellissimi Torcieri grandi      d’argento del peso di libbre 120, donati dal Cardinale Altieri Protettore della      S. Casa, in mezzo alli quali si vede appesa una Lampada d’argento di      egregio lavoro del peso di libbre 25,once 4  donata dalla signora Co:      Antonia Breiner d’Harac di Vienna in Austria nell’anno 1769. –  A cornu Evangelii del medesimo Altare si conserva in grande Armario il famoso  –      Quadro d’Altare con cornice dorata in cui si vede al vivo rappresentata dalla      maestra mano di Federico Baroccio la B. V dall’Angelo annunziata. – A cornu Epistolae nell’altro consimile Quadro rappresentante la Natività di M. V.      si ammira l’arte come cui lo perfezionò il rinomato Pittore Annibale Carracci..

A MANO DESTRA DEL TESORO: NUMERO XL. Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; il donò una benigna Persona. – Un Calice, e Coppa dorata, con l’impugnatura, e piede il tutto d’argento di getto      lavorato a basso rilievo, rappresentanti varj misterj della Passione; dono      d’occulta Persona.

Altro Calice d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra traforata e      cesellata da grappoli di uva; donollo  Monsig. Carlo M. Pianetti Vescovo di      Latina nel 1712. – Due Patene d’argento dorato che appartengono ai suddetti.

NUMERO XLI. – -Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Simone con Diadema in testa,

     e Sega in mano di peso libre 32 eonce 6.

NUMERO XLII.

Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo maggiore, con Diadema in testa, e Bordone in mano di peso come sopra. – Nei lati della vicina Finestra a mano destra in un Quadro bislungo di mezzana grandezza con cornice dorata si vede rappresentata dal celebre Carlo Loth  l’Adultera condotta avanti al Signore.

NUMERO XLIII. – Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; dono di pia Persona. – Un Calice d’argento che ha l’impugnatura, e Sottocoppa traforata di getto,      contornato di teste di Cherubini, Angioli con varj Stromenti della Passione, e      Statuette con Iscrizione. D. Isabella Tolfa Doria Duchessa di Evoli 1639. -Una Patena d’argento dorato che va unita al detto Calice. – Altro calice d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata a fogliami, teste di Cherubini, e Statuette; donollo una incognita Persona Bolognese.  – Altro Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a lastra cesellata con grappoli d’uva; lo donò il Sig. Giuseppe Giardini di Nola nel 1758. – Una Patena d’argento dorato che accompagna il medesimo. – Altro Calice di lastra d’argento cesellata rappresentante vari Cherubini, e diversi misterj della Passione, con l’Arme intagliata appiedi di Monsig. De Carolis. – Altro calice dorato di lastra d’argento cesellata a fogliami, e teste di cherubini; lo

     donò una benigna Persona.

NUMERO XLIV.

Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo minore con Diadema in testa, e Bastone in mano, di peso libre 34.

NUMERO XLV.

Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Andrea con Croce traversa, e Diadema in testa di peso libre 34, eonce 6.

NUMERO XLVI.

Due laterali d’argento che vanno uniti al Paliotto già descritto. – Un Semibusto d’argento rappresentante S. Cecilia con Iscrizione al piedestallo: Georgius e Wisentbaris Cathedralis Nerbipoii Decanus ec. 1727. – Una Croce grande con suo piedestallo d’Ebano con Crocifisso, e ornamenti d’argento; offerta da Persona divota. – Due Calderuole d’argento, e due Candelieri grandi pur d’argento dorato. – Un incensi d’argento in parte dorato, che nel coperchio forma un Ghiandone dentro a 3 rami, e fuste di Quercia, lo donò Guidobaldo II della Rovere Duca d’Urbino. – Una Croce di Ebano, l’anteriore viene ricoperto da diaspro, con sopra un Crocifisso, e ornamento d’argento. – Vi sono 2 piante di Città d’argento, cioè, la Presidenza di Montalto, e Nancì Capitale della Lorena con cornice dorata.

MUMERO XLVII. – Una picciola Croce composta di 6  vari pezzi di agata ligata in oro, con fascette di lastra d’oro, e Crocifisso d’argento di getto dorato con piedestallo  –      ottangolare ovato, di amatista, e fascia all’intorno d’argento dorato. Due piccioli Candelieri d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata; donolla una benigna Persona. – Un Calice d’argento con Coppa dorata con l’impugnatura ed il piede di getto centinato lavorato a basso rilievo a fogliami, e figure, con Arme, e Iscrizione intagliata. Domenico Joma Tomacelli Cibo. – Altri 3 Calici d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata con fogliami, figure, Angioletti, e misterj della Passione, con 5 Patene d’argento dorato doni tutte d’occulte Persone.

NUMERO XLVIII. – Una Statua d’argento di getto rappresentante S. Tommaso collo  Squadro in  mano, e Diadema in testa. Pesa libbre 30,once 6.

NUMERO XLIX. – Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Matteo con Diadema in testa, Borsa, e  Libro in mano, di peso eguale all’altra. – Nei lati della finestra di mezzo a mano sinistra  in un  quadretto con cornice  dorata si distingue il Pennello dello Sghidone di Parma, che con delicatezza rappresenta la Natività della B. V. – Il quadretto al lato del medesmo con cornice parimenti dorata addimostra la Conversione fatta per grazia di Maria SS.ma dell’eretico scrittore Giusto Lipsio, quale ha voluto che ne apparisca perpetua memoria in una Penna d’oro fermata nel mezzo d’esso sopra un picciolo ricamo, e nel sotto apposto seguente distico. FAUSTE VIRGO PARENS CALAMI; QUAESO; ACCIPE VOTUM \ TERRENA UT LINQUENS VERBA SUPREMA FERAT \ IUSTI LIPSI ANAOHMA. In faccia al medesimo vi è un Quadretto di marmo di basso rilievo con cornice di noce ornata di varj riporti di legni dorati, rappresentante la Ss. Annunziata con Angelo, e Gloria di Serafini donato nell’anno 1703 dal Sig. Giuseppe Mazzoli di Siena.

NUMERO L. – Un Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a cesello con varie teste di Cherubini di getto; offerto nel 1725 da pia Persona. – Altro Calice d’argento lavorato a fogliami con diversi Cherubini intorno, e  sottopiede v’è l’Iscrizione. D. Margaritae Carelli Viduae, etc Nobilis Anglae. –   Una Patena  d’argento dorato che appartieni al detto Calice. – Altri 4 Calici d’argento cesellati parte a fogliami, e teste di Cherubini, e parte  con varj misterj della Passione, con  4 Patene d’argento dorato appartenenti a medesimi; offerti da incognite Persone.

NUMERO LI. – Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Paolo con Diadema in testa, e

     Spada in mano, pesa libbre 42.

NUMERO LII. – Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Filippo con Dadema in testa, e con Crocetta in mano, di peso libre 32.

NUMERO LIII. – In questo Credenzone si conserva una parte dei nuovi Argenti fatti per 7 Altari consistente in 7 Croci, 28 Candelieri grandi, e 14 piccoli, de’ quali se ne darà a suo tempo un più distinto ragguaglio, allorché saranno terminate le Carteglorie, Lampade, e Cornucopi, con tutti gli Candelieri per gli altri Altari, che attualmente si lavorano, e l’altra parte si conserva nel Credenzone al numero XLVI.

NUMERO LIV. – Un Calice d’argento tutto dorato che ha la Sottocoppa e impugnatura  triangolare, tutto di getto lavorato a basso rilievo con varie figure, festoncini, Cherubini, Angioletti, e molti Stromenti della Passione; lo donò il Principe, e  Principessa Santobuono Napolitani. – Altro Calice d’argento tutto dorato quasi simile all’altro; fu donato nel 1730 da occulta Persona. – Altro Calice d’argento tutto dorato, col Sottocoppa di lastra cesellata rappresentante varj Misterj della Passione, e teste di Cherubini; donollo il Cardinal Portocarrero. – Altro calice d’argento tutto dorato, e cesellato con molte figure, e semibusti allusivi al SS. Sagramento; lo donò una Persona benigna. – Altro Calice tutto d’oro, che a là Sottocoppa di lastra traforata, e cesellata a fogliami, con l’impugnatura parte di getto, e parte di lastra lavorata a fogliami, e grappoli d’uva; donollo il Cardinale Portocarrero Seniore. – Cinque Patene d’argento dorato, appartenenti ai suddetti Calici.

NUMERO LV. – Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Pietro con Diadema in testa, e Chiavi in mano. Pesa libbre 40.

NUMERO LVI. – Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Bartolomeo con Diadema in testa, e Coltello in mano. Pesa libbre 31,once 6. –    Nel lato sinistro della contigua Finestra si osserva un Quadretto con cornice di  Ebano, ornata di 4 riporti di lastra d’argento traforato, e cesellato a fiorami con Pitture in pietra negra rappresentante la Madonna di Loreto sopra la S. Casa portata dagli Angeli, e di al basso un’Ecclesiastico genuflesso, con appresso S. Francesco, e avanti un Angelo che fuga la morte donato dal Nobil Uomo Carlo Contarini Veneto. – In faccia al detto Quadretto è il grande attestato della particolare divozione verso Maria Ss. del Sig. Girolamo Luterio Romano, quali con tutta la sua Eredità donò il Quadro rappresentante la Natività del Salvatore con la B- V., e S. Giuseppe opera stupenda di Raffaele d’Urbino.   –   Sotto il detto Quadro evvi un quadretto con cristallo, e cornice intagliata, e dorata, quale rappresentando la B. V. con il Bambino giacente palesa il merito di Claudio Ridolfi detto il Veronese.

NUMERO LVII. – Una Croce di Busso con moltissime figurine intagliate, rappresentanti il Testamento nuovo, e il vecchio; la donò il Cardinale Gio: Francesco Albani nel 1697, che fu poi Pontefice sotto il Nome di Clemente XI. – Altra minor Croce di Busso di egual travaglio; la donò D. Bartol. Nigri di Castel  Casale Mag. Nel 1610.   –   Una Noce di Cocco di Spagna divisa in 2 parti, in una parte al di dentro è lavorata in tagli rappresentante il presepio con molte figurine, e nell’altra l’Adorazione dei Magi, conservata in una Scattola tonda ricoperta di corame      negro; la donò la Sig. Anna Maria Sembrini Maceratese. – Un Quadretto che rappresenta la Ss. Annunziata di lastra d’argento in parte dorato sopra velluto rosso con cornice nera, contornata di varj riporti d’argento; donollo un’incognita Persona. – Altro quadretto con cornice nera, che contiene scritti a minutissimo carattere il Parter noster, Credo, Te Deum ec. E le altre orazioni talmente disposte, che formano un Crocifisso; lo donò il P. Vincenzo da Mercartello Provinciale de’   Cappuccini della Marca. – Altro picciolo Quadretto di Ebano rappresentante il P. Eterno, lo Spirito S., il Nome di Gesù, 6 Santi, e la B. V. Nel mezzo; lo donò una Persona occulta. – Sonovi anche diverse Scattole con dentro pezzi d’oro, d’argento, varie gioje, e moltissime altre cose.

NUMERO LVIII. – Una statua d’argento di getto rappresentante S. Taddeo con diadema in testa, e Picca in mano. Pesa libbre 31, eonce 6.

NUMERO LIX. – Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Giovanni con Siadema in

     testa, e Calice in mano. Pesa libbre 34, e 6 oncie.

NUMERO LX. – Una Risurrezione d’argento consistente 4 figure di getto rappresentanti il Salvatore, e 3 Soldati atterriti intorno al Sepolcro di lastra d’argento, con diversi pezzi di cristallo, e base pur di lastra con l’Arme di getto della Principessa Olimpia Ludovisi di peso libre 15 meno un’ oncia.

NUMERO LXI. – Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno; donollo il nominato Principe d’Avellino. – Due vasetti d’argento con manichi.

NUMERO LXII. – Altro Ramo di Fiori d’argento ornato di coralli, con suo vaso, pur dono del Principe d’Avellino Napolit.   –   Due Ampolline d’argento ai lati.

NUMERO LXIII. – Un Giardinetto d’argento ornato di ambra, granate, e cristal di monte. Nel mezzo scorgesi una Fontana circondata da 4 colonnette di lastra, e 4 Alboretti di getto, con fogliami di lastra, dalle quali innalzarsi un pergolato di viti il tutto d’argento. Il medesimo è contornato da balaustrate, su cui miransi alquanti uccelli, e Scimmiette, e nel piano in un lato il Giardiniero con Zappa in spalla, e di una Donna con Vaso in mano, e nell’altro altra Donna che tiene in capo una Canestra, ed un Fanciullo per la mano; offerto nel 1700 dalla Co: di Lemos Spagnuola.  – Ai lati d’esso nel piano sonovi 2 Rame di Fiori d’argento coi loro vasi, ornate di  coralli; le donò il Principe d’Avellino. –

NUMERO LXIV. – Una Statua di lastra d’argento cesellata rappresentante S. Paterniano pontificalmente vestito, che tiene in ampie le mani la Città di Fano, da cui fu donata. Nel braccio sinistro resta appoggiato il Pastorale pur d’argento. La medesima posa sopra piedestallo dorato, con in mezzo l’Arme della detta  Città, e un Cherubino per lato. – Due Candelieri grandi triangolari d’argento dorato, in ogni lato e di lastra cesellata d’oro sopra lapislazzoli si vede uno dei Misteri della Passione; donolli la Casa Borghese. –

NUMERO LXV. – Un Incensiere, e Navicella d’oro con 4 catene dello stesso metallo, il tutto      lavorato a ramoscelli, ghiande, e frondi di quercia; donollo Francesco M. U. della Rovere Duca d’Urbino. Pesa 9 lib., e 6 oncie.  –   Una Crocetta d’Ebano, incastrata in lastra d’oro con Crocifisso di getto d’oro smaltato a varj colori. Due Candelieri compagni alla descritta Croce, ornato il tutto di granate sardoniche grezze, e pezzi quadri di cristal di Monte; dono  del Cardin. Andrea d’Austria.

NUMERO LXVI. – Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno, offerto dal Principe  d’Avellino.   –   Due Vasetti d’argento con manichi.

NUMERO LXVII. – Altro Ramo dei Fiori d’argento guernito di coralli con suo vaso, parimenti dono  del Principe d’Avellino.   –   Due Ampolline d’argento ai lati.   –   Sopra la Porta del Tesoro da una catenella d’argento resta appesa una  Sciabola con l’impugnatura, e fodero di lastra d’argento dorato, con riporti di verde antico, ornato di 128 smeraldi, e rubini, 167 turchine, con tracolla, e passamano d’oro, con 2 fibbie, e attacca glia d’argento dorato con 12 turchine: donata dal Principe Giuseppe Landgravio d’Hassia  Darmstade nel 1720. –   Nello stesso sito di pure pendente una Galera, Timone, 32 Banchi, 2 Antenne, fiamma picciola d’argento, 28 remi con punte d’oro, caicchio a pompa, 2 Cannoncini pur d’argento di getto, con altre 3 fiamme, e Bandiera a poppa di lastra d’oro; offerta da Ferdinando I, ran-Duca di Toscana nel 1592.   –   Degna parimenti di osservazione è la generosità del Canonico Raffaelli di Cingoli quale con 15 quadri fra grandi, e piccioli di varj eccellenti Pittori, ornati di cornici dorate, e intagliate ha decorato la Sagrestia del Tesoro, e primieramente il Quadro grande sopra il Lavamano di marmo, che rappresenta la Scuola della B. V. è opera di Guido Reno; Del Baroccio è il S. Francesco sopra il Genuflessorio a mano destra, e del Calot il famoso Quadro ricoperto con cristallo sotto il medesimo rappresentante lì quattro Novissimi.   –   Il Quadro in alto vicino alla porta della Chiesa rappresentante la Deposizione del Redentore dalla Croce è opera del Tintoretto, l’altro nel mezzo nella

     stessa linea del Bastanese, e il terzo di Andrea del Sarto.   –   La Madonna sotto il Quadro della Deposizione di Giacomo Parmegianino, il Quadretto in rame di Benvenuto Garofolo, e la Madonna vicina alla Porta del tesoro di un Scolaro di Raffaello.

Il Quadro grande fra le due finestre rappresentante il Salvatore condotto a Pilato di Gherardo della notte, ed il S. Girolamo sotto il medesimo di Claudio Veronese, ed essendo varia circa gli altri 4 quadri l’opinione de’ Pittori si tralascia di asserirne il preciso Autore.

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DESCRIZIONE delle Poste per diverse Parti a miglia italiane.

Da Loreto a Roma

Loreto – Recanati città  m.  5

Sambucheto                            m. 5

Macerata città                       m. 7

Tolentino città                      m.10

Valcinarra                              m. 7

Ponte della Trave               m.  7

Muccia castello                   m.  7

Serravalle borgo                 m. 7

Casenove                               m. 9

Foligno città                          m.10

Le Vene                                    m. 8

Spoleto città                          m. 9

Strettura                                   m. 9

Terni città                                 m. 9

Narni città                               m. 7

Otricoli                                     m.10

Borghetto                                 m.  7

Civita castellana                  m.  5

Rignano                                    m. 8

Castelnuovo castello         m. 7

Malborghetto                         m. 7

Prima Porta                             m. 4

ROMA                                        m. 8

                           Miglia  172

Da Roma a Napoli

Torre a mezza via                    m.  9

Marino terra                              m.  6

Velletri città                              m.10

Cisterna castello                    m. 6

Sermoneta terra                     m.  6

Casenuove osteria                 m. 8

Piperno città                             m. 7

Badìa osteria                            m. 9

Terracina città                          m. 9

Fondi città                                 m. 8

Itri castello                                m. 8

Mola borgo                                m. 9

Garigliano osteria                  m. 6

Si passa il fiume in barca.

Sessa città                                m. 8

Torre francolisse                    m. 8

Capua città                              m. 7

Avversa città                            m. 8

Napoli città                               m.  6

                                 miglia  136

Da Loreto ad Assisi                         

 Recanati città                           m. 5

Macerata città                           m. 13

Tolentino città                           m. 10

Valcimarra                                  m. 7

Ponte della Trave                      m. 7

Muccia castello                        m. 7

Serravalle borgo                       m. 7

Casenuove osteria                  m. 9

Foligno città                               m.10

Assisi città                                  m. 8

                                 miglia    83     

Da Assisi a Firenze

Perugia città                               m .10

Torretta. Osteria                       m. 9

Corsaja borgo                           m. 9

Castiglione aretino                 m. 8

Bastardo osteria                      m. 7

Ponte a Levar borgo               m. 7

Fiughine osteria                       m. 8

Freghi osteria                            m. 9

Firenze città                               m. 8

                                miglia         75

Da Bologna a Milano per Cremona

Samoggia osteria                    m. 10

Modena città                             m. 10

Bonporto                                    m. 8

S. Martino                                   m. 7

Concordia                                  m. 8

S. Benedetto                             m. 8

Cisterna castello                     m. 6

Sermoneta terra                      m. 6

Casenuove osteria                 m. 8

Piperno città                             m. 7

Badìa osteria                            m.  9

Mantova città                           m. 6

Castelluccio                             m. 7

Avoltoi                                        m. 17        

S. Giac. della Pieve                m.   9

Cremona città                          m.   8

Pizzighettone                            m.  12

Zorlesco                                      m. 10

Lodi città                                     m.10

Marignano castello                m. 10

Milano città                              m.  10

                              miglia  150

Da Milano a Torino

Rosa villa                                  m. 20

Bufalora villa                           m. 10

Novara città                             m. 16

Vercelli città                            m. 15

S. Germano villa                    m. 10

Torino città                               m.  10

                                           miglia    81

Da Loreto a Venezia

Sirolo                                                m. 6

Ancona città                                 m. 10

Fiumicino osteria                       m. 10

Sinigaglia                                      m. 10

Fano                                                m. 15

Pesaro                                            m. 17 

Cattolica osreria                       m. 10

Rimini città                                  m. 15 

Savignano castello                  m. 19

Cesena città                               m. 10

Forlì città                                      m. 13  

Faenza città                                m. 10

Lugo castello                             m. 12

Bastìa                                            m. 12

Argenta                                         m. 3

S. Nicolò                                       m. 10

Ferrara città                                m. 10

    Si passa il Po

Francolino                                  m. 

Passo di Rosati                         m. 7

Rovigo città                                m. 6

Boara                                            m. 2

Solesina osteria                      m. 8

Monselice castello                m. 15

Battaglia                                     m. 3

Padova città                              m.   7 

Lizzasusina                               m. 10

Venezia                                       m. 5 

                       miglia     240

Da Venezia a Udine

Mestre                                       m. 6

Trevigi città                              m. 10

Lovadina                                   m. 10

Si passa il Piave

Conegliano                              m. 5

Sacile                                         m. 10

Fontana fredda                     m. 4

Pordenon                                 m. 7

Valvason                                  m. 8

Gradisca vdi sedian            m. 5 

Panchianis                              m. 3

Bressan                                    m. 3

Udine città                              m. 5

                              miglia     75

Da Loreto a Bologna

Camerano castello              m. 8

Ancona                                      m. 9

Case bruciate                         m. 10

Sinigaglia                                  m. 10

Fano                                            m. 15

Pesaro                                        m. 6

Cattolica castello                 m. 10

Rimini                                         m. 10

Savignano castello              m. 10

Cesena                                      m. 10

Forlimpopoli                           m. 8

Forlì                                            m. 5

Faenza                                      m. 10 

Imola                                         m. 10 

Castel S. Pietro                     m. 12

Bologna                                    m. 8

                                                             __________

                                 Miglia     151

Da Genova a Milano

Pontedecimo borgo          m. 7

Borgo                                       m. 8

Isola borgo                            m. 4

Arquà castello                     m. 10

Portella osteria                   m. 10     

Tortona città                         m. 8

Voghera castello                m. 10     

Bastìa osteria                      m. 8

Pavia città                             m. 8

Binasco                                 m. 10

Milano                                    m.  10

                          miglia     93

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Da Milano a Trento per Brescia

Cascinabianca ost.               m.   7

Martinengo villa                      m. 22

Coccai villa                               m. 10

Brescia città                              m. 10

Ponte di S. Marco                   m. 10

Castelnuovo                             m.   9 

Valderini osterìa                      m. 10

Vonborgo                                    m. 10 

Rovere castello                       m. 10

Trento città                                m. 10

                                         Miglia    108

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INDICE   DELLE COSE NOTABILI NEL PRESENTE LIBRO

Cap,    I Della Città di Loreto, e sua regione                          Pag. 2

II S. Casa di Loreto, e suo antico culto 3

III Traslazione della S. Casa 5

IV S. Casa, e sue vestigie 8

V S. Casa riconosciuta nella Marca 13

VI Del Tempio Loretano 16

VII Facciata del Tempio 19

VIII Porte del Tempio 21

IX Interno del Tempio 23

X Ornamenti del Tempio 25 

XI Ornamenti esteriori della S. Casa 29

XII Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura 32

XIII Degli ornamenti interiori della S. Casa 37 nella parte del S. Camino

XIV Ornamenti della S. Statua 41

XV Ornamento del resto della S. Casa  44

XVI Indulgenze, e Privilegi conceduti alla S. Casa 47

XVII La S. Casa divinamente conservata  52

XVIII Delle Cappellanìe, e Messe, che si celebrano nella S. Casa, coi nomi dei loro Fondatori. 57

Esatto Catalogo de’ più qualificati Doni che si conservano nel Tesoro di S. Casa, e pregievoli Pitture 59

Descrizione delle Poste per molte Parti 112 

                         ===00o    Trascrizione di Albino Vesprini belmontese

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CURIOSITA’ storiche di Fermo e del Fermano edite da Gabriele Nepi nel 1996

parte prima fino a tuto il secolo XIV (altro in seguito)

CURIOSITA’ STORICHE DI FERMO E DEL FERMANO  di Gabriele NEPI. Fermo 1996

<con abbreviazioni>

Anni dell’epoca avanti Cristo anni si calcolano dagli antichi ai recenti

Secolo X a.C. – E SI FORMARONO I PICENI popolo forte e civile

La pagina più genuina della nostra storia del Fermano è stata la venuta dei Piceni. A Monterubbiano si commemora la sagra di Sciò la Pica, che si celebra il giorno di Pentecoste, e viene celebrata con tutta la magnificenza della memoria del passato, con tutto l’entusiasmo di sempre. A Monterubbiano si danno ideale convegno i Piceni che provennero da ogni parte della regione, dell’Italia e dell’Oriente. Tornano con i figuranti a rivedere la culla della loro origine.

Una tradizione dice che vennero gli antichi piceni della Sabina, guidati da un picchio. Attraversarono la faglia di Arquata; sciamarono lungo il Tronto e si diressero a nord e a sud di esso, ponendo ivi le loro dimore. Così nacquero Firmum Picenum, Potentia, Interamnia (Teramo). Atri, Asculum Picenum, e altro. I nuovi venuti adempivano al voto di “Primavera Sacra”. Una pleiade di autori classici, greci e latini, parlano di essa: sono Strabone, Eusebio di Cesarea, Diodoro Siculo, Tito Livio, Silio Italico, Festo Rufo, Paolo Diacono, inoltre Orazio, Giovenale, Marziale e altri. quasi tutti vissuti prima di Cristo. Popolo valoroso e guerriero, tenne testa e più volte, a Roma specialmente durante la Guerra Sociale di oltre 2000 anni fa. La loro civiltà fu splendida: la loro presenza culturale, stupenda; la loro arte, meravigliosa! Mentre scriviamo, non possiamo non pensare ai reperti piceni che fanno conoscere aspetti sconosciuti di tale civiltà.

A Monterubbiano, antico centro piceno, nella sagra garriscono sulle torri i vessilli ed orifiammi, in un tripudio di sole, di colore, di canti, mentre il clangore delle chiarine, gli squilli delle campane, il rullo dei tamburi conferiscono alla celebrazione, mista di sacro e profano, un entusiasmo possente ed eloquente, una esaltazione della nostra stirpe. Le quattro corporazioni (Bifolchi, Mulattieri, Artisti, Zappaterra), sfileranno nei loro variopinti paludamenti, su focosi destrieri, accompagnati da splendide dame e damigelle ..

     “Poiché Iddio potente viene placato con l’omaggio ed il culto dei Santi, e poiché per intercessione della beata Vergine del Soccorso la nostra Monterubbiano continui ad essere assistita dalla fortuna, cresca in dimensione, aumenti in prosperità, stabiliamo che, annualmente, arrivando la festa, i Magnifici priori, insieme al Podestà, provvedano a rendere noto nelle località consuete e con le modalità solite che tutti, sia maschi che femmine, si raccolgano nella piazza di Santa Maria dei Letterati, per poi procedere in solenne processione alla volta di Santa Maria del Soccorso insieme con i magnifici Priori, Podestà, i Salariati, i Sacerdoti, i ‘Chierichi’ e i loro pari grado. E un Monterubbiano d’Argento sia portato da un famiglio ed ognuno porterà le candele accese che verranno date in elemosina a S. Maria del Soccorso”. Così i patrii Statuti!

     Andando a Monterubbiano ad assistere a Sciò la Pica ritorniamo alle sorgenti, alle fonti primigenie della vita, alla georgica contemplazione della Natura. Gli spiriti degli antichi nostri padri, aleggeranno all’intorno, rievocando la loro venuta, guidata dal Picchio che diede il nome alla Regione: Piceno.

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Anno c. 752 a.C.LUCIO TARUZIO DATA il Natale di Roma

      “Sole che sorgi libero e giocondo / sul colle nostro i tuoi cavalli doma / Tu non vedrai nessuna cosa al mondo / maggiore di Roma”.

     Così si cantava un tempo con “nostalgia” di “classicismo”, perché tale inno  è opera del poeta latino Orazio vissuto ventuno secoli fa. Lo ricordiamo o in occasione della ricorrenza del 21 aprile, Natale di Roma.

     Attualmente si usa datare dalla nascita di Cristo; ma nell’antichità il tempo era scandito in vari modi: dalle Olimpiadi, che cadevano ogni 4 anni; c’erano poi gli anni del Consolato; l’era di Diocleziano; l’era della fondazione di Roma; le indizioni e altro.

Nel periodo prima di Cristo, gli storici datavano fatti ed eventi ab Urbe condita, cioè dalla fondazione di Roma, avvenuta nel 753 avanti Cristo. Nel fissare tale data, un nostro “concittadino” fermano, Lucio Taruzio, svolse il ruolo più importante. Già Catone il Vecchio si era interessato di fissare il giorno della nascita di Roma, facendolo risalire al 752 a.C.; Varrone, con l’approvazione di illustri storiografi, quali Plinio il Vecchio, Tacito, Dione ed altri, la fissò al 21 aprile, su indicazione di Lucio Taruzio.

     Ce lo dice Plutarco nella “Vita di Romolo”, scritta in greco, ove si dice anche che il natalis urbis si identificava con la festa delle Palilie. Chi toglie ogni dubbio  è nientemeno che Marco Tullio Cicerone, il quale nel libro 2, cap. XLXVII del De divinatione, dice testualmente: “Pure Lucio Taruzio di Fermo, amico nostro, uomo molto erudito nelle arti d’astrologia, faceva derivare il giorno natalizio della città, dalle feste di Pale. Si narra che Romolo la fondò durante tali feste. Taruzio affermava che Roma venne fondata quando la luna era nella costellazione della Bilancia e non esitava a cantare le imprese del fondatore”.

     Successivamente, con Dionigi il piccolo, si incominciò a datare partendo dalla nascita di Cristo; anche se i calcoli su tale data non sono perfetti, tuttavia è adottata universalmente.

     Particolare curioso: l’era della fondazione di Roma, usata dagli storici, non venne adoperata dai Romani nella datazione di leggi ed atti pubblici, ma soltanto nelle liste e nei fasti consolari. A Fermo, una via dedicata a Lucio Taruzio. ricorda ai posteri colui che fissò al 21 aprile il Natale di Roma, caput mundi.

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Anno 536 a.C. – I FERMANI A SCUOLA DI PITAGORA nella Magna Grecia

     A settembre, nel ricominciare l’anno scolastico; si “torna al lavoro usato”. Ovunque si respira aria di studio e di cultura. Fermo, “città degli studi” e “degli studenti”, ogni mattina è invasa da folle di giovani e si perpetua così una tradizione di apprendimento e di cultura, viva sin dal sec. VI avanti Cristo.

     Lo scrittore greco Diogene Laerzio (III sec. d.C.) nella sua poderosa opera: “Vita e sentenze dei più illustri filosofi e compendio breve delle opinioni di ciascuna setta”, afferma che durante la 60a Olimpiade, cioè 536 anni prima di Cristo, nella Magna Grecia, a Crotone, affluivano cittadini di varie parti d’Italia per imparare da Pitagora (allora trentacinquenne) la filosofia, le lettere greche e la medicina. Fra essi vi erano dei cittadini di Fermo (Vita di Pitagora, libro 8). Ciò è confermato da Giacinto Gimma in “Idee della Storia dell’Italia Letterata” (1723).

     A tali Fermani interessava la conoscenza della filosofia e, ovviamente, della lingua greca, talché poi a Roma si parlavano e scrivevano correttamente sia il greco che il latino. Vos exemplaria graeca nocturna versate manu versate diurna, dirà poi Orazio nell’Arte Poetica: consultate notte e giorno i modelli greci!

     Dell’apprendimento e della conoscenza del greco, sono rimaste tracce nel dialetto del contado fermano, dovute ai traffici commerciali con la Grecia e la Magna Grecia (sud Italia) e per la tradizionale conoscenza bilingue (greca e latina) dei Fermani. Così abbiamo ‘mattara’ (madia) dal greco mattra; ‘gramarò’ (mestolo) dal greco cammaros; cuturnu (stivale) da còtornos; fratte (siepi) da frattei; naulu (noleggio) da naulos; téca (baccello): una téca (de fava oppure di piselli) da teke; fitturu (legno per far buchi nel terreno per piantagioni) da fiteuo, cioè piantare, etc. Ciò per non parlare delle voci dotte di cui è piena la nostra lingua: ritmo: greco: rithmos; prosopopea gr. prosopopia; ittico ( ictùs: pesce) etc.

     Anche nello Studìum Generale di Fermo, fondato nell’anno 825 da Lotario I, era in auge lo studio del greco. Qui si dovevano recare per studiarlo tutti quelli del Ducato di Spoleto, oltre che dalla Marca Fermana. Tale Studìum, potenziato nel 1398 ed elevato al rango di vera e propria università (quando le odierne università di Urbino, di Camerino, Macerata non erano ancora nate) tenne in auge lo studio del greco e ciò fino al 1827. Oggi a Fermo prosperano due licei classici, “A. Caro” e “Paolo VI”, parificato e, nonostante certi ostracismi governativi, in tutta Italia la lingua greca… prospera.

     Gli studenti che si cimentano nelle scuole fermane nell’apprendimento della lingua greca, sappiano che le radici di tale studio risalgono a Pitagora, quello che ci ha fatto tribolare con la Tavola Pitagorica e col Teorema che un mio professore di matematica aveva così formulato: “Per consolarti il cuore la scienza ha la sua musa. / Pitagora ti dice con me con me ripeti / Il quadrato costrutto sopra l’ipotenusa / è somma dei quadrati costruiti sui cateti”.

     Non era certo un’ode o una anacreontica, ma serviva per ricordare…

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Anno c. 220 a. C. – COLLI DI ANTICHE ANFORE frantumete

   In estate i turisti e villeggianti dei campings che costellano la nostra riviera, da Porto Sant’Elpidio a Cupra Marittima. Molti usano recarsi a visitare luoghi antichi, come a vedere la chiesina romanica del Manù a Lapedona. Proprio nella zona del Mirage (Fosso S. Biagio) il sottosuolo è pieno zeppo di anfore romane. Già dal tempo di Augusto (se non prima) esistevano qui delle fornaci. Gli sbancamenti di terra, operati dalle ruspe quando è stata costruita l’autostrada, hanno portato alla luce parte dell’area archeologica. Dal lavoro di livellamento dei mezzi meccanici, affiorarono per largo tratto numerosissime anfore vinarie “scapitozzate” con incise c.lu ply, marchio della “impresa” o famiglia Poli. Intorno, resti di focolari di cottura. Ne furono scavate oltre cento; stavano tutte bene allineate, dalle anse eleganti, piede ad imbuto rovesciato per fissaggio sulle navi da trasporto. Zona archeologica quindi, quella vicina a San Biagio e componente non trascurabile di turismo culturale che si va affermando, perché il villeggiante, oltre al mare, al sole ed al paesaggio, vuole conoscere, vuole imparare. Qui la cultura che spazia verticalmente e orizzontalmente: nel sottosuolo anfore; in alto, i resti della chiesa e del castello di San Biagio; sopra il camping Riva Verde, dove sorgeva la chiesa farfense di Sant’Angelo Vecchio; e nel centro di Altidona, il castello di Garzania, nomi scritti nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino. Ma c’è di più.

     Procedendo verso sud, verso Pedaso, sempre in territorio di Altidona (che sulla costa si estende dal fiume Aso al Fosso di S. Biagio), nell’area dove sorge ora Altidona Marina, fu rinvenuta nel 1900 una statua di Esculapio di fattura greca, risalente al III secolo avanti Cristo, ora “emigrata” in Francia. Poco sopra, in località Villa Montana prospiciente il mare, si ammira tuttora una costruzione romana a seminterrato. Sembra servisse per la conservazione delle derrate alimentari al tempo delle guerre puniche. Tutt’intorno vennero alla luce anfore, suppellettili ed oggetti vari, di epoca romana ed alcune lapidi riportate da Teodoro Mommsen nel volume IX delle sue Inscriptiones stampato a Berlino nel 1883

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Anno 217 a.C. – ANNIBALE SI RIPOSO’ nel litorale Piceno

     Era il 21 giugno del 217 avanti Cristo! Oltre 2200 anni! Tale data ce la indica Ovidio nei Fasti, dove si parla della battaglia e della sconfitta romana al lago Trasimeno.

     Era una mattina nebbiosa; presso il Trasimeno 40.000 Cartaginesi accerchiarono ed annientarono il romano Flaminio ed il suo esercito, avventuratisi sconsideratamente, e contro il parere dei tribuni, in un terreno che era circondato intorno da truppe cartaginesi. I Romani attaccati in testa, di fianco e di spalle, non ebbero modo di difendersi e ne seguiva un’orrenda carneficina. “I caduti romani furono oltre 10.000 e molti prigionieri” racconta Tito Livio. Fra i caduti, lo stesso comandante Flaminio. trafitto dalla lancia di un soldato gallo di nome Ducasio. I Cartaginesi lasciarono sul campo solo 1.600 fra morti e feriti. La vittoria punica era schiacciante!

     Tale battaglia ci interessa per il fatto che Annibale, anziché dirigersi verso Roma, come era da prevedere, venne nel nostro litorale del Piceno: “Annibale si diresse verso il Piceno, dov’era abbondanza ogni bene di ghiotta preda di cui avidamente si impadronirono le sue truppe”. Così Tito Livio (A.U.C. XXII) e Polibio Storie, lib. III, 85). Il viaggio durò 10 giorni, perché i Cartaginesi a stento riuscivano a trasportare il bottino di cui si erano impadroniti. “Giunte le truppe nel litorale Piceno, Annibale le fece riposare: ristorò i soldati con cibi squisiti e con del vino vecchio, di cui tale era l’abbondanza che ci lavò persino le zampe dei cavalli per guarirli dalla scabbia” (Polibio, ivi 88).

     Secondo una consolidata tradizione e secondo le indicazioni di Tito Livio e Polibio, l’area di sosta di Annibale doveva essere tra Cupra e Potentia. Lo ricorda il toponimo “Campo di Annibale” che fa eco alle “Gorghe di Annibale”, toponimo che indica il luogo dello scontro al Trasimeno. I Cartaginese sostarono in una vasta area territoriale che corrisponde alla fascia marittima della attuale Diocesi di Fermo. E dal Piceno Annibale spedì navi a Cartagine per annunciare la vittoria; in quel tempo qui era attrezzato solo il Navale Firmanum. Polibio scrive che “Annibale si mosse a piccole tappe attraverso le terre Pretuziane <Teramane> e la città di Atri. Poi i Marruccini ed i Frentani…”. Il viaggio ebbe inizio dalla nostra zona.

Dopo questo trionfo e quello dell’anno successivo a Canne, Annibale verrà sconfitto dai Romani a Zama (202 a.C.).

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Anno 216 a.C. – MORIRONO DA EROI A CANNE per essere fedeli a Roma

     I corpi dei soldati caduti giacevano inerti, sparsi ovunque sul campo di battaglia ed il sole dardeggiante ne favoriva la celere decomposizione. La località presentava un aspetto apocalittico. I Cartaginesi, vincitori, si aggiravano per il campo cercando di individuare qualche commilitone caduto. Siamo a Canne all’indomani della famosa battaglia. Nella pianura, il 2 agosto 216 a.C. si era svolta la famosa battaglia.

     I Romani, forti di 80.000 fanti e 4.000 cavalieri (alleati compresi), si erano scontrati con il Cartaginesi il cui esercito consisteva in 40.000 fanti e 10.000 cavalieri. Al loro comando, c’era il terribile Annibale. I Romani erano comandati dai consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. Il genio militare di Annibale rifulse ancora una volta: con una mossa a tenaglia, aveva circondato le truppe romane facendone un’orrenda carneficina. I morti romani ed alleati erano 25.000 (Polibio però parla di 70.000; Tito Livio di 45.000); i prigionieri diecimila. I Cartaginesi ebbero soltanto 6.000 morti.

     Fermo ed il Fermano in tale periodo storico ebbero una parte non certo di secondo piano. Già nella prima guerra punica avevano fornito marinai per la flotta di Caio Duilio ed Attilio Regolo. Ora, nella seconda guerra punica, mentre varie colonie latine si erano rifiutate di inviare contributi in truppe e denaro, Fermo fu tra le diciotto colonie che inviarono sostanziosi aiuti, opponendo a sua volta fiera resistenza ad Annibale sceso nel Piceno. E di ciò fa fede Tito Livio (XXVII, 10). Alla battaglia di Canne erano presenti i soldati Fermani che si batterono a fianco di Roma; oltre a loro altre truppe Picene. Ce lo ricorda Silio Italico, poeta latino, il quale ci descrive una fase della famosa battaglia… “Curione tremendo per le squame e la cresta equina… sprona gli abitanti della terra Picena. Qui vedi i coltivatori dei campi della sassosa Numana e quelli i cui altari fumano nel litorale di Cupra, nonché quelli che difendono le torri sul fiume Tronto. Sta in armi Ancona, celebre come Sidone nel tingere la porpora. Sta in armi Atri, bagnata dal Vomano e lo spietato portabandiera Ascoli… Una volta, come narra la tradizione, la terra era dominata dai Pelasgi sui quali regnava Asi, che lasciò il nome al fiume e da lui i popoli vennero detti Asili”. Chiaro riferimento al fiume Aso e non, come taluno vuole, all’Esino che definiva soltanto il confine nord del Piceno. Dalle varie località del litorale, dove fumavano gli altari per i sacrifici offerti alla dea Cupra, partirono per Canne soldati Piceni a combattere a fianco di Roma e morirono da eroi sul campo per mantenere fede all’alleanza romana. Da allora venne coniato il motto Firmum firma fides Romanorum Colonia: Fermo ferma fedeltà colonia dei Romani.

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Anno 191 a. C. – IL VALORE DEI FERMANI alla battaglia delle Termopili.

     “… E sul col dell’Antela, dove morendo / si sottrasse da morte il santo stuolo / Simonide salìa… Beatissimi voi / che offriste il petto alle nemiche lance / … voi che la Grecia cole e il mondo ammira.”

     Così il nostro Leopardi, celebrando l’eroismo di Leonida e dei 300 Spartani, immolatisi alle Termopili, combattendo contro lo sterminato esercito di Serse.

Nei secoli risuona: “O viandante va’ e annuncia a Sparta, che noi siamo qui morti per obbedire alle sue leggi”.      Tali leggi, infatti, non consentivano al soldato, impegnato nella difesa di una posizione, di ritirarsi per aver salva la vita. Era il 480 avanti Cristo!

      Ma la località  Termopili fu teatro di un successivo scontro, nel quale rifulse il valore dei Fermani, contro l’esercito di Antioco III, Re di Siria. Questi, alla testa di un potente esercito (c’erano anche elefanti e poderose macchine da guerra) attaccò i Romani, inferiori di numero e di mezzi. L’esercito romano che era comandato dal Console Acilio Glabrione, coadiuvato dai tribuni Lucio Valerio Fiacco e Marco Porcio Catone, doveva mandare avanti un “commando” per conquistare un valico strategico. Era impresa altamente rischiosa e difficile. Per riuscire, occorreva un ardito colpo di mano. Conoscendo il valore e l’audacia dei Fermani che militavano nel suo esercito, chiamò a sé un reparto di essi e tentò l’impresa.  Sentiamo cosa lo narra nelle Vite Parallele lo storico greco Plutarco, vissuto al tempo di Traiano: Chiamati a sé i Fermani di cui conosceva la virtù e il valore, disse loro: “Desidero avere vivo un soldato nemico per sapere quanti sono, quale la loro strategia, il loro armamento”. Catone aveva appena detto ciò, che i Fermani si precipitarono nell’accampamento avversario, seminando terrore e mettendo in fuga i nemici.

     Presero un soldato e lo condussero a Catone. Questi fornì utili informazioni sulla consistenza nemica. Grazie al colpo di mano dei Fermani, i Romani vinsero. Antioco fuggì lasciando sul campo numerosi morti e feriti. Moltissimi furono i prigionieri: del suo esercito di oltre 8.000 uomini rimasero solo 500 soldati.

Altri eventi bellici ebbero luogo alle Termopili: uno nel 279 a.C. la battaglia fra Greci e i Galli di Brenno; altro nel 1821, durante la guerra per l’indipendenza della Grecia 18.000 Turchi sono sconfitti da soli 2.500 Greci; altro ancora, nel 1941 si combatte fra Tedeschi e Anglo-Greci con la vittoria dei primi. Ma su tutti i fatti d’arme, spicca la memoria dell’eroismo di Leonida ed il valore di quel pugno d’audaci, tutti Fermani, la cui impresa fu determinante per la vittoria romana.

     Da quell’anno 191 a.C. sono trascorsi oltre 20 secoli. Da allora, brilla la gloria dei Fermani. La storia ne ha tramandato la fama attraverso i secoli, fama che – sebbene in misura diversa – “ancor nel mondo dura / e durerà quanto il mondo lontana” (Inferno, II, 60).

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Anno 89 a. C. -CATILINA E CICERON E il 17 novembre dell’89 a. C.

     Era il 17 novembre dell’89 a.C. Gneo Pompeo Strabone, generale romano, si trovava con quattro legioni all’assedio di Ascoli.

     Si stava per compiere l’ultimo “atto” della guerra sociale, iniziata due anni prima. Gli Italici (Vestini, Marsi, Marruccini, Sanniti, Irpini, Frentani, Peligni) ed Ascoli, erano insorti contro Roma. Essi con forza avevano reclamato la cittadinanza romana e la loro “insurrezione” aveva scopi separatistici ed autonomistici. I Pretuzi, cioè i Teramani non vi partecipavano. Ascoli era isolata all’interno della Regione picena, in quanto Fermo era rimasta fedele a Roma; Ancona si disinteressava.

     Roma inviò subito un esercito al comando di Gneo Pompeo Strabone (padre di Pompeo Magno) per reprimere l’insurrezione e dare una lezione ad Ascoli. La si voleva punire perché aveva scatenato la rivolta. Gli Italici ed i Romani arruolarono subito i rispettivi eserciti, forti di circa centomila uomini ciascuno. Ad un primo scontro, avvenuto presso Falerone (e non a Falerno come erroneamente sostiene qualcuno) le truppe romane furono sconfitte dagli insorti comandati da Gaio Vidacilio, Tito Lafrenio, Publio Ventidio. Strabone ed il suo esercito si rifugiarono a Fermo, circondata d’assedio da Lafrenio. Tale assedio, dalla primavera all’autunno del 90 a.C.

Roma mandò rinforzi che presero gli assedianti alle spalle. Strabone allora tentò una sortita e gli Italici, presi tra due fuochi, o meglio tra tre fuochi, per un incendio fatto scoppiare nei loro accampamenti, fuggirono terrorizzati, lasciando sul campo il loro comandante Lafrenio, ferito in combattimento.

     “Nullo militari ordine carpentes iter” dice lo storico Appiano Marcellino (1, 47) cioè fuggirono in disordine, si rifugiarono in Ascoli e da assedianti passano ad essere assediati. I Romani, infatti, iniziarono l’assedio che durerà circa un anno. Gli insorti opposero lunga resistenza. Ad un certo momento per ingannare i Romani, dislocarono sugli spalti delle mura donne e vecchi per dare ad intendere che erano allo stremo e tentarono quindi, ma senza esito, una sortita. Così narra Frontino (III, 17).

Ma alla fine, Ascoli cadde e il 25 dicembre dell’89 a.C. Strabone celebrò il trionfo de Asculaneis Picentibus cioè sugli Ascolani Piceni. Ma questa vicenda è un fatto significativo della guerra sociale.

Nel 1910 si ritrovò la lamina dell’editto di concessione della cittadinanza romana alla turma salluitiana, cioè ai trenta cavalieri spagnoli che militavano nell’esercito romano all’assedio di Ascoli. Oltre alla cittadinanza, Strabone conferiva onorificenze militari a tale turma.

Vennero fuori oltre ai nomi dei cavalieri spagnoli, anche quelli del consilium cioè dello staff del contingente militare romano.

Vi era nominato innanzi tutto il consul Pompeo Strabone, eletto a tale carica il l2 gennaio dell’89 a.C. con 5 legati, un questore; 16 tribuni militum; 33 equites, cioè cavalieri (in gran parte del Piceno) e 4 centurioni primipili; c’è la data del 17 novembre e in castreis (sic!) apud Asculum cioè negli accampamenti presso Ascoli. Una presenza importante: tra gli equites c’è Lucio Sergio Catilina, che aveva appena 19 anni. Egli passerà poi alla storia, a motivo della famosa congiura (63 a.C.). In tale assedio, oltre Catilina, appartenente alla tribù Tromentina, c’erano anche il figlio di Strabone, il futuro Pompeo Magno appena diciasettenne e Cicerone che poi sventò la congiura di Catilina, di cui parla nella Filippica XII.

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Anno 79 a.C. – PRELIBATI I VINI dell’Ager Picenus 

     Novembre… “per le vie del borgo / dal ribollir dei tini / va l’aspro odor dei vini / l’anime a rallegrar / … La notissima poesia carducciana così descrive il periodo in cui si beve il vino nuovo. Il vino è un elemento che accompagna la vita dell’uomo. Se ne parla nella Bibbia per il sollievo del cuore umano, anche in tanti scrittori antichi e moderni.

     Plinio, morto durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., parla di vini d’Italia. Nel libro XIV, IV della sua famosa Naturalis Historia accenna a quelli della costa adriatica: ai vini pretuziani (Teramani), a quelli di Ancona ed a quelli Palmensi.

Andrea Bacci, medico di Sisto V e famoso per l’opera De Naturali Vinorum Historia, de vinis Italiae (Roma 1596, Francoforte 1607), descrive l’area del Fermano come la più ricca di vini gustosi e prelibati. Era nativo di Sant’Elpidio a Mare, si era informato per tutta Italia e l’Europa e non ha dubbi nell’indicare l’area fermana come la zona più ricca di vini a cominciare da Ripatransone, Acquaviva, Montegiorgio, Santa Vittoria in Matenano, Montelparo, Montegranaro, Magliano, ma soprattutto Falerone i cui abitanti durante le invasioni barbariche si rifugiarono a Cupra Montana portandovi i loro vitigni. Oggi Falerone è la capitale del vino Falerio!

     Ma c’è di più: l’imperatore Diocleziano, morto nel 313 d.C., emanò un editto che altro non è, se non il calmiere dei prezzi degli alimenti, delle merci di lusso, dei compensi per prestazioni d’opera. Vi sono indicati anche i vini. I più pregiati (d.o.c.) sono il vino rosso piceno (nominato per primo), il Tiburtino, il Sabino, l’Amminneo, il Saitino, il Sorrentino, il Falerno (ne parlano anche Orazio e Varrone). Ebbene dato che l’Ager picenus era a nord del Tesino (Plinio, Naturalis Historia XIII) il vino Piceno era prodotto proprio nella zona del Fermano. Lo stesso Diocleziano (nativo di Spalato) faceva esportare i vini da Civitanova e dintorni per la sua Dalmazia..

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Anno 49 a.C. -GIULIO CESARE VERSO ROMA dal Rubicone al Piceno

     Fiumicino significa torrentello, nome conosciuto nel mondo per il suo aeroporto internazionale: dal 1933 riconosciuto ufficialmente, come l’antico Rubicone. Era la tarda sera dell’undici febbraio del 49 a.C. e Caio Giulio Cesare lo attraversò in armi, ma non ha scritto il nome Rubicone, lo hanno fatto invece altri storici. Ciò significava contravvenire a quanto disposto dal Senato di Roma, che nessuno lo potesse attraversare senza l’espressa sua autorizzazione. Costituiva infatti il confine tra l’Italia propria e la Gallia Cisalpina, confine che in precedenza (II sec. avanti Cristo) – era rappresentato dal fiume marchigiano Esino. Cesare, in dispregio del divieto del Senato, che gli aveva ingiunto di licenziare le truppe, lo attraversò. “Il dado è tratto” echeggia da secoli, anche se Cesare disse: “Il dado sia tratto”. come precisa l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e lo conferma il testo greco di Plutarco (Vita di Cesare e Pompeo). Un esercito non notevole varcava questo fiume. Erano solo 300 cavalieri e 5.000 fanti. Occupano in successione Pesaro, Fano, Ancona, Osimo e tutto l’Agro Piceno, che gli si sottomette spontaneamente, anzi (come lui narra nel De Bello Civili, I, XV) tutte le “praefecturae” del Piceno lo accolgono con entusiasmo, compreso Cingoli, patria del suo luogotenente Tito Labieno già ricordato.

     Cesare marcia su Fermo, la occupa. Ci narra Cesare stesso che ha preso Fermo ed espulso Lentulo ha ordinato una leva militare e ingrossato ulteriormente l’esercito, cui, nel percorso si erano aggiunti molti volontari, poi si dirigeva su Castro Truentino e quindi in Ascoli. A confermare la presa di Fermo ci dà una mano Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro (VIII, 12) delle Lettere ad Attico riporta un passo della lettera di Pompeo al proconsole Domizio: “Hai avuto notizia che Giulio Cesare dopo essere partito da Fermo è venuto a Castro Truentino”.

     In Ascoli, Cesare si trattiene un giorno per fare rifornimento di frumento  (De Bello Civili, 1, XV) e poi prosegue per Corfinio.

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 ||||  Anni dopo la Natività del Cristo |||||

Anno 79 d. C. – PLINIO IL GIOVANE SCRIVE A SABINO: “Sarò avvocato dei Fermani” 

   A Pompei è memorabile il 24 agosto del 79 dopo Cristo, quando un’eruzione seppellì, oltre a Pompei, Ercolano e Stabia. In tale eruzione, morì Plinio il Vecchio, nato a Como nel 23 dopo Cristo ed autore fra l’altro di una poderosa storia naturale (Naturalis Historia), in cui descrive anche il nostro Piceno: Truentum, Cupra, Castellum Firmanorum (oggi Porto San Giorgio) Cluana (Porto Civitanova) Potentia etc. La descrizione di tale morte ce la fece il nipote, Plinio il Giovane che nel suo Epistolario (VI, 16), narra come durante l’eruzione, lo zio Plinio il Vecchio, si trovava nei pressi, in quanto comandante della flotta romana di Miseno e volle rimanere al suo posto per soccorrere i fuggitivi e per osservare da vicino il fenomeno eruttivo. Era un eminente scienziato ed il fenomeno lo interessava altamente. Morì però soffocato dalle ceneri dell’eruzione.

      Ma del Piceno e di Fermo in particolare, si interessò anche il nipote, Plinio il Giovane. Questi era un famoso avvocato ed a lui ricorse Sabino, giureconsulto fermano, pregandolo di difendere Fermo in una causa contro di cittadini di Falerio Picenus, odierno Falerone. Plinio, è lusingato dell’incarico e così scrive, accettando la difesa:

     “Caio Plinio al diletto Sabino, salute! Tu mi preghi di assumere la pubblica difesa di quelli di Fermo: benché oberato da mille occupazioni, lo farò. A dire il vero, desidero rendermi obbligata una illustre colonia col farmi suo avvocato e anche te, rendendoti un servizio che ti sta a cuore. Poiché, se la mia amicizia – come tu dici – ti è di difesa ed onore, niente debbo negarti dato che lo chiedi per la patria. Infatti, che vi è di più onesto che la preghiera di un cittadino? Perciò ai tuoi, anzi più giustamente ormai, ai nostri Fermani, da’ la mia parola d’onore e che questi siano degni delle mie cure e fatiche; me lo impone la loro reputazione e, più ancora, il considerare che devono essere ottimi come lo sei tu. Stammi bene!”.

     Da quanto sopra si evince quanto era famosa Fermo, colonia ornatissima di Roma e importantissima città del Piceno.

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Anno 251 – Santi nella Diocesi Fermana – Molti

Nella solennità di tutti i santi, “scriviamo in sintonia”, mentre si vanno affievolendo o tramontando una serie di valori etici, sociali, civili.

   Ma non possiamo trascurare i santi, che hanno scandito la storia della civiltà, della vita sociale di nazioni e continenti, che hanno salvato la cultura europea. In ogni città, in ogni paese vi è un santo protettore. Fermo e la sua vasta archidiocesi (che è la più grande e popolata delle Marche) annovera molti santi, beati, venerabili, servi e serve di Dio, una sorprendente fùfioritura. La Diocesi venera protettrice principale l’Assunta. Oltre a S. Savino e a S. Claudio, comprotettori della città,  S. Adamo Abate, il cui corpo riposa in cattedrale; S. Alessandro: S. Filippo; il beato Beltramo, venerato a S. Marco alle Paludi: S. Elpidio abate, da cui il nome alla cittadina; S. Fermano, venerato a Montelupone, che fino al 1586 apparteneva alla Diocesi di Fermo; S. Girio. morto a Potenza Picena; S. Gualtiero di Serv igliano; S. Giacomo della Marca, che tanto amò Fermo; il beato Giovanni della Verna, santo fermano che riposa in quel luogo, sacro a S. Francesco; S. Liberato da Loro Piceno; il beato Pellegrino da Falerone: il beato Pietro da Mogliano; S. Marone venerato a Civitanova Marche; S. Serafino da Montegranaro, che riposa in Ascoli; Santa Vissia; Santa Vittoria, che ha dato il nome alla località omonima; S. Nicola da Tolentino, nato a S. Angelo in Pontano, il beato Giovanni da Penna S. Giovanni, e altri.

      Pur di tenerne le reliquie ci furono scontri.  Fermo portò via a S. Elpidio a Mare la Sacra Spina che si conserva ora nella chiesa di S. Agostino. Vi sono altri esempi eclatanti.

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Anno 522- La Regina Amalasunta in cerca di serenità trova rifugio a Fermo

    Tre personaggi famosi nella storia d’Europa e d’Italia, vissuti nel periodo delle invasioni barbariche, hanno caratterizzato quel segmento di storia le cui fasi principali si svolgono a Fermo e nel Fermano. Li presentiamo, cominciando per dovere di cavalleria da una donna: Amalasunta la figlia di Teodorico (454-525) Re degli Ostrogoti; Belisario generale bizantino (505-565); Narsete (478-574) anch’egli generale bizantino.

     Amalasunta aveva sposato il visigoto Eutarico; nel 522 ne rimase vedova e assunse la reggenza del regno in nome e per conto del figlio Atalarico, ancora decenne. Abile e colta, preferiva l’elemento romano a quello goto: per tal motivo i nobili goti le crearono opposizioni e pretesero che il figlio venisse educato alla maniera gotica, anziché romana. Ma Atalarico ben presto morì ed Amalasunta, per garantirsi da ulteriori opposizioni e difficoltà, si associò al trono il cugino Teodato.    

     Questi per sete di potere, dopo poco tempo la fece uccidere in un castello sito presso il lago di Bolsena. Amalasunta, durante la reggenza, aveva stabilito per lungo tempo la sua dimora a Fermo, forse per sottrarsi alle camarille della capitale, forse per godere maggiore serenità. A Fermo fece eseguire molte opere pubbliche, edifici, bagni, e altro.

     Intanto Giustiniano, che da tempo mirava a muovere guerra agli Ostrogoti, prese pretesto dall’uccisione di Amalasunta e, quale imperatore d’Oriente, spedì in Italia Belisario, che dopo aver conquistato varie terre si trovò ad affrontare un formidabile dispositivo difensivo composto dalle fortezze di Perugia, Urbino, Orvieto, Osimo. La flotta venne spostata nei porti dell’Adriatico e i due comandanti Narsete e Belisario unirono le rispettive truppe a Fermo. Ce lo narrano le stupende pagine della “Guerra Gotica” di Procopio da Cesarea, scritte in un limpido greco da cui traduciamo: “Belisario e Narsete con i loro eserciti si riunirono presso la città di Fermo, la quale giace vicina alla costa del Golfo Ionio (Adriatico) ad un giorno di cammino dalla città di Osimo. Colà, insieme a tutti i capi dell’esercito, tennero consiglio sul posto dove meglio convenisse attaccare i nemici…”. Fu deciso di aggirare Osimo e Belisario ordinò che il generale Arasio “doveva restare a Fermo, con un buon nerbo di truppe e qui svernare, badando però che in seguito i barbari. facendo scorrerie a loro piacimento, non molestassero impunemente quei paesi“. L’esercito al comando dei due condottieri Narsete e Belisario, dovette combattere molto, ma alla fine riuscì a conquistare la stessa Ravenna che cadde nel 540. A Fermo e nel Fermano si erano decise le sorti a favore dell’impero romano d’oriente.

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Anno 555 – Invasione di vocaboli con i militari esteri in tempo di guerra

Orazio dichiara che le guerre sono “detestate dalle madri”. Ora, riflettendo, noto che dal tempo di Caino ed Abele ad oggi ci sono state sempre guerre, come attualmente ve ne sono in vari luoghi. Ci sono state guerre durate 30, 100 anni; guerre mondiali con milioni di morti. Una statistica ci fa conoscere che fino al 1860 ci sono stati nel mondo 227 anni di pace contro i 3.357 anni di guerra; in media per 33 secoli: un anno di pace e 13 di guerra. John Carthy e Francis Ebling, ricercatori americani, hanno riscontrato che dal 1820 al 1945 ci sono stati 89 milioni di morti in guerra, di cui 51 nella seconda guerra mondiale. Ecco perché si sospira sempre alla Pace, ecco perché l’annuncio nella grotta di Bethlemme è “Pace”.

     Ma nel corso dei secoli si ebbero scontri armati anche nelle nostre zone. Ci rifacciamo però a quelli avvenuti secoli e secoli orsono. Nel Lido di Fermo, al tempo della guerra gotica narrataci da Procopio, e precisamente nel 538, Narsete e Belisario, generali bizantini, tennero un consiglio di guerra e qui ebbero stanza le truppe bizantine per resistere ai barbari. Da qui a Narsete e Belisario partirono per assediare e conquistare le città della Regione e Rimini stessa, mentre la base militare per le operazioni belliche rimaneva a Fermo. Per dare un’idea delle devastazioni, citiamo un episodio ricordato da Procopio nel De Bello Gothico, che scrisse in greco per narrare le vicende di tale guerra. All’irrompere dei barbari, tutti fuggirono. Ovunque era desolazione e morte. Un bambino rimasto solo in mezzo a tante distruzioni, fu allattato da una capra. Quando, dopo l’uragano dell’invasione, gli abitanti ritornarono alle loro abitazioni, videro dopo mesi e mesi, il bambino vivo e gridarono al miracolo. Lo chiamarono Egisto dal nome greco di capra (aigòs).

     Quello che ci interessa nel periodo di occupazione bizantina (si ricordi che nell’esercito di Narsete v’erano Isaurici, Armeni, Bulgari, Eruli, Traci, Illirici, e altre provenienze.) sono i vocaboli entrati nella nostra lingua e dotta e vernacola. Anzi ci fu un momento che l’assimilazione era tale che tali bizantini scrivevano il latino con caratteri greci.  E le loro parole entrarono nel nostro lessico. Ad esempio parlare da parlacium  luogo dove si parlava e si discuteva. Abbiamo mattara, che nel nostro dialetto è uguale al bizantino Mactra; foglietta che deriva da Fiola; ganascia; brocco, brocca (vaso per acqua e liquidi). ma ciò che più sorprende è il vocabolo ponticana o pentecana per indicare un grosso topo. Deriva da topo del Ponto. Tale vocabolo usato da Montale e che compare anche in elzeviri di quotati quotidiani, è molto usato oltre che nelle Marche, anche nel Veneto, Emilia Romagna e nella Lombardia orientale. Altro vocabolo da non dimenticare e che è tutt’ora vivo nel nostro vernacolo è pantafana. Indica una persona che si presenta od appare spesso. Deriva da bizantino panta= tutto e faino = apparire. E così, le guerre che dividono i popoli, sono spesso amalgama di vocaboli che divengono patrimonio comune di nazioni e continenti.

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Anno 598 – lettere di Papa Gregorio Magno al Vescovo di Fermo Passivo

   ‘Magno’: leggendo troviamo spesso questo aggettivo. Nelle Università ed in genere in istituti di istruzione abbiamo l’aula magna. C’è la cappa magna, veste solenne di dignitari; c’è la pompa magna, la Magna Grecia; la laus magna nelle votazioni di laurea; il mare magnum; la turba magna. Il tutto, per denotare grandezza o potenza. Con magnitudo, si indicar l’intensità, ad esempio, dei terremoti.

E nella storia, abbiamo personalità di spicco a cui i posteri hanno dato l’appellativo di magno. Così abbiamo Alessandro Magno, vissuto nel III secolo avanti Cristo; Pompeo Magno (I sec. a.C.) che combatté a Fermo insieme a Cicerone durante la guerra sociale; Carlo Magno, celeberrimo imperatore, morto nell’814; Gregorio Magno, Papa dal 590 al 604 rifondatore della liturgia e padre del canto gregoriano. Convertì i Longobardi e diffuse il cristianesimo in Inghilterra e nella Spagna. Celebre la sua esclamazione: “Non Angli sed Angeli”. Figura poliedrica, dotto e saggio, protesse i Romani durante le invasioni barbariche, vindice ed assertore di Roma. Carducci con icastica espressione ce lo scolpisce nella “Chiesa di Polenta”. “Quei che Gregorio invidiava (liberava) a servi / ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma”.

Gregorio (onorato santo), ebbe ad interessarsi di Fermo e, pur assillato dalle cure del governo della Chiesa e dalla malferma salute, scrisse sei lettere a Passivo, Vescovo di Fermo. Esse ci danno uno spaccato della storia del tempo, delle invasioni longobarde, del perdurare delle leggi romane dopo una fase della calata dei barbari.

La prima è diretta al Vescovo di Ancona. Gregorio: lo invita a sollecitare dal suo diacono Sereno a fare la restituzione degli oggetti in oro ed argento al Vescovo di Fermo. Tali tesori erano stati affidati temporaneamente a Sereno per sottrarli alle depredazioni dei barbari.

   La seconda è indirizzata a due chierici di Fermo: Demetriano e Valeriano. Gregorio li assicura che non dovranno rimborsare alla Chiesa le somme a suo tempo spese dal Vescovo di Fermo Fabio, per la loro liberazione e per quella del loro genitore Passivo, ora Vescovo di Fermo. Infatti erano stati fatti schiavi dai Longobardi.

Le restanti sono tutte indirizzate al Vescovo di Fermo Passivo.

La terza lo invita a consacrare un oratorio in onore di S. Savino, eretto fuori delle mura di Fermo, e precisamente sul colle Vissiano (oggi: Montagnola) da Valeriano, notaio della chiesa fermana.

La quarta gli chiede di consacrare un oratorio che Anione, Conte Castri Aprutiniensis (= Teramo), ha eretto nel teramano territorio di Fermo (testualmente: fìrmensis) in onore di S. Pietro Apostolo.

La quinta lo prega di consacrare un monastero autonomo fondato da Procolo, diacono della Diocesi di Ascoli Piceno, in onore di S. Savino martire ed ubicato nel fondo Gressiano (fra Ascoli e Teramo).

La sesta chiede di trovare una persona degna, irreprensibile, amante della preghiera, per affidargli, dopo opportuni esami, la Diocesi di Teramo, allora vacante. Anzi, Papa Gregorio indica un nome: Opportuno.

    Esse indicano, oltre al perdurare delle leggi romane nel nostro Piceno, anche la circoscrizione territoriale di Fermo, che comprendeva anche il Teramano (almeno in parte). S. Gregorio scrisse molte altre lettere. Una che è diretta a un Vescovo della Dalmazia lo rimproverava di essere troppo dedito ai piaceri della mensa. Il Vescovo ribatté: “Ma anche il Figlio dell’Uomo (cioè Cristo) mangiava e beveva”. Gregorio di rimando: “Ma tu segui i precetti di Cristo solo quando parla di mensa, ma non quando parla di astinenza”.

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Anno 825 – I Carolingi concessero l’ateneo di Fermo per ampia territorialità

     “In questa tomba riposa il corpo di Carlo, grande imperatore; accrebbe nobilmente il regno dei Franchi e lo governò felicemente per 47 anni. Morì settantenne l’anno del Signore 814, settima indizione, quinto giorno dalle calende di febbraio”.

     Questo l’epitaffio sulla tomba di Carlo Magno ad Aquisgrana.  A Roma riecheggiava l’acclamazione della folla nella basilica di S. Pietro quando, nella notte di Natale dell’anno 800, quando Papa Leone III lo incoronava imperatore: “A Carlo, Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria” motto che le volte del tempio echeggiavano. Leggende e tradizioni orali parlerebbero di atti e documenti di Carlo Magno vissuto nella Marca. Tutto falso! Di vero, c’è il fatto narratoci da Anastasio Bibliotecario (817-877 c.) che dopo la sconfitta dei Longobardi per opera di Carlo Magno alle Chiuse (anno 773), quando Carlo scese in Italia in aiuto di Papa Adriano (772-795), gli abitanti del ducato di Fermo, gli Anconetani e i cittadini di Osimo e gli Spoletani, si diedero spontaneamente al Papa, gli giurano fedeltà e per documentare questa sudditanza si tagliarono barba e capelli secondo il costume romano.

     Non risulta che Carlo Magno sia venuto a Fermo, mentre il suo secondogenito, Pipino, proclamato Re d’Italia nel 791, venne in questa città alla testa del suo esercito, accompagnato dal duca di Spoleto Vinigisio e vi soggiornò prima di marciare contro Grimoaldo, duca di Benevento. Pipino a Fermo reclutò molti soldati per il suo esercito. Fermo deve ad uno dei carolingi, cioè all’imperatore Lotario I (795- 855), nipote di Carlo Magno, la fondazione dello studium generale, università degli studi del tempo avvenuta nell’anno 825. In tutta Italia ve n’erano soltanto nove (Torino, Ivrea, Cividale del Friuli, Pavia, Cremona, Vicenza, Verona, Firenze, Fermo). Come si vede, Firenze e Fermo erano i soli bacini di utenza per l’Italia centrale. Nel capitolare di Lotario, emanato a Corte Olona, si specifica tra l’altro che dovevano recarsi a studiare a Fermo tutti quelli del Ducato di Spoleto, ducato vastissimo che comprendeva Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, spingendosi fino al ducato di Benevento. Nel 1165 Federico Barbarossa farà proclamare santo il nostro Carlo Magno e ciò ad opera dell’antipapa Pasquale II. dato che egli era in rotta col vero Papa. La Chiesa, tuttavia, non riconobbe mai tale canonizzazione, anche se permise il culto locale in qualche Diocesi di Francia e di Germania. Oggi, con decreto della Congregazione dei Riti del 1932, Carlo è venerato soltanto ad Aquisgrana. Il Barbarossa si interessò anche di Fermo e del suo Porto esattamente l’anno precedente cioè nel 1164.

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Anno 886 – Testimonianze storiche dimenticate. il complesso architettonico, di Santa Croce

     E’ trascorso ben più di un millennio da quella data e la basilica è ancora lì, anche se ridotta a misera casa colonica. Serba ancora il suo fascino, invita al raccoglimento e alle “cose di lassù”. È la basilica di Santa Croce al Chienti, consacrata proprio il 14 settembre dell’anno di grazia 886. Sita in territorio di Sant’Elpidio a Mare, alla confluenza del torrente Ete Morto con il fiume Chienti. La costruzione resa disadorna, commemora secoli di vita: undici secoli.  

     Teodicio Vescovo di Fermo si era dato molto da fare per la sua costruzione, e con l’approvazione dell’imperatore Carlo il Grosso era riuscito nell’intento. Il 14 settembre 886 tale basilica alla presenza di 19 Vescovi (tutti del Ducato di Spoleto) e di 27 canonici, venne consacrata al culto. Spiccano nel fasto e nella solennità della consacrazione, l’imperatore Carlo il Grosso, che morirà due anni dopo, il Vescovo di Fermo, Teodicio ed i diciannove vescovi. Vediamoli: sono quello di Ascoli, Giovanni; di Ancona, Enolerico; di Camerino, Celso; di Senigallia, Benvenuto; di Spoleto, Armerico; di Fano, Romano; di Pesaro, Lorenzo; di Numana, Roberto; di Perugia, Teobaldo; di Rieti, Riccardo; di Osimo, Pietro; di Cagli, Adelardo; di Rimini, Niccolò; di Todi, Uberto; di Urbino, Alberto; di Nocera (Umbra), Severino; di Forlì, Bartolomeo; di Teramo, Ruggero. Oltre a Carlo il Grosso sono presenti numerosi principi e gastaldi.

   Chi si trovava nel piazzale antistante la basilica vedeva tutto un rimescolarsi di paludamenti vescovili e di armature guerresche; conti, vescovi, gastaldi, dame, bardature variopinte, cavalieri. Giorno festoso e fastoso! Giorno indimenticabile da iscrivere a chiari caratteri nella storia di Fermo e di Sant’Elpidio a Mare. Nel 1749 l’arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia, fece apporre una lapide a ricordo del fausto avvenimento.

    “Or tutto tace” direbbe Carducca della Basilica malridotta… La sua storia gloriosa giace solo nelle pergamene degli archivi. Dopo il restauro effettuato dall’arcivescovo Borgia nel 1749 è stata miseramente abbandonata. Non si potrebbe costituire un comitato per il suo recupero alla funzione primigenia ed al suo antico splendore? E l’invito, che ci permettiamo rivolgere a chi ama la vita sociale con la storia e i monumenti della bella Regione “che siede tra Romagna e quel di Carlo”.

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Anno 972 – Le prove dell’esistenza della Marca Fermana 

    Scriviamo giornalisticamente ma sempre scrupolosamente ancorata ad atti e documenti, ma “taluno” addirittura ha negato che fosse esistita la Marca Fermana, perché lui non legge bene due opere di Gregorio di Catino, il cronista dell’Abazia di Farfa vissuto nel sec. XI: Chronicon Farfense e Regestum Farfense. La Marca Fermana si estendeva dal Foglia al Pescara, non un semplice toponimo, ma realtà storica documentata perché usata già nell’anno 972… fino al regno Napoleonico, come si legge nei Monumenta Germaniae Historica.

     Nel 1076 Papa Gregorio VII (quello a cui si umiliò a Canossa Enrico IV nella scomunica lanciata contro di lui e contro i Normanni per aver invaso nel 1047 le terre ecclesiastiche) nomina la Marca Fermana e il ducato Spoletano. Tra l’altro, nel 1078, lo stesso Papa scrisse da Roma all’arcivescovo di Ravenna ed a tutti i Vescovi ed abati della Marca Fermana (universis episcopis et abbatibus in Marchia Firmana).

Lo stesso Gregorio VII nell’assolvere Roberto il Guiscardo dalle censure perché invasore “in quanto alle altre terre che tieni ingiustamente occupate, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana per il momento ti tollero” (lettera del 29 giugno 1080 scritta da Ceprano nei pressi dell’Abazia di Monte Cassino). Marca Fermana è ripetutamente nominata dal Platina (De vita et moribus, Lione 1512), da Flavio Biondo (Italia Illustrata, Venezia 1543), dal Sigonio, ripetutamente, in Storia del Regno d’Italia, libro IX, Venezia 1574.

     Inoltre il nostro interlocutore apra un atlante storico, anche il più elementare e troverà che da allora – sec. X – fino al sec. XVIII la Marca Fermana figura nelle le carte.

     Un’indicazione bibliografica potrebbe essere quella degli atlanti storici editi dalla De Agostini Novara, Zanichelli di Bologna, l’Atlas Historique di Larousse, quello di Georges Duby e ciascuno prima di dire che non trova documenti ci pensi bene e lo legga bene. Ad esempio nella pag. 146 B del “Chronicon” si legge testualmente ad Marchiam Firmanam. Anzi, tra “Chronicon” e “Regestum” tale Marchia è nominata per un totale di 38 (diconsi trentotto) volte; il che dimostra che non è “una espressione geografica” per dirla col Metternich.

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Anno 1003 – Un Papa dimenticato: Giovanni XVII da Rapagnano

     Se c’è una regione che abbia dato alla Chiesa molti Papi, questa è la Regione marchigiana che prima in graduatoria, tolto il Lazio. Bene dieci sono i pontefici marchigiani, mentre alcune regioni non ne hanno nemmeno uno, ad esempio il Piemonte. È vero che essi hanno S. Pio V. Ma quando egli nacque a Boscomarengo, la cittadina apparteneva al Ducato di Milano. E poi …. se è divenuto papa lo deve al fatto che ha studiato a Fermo.

     Chi è questo Papa sconosciuto? Si tratta di Giovanni XVII, Papa Siccone, nato a Rapagnano ed eletto papa il 9 giugno 1003. La cronologia pontificia lo elenca tra i Papi del secolo XI. Il Liber Pontificalis lo dice de Rapaniano, romano. In quel periodo, molti furono i Papi col nome Giovanni. Ci sono: Giovanni XI , romano (+ 935); Giovanni XII , Ottaviano dei Conti di Tuscolo (964): Giovanni XIII, romano (+972); Giovanni XIV  di Pavia (+984); Giovanni XV, romano (+996); Giovanni XVI (+998) cioè Giovanni Filagato di Rossano e quindi il nostro Giovanni XVII, eletto il 9 giugno e morto il 31 ottobre 1003. Ce lo attesta marchigino una lapide rinvenuta nella chiesa collegiata di Rapagnano nel 1750. Essa redatta in latino, così suona in nostra traduzione: “Giovanni figlio di Siccone e di Colomba, nacque a Rapagnano, vicino al fiume Tenna. Ancora adolescente si recò a Roma accolto nella casa del console Petronio. Si dedicò allo studio delle lettere e con l’applauso di tutta Roma, il 9 giugno 1003 fu creato pontefice. Ma lo fu per poco tempo: infatti il 31 ottobre seguente si addormentò in pace, volando a regnare in cielo”.

     Tale lapide in pietra e in gotico minuscolo, riporta lo stemma con il triregno e chiavi decussate ed altro stemma della casa Piccolomini, con una mitra vescovile, che fa pensare al vescovo Fermano, Francesco Todeschini Piccolomini cardinale (1483-1503).

     Alessandro Borgia, Arcivescovo di Fermo, vista l’importanza di tale lapide, la fece conoscere, porre il luogo ben visibile e sotto di essa collocò una iscrizione che recita: “A Dio Ottimo Massimo, questa lapide di Giovanni di Rapagnano Pontefice romano, nascosta per secoli, ora per interessamento di Alessandro Borgia Arcivescovo e Principe di Fermo, il parroco di Santa Maria Franco Grifoni la restituisce alla posterità”.

     Papa Giovanni XVII, a causa del suo breve regno, non ebbe modo di dare rinomanza al suo Pontificato. È l’ultimo della serie di papi eletti dalle famiglie romane in funzione antigermanica. Fu però romano solo di adozione. E qui spiace rilevare come l’Annuario Pontificio lo indichi come romano, senza tenere conto della sua patria: Rapagnano. Ma tale Annuario ha altre “imprecisioni”: ad esempio Papa Marcello II sarebbe di Montepulciano, è nato a Montefano (MC);  Papa Clemente VIII lo dice fiorentino, invece è nato a Fano. Il Capoluogo del Dipartimento del Tronto nel periodo napoleonico per decenni alcuni storici hanno detto che era Ascoli Piceno, mentre lo era Fermo. Come già accennato la recentissima guida di Roma (T.C.I.) non parla di Pericle Fazzini e della sua Resurrezione nella Sala Nervi in Vaticano.

Videant consules

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Anno 1046 – Clemente II a Fermo di passaggio

    Le Marche ebbero a che fare con Papi: Clemente II, Urbano II, Pio II, Giulio II. 30 dicembre 1988 è venuto Giovanni Paolo II. Fermo a sua volta ebbe a che fare con Urbano II, Pio II e Giulio II. Non era e non è facile né semplice essere Papa. Nel 1046 Clemente II, ebbe molto da fare a Roma e nell’Italia meridionale. Passò per le Marche, ma dovette fermarsi a Pesaro a causa una violentissima febbre; e qui morì nel monastero di S. Tommaso in Foglia.

     Ma nonostante tutto, ricordiamo che passo anche a Fermo. Era Vescovo di Bamberga in Sassonia, e anche da Papa mantenne tale vescovado. Incoronò imperatore Enrico III e lo accompagnò a Salerno, Benevento ed in Germania.

     Clemente sebbene morto in terra marchigiana, fu riportato, secondo suo desiderio, a Bamberga ed ivi sepolto.  Nel 1237 gli venne eretto, in quella Cattedrale, un degno monumento sepolcrale. È l’unico Papa sepolto in Germania.

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Anno 1055 – I Normanni e la Marca Fermana

   I Normanni, popolo del nord, nel secolo VIII per mare e per terra invase l’Europa spingendosi fino alla Groenlandia, si stanziò anche in Francia, occupando per ben tre volte Parigi e dando il nome a quella Regione che da loro prese il nome di Normandia. Da qui invasero l’lnghilterra, sconfiggendo gli abitanti nella famosa battaglia di Hasting nel 1066. Si spinsero poi a sud occupando anche tra il 1043 e il 1098 l’Italia meridionale. Sono noti nella storia i nomi di Tancredi d’Altavilla, di Ruggero, di Roberto il Guiscardo, di Boemondo fondatore del principato di Antiochia.

     Inoltre nella storia dei Normanni vi è una “connotazione” fermana, o meglio, della Marca Fermana. Gli abitanti di questa, combatterono a fianco delle truppe papali, allorché Papa Leone IX dichiarò loro guerra per aver occupato terre su cui la Roma papale avanzava diritti. Tremendo fu lo scontro a Civitate in Puglia (18 giugno 1055) e l’esercito pontificio in cui militavano anconetani, fermani, spoletini, venne sconfitto. Tuttavia, si verificò qui quanto affermato da Orazio (Epist. 11,1,56). “La Grecia pur vinta vinse il rude vincitore e insegnò le arti all’agreste Lazio). Infatti, il Papa, pur sconfitto, impose la sua autorità e la sua forza morale, talché i Normanni obbedirono ai suoi desiderata.

     Guglielmo di Puglia narra che “il biondo Roberto dall’alta ed imponente statura, glorioso per tante battaglie, si inginocchiò davanti al Papa e gli baciò il piede. Gregorio (è Gregorio VII) lo fece alzare e lo invitò a sedere accanto a lui”.

    Uno storico coevo (come ci narra il Muratori) dice che il Papa, pur vinto dai Normanni, dettò legge ai vincitori e, con la religione, vinse coloro che non era riuscito a sottomettere con le armi.

     Latino facile di cui il lettore ci perdonerà, ma che abbiamo dovuto citare, perché più splendido apparisse il parallelo con Orazio.

     Vi fu poi un’intesa tra Papa Gregorio VII (il famoso Ildebrando, alleato di Matilde di Canossa) e Roberto il Guiscardo. Gregorio gli conferisce l’investitura di parte dell’Italia meridionale “della terra che ti concessero i miei antecessori di santa memoria, cioè Nicola ed Alessandro, Amalfi e parte della Marca Firmana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà, col patto che tu in seguito debba comportarti verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro”. Si noti quella precisazione di “parte della Marca Fermana”. Ruggero, infatti, col suo esercito l’aveva occupata, tutta cioè dal Musone fino al sud di Vasto. Ma poi aveva restituito al Papa la parte a nord del Tronto, tenendosi per sé quella a sud di tale fiume. Così il nome “Marchia Firmana”, già documentato sia nel “Chronicon Farfense”, sia in diplomi imperiali, brilla ora in un atto giuridico tra Papa e imperatore, dopo essere apparso anche nella bolla di scomunica che il Papa, in precedenza, aveva lanciato contro i Normanni, cioè la Marca Fermana, scrivendo a tutti gli abati e i vescovi nella Marca Fermana.”.

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1080 – Un tributo da versare il giorno di Pasqua

     Nella storia d’Italia, spesso la data della Pasqua serviva per ricordare la consegna di doni, di regalie, di omaggi, di tributi e di censi… “Nel giorno della Pasqua di Resurrezione offra alla chiesa, tot. numero di polli, di uova, tanti agnelli” etc.    

     Prosaicità che adombra lo splendore di vita nuova! E proprio nel giorno della Pasqua di Resurrezione, un condottiero normanno, Roberto il Guiscardo, sin dall’anno 1080 prometteva ad Ildebrando di Soana, o meglio a Papa Gregorio VII, famoso per la vicenda di Enrico IV a Canossa e per la Contessa Matilde, vindice del papato, di versargli un tributo o censo di dodici denari di moneta di Pavia per ogni paio di buoi.

     Tale censo era il corrispettivo per avere il Guiscardo invaso Salerno, Amalfi e parte della Marca fermana. Infatti, in un primo tempo, Roberto il Guiscardo era contro il Papa; poi passò a difenderlo. Era pendente l’occupazione delle due città e della Marca Fermana a sud del Tronto. In un primo tempo l’aveva occupata quasi tutta, ma poi restituì a Gregorio VII la parte a nord del Tronto, tenendo per sé Amalfi, Salerno e la Marca Fermana sud.

     Passato dalla parte del Papa Gregorio VII, Roberto riceve l’investitura di terre pontificie. “Io Gregorio papa, conferisco a Te, duca Roberto, l’investitura della terra che ti concessero i miei predecessori di santa memoria Nicolo’ ed Alessandro (i Papi Nicolo’ II (1061) e Alessandro II (1071) – ndr). In quanto all’altra terra che tieni ingiustamente, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà in modo che tu debba in seguito comportare verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro senza pericolo dell’anima tua e della mia….”.

     Questa investitura ebbe eco “Roberto, per grazia di Dio e di S. Pietro Duca della Puglia, Calabria e Sicilia…” promettendo a Gregorio e successori “a nome proprio, degli eredi o successori l’annuo tributo (di cui sopra) da pagarsi in die Resurrectionis Domini”, nel giorno cioè della Resurrezione del Signore. Roberto fu fedele alla promessa e salvò anche Papa Gregorio dall’assedio posto a Castel Sant’Angelo dallo spergiuro Enrico IV che aveva assolto dalla scomunica.

     Oggi gli abitanti di quella che fu la Marca Fermana dovrebbero elevare un pensiero memore e grato verso Gregorio, figura che giganteggia nella storia, quale vindice dei diritti della Chiesa e della libertà della Marca Fermana.

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Anno 1087 – Un gioiello d’Architettura poco valorizzato l’antichissima chiesina di Madonna Manù

    “Salve chiesetta del mio canto!”, così Carducci nell’ode “La Chiesa di Polenta”; così chi scrive, con  non minore affetto, saluta la chiesina di Madonna Manù. Etimologia ebraica: Manù = cos’è questo?

     Affonda le sue origini all’alto Medioevo. Risalente il secolo X, è detta anche Madonna delle Noci, perché fino a poco tempo fa, dopo la Messa, vi si giocava a castelletti di noci.

     Qualcuno dei “miei venticinque lettori” si domanderà subito dove sorge tale chiesina. Chi imbocca la strada che dall’Adriatica porta a Lapedona (Camping Mirage) a metà strada, in posizione incantevole preceduta da un duplice filare di cipressi, scorge S. Maria de Manù.

     Fu donata da Raimburga, badessa del monastero Leveriano presso il fiume Aso, all’Abbazia di Montecassino. Piccola e sconosciuta la chiesetta; grande e antica la sua storia. Con la chiesa e il castello di S. Biagio in Barbolano, siti in territorio di Altidona (sopra il Camping Mirage) è nominata nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino, fuse al tempo dell’abate Oderisi (1087-1105).

     Recitano nell’originale latino… “Nel Fermano abbiamo il castello di Barbolano con la chiesa di S. Maria e S. Biagio con gli annessi possedimenti”. Le lamine cassinesi che ne parlano, sono la sesta e la settima del battente di destra, straordinariamente indenni nel tremendo bombardamento alleato che distrusse il Cenobio e le altre lamine nel 1944.

Se altre chiese avessero tale privilegio e una documentazione così splendida e bronzea (perennis) lo griderebbero ai quattro venti. Invece, per la nostra chiesetta, si fa poca memoria. D’architettura romanica, come le “sorelle maggiori” quali S. Maria a Pié di Chienti, S. Claudio a Corridonia, Ss. Stefano e Vincenzo a Monterubbiano, S. Quirico e Lapedona, etc. è un vero gioiello d’arte.

     Sorge in territorio di Lapedona , ma la giurisdizione spirituale di essa, è del pievano di Altidona, a cui passarono i beni dell’Abbazia di Montecassino.

     Ogni anno, dai lontani secoli, l’8 settembre vi si recano pievano e fedeli di Altidona; vi si celebra la Messa e poi si gioca a castelletti di noci.

     Semplice e spoglia nelle linee purissime del romanico classico, è stata restaurata nel 1942 per iniziativa del pievano Petroselli di Altidona e riportata alla primigenia bellezza. Fiancheggiata da “ardui cipressi”, campeggia in un’area agreste e campestre di “profondissima quiete”. Fino al 1926 vi si ammirava uno stupendo polittico attribuito in un primo tempo a Pietro da Montepulciano; ora, dopo approfonditi studi, a Cristoforo Cortese (fine secolo XV). Tale polittico spicca ora nell’altare maggiore della parrocchiale di Altidona, alla cui giurisdizione spirituale, come detto, appartiene.

     Se Carducci l’avesse celebrata, come la chiesa di Polenta, sarebbe ora su tutte le Guide ed i Baedeker del mondo. Oggi chi canta a lei, è un povero menestrello: “Vissero molti famosi, prima di Agamennone, ma sono ignorati, perché manca un sacro vate”.

Così canta Orazio! “Salve chiesetta del mio canto!”-.———————————————–

Secolo XI – I doni portati dai castelli

  Dal Liber 1030 di Fermo si ha notizia che sin dal secolo XI i signorotti dei castelli soggetti a Fermo dovevano portare per l’occasione della festività dell’Assunta, le loro offerte ed i loro doni.

     Il signore (meglio: gastaldo) di Corridonia, allora Montolmo, doveva portare un maiale e cento meloni; quello di Monturano, un maiale; quello di Civitanova (Marche), sei polli e cento uova; Campofilone doveva tre soldi e mille denari; il Monastero di S. Donato al Tronto, pure tre soldi e mille denari. Tutte le località soggette a Fermo da Poggio S. Giuliano alle porte di Macerata, alle località della foce del Tronto, contribuivano con prosciutti, maiali, polli, soldi, cera, uova, ecc.

      Fermo partecipava alla novena di preparazione alla Festa della Patrona, l’Assunta, con vistose offerte in denaro ed in natura. Secondo gli accordi per il ‘Palio’ in città cospicue erano le offerte dei macellai, calzolai, osti, albergatori. Gli agricoltori davano tre bolognini a testa per il cero; i bottai ne offrivano due. Osti ed albergatori, oltre al cero, offrivano una ‘taberna’ in miniatura ricolma di doni; ogni famiglia dei castelli soggetti doveva dare al proprio “scindico” 12 denari e ciascun “scindico” con tali somme, doveva approntare un cero maestoso che sfilasse con i rappresentanti di ciascun castello (unum cerum pro quolibet castro).

     A loro volta il Podestà, il capitano e gli altri Officiali, offrivano un cero ciascuno come pure il Gonfaloniere di giustizia, i Priori e le altre autorità cittadine, le famiglie di Fermo, ad eccezione di quelle povere, dovevano offrire un cero alla Cattedrale insieme ai componenti della propria contrada.

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Anno 1149 – Il Palio, espressione della potenza fermana

     Il documento più antico conosciuto delle Cavalcate e del Palio fermano risalirebbe al 1182, anno in cui Monterubbiano, Cuccure e Montotto (da non confondere con Montottone) si impegnavano a portare ogni anno a Fermo il Palio, in occasione della Festa dell’Assunta.

     Da meticolose ricerche nell’Archivio di Stato di Fermo abbiamo rinvenuto un atto del 1449. In tale anno, Fermo lamenta che Monterubbiano non ha portato il palio, cosa che “ha sempre fatto da trecento anni”. Possiamo quindi dedurre che tale usanza risale al 1149, anticipando così di quasi tre lustri ila notizia del documento del 1182.

     La festa dell’Assunta a Fermo ha radici lontane. Risale al 998 un atto con il quale il Vescovo della sede fermana, Uberto, concede un appezzamento di terra sulla strada per Cossignano, in cambio di 400 soldi annui da pagarsi appunto in occasione della festa dell’Assunta. La festa aveva il suo culmine nella Cavalcata, risalente, come detto, al 1149. Essa partiva dalla chiesa di Santa Lucia, passava per Campoleggio, risaliva il colle e faceva sosta nella attuale Piazza del Popolo tra una folla plaudente, lo squillo delle chiarine, lo scampanìo festoso di tutte le campane della città, il rullo dei tamburi, lo sparo dei cannoni della rocca. Le vie e la piazza pavesate a festa, in una gloria di sole e di colori, conferivano alla sfilata una nota di policroma festività. Era la festa in onore dell’Assunta, la Patrona di Fermo, ma era anche la rassegna della potenza e della grandezza dello Stato Fermano. Tutti quelli che partecipavano alla sfilata dovevano essere elegantemente vestiti, sfoggiare i più ricchi e sontuosi paludamenti come si conviene in una rassegna alla quale partecipavano le autorità fermane, quelle dei castelli dipendenti, ambasciatori, giudici, il Podestà, il Capitano di giustizia, il Gran Gonfaloniere, i Priori, i Cancellieri, i Notai.

     Coll’andare del tempo, si apportarono alcune modifiche: alla offerta del tempo (cera, polli, maiali, uova), come già accennato si sostituì l’offerta in denaro; i cittadini di Porto S. Giorgio (allora Porto di Fermo), vestiti di broccato conducevano con sé le loro donne ornate di gioielli e vestite splendidamente; essi potevano introdurre in Cattedrale la tipica loro barca. I mugnai ed i macellai, facevano portare dai loro valletti una guantiera d’argento con una rilevante somma di monete d’oro. Chiudevano il corteo gli “scindici” e vicari dei castelli, in groppa a cavalli riccamente bardati. Alcuni giovani, dopo l’invenzione della armi da fuoc, sparavano colpi a salve durante lo snodarsi del corteo, scandendo così le varie fasi della cerimonia.

     La cavalcata ebbe vita gloriosa fino ai primi del ’600 e, dopo un periodo di decadenza, venne riportata al primitivo splendore da Mons. Amedeo Conti. Tale Cavalcata abolita nel 1808 durante il Regno Napoleonico. Fermo in tale epoca era capoluogo del Dipartimento del Tronto da cui dipendevano le vice prefetture di Ascoli e Camerino, essa tornò in vita dopo il Congresso di Vienna, ma senza il primitivo splendore; condusse poi vita grama fino al 1860, anno in cui cessò.

Tornata a rivivere dopo otto secoli, nel 1982, con la sola edizione del Palio, sta riprendendo il primigenio splendore e l’antica fama.

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Anno 1149 – Il Palio nel secolo XII nei documenti fermani

     Quanti sono i documenti che parlano del Palio?

     Nel 1182, nei patti di pace tra Fermo e Monterubbiano, quest’ultimo promette di “portare ogni anno un bel palio ornato di tutto punto per la festa dell’Assunta”. Dei tre castelli uniti in Monterubbiano, Cuccure e Montotto restano il primo e Montotto sua frazione;  Cuccure infatti è scomparso, lasciando il posto all’odierno giardino di San Rocco a Monterubbiano

È questo il documento ufficiale inequivocabile. Però, la notte prima della Festività dell’Assunta del 1449, i cittadini di Monterubbiano effettuarono una scorreria contro Petritoli, prendendo due prigionieri e rubando quindici buoi.

Fermo per appianare tali “differenze” (così venivano allora chiamate le liti fra paesi) manda un suo delegato impartendogli alcuni ordini. Fra essi c’era il seguente (ovviamente in latino) che recitava:“…in secondo luogo ti lamenterai degli abitanti di Monterubbiano perché quest’anno non ci hanno inviato il palio di seta, cosa che hanno fatto e fanno da trecento anni. Dagli stessi cittadini di Monterubbiano, abbiamo saputo che nella notte precedente la festa dell’Assunta (cioè Ferragosto n.d.r.) il podestà di Monterubbiano e 15 uomini, entrarono nel castello di Petritoli, rubarono quindici buoi… e prelevarono due uomini accusando uno di essi di una colpa già scontata. Comunque noi, per togliere ogni motivo di astio, eravamo contenti di ricevere il palio, vedere liberati i prigionieri e restituiti i buoi, sperando nella mediazione di Ser Andrea, giudice dei malefici…” etc.

     Come si vede, qui si parla di trecento anni… che, presi alla lettera, portano al 1149, che sarebbe la prima data scritta, sinora conosciuta per il palio. Una cosa è certa: si parla del palio già nel secolo XII. Come si vede dal documento di un furto possono scaturire elementi storici di altro interesse. Il Palio ora segue il percorso indicato negli Statuti di Fermo, risalenti al trecento.

     Con tutto il rispetto per il Palio di Siena (più famoso e più conosciuto ma non più antico) il nostro vanta più di otto secoli di vita.

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Anno 1170 – La casula di S. Tommaso Becket, a Fermo reca la benedizione di Allah

     Un mese fa il Prof. Donald King in occasione della presentazione del volume sul piviale di Nicolò IV avvenuta in Ascoli, quando seppe che eravamo di Fermo, ci disse nel suo impeccabile inglese: “You at Fermo have a real treasury” (avete un autentico tesoro). Il professore alludeva alla casula di S. Tommaso Becker Arcivescovo di Canterbury martirizzato nel 1171 sotto Enrico II.

     Tutti ricordano l’opera di T.S. Eliot “Assassinio nella Cattedrale”. Essa narra proprio il martirio di Tommaso Becket. Dopo tale misfatto, i seguaci di Tommaso vennero perseguitati e si dispersero. Tuttavia, cercarono di mettere in salvo le suppellettili preziose della Cattedrale. La casula finì a Fermo, in Italia perché Becket aveva avuto a Bologna come compagno di Università Presbitero, che ebbe a divenire Vescovo di Fermo. Egli donò la casula giunta nelle sue mani alla cattedrale, dove da secoli è conservata.

Opera di eccezionale bellezza, è composta da 40 medaglioni ricamati in seta ed oro, ognuno del diametro di cm. 20. Tema ricorrente, tra le raffigurazioni di pavoni d’oro, grifoni, leoni alati e simili. Ci sono le aquile di chiaro richiamo alle stoffe di Bagdad. Larga m. 5,41, lunga m. 1,60, fu ricamata ad Almeria nell’anno 1116 dell’era cristiana. Il Prof. David Rice dell’università di Londra, la studiò a lungo ed intensamente e non ha esitato di affermare che è il più antico ricamo arabo che si conosca nel mondo.

     Inizialmente di forma rettangolare, costituiva una specie di mantello regale. Sebbene conservata da secoli in Cattedrale sul Girfalco, tuttavia essa costituì quasi una rivelazione allorché fu tolta dall’antica cassa che la conservava ed esposta al pubblico e ciò per suggerimento del Card. Merry del Val nel 1925. Stupenda “nelle bizzarre cadenze del giuoco lineare, nelle contrapposizioni ritmiche, nello sfavillio delle colorazioni quasi illuminate da riflessi magici”, fu ammiratissima nell’esposizione di Roma del 1937; indi in quella di Parigi del 1951; fu esposta nel 1973 a Londra, per iniziativa del giornale Daily Mail nella Exihibition Ideal Home XIX century. L’attuale Regina d’Inghilterra rimase a lungo in estatica ammirazione davanti ad essa.

     Il Prof. Rice, nel 1959 riuscì ad identificare la scritta nel rettangolo al centro. Essa, redatta in caratteri cufici, recita: “In nome di Allah, il misericordioso, il compassionevole. Il regno è di Allah”; segue poi quella che è la benedizione per chi la possiede (Fermo): “Massima benedizione, perfetta salute e felicità al suo possessore. Nell’anno 510 in Maiyya”. Verso noi “infedeli”?

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Anno 1175 – Fermo distrutta dall’esercito guidato dall’arcivescovo Cristiano    

     Nei pressi di Marengo, era accampato l’esercito di Federico Barbarossa. Ha assediato per sei mesi e invano Alessandria, la fiera cittadina simbolo della Lega Lombarda. È il 12 aprile 1175: Sabato Santo. Giosuè Carducci nell’ode Sui campi di Marengo, così descrive la scena: “Stretto è il leon di Svevia entro latini acciari / Ditelo, o fuochi a i monti a i colli a i piani, ai mari….”

    Nell’esercito imperiale, c’è anche l’arcivescovo di Magonza, Cristiano, che sarà funesta “conoscenza” per Fermo. Ecco come lo descrive Carducci: “E dice il magontino Arcivescovo: Accanto / de la mazza ferrata io porto l’olio santo / Ce n’è per tutti. Oh almeno foste de l’Alpe ai varchi / miei poveri muletti d’italo argento carchi /”. Carducci parla anche del Conte del Tirolo, che teme di essere ucciso dai lombardi: “… io cervo sorpreso dai villani / cadrò sgozzato in questi, grigi lombardi piani…”. Non sappiamo se e quanti Non sappiamo quanti muletti carichi “d’italo argento” e d’altre suppellettili Cristiano, arcivescovo di Magonza abbia spedito oltr’Alpe. Tristemente sappiamo che il 21 settembre dell’anno successivo, dalla zona di Campiglione, dove si era accampato, si dirige su Fermo e la mette a ferro e fuoco: “nel 1176 nella festa di S. Matteo (21 settembre) la città di Fermo fu invasa, occupata e distrutta dall’Arcivescovo di Magonza, Cancelliere dell’Impero”. Ingenti furono i danni, specie alla cattedrale; ma, quel che è peggio nell’incendio perirono miseramente atti e documenti storici di altissimo valore.

     L’anno dopo troviamo Cristiano ad Assisi. Da qui, in data 3 gennaio 1177 emana un privilegio con cui “restituisce e conferma la libertà e il godimento di tutti i diritti a Fermo”. Da Sirolo, nel febbraio successivo (forse la coscienza lo rimordeva!), con analogo privilegio, ma più incisivo e decisivo, minaccia severe pene contro chi volesse attentare alla libertà di Fermo e rinnova ai Fermani, ampliandola, l’autonomia amministrativa e politica. Testimoni di questo secondo privilegio sono il Duca di Spoleto Corrado Svevus, Leo de Monumento, Simpliciano, Alberto Coni, Alberto Santo, Viberto, Ruggero ed altre personalità tedesche e latine.

     L’assalto a Fermo ebbe ripercussioni ad alto livello. Se ne interessò anche Papa Alessandro III: da Venezia ordina di restituire a Fermo le suppellettili sacre asportate in occasione del saccheggio, pena la scomunica.

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Anno 1176 – Barbarossa lo chiamò: Porto S. Giorgio

     Porto S. Giorgio, cittadina a specchio “dell’Adriaco mare”, antico navale di Fermo, patria di Pio Panfili pittore ed architetto; di Tommaso Salvadori, conosciuto più all’estero che in Patria; di Francesco Trevisani e altri illustri personalità come sede ideale per passarvi la “luna di miele”, incantò poeti e scrittori. D’Annunzio nel 1893 vi trascorse appunto la luna di miele, seguito, dopo decenni, da Luigi Bartolini, l’autore fra l’altro di “Ladri di biciclette”, che vi celebrò il suo matrimonio nel 1928 con una pimpante friulana. “Portus Sancti Georgii” lo chiamò Federico Barbarossa, quello affrontato dalla Lega Lombarda nella battaglia di Legnano. Ed anche in documenti di poco posteriori, figura con il toponimo ‘Porto San Giorgio’. Lo troviamo, in una delle tante pergamene del ricchissimo archivio storico Comunale di Fermo. Essa recita che “essendo la città di Fermo tornata di recente all’obbedienza di Federico II, Roberto di Castiglione, Vicario imperiale del Sacro Romano Impero nelle Marche, decretava l’annullamento dei bandi e delle pene per malefici, offese et similia commesse dai cittadini fermani”. Nel documento c’è un passo molto importante che riguarda il Porto della città. Come è noto, in quel periodo Fermo era un’importante potenza marinara. Un docente universitario ebbe a definirla qualche anno fa la “quinta repubblica marinara d’Italia”. Intenso era il suo commercio e basta scorgere una qualsiasi carta nautica del tempo, od i Comuni portolani, per sincerarsene. Aveva soprattutto un intenso commercio con Venezia, verso cui esportava derrate alimentari, vino ed olio, di cui la città lagunare scarseggiava. Fermo poi con il suo porto aveva una funzione antianconetana e favoriva la Repubblica di Venezia. Roberto di Castiglione nel documento in data 7 aprile 1242, stabiliva in virtù dell’autorità imperiale di cui era investito che “tutte le navi ed i natanti da qualsiasi parte provenissero, potevano liberamente attraccare alla riva od al Porto San Giorgio e rimanervi all’ancora per il tempo che volessero”. La stessa cosa per i naviganti: essi potevano rimanere nella zona portuale od in città per il tempo di loro gradimento; potevano commerciare liberamente con i forestieri, Fermo mirava a conservare e potenziare il porto e proteggere coloro che vi sbarcavano. È questa un’altra prova dell’antica dizione: Porto San Giorgio che troviamo indiscriminatamente anche come Porto ‘di Fermo’. Il toponimo, quindi, Porto ‘San Giorgio’ affonda le sue radici ai tempi di Barbarossa e da Roberto di Castiglione vicario imperiale di Federico II (nipote) e del Sacro Romano Impero nella Marca d’Ancona.

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Anno 1176 – Fermo distrutta e poi… riabilitata

     Correva l’anno 1176. Poco prima aveva avuto luogo la battaglia di Legnano con la sconfitta del Barbarossa. Le truppe della Lega Lombarda, il cui “nume” era Papa Alessandro III, avevano vinto nello scontro del 29 maggio. Una parte però dell’esercito imperiale diretta verso sud e comandata dall’arcivescovo (scomunicato) Cristiano di Magonza, si era accampata al di là del fiume Tenna nei pressi della chiesa di Santa Maria di Giacomo, territorio di Monturano.

     Egli mandò dei messi a Fermo, allora di parte guelfa. In qualità di arcicancelliere dell’impero e delegato del Barbarossa, esigeva da Fermo tributi e contribuzioni, e piuttosto inferocito. Tre anni prima aveva posto l’assedio ad Ancona e se ne era dovuto allontanare con le pive nel sacco. Recente era la sconfitta imperiale a Legnano. Le cose non andavano bene né per lui, né per il suo “capo”, il Barbarossa. I Fermani, alle richieste esose di Cristiano, risposero picche e (sembra) malmenarono i messi. Inviperito, Cristiano fa dare fiato alle trombe e dal Tenna con l’esercito, muove contro Fermo. La cinge d’assedio, la espugna e la mette a ferro e fuoco. Era il 21 settembre 1176, giorno della festa di S. Matteo, come riferisce Anton di Nicolo’, storico fermano del secolo XV: una grande tragedia.

     Di tale distruzione parlano vari storici, tra cui il Muratori e l’Ughelli (Italia sacra, vol. II) il quale sottolinea… “e quello che più indigna è che furono distrutti tutti gli atti e documenti della storia di Fermo”.

     Fermo piombò nella desolazione più nera. L’anno dopo, Cristiano, forse perché Papa Alessandro aveva fatto pace col Barbarossa, emanò da Assisi un decreto in data 3 gennaio 1177. In esso “l’arci-cancelliere del Sacro Romano Impero, il Legato in Italia e Luogotenente Generale dell’esercito imperiale ammette di aver recato ingentissimi danni a Fermo” e “restituisce e conferma alla città la libertà, diritti, beni, possessi e privilegi”.

     L’altro decreto è datato a Sirolo nel febbraio 1177. Con esso ribadisce quello emanato da Assisi, precisando che “nessuno, compreso lo stesso arcivescovo. osi edificare a Fermo e nel suo castello senza il permesso della città, pena cento libre di multa”. Ma la città non si ricostruiva con decreti e Fermo soffrì molto, prima di riacquistare parte del primitivo splendore, e preziosissimi atti e documenti sparirono per sempre.

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Anno 1182 – Il drappo dei Castelli a Monterubbiano

     La corsa del Palio riesumata nel 1982. dopo otto secoli dalla data di quello che si reputava il primo documento scritto, ha radici più antiche. L’uso di porre come premio di gare un drappo di stoffa preziosa, chiamato palio, era tradizione in molte città nel Medio Evo. Oggi il Palio più famoso è quello di Siena che ha la più antica notizia al 1282, un secolo meno antico di quello di Fermo.

Il palio di Fermo si svolgeva nelle ore antimeridiane prima del pranzo “ante prandium”. Al vincitore si dava come premio un palio o drappo di seta prezioso, al secondo veniva dato un falco o astore. La gara si svolgeva, come nelle edizioni attuali, “sulla via del mare”, cioè da Porta San Francesco lungo la strada che portava al mare. Gli Statuti comminavano pene severe a chi creava intralci nello svolgimento e a chi favoriva questo o quel cavallo. I contendenti entravano anche in Cattedrale “S. Mariae in Castello”. Aveva poi luogo il gioco dell’anello. Il cavaliere, correndo, doveva infilare con una lancia un anello fisso o mobile.

      Vi era pure la Quintana. Il cavaliere si esercitava contro un bersaglio mobile, costituito da una statua grande con un braccio teso lateralmente. Se il cavaliere non colpiva velocemente o al segno giusto, il braccio della statua, che nel nostro caso si chiamava (e si chiama) Marguttu, colpiva l’incauto cavaliere. Vi era inoltre la Giostra del toro, per molti versi simile alla odierna Corrida spagnola. La corsa al palio, con l’andare dei secoli, decadde e venne sostituita con la corsa degli asini.

     Dal 1982, la corsa al Palio non si svolge più al mattino, ma nel pomeriggio. Quei patti di pace stipulati nel 1182 tra Fermo e Monterubbiano e la inequivocabile documentazione della dotazione da noi scoperta, che riporta ad anni anteriori la corsa del Palio, permeano di profonda consapevolezza la celebrazione. Brilla, nel fulgore del sole agostano, la formula… “e promettiamo di portare ogni anno a Fermo, in occasione della Festa di Santa Maria di Mezz’Agosto, un palio splendido e ben lavorato. Notiamo anche la notizia che, nel 1449, Monterubbiano non ha portato in quell’anno il Palio, cosa sempre fatta ‘da trecento anni’: grave il disappunto dei cittadini di Fermo per la mancata partecipazione, perché la città era orgogliosa di tale palio.

    . Monterubbiano, legata a Fermo da allora, oggi toma con i suoi “militi” sbandieratori della Sagra dei Piceni, “Sciò la pica” a sfilare con Fermo; vi partecipano, inoltre, i componenti del Torneo Cavalleresco di Servigliano, gli sbandieratori di Castel Fiorentino e anche i protagonisti della nota “Contesa del Secchio” di Sant’Elpidio a Mare.

 In una festa di sole e colori, Fermo e il Fermano celebrano la corsa del Palio, e la lontana Offida. sempre legata a Fermo (talché si oppose a far parte della Diocesi di Ascoli preferendo Fermo), conserva ancora nella chiesa Collegiata un palio, vinto dall’offidano Giuseppe Desideri nel 1840, grazie ad una sua velocissima cavalla. Offida tuttora va fiera di tale palio, o meglio, della Madonna del Palio, che è venerata colà con grande devozione e più volte preservò la cittadina da pericoli gravi: ultima la salvezza del paese durante la guerra 1940/’45.

     Oggi le antiche contrade di Fermo sono ridimensionate nella corsa al palio con l’aggiunta di Torre di Palme, Marina Palmense. Capodarco, Molini Girola, Campiglione.

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Anno 1211 – Dal Potenza al Tronto lungo la costa la Marca Fermana

     Siamo al 6 ottobre 1238. Da appena ventisette anni Fermo gode del privilegio dell’imperatore Ottone IV (1182-1218), privilegio rilasciato in data 1 dicembre 1211 da Sant’Angelo di Subterra (Puglia) in virtù del quale, oltre alla concessione della zecca, la città ottiene la giurisdizione sul litorale adriatico dal fiume Potenza al fiume Tronto (a flumine Potentiae usque in flumen Trunti). Nessuno senza il benestare di Fermo può fabbricare edifici e tanto meno fortezze, per la profondità entroterra di un chilometro.

     Ovviamente ciò precludeva ad Ascoli uno sbocco al mare, sbocco praticato per commerci e traffici della città e dell’intera vallata del Tronto. Ma allora, Ascoli non reclamava il diritto al mare; ed infatti, nella seduta del consiglio comunale generale, radunato in solenne tornata, Magliapane di Reggio, giudice ed ambasciatore di Fermo, delegato dal podestà Ugo Roberti, chiede di poter parlare ai consiglieri ascolani. Egli, presa la parola, ammonisce loro e l’intero consiglio di non compiere azioni di qualsiasi genere che potessero essere di danno o pregiudizio alla città, nel tratto fra il Tronto ed il Potenza e ciò perché esso rientra nella giurisdizione fermana. Anzi, precisa Magliapane, il diritto e la giurisdizione di Fermo si estende anche a sud del Tronto (et etiam ultra Truntum) perché appartenente alla Diocesi ed al comitato fermano. Ed a tal proposito, chiede al consiglio comunale di Ascoli di esporre il suo punto di vista, mediante una risposta pubblica. “Detto consiglio (traduciamo) dopo lungo dibattito e matura deliberazione, fece rispondere per bocca di Giacomo Diotisalvi consigliere di Ascoli al rappresentante di Fermo, che non fu mai loro volontà, proposito od ordinamento di fare alcunché contro i diritti di Fermo”. Non vi furono atteggiamenti o prese di posizione da parte di Ascoli contro tale risposta. L’ambasciatore di Fermo allora ringraziò, ribadì che la giurisdizione di Fermo si estendeva anche a sud del Tronto e due notai, uno di nome Altidona e l’altro Gerolamo Pitio, redassero l’atto relativo “consacrando” il fatto alla storia. Sono passati anni e secoli, ma ancor oggi alcune località del Teramano, site a sud del Tronto come Martinsicuro, Colonnella, Sant’Egidio alla Vibrata appartengono alla Diocesi di S. Benedetto-Ripatransone-Montalto, territorio che era in gran parte della Diocesi di Fermo, alla quale fu sottratto nel 1571 e successivamente nel 1586, per l’erezione della Diocesi di Ripatransone e poi di Montalto ora riunite queste e costituenti un tutt’uno con sede vescovile a S. Benedetto del Tronto.

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Anno 1221 –Pellegrino da Falerone e il mal di denti

     Medicina e religione si intrecciano nella festa di S. Biagio, il 3 febbraio, protettore contro le malattie della gola e il 9, S. Apollonia, popolare santa egiziana, protettrice contro il mal di denti. A tale santa, infatti, martirizzata nel 249 d.C., furono spezzati ed estirpati i denti, in odio alla fede cattolica. Il dente?! Guai al suo dolore! È un vocabolo significativo di cui è ricco il lessico di ogni lingua: spuntare i denti; battere i denti per il freddo; “digrignare i denti; a denti stretti; il dente del giudizio (a molti dei nostri governanti, manca?!).

     Reminiscenze scolastiche ci riportano al lupo di Gubbio “dai denti aguzzi”; ma detto lupo richiama S. Francesco il quale, fra l’altro, ebbe a che fare con due marchigiani: Pellegrino da Falerone (poi beato) e Riczerio da Muccia.

     Narrano i Fioretti (cap. 27) che Pellegrino e Riczerio, allora studenti all’Università di Bologna, dopo una predica di S. Francesco “toccati nel cuore da divina ispirazione, vennero a Santo Francesco dicendo che al tutto volevano abbandonare il mondo ed essere dei suoi frati…”.

     S. Francesco li ricevette dicendo loro: “Tu, Pellegrino, tieni nell’ordine l’umiltà e Tu, Riczerio, servi ai frati”… poi, dopo alcune righe, i Fioretti aggiungono: “E finalmente il detto frate Pellegino, pieno di virtù, passò di questa vita a vita beata, con molti miracoli innanzi alla morte e dopo” nel 1233.

     Fra i molti miracoli sono rimaste famose le guarigioni dal mal di denti, verificatesi al contatto con un dente del beato Pellegrino, immesso nella cavità orale, legato ad un’assicella d’argento, in modo da poter toccare i denti cariati o malati. Folle di fedeli usavano pellegrinare alla sua tomba per ottenere guarigioni; molti erano gli ex-voto, per lo più in argento, che adornavano le pareti della cappella dove riposa. Numerosi volumi parlano di tali taumaturgiche guarigioni. Sono: Pietro da Tossignano nel 1586; Orazio Civalli 1594; la Historia di Valerio Cancellotti 1630.

     H. Keber, nell’opera I Patronati dei Santi, elenca ben 21 protettori contro il mal di denti. Fra questi, oltre a S. Apollonia, il nostro Pellegrino da Falerone che è vivo nel cuore e nel culto di quanti soffrono del mal di denti.

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Anno 1229 – Privilegi per Montegiorgio

    Il grande imperatore svevo, Federico II, date le molteplici mansioni della sua carica, non poteva disporre di tempo per tutti gli impegni e problemi del suo vasto impero, perciò, spesso, delegava i suoi fidi rappresentanti, approvando in pieno il loro operato e sanzionando, con la sua imperiale autorità, le loro decisioni. In tale contesto, c’è un privilegio, in virtù del quale, esonerava l’allora castello di Monte Santa Maria in Georgio (attuale Montegiorgio) da taluni obblighi ed adempimenti verso la città di Fermo. Ciò in considerazione della fedeltà a Federico, a suo padre (Enrico VI) ed a suo nonno, cioè al Barbarossa, da parte dei cittadini di Montegiorgio!

     Ma veniamo alla lettura del documento. “Rinaldo per grazia di Dio e dell’imperatore, duca di Spoleto, legato imperiale per la Marca di Ancona su preciso mandato di Federico II concede agli abitanti di Montegiorgio l’esenzione d’ora in avanti di tutti i pesi, servi ed obblighi e doveri verso Fermo”.

     Tale concessione aveva validità perpetua. Rinaldo, non solo concede tale esenzione, ma decide che siano considerati abitanti di Montegiorgio anche gli abitanti delle pertinenze, del castello di Collicillo (ora scomparso), di Magliano di Tenna e i territori di Ripa Cerreto, Atleta, Rapagnano, Monteverde e Monsampietro Morico. Territori con cittadinanza montegiorgese soggetti all’imperatore

     Rinaldo riduce anche i canoni di affitto e dispone che essi non superino le 30 libbre annuali. Stabilisce inoltre che tutti i cittadini di Montegiorgio, come detto sopra, possano avere il libero e pacifico possesso dei loro beni, in qualsiasi parte si trovino e che le autorità di Montegiorgio abbiano la facoltà di richiamare all’osservanza della legge i facinorosi. Rinaldo assicura che quanto da lui concesso, automaticamente viene approvato dall’imperatore Federico II. Inoltre, nel privilegio c’è un altro dato molto importante: la cittadinanza montegiorgesi liberava da impegni e doveri verso la città di Fermo, in particolare nessun impegno per il servizio militare nell’esercito fermano, per la partecipazione al Parlamento e neanche portarvi il Palio il giorno dell’Assunta.

     Questa esenzione è interessante, perché documenta che nel 1229 quando non era trascorso mezzo secolo dalle prime notizie, l’offerta del Palio da parte di Castelli dello Stato Fermano nel giorno dell’Assunta era stata ampiamente consolidata. Anche per questa data il nostro Palio fermano risulta più antico, (benché meno conosciuto) di quelli di Siena, di Ferrara e di altri: trova qui la documentazione incontrovertibile della sua esistenza e della sua vasta diffusione.

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Anno 1240 – La Vallata del Tronto e Federico II.

    Federico II venne nella Vallata del Tronto. Lo narra egli stesso, in una lettera ai cittadini di Cremona, documento che gli storici pongono cronologicamente dopo l’altro emanato negli accampamenti davanti alla città di Fermo a favore di Napoleone Monaldeschi. Federico col suo esercito dopo aver devastato e saccheggiato Ascoli proseguì per Monte Cretaccio, nell’attuale territorio di San Benedetto del Tronto.

    Qui si trattenne per alcuni giorni, dopo di che, si recò con Curia ed esercito a Fermo. Da qui rilasciava un privilegio di conferma a favore di Napoleone Monaldeschi nell’agosto 1240 e da qui sembra abbia scritto la lettera ai suoi sudditi di Cremona. Tale lettera, il cui originale si conserva in Francia, recita testualmente: “È tanto l’amore e la preoccupazione che ci induce a pacificare l’Italia ed è tanta la sollecitudine che ci accompagna e previene le nostre preoccupazioni verso i nostri fedeli per levarli dalla persecuzione dei nemici, che nessun piacere del nostro Regno potrà frenare, dopo aver disbrigato i grandi impegni nel Regno, con costanza ed ansietà … affrettandoci all’uscita del Regno e lasciate da parte le inattività contrarie alla nostra intraprendenza, siamo incappati nei calori estivi e nella polvere degli accampamenti, non risparmiando pericoli alla nostra persona ed ai fedeli, affinché tra i confini paludosi, circondati da una cerchia di monti, si potessero compiere stragi dei nemici e devastazioni. Accadde dunque che tra le occupazioni ed il disbrigo di atti dello Stato, da cui non ci potemmo esimere, la nostra persona, a causa della debolezza fisica e della aria malsana, incorse in una disfunzione umorale” recita l’originale che poi prosegue nella nostra traduzione: “Noi con la forza d’animo l’abbiamo completamente superata, talché restando negli accampamenti con dignità imperiale, passato il giorno critico non v’era altro impedimento che impedisse il glorioso proseguimento e la felice vittoria imperiale”. L’uscita dal territorio del Regno riguarda la Vallata del Tronto. E questa affermazione, a nostro avviso, confermerebbe la cronologia data dagli storici, dopo la sosta a Fermo. Infatti, è documentato dalla stessa lettera che, partito da Fermo, Federico si diresse in Romagna e, nel tragitto, compì devastazioni ed efferatezze da far rabbrividire. Il testo della lettera prosegue: “Pertanto con l’aiuto del Signore, il quale dà la salute ai Re ed ai principi, rimessici in salute come prima, anzi resi più forti, noncuranti dei calori estivi, continuiamo il viaggio dopo aver chiamato a raccolta le nostre forze e le nostre energie, procedendo verso la Romagna pronti a calpestare con la nostra potenza i ribelli, dovunque ci venissero incontro. E affinché singolarmente e collettivamente voi tutti possiate essere maggiormente confortati, tanto per la recuperata salute, quanto per i successi conseguiti, vogliamo comunicarvi ciò, per allontanare da voi ogni dubbio e perché con l’aiuto del Re dei Re che si comporta con misericordia verso il suo principe, seguirà la desiderata salvezza e la vittoria sui nemici”.

    Si evince dalla lettura che la Vallata del Tronto, è indicata come terra di confine tra il regno di Napoli ed i domini papali. Che tale lettera sia di data posteriore all’assedio di Ascoli ed alla sosta di Federico a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto. Ci induce a pensarlo un dato curioso del contesto.

     L’abate di Montecassino, che si trovava come testimone nell’atto emanato da Federico a Monte Cretaccio, col quale prese sotto la protezione imperiale, la città di Alessandria (che aveva dato tanto filo da torcere a suo nonno, Federico Barbarossa), non è più presente quale testimonio nella lettera ai Cremonesi. “Stefano, abate di Monte Cassino – ci narra Riccardo da S. Germano – con il permesso di Federico, dato che era malato, si portò alla sua chiesa di S. Liberatore e vi rimase fino a che guarì”. Facilmente era affetto della stessa malattia di Federico: la discrasia è l’alterazione dell’equilibrio tra i componenti del sangue ed i liquidi organici,

     Inoltre, è chiara la frase di Federico quando afferma che dopo aver ricuperato le forze, muove verso la Romagna. E’ una nuova luce non solo sulla storiografia di Federico II, ma anche sulla località di compilazione dell’atto che, a nostro avviso, e per le chiare parole di Federico: “ci dirigiamo verso la Romagna” e per l’assenza per malattia dell’abate di Montecassino, fu quasi sicuramente scritto ante civitatem Firmanam, cioè davanti alla città di Fermo che nell’estate 1240 era accampato a Fermo.

Nella Curia imperiale, nella quale spiccava Pier delle Vigne (che sarebbe stato poi eternato da Dante nella Commedia). Vi erano anche Taddeo da Suessa, giudice della Gran Curia, l’Arcivescovo di Palermo, Bernardo, il figlio del Re di Castiglia ecc.

     Era la fine di agosto 1240 e Federico II, a Fermo, emanò una bolla a favore di Napoleone Monaldeschi, cittadino fermano, confermandogli privilegio concessogli in precedenza; ora glielo conferma in veste di imperatore. Se pensiamo che la conferma al Monaldeschi venne fatta in un periodo di preparazione bellica da parte di Federico e del suo esercito, la cosa appare di alta importanza e di alta considerazione per Fermo ed il suo cittadino. L’imperatore tiene molto a questa conferma e nel privilegio ordina:… “nessuno, sia esso delegato, duca, conte, marchese, podestà, rettore, console, nessuna altra autorità, alta o piccola, osi contraddire a tale nostro decreto”. E, come se ciò non bastasse, incalza: “nessuna personalità civile o religiosa osi opporsi a quanto abbiamo stabilito” e chi lo facesse “sarà multato con 60 libbre di oro e sappia di essere incorso nell’indignazione imperiale”. Il sigillo della maestà imperiale chiude la bolla, dando piena autorevolezza al documento.

     Tutto ciò è datato nel mese di agosto (i diplomi imperiali non mettono quasi mai il giorno) “regnando Federico imperatore per grazia di Dio Re di Gerusalemme e di Sicilia, nell’anno quindicesimo del regno di Gerusalemme, alla presenza di molti testimoni, (tra cui il nominato Pier delle Vigne) negli accampamenti davanti alla città di Fermo. Felicemente, così sia”.

     Come accennato, Federico, dopo la conferma, si trattenne ancora un po’ di tempo a Fermo e quindi si diresse alla volta della Romagna. Nel tragitto, “commise tali e tante devastazioni ed efferatezze, che al paragone impallidivano le atrocità perpetrate dai barbari nella loro calata in Italia”. Così si esprime Flavio Biondo (1392-1463) insigne umanista e storico di Forlì, nella sua poderosa Historia ab inclinatione Romanorum (Storia della caduta dell’impero romano). Come si vede, la sosta a Fermo durata fino ai primi di settembre di quel lontano 1240 costituì una pausa di pace, prima che “il foco ed il furor d’Odino” s’avventassero, distruttori, sulla “Romagna solatìa” (come la dice G. Pascoli).

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Anno 1240 – Federico II e Sant’Elpidio – In due diplomi l’imperatore concesse privilegi.

     Nel guardare lo scenario della storia medievale italiana ed europea, molti imperatori ci sembrano quasi “divinizzati”, lontani dalla nostra vita, dalle nostre località, tanto più che molti di loro sono stati già immortalati.

     E Federico II  ebbe a che fare con le Marche meridionali, benché questo dato non sia posto in adeguato rilievo dagli storiografi passati ed attuali.

     Sappiamo che l’imperatore ebbe a che vedersela con Papi, tra cui Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, buscandosi diverse scomuniche, arrivando a far assalire in mare i Cardinali che si recavano al Concilio a Roma.

     Ci è noto anche che ebbe a che fare con i Comuni della seconda Lega Lombarda; risulta che si sposò due volte e le due mogli sono entrambe sepolte nella Cattedrale di Andria.

    Lo conosciamo come fondatore della Scuola Siciliana, autore di un manuale sulla caccia degli uccelli, fondatore della città de L’Aquila, dell’Università di Napoli, è il padre di Manfredi ed “l’accecatore” di Pier delle Vigne.

Ma pochi, come detto, mettono in risalto i suoi legami con il Piceno (peraltro si narra che Federico II era nato nelle Marche, a Jesi, la notte tra Natale e santo Stefano del 1194).

     L’imperatore ebbe a che fare con Ascoli che assediò nel luglio del 1240 (non 1242 come tanti storici affermano); si recò in territorio di San Benedetto del Tronto, cioè a Monte Cretaccio, dove ricevette sotto la sua protezione la città piemontese di Alessandria, fiera nemica dei suoi avi, e fu anche a Fermo fra l’agosto e il settembre 1240.

      Ma Federico II, lo stupor mundi si interessò anche di Sant’Elpidio a Mare. Prese infatti sotto l’imperiale benevola protezione l’abazia di Santa Croce al Chienti (monasterium S. Crucis in Clente) e l’abate di quel tempo di nome Corrado. A tale abazia donò molti beni tra cui la Silva Plana, ampi terreni, al di qua e al di là del Chienti, concedendo ai frati di utilizzare a loro piacimento l’acqua di tale fiume. Questo avvenne il 12 dicembre del 1219, e la bolla fu emessa da Capua, luogo natale del fido segretario Pier delle Vigne.

     Federico II emanò un altro documento sempre relativo a Sant’Elpidio a Mare, stavolta da Venosa, nell’ottobre del 1250. Ne diamo la nostra traduzione dal latino: “Federico per grazia di Dio Imperatore sempre augusto, Re della Sicilia e di Gerusalemme. Attraverso questo privilegio rendiamo noto a tutti i nostri fedeli sudditi, presenti e futuri che il Comune del nostro fedele castello di Sant’Elpidio aveva rivolto istanza alla Nostra Maestà, per la conferma di alcuni patti e convenzioni che, a suo tempo, gli aveva fatto il nostro Vicario Generale nella Marca di Ancona Gualtiero di Palearia conte di Manoppello. Tali patti, scritti dal predetto conte Gualtiero portano la sua firma ed il suo sigillo. Noi, in considerazione della grande fedeltà e sincera devozione che nutre verso di Noi il Comune di Sant’Elpidio, e poiché sia detto Comune che i singoli suoi cittadini hanno finora reso graditi servizi sia a Noi sia all’Impero, ed altrettanto potranno fare in futuro, li confermiamo per nostra grazia”.

     Dopo alcune forme giuridiche proprie dei privilegi imperiali, continua: “Noi conserveremo e difenderemo il castello di Sant’Elpidio con i suoi beni, i possessi e le tenute che ha, nelle persone e nelle cose sia dentro che fuori le mura, come accadde ai tempi dei nostri predecessori. Noi difenderemo sia i laici che i chierici di tale castello e distretto, e ciò finché rimarranno a noi fedeli

Federico effettua altre concessioni tutte relative al bene, alla prosperità ed alla crescita del castello di Sant’Elpidio. Infine, chiude minacciando pene severe a chi osasse opporsi a tali concessioni: “di nostra autorità disponiamo che nessuno osi impedire quanto da noi deciso. Chi lo facesse, sappia che incorrerà nel nostro sdegno”.

     Per dare maggior prestigio di stabilità e di autorevole validità al privilegio, lo fa redigere dal suo fedele notaio Rodolfo di Podio Bonici e munire del sigillo di maestà imperiale: maiestatis nostre sigillo iussimus communiri.

     Federico II  cheDante nella Commedia lo immaginerà collocato nel cerchio degli eretici), morì due mesi dopo, il 13 dicembre 1250, colto da febbri intestinali. Riposa nella Cattedrale di Palermo.

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Anno 1242 – Epilogo di una Lega più di sette secoli fa.

    Nelle sfide elettorali compaiono leghe che spuntarono in vari luoghi dopo l’esempio della Lega Lombarda, creata dai Comuni Lombardi, che diedero filo da torcere a Federico Barbarossa e avevano scelto per capo carismatico Papa Alessandro III. I Comuni lombardi fondarono allora quella città che doveva resistere a Barbarossa per ben sei mesi, città che in onore del Papa era chiamata Alessandria. Mentre i sostenitori del Barbarossa nel farvi un  assedio nel 1175 ridevano chiamandola “Alessandria dai tetti di paglia”, ma essa resistette vittoriosa e il Barbarossa ritornò a casa con le pive nel sacco. Oggi non parliamo tanto di Federico I, quanto del suo nipote Federico II, il quale ebbe a che fare con le Marche, dove si narra fosse nato (a Jesi il 25 dicembre 1194), e venne a combattere assediando Ascoli nel luglio 1240 (non nel 1242 come asserisce qualche storico); poi occupava Fermo ed altre città.

     C’è un fatto importante che gli scrittori di storia nazionale non pongono nel dovuto risalto. Proprio nel territorio dell’antico Stato di Fermo e precisamente a Monte Cretaccio, Federico II dopo decenni di avversione, riceve la sottomissione della fiera città di Alessandria, la roccaforte della lega che ora, a seguito di varie vicende storiche (fra l’altro non voleva sottostare al Monferrato ed era in preda alle lotte tra Guelfi e Ghibellini) chiedeva protezione al nipote del feroce Barbarossa.

Federico II, lo stupor mundi, attorniato dalla sua corte imperiale, dopo l’assedio di Ascoli, aveva posto gli accampamenti a Monte Cretaccio, nel mese di luglio 1240. Sono con lui Pier Delle Vigne, Taddeo da Sessa, l’arcivescovo di Palermo, i Vescovi di Torino e quelli della Marsica, l’abate di Montecassino e molti altri. Scrive un atto : “Noi, Federico per grazia di Dio, imperatore dei Romani, Re di Sicilia e di Gerusalemme rendiamo noto a tutto l’Impero, che la città di Alessandria ha abbandonato la società degli infedeli (i fautori del Papa) ed è passata alla parte imperiale, chiedendo la nostra protezione. Noi guardiamo con occhio benevolo a tal decisione… e la riceviamo nella nostra grazia e nel nostro onore, perdonando le offese passate” (…) “A conferma di questa protezione e di questo atto, ordiniamo di redigere questo privilegio, munendolo della bolla d’oro… Dato negli accampamenti di Monte Cretaccio, dopo la devastazione di Ascoli, luglio 1240”.

     Tale documento (che la città di Alessandria conosceva da una copia, redatta in francese, del 1839 ma ignorava il testo originale) è stato da noi rinvenuto in Francia, precisamente a Marsiglia, e fa conoscere come in territorio dell’antico Stato di Fermo ebbe luogo l’emanazione di un atto di grande valore storico, che vedeva l’indomita Alessandria passare all’obbedienza imperiale dopo 65 anni dal fiero assedio postole da Barbarossa.

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Anno 1242 – Il panno di Federico: rivela lo stretto legame con i Fermani.

    Jesi, orgogliosa, sentendosi la patria dove è nato Federico, non ha ricevuto molti documenti federiciani. Chi può dare tessere di storia per il mosaico ancora incompiuto della vita di Federico, senza campanilismi, è Fermo che ebbe relazioni non trascurabili con Federico, sia nel bene sia nel male. In ogni caso questa città è uno dei “settori” principali della vita e delle opere di Federico.

    Nonostante si voglia misconoscere l’importanza dei referenti culturali, la storia deve studiare i documenti. Stiamo consultando anche archivi esteri e relative pubblicazioni. Nell’anno 1242 e dintorni, Federico scrive a Fermo (dove era stato due anni prima insieme alla Curia e il segretario Pier della Vigne), per ringraziarla dei doni che i Fermani gli avevano inviato con apposita ambasceria (nuncii legationis dice il testo)-

     Egli li aveva graditi immensamente, e lo afferma nella lettera di ringraziamento, che arieggia passi latini nel Vangelo dove si narra dei re Magi che porsero doni al Bambino Gesù. Federico sottolinea che li ha graditi perché non richiesti, ma dati spontaneamente quale pegno di sincero affezione da parte dei suddetti Fermani. “I doni placano gli uomini e gli dei” affermava l’antica saggezza ed i Fermani, a quanto pare, ne erano consapevoli.

   E Federico porge espressioni grate. Egli per ringraziare concretamente, invia a mezzo degli stessi membri della delegazione fermana che gli avevano portato i doni, un panno con componenti d’oro “per ornare l’altare maggiore della vostra chiesa madre”. Così recita il documento: Federico faccio volentieri e con gioia (hylariter) invitando i Fermani a proseguire nella fedeltà e solerzia verso l’Impero, in modo che possiate sempre bene meritare della nostra maestà imperiale”. Il documento è ha parti illeggibili come ala riga dove Federico è mandato il panno “ad honorem beati …”  potrebbe indurre a pensare: beati(ssimae Virginis).

   Benché non siano stati fatti approfondimenti con nuovi mezzi tecnici per una lettura completa, sarebbe molto suggestivo pensare ad uno dei tanti palii dell’Assunta.

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Anno 1245 – LA MARCA FERMANA invasa nominata nel Concilio di Lione

     Censura, interdetto, anatema, scomunica… vocaboli che denotano pene ecclesiastiche verso chi si è macchiato di colpe molto gravi. Già al tempo dei Greci si aveva qualcosa di simile, quando si praticava l’ostracismo, ossia l’esilio di dieci anni contro gli Ateniesi che, talora per la loro popolarità, destavano sospetti di intrighi politici. Nel periodo romano imperiale, quando le supreme cariche politiche e religiose erano incentrate nell’imperatore che era anche pontefice massimo, si punivano il cittadino condannato con l’interdire con l’acqua (lustrale) e il fuoco (sacro del focolare): interdicere aqua et igni, così lo si bandiva dalla società civile e religiosa.

Alla caduta dell’Impero Romano e con raffermarsi del Cristianesimo, i vari Concili codificarono vari tipi di pene da irrogare, a seconda della gravità dei reati e così si ebbero l’ammonizione, la censura, (che è biasimo e severa critica dell’operato di qualcuno), la sospensione (ricordiamo quella a divinis, sacramenti), l’interdetto (con cui in un dato luogo si privano i fedeli dell’uso di alcuni Sacramenti o del godimento di determinati diritti spirituali). La scomunica è l’esclusione dalla comunità della Chiesa cattolica di un colpevole, cui è anche vietato di accostarsi ai riti sacri sacramentali. L’estromissione dalla comunità dei fedeli non si verifica con l’interdetto. Vi è anche l’anatema, cioè l’esclusione dalla comunità dei fedeli, rivolta, soprattutto ad eretici, o comunità sistematiche.

     La storia ci parla di scomuniche pontificie famose come le due scagliate contro Enrico IV (si umiliò poi a Canossa); quella contro Federico Barbarossa da parte del Papa Alessandro III nel 1161 e 1164; quelle inflitte a Ottone IV nel 1210 e 1211; quella fulminata dal Leone X contro Lutero; quella di Pio VII contro Napoleone, che da allora in poi cominciò a collezionare sfortune fino a Waterloo (18 giugno 1815).

     Ma a quanto ci consta nessuno collezionò ben tre scomuniche, come Federico II, lo stupor mundi che venne scomunicato una prima volta nel 1227, la seconda volta nel 1239; entrambe le scomuniche gli furono lanciate da Gregorio IX. La terza gli venne fulminata da Innocenzo IV, nel Concilio di Lione, il 27 luglio 1245.  Ho riletto quest’ultima nel suo curiale, ma eloquente latino: è una inquisitoria analitica. Federico è accusato di imprigionare Vescovi e Prelati: di perseguitare la Chiesa cattolica in Sicilia; di avere imposto tasse gravosissime; rubato suppellettili sacre. E spergiuro, eretico, ha ucciso il duca di Baviera; stipulato alleanze con i saraceni, e non paga le tasse dovute alla curia romana. Ma all’inizio della bolla di scomunica c’è una prima motivazione: Federico è scomunicato anzitutto per aver invaso il dominio della Santa Sede, esattamente si legge nell’atto: la Marca Fermana e il Ducato Beneventano, ha distrutto città e fortezze e si tiene impunemente occupati la Marca Fermana e detto Ducato di Benevento.

E così anche al Concilio di Lione, alla presenza di Papa Innocenzo IV e dei rappresentanti di Federico II, tra cui Taddeo la Sessa e di oltre 150 prelati si parlò della Marca Fermana che era uno dei motivi di questa terza scomunica contro Federico II, la cui potenza da allora cominciò a declinare fino alla morte avvenuta nel 1250.

Anno1253 – Ranier Zen, podestà di Fermo eletto doge, parte per Venezia

     Si era in pieno carnevale quando, partiva dal Porto di Fermo (odierna Porto San Giorgio) il podestà di Fermo, Ranieri Zeno, neo eletto doge, chiamato a raggiungere Venezia. Egli si trovava podestà a Fermo, dopo essere stato in precedenza podestà di Treviso, di Piacenza, di Bologna (1239), di Verona, ambasciatore della Serenissima al Concilio di Lione (dove uscì scomunicato Federico II) e comandante di una spedizione militare contro Zara, ribellatasi a Venezia.

     Zeno, era stato eletto doge il 25 gennaio 1253; allora quattro galee (non quaranta) partirono da Venezia con a bordo 12 patrizi in qualità di ambasciatori con capo Marco Ziano antagonista nell’elezione che aveva prescelto il Ranieri il quale non era presente per assumere subito la carica Stava a Fermo e dovette provvedere a sbrigare le pratiche inerenti il trapasso dei poteri, aspettando la piccola flotta che da Venezia veniva a prelevarlo.

    Dopo qualche giorno di navigazione le quattro galee giunsero al Porto di Fermo; prelevarono il neoeletto, e, fatti i saluti, ripartirono alla volta di Venezia. Grandiosi i festeggiamenti della Serenissima in onore del nuovo doge e fantasmagoriche le luminarie e le giostre che ebbero carattere internazionale in quanto vi parteciparono cavalieri veneziani, tedeschi, friulani, istriani, lombardi, trevigiani. Direttore e giudice dei tornei, era Lorenzo Tiepolo, figlio del doge Jacopo.

Una leggenda narra che addirittura Sant’Antonio da Padova avesse predetto in sogno a Ranieri la sua elezione. Uno dei primi atti del nuovo capo della Serenissima, fu la partecipazione, con il Senato, alla processione in onore di tale santo.

   Lo Zeno fece contratti di interdipendenza con i castelli dell’entroterra Fermana con impegni di cittadinanza fermana, che sono trasmessi negli Statuti dei Fermani, cioè con gli altri Comuni Fermani: Statuta Firmanorum 1589. In pratica quello che l’imperatore esigeva dai castelli sottomessi, i dogi veneti lo ottengono per Fermo, contrattando accordi con i Comuni dell’entroterra.

   Il dogato del Ranieri proseguì la guerra contro Genova da cui uscì vittoriosa Venezia. La battaglia davanti a San Giovanni d’Acri (in Terrasanta) costò ai Genovesi la perdita di 24 galee e 1700 uomini; inoltre, ci fu la lotta contro i fratelli Ezzelino e Alberico da Romano, etc.

LORENZO TIEPOLO

   Abbiamo accennato a Lorenzo Tiepolo. Anch’egli fu podestà di Fermo e, per sua iniziativa, fu eretta la Rocca di Porto San Giorgio (detta Rocca Tiepolo) con una lapide che lo ricorda ai posteri. Anch’egli fu doge di Venezia; e, fu l’immediato successore di Ranieri Zeno il quale governò da 45° doge dal 1253 al 1268; e Lorenzo Tiepolo dal 1268 al 1275 fu il 46°!

     In quel periodo era tutto un fiorire di “podestà-dogi” sbocciati a Fermo. Anzi, vi fu in seguito un altro podestà nipote di Ranieri: Andrea Zeno. Nell’Archivio di Stato di Fermo vi sono molte lettere dei dogi che sono state pubblicate da Hagemann e da Avarucci; in uno di queste Ranieri Zeno ringrazia i Fermani per aver eletto suo nipote. Nel 1260, per opera di Ranieri, vengono stipulati patti e convenzioni marittime tra Venezia e Fermo. Nel 1252, Ranieri acquista per conto del Comune di Fermo il girone ed il Castello di Torre di Palme per 320 lire ravennate-anconitane; non ci fu “tangentopoli”, sia perché Ranieri Zeno era onesto, sia perché era anche ricco. Il suo patrimonio, rapportato al valore odierno, sarebbe di circa 5 miliardi di lire.

    A Montegranaro vi sono tutt’oggi discendenti del podestà e doge Ranieri Zeno; sono i Marchesi Luciani Ranier.

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Anno 1259 – I privilegi di Federico II a favore di Torre di Palme, località fermana.

      Federico II imperatore (che Sisto V definirà recolendae memoriae (= memoria da ricordare) si occupa di Grottammare esattamente due mesi prima di morire. Si occupa anche di Torre di Palme, allora molto importante, nel settembre 1250. Federico si trova a Lago Pesole nei pressi di Acerenza, in Basilicata; e da qui emana un privilegio, attualmente conservato nell’archivio storico del Comune di Fermo in deposito presso l’Archivio di Stato della città. Con esso, conferma a Fermo patti e convenzioni precedentemente stipulati tra la città e Gualtiero di Palearia, conte di Manoppello, suo Vicario Generale del Sacro Romano Impero nella Marca. Nel privilegium, si legge che i castelli di Torre di Palme e Grottammare, sono confermati in sottomissione a Fermo; gli abitanti di Fermo che si trovano in questi castelli debbano rientrare in città, ma se non volessero farlo, devono prestare a Fermo servizi ed ossequi stabiliti. Nella conferma, Federico si mostra sagace e perspicace politico: lascia alla città una certa autonomia; non impone leve di soldati per l’esercito imperiale, né manda soldati di guarnigione; non effettua ostracismi di cittadini fermani, a meno che non siano traditori o rei di lesa maestà. Ogni eventuale decisione relativa a Fermo e territorio sarà concordata ed effettuata d’intesa con il Comune e cittadini di Fermo. Più tardi, nel 1258, Manfredi conferma l’appartenenza di Grottammare e Torre di Palme alla città di Fermo. È questa un’altra tessera del policromo mosaico documentale delle relazioni tra Fermo e Federico. Oltre alle numerose pergamene originali, conservate nell’Archivio di Stato fermano, ve ne sono altre imperiali conservate a Sant’Elpidio a Mare e a Montegiorgio. Nel conteggiare i privilegi di parte imperiale di Federico, più quelli del figlio Manfredi e quelli dei Vicari suoi nella Marca, il numero aumenta di molto. E possiamo affermare che Fermo e il Fermano non sono secondi a nessuna città marchigiana per numero e preziosità di originali imperiali del tempo di Federico I, Enrico VI e Federico II. Senza ombra di smentita.

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Anno 1266 – Moresco nel contesto imperiale, papale e veneto con il Doge Tiepolo

     Moresco, piccolo grazioso Comune vicino a Fermo, delizioso castello dalla struttura medievale quasi intatta, dominato e protetto dalla possente torre eptagonale, nell’interno, nell’area di quella che era una chiesa, l’ampia piazza (dove fino a qualche anno fa si svolgeva la manifestazione canora “Il merlo di Moresco”) è accogliente e ammirata nel bel porticato. Qui sono riemersi affreschi, tra cui una Madonna con Bambino, opera del secolo XVI di Vincenzo Pagani.

   Il nome ha fatto pensare che Moresco sia stato fondato dai Mori che infestavano le nostre coste; ma una diversa tradizione lo dice fondato nel sec. V contro le invasioni di essi. Moltissime pergamene dell’Archivio di Stato di Fermo ne parlano e ben sette, tra imperatori, Papi e Cardinali, si occuparono dei problemi di questo comune. Sette grandi personaggi si sono dati da fare per risolvere problemi regionali di cui più volte chiave della bilancia politica, fu proprio il piccolo Moresco.

     Nel 1248 il Card. Ranieri vicegerente del Papa per le Marche, restituisce Moresco a Fermo a cui era stato tolto dall’imperatore Federico II. Manfredi figlio naturale di Federico II, nel 1266 lo riconferma a Fermo; Papa Gregorio X nel 1272 da Lione scrive al castellano papale che lo riconsegni a Fermo; quattro anni più tardi, Innocenzo V ne conferma il possesso alla città Fermana, mentre nel 1278 Niccolò III ne sancisce l’appartenenza a Fermo. Sisto V lo stacca da tale città e lo aggrega al Presidato di Montalto.

Federico II, Manfredi, Gregorio X, Innocenzo V, Niccolò III, Sisto V… Siamo a quota sei, e il settimo? È un doge di Venezia: per l’esattezza Lorenzo Tiepolo, figlio a sua volta del doge Jacopo. Lorenzo è ricordato, fra l’altro, perché ha fatto costruire la rocca di Porto San Giorgio, quando era Podestà di Fermo. Correva l’anno 1266 ed era venerdì 11 giugno. I proprietari del castello di Moresco, tali Giorgio di Bordone e Felice Crescenzi di Santandrea, dopo vari approcci, vendettero Moresco al Comune di Fermo rappresentato appunto dal futuro Doge per la somma di lire 500 (cinquecento) lire volterrane dell’epoca.

   Interessantissima la pergamena relativa. Vi compaiono testimoni, notai, cittadini di città extra Regione. “…Vendettero, consegnarono all’esimio Lorenzo Tiepolo, figlio della buona memoria di Giacomo Tiepolo podestà di Fermo, il girone, il castello e la fortezza di Moresco con tutti i diritti reali e personali riguardanti castello e rocche, i fossati e tutto ciò che è annesso al castello medesimo...”.

     Oggi, ancora fiero nella possente mole del suo torrione, Moresco vigila sulla sponda sinistra dell’Aso. E’ stata restaurata la torre che ospita mostre e manifestazioni culturali, mentre nella parrocchiale, nume tutelare, dorme il sonno eterno il Card. Luigi Capotosti (+1937) suo illustre figlio, ultimo anello della catena di imperatori, Papi e Cardinali che si sono interessati di questo gioiello medievale ed …attuale!

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Anno 1267 – La Rocca di Tiepolo a Porto S. Giorgio

     Maestosa e poderosa, a ridosso di Porto San Giorgio, si erge la rocca di Lorenzo Tiepolo, podestà di Fermo e poi Doge di Venezia. Ancora salda e possente, nonostante le ingiurie del tempo e l’incuria degli uomini, ricorda al visitatore la sua data di nascita in una lapide posta all’ingresso: “Quando currebat Domini millesimus annus, et bis centenus cum septem sex deciesque…” (quando correva l’anno millesimo due volte centesim e diciasettesimo (1000 +100+100 +10 +7 = 1267).

Di quante vicende storiche è stata testimone durante tanti secoli! Vide le flotte degli Stati cattolici veleggiare contro la minaccia turca; mirò i gonfalonieri dei Castelli fermani, salire a Fermo a giurarvi fedeltà nel 1355; fremé di sdegno quando il 15 agosto 1490, duecento Fermani scesero a saccheggiare il palazzo municipale di Porto San Giorgio; vide Sisto V vescovo amministratore di Fermo, partire da qui ed assurgere ai fastigi del Pontificato romano; soffrì nella battaglia fra napoletani e francesi nel 1798, avvenuta nella pianura di Torre di Palme; e vide nel 1815 le truppe della sfortunata impresa del Murat alla Rancia; contemplò nel 1837 la Regina Anna Maria col suo corteo di diecimila persone, in viaggio con lo sposo Ferdinando d’Austria;  Garibaldi passò sotto i suoi bastioni nel 1849 e nel 1857 vi giunse anche Pio IX, in visita al suo Stato; gioì nel vedere nell’ottobre 1860 Vittorio Emanuele II galoppare alla testa del suo esercito di trentamila uomini per recarsi a sostare a Grottammare per cinque giorni e proseguire quindi alla volta di Teano.

     Pianse l’onta di Lissa (è quasi sullo stesso parallelo geografico) nel 1866: e come dové gemere nel vedere natanti sangiorgesi e marchigiani inghiottiti dai fortunali durante le tempeste dell’Adriatico; e le trepide carezze allietare la luna di miele di Gabriele d’Annunzio e della Duchessa di Gallese, Maria Hardouin, ospiti a San Giorgio nel 1883… Sono passati … secoli!

   Non c’è più oggi il Castellano, che Fermo vi rinnovava ogni sei mesi. Non si ha più memoria dei due anconetani, Giovanni Benincasa e Andrea Buscaretti, qui impiccati e seppelliti nel 1534 per ordine del Legato della Marca. Non marciano più a passo ritmato, le varie truppe di spagnoli, di tedeschi e di napoletani, anche quelle che Fermo mandava a San Benedetto del Tronto o arruolava dai suoi ottanta Castelli per la lotta contro gli ostili.

   Non si usano più, oggi,  il piombo, le vettovaglie e soprattutto i soldati, di cui la città doveva essere munita per fronteggiare ogni evenienza nella rocca sangiorgese. Nessuno più dei vari castellani ivi succedutisi, che avevano onori ed anche oneri, non ottemperando ai quali, rischiavano pene da mille fiorini d’oro, perfino il taglio della testa.

E chi ricorda la bella castellana? Sì, perché la Rocca ha una sua leggenda, di tradizione (o leggenda) popolare, dal tempo delle incursioni dei Turchi.

     Si racconta che sul finire del secolo XIII i Turchi sbarcarono lungo la costa di Porto San Giorgio. Contro di essi accorsero unanimi molti volontari sangiorgesi, con in testa il giovane castellano Pierfrancesco. Si combatté ferocemente da ambo le parti, con alterna vicenda. Nella parte meridionale del Castello, i difensori, dopo accanita resistenza, furono sopraffatti. Con urla selvagge, roteando le loro scimitarre, i Turchi irrompono nell’entrata delle mura del paese, mentre dall’alto flutti di olio ardente e lancio di pietre e sassi, sopra la porta, segnano l’ultima disperata resistenza dei sangiorgesi.

    Nel frattempo, molti vecchi, donne e bambini, si erano rifugiati entro la rocca, e sulla torre più alta la bella Rossana, la giovane sposa di Pierfrancesco, segue in ansia le fasi della lotta. Ad un tratto un manipolo di Turchi riesce a forzare le resistenze interne e salire sulla torre più alta.

La castellana si vede perduta.

Che fare? Le urla degli invasori salgono al cielo. Ma ecco un urlo più acuto, quasi selvaggio, un tonfo e poi silenzio … Che succede? Rossana, la bella castellana, prima che i Turchi si impadronissero di lei. si è gettata nel vuoto ed ora giace sfracellata. Pierfrancesco, informato che i Turchi stavano dentro la rocca, ansante, trafelato accorre a salvare il suo amore; ma ahimè! troppo tardi! Vede la sua Rossana esanime, ai piedi della torre, e lancia un grido disperato, ammazza quanti Turchi si avvicinano, poi afferrato il pugnale se lo immerge nel petto e muore… Tale è la leggenda. Ora tutto tace…

Del Castello rimane solo la Rocca salda e poderosa, pronta ad accogliere nella prossima estate i turisti e gli spettacoli. Il Comune e l’Azienda di Soggiorno si stanno adoperando per ril suo decoro in modo da darle degna e comoda accoglienza, dalla parte della piazza della Chiesa.

Agli ospiti ed ai turisti della Rocca testimonia la sua vicenda e ripeterà sommessamente i suoi splendidi distici che suonano, tradotti in italiano: “O città di Fermo io ti conservo salvi i lidi, fatta opera di chiusura del Porto e protezione delle navi. Dal martire San Giorgio prendo il nome che dà buon augurio. Quest’opera è stata fatta a guardia del Castello e della palizzata del porto, nell’anno del Signore 1267, al tempo in cui il veneto Lorenzo Tiepolo, progenie del Doge Iacopo, resse la città di Fermo, attraverso prosperi eventi”.

    Ora, o plurisecolare, storica Rocca, in alto protendi verso l’azzurro i bastioni e le torri! Son diventate anacronistiche le armi della tua fanciullezza, l’olio bollente, il piombo, la polvere da sparo, nell’epoca delle armi nucleari! Come è incredibile l’antica lenta marcia delle truppe che vanno a difesa del litorale, con la velocità supersonica degli aviogetti moderni, dei droni! Quando sei nata non erano ancora conosciuti ed esplorati tutti i continenti, ed ora questi non solo si conoscono, ma ci cimentiamo nei voli astrali ed alla conquista della luna e all’aggressione militaresca di armi.

Eppure, qui la pace si gode dentro lo spazio di questa primavera, a pochi passi dall’Adriatico, fiorito di vele, mentre le macchine sfrecciano veloci nell’asfalto sottostante! Quale alone di poesia emana dalla leggenda della castellana!

Nella tua calma riposante, tra il frenetico esagitarsi della vita moderna, è dolce bearsi di calma nell’epoca dei svecchianti e rinnovanti tecnicismi. Buon compleanno o rocca Sangiorgese!

Anno 1268- Una complicata riforma elettorale

Nel lontano 1268 si era verificata una riforma elettorale per l’elezione del doge ed il primo ad essere eletto col nuovo sistema fu un podestà di Fermo: Lorenzo Tiepolo, assunto alla suprema carica della Serenissima, mentre era ancora alle prese con le mansioni podestarili di Fermo e del suo vasto territorio. Allora i podestà duravano in carica solo un anno. Potevano però essere rieletti, come avvenne per Ranieri Zeno, che fu due volte podestà di Fermo e poi fu doge di Venezia prima di Tiepolo. Morto Ranieri Zeno (1268), venne varata la riforma elettorale che durò fino alla caduta della Repubblica di Venezia (1797).

     Consisteva in una complicata votazione. Il consigliere più giovane scendeva nella Basilica di San Marco e prendeva un bambino detto “ballottino” per estrarre le “ballotte” (pallottole) per le votazioni. Queste erano tante quanti erano i membri del Maggior Consiglio, ma solo trenta di esse contenevano il famoso bigliettino con la scritta “elector”. Il ballottino, bendato, estraeva le ‘ballotte’. I “trenta” estratti dovevano appartenere a famiglie diverse, senza legami di parentela. I non estratti, abbandonavano l’aula. Una volta rimasti in trenta, c’era un’altra votazione con lo stesso sistema del ballottaggio fino a rimanere in “nove”; questi avevano l’incarico di votare i “Quaranta” membri del Maggior Consiglio. I primi quattro sceglievano cinque nomi ciascuno. Per essere eletti occorrevano 7 voti. Con i quaranta si tornava ancora all’estrazione per eleggerne “Venticinque” che, sempre sorteggiati, erano ridotti poi a “Nove”, incaricati a loro volta per altre complicate operazioni. Il neoeletto era doge con l’aver raggiunto non meno di 25 voti. Complicatissima procedura, come si vede, che mirava a eliminare “partitocrazia” e “clientelismo” con burocrazia.

     Una volta eletto, Lorenzo Tiepolo, che aveva nostalgia di Fermo (tra l’altro aveva fatto costruire la famosa Rocca a Porto S. Giorgio detta appunto Rocca Tiepolo) scrive ai Fermani dando notizia della sua elezione. Leggiamo: “Lorenzo Tiepolo, per grazia di Dio, Doge di Venezia, della Dalmazia, della Croazia, Signore della quarta parte e mezzo dell’Impero Romano d’Oriente, al podestà, Comune e Consiglio di Fermo, suoi diletti amici, salute ed affetto”. Spiega che, sebbene senza suo merito, ma per volontà del Creatore da cui tutto dipende. era stato eletto Doge a seguito di una elezione condotta con il nuovo sistema. Dopo comunicata tale notizia al popolo, questo esultante, con grida di giubilo e mani levate verso il cielo, ringraziò Dio, entusiasta dell’elezione.

     La lettera prosegue dicendo che ebbe un momento di esitazione nell’accettare, ma poi confidando nella protezione del protettore di Venezia, San Marco evangelista, la carica fu da lui accettata. Tiepolo si rivolge con lettera ai Fermani suoi ex-amministrati, sia per chiedere preghiere perché insieme si goda, si ringrazi Iddio e si implori di governare la Repubblica di Venezia in tranquillità e pace. La lettera spedita dopo 14 giorni dall’elezione, per un ritardo non dovuto al servizio del servizio ‘postale’, ma al fatto che non era pronto il proprio sigillo di piombo ma mettere nella bolla.

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Anno 1272 – Un privilegio ai mercanti fermani

     Chi non ricorda un passo dantesco (Purgatorio III)? “Biondo era e bello e di gentile aspetto / ma l’un dei cigli un colpo avea diviso / quand’io mi fui umilmente disdetto / d’averlo visto mai mi disse; “or vedi” / e mostrommi una piaga al sommo il petto / poi sorridendo disse: “Io son Manfredi!”

     Manfredi (1232-1266) figlio naturale di Federico II, come già suo padre, si interessò di Fermo e del Fermano. Nel 1258 confermò alla città di Fermo la giurisdizione sui castelli di Marano (odierna Cupra Marittima), Boccabianca, Torre di Palme, Monturano, Moresco, Massignano, Lafreno, Torre S. Patrizio, Grottammare, Castel Monte San Giovanni, Monte San Pietro, Monte San Martino, Petritoli, Montefalcone, Monterubbiano.

     In quel periodo, il Vescovo di Fermo, Gerardo, che occupò la cattedra vescovile dal 1250 al 1272 fu dapprima fervido assertore dei diritti del Pontefice contro Manfredi, ma in un secondo tempo, si allontanò dal Pontefice, passando dalla parte di Manfredi, che “favorì grandemente o, almeno, sembrò farlo, come dice un cronista.

In seguito il Vescovo Gerardo si pentì e fu riammesso.

   L’interessamento di Manfredi non si limitò solo a ciò. Nel 1263, con altro privilegio datato 6 marzo ed emanato da Foggia, si interessò di Rinaldo da Brunforte e Rinaldo da Falerone. Pure da Foggia, nello stesso anno spedì una ratifica e conferma a Sant’Elpidio a Mare della concessione o “speciale grazia” fatta a tale castello dal padre Federico II.

     Nel novembre 1264, da Lucera, spedì un privilegio a favore di Fermo; con esso concedeva ai mercanti (mercatores) di tale città di potersi recare liberamente nel Regno di Napoli con le loro mercanzie; effettuare ivi i commerci e tornare poi a Fermo senza che nessuno potesse esigere da loro diritti di pedaggio, dogana né dazi.

     Come si vede, Manfredi aveva precorso l’abbattimento delle frontiere doganali di cui ancora parla.

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Anno 1279 – Monte Urano ricorre al Papa

    Non è da tutti scomodare un Papa e per giunta Papa Gregorio XIII (famoso tra l’altro per la riforma del calendario) per una questione di confini, ma ‘Monturano’, paese della Diocesi fermana, ci riuscì eccome!

     Stanchi ed esasperati dal fatto che i paletti (termini) che delimitavano i confini del loro territorio venivano di continuo rimossi, i Monturanesi decisero di rivolgersi direttamente a sua Santità Gregorio XIII. Il Papa, pur tra le occupazioni e cure del suo pontificato, si interessò della faccenda. Anzi la prese così a cuore che addirittura il giorno 13 aprile del 1579, inviò al Vescovo di Fermo una bolla in pergamena con sigillo in piombo, raccomandandogli di interessarsi personalmente della cosa.

     Molto probabilmente i cittadini di Monturano avevano inviato, a chi di dovere d’ufficio, i ricorsi e doglianze in proposito ma, a quanto sembra, senza alcun esito, tanto è vero che scavalcando la “via gerarchica” si rivolgono al Papa in persona.

     Gregorio investe della faccenda il Vescovo di Fermo scrivendogli: “Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio, al venerabile fratello e diletto figlio il Vescovo di Fermo od al suo vicario generale per gli affari spirituali salute ed apostolica benedizione. Ci è stato fatto presente dai diletti figli, sindaci ed officiali del castello di Monte Urano della Diocesi fermana che vi sono dei figli di iniquità di entrambi i sessi, che svellono i termini che indicano i confini portandoli di luogo in luogo, creando confusione e gravi danni al Comune di Monturano, causando altresì un pericolo per le loro anime e grande detrimento a detto castello. Essi hanno invocato aiuto a questa Sede Apostolica. Per la quale cosa ti scriviamo invitandoti ad intervenire nella faccenda ordinando di ammonire dal pulpito, in presenza del popolo, i trasgressori a riparare il male fatto e stabilire un congruo lasso di tempo, trascorso il quale quelli che hanno usurpato beni e possessi o li detengano fraudolentemente pongano riparo. Se non lo faranno tu devi scomunicarli“.

     Senza che sia stato scritto come andò a finire la faccenda, dobbiamo tuttavia notare che i cittadini di Monte Urano erano intraprendenti anche allora, se non nel commercio calzaturiero, nel ricorrere personalmente al Papa e riuscevano ad ottenerne il personale interessamento per una questione di confini.

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Anno 1280 – Fermo compera una parte del Castello di SAN Benedetto

    San Benedetto del Tronto oggi è un vivace centro marittimo, conta oltre 45.000 abitanti; è pulsante di attività industriali ed agricole.

Nel suo territorio anticamente si erano insediati i Siculi. Plinio scrive che fu questo1’ultimo insediamento dei Liburni in Italia. Nel 49 avanti Cristo vi si fermò Giulio Cesare, dopo il passaggio del Rubicone. Fu sede di Diocesi Truentina nel secolo V. Molti i documenti del Medio Evo: donazioni, prestane, precarie, permute, prima con l’Abbazia benedettina di Farfa (Provincia di Rieti) che aveva beni e possessi nelle Marche, inoltre con i vescovi di Fermo. Fu appunto uno di questi, Liberto, che nel 1145 concedeva ad Attone e Berardo la terra necessaria per la costruzione di un castello, con orti annessi, case per i coloni e quant’altro necessario per la loro vita.

     Sorse così il castello di S. Benedetto, variamente denominato nel corso dei secoli; dapprima si chiamò San Benedetto in Albula, dal nome del torrente che vi scorre; poi San Benedetto della Marca; San Benedetto presso il mare; San Benedetto di Fermo.

     La denominazione ‘San Benedetto del Tronto’, data nel 1862, dopo l’unità d’Italia lo distingue da località omonime come San Benedetto Val di Sambro, San Benedetto Po, e altre.

L’attuale denominazione arieggia il toponimo di una chiesa ‘San Benedetto al Tronto’ esistente, in territorio di Monsampolo, che era così importante da figurare nelle porte di bronzo della celebre Abbazia di Montecassino, dove stanno elencati beni e possessi che nel 1090 essa aveva nelle nostre zone, come Fermo, San Biagio di Altidona, e altrove.

     Abbiamo accennato sopra a donazioni, permute, anche acquisti e vendite. Una, esattamente, avvenne il 16 febbraio del 1281. Il nobil uomo, Gualtiero di Acquaviva e sua moglie donna Isabella, vendono a Fermo l’ottava parte del castello di San Benedetto in Albula, della Marca d’Ancona, Diocesi e Distretto di Fermo. Tale vendita fu fatta per l’ottava parte di loro proprietà, al sindaco di Fermo per la somma di lire 1000 (mille) ravennate o volterrane-anconitane.

L’atto di vendita è molto interessante, perché già da allora è menzionato il porto, di giuspatronato sulla chiesa di S. Benedetto ed si hanno altre utili notizie storiche: “Vendiamo cediamo con i diritti, il porto, i vassalli, i redditi, i servizi reali e personali, gli affitti, le tenute, le terre coltivate e quelle incolte, le selve, i boschi, gli onori e giurisdizioni.” Fermo godeva dell’esercizio del mero e misto impero, cioè poteva giudicare nelle cause penali e civili e addirittura sentenziare la pena di morte.

    San Benedetto del Tronto rimase sotto la giurisdizione di Fermo fino al 1827. quando vi fu uno “scambio” tra il Distretto di Montalto e la Delegazione di Fermo. Oggi questo importante centro marittimo prospetta un futuro luminoso.

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Anno 1281 – Santa Maria a Mare

   Alla foce del torrente Ete vivo, in territorio di Fermo, vi è una chiesa denominata Santa Maria a Mare. Di per sé sembrerebbe una località di modesta importanza, ma è famosa dal punto di vista storico. E’ infatti l’erede dell’antico Navale Fermano,anche Castellum navale (dei Fermani) di cui parlano Strabone, Plinio il Vecchio, Pomponio Mela, la Tabula Peutingeriana, l’Itinerario dell’Imperatore Antonino: tutti autori ed opere, di poco posteriori alla nascita di Cristo. Santa Maria a Mare è il toponimo di un nodo stradale importantissimo, posto alla confluenza tra la strada Castiglionese, la statale 16 e l’autostrada A14.

  Nel corso dei secoli se ne interessò Federico Barbarossa imperatore del XII secolo; vi si accamparono Alfonso d’Aragona e il conte Francesco Sforza nel sec. XV. Durante le guerre di successione, di metà secolo XVIII, vi stazionarono per alcuni giorni 38 mila austriaci, al comando del generale Lobkowitz. Nei pressi, il 28 novembre 1798, si combatté una sanguinosa battaglia tra l’armata dei Francesi di Napoleone e i combattenti Napoletani. Più recentemente, nella seconda guerra mondiale, fu oggetto di reiterati bombardamenti alleati, miranti a colpire i due ponti: quello della ferrovia e quello stradale. Non vi furono vittime umane e la popolazione della zona lo attribuì, e lo attribuisce tuttora, alla protezione di Santa Maria a Mare, la cui effigie campeggia da molti secoli nell’omonimo santuario a Fermo. Questo è ora officiato dai Padri missionari della Consolata di Torino. Uno di essi, docente all’Università Cattolica di Milano, è un latinista di fama internazionale, il Prof. Olindo Pasqualetti “eminenza” nel mondo del latino.

     Il santuario ha un rettore, come lo aveva nel 1281. Per tale anno, ci siamo imbattuti in un documento inedito che parla dell’elezione del Rettore. Il predecessore, Roberto, aveva rinunciato e si doveva procedere alla nomina del successore. L’atto, conservato nell’archivio di Stato di Fermo, descrive le urne elettorali (bussole) con sigilli e i ballottaggi, con gli interessi del Comune di Fermo e quelli del vescovo. La Chiesa, infatti, era giuspatronato del Comune, ma la nomina del rettore doveva essere approvata dal vescovo. Si era attenti a possibili elezioni fatte con irregolarità vere o presunte. L’ atto notarile era rogato da Bartolomeo di Guarcino. Tra l’altro nel documento si dice che Fermo doma i suoi nemici e rende agevoli le cose difficili (hostes firmanos, urbs domat; facit aspera plana). Nelle vertenze il Comune non uscì vincitore. Infatti, era stato eletto il pupillo dell’Amministrazione comunale, ma il Vescovo di Fermo (era Filippo III che governò la Diocesi dal 1272 al 1297) non approvò tale nomina. Possiamo immaginare che interessi, gelosie, procedure elettorali viziate, anche allora, potevano inficiare le elezioni.

     Oggi, il santuario ha vicino un porto turistico, la zona è ancora importante nodo stradale e nei pressi vi è un’area di stoccaggio di prodotti petroliferi. La chiesa di Santa Maria a Mare ha tuttora un rettore che anima la pastorale parrocchiale anche guidando a Roma un folto gruppo di fedeli. I Padri missionari della Consolata che officiano il Santuario recentemente hanno avuto la beatificazione del missionario loro fondatore.

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Anno 1288 – Papi marchigiani, ben dieci

     È di attualità parlare del Papa e dei Cardinali per cui, pensiamo, sarà gradito avere qualche notizia sui Papi e la nostra Regione e sui Papi della nostra Regione.

Le Marche, primeggiano tra le Regioni italiane, per aver dato alla Chiesa universale (senza calcolare Roma) un buon numero di sommi Pontefici. Alcune nazioni ne hanno avuto uno solo, come l’Inghilterra con Adriano IV (1153-1159). E qualche Regione italiana, come il Piemonte, non ha avuto nemmeno un Papa (Pio V è nato sì a Bosco, ma allora, questa località apparteneva al Ducato di Milano).

   Le Marche hanno avuto ben dieci Papi, fra cui risaltano storicamente le opere di Sisto V e di Pio IX. Un particolare storico curiosoè che sia Urbano V che Gregorio XI quando fecero ritorno da Avignone, vollero essere trasportati su “galee frabbricate (sic) in Ancona”. Ricorderemo pure che Gregorio XII, (Gabriele Condulmer, veneziano) Morì a Recanati 18 ottobre 1417 dopo lo scisma placato dal Concilio di Costanza, e qui resta sepolto. Rammentiamo pure che il celebre Pio II spirò ad Ancona, il 15 agosto 1464, dove si era recato per assistere alla partenza della flotta cristiana nella crociata contro i Turchi. Il Cardinal Todeschini Piccolomini fu amministratore apostolico della Diocesi Fermana dal 1483 al 1503 e fu papa Pio III. Anche Papa Benedetto XIV, Prospero Lambertini, morto nel 1758, prima di accedere al soglio pontificio era stato vescovo di Ancona.

Nei secoli precedenti,  il pontificato di Papa Giovanni XVII da Rapagnano, eletto nel 1003, durò dal giugno al dicembre dello stesso anno. Niccolò IV (1288-1292) era nato a Lisciano di Ascoli Piceno, di lui daremo altre notizie, e resta celebre per la sua attività missionaria.

Marcello II di Montefano (MC), fu papa per soli 22 giorni nel 1555. Sisto V di Grottammare, la cui fama è molto nota, portò a termine la cupola di San Pietro, eresse in palazzo Lateranense, il Quirinale, innalzò l’obelisco in piazza S. Pietro, costruì palazzi, acquedotti, stroncò il banditismo, e altre istituzioni.

Clemente VIII di Fano (+1605), ebbe da incoronare in Campidoglio Torquato Tasso; Clemente XI di Urbino (1700-1721) fu grande mecenate.

Clemente XIV nato da genitori di Sant’Angelo in Vado (Ps), rifondò Servigliano nuova in Castel Clementino (+1774).

Leone XII nato a Genga di Fabriano, pontificò dal 1823 al 1829, a cui è subentrato un altro marchigiano: Pio VIII, Francesco Saverio Castiglioni nato a Cingoli, e durante il suo pontificato venne restituita ai cattolici inglesi la libertà di culto.

Pio IX di Senigallia è troppo famoso per poter parlare adeguatamente di lui. Il suo pontificato è connesso con la storia d’Italia: l’uccisione del suo ministro Pellegrino Rossi, la presa di Roma, la fine del potere temporale, la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, il Concilio Vaticani I. Questo papa beatificato pontificò per 32 anni più a lungo di tutti i Papi, superando i 25 anni dell’apostolo S. Pietro.

Leone XIII volle per segretario di Stato il marchigiano di Recanati: Cardinal Lorenzo Nina. Benedetto XV volle per segretario di Stato il Cardinal Pietro Gasparri di Ussita (MC) che fu uno degli artefici della Conciliazione tra Stato e Chiesa nel 1929. Nel conclave del1922 il card. Gasparri volle far convergere i suoi voti a favore del card. Ratti, Pio XI. Pio XII (1939-1958) era di famiglia oriunda da Sant’Angelo in Vado.

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Anno 1288 – PAPA Nicolò IV da LASCIANO

   Nicolò IV il primo Francescano divenuto papa fondò le università a Macerata, a Montpellier, a Montepulciano. Senatore di Roma a vita, abbellì a Roma Santa Maria Maggiore. Ebbe buon esito nelle missioni ai Mongoli. E’ sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore che egli aveva abbellito ed adornato di meravigliosi affreschi.

Nicolò IV Papa dal 1288 al1292, a differenza dei suoi predecessori, non è nominato affatto da Dante nella Divina Commedia; forse perché lo stesso Dante fruì delle scuole francescane che questo papa volle creare a Firenze. Si interessò per Ascoli, anche riducendo una pena pecuniaria inflitta da Tommaso di Foligno, giudice generale della Marca nel 1280. Accenniamo alla vicenda.

Un decreto dell’Imperatore Ottone IV del 1211, concedeva a Fermo il dominio e la difesa sulla spiaggia adriatica dal fiume Tronto al Potenza; da qui, le lotte secolari tra Ascoli e Fermo. Nel 1280 Ascoli si alleò con Ripatransone e con Riccardo d’Acquaviva; assaltarono e distrussero i castelli di Mercato e di Bompaduro di giurisdizione fermana, siti nella parte costiera adriatica, non lontano da Acquaviva e attaccarono San Benedetto del Tronto, senza però riuscire ad espugnarlo perché, sopraggiunte le milizie fermane, gli assediatori se l’erano data a gambe. Ma già avevano commesso enormi misfatti.

    A Mercato e Bompaduro avevano ucciso donne, fanciulli e passati a fil di spada anche chierici, bruciando tutto, per cui vennero condannati al pagamento di 40 mila marche d’argento sia Ripatransone che Riccardo di Acquaviva. Nicolò IV ebbe un dissidio pure con il Re di Sicilia Carlo II. Questi pretendeva che il castello di Monte Calvo fosse suo, dicendo che era compreso nel territorio abruzzese. Il papa rivendicò l’appartenenza di esso alle Marche, nel comprensorio di Ascoli e con due specifiche, distinte bolle, una emessa a Rieti nel 1289 e l’altra a Roma presso Santa Maria Maggiore, ribadiva, l’appartenenza di Monte Calvo alla Diocesi Ascolana. Donò ad Ascoli uno stupendo piviale squisitamente ricamato e colorito tra il 1265 e il 1268. Fu trafugato, e poi riottenuto, oggi costituisce il vivo, visibile ricordo di un Papa che abbonò pene pecuniarie, fece vendere proprietà farfensi acquistandole per interposta persona e cedendole a favore di Ascoli.

Godendo tuttora dell’arte del manto del famoso piviale di sciamito di seta, Ascoli potrebbe erigergli il progettato monumento!

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Anno 1289 – Il piceno Nicolò IV

      Mons Pessulanus è la città, Montpellier, importante centro agricolo marittimo e culturale della Francia meridionale. Vi prospera una celebre università, fondata il 26 ottobre 1289 da un nostro comprovinciale, Papa Nicolò IV nativo di Lisciano di Ascoli. Egli fondò anche l’Università di Macerata nel 1290.

Nella bolla di fondazione, definiva Montpellier “luogo straordinariamente adatto allo studio” e questa università non ha conosciuto momenti di stasi. Attorno al 1320 ebbe come studente Francesco Petrarca; nel 1520 vi si immatricolò Francesco Rabelais e vi conseguì la laurea in medicina, poi divenuto famoso scrittore di Gargantua e Pantagruel.

Montpellier, nel corso dei secoli fu frequentata da catalani, italiani, tedeschi, francesi, e di altre provenienze, costituendo una università internazionale ante litteram. Sin dal suo sorgere, prese a modello gli statuti dell’Università di Bologna, ed assunse subito la caratteristica di università “più di studenti che di professori”. Fu influenzata da quella, pure di medicina, di Salerno, già famosa sin dal secolo IX, come famosissimi ed attuali sono anche oggi i Precetti che sin da allora raccomandavano il moto, l’esercizio fisico, una parca mensa e di non prendersela troppo se mancassero i medici, perché giovano molto mens laeta, requies, moderata dieta, mente lieta, riposo e dieta moderata.

Tornando al nostro Niccolò diremo che oltre alla fondazione delle università di Montpellier e Macerata, pose la prima pietra del Duomo di Orvieto, mandò missionari in Cina, promosse la crociata, coronò, a Rieti, Carlo II d’Angiò. E’ stato il successore di S. Bonaventura nel generalato dei francescani e fu il primo Papa francescano della storia (gli altri Papi francescani sono quasi tutti marchigiani). È sepolto a Santa Maria Maggiore a Roma, in un monumento erettogli dal comprovinciale Sisto V.

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Anno 1292 – La Verna “crudo sasso” reso famoso dal fermano Beato Giovanni

Quel “crudo sasso infra Tevero ed Arno” (Dante 3, XI) sito in Provincia di Arezzo, cioè il Monte della Verna, alto metri 1283 ha l’aroma dei prati che si mescola alla pace silente dei boschi; qui è dolce davvero sognare, lontani dal frastuono delle città e delle spiagge affollate, con la mente vicina al Creatore. Ma nel 1292 anziché sognarlo, Giovanni Elisei da Fermo vi si recò realmente, per darsi alla vita contemplativa, alla penitenza, alla mortificazione.

     La Verna aveva già una “connotazione” marchigiana in quanto donata a S. Francesco nel 1213 dal Conte Orlando Catani, a S. Leo, cittadina in Provincia di Pesaro, famosa per il “forte” e successivamente, per Cagliostro. San Francesco vi mandò due frati per una specie di ricognizione. Essi trovarono il luogo adattissimo alla vita religiosa e S. Francesco accettò il dono. Dal 1214 al 1244 vi si recò sei volte ed egli che aveva “folgorato” il conte Catani (il quale stupito dalle virtù del Santo gli aveva donato il monte), fu in quel monte “folgorato” da Cristo e ricevé le stimmate. Dante, in sordina, ricorda… “Di Cristo prese l’ultimo sigillo / Che le sue membra due anni portarno”…

     Ma mezzo secolo dopo, nella Verna, si ha la “connotazione” fermana. Infatti, vi si reca “Frate Joanni da Fermo dicto de la Verna” e vi rimane per oltre un trentennio, diventando famoso e rendendo così famoso il luogo, che ormai tutti lo conoscono come Beato Giovanni della Verna. Fu amico di Jacopone da Todi, che lo volle vicino in punto di morte e solo da lui volle ricevere gli ultimi sacramenti. Era la notte di Natale del 1306! Giovanni che era distante, quasi miracolosamente, giunse in tempo per raccoglierne l’ultimo respiro. Di “Giovanni de Firmo dicto de la Verna” parlano spesso, i Fioretti di S. Francesco di cui è autore Fra Ugolino da Montegiorgio. Gli apparve Cristo mentre Giovanni pregava nel bosco. “.. di che frate Giovanni ancora con maggiore fervore e desiderio seguita Cristo e giunto ch’ei fu a lui, Cristo benedetto si rivolge verso di lui e riguarda col viso allegro e grazioso e aprendo le sue santissime braccia l’abbraccia dolcissimamente”.

     Chi si reca alla Verna può vedere nella chiesa il corpo del Beato Giovanni. Egli morì il giorno 9 agosto 1322; il 24 giugno 1880 Leone XIII ne approvò il culto. Domenica sono ricorsi 670 anni esatti dalla sua scomparsa!

1292 – Due condottieri tutt’altro che gentili Gentile da Mogliano del sec. XIII e

         Gentile da Mogliano del sec. XIV

         Un detto latino recita che “spesso i nomi sono appropriati a chi li porta” (Conveniunt rebus nomina saepe suis). Ma non sempre è così! La prova l’abbiamo in due condottieri: stesso, identico nome e identica provenienza, e vissuti in secoli diversi, nipote e zio. L’uno nel sec. XIII; l’altro nel XIV. Intendiamo parlare dei due: Gentile da Mogliano, entrambi condottieri dell’esercito fermano: l’uno distruttore del Porto di Civitanova; l’altro di quello di Ascoli. Quindi la gentilezza va a farsi benedire. Quest’ultimo era nipote del precedente.

Nel 1292 Civitanova, e nel 1348 Ascoli, a dispetto di Fermo, costruirono attrezzature portuali, difese da fortezze. Fermo, che vedeva lesi nei suoi diritti pe concessione imperiale del 1211, ricorse alle armi. Si alleò, nella prima fase, con Ancona e Recanati ai quali il porto di Civitanova dava fastidio ed insieme spedirono contro Civitanova un esercito che assediò e distrusse il porto, saccheggiando per otto giorni la cittadina. Tale esercito desolatore era comandato da Gentile da Mogliano.

     Dopo oltre mezzo secolo anche Ascoli, a dispetto di Fermo, costruì un porto (Porto d’Ascoli) munendolo di torri e di mura merlate. Una vera fortezza! Fermo constatò e nel mese di marzo 1348, inviò un esercito per espugnare la fortezza eretta dagli Ascolani. L’assedio durò quaranta giorni. Il 28 aprile 1348 espugnarono la fortezza impiccando ai merli i difensori superstiti, capitano compreso; prelevarono due pietre ben squadrate, le portarono a Fermo come trofeo di guerra e le murarono ad altezza d’uomo nella lesena del campanile di Sant’Agostino. dove sono tuttora. Su di esse campeggia una scritta latina che in italiano suona: “Al tempo di Gentile da Mogliano, nel 1348, questa pietra del Porto di Ascoli resta fermata nella fabbrica di questo tempio, con un onore molto più grande di prima”.

     Oggi della fortezza del Porto di Ascoli rimane una torre, detta Torre Guelfa, che campeggia a ridosso della Caserma Guelfa; la lasciarono così, i Fermani, a ricordo dell’impresa.

     Molti storici hanno confuso i due Gentile da Mogliano attribuendo tutto al vincitore del Porto di Ascoli. Ma non è così! Il primo, il vincitore di Civitanova, nel 1306 era defunto quando l’omonimo nipote, vincitore del Porto di Ascoli, dopo aver combattuto contro i Malatesta e, dopo essersi scontrato col potente Cardinale Albomoz, moriva nel 1356. Port Civitanova e Porto d’Ascoli distrutti in modo tutt’altro che gentile (à la guerre comme à la guerre) dai due Gentili, non dicono gentilezza, ma si dovrebbe parlare della loro componente gentilizia.

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Anno 1294 – In coordinate: Ancona e Fermo!

     Sfogliando l’Agenda della Regione Marche, anno 1991, pagina 402, balza agli occhi il Palazzo dei Priori di Fermo, già residenza della Magistratura. Sotto, la didascalia recita: “Fermo Provincia di Ancona: Palazzo dei Priori”. Ogni commento al lettore!!! Un’affermazione del genere in un’Agenda della Regione, compilata dagli “addetti ai lavori”, è la prova della sublime conoscenza, pardon, ignoranza, storica e geografica dei redattori.

     Non così avveniva nel sec. XV. Infatti, l’umanista Aurelio Simmaco De Jacobiti, giurista napoletano (1400c – 1500c), nel suo “Liber Miraculorum” edito a Napoli nel 1490, descrivendo la venuta della Santa Casa di Loreto nelle Marche (strofa 79), dà queste coordinate geografiche: Ancona e Fermo. Com’è noto, la Santa Casa venendo da Tersatto, si posò in una selva posseduta da una donna di nome Loreta, dalla quale il sacello prende il nome. La sua localizzazione geografica è segnalata “tra Ancona e Fermo”. Ed eccoci al passo relativo alla traslazione: “Finché in Piceno presso il mar se pusse / tra Anchona e Fermo et più lochi patenti / presso lo Adriano litto se condusse / ad un boschetto che era veramenti / ed una donna, Loreta fama fusse / unde el nome prese fra le genti / et loco demorò finché fuo viva / la detta donna et poi de vita priva” (canto XV, strofa 79).

     La citazione del De Jacobiti, conferma ancora una volta l’importanza di Fermo, presa come indicazione topografica insieme con Ancona. Ma per la carente scienza geografica dei compilatori dell’Agenda 1991 della Regione Marche, dobbiamo dare un’“attenuante” in confronto al peggio di un istituto specializzato in geografia con sede nella “brumal Novara”, nonostante i conclamati aggiornamenti reclamizzati nella quotidiano La Stampa di Torino: “Il mondo cambia gli atlanti si aggiornano”. “Gli Atlanti D.A. i più aggiornati del mondo”. Ebbene, in tutte le edizioni del suo atlante storico (compresa la recentissima edizione) si ostina a dire che capoluogo del Dipartimento del Tronto voluto da Napoleone Bonaparte sarebbe stato Ascoli, mentre lo era Fermo. Tale dipartimento comprendeva, oltre al territorio della attuale provincia di Ascoli anche buona parte della Provincia di Macerata,.

     Lo diciamo solo per amore di verità e non per campanile. Rileviamo infatti che il “sullodato” Istituto geografico De Agostini, in altra pubblicazione “Tuttitalia: Cronologia storico-artistica” pubblica che “nel 1357 il Cardinale Egidio Albornoz che ha riordinato la Marca, promulga a Fermo le sue celebri Costituzioni”. Ringraziamo, ma nel 1355 pur con la città di Ascoli ribelle il Legato Egidio riuniva a Fermo il primo parlameno della Marca di Ancona, mentre le Costituzioni del 1357 furono da lui pubblicate non a Fermo bensì a Fano. Unicuique suum! E … in molti libri, quanti altri errori vi sono!

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Anno 1294 – La tradizione dei focaracci nelle pagine di scrittori e nei versi di poeti.

     Tutti conoscono Loreto per il Santuario della santa Casa di Nazaret, ma non tutti considerano che gran parte la sua storia è scandita all’insegna del numero 10. Il 10 maggio 1291, dato il fatto che i Turchi avevano invaso la Palestina, gli Angeli di Ancona portarono via la casetta della Madonna, e inseguiti da navi saracene, arrivarono a posarla a Tersatto vicino a Fiume (prima di Trieste nell’ex Jugoslavia). Ma qui, la Vergine non venne onorata come si conveniva, per cui il 10 dicembre 1294, nuovamente la casetta fu trasportata dagli Angeli nella zona di Recanati e posta in una selva appartenente alla nobildonna recanatese di nome Loreta. Sul posto subito si riversò una folla di pellegrini e fedeli che lasciavano offerte, ma si verificarono furti e scippi ai loro danni, per cui il 10 aprile 1295 fu portata per mano dagli Angeli su una collina di cui erano proprietari due fratelli. Ma questi, ben presto litigarono per motivi di interessi pecuniari e la casetta venne ritrasportata nel luogo dove si trova tuttora.

     Poeti, scrittori, storici, parlarono e parlano del fausto evento. Fra essi Flavio Biondo da Forlì famoso umanista e storico (1392-1463) nella sua Italia Illustrata (1451) scriveva: “Fra Recanati ed il mare Adriatico… sta in un villaggio aperto e indifeso, la chiesuola della Vergine Maria, detta di Loreto, celeberrima in tutta Italia” e prosegue dicendo che alle pareti sono appesi doni votivi in “oro, argento, cera e vesti di lino e lana, di gran prezzo, sì da riempire tutta la basilica”.

     Venendo a tempi a noi più vicini, ricorderemo che Giorgio Umani di Ancona, celebre scrittore e scienziato morto nel 1965, nel descrivere le nostre Marche, elenca i geni di casa nostra: Raffaello, Rossini, Pergolesi, Bramante, Leopardi, e altri. Poi ha come un sussulto e per documentare che le Marche sono la Regione più bella d’Italia, scrive: “.. ma se persino Maria santissima / dopo aver dato in segreto / uno sguardo al creato / è venuta di casa a Loreto’’. Sì a Loreto, la città cara al cuore di ogni marchigiano specie quando si trova all’estero.

     Loreto: 10 dicembre festa della Madonna e focaracci! Più volte ho visto scritta questa parola tra virgolette come se di dubbia “cittadinanza”. A parte l’etimologia diretta (focus) il vocabolo focaracci è usato da scrittori di valore come Pasolini (…erano saliti sul monte del Pecoraro a fare focaracci con dei mucchi di platani); Cardarelli (Le ragazze… vanno giù alla Marina ad accendere i focheracci in onore della Madonna); Sinisgalli (spazza il vento faville / di focaracci sulla neve).

      Nelle deliberazioni del Consiglio comunale di Fermo dell’anno 1585 si legge che, in occasione dell’elezione a Papa di Sisto V, sulle nostre colline, di notte, si fecero molti focaracci.

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anno1306 – Il ciocco di Natale e la ‘vellutina’

   I nuovi orientamenti storiografici, con a capo M. Bloch, J. Le Goff, F.R. Furet, F. Braudel, Paolo Brezzi, e altri danno un risalto notevole alla componente linguistica, per cui eccoci pronti e lieti per un piccolo “contributo” che risponde alla domanda se è corretto scrivere “ciocco” anziché ceppo di Natale.

   Il ciocco di Natale si metteva sull’arola del focolare in occasione di tale festa e, per tradizione, doveva durare fino alla Epifania (6 gennaio).

      Una graziosa e commovente novella popolare vuole che esso serva alla Madonna che di notte vi viene a scaldare i panni per Gesù Bambino. Natale, dolce Natale: quanta poesia in questa festa!

   Ciocco è il ceppo da ardere. Già parlato dal fiorentino Dante Alighieri (Par. 18,100) “Come nel percuotere de’ ciocchi arsi / surgono innumerabili faville / onde gli stolti sogliono augurarsi”. Giovanni Pascoli ripetutamente “Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace (Canti di Castelvecchio 117,5)”; e ancora “Pel camino nero il vento / tra lo scoppiettar dei ciocchi / porta un suono lungo e lento / tre, poi cinque, sette tocchi /” (ibidem). E chi non ricorda Valentino? “…Pensa al gennaio, che il fuoco del ciocco / non ti bastava tremavi ahimé …”. Ancora: “Racconta al fuoco sfrigola bel bello / un ciocco d’olmo intanto che ragiona”.

    Giovanni Papini: “Scoppiettavano i ciocchi già mezzo coperti di neve”. Enrico Pea: “La stanza era rischiarata dai tizzoni ardenti. Io stavo sul ciocco con cagna”. Dino Campana “E lo schioccar dei ciocchi e i guizzi di fiamma”. Italo Calvino: “Le tirò contro un ciocco”.

   Tutti possono scrivere ‘ciocco’ che è registrato come pura lingua nei vocabolari di Palazzi, Gabrielli, Mestica, Devoto-Oli, Zingarelli, e altri.

     Per un altro vocabolo, ‘musco’. non è corretto scrivere muschio per indicare la vellutina, perché si deve (o dovrebbe) dire musco, anche se oggi prevale muschio. Trova preferito il vocabolo vellutina in Cardarelli: “I muri si coprivano di vellutina …”.

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Anno 1306 – Natale di Iacopone da Todi con Giovanni da Firmo, detto de La Verna

    A Natale, nella scena della storia di Fermo, entra un personaggio famoso: Iacopone da Todi. Mi pare di scorger l’aria interrogativa di qualche lettore che si domanda cosa c’entra Fermo con Iacopone da Todi, luminare di spiritualità, luce vivida della letteratura italiana, fiero oppositore di Bonifacio VIII, e “adoratore” della francescana povertà.

     Iacopone fu molto amico di “Frate Ioanni de Firmo dicto de La Verna”, al quale indirizzò una lettera consolatoria nello stile limpido e robusto proprio del poeta delle Laude. Esattamente Giovanni Elisei da Fermo. Quando ci si reca alla Verna a visitare con Dante il “crudo sasso intra Tevere e Arno” dove S. Francesco ebbe le stimmate, e “di Cristo prese /’ultimo sigillo, i visitatori vedono, racchiuso in un’urna, il corpo di un beato: è Giovanni della Verna, seguace di S. Francesco, nato a Fermo nel 1259, marchigiano puro sangue, che nel 1292 si trasferì al “Santo luogo de la Verna” ove visse per più di trent’anni. Iacopone nella sua lettera consolatoria precisava: “A Frate Ioanni de Firmo, dicto de la Verna”.

    I Fioretti di S. Francesco di cui è autore Frate Ugolino da Monte Giorgio, sono pieni delle sue gesta. Raccontano che un giorno gli apparve Cristo e lo abbracciò; e che liberò dalle pene del Purgatorio il confratello Iacopo da Falerone, inoltre che andava spesso in estasi …. Iacopone da Todi e Giovanni de Firmo dicto de La Verna: due colossi nella storia del Francescanesimo: l’uno impetuoso, l’altro serafico e mite, legati da singolare amicizia.

   Il 24 dicembre 1306 Iacopone era in fin di vita. I confratelli lo esortavano a ricevere gli ultimi sacramenti, ma Iacopone rispose loro: “Soltanto dal mio diletto amico, Frate Giovanni della Verna, è d’uopo che io riceva il Santissimo Corpo di Cristo”.

     Frate Giovanni era lontano e i confratelli erano turbati per tale richiesta: Iacopone non aveva che poche ore di vita, era impossibile avere Frate Giovanni che stava lontano sul monte della Verna. Ad un tratto, si videro due monaci venire verso la stanza dove Iacopone era moribondo, uno di essi era il nostro Giovanni da Fermo. “Giunto al capezzale dell’infermo – racconta Domenico Giuliotti – prima gli donò il bacio della pace, poi gli somministrò i Sacramenti. Allora Iacopone, rapito di gioia, cantò il cantico “Gesù nostra fidanza” e, esortati i frati a ben vivere, levò le mani al cielo e rendé lo spirito”. La notte di Natale!    I primi cristiani chiamavano dies natalis il giorno della morte, perché è la nascita al cielo. in quella notte avvenne il dies natalis riferibile alla duplice nascita: la prima, quando era venuto alla vita, ora nel ritorno in Cielo.

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Anno 1320 – Fermo e Camerino DIOCESI contro Macerata

“L’han giurato li ho visti a Pontida / Convenuti dal monte e dal piano. / L’han giurato e si strinser la mano / Cittadini di venti città… Così la nota poesia del Berchet sul giuramento della Lega lombarda contro il Barbarossa, giuramento avvenuto nella Chiesa abbaziale di Pontida il 7 aprile 1167.

Nel 1320, cioè dopo153 anni, nel Fermano, nella Chiesa di Sant’Angelo in Pontano ebbe luogo un altro giuramento: quello dei Fermani e dei Camerinesi uniti in lega contro l’istituzione della Diocesi a Macerata. Con bolla da Avignone, Papa Giovanni XXII l’aveva creata per punire la diocesi di Recanati che si era ribellata alla Chiesa. Precedentemente, Macerata aveva avuto la libertà essere costituito Comune autonomo dal Vescovo di Fermo a metà del XII secolo.

Ora la città veniva eretta a diocesi! Fermo e Camerino, che allora erano le due città più importanti delle Marche. Fermo aveva 10 mila fuochi, cioè famiglie, pari a 50 mila abitanti. Camerino 8 mila, cioè 40 mila abitanti. Seguivano Ancona con 35 mila abitanti, Ascoli con 30 mila.

     Macerata era una delle città più piccole, aveva solo 1.800 fuochi, cioè 9 mila anime. Un po’ poco per essere sede di una diocesi! E Fermo e Camerino non lo potevano sopportare! Si unirono in lega! La nuova Diocesi li avrebbe privati di una consistente parte dei rispettivi territori con molti ricchi castelli, e gran parte della popolazione. Le due città decisero di ricorrere a Roma e di dichiarare guerra a Macerata. Le spese relative sarebbero state divise a metà e, se una delle parti si fosse ritirata, doveva pagare la penalità di mille marche d’argento. Invano! Il Papa avignonese decise, Fermo e Camerino ci rimasero male!

   Nel corso dei secoli le due grandi Diocesi subirono altre amputazioni. Fermo con l’istituzione della Diocesi a Ripatransone nel 1571, perse Ripatransone, San Benedetto del Tronto, Acquaviva Picena, Cupra Marittima e Sant’Andrea; di nuovo nel 15686 con Montalto Diocesi a Fermo furono sottratti Montelparo. Comunanza. Montemonaco. Inoltre nello stesso anno dovette dare Montelupone a Loreto resa nuova diocesi.

     A Camerino nel 1586 furono tolti Tolentino e San Severino erette a diocesi, nonché Urbisaglia e Pollenza, comuni assegnati a Macerata, inoltre, nel 1728, perse Fabriano creata pure Diocesi e nel 1787, Matelica, nuova diocesi. Pio VI, per compensare in qualche modo tali amputazioni, eresse Camerino ad arcidiocesi. Fermo ebbe poi compensi territoriali con Santa Vittoria, Monte Giorgio e Montefalcone provenienti dai Farfensi. Sisto V  che stabilì Montaldo diocesi, nel 1589 volle compensata Fermo con l’erezione ad arcidiocesi con cinque diocesi suffraganee: Macerata, San Severino, Tolentino, Montalto e Ripatransone.

     Nonostante tali vistosi tagli, Camerino unita a San Severino è oggi per il suo vasto territorio montano ha la superficie come prima Diocesi delle Marche con 1603 kmq. Fermo è la seconda con 1334 kmq.; ma per popolazione, per parrocchie, per storia Fermo è la più importante di tutte le Marche e la più antica sede arcivescovile-metropolitana della Regione, non computando l’ex ducato di Urbino.

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Anno 1320 – I Cappuccini e i Fioretti di S. Francesco sono nati qui

 Dante Alighieri Chiama grande “tutto serafico in ardore” S. Francesco d’Assisi che nasce ad Assisi nel 1182 e vi muore nel 1226. Egli era in relazione con Fermo e con il Fermano. In quel periodo, la vasta Marchia Firmana era stata inglobata nella Marca d’Ancona. “La provincia della Marca d’Ancona fu anticamente a modo che il cielo di stelle, adomata da santi ed esemplari frati, li quali a modo di luminari nel cielo, hanno alluminato ed adornato l’ordine di Santo Francesco e il mondo con esempi e la dottrina”. Così si legge nei “Fioretti”, sbocciati nel Fermano per opera di Frate Ugolino da Montegiorgio.     

    Per il movimento francescano è notabile nei Fioretti, il dato che la gran parte di frati attori o protagonisti sono dell’area dello Stato e della diocesi di Fermo: Giovanni da Penna San Giovanni; frate Matteo da Monterubbiano, Jacopo da Falerone; Giovanni da Fermo (detto della Verna per i molti anni ivi trascorsi nella preghiera); Pacifico da Falerone; Liberato da Loro Piceno; Pellegrino da Falerone, frate Corrado da Offida. Alcuni canonizzati.

     Con l’occasione, ricordiamo che le pitture di Giotto nella Basilica superiore di Assisi, vennero eseguite per ordine di un altro frate, Giovanni da Morrovalle nella diocesi Fermana. Egli fu Cardinale e 15° Ministro Generale dell’Ordine. Altri marchigiani si distinsero nelle opere d’arte della Basilica assiate, come il coro di Apollonio da Ripatransone (allora in diocesi Fermana) e nella Basilica superiore, il coro di Antonio Indivini di San Severino Marche.

     In onore di san Francesco a Fermo fu ben presto costruito quel magnifico tempio (ora monumento nazionale) prima di ogni altra città. Nel 1926 da Fermo partì per Assisi la “Campana della Laudi” opera delle Fonderie Pasqualini, bronzo squillante offerto da tutti i Comuni d’Italia al Santo, nell’anniversario, sette volte secolare della morte del santo serafico.

    Anche dopo la scomparsa di S. Francesco, le Marche furono la terra più fertile delle altre per le primordiali presenze del suo ordine. Contava più conventi la “Marcha” in confronto all’Umbria e a tutte le altre regioni. Il numero dei francescani del Fermano era grandissimo. Altra connotazione della Diocesi fermana, è  il fatto che nel “Luogo del Sasso” a Montefalcone Appennino, scoccò la prima scintilla che portò alla fondazione dei Cappuccini, un nuovo ramo del grande albero francescano. Infatti proprio da Montefalcone Appennino, Matteo da Bascio, marchigiano di Carpegna, partì per recarsi a Roma per chiedere a Papa Clemente VII l’approvazione dei Cappuccini.

   Per le tendenze imperiali si può ricordare che anche fra Elia, il successore di S. Francesco e l’artefice della Basilica, ebbe un momento di sbandamento e passò dalla parte imperiale, tanto era il fascino di Federico II; per tale motivo venne scomunicato. Ma poi si pentì, tornò all’“ovile” e fu perdonato

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Anno 1334 – Spade famose e meno famose

  Per parlare di spade e di guerrieri, oggi mettiamo in scena Galasso Conte di Montefeltro, podestà di Fermo, Guglielmo di Ventura del castello di Rapagnano e Puccio Bongiovanni di Montegiorgio con notai, testimoni, e altri.

Nel nome di Dio, Amen. L’anno del Signore 1334, indizione seconda, al tempo di Papa Giovanni XXII, il giorno XXI del mese di gennaio, Guglielmo di Ventura del castello di Rapagnano, ha dichiarato di essere stato soddisfatto di quanto a lui versato quale rimborso da parte di Puccio Bongiovanni di Montegiorgio, per conto di quel Comune e della cittadinanza. Il rimborso consiste nel versamento di un fiorino di oro sopraffino e di giusto peso e delle somme per spese sostenute, come da decisione del conte Galasso di Montefeltro podestà di Fermo”… Così inizia la pergamena conservata nell’archivio comunale di Montegiorgio.

     Il fatto non sembri irrilevante, ha invece una notevole importanza; per serietà, come atto notarile che ha coinvolto tre comuni: Fermo, Rapagnano, Montegiorgio; un notaio Bartolomeo Leonardi, con testimoni Francesco Raynaldi, figliastro di Bartolomeo Dominici, Filippo di Gentile Compagnoni e con un altro notaio, Giovanni Simili, stando nella sede comunale del castello Rapagnano. La stipula era avvenuta il 19 gennaio 1334.

    Nella storia ci sono spade più importanti di quella di Guglielmo di Ventura: famosa la spada di Brenno che dal 390 avanti Cristo, tuona il “Guai ai Vinti”. Poi Alessandro Magno a cui un oracolo aveva predetto che chi avesse sciolto il famoso nodo gordiano sarebbe divenuto padrone dell’Asia. Alessandro Magno ci provò ma, non essendo riuscito, lo recise con la spada e divenne signore dell’Asia. Era il 334 avanti Cristo! Nel 1334 (vedi le ultime tre cifre), Guglielmo di Ventura da Rapagnano ha vicende di spada…millenarie.

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Anno 1336 – Dante Alighieri e Fermo

    Certamente Dante nei secoli è ben ricordato a Fermo perché il notaio Antonio da Fermo merita la riconoscenza di tutti per il fatto che nel 1336 compilò il codice più antico dell’intera ‘Divina’ Commedia. Non sappiamo dove scrisse quest’opera. Sappiamo che il figlio Jacopo stette a Fermo, come diremo.

    Solo dopo 15 anni dalla scomparsa del sommo Poeta, Antonio fermano compilò il codice (detto Landiano perché appartenne ai Landi, un antenato dei quali è menzionato da Dante nel penultimo canto dell’Inferno 32°) e dopo vari possessori in esso annotati, ora sta a Piacenza nella biblioteca e museo comunale. All’inizio del codice si leggono quattro sonetti di Guittone d’Arezzo cui fa seguito Dante Alighieri, «Le dolci rime d’amor ch’io solea» e «Commedia» – Infine, alle carte 101-102: Bosone da Gubbio spiega il senso allegorico della Commedia e ci sono quattro sonetti di Jacopo Alighieri il quale era figlio di Durante (Dante) e stava a Montolmo (oggi Corridonia) nel 1306 come risulta da atto notarile (pergamena esistente a Fermo) ed era Syndicus  della città (capoluogo) di Fermo. Il che fa pensare che il padre Dante allora condannato esule da Firenze stava nelle Marche. Cinque anni dopo la morte del padre Jacopo risulta presente ad un atto notarile a Monterubbiano (pergamena fermana anno 1325).

   Antonio di Fermo scrisse “per richiesta e istanza del magnifico ed egregio signore Beccario dei Beccaria di “Papia”(Pavia), milite imperiale, dottore in legge e podestà onorabile della città e del distretto di Genova”, come egli scrive nell’explicit, a conclusione del codice: “l’anno 1336, indizione terza, al tempo di Papa Benedetto XII, l’anno secondo del suo pontificato”. I Beccaria erano una nobile casata di Pavia detta dai Romani Ticinum, poi Papia capitale longobarda. Non è dichiarato dove il codice sia stato scritto.

Nelle ricerche a Firenze, Vincenzo Cognigni da Monterubbiano ha notato Antonio da Fermo del secolo XIV Uomo d’armi che fu Capitano del Popolo di Firenze al tempo della rivolta dei Ciompi (1378); i rivoltosi gli bruciarono tutte le carte. Viene il sospetto della possibilità che la copia della Commedia l’avesse fatta costui a Firenze.

    Altra benemerenza di Fermo è la traduzione in latino dell’intera Divina Commedia. Si era al Concilio di Costanza (1414-1418), concilio ecumenico (il sedicesimo) e i Cardinali inglesi chiesero a Giovanni de Bertholdis, Vescovo di Fermo, di tradurre per loro il Divino Poema in modo da poterlo apprezzare adeguatamente. Come è noto in quel periodo la lingua ufficiale era il latino.

     In tale maniera, i padri porporati poterono gustare adeguatamente quanto aveva scritto il Divino Poeta. È doveroso ricordare anche che la città di Fermo, è stata sempre all’avanguardia nel culto di Dante; nello stesso anno di fondazione della Società “Dante Alighieri” (1889), il 24 luglio, per opera del senatore fermano Carlo Falconi, venne istituita a Fermo una sezione di tale Società, la quarta in Italia dopo le sezioni di Milano, Venezia e Genova.

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Anno 1341 – Una delle prime armi da fuoco a Rocca Monte Varmine di Carassai

     Rocca Montevarmine, località in Comune di Carassai, (latino: Monte Guarminis) conserva quasi intatta la famosa rocca da cui prende il nome, dopo che ha sfidato secoli ed assedi. Piccolo e vivace centro, già dominio di Fermo, attualmente conosciuto anche per iniziative culturali, vanta un primato interessantissimo dal punto di vista storico.

     Effettuando ricerche ci siamo imbattuti in un elenco prezioso. Sono i nomi dei soldati che Fermo mandava a presidiare tale Rocca-castello e ogni soldato è contraddistinto dall’arma che aveva in dotazione. Appaiono così militi armati di pistoiese (pugnale a lama corta fabbricato a Pistoia) di spito, ronca, alabarda e schioppo (sclopo). Approfondendo le ricerche, è venuto fuori un primato insospettato delle Marche e del Fermano. Infatti è emerso che, nell’uso documentato dello sclopo, la nostra Regione ha il primato storico.

     Leone Cobelli, nella “Cronaca di Forlì”, riporta che Guido da Montefeltro nella battaglia a difesa di Forlì contro i Francesi (1281) “chiamò una squadra di targoni ed una squadra grande di balestrieri e sclopiteri” (schioppettatori). Troviamo conferma che nel 1321, dell’esistenza di “una squadra grande di balestrieri e schioppettatori a servizio del Duca di Urbino” (lo stesso Guido da Montefeltro).

     Dopo dieci anni si parla nel 1332 di soldati che a Cividale del Friuli, balistabant cum sclopo versus terram. Tre anni dopo, i Signori di Ferrara fecero preparare una grande quantità di schioppi e spingarde (maximam quantitatem sclopetorum et spingardarum).

    Angelo Gaibi nel volume “Armi da fuoco”, (Milano 1978) riporta che Angelo Angelucci, direttore dell’Armeria Reale di Torino ed uno dei più intelligenti ricercatori e scopritori di documenti presso gli archivi italiani, nel volume “Documenti inediti sulle armi da fuoco italiane” (Torino 1869, I, 71) dice testualmente: “Sono interessanti a questo riguardo, l’affresco attribuito a Paolo Nesi (1540) nel monastero di San Leonardo in Lecceto presso Siena, ove lo schioppetto è rappresentato da una canna lunga poco più d’una spanna, fissata in cima a un manico (o teniere) e la bombardella manesca trovata fra le rovine di rocca Montevarmine presso Fermo, distrutta nel 1341”.

     L’Angelucci è stato autore di studi sulle armi da fuoco (compreso “Catalogo dell’Armeria Reale di Torino”, Torino, 1890), di cui si ha conferma dagli americani William Smith e Joseph Smith nel volume “Small Arms of thè world” (piccole armi del mondo) edito The Stepole Company di Herrisburg U.S.A. 1962.

   Senza niente “campanilismo”, di fatto è una gloria pura del patrimonio carassanese e fermano di Rocca Montevarmine, sebbene poco onosciuto.

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Anno 1355 – L’implorazione di Mitarella a S. Caterina senese per il marito

    Santa Caterina da Siena (1347-1380) compatrona d’ Italia e il coevo Cardinale de Albornoz (1310-1367) sono personaggi famosi che si sono interessati di Fermo e del Fermano.

   Il Cardinale Gil (Egidio) Alvarez Carrillo de Albornoz, delegato dal Papa Innocenzo VI, che si trovava in Avignone, era stato mandato nelle Marche per riportarle al dominio della Santa Sede. Con senno e con tatto, in poco tempo, quasi senza colpo ferire, riconquistò tutto lo Stato pontificio e, quando, su sollecitazione di Caterina da Siena il Papa tornò a Roma, egli lo incontrò a Tarquinia e gli consegnò un carro carico delle chiavi della città e castelli, tornati sotto il dominio della Sede Apostolica.

    Il Card. Albornoz con atto, emanato a Gubbio il 30 maggio 1355, accordava a Mitarella la licenza di ricostruire il suo castello di Montappone, nello stesso luogo dove sorgeva, allorché fu distrutto da Gentile da Mogliano. Questa concessione del Legato Albornoz era subordinata alla legge secondo la quale per costruire un’altra fortezza era necessario il permesso della Santa Sede. Tre mesi dopo tale atto il Legato pontificio radunava a Fermo il primo Parlamento della Marca. Per merito di questo Legato, lo Stato pontificio si resse sulle sue Constitutiones Aegidianae (di Egidio)che furono l’ossatura, lo statuto rimasto in vigore fino alla caduta del potere temporale (1860)

   Santa Caterina da Siena si interessò di Mitarella da Monteverde, che era la figlia di Mercenario (famoso nella storia di Fermo) e si era sposata con Vico da Fermo, signore di Mogliano (detto Vico da Mogliano). Questi, nel 1373 era stato nominato da Gregorio XI senatore della Repubblica di Siena. Nel periodo in cui fu in carica, punì con la morte cinque giovani gentiluomini che erano entrati di notte in un monastero femminile suburbano. Le famiglie inscenarono un moto popolare contro di lui.

    Mitarella, trepidante per la sorte del marito, si rivolge con una lettera a Caterina senese chiedendo aiuto “per lo caso occorso al senatore” (cioè al marito). La lettera di risposta della santa ha confortato Mitarella esortata ad avere fede e piena speranza in Cristo.

“Le Lettere di S. Caterina da Siena – (ed. Barbera1860). Lettera XXXI – A Monna Mitarella, donna di Vico da Mogliano, senatore, che fu a Siena nel 1373.

“Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. – Dilettissima e carissima Madre in Cristo dolce Gesù. Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi raccomando, confortandovi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi nel cospetto di Dio serva fedele, cioè che voi siate in quella fede che dà letizia e gaudio nell’anima nostra. Questa è quella dolce fede che a noi conviene avere, siccome disse il nostro Salvatore: «se voi avete tanta fede quanto è un granello di senape, e comandate a questo monte che si levi, si leverebbe». In questa fede, dilettissima suora, vi prego che permaniate. Mandastemi dicendo che, per lo caso che era occorso al Senatore (del quale mi pare che avete avuto grandissimo timore), che non avete altra fede né altra speranza se non nelle orazioni de’ servi di Dio. Onde io vi prego da parte di Dio e del dolcissimo Amore Gesù, che sempre rimaniate in questa dolce e santa fede. Oh fede dolce, che ci dai la vita! Se voi starete in questa santa fede, giammai nel vostro cuore non cadrà tristizia. Perché la tristizia non procede da altro se non dalla fede che poniamo nelle creature; ché le creature si sono cosa morta e caduca, che vengono meno; e il cuore nostro non si può mai riposare se non in cosa stabile e ferma. Adunque essendo il nostro cuore posto nelle creature, non è in cosa ferma. Ché oggi è vivo l’uomo, e domane è morto. Convienci adunque, a volete avere riposo, che noi riposiamo il cuore e l’anima, per fede e per amore, in Cristo crocifisso: allora troveremo l’anima nostra piena di letizia. Oh dolcissimo Amore, Gesù! – Suora mia, non temete le creature. Siccome disse Cristo benedetto: «Non temete gli uomini, che non possono uccidere altro che il corpo; ma temete me, che posso uccidere l’anima e il corpo». Lui temiamo, che dice che non vuole la morte del peccatore; anco vuole che si converta e viva. Oh inestimabile carità di Dio, che prima ci minaccia che può uccidere il corpo e l’anima; e questo fa per farci umiliare, e stare nel santo timore! Oh bontà di Dio! per dare letizia all’anima, dice che non vuole la morte nostra, ma che viviamo in lui. Allora dimostrerete, dilettissima suora, che siate viva, quando la volontà sarà unita ed accordata con quella di Dio. Questa volontà dolce vi darà la fede, e la speranza viva, posta in Dio. – A voler dare vita a questa santa fede, due cose vi prego che aviate alla memoria. La prima si è, che Dio non può volere altro che il nostro bene. Per darci quel vero bene dié sé medesimo infino all’obbrobriosa morte della croce; del quale bene fummo privati per lo peccato. Egli dolcemente umiliò sé medesimo per renderci la Grazia, e tollere da noi la superbia. Adunque, bene è vero che Dio non vuole altro che il nostro bene. L’altra si è, che voi crediate veramente che ciò che addiviene a noi o per morte o per vita, o per infermità o per sanità, o ricchezza o povertà, o ingiuria che fusse fatta a noi da amici o da parenti o da qualunque creatura, voglio che crediate ch’Egli è permissione e volontà di Dio; e senza la sua volontà non cade una foglia d’arbore. Adunque non solo non temete questo, perché a misura tanto Dio ci dà quanto possiamo portare, e più no; ma con riverenzia riceviamo, dilettissima suora, reputandoci indegni di tanto bene quant’egli è a portar fadiga per Dio. E perché ‘l dimonio ci volesse mettere una grande paura per lo caso del quale voi temete, pigliate subito l’arme della fede, credendo che per Cristo crocifisso saremo deliberati. E così riimarrete in perfettissima letizia, credendo, come aviamo detto, che Dio non vuole altro che il nostro bene. Confortatevi in Cristo crocifisso, e non temete. Altro non vi dico, se non che tutte le vostre operazioni siano fatte con amore e timore di Dio. Ricordatevi che voi dovete morire, e non sapete quando; e l’occhio di Dio è sopra di voi, e ragguarda tutte le vostre operazioni. Dolce Dio, dacci la morte innanzi che noi t’offendiamo. Laudato Gesù Cristo.

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Anno 1355 – Fermo viene assolta

   Il 22 settembre 1355 è una data memoranda per Fermo e il Fermano. Da questa città, il Cardinale Egidio Albornoz, mandato dal Papa che si trova in Avignone, convoca i sessanta Comuni che facevano parte dello Stato di Fermo. Vi erano a Sud anche San Benedetto del Tronto, Acquaviva. A Nord: Mogliano, Gualdo (MC), Petriolo, Sant’Angelo in Pontano e altri.

    In conseguenza della sottomissione di Fermo e al suo Stato avvenuta il giorno precedente (per mezzo di Spinuccio di Francesco, delegato dal Comune), l’Albornoz assolve Fermo da tutte le censure in cui era incorsa data la sua ribellione alla Chiesa, specialmente nel periodo in cui era stata soggetta a Gentile da Mogliano.

     Interessantissimo il documento della sottomissione conservato nell’Archivio Vaticano, ma non meno interessante il secondo: quello dell’assoluzione. Il Cardinale Albornoz, come vediamo, prediligeva Fermo e qui trasferì da Macerata la Curia Generale della Marca, nonostante le rimostranze dei Maceratesi. La ribellione di Fermo e dei castelli era causata dal fatto che volevano essere indipendenti, ciascuno per proprio conto.

   Stando il Papa lontano, in Francia, ad Avignone, loro non volevano soggiacere ad alcuna autorità. Fermo e il suo Stato furono definiti dall’Albomoz ‘volubilis ut rota et labilis ut anguilla’ facile latino che indica Fermo “volubile come ruota e labile come anguilla”.

Leggendo i documenti di quel 22 settembre, si rileva che essi impongono ai 60 Comuni di prestare giuramento alla Sede Apostolica ed al Comune di Fermo; di obbedire alle sue leggi; di pagare le tasse dovute. Da quello che si legge per l’assoluzione, si evince che la Chiesa non scherzava. Contro la città e contado erano state attuate sanzioni economiche e giuridiche. Fermo era stata privata delle rocche e castelli dipendenti, diritti, privilegi, etc., e addirittura colpita dall’interdetto.

     Ma l’Albornoz, lieto del ritorno di Fermo con il suo contado alla sottomissione alla Sede Apostolica, restituisce rocche, castelli, privilegi, diritti, esenzioni, beni, etc., loda la “pecorella che ritorna all’ovile” ma precisa che se dovesse nuovamente ribellarsi, ricadrebbe ipso facto cioè immediatamente per tal fatto, nelle sanzioni precedenti (compreso l’interdetto) da cui era stata assolta in quel lontano 22 settembre 1355.

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Anno 1355 – Elenco dei possedimenti di Fermo.

   Dal 1309 erano 46 anni della lontananza del Papa che risiedeva in Avignone e varie località delle Marche (come del resto l’intero Stato Pontificio) cercavano di sottrarsi all’autorità pontificia, dato che il “capo” era al di là delle Alpi.

    Il ghibellino Gentile da Mogliano era riuscito a impadronirsi di Fermo e per tutto lo Stato Pontificio correvano fremiti di ribellione. La cosa impensierì il francese Papa Clemente VI (Pietro Roger) e in modo speciale il suo successore Innocenzo VI (il francese Stefano Aubert) il quale, da Avignone, spedì nelle Marche il Cardinale Egidio Albornoz, spagnolo, che con senno, astuzia, e quando occorreva con la forza, a poco a poco, recuperò la sottomissione di tutto lo Stato Pontificio. Nel 1355 poi, questo Cardinale Legato giunse a Fermo, vi insediò la Curia (trasferendola da Macerata) e vi rimase a lungo. La citta, ubbidiente fu assolta dalla scomunica in cui era incorsa per essersi schierata con Gentile da Mogliano; le tolse l’interdetto e la reintegrò nel possesso delle rocche, castelli e località già di sua pertinenza. Poi, con tre distinte lettere di precettazione (litterae praecepti) ordinò a comuni, terre e castelli di inviare a Fermo dei procuratori, per prestare giuramento di fedeltà nelle sue mani e per dover assolvere ad ogni obbligo dovuto alla città di Fermo.

   In tre pregamene (conservate nell’Archivio di Stato fermano) si scorgono annotate le notifiche avvenute o non avvenute agli interessati, e sono documenti importanti per la storia del Fermano, dato che costituiscono l’elenco ufficiale dei possessi di Fermo, in totale 60.

     Il primo gruppo (pergamena998) elenca i Comuni di Longiano, Torchiaro, Ponzano, Santa Maria (forse Monte Santa Maria in Georgio), Monte Giberto, Petritoli, Montevidon Combatte, Ortezzano, De Medio, Collina, Sant’Elpidio Morico, Monte Leone, Monsampietro Morico, Servigliano, Smerillo, Monte Falcone, Castel Manardo, Belmonte, Grottazzolina, Villa Montone.

     Il secondo gruppo (pergamena 1347) contiene Monte Secco, Porto S. Giorgio, Torre di Palme, Lapedona, Monte San Martino, Altidona, Pedaso, Boccabianca, Marano (= Cupra Marittima), Sant’Andrea, Grottammare, San Benedetto del Tronto, Mercato, Borumpadaro (questi ultimi due erano castelli siti nei pressi di Porto d’Ascoli in Acquaviva Picena), Acquaviva Picena stessa, Massignano, Gabbiano, Cossignano, Monte Rubbiano, Moresco.

     Il terzo gruppo, (pergamena n. 1850) riguarda Monturano, Podium Raynaldi (= Monterinaldo), Torre S. Patrizio, Monte S. Pietr (angeli), Rapagnano, Magliano, Ripa Cerreto, Alteta, Mogliano, Petriolo, Loro (Piceno), S. Angelo in Pontano, Gualdo, Falerone, Montappone, Massa, Monte Vidon Corrado, Monte Verde (attualmente frazione di Monte Giorgio), Francavilla d’Ete.

     Attraverso la lista dei Comuni convocati, abbiamo l’esatta consistenza di quello che era lo Stato di Fermo, a metà del secolo XIV, quando estendeva il suo dominio dal sud con S. Benedetto e Acquaviva Picena (nell’attuale provincia di Ascoli), al nord con i vari Comuni, come Gualdo, Petriolo, Sant’Angelo in Pontano attualmente nella Provincia di Macerata.

L’anno dopo, l’Alborrnoz emanò le Costituzioni Egidiane (Aegidianae Constitutiones), che rappresentarono l’ossatura dell’Amministrazione pontificia fino alla conquista dei re Savoia. Fra l’altro, il Legato divise le città marchigiane in maggiori, grandi, mediocri, piccole, minori.

Le maggiori erano: Ancona, Fermo, Camerino, Ascoli, Urbino. Pesaro e Macerata seguivano, a distanza, le grandi.

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Anno 1355 – Un processo agli Ascolani celebrato a Fermo e la scomunica.

   Ascoli fu scomunicata nel 1355 per aver eletto il suo Podestà senza il permesso della Santa Sede. Si era al tempo di Papa Innocenzo VI e gli Ascolani, contravvenendo ai loro doveri di sudditi della Santa Sede, elessero Galeotto Malate-sta da Rimini a loro “Signore governatore e difensore, protettore e governatore, non solo della città ma di tutto il circondario” o, come si chiamava allora, del “distretto.

     Anzi, nei carteggi del processo, si lamenta che gli Ascolani fecero lega con gli altri nemici della santa Chiesa, invadendo terre e castelli da veri traditori e si erano alleati con Malatesta e Francesco degli Ordelaffi (condannato come eretico) e Gentile da Mogliano.

    Vani furono gli sforzi del Rettore della Marca. Gi Ascolani non vollero ubbidire. Allora si tenne il processo che ebbe luogo a Fermo il 31 ottobre del 1355. Nel carteggio che abbiamo trovato nell’Archivio Vaticano, si legge che tali ribelli, entro il sei novembre, dovevano presentarsi a chiedere perdono del loro operato. Si sperava ancora in una loro resipiscenza e nello stesso tempo si ingiungeva di abbandonare le terre della Santa Sede abusivamente occupate; se avessero perseverato nell’errore, si sarebbe provveduto alla confisca dei loro beni. Il documento nomina ben 81 famiglie ascolane che elenchiamo nel seguito. Nel frattempo, cioè fra il 31 ottobre ed il 6 novembre, Ismeduccio da San Severino e Petrello da Mogliano chiedono perdono e si presentano a Fermo nel palazzo di abitazione del legato papale, ma gli Ascolani non si arresero.

     Il 25 novembre 1355 viene fulminata la scomunica “al consiglio, al gonfaloniere, ai consoli, agli anziani, agli ufficiali, al popolo ed al Comune di Ascoli ed alle persone colpevoli di ribellione alla Chiesa”.

     Fra gli scomunicati Niccolò di Dongiovanni, Cavaliere, e Cola e Zuccio Rossini. Inoltre:   Luca; Tommasi; – Giacomo Luzi; – Ciccolo Nuzi; – Giacobuccio Giacobbi; – Domenico Tornassi; –  Vanne Corraduzzi; – Ziuccio Francisci; –  Petruccio Marini; – (Gio)Vanni Bonagiunta; –  Cervuccio Servidei; – Antoniuccio Bongiovanni; – Angelo Bonagioanni; – Nicoluccio Medico; – Petruccio di Rocca; – Corrado Rainaldi; –  Coluccio Di Vanni Saladini; – Nuzio di Giovanni Bernardi; –  Giovanni Martelli; – Corrado Jacobucci; – Giovanni Zocchi; – Lucio ed Emidio di Nicola di Montecalvo; – Giulio e Nicola Dominici; – Giovanni e Lino Jacobucci di Rocca; – Cavuccio Ventura; – Necco e Vanni Giovannucci; – Agresta Simeoni; – Lippo Ansovelli; – Giovanni di Mastro Luce; – Vannino Vanni; – Chierico Federici; – Giovanni Salvi; – Simeone Agresta; – Giovanni Vinnibene; – Agresta Simeoni; – Massio Cini – Giovanni di Mastro Luce; – Meo Petri Chierico Federici; – Filippo Jacobi; Simeone Agresta; – Coluzzio Sanzio; – Massio Francisci; – Nicola Timidei; – Vannetto Bongiovanni; – Manno Salvucci; – Maramonte Guglielmi; – Angeluccio Giovannucci; – Concizzio Massei; – Nicola Giovannangeli; ed alcune altre persone della città di Ascoli stabilite entro la Marca Anconitana (aliaeque singulares personae civitatis Esculanae infra Marchiae Anconitanae constitutae).

Allora il legato della Sede Apostolica per le Province e le terre della Chiesa Romana, il Cardinal Egidio del titolo di San Clemente, fu tutt’altro che clemente “verso la città, consiglio, anziani, consoli e popolo tutto della città e “distretto di Ascoli”, come abbiamo narrato.

Anno 1356 – Gentile da Mogliano ordinò: “Sia distrutta Santa Croce

   La Basilica di Santa Croce, sita in territorio di Sant’Elpidio a Mare, non molto distante dalla statale Adriatica. Nell’archivio comunale il documento della sua inaugurazione reca la data 14 settembre 886, presenti i Vescovi dell’allora Ducato di Spoleto (in tutto 19). Un privilegio le fu concesso dall’imperatore Federico II di Svevia. Nel 1356 avvennero il suo incendio e la sua dissacrazione da parte di Gentile da Mogliano con le sue soldatesche.

   Nel 1348 questo Gentile, signore di Fermo, dopo aver espugnato il porto di Ascoli che era stato costruito in dispregio di diritti di Fermo sul litorale dal Tronto al Potenza (come recita il privilegio di Ottone IV del 1 dicembre 1211), ebbe vita avventurosa e raminga perché, messosi in urto col legato pontificio card. Albomoz, venne scomunicato con gravi conseguenze.

    Allora, spinto da spirito diabolico (diabolico spiritu istigatus), passò al contrattacco e le sue milizie assalirono proprio questa basilica di Santa Croce. Con armi di offesa e di difesa, piombarono sulla chiesa e monastero sito nel territorio di Sant’Elpidio, penetrarono violentemente nella chiesa e nell’abitazione, rubarono tutti i beni esistenti in detto monastero, asportarono gli animali appartenenti alla mensa vescovile, presero prigionieri i famigliari del vescovo, i laici ed i chierici che vi si trovavano. Alcuni di essi vennero cacciati, altri feriti; si impadronirono delle croci, dei paramenti, dei calici, dei buoi, pecore, maiali, giumente, somari, grano, vino, vettovaglie. La stima dei danni arrecati era di duemila ducati dell’anno 1356.

     Il primo dicembre di tale anno, Gentile da Mogliano e Ruggero suo figlio furono condannati in contumacia alla pena di morte e confisca dei beni. Chi inflisse la condanna si chiamava Angelo Paradiso ed era il giudice generale della Marca d’Ancona. Gentile era soprattutto un ladro.

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Anno 1366 – Giovanni Visconti d’Oleggio signore di Fermo

    Giovanni Visconti d’Oleggio, le cui ossa sono contenute in un’urna di vetro, conservata nella Sala del Mappamondo della biblioteca comunale di Fermo. Era dei Visconti di Milano e “abitator di Oleggio” (Novara). Dopo varie vicissitudini venne a Fermo. Prima era stato vicario generale della curia milanese; abbandonò la carriera ecclesiastica; si sposò; fu podestà di Novara e quindi di Asti; luogotenente dei Visconti per il Piemonte e quindi signore di Bologna. Cambiò il dominio su tale città e territorio, ottenendo di diventare signore di Fermo. Qui operò con saggezza, mirando esclusivamente al bene di città e contado. La sua morte nel 1366 è avvenuta a Fermo. Eccone il testo: “In nome di Dio. Così sia. L’anno 1366, indizione quarta, al tempo di Papa Urbano V, l’8 ottobre, giovedì, di mattina, allo spuntare dell’aurora entrò nella via di tutti quanti della carne (ingressus est viam universae carnis)), il magnifico e potente e nobile milite signor Giovanni Visconti, milanese, di Oleggio, rettore della Marca di Ancona e vicario per la santa Chiesa della città e distretto di Fermo”. Seguono alcune parole inintelligibili per corrosione del testo; si rileva “del palazzo della città di Fermo” (forse residenza). L’atto prosegue: “Io don Rinaldo da Montottone, canonico e mansionario della chiesa maggiore di Fermo, amministrai il sacramento dell’estrema unzione alla presenza di Giovanni de Yspa canonico della cattedrale; di Giovannino… suo nipote; di Dionisio suo cancelliere; di Giorgio da Yspa, provisionato; della moglie Antonia; di parenti, amici, familiari, e di molti altri, provenienti da altri distretti”. Conclude: “E venne sepolto nella Cattedrale suddetta, nell’angolo destro anteriore presso l’altare di San Giovanni e presso l’altare maggiore di detta cattedrale. La sua anima riposi in pace”.

Anno 1367 – Ancona ed i Papi di Avignone

    La nostra Regione ed in particolar modo Ancona, erano intimamente legate alle vicende storiche di Avignone, la città francese dove dimorarono, per sette decenni, i Papi.

    Il 30 aprile 1367, Urbano V, dopo le insistenti preghiere dei Romani, nonché di Santa Brigida che profetizzava i castighi divini e del Petrarca, aveva deciso di riportare a Roma la sede papale dopo una cattività che durava dal l309. Nel frattempo, il suo legato in Italia il Card. Egidio Albornoz, aveva riconquistato con la forza e con la diplomazia le città ribelli delle Marche e Regioni vicine. Tutto era pronto per il ritorno del Papa. Ed ecco che Urbano V, Papa francese, (come tutti i Papi di Avignone), salpa da Marsiglia alla volta di Roma. La nave ammiraglia che lo trasporta è una galea di Ancona, “costruita a spese pubbliche della Marca di Ancona per la sua persona stessa, sotto la guida di Niccolò della Scala, cavaliere anconitano. Tale nave spiegava lo stendardo della Romana Chiesa. Era accompagnata da una flotta di 23 galee e molte navi di Venezia, Pisa, Genova, Napoli. Dopo aver toccato e sostato in vari porti del Tirreno, il 3 giugno 1367 la flotta attracca a Corneto; quindi il Papa prosegue per Roma.

    Dopo soli tre anni, Urbano V inspiegabilmente ritorna ad Avignone, il 5 settembre 1370, giovedì. Di nuovo da Corneto, la “galea grande” di Ancona, con dodici Cardinali e gran seguito di navi pontificie, francesi, spagnole, napoletane, (una sessantina in tutto), riporta il Papa in Francia, dirigendosi alla volta di Marsiglia. Sbarcato, Urbano V prosegue e giunge ad Avignone il 24 settembre. Ma dopo tre mesi, muore. Al conclave per eleggere il nuovo Papa, c’eran tutti Cardinali francesi, eccetto tre italiani ed uno inglese. Viene eletto in un solo giorno Gregorio XI.

   Dopo che il Papa si era assentato da Roma, in Italia si diffondevano malumore ed indignazione, e le condizioni politiche della Penisola erano per riflesso molto turbate. Un nuovo ritorno del Papa sembrava improbabile. Troppe le opposizioni e gli interessi francesi.

   Ma, alla fine, cedendo alle insistenti ed infuocate suppliche di Santa Caterina da Siena, il Pontefice decide di tornare, a Roma. Ancora a bordo, di una galea anconetana, ritorna ai primi di ottobre 1376, il Papa s’imbarca a Marsiglia “sulla galea grossa di Ancona comandata da Niccolò Torriglioni e seguita da una scorta di 5 navi francesi, 6 spagnole, una di Genova ed una di Pisa”.

     Il viaggio, lungo e tormentato, durò più di tre mesi, e l’ammiraglia anconitana “naviglio ammirabile per fortezza e bellezza, reggente in mare, buon veliero ed in punto di ogni comodità che mai potessero i viaggiatori desiderare”, incontrò varie tempeste. Un cronista dice che tutti con l’equipaggio più volte effondono preci all’Altissimo e fanno voto a san Ciriaco (patrono di Ancona) omnes fundunt preces Altissimo et spondunt vota Sancto Quiriaco. Alla fine, lasciando il Tirreno, e risalendo per il Tevere, il 17 gennaio 1377 il Papa entra a Roma. Il “popolo esultante e lacrimando, tendente le braccia prostrato, danzante dietro il destriero del Papa erompe di tripudio e giubilo”. Il Papa rimane a Roma e ci rimane per sempre! Fausto evento, in cui ebbe parte notevole la marineria di Ancona, e delle Marche.

Anno 1373 – Provincia scippata … non Scotti troppo. \ <scritto quando era Ministro dell’Interno l’on. Scotti>

    I Fermani per decenni si adoperarono per la ricostituenda Provincia di Fermo, soppressa nel 1860 dal governo di Vittorio Emanuele II ed unita a quella di Ascoli meno popolata, meno ricca, con meno istituti scolastici e minore importante produttività. Fermo e Provincia contavano 110.000 abitanti contro i 90.000 di quella di Ascoli. La Provincia di Fermo aveva 54 Comuni; quella di Ascoli 52. L’estimo catastale di Fermo era di 19.137.948 lire; di Ascoli 12.929.333. Fermo aveva 46 cultori di scienze, lettere ed arti; Ascoli solo quattro. Medici, farmacisti, levatrici di Fermo erano 241; di Ascoli 139; e altro. Fu un vero e proprio “scippo” ai danni di Fermo!

    Ma anche nel 1373 ci fu un tentato “scippo” da parte di Macerata, che voleva per sé la Curia Generale delle Marche, togliendola a Fermo. Il pericolo era grave e se ne dovette occupare Papa Gregorio XI (1370-1378) che si trovava ad Avignone. Reiterate, intense e martellanti erano le richieste e le pressioni di Macerata, per divenire la sede della Curia Generale, che era stata posta a Fermo dal Cardinale Egidio Albornoz in quanto “luogo più nobile e più sicuro per la conservazione dello Stato di Santa Romana Chiesa”.

    Alla “querelle” Fermo- Macerata, per questo trasloco, con beghe con i Cardinali francesi, col Re di Francia e altro, il Papa da Avignone incarica il Cardinale Ugo di Santa Maria in Portico, che scrive al Rettore della Marca d’Ancona Pietro, Vescovo di Oxford, al tesoriere ed a tutti i dirigenti della Curia che quel trasferimento non s’ha da fare. Un passo della bolla, redatto in un latino polito ed armonioso, recita fra l’altro “…la città di Macerata vuole che venga colà trasferita la Curia Generale della Marca, cioè il Supremo Tribunale, ora esistente nella città di Fermo… ma il Papa non vuole ed espressamente si oppone” (…).“In considerazione dell’idoneità del luogo, della salubrità dell’aria, della comodità di accesso e di soggiorno, i Porti Marittimi dello Stato di Fermo e l’abbondanza di ogni sorta di viveri e vettovaglie, noi rigettiamo le richieste di Macerata, facendo presente che nessuno di voi osi tentare di favorire tale richiesta di trasferimento senza un ordine espresso da parte della Sede Apostolica”. Nessuno di voi pertanto, cioè Rettore, Tesoriere, officiali e componenti tutti della Curia, si muova da Fermo e non osi favorire le richieste di Macerata”.

    Gregorio XI nel frattempo tornato a Roma, moriva  nel 1376. Subentrava Papa Bonifacio IX, il quale, non solo confermò la permanenza a Fermo della Curia Generale, ma nominò suo fratello Andrea Tomacelli “Signore di Fermo e del suo Stato” nel gennaio 1398.

 Allora il Papa e Cardinali si interessarono di Fermo, oggi i nostri governanti se ne infischiano. Attenzione che la faccenda, poi, non “scotti” troppo! <Di fatto nel 2004 fu ricostituita la Provinia Fermana>

Anno 1375 – Un golpe degli otto ‘santi’ finì male

    Nel 1375, la Lega fiorentina era capeggiata da otto personaggi, che il popolo chiamerà Otto ‘santi’, nonostante che combattessero contro il Papa: scenario, personaggi ed interpreti … della libertà (oh libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome! diceva Madame Jeanne Roland de la Piatière).

    La città protagonista, Firenze, capo della lega; e personaggio chiave, Gregorio XI con il Cardinale legato Noellet. Le operazioni iniziano nell’estate 1375: La Lega Fiorentina (quando Papa Gregorio XI sta in Avignone) gli Otto ‘santi’ hanno la peggio ad opera di questo stesso Papa che lancia contro Firenze la scomunica ed i nemici di questa città ne approfittano per andare contro alla scomunicata. Ma alla Lega Fiorentina aderivano quasi tutte le città dello Stato pontificio, perché stando lontano dall’Italia il Papa, i suoi legati commettevano soprusi e razzie. Il popolo, stanco aveva costituito tale Lega.

    Gregorio allora chiama i soldati mercenari ed invia in Italia bretoni e inglesi (quest’ultimi capeggiati da Giovanni Acuto). Essi si dirigono verso Firenze e verso il settore adriatico, per dare una “lezione” agli insorti. Questi resistono combattendo valorosamente; ma poi, la scomunica fulminata contro essi da Gregorio XI ha effetto. Le relazioni diplomatiche con Firenze sono interrotte per il timore di essere a loro volta scomunicati e la Lega rimane isolata. Ma un fatto singolare si inquadra nel contesto di questa Lega. Ascoli ha aderito, e immediata è la repressione da parte del vicario papale Gomez Albornoz, il quale proibiva persino di pronunciare la parola Libertas. Ascoli chiede aiuto ai vicini; mentre contro di essa dalla valle del Tronto arrivano le truppe della Regina Giovanna di Napoli in aiuto all’Albomoz.

    Il “grido di dolore” fu raccolto da Fermo, che allestisce immediatamente un esercito di diecimila uomini e corre a liberare Ascoli, nonostante che nel 1348, pochi anni prima era stata in guerra. Coluccio Salutati, il cancelliere del Comune di Firenze, manda ai Fermani una nobilissima lettera di ringraziamento per aver salvato Ascoli, caposaldo importante per la Lega fiorentina. “Per vostro merito” dice fra l’altro. Alla fine essa ha la peggio! Muore Gregorio nel 1376 e gli succede Urbano VI; si addiviene ad un trattato di pace. Firenze deve sborsare 250.000 fiorini d’oro. Anche Fermo, anche Ascoli debbono versare la loro quota.

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Anno 1379 –Fermo si libera dalla tirannide di Rinaldo

    Il 22 dicembre 1376, Rinaldo da Monteverde si era impadronito di Fermo.

     “In die festo Sancti Bartholomei facta fuit revolutio”.  Nel giorno della festa di san Bartolomeo, cioè il 24 agosto 1379, avvenne a Fermo la “rivoluzione”. Consistette nella cacciata del tiranno Rinaldo da Monteverde, che tre anni prima, per impadronirsi della città aveva mosso il suo esercito, spalleggiato da bande mercenarie di inglesi e tedeschi: in tutto circa diecimila uomini. L’anno successivo, il 4 giugno, mise a ferro e fuoco Sant’Elpidio a Mare e, nello stesso anno, combatté contro la cittadina di San Ginesio. L’otto settembre 1377 di nuovo mise a ferro e fuoco Sant’Elpidio (a Mare) e trafugò la reliquia della Sacra Spina, che da allora si trova nella chiesa di Sant’Agostino a Fermo, molto venerata dai fedeli.

    Rinaldo commise a Fermo molte efferatezze e delitti. Fece decapitare Nicolao e Andreuccio di Andrea Coluccini, Paolo Pucci e Vanne Mattei, rispettabilissimi cittadini. Ma il 24 agosto, Fermo si sollevò contro il tiranno e lo cacciò dalla città. Egli dapprima si rifugiò a Monteverde poi a Montefalcone Appennino. Qui si era asserragliato nella rocca insieme alla moglie Luchina, la Guercia, sua serva, Mercenario e Luchino, figli legittimi, due altri piccoli figli bastardi, Paolino da Massa, Nicola di Maestro Federico e molti altri.

    Dietro pagamento di mille ducati da parte dei Fermani e la promessa di altri cinque per ogni mese, Egidio da Monturano e Bonaccorso Ri- guezi da Potenza Picena, aprirono le porte della rocca di Montefalcone, dando così modo ai Fermani di catturare Rinaldo, moglie, figli e seguaci. Catturati, dopo due giorni furono portati a Fermo in sella ad un asino, con corpi volti all’indietro, con una corona di spine in capo. Fatti passare per Porta San Giuliano, furono condotti in piazza davanti al Palazzo dei Priori. Il popolo di Fermo era tutto in tripudio. Finalmente la tirannide era “sconfitta”. Rinaldo e figli furono decapitati; gli altri seguaci, catturati a Montefalcone, vennero in seguito impiccati. Luchina, per intervento del Conte di Virtù, venne risparmiata. Le teste di Rinaldo e dei figli furono poste su una colonna di pietra. Sotto quella di Rinaldo era scritto: “Tiranno fui pessimo e crudele”. Sotto quella dei figli: “Sol per mal fare di me e di Luchina, cari miei figli pateste disciplina”.

      Ancor oggi in una delle nicchie nel muro esterno della chiesa della Pietà, si ammira una scultura di S. Bartolomeo; ai suoi piedi giace una testa che molti identificano con quella di Rinaldo. Gli Statuti di Fermo (libro I. RubricaVI) stabilirono che ogni anno la festività di S. Bartolomeo doveva essere celebrata con singolare devozione, dato che in tale giorno Fermo era stata liberata dalla rabbia del tiranno.

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Anno 1380 – Boffo da Massa e il Palio di Fermo

    Sulla scena della storia nazionale italiana nel 1380 il milanese Gian Galeazzo Visconti mira al dominio della Penisola, dopo aver ottenuto da Venceslao di Boemia, successore dell’imperatore Carlo IV, il Vicariato della Lombardia. Giovanna, Regina di Napoli, riconosce l’antipapa Clemente VII e il Papa Urbano VI le fulmina la scomunica, privandola del regno. Questo, giungeva nel Piceno. Ad Arquata del Tronto c’è la Rocca che la tradizione vuole dalla Regina Giovanna.

Nella storia dello Stato di Fermo troviamo, in questo anno 1380 si verificano fatti ed eventi di notevole importanza, con riflessi nella storia nazionale. Signore di Fermo era divenuto Boffo da Massa, distinto capitano di ventura e componente della Lega costituita dalla repubblica di Firenze, contro lo Stato della Chiesa e amico di Coluccio Salutati, celebre segretario della Lega. In modo speciale dominava Carassai, Castignano, Cossignano.

Una notizia finora inedita del Palio festeggiato a Fermo è che Boffo da Massa propose alle autorità fermane che per la festa dell’Assunta del 1380 portasse il palio anche il castello di Cossignano, insieme con gli altri. La proposta venne sul momento accantonata, senza menzione, non venne trattata).

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Anno 1386 – Arquata chiede protezione a Fermo

    Fermo e Arquata, località distanti e dissimili; la prima nel secolo XIV era la più importante città delle Marche, la più popolata, seguita nella classifica da Camerino, Ancona, Ascoli.

L’altra, Arquata, alternativamente contesa e soggetta a Norcia, ad Ascoli ed al Regno di Napoli, subì assedi, ritorsioni, depredazioni. Era una rocca importante strategicamente; da qui la mira di conquista da parte dei confinanti. Arquata decise allora di rivolgersi a Fermo e di mettersi sotto la sua protezione. Era stufa di subire angherie e soprusi.

    Nell’anno 1386, radunato il Consiglio Comunale, o, come si diceva allora, il Parlamento “ad onore e riverenza dell’Onnipotente Iddio, della sua Madre, la gloriosa Vergine Maria, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e di Papa Urbano VI, del collegio dei Cardinali e ad onore e magnificenza della città di Fermo” si designa ser Cola Cicchi Rainaldi a rappresentare Arquata a “presentarsi a Fermo, ai Magnifici e Potenti Priori ed al Vessillifero della Giustizia, per raccomandare e mettere il Comune di Arquata e il suo Distretto sotto l’ombra delle ali e sotto la protezione e difesa di Fermo, ora e sempre“.

Il passo originale è di suggestiva descrizione. Ricorre il biblico sub umbra alarum tuarum. Nell’atto stipulato si precisa che il podestà di Arquata sarà un cittadino di Fermo; avrà lo stipendio di “seicento libre di denari”. Il Comune di Arquata “promecte de non ospitare nella sua terra, nissuna gente inimica di Fermo, di portare il Palio nel giorno dell’Assunta, patrona di Fermo e di accogliere gente da cavallo e da pie’ che lo comuno di Fermo volesse mettere per la defesa de Arquata e per offensione ad altrui”.

    Vi sono poi altre clausole, come quelle per cui Arquata lascerà passare soltanto il sale del monopolio di Fermo; non dichiarerà guerra ad alcuno senza il permesso di Fermo, e, a sua volta, si impegna a far sì che “alguna potenza, ciptà terra, conte, barone, nobbele overo seculare possa commettere prepotenze contro Arquata”.

    In altri documenti risulta che Arquata, per fare pace con Ascoli, dovette chiedere il benestare di Fermo ed in altro del 1607 risulta che Arquata, in lite con paesi vicini, domanda il “favore” della città di Fermo.

    Arquata durante il regno di Napoleone Bonaparte fece parte del Dipartimento del Trasimeno; e dopo caduto Napoleone, appartenne alla Delegazione Apostolica di Spoleto; nel 1818 “tornò” nella Regione marchigiana, come Comune della Delegazione Apostolica di Ascoli.

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Anno 1386 – Il Palio di FErmo con ottanta castelli

   Il Palio ‘uso cavalleresco era un taglio di stoffa prezioso che ve veniva assegnato al vincitore di gare o competizioni per lo più a cavallo, e in seguito passò ad indicare la competizione stessa. Nel Medio Evo era molto in voga, ma quello di Fermo, documenti alla mano, era ed è uno dei più antichi, se non il più antico. Non mi risulta che qualche altro possa vantare oltre otto secoli, documentati, di esistenza. Ed aveva dimensione “interprovinciale”. Il 15 agosto di ogni anno lo portavano Monterubbiano insieme ai suoi castelli Cuccure e Montotto (1182). Lo portava Ripatransone (1205), che ad un certo momento ne dovette portare in una sola volta ben 22 arretrati. Lo portavano Potenza Picena (allora Monte Santo) e Monte Cosaro, ora entrambe in Provincia di Macerata. Nel 1386 lo portò addirittura Arquata del Tronto che continuò a portarlo anche negli anni successivi: nel 1387 e 1388 lo consegnò a Fermo Marino Damiani; nel 1387 Bartolomeo Cicchi, su precisa delega del castello di Arquata. Portava il palio Monte Giorgio che nel ’400 delegò più volte Collicillo, suo castello dipendente, e di recente lo ha stabilito nel proprio ippodromo.

Oltre ai castelli già detti, dovevano sfilare per le vie di Fermo nel giorno dell’Assunta i rappresentanti dei castelli dipendenti: in tutto un’ottantina che andavano da San Benedetto del Tronto ad Acquaviva Picena, a quelli del litorale sino a Sant’Elpidio e verso i monti, come Gualdo, Montefalcone, Sant’Angelo in Pontano e poi nell’entroterra, Petriolo, e altri.

    La sfilata era un tripudio cui partecipavano i magistrati, le contrade,  bifolchi, fornaciari, vasai, mulattieri, osti, macellai, ciabattini, speziali, mercanti, etc. etc. Era tutto uno scintillare di elmi e di corazze, un garrire di gonfaloni ed orifiamme, un incedere ieratico e festoso. Era la Festa dell’Assunta. Fermo ed il suo popolo ne gioivano, fieri della rassegna della loro potenza, della loro religiosità, dei castelli, dei vicari, dei vassalli, dei rappresentanti delle potenze confinanti.

    Nel tempo antico erano ottanta i castelli che sfilavano, tra cui la connotazione più importante, erano i Palii di Monterubbiano, Corridonia, Montegiorgio, Montecosaro, Potenza Picena, Ripatransone, di Arquata. Viene in mente di suggerire che si possa ripristinare almeno per i più vicini tale sfilata.

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Anno 1389 – Il Tribunale di Fermo e le sue vicende

     “Dal dì che nozze tribunali ed are / dieder alle umane belve esser pietose / di se stesse e d’altrui…” così Foscolo ne “I sepolcri”. A distanza di più di due secoli, i mass media, gli ambienti giudiziari, politici ed economici, parlano di soppressioni di tribunali, di ristrutturazioni e vi sono anche oggi “umane belve” che vorrebbero dilaniare istituzioni e realtà, esistenti da secoli. Il Tribunale è “organo giudiziario che esercita la giurisdizione in materia civile e penale nei modi e nei casi stabiliti dalla legge”. La società, nel corso dei secoli, si è data norme e leggi per uno svolgersi regolato ed ordinato della vita associata. Tra i molti, vi sono i tribunali civili e penali, i tribunali amministrativi (TAR) regionali, i tribunali militari, il tribunale delle acque, i tribunali dei minorenni, i tribunali ecclesiastici e a proposito di questi ultimi, diciamo che sono 18 (diciotto) in tutta Italia e, per l’intera Regione marchigiana, la sede è proprio a Fermo.

  E’ stato istituito nel 1938 da Papa Pio XI e giudica le cause matrimoniali dell’intera Regione e di alcune località dell’Abruzzo come Colonnella, Martinsicuro, Ancarano, Valle Castellana, Sant’Egidio alla Vibrata, appartenenti alle Diocesi di San Benedetto del Tronto od a quella di Ascoli.

   Antica la storia: già nel 1500, prima di Cristo, esistevano i tribunali per giudicare chi contravveniva al codice di Hammurabbi. Tra gli Ebrei veniva anche giudicato chi contravveniva ai dieci comandamenti di Dio dati da Mosé sul Monte Sinai.

    Roma aveva le famose XII Tavole. Poche erano le leggi, e le cose andavano meglio di adesso. Plurimae leges sed mala respublica. Cattiva la repubblica con leggi plurime. Nel Medio Evo era legge tutto ciò che voleva il Principe (quidquid placuit prìncipi legis habet vigorem) ed il Principe stesso giudicava chi contravveniva a qualche sua norma. Poi ogni stato, ogni ducato, cominciò ad avere il suo tribunale a cui il Principe affidava la giustizia. La città di Fermo, sin dall’alto medioevo, ebbe lo jus o diritto di mero e misto impero, cioè poteva giudicare le cause penali e civili non solo della città, ma del vastissimo suo territorio che andava dall’Esino al Pescara, dagli Appennini al mare. Ovviamente a Fermo risiedeva il tribunale supremo di quella che era la Marca Fermana; tribunali minori erano disseminati nella vasta area che ricalcava l’antico Piceno. Più tardi, nel sec. XIV, ebbe sede a Fermo la Curia della Marca, e Papa Bonifacio IX (1389-1404) confermandola, nominò Signore di Fermo suo fratello.

   Nel territorio della Marca (di Ancona) che era parte dello Stato ecclesiastico, ad amministrare la giustizia erano i tribunali pontifici. Con la venuta di Napoleone, nel 1797, Fermo acquistò maggiore importanza come capoluogo del Dipartimento del Tronto, circoscrizione amministrativa napoleonica, che abbracciava il territorio della odierna Provincia di Ascoli, assieme con l’allora Provincia di Camerino, e con la parte meridionale dell’attuale Provincia di Macerata. Fermo era sede del tribunale e della prefettura e da essa dipendevano le vice-prefetture di Ascoli e quella di Camerino. Dopo la caduta di Napoleone, vennero create le Delegazioni Apostoliche di Fermo e quella di Ascoli; ognuna aveva il suo tribunale.

Poi, il Motu proprio di Leone XII, in data 5 ottobre 1824, sopprimeva il tribunale di Ascoli poiché la sua delegazione venne riunita a quella di Fermo. Il 21 dicembre 1827 venne ricostituito tale tribunale. Tuttavia nel triennio 1824/1827 per i reati più gravi il tribunale di Fermo esercitò la sua giurisdizione anche in territorio ascolano.

  Nel dicembre 1860 con l’occupazione piemontese sabauda delle Marche veniva ingiuriosamente soppressa la Provincia di Fermo di gran lunga più importante di quella di Ascoli. Tuttavia rimase il tribunale, la cui giurisdizione in tutto e per tutto ha ricalcato il territorio della soppressa Provincia Fermana. Il Tribunale Fermano  nel Regno Savoia venne sistemato dove si trova attualmente, in corso Cavour, nei locali della già Casa dei Padri Filippini, casa confiscata per le leggi eversive del demanio del Governo Savoia. Nel 1923, con Regio Decreto del 24 marzo n. 601, il Tribunale di Fermo venne soppresso ed il suo territorio compreso nella circoscrizione del tribunale di Macerata. Successivamente fu trasferito alla giurisdizione del tribunale di Ascoli.

    Le disposizioni governative, però, avevano creato una situazione insostenibile, per cui si dovette costatare il grave errore. Pertanto, con Regio Decreto Legge del 28 settembre 1933, n. 1282, venne ricostituito il Tribunale di Fermo.

     Molte personalità di Fermo e del Fermano si erano attivate per tale ricostituzione: Mons. Ercole Attuoni, Arcivescovo fermano e mons. Vincenzo Curi, Arcivescovo di Bari (nativo di Servigliano) avevano interessato personalmente l’allora Capo del Governo, Benito Mussolini. Mons. Curi, tuttavia, non poté vedere il decreto reale, perché morì il 28 marzo 1933, e il decreto arrivò sei mesi dopo.

    Attualmente, il Tribunale di Fermo ha una mole di lavoro cospicua. La relazione dell’Associazione Nazionale dei Magistrati di recente ha previsto la soppressione di ben 43 (quarantatre) tribunali, tra cui Urbino, Camerino. Nel mentre si premette che “alcune città sedi di Tribunale, infatti, saranno promosse capoluogo di Provincia (Biella, Rimini, Crotone, Vibo Valentia, Prato, Lecco, Lodi) e quindi appare opportuno che conservino gli uffici oggi esistenti”, per altri si chiede “l’accoppiamento” (…) “Bisogna rilevare che, al fine di non gravare eccessivamente gli uffici giudiziari del capoluogo di Provincia, si è ritenuto opportuno proporre … accoppiamenti”.

 Il passo che ci interessa recita: “Per alcuni uffici, si è ritenuto, poi, le condizioni socio-economiche della zona richiedano la presenza di tribunali medi: Fermo, Busto Arsizio, Verbania, anche per non gravare eccessivamente i tribunali e preture dei rispettivi capoluoghi di Provincia...”.

     Oggi, il Tribunale di Fermo ha giurisdizione sui seguenti Comuni: Altidona, Belmonte Piceno, Campofilone, Cossignano, Cupra Marittima, Falerone, Fermo, Francavilla d’Ete, Grottammare, Grottazzolina, Lapedona, Magliano di Tenna, Massa Fermana, Massignano, Monsampietro Morico, Montappone, Montefalcone Appennino, Montefiore dell’Aso, Monte Giberto, Monte Giorgio, Montegranaro, Monteleone di Fermo, Montelparo, Monte Rinaldo, Monterubbiano, Monte S. Pietrangeli, Monte Urano, Monte Vidon Combatte, Monte Vidon Corrado, Montottone, Moresco, Ortezzano, Pedaso, Petritoli, Ponzano di Fermo, Porto S. Giorgio, Porto Sant’Elpidio, Rapagnano, Ripatransone, Santa Vittoria in Matenano, Sant’Elpidio a Mare, Servigliano, Smerillo, Torre San Patrizio.

Carassai, che si può dire è un passo da Fermo, dipende dal Tribunale di Ascoli, mentre Ripatransone e Cossignano, sebbene più distanti, dipendono dal Tribunale di Fermo.

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Anno 1389 – Fermo manda sentinelle a  San Benedetto del Tronto.

   Fermo nel medioevo aveva sotto di sé il Castello di San Benedetto del Tronto. Tra i verbali del Consiglio della Città di Fermo un atto documenta che il 29 settembre 1389 vengono mandati dei militi in quella località, per la vigilanza della Rocca e del castello tutto. Le Rocche fermane di Monte Falcone Appennino, Smerillo, Moresco, Porto San Giorgio, Gualdo e Sant’Angelo in Pontano (questi due ultimi ora in Provincia di Macerata) costituivano la difesa turrita dello Stato Fermano.

   Interessante questo documento del 1389 dal momento che San Benedetto è stata tappa obbligata di passaggi di eserciti, devastazioni, incendi, assedi, etc. Gli statuti fermani (del 1381) stabilivano che il castellano e i militi preposti alla vigilanza ed alla difesa, dovevano dimorare nella rocca rimanendovi giorno e notte e potevano anche avere con sé la propria famiglia e una scorta di provviste bastanti tre mesi, per far fronte ad eventuali assedi.

Ecco i militi, per la storia: Nicoluccio Nicolai, Cola Camannucci, Ciccone Gentile, Antonio Nicoluzzi, Massio di Pietro Matteo, Vanne Marini, Bartolomeo Pucci, Giacomo Beneditti, Cola Carfangi, Vanne Benvenuti, Angeluccio Iacobucci, Angelo Dominici, Cicco Iacobucci, Paluzio Cappella, Nicola Gualtierucci, Mingiuzio Antoni.

A loro gli onori militari per l’assidua missione di vigilanza contro le incursioni interne ed esterne, specie per quelle provenienti dal mare!

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Anno 1396 – ASmerillo sotto assedio

    Smerillo, coraggioso paesino del Fermano, posto a 800 metri di altitudine, gemma incastonata nel verde preappenninico, sta a a fianco di Monte Falcone Appennino, col quale ripete l’etimologia degli uccelli accipitriformi o meglio falchi: falco columbarius per Smerillo; falco peregrinus per Monte Falcone. Importantissimo nel medioevo, Smerillo contava 27 vassalli. Di esso parlano molte pergamene degli Archivi di Stato e del vescovato di Fermo.

   In località intermedia tra Smerillo e Monte Falcone, che erano spesso in lotta fra loro, sorge un piccolo convento detto Luogo di Sasso da cui, con Matteo da Bascio (francescano marchigiano), nel 1525 partì la scintilla della fondazione dell’Ordine dei Cappuccini che a fine secolo XX contava 12000 frati, sparsi in tutto il mondo. Fermo, la città di Girfalco (anche qui falchi) teneva molto a Smerillo che, con Monte Falcone, erano due rocche imprendibili nella zona montana ovest.

Nel 1396 “con cùpido sguardo” i Duchi di Camerino, i Varano, agognavano a Smerillo che, verso l’interno, era uno dei più muniti baluardi strategici, ostacolo alla loro espansione. Ma i Varano comprarono i custodi (tali Luzio e Antonio) della rocca; si fecero aprire la fortezza e il ghiotto boccone passò a Camerino.

    Con sdegno Fermo si trova di fronte a Smerillo ribelle che deve essere riconquistato, subito. Mobilitate le truppe della città e del contado, accorrono ad assediare il castello ribelle e lo riconquistano; “die XIII mensis maii… coeperunt castrum Smerilli”, annota lo storico Anton di Nicolò: il 13 maggio 1396. Fu un veni, vidi, vici! L’assedio subitaneo, massiccio e vittorioso; anche se il cassero resisteva, riprende subito il paese di Smerillo che torna nell’orbita fermana.

   Questo piccolo centro, che nel 1944 all’indomani della Liberazione, si costituiva in Territorio Libero di Smerillo, dà un senso di pace. L’aria pura e incontaminata; le acque, limpide e fresche, invitano i turisti. In alto, i ruderi del cassero imponente e austero ricordano fremiti di guerra; i falchi “dai silenzi dell’effuso azzurro” intrecciano “in tarde ruote digradanti / il nero volo solenne”. Le mura massicce rievocano, dopo vari secoli, quel sabato fatidico per l’assedio del 13 maggio 1396. La città del gir-falco è tuttora capoluogo del castello che si fregia pure del nome di un “falco”: lo smeriglio!

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Bruno Cornacchiola e la Chiesa perseguitata, ma protetta dalla Vergine della Rivelazione 10.02.1947

Bruno Cornacchiola veggente nel 1947 alle Tre Fontane a Roma, ascoltato e creduto da Pio XII, il 10 febbraio 2000 ha narrato una sua veggenza in sogno localizzato nella basilica papale di San Pietro in Vaticano. Così è stato trascritto. «Mi trovo con tutta la Sacri a San Pietro per l’acquisto delle indulgenze giubilari. Improvvisamente sentiamo un rimbombo d’una forte esplosione, poi delle grida: “a morte i cristiani!” Una folla di barbari correva dentro la basilica, uccidendo chiunque incontrava. Grido alla Sacri: “usciamo e facciamo muro davanti alla basilica”. Si va sul sagrato, tutti ci mettiamo in ginocchio con il santo Rosario in mano e si prega la Vergine che venga con Gesù a salvarci. Tutta la piazza era colma di fedeli, sacerdoti, religiosi, religiose. I fedeli pregavano con noi. Le donne portavano il velo in testa nero o bianco; tutti i sacerdoti presenti con l’abito talare; i religiosi e religiose ognuno con il suo abito religioso; ai lati del sagrato, i vescovi erano a sinistra di chi guarda la chiesa, i cardinali a destra, e pregavano in ginocchio con il viso a terra … improvvisamente la Vergine è lì presente con noi e dice: “Abbiate fede. Non prevarranno”. Noi si piange dalla gioia e i persecutori escono, stavano per lanciarsi sopra di noi, ma una schiera di Angeli ci circonda e i diabolici lasciano le loro armi a terra, spaventati molti scappano ed altri si inginocchiano con noi dicendo: “La vostra fede è vera, noi crediamo!”. I cardinali e i vescovi si alzano e con un secchiello in mano pieno d’acqua battezzano i pagani, che erano inginocchiati e tutti gridano: “Evviva Maria Vergine della rivelazione che ci ha mostrato Gesù il Verbo che ha salvato l’umanità”: noi con la Vergine si continua a pregare e le campane di San Pietro suonano a festa, mentre esce il Papa.” Il veggente Cornacchiola disse nel 1947 che altri pochi papi ci saranno sul trono pontificio; l’ultimo, un santo, amerà i suoi nemici; mostrandolo, formando l’unità d’amore, vedrà la vittoria dell’Agnello.

(nota del redattore) <E’ bene affidarsi al Cuore umano e divino di Gesù Eucaristia>

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SANTA VITTORIA IN MATENANO nel libro di DARIO ROSSI 2004: Note di storia locale 1799-1950 indice alfabetico dei temi nei secoli

Rossi, Dario, “Santa Vittoria in Matenano – Note 1799-1950”,

 ed, Sfera 2004

Acque 196

Agricoltura 212

Ancona 1799 14

Anno1860 p. 153

Arte – opere303

Arti e mestieri 250

Asilo Infantile 283

Associazioni 285

Banca depositi e prestiti 322

Banda musicale 310

Benedettine. monastero 319

Bersaglieri pontifici 42

Bibliografia 422

Caduti – lapide 384

Caffè comunale 267

Campane a S. Francesco 117

Campanile della chiesa di S. Maria 69

Campo boario 382

Campo sportivo 398

Caporetto 383

Cappellone 194

Cappuccini 130

Carceri mandamentali 291

Carestia del 1816.1817 p.27

Caserma dei bersaglieri 44

Cassa di risparmio agricolo 330

Castello per l’orologio 99

Ceri – offerta 12

Chiesa della Resurrezione 119

Chiesa di S. Maria della Valle 67

Chiesa di S. Salvatore 151

Chiesa: Madonna degli Angeli 84

Chiese e il clero 178

Cholera Morbus 58

Cimitero nuovo 189

Cisterne 40

Cittadinanza onoraria 406

Clero 178

Confraternite 93

Conventi di S: Agostino e S. Francesco 189

Coscrizione militare 34

Croce e calice  306

Culto e tradizioni 82

Delegato papale (1847)  134

Divertimenti 167

Emigrazione 340

Ferrovia 231

Festa dell’uva 405

Feste per il centenario 331

Festeggiamenti del 1843 79

Fiere 112

Filodrammatica 340

Filodrammatica 345

Fonte del Latte 397

Fonti 39

Forno comunale 23

Fotografo 328

Geodetica 260

Gregorio XVI 86

Guardia civica 91

Guardia Nazionale 164

Guardie municipali 288

Guerra d’indipendenza-terza 191

Guerra mondiale2a. 407

Igiene e sanità 299

Illuminazione elettrica 364

Illuminazione notturna 182

Insorti e morti nel 1831 p.48

Internati 409

Lamponi Filippo 308

Lana 37

Macello comunali 23 e 25

Medici e l’arte sanitaria 201

Mercati 132

Millenario – S. Vittoria324

Misure 133

Mostre agricole 376

Mulini 126

Mura Castellane 53

Napoletani insorgon 1799 15

Numerazione civica 245

Opere pie 100

Opere pubbliche 73

Oratori

Oratorio di S Marco 124

Organo della chiesa di S. Agostino 255

Orologio della piazza 71

Ospedale nuovo 337

Palazzo comunale 160

Parco della rimembranza 387

Passeggiata 381

Patrioti Lamponi 170

Patronati 285

Pesi e misure 133

Piazza Vittorio Emanuele II 261

Piazzale di Sant’Agostino 265

Pio IX 86

Porta dei Cappuccini 113

Porta di Sant’Ippolito e Cassiamo 238

Poste italiane 217

Poste -messaggeria 295

Pretura 361

Pro infanzia -comitato 386

Repubblica 2a romana (1849) 63

Repubblica italiana 419

Repubblica romana (1797) p.9

Rivoluzionario 32

S. Vittoria- centenario martirio 418

Sanità 198

Sanità 299

Santa Vittoria-toponimo 173

Scuola 270

Scuola media 416

Seta 37

Sfollati 409

Sicurezza pubblica 1800 20

Società operaia 332

Spettacoli teatrali a S.Vittoria 353

Sport 337

Statuto – festa 215

Stemma del Comune 175

Strada suburbana 228

Teatro – teatro 183

Teatro 346

Teatro pitture 186

Telefono 395

Telegrafo 221

Territorio e popolazione 144

Tiro assegno 225

Toponomastica cittadina 242

Torre del palazzo 207

Torre della collegiata 377

Torre di S. Francesco 257

Tradizioni e culto 82

Tranvia elettrica 379

Trasporti 388

Truppe austriache 1800 18

Vaccinazione 97

Ventennio 400

Viale della passeggiata 381

Vicoli – chiusura 51

Vie di comunicazione 136

Vincenzo Taccari 179

Vittorio Emanuele III- nascita 253

Volontari 146

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Curiosità di storia di Fermo e del Fermano in epoca anteriore all’era cristiana tra i Greci e i Romani. Gabriele Nepi autore 1996

 ERA avanti Cristo anni a ritroso dai più antichi ai più recenti

Secolo X a.C. – E si formarono i Piceni, popolo forte e civile

Questa di oggi è la pagina più genuina e più splendida della nostra storia, della storia picena, perché oggi (come si è fatto ininterrottamente da secoli) si celebra la venuta dei Piceni. È la sagra di Sciò la Pica, fatta slittare alla data odierna dai referendum (si celebra sempre il giorno di Pentecoste), sagra che tuttavia viene celebrata con tutta la magnificenza delle edizioni passate, con tutto l’entusiasmo di sempre. Ab immemorabili ha luogo a Monterubbiano, dove oggi si danno ideale convegno i Piceni provenienti da ogni parte della regione, quasi a vedere o rivedere la culla della loro origine.

Vennero gli antichi piceni della Sabina, guidati da un picchio (pica ave duce). Attraversarono la faglia di Arquata; sciamarono lungo il Tronto e si diressero a nord e a sud di esso, ponendo ivi le loro dimore. Così nacquero Firmum Picenum, Potentia, Interamnia (Teramo). Atri. Asculum Picenum, etc. I nuovi venuti adempivano al voto di “Primave-

ra Sacra” (voto vere sacro). E ciò non è leggenda! Una pleiade di autori classici, greci e latini, parlano di essa. Sono Strabone, Eusebio di Cesarea, Diodoro Siculo, Tito Livio, Silio Italico, Festo Rufo, Paolo Dia¬cono, quasi tutti vissuti prima di Cristo. Dei Piceni parlano inoltre Orazio, Giovenale, Marziale etc. Popolo valoroso e guerriero, tenne testa e più volte, a Roma specialmente durante la Guerra Sociale (quest’anno ricorrono 2080 anni!). La loro civiltà fu splendida: la loro facies culturale, stupenda; la loro arte, meravigliosa! Mentre scriviamo, non possiamo non pensare a quanto diciamo di loro in un’opera storica di imminente pubblicazione e focalizzata a Colli del Tronto, i cui reperti piceni faranno conoscere aspetti sconosciuti di tale civiltà.

Monterubbiano, antico centro piceno, ricorda oggi come ha fatto da secoli, la loro venuta. Da alcuni giorni garriscono sulle torri monterubbianesi vessilli ed orifiammi, oggi, in un tripudio di sole, di colore, di canti, si rievoca quella venuta, mentre il clangore delle chiarine, gli squilli delle campane, il rullo dei tamburi conferiscono alla celebrazione, mista di sacro e profano, un entusiasmo possente ed eloquente, una esaltazione della nostra stirpe. Le quattro corporazioni (Bifolchi, Mulattieri, Artisti, Zappaterra), sfileranno nei loro variopinti paludamenti, su focosi destrieri, accompagnati da splendide dame e damigelle da con-fratelli.

     “Poiché Iddio potente viene placato con l’omaggio ed il culto dei Santi, e poiché per intercessione della beata Vergine del Soccorso la nostra Monterubbiano continui ad essere assistita dalla fortuna, cresca in dimensione, aumenti in prosperità, stabiliamo che, annualmente, arrivando la festa, i Magnifici priori, insieme al Podestà, provvedano a rendere noto nelle località consuete e con le modalità solite che tutti, sia maschi che femmine, si raccolgano nella piazza di Santa Maria dei Letterati, per poi procedere in solenne processione alla volta di Santa Maria del Soccorso insieme ai magnifici Priori, Podestà, ai Salariati, a Sacerdoti, Chierichi e ai loro pari grado. E un Monterubbiano d’Argento sia portato da un famiglio ed ognuno porterà le candele accese che verranno date in elemosina a S. Maria del Soccorso”. Così i patrii Statuti!

     Andiamo a Monterubbiano ad assistere a Sciò la Pica. Sarà un ritorno alle sorgenti, alle fonti primigenie della vita, alla georgica contemplazione della Natura. Gli spiriti degli antichi nostri padri, aleggeranno all’intorno, rievocando la loro venuta, guidata dal Picchio che diede il nome alla Regione (unde nomen genti!).

Anno c. 752 a.C. – Lucio Taruzio e il Natale di Roma

      “Sole che sorgi libero e giocondo / sul colle nostro i tuoi cavalli doma / Tu non vedrai nessuna cosa al mondo / maggiore di Roma”.

     Così si cantava un tempo e spero di non essere tacciato di “nostalgia”; se mai, potrei esserlo di “classicismo”, perché tale inno non è una peculiarietà del ventennio, ma opera del poeta latino Orazio vissuto molti secoli prima, Alme sol… possis nihil Urbe Roma visere maius Lo ricordo in occasione della ricorrenza del 21 aprile, Natale di Roma.

     Noi datiamo i nostri atti dalla nascita di Cristo; ma nell’antichità il tempo era scandito in vari modi: dalle Olimpiadi, che cadevano ogni 4 anni; c’erano poi gli anni del Consolato; l’era di Diocleziano; l’era della fondazione di Roma; le indizioni ecc…

Nel periodo prima di Cristo, gli storici datavano fatti ed eventi ab Urbe condita, cioè dalla fondazione di Roma, avvenuta nel 753 avanti Cristo. Nel fissare tale data, un nostro “concittadino” fermano, Lucio Taruzio, svolse il molo più importante. Già Catone il Vecchio si era interessato di fissare il giorno della nascita di Roma, facendolo risalire al 752 a.C.; Varrone invece, con l’approvazione di illustri storiografi, quali Plinio il Vecchio, Tacito, Dione ed altri, la fissò al 21 aprile, su indicazione di Lucio Taruzio.

     Ce lo dice Plutarco nella “Vita di Romolo”, scritta in greco, ove si dice anche che il natalis urbis si identificava con la festa delle Palilie. Chi toglie ogni dubbio (se dubbi ci fossero), è nientemeno che Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro 2, cap. XLXVII del De divinatione, dice testualmente: “Pure Lucio Taruzio di Fermo, amico nostro, uomo molto erudito nelle arti d’astrologia, faceva derivare il giorno natalizio della città, dalle feste di Pale. Si narra che Romolo la fondò durante tali feste. Taruzio affermava che Roma venne fondata quando la luna era nella costellazione della Bilancia e non esitava a cantare le imprese del fondatore”. L. Tarutius firmanus, familiaris noster, in primis caldaicis rationibus eruditus Urbis edam nostrae natalem diem repetebat ab ipsis Palilibus, quibus etiam a Romulo conditam accepimus ecc.

     Successivamente, con Dionigi il piccolo, si incominciò a datare atti e documenti partendo dalla nascita di Cristo; anche se i calcoli su ta¬le data non sono perfetti, tuttavia fu adottata universalmente.

     Particolare curioso: l’era della fondazione di Roma, tanto usata dagli storici, non venne adoperata dai Romani nella datazione di leggi ed atti pubblici, ma soltanto nelle liste e nei fasti consolari. A Fermo, una via dedicata a Lucio Taruzio. ricorda ai posteri colui che fissò al 21 aprile il Natale di Roma, caput mundi.

Anno 536 a.C. – I Fermani a scuola di Pitagora nella Magna Grecia

     Da poco è ricominciato l’anno scolastico; si “torna al lavoro usato”. Ovunque si respira aria di studio e di cultura.

     Fermo, “città degli studi” o “degli studenti”, ogni mattina è invasa da folle di giovani e si perpetua così una tradizione di apprendimento e di cultura, viva sin dal sec. VI avanti Cristo.

     Lo scrittore greco Diogene Laerzio (III sec. d.C.) (da non confondere col “Diogene di Lubrano”), nella sua poderosa opera: “Vita e sentenze dei più illustri filosofi e compendio breve delle opinioni di ciascuna setta”, afferma che durante la 60a Olimpiade, cioè 536 anni prima di Cristo, nella Magna Grecia, a Crotone, affluivano cittadini di varie parti d’Italia per imparare da Pitagora (allora trentacinquenne) la filosofia, le lettere greche e la medicina. Fra essi vi erano dei cittadini di Fermo (Vita di Pitagora, libro 8). Ciò è confermato da Giacinto Gimma in “Idee della Storia dell’Italia Letterata” (1723).

     A tali Fermani interessava la conoscenza della filosofia e, ovviamente, della lingua greca, talché poi parlavano e scrivevano corretta- mente e correntemente sia il greco che il latino. Vos exemplaria graeca nocturna versate manu versate diurna, dirà poi Orazio nell’Arte Poetica: consultate notte e giorno i modelli greci!

     Dell’apprendimento e della conoscenza del greco, sono rimaste tracce nel dialetto del contado fermano,- dovute ai traffici commerciali con la Grecia e la Magna Grecia e per la tradizionale conoscenza bilingue (greca e latina) dei Fermani. Così abbiamo mattara cioè la madia dal greco mattra; gramarò (mestolo) dal greco cammaros; cutumu (stivale) da còtornos; fratte (siepi) da frattei; naulu (pigione noleggio) da naulos; téca (baccello): una téca de fava oppure di piselli da teke; fitturu (cavicchio per far buchi nel terreno per piantagioni) da fiteuo, cioè piantare, etc. Ciò per non parlare delle voci dotte di cui è piena la nostra lingua: ritmo: greco: rithmos; prosopopea gr. prosopopoia; ittico da ictùs: pesce, etc.

     Anche nello Studìum Generale di Fermo, fondato nell’anno 825 da Lotario I, era in auge lo studio del greco. Qui si dovevano recare per studiarlo tutti quelli del Ducato di Spoleto, oltre che dalla Marca Fermana. Tale studìum, potenziato nel 1398 ed elevato a rango di vera e propria università (quando le odierne università di Urbino, di Camerino, Macerata non erano ancora nate) tenne in auge lo studio del greco e ciò fino al 1827. Oggi a Fermo prosperano ben due licei classici, “A. Caro” e “Paolo VI”, parificato e, nonostante certi ostracismi governativi, in tutta Italia la lingua greca… vive e prospera.

     Gli studenti che si cimentano nelle scuole fermane nell’apprendimento della lingua greca, sappiano che le radici di tale studio risalgono a Pitagora, quello che ci ha fatto tribolare con la Tavola Pitagorica e col Teorema che un mio professore di matematica aveva così formulato: “Per consolarti il cuore la scienza ha la sua musa. / Pitagora ti dice con me con me ripeti / Il quadrato costrutto sopra l’ipotenusa / è somma dei quadrati costruiti sui cateti”.

     Non era certo un’ode di Pindaro o una anacreontica, ma serviva per ricordare…

Anno c. 220 a. C. – Colli di anfore

L’articolo della settimana scorsa su Madonna Manù ha suscitato interesse, specie tra i turisti e villeggianti dei campings che costellano la nostra riviera, da Porto Sant’Elpidio a Cupra Marittima. Molti hanno telefonato; qualcuno ha scritto chiedendo ulteriori notizie; qualcu¬no è venuto a trovarmi. Diversi si sono recati a vedere la chiesina romanica, specie quelli del camping Mirage, il più vicino.

L’occasione è propizia per tornare sull’argomento e per dire che proprio nella zona del Mirage (Fosso S. Biagio) il sottosuolo è pieno zeppo di anfore romane. Già dal tempo di Augusto (se non prima) esistevano qui delle fornaci. Gli sbancamenti di terra, operati dalle ruspe quando è stata costruita l’autostrada, hanno portato alla luce parte del¬l’area archeologica. Letteralmente “scapitozzate” dal lavoro di livellamento dei mezzi meccanici, affiorarono per largo tratto numerosissime anfore vinarie con incise c.lu ply, marchio della “impresa” o famiglia Poli. Intorno, resti di focolari di cottura. Ne furono scavate oltre cento; erano tutte bene allineate, dalle anse eleganti, piede ad imbuto rovesciato per fissaggio sulle navi da trasporto. Zona archeologica quindi, quella di S. Biagio e vicinanze e componente non trascurabile di turismo culturale che si va affermando, perché il villeggiante, oltre al mare, al sole ed al paesaggio, vuole conoscere, vuole imparare. Qui poi abbiamo cultura che spazia verticalmente e orizzontalmente: ancore nel sottosuolo; in alto, i resti della chiesa e del castello di S. Biagio; sopra il camping Riva Verde, sorgeva la chiesa farfense di S. Angelo Vecchio; nel centro di Altidona, il castello di Garzania, tutti nominati, come detto, nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino. Ma c’è di più.

     Procedendo verso sud, cioè verso Pedaso, ma sempre in territorio di Altidona (che sulla costa si estende dal fiume Aso al Fosso di S. Biagio), nell’area dove sorge ora Altidona Marina, fu rinvenuta nel 1900 una statua di Esculapio di fattura greca, risalente al III secolo avanti Cristo, ora “emigrata” in Francia. Poco sopra, in località Villa Montana prospiciente il mare, si ammira tuttora una costruzione romana a seminterrato. Sembra servisse per la conservazione delle derrate alimentari al tempo delle guerre puniche. Tutt’intomo. vennero alla luce anfore, suppellettili ed oggetti vari, di epoca romana ed alcune la¬pidi riportate da Teodoro Mommsen nel volume Inscriptiones Calabriae, Apuliae Samni, Sabinorum, Piceni, stampato a Berlino nel 1883.

Anno 217 a.C. – Annibale si riposò nel litorale Piceno

     Era il 21 giugno del 217 avanti Cristo! Oggi si compiono 2204 anni! Tale data ce la indica Ovidio nei Fasti, dove si parla della battaglia e della sconfitta romana al lago Trasimeno.

     Era una mattina nebbiosa; presso il Trasimeno 40.000 Cartaginesi accerchiarono ed annientarono il romano Flaminio ed il suo esercito, avventuratisi sconsideratamente, e contro il parere dei tribuni, in un terre- no circondato intorno da truppe cartaginesi. I Romani attaccati in testa, di fianco e di spalle, non ebbero modo di difendersi e ne sega: un orrenda carneficina. “I caduti romani furono oltre 10.000 e molti prigionieri” racconta Tito Livio. Fra i caduti, lo stesso comandante Flaminio. trafitto dalla lancia di un soldato gallo di nome Ducasio. I Cartaginesi lasciarono sul campo solo 1.600 fra morti e feriti. La vittoria punica era schiacciante!

     Tale battaglia (cui accenna anche Carducci ne “Le Fonti del Clitunno”) ci interessa per le implicanze che ne derivarono e per il fatto che Annibale, anziché dirigersi verso Roma, come era da prevedere, venne nel nostro litorale piceno: “Annibale si diresse verso il Piceno, abbondante di ogni ben di Dio e di ghiotta preda di cui avidamente si impadronirono le sue truppe”. Così Tito Livio (A.U.C. XXII) e Polibio Storie, lib. Ili, 85). Il viaggio durò 10 giorni, perché i Cartaginesi a mala pena riuscivano a trasportare il bottino di cui si erano impadroniti. “Giunte le truppe nel litorale piceno, Annibale le fece riposare: ristorò i soldati con cibi squisiti e con del vino vecchio, di cui tale era l’abbondanza che ci lavò persino le zampe dei cavalli per guarirli dalla scabbia” (Polibio, ibidem 88).

     Secondo una consolidata tradizione e secondo le indicazioni di Tito Livio e Polibio, l’area di sosta di Annibale doveva essere tra Cupra e Potentia. Lo ricorda il toponimo “Campo di Annibale” che fa eco alle “Gorghe di Annibale”, toponimo che indica il luogo dello scontro al Trasimeno. Per dare una indicazione più sicura, potremmo dire che il Cartaginese sostò in un’area territoriale che corrisponde alla fascia marittima della attuale Diocesi di Fermo. Infatti, dal Piceno Annibale spedì navi a Cartagine per annunciare la vittoria; ma porti attrezzati, in quel tempo, all’infuori del Navale Firmanum non ve n’erano. Dal contesto della narrazione di Polibio, che parla di “piccole tappe”, “Annibale si mosse a piccole tappe attraverso le terre Pretuziane (odierno Teramano) e la città di Atri. Poi i Marruccini ed i Frentani…”, si evince che il viaggio ebbe inizio dalla nostra zona, altrimenti Polibio avrebbe descritto altre areee geografiche od altre località.

Dopo questo trionfo e quello dell’anno successivo a Canne, Annibale verrà sconfitto dai Romani a Zama (202 a.C.). Dopo tanta gloria nel 183 a.C. si toglierà la vita col veleno per non cadere in mano ai Romani.

Anno 216 a.C. – Morirono da eroi a Canne per essere fedeli a Roma

     I corpi dei soldati caduti giacevano inerti, sparsi ovunque sul campo di battaglia ed il sole dardeggiante ne favoriva la celere decomposizione. La località presentava un aspetto apocalittico. I Cartaginesi, vincitori, si aggiravano per il campo cercando di individuare qualche commilitone caduto. Siamo a Canne all’indomani della famosa battaglia. Nella pianura, il 2 agosto 216 a.C. si era svolta la famosa battaglia. Sono passati 2108 anni!

     I Romani, forti di 80.000 fanti e 4.000 cavalieri (alleati compresi), si erano scontrati con il Cartaginesi il cui esercito consisteva in 40.000 fanti e 10.000 cavalieri. Al loro comando, c’era il terribile Annibale. I Romani erano comandati dai consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. Il genio militare di Annibale rifulse ancora una volta: con una mossa a tenaglia, aveva circondato le truppe romane facendone un’orrenda carneficina. I morti romani ed alleati erano 25.000 (Polibio però parla di 70.000; Tito Livio di 45.000); i prigionieri diecimila. I Cartaginesi ebbero soltanto 6.000 morti.

     Fermo ed il Fermano in questo periodo storico ebbero una parte non certo di secondo piano. Già nella prima guerra punica avevano fornito marinai per la flotta di Cajo Duilio ed Attilio Regolo. Ora, nella seconda guerra punica, mentre varie colonie latine si erano rifiutate di inviare contributi in truppe e denaro, Fermo fu tra le diciotto colonie che inviarono sostanziosi aiuti, opponendo a sua volta fiera resistenza ad Annibale sceso nel Piceno. E di ciò fa fede Tito Livio (XXVII, 10). Alla battaglia di Canne erano presenti i soldati fermani che si batterono a fianco di Roma; oltre a loro altre truppe picene. Ce lo ricorda Silio Italico, poeta latino, il quale ci descrive una fase della famosa battaglia… “Curione tremendo per le squame e la cresta equina… sprona gli abitanti della terra picena. Qui vedi i coltivatori dei campi della sassosa Numana e quelli i cui altari fumano nel litorale di Cupra, nonché quelli che difendono le torri sul fiume Tronto. Sta in armi Ancona, celebre come Sidone nel tingere la porpora. Sta in armi Atri, bagnata dal Vomano e lo spietato portabandiera Ascoli… Una volta, come narra la tradizione, la terra era dominata dai Pelasgi sui quali regnava Asi, che lasciò il nome al fiume e da lui i popoli vennero detti Asili”. Chiaro riferimento al fiume Aso e non, come taluno vuole, all’Esino che definiva soltanto il confine nord del Piceno. Oggi turisti e bagnanti, che si godono le vacanze tra S. Benedetto del Tronto e Porto Sant’Elpidio, ricordino che 2108 anni or sono, dalle varie località del litorale, dove fumavano gli altari per i sacrifici offerti alla dea Cupra (et queis litorae fumant altaria Cuprae), partirono per Canne soldati Piceni a combattere a fianco di Roma e morirono da eroi sul campo per mantenere fede all’alleanza romana. Da allora venne coniato il motto Firmum firma fides Romanorum Colonia: Fermo ferma fedeltà colonia dei Romani.

Anno 191 a. C. – Il valore dei Fermani alla battaglia delle Termopili.

     “… E sul col dell’Antela, dove morendo / si sottrasse da morte il santo stuolo / Simonide salìa… Beatissimi voi / che offriste il petto alle nemiche lance / … voi che la Grecia cole e il mondo ammira.”

     Così il nostro Leopardi, celebrando l’eroismo di Leonida e dei 300 Spartani, immolatisi alle Termopili, combattendo contro lo sterminato esercito di Serse.

Nei secoli risuona: “O viandante va’ e annuncia a Sparta, che noi siamo qui morti per obbedire alle sue leggi”.

     Tali leggi, infatti, non consentivano al soldato, impegnato nella difesa di una posizione, di ritirarsi per aver salva la vita. Era il 480 avanti Cristo!

      Ma le Termopili furono teatro di un altro scontro, nel quale rifulse il valore dei Fermani, contro l’esercito di Antioco III, Re di Siria. Questi, alla testa di un potente esercito (c’erano anche elefanti e poderose macchine da guerra) attaccò i Romani, inferiori di numero e di mezzi. L’esercito romano che era comandato dal Console Acilio Glabrione, coadiuvato dai tribuni Lucio Valerio Fiacco e Marco Porcio Catone, doveva mandare avanti un “commando” per conquistare un valico strategico. Era impresa altamente rischiosa e difficile. Per riuscire, occorreva un ardito colpo di mano. Conoscendo il valore e l’audacia dei Fermani che militavano nel suo esercito, chiamò a sé un reparto di essi e tentò l’impresa.

     Sentiamo cosa ci narra in proposito nelle Vite Parallele lo storico greco Plutarco, vissuto al tempo di Traiano: Chiamati a sé i Fermani di cui conosceva la virtù e il valore, disse loro: “Desidero avere vivo un soldato nemico per sapere quanti sono, quale la loro strategia, il loro armamento”. Catone aveva appena detto ciò, che i Fermani si precipitarono nell’accampamento avversario, seminando terrore e mettendo in fuga i nemici.

     Presero un soldato e lo condussero a Catone. Questi fornì utili informazioni sulla consistenza nemica. Grazie al colpo di mano dei Fermani, i Romani vinsero.

Antioco fuggì lasciando sul campo numerosi morti e feriti. Moltissimi furono i prigionieri: del suo esercito di oltre 8.000 uomini rimasero solo 500 soldati.

Altri eventi bellici ebbero luogo alle Termopili: a) nel 279 a.C. la battaglia fra Greci e i Galli di Brenno; b) nel 1821, durante la guerra per l’indipendenza della Grecia 18.000 Turchi sono sconfitti da soli 2.500 Greci; c) nel 1941 (notare la periodicità dei numeri 191-1821- 194 L1991) vi si combatte fra Tedeschi e Anglo-Greci con la vittoria dei primi. Ma su tutti i fatti d’arme, spiccano l’eroismo di Leonida ed il valore di quel pugno d’audaci, tutti Fermani, la cui impresa fu determinante per la vittoria romana.

     Da quell’annoallora 191 a.C. sono trascorsi oltre 20 secoli. Da allora, accanto alla gloria di Leonida (che rifulgeva già da 300 anni), brilla anche quella dei Fermani. La storia ne ha tramandato la fama attraverso i secoli, fama che – sebbene in misura diversa – “ancor nel mondo dura / e durerà quanto il mondo lontana” (Inferno, II, 60).

Anno 89 a. C. -Catilina e Cicerone 17 novembre dell’89 a. C.

     Era il 17 novembre dell’89 a.C. Gneo Pompeo Strabone, generale romano, si trovava con quattro legioni all’assedio di Ascoli.

     Si stava per compiere l’ultimo “atto” della guerra sociale, iniziata due anni prima. Gli Italici (Vestini, Marsi, Marruccini, Sanniti, Irpini, Frentani, Peligni) ed Ascoli, erano insorti contro Roma. Essi con forza reclamavano la cittadinanza romana e la loro “insurrezione” aveva scopi separatistici ed autonomistici. I Pretuzi, cioè i Teramani non vi partecipavano. Ascoli era isolata all’interno della Regione picena, in quanto Fermo era rimasta fedele a Roma; Ancona si disinteressava.

     Roma inviò subito un esercito al comando di Gneo Pompeo Strabone (padre di Pompeo Magno) per reprimere l’insurrezione e dare una lezione ad Ascoli. La si voleva punire per prima, avendo essa scatenato la rivolta. Gli Italici ed i Romani, arruolarono subito i rispettivi eserciti, forti di circa centomila uomini ciascuno. Ad un primo scontro, avvenuto presso Falerone (e non a Falerno come erroneamente sostiene Laffi (Asculum I – pag. XXV) le truppe romane sono sconfitte dagli insorti comandati da Gaio Vidacilio, Tito Lafrenio, Publio Ventidio. Strabone ed il suo esercito si rifugiano a Fermo, che viene circondata d’assedio da Lafrenio. Tale assedio, si protrasse dalla primavera all’autunno del 90 a.C.

Roma mandò rinforzi che presero gli assedianti alle spalle. Strabone allora tentò una sortita e gli Italici, presi tra due fuochi, o meglio tra tre fuochi, per un incendio fatto scoppiare nei loro accampamenti, fuggirono terrorizzati, lasciando sul campo il loro comandante Lafrenio, ferito in combattimento.

     “Nullo militari ordine carpentes iter” dice lo storico Appiano Marcellino (1, 47) cioè in disordine, si rifugiano in Ascoli e da assedianti passano ad essere assediati. I Romani infatti, iniziano l’assedio che durerà circa un anno. Gli insorti opposero lunga resistenza. Ad un certo momento per ingannare i Romani, dislocarono sugli spalti delle mura donne e vecchi per dare ad intendere che erano allo stremo e tentarono quindi, ma senza esito, una sortita. Così narra Frontino (III, 17).

Ma alla fine, Ascoli cadde e il 25 dicembre dell’89 a.C. Strabone celebrò il trionfo de Asculaneis Picentibus cioè sugli Ascolani Piceni. Ma in questa vicenda è emerso un fatto nuovo finora sconosciuto e sfuggito agli storici della guerra sociale.

Nel 1908, il Prof. Giuseppe Gatti di Roma, ebbe casualmente notizia di un frammento epigrafico di bronzo, in possesso di un privato. Ne diede notizia ad Ernesto Nathan, in quel tempo presidente della commissione archeologica italiana, nonché sindaco di Roma. Era l’editto di concessione della cittadinanza romana alla turma salluitiana, cioè ai trenta cavalieri spagnoli che militavano nell’esercito romano all’assedio di Ascoli. Oltre alla cittadinanza, Strabone conferiva onorificenze militari a tale turma.

     Due anni dopo, nel 1910, fu scoperto il secondo frammento della lamina, frammento che combaciava perfettamente col primo (misure cm. 52×28). Dall’esame comparativo dei due pezzi (che si seppe poi erano stati rinvenuti durante i lavori di sterro sotto il Campidoglio), vennero fuori oltre ai nomi dei cavalieri spagnoli, anche quelli del consilium cioè dello staff del contingente militare romano.

Viene nominato innanzi tutto il consul Pompeo Strabone, eletto a tale carica il l2 gennaio dell’89 a.C. per cui fu sostituito per breve tempo al comando dell’assedio da Sex J. Cesar e poi da C. Bebio. Veniva-no poi: 5 legati, un questore; 16 tribuni militum; 33 equites, cioè cavalieri (in gran parte del Piceno) e 4 centurioni primipli.

     Il documento, ora sotto bacheca nei Musei Capitolini, porta la data del 17 novembre (oggi ricorrono 2.082 anni) ed è rilasciato in castreis (sic!) apud Asculum cioè negli accampamenti presso Ascoli.

     Esso ci fa conoscere una presenza importante. Fra gli equites c’è Lucio Sergio Catilina, che aveva appena 19 anni. Egli passerà poi alla storia, a motivo della famosa congiura (63 a.C.), contro cui tuonò Cicerone nella celebre invettiva “Quousque tandem Catilina abutere patientia nostra?”. Fino a quando Catilina abuserai della nostra pazienza?

     Ma in tale assedio, oltre Catilina, che la lamina ci dice appartenente alla tribù tromentina, c’erano (come accennato), anche il figlio di Strabone, il futuro Pompeo Magno appena diciasettenne e Cicerone e, come noto, sventò la congiura di Catilina. La presenza di Cicerone non è indicata nell’editto del 17 novembre a.C. ma ce ne parla lui stesso nella Filippica XII. Infatti prima dell’ultimo assalto, gli Italici mandarono ai loro, truppe di rinforzo al comando di Vezio Scatone. Questi propose a Strabone un abboccamento. Risparmiare un ulteriore spargimento di sangue; ma né il senato italico né quello romano approvarono e fu l’ultimo scontro.

Più tardi, dopo 40 anni, precisamente nel 49 a.C. sarà pure presente Caio Giulio Cesare il quale dopo aver preso Fermo e dopo una sosta a Castro Truentino (zona di S. Benedetto del Tronto) si diresse in Asco¬li e vi si trattenne un giorno per fare rifornimento di frumento ibique (in Ascoli) unum diem rei frumentariae causa moratus. Così egli stesso afferma nel De Bello Civili, 1, XV.

Anno 79 a.C. – Prelibati i vini dell’Ager Picenus 

     Novembre… “per le vie del borgo / dal ribollir dei tini / va l’aspro odor dei vini / Vanime a rallegrar / … La notissima poesia carducciana così descrive questo periodo, in cui si beve il vino nuovo.

Il vino è un elemento che accompagna la vita deH’uomo. Se ne parla nella Bibbia (et vinum laetificat cor hominis), Odissea, etc.

     Plinio, morto durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., parla di vini d’Italia. Nel libro XIV, IV della sua famosa Naturalis Historia accenna a quelli della costa adriatica: ai vini pretuziani (area del Teramano), a quelli di Ancona ed a quelli Palmensi.

Andrea Bacci medico di Sisto V e famoso in tutto il mondo occidentale per l’opera De Naturali Vinorum Historia, de vinis Italiae (Roma 1596, Francoforte 1607), descrive l’area del Fermano come la più ricca di vini gustosi e prelibati. Era nativo di Sant’Elpidio a Mare, conosceva tutta Italia e l’Europa e non ha dubbi nell’indicare l’area fermana come la zona più ricca di vini a cominciare da Ripatransone, Acquaviva, Montegiorgio, Santa Vittoria in Matenano, Montelparo, Mon-tegranaro, Magliano, ma soprattutto Falerone i cui abitanti durante le invasioni barbariche si rifugiavano a Cupra Montana portandovi i loro vitigni. Oggi Falerone è la capitale del vino Falerio!

     Ma c’è di più: l’imperatore Diocleziano, morto nel 313 d.C., emanò un editto (Edictum Diocletiani) che altro non è, se non il calmiere dei prezzi dei cereali, delle merci di lusso, dei compensi per prestazioni d’opera. Vi sono indicati anche i vini. I più pregiati (quelli che oggi chiameremmo Doc) sono il vino rosso piceno (nominato per primo), il Tiburtino, il Sabino, l’Amminneo, il Saitino, il Sorrentino, il Falerno (ne parlano anche Orazio e Varrone). Ebbene dato che l’Ager picenus era a nord del Tesino (Plinio, Naturalis Hist 1333) il vino Piceno era prodotto proprio nella zona del Fermano. Lo stesso Diocleziano faceva esportare i vini da Civitanova e dintorni per la sua Dalmazia. Com’è noto, era di Spalato… E il vino piaceva anche a lui, e molto.

Anno 49 a.c. -Giulio Cesare, dal Rubicone al Piceno

     Fiumicino, nome conosciuto nel mondo per il suo aeroporto internazionale. Fiumicino, nome di un piccolo, esile torrentello, dal 1933 identificato, o meglio, riconosciuto ufficialmente, come l’antico Rubicone, noto in tutto l’orbe terracqueo. Era la tarda sera dell’undici febbraio del 49 a.C. e Caio Giulio Cesare lo attraversò in armi. Ciò significava contravvenire a quanto disposto dal Senato di Roma, cioè che nessuno lo potesse attraversare senza l’espressa sua autorizzazione. Costituiva infatti il confine tra l’Italia propria e la Gallia Cisalpina, confine che in precedenza – sembra al tempo dei Gracchi (II sec. avanti Cristo) – era rappresentato dal fiume marchigiano Esino. Cesare, in dispregio del divieto del Senato, che gli aveva ingiunto di licenziare le truppe, lo attraversò. ‘Il dado è trattò echeggia da secoli, anche se Cesare non disse proprio così, ma: ‘il dado sia tratto. Non “alea jacta est’’, ma “alea jacta esto”.

     Ce lo precisa l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e ce lo conferma il testo greco di Plutarco (Vita di Cesare e Pompeo). Cesare dunque, alla testa di un piccolo esercito varca il fiume. Erano solo 300 cavalieri e 5.000 fanti. Occupa successivamente Pesaro, Fano, Ancona, Osimo e tutto l’agro piceno, che gli si dà spontaneamente, anzi (è lui stesso che ce lo narra nel De Bello Civili, I, XV) tutte le “praefecturae” del Piceno lo accolgono con entusiasmo, compreso Cingoli, patria del suo luogotenente Tito Labieno (lo abbiamo ‘incontrato’ molte volte nel De Bello Gallico) ora passato a Pompeo, che si mette ai suoi ordini.

     Da Osimo, Cesare marcia su Fermo, la occupa. “Recepto Firmo ex- pulsoque Lentulo”, ci narra Cesare stesso, cioè presa Fermo ed espulso Lentulo ordina una leva militare e poi ingrossato ulteriormente l’esercito, cui, nel percorso si erano aggiunti molti volontari, si dirige su Castro Truentino e quindi in Ascoli. A confermare la presa di Fermo ci dà una mano Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro Vili, 12 delle Lettere ad Attico riporta un passo della lettera di Pompeo al proconsole Domizio: “Hai avuto notizia che Giulio Cesare dopo essere partito da Fermo è venuto a Castro Truentino” (“quod audieris Caesarem Firmo progressum in Castrum Truentinum venisse” ).

     Giulio Cesare non dice altro; del resto, non nomina nemmeno il Rubicone ce ne parlano altri storici. Dopo la icastica frase “recepto Firmo” (presa Fermo) e dopo aver accennato alla leva militare, scrive che si re¬ca in Ascoli, dove si trattiene un giorno per fare rifornimento di frumento (rei frumentariae causa) e poi prosegue per Corfinio. Il dado gettato 2039 anni or sono, l’undici febbraio, ci ricorda che per l’identificazione del Rubicone vi furono molte lotte. Chi sosteneva che fosse l’attuale Pisciatello in quel di Cesena; chi Fiumicino in territorio di Savignano (dal 1932 Savignano sul Rubicone); chi l’Uso nei pressi di Sant’Arcangelo di Romagna. Prevalse Fiumicino, dal 1933 ufficialmente “battezzato” Rubicone. Nel secolo passato si giunse persino a chiedere un pronunciamento a tal riguardo alla Sacra Romana Rota, ma, inutilmente.

Anno 49 a.C. -Giulio Cesare, dal Rubicone al Piceno

     Fiumicino, nome conosciuto nel mondo per il suo aeroporto internazionale. Fiumicino, nome di un piccolo, esile torrentello, dal 1933 identificato, o meglio, riconosciuto ufficialmente, come l’antico Rubicone, noto in tutto l’orbe terracqueo. Era la tarda sera dell’undici febbraio del 49 a.C. e Caio Giulio Cesare lo attraversò in armi. Ciò significava contravvenire a quanto disposto dal Senato di Roma, cioè che nessuno lo potesse attraversare senza l’espressa sua autorizzazione. Costituiva infatti il confine tra l’Italia propria e la Gallia Cisalpina, confine che in precedenza – sembra al tempo dei Gracchi (II sec. avanti Cristo) – era rappresentato dal fiume marchigiano Esino. Cesare, in dispregio del divieto del Senato, che gli aveva ingiunto di licenziare le truppe, lo attraversò. ‘Il dado è trattò echeggia da secoli, anche se Cesare non disse proprio così, ma: ‘il dado sia tratto. Non “alea jacta est’’, ma “alea jacta esto”.

     Ce lo precisa l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e ce lo conferma il testo greco di Plutarco (Vita di Cesare e Pompeo). Cesare dunque, alla testa di un piccolo esercito varca il fiume. Erano solo 300 cavalieri e 5.000 fanti. Occupa successivamente Pesaro, Fano, Ancona, Osimo e tutto l’agro piceno, che gli si dà spontaneamente, anzi (è lui stesso che ce lo narra nel De Bello Civili, I, XV) tutte le “praefecturae” del Piceno lo accolgono con entusiasmo, compreso Cingoli, patria del suo luogotenente Tito Labieno (lo abbiamo ‘incontrato’ molte volte nel De Bello Gallico) ora passato a Pompeo, che si mette ai suoi ordini.

     Da Osimo, Cesare marcia su Fermo, la occupa. “Recepto Firmo ex- pulsoque Lentulo”, ci narra Cesare stesso, cioè presa Fermo ed espulso Lentulo ordina una leva militare e poi ingrossato ulteriormente l’esercito, cui, nel percorso si erano aggiunti molti volontari, si dirige su Castro Truentino e quindi in Ascoli. A confermare la presa di Fermo ci dà una mano Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro Vili, 12 delle Lettere ad Attico riporta un passo della lettera di Pompeo al proconsole Domizio: “Hai avuto notizia che Giulio Cesare dopo essere partito da Fermo è venuto a Castro Truentino” (“quod audieris Caesarem Firmo progressum in Castrum Truentinum venisse” ).

     Giulio Cesare non dice altro; del resto, non nomina nemmeno il Rubicone ce ne parlano altri storici. Dopo la icastica frase “recepto Firmo” (presa Fermo) e dopo aver accennato alla leva militare, scrive che si re¬ca in Ascoli, dove si trattiene un giorno per fare rifornimento di frumento (rei frumentariae causa) e poi prosegue per Corfinio. Il dado gettato 2039 anni or sono, l’undici febbraio, ci ricorda che per l’identificazione del Rubicone vi furono molte lotte. Chi sosteneva che fosse l’attuale Pisciatello in quel di Cesena; chi Fiumicino in territorio di Savignano (dal 1932 Savignano sul Rubicone); chi l’Uso nei pressi di Sant’Arcangelo di Romagna. Prevalse Fiumicino, dal 1933 ufficialmente “battezzato” Rubicone. Nel secolo passato si giunse persino a chiedere un pronunciamento a tal riguardo alla Sacra Romana Rota, ma, inutilmente.

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