RITROVAMENTO DELLA TOMBA DI SAN PIETRO BASILICA Pio XII 1950 sintesi di mons. Igino CECCHETTI di Penna san Giovanni (MC)

In San Pietro al Vaticano. IL SEPOLCRO DEL PRINCIPE DEGLI APOSTOLI

“La Tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata”. (Pio XII, Radiomessaggio del Natale 1950)

L’ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA

Diciannove dicembre 1951: data memorabile nei fasti della Basilica Vaticana. In tal giorno fu presentato al Santo Padre il primo esemplare di quella pubblicazione che Egli stesso, a chiusura dell’Anno giubilare, nel Radiomessaggio natalizio, aveva annunziato al mondo (23 dicembre 1950).

La monumentale pubblicazione è in due volumi «in folio» — uno per il testo, l’altro per i rilievi d’insieme e le riproduzioni fotografiche dal titolo – “Esplorazioni sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949”, e sottotitoli «Relazione a cura di B. M. APOLLONJ GHETTI, A. FERRUA S. J., E. JOSI, E. KIRSCHBAUM S. J. – Prefazione di Mons. L. KAAS, Segretario-Economo della Rev. Fabbrica di San Pietro. — Appendice Numismatica di C. SERAFINI » (Città del Vaticano 1951).

Essa è di capitale importanza: illustra con ampiezza e con tutto il rigore della scienza storico-archeologica le decennali esplorazioni sotto l’Altare della Confessione, le quali, di fronte alla storia, conferiscono una caratteristica nota alla grandezza del Pontificato di Pio XII.

Le varie fasi e i singoli dati degli scavi lasciano comprendere quali accorgimenti tecnici e quali audaci e impensate provvidenze abbia richiesto l’opera eccezionale per mettere in luce e conservare monumenti che giacciono fino a circa dieci metri sotto il piano dell’attuale Basilica, sovrastati dalla immane mole dell’aerea Cupola Michelangiolesca e dal Baldacchino bronzeo del Bernini, e quasi oppressi dalle rispettive sostruzioni: monumenti cronologicamente e strutturalmente i più vari, che vanno dalle tombe del I secolo d. C. (fra cui quella dell’Apostolo) alla statua di Pio VI del Canova dinanzi alla «Nicchia dei Pallii ».

Felice per i risultati conseguiti, il Papa stesso rilevò, nella storica Udienza, come questi fossero « superiori a quanto scientificamente si poteva attendere in un’impresa che, fin dai primi giorni del Suo Pontificato, Egli promosse e costantemente volle attuare, nonostante le gravi difficoltà tecniche d’ogni genere e gli ostacoli derivanti dagli anni tormentati del conflitto mondiale; e che senza dubbio rappresenta ima scoperta archeologica unica negli annali della Chiesa, e la cui importanza storica e teologica non può sfuggire ad alcuno» (Osservatore Romano, 20 dicembre 1951).

« Una delle prime difficoltà incontrate — fa notare l’Ingegnere della Rev. Fabbrica di S. Pietro, FRANCESCO VACCHINI (cfr. «Ecclesia», gennaio 1952, pagg. 12-13) — fu la constatazione che i pilastri delle Grotte (sorreggenti quindi il pavimento della Basilica), costruiti nel Rinascimento, erano superficialmente fondati sopra il riporto costantiniano, ed il volere approfondire lo scavo entro questo riporto comportava di necessità la sottofondazione di detti pilastri fino alle argille vaticane, per una altezza di circa dieci metri. Prima di raggiungere tali argille s’incontravano inoltre abbondanti acque freatiche, che costringevano a lavorare, con l’ausilio di pompe, per qualche metro nell’acqua, ed imponevano speciali accorgimenti nelle murature per lasciare ad esse un libero deflusso. Per motivi di sicurezza statica queste fondazioni dovevano poi essere seguite a notevole distanza di tempo tra due limitrofe, il che obbligava a procedere ad imponenti opere di puntellamento temporaneo per poter fare avanzare lo scavo.

« Una particolare preoccupazione, tra le tante, fu destata, ad esempio, dalla sottofondazione della statua di Pio VI del Canova che si ammira dalla Confessione. Si trovò infatti che detta statua, corrispondente quasi al centro di un mausoleo [il mausoleo dei Malucci], era sostenuta da terre e da antichi sarcofagi che riempivano il mausoleo stesso, e si dovette operare sotto di essa senza poterla in alcun modo sostenere da sopra per non ingombrare la Confessione, e stando bene attenti che nessun danno, derivasse né alla statua stessa né ai preziosi rivestimenti marmorei della Confessione.

« I più vari mezzi tecnici, dalla muratura al cemento armato, dal calcestruzzo al ferro, furono usati per risolvere i singoli problemi che via via si presentavano, sempre tenendo conto contemporaneamente della sicurezza della Basilica superiore, che a prima vista avrebbe consigliato criteri restrittivi, e delle esigenze e desideri archeologici che spingevano a maggiori arditezze: e tutto ciò in mezzo alle calamità sempre più gravi dei tempi, che aumentavano le difficoltà, dalla deficienza dei materiali alla insufficienza dei trasporti, alle frequenti interruzioni di energia elettrica (inconveniente, quest’ultimo, ben fastidioso per chi doveva lavorare a dieci e più metri di profondità).

«Ma sotto l’assidua direzione degli architetti della Rev. Fabbrica — tra i quali il Prof. Giuseppe NICOLOSI e il Conte Enrico Pietro GALEAZZI furono i principali progettisti e ordinatori — e grazie alla abnegazione dei “sampietrini” addetti a questi lavori, fu possibile risolvere tutti i problemi e tutte le difficoltà presentatesi nel corso delle opere, con il consolante risultato di aver, da un lato, messo in luce e reso possibile lo studio accurato di un imponente insieme di monumenti, e dall’altro di poter avere la convinzione di avere migliorata in molti punti la statica stessa della Basilica ».

Si sono così ritrovati preziosi elementi per ritessere le vicende del Colle Vaticano, sia per quanto riguarda la sua configurazione e la sua rete stradale, sia per alcuni dei suoi importantissimi monumenti, quali il Circo Neroniano e l’adiacente necropoli romana.

Al tempo del martirio di San Pietro (64-67 d. C.), il Colle era un ordinario tratto di campagna, che saliva rapidamente sia da oriente ad occidente che da mezzodì a settentrione (si pensi al dislivello dell’attuale « cortile di San Damaso » e dei Giardini Vaticani dalla quota odierna dell’obelisco in piazza S. Pietro).

«Un buon numero di circostanze materiali — scrive il Padre FERRUA (La Civiltà Cattolica, 5 gennaio 1952, pag. 17) — concorrono nel farci pensare che la sepoltura del Principe degli Apostoli [ivi avvenuta, secondo la comune regola, presso il luogo del supplizio] non fosse una tomba appariscente, neanche munita di un cippo di travertino con la sua iscrizione, cosa che solo si poteva fare in un terreno di proprietà ben dichiarata. Tutte le tombe più antiche trovate in questo luogo erano appunto di questo genere per regola fatte di pochi mattoni ed embrici disposti in modo da ricoprire il cadavere sepolto dentro la terra, a pochissima profondità ».

Il sepolcreto, riapparso nel corso dei lavori, è precisamente formato di queste povere tombe, a inumazione, del I, II e III secolo, e da mausolei — spettanti a facoltosi liberti imperiali o a famiglie romane — ivi succedutisi numerosi verso la seconda metà del II secolo in poi, nei quali prevale l’uso della cremazione, tutti a stretto contatto fra loro, allineati su due file (da est ad ovest) nell’erto pendio del Colle, e disposti con ingresso a sud, verso la valle Vaticana, in prossimità del Circo.

Quindi, se da una parte le fortunate esplorazioni modificano precedenti ipotesi circa la topografia di questa zona della XIV regione augustea, dall’altra confermano inoppugnabilmente, con i dati positivi dei ritrovamenti archeologici, la tradizione antichissima dell’esistenza del sepolcro del Principe degli Apostoli sotto l’Altare della Basilica Costantiniana.

« Si è potuto finalmente conoscere — precisa il Prof. E. Josi nella sua conferenza stampa ai giornalisti in visita ufficiale agli Scavi, il 20 dicembre 1951 (L’Osservatore Rom., 22 dic. 1951 [2, 1]) — l’entità dei problemi che gli l’architetti costantiniani dovettero affrontare pur di costruire immediatamente sul sepolcro dell’Apostolo la grandiosa Basilica a cinque navate, e, sulla base degli avanzi superstiti, si sono potute controllare o correggere le indicazioni di Tiberio Alfarano, che descrisse la Basilica Vaticana alla fine del secolo XVI [cfr. Enciclop. Ital. ed Encicl. Cattolica, alle voci).

« Si è potuto in specie accertare l’origine della forma caratteristica della cripta semianulare, che trova la sua giustificazione nelle speciali condizioni della Basilica Vaticana col monumento sepolcrale dell’Apostolo, nel centro dell’abside.

« Per la storia medievale e rinascimentale della Basilica: la successione degli altari eretti sul sepolcro dell’Apostolo, del presbiterio primitivo e di quello rialzato in connessione con la cripta: gli avanzi della “pergula”, prima con sei e poi con dodici colonne a chiusura del presbiterio stesso, fino all’edificio bramantesco di protezione dell’altare e dell’abside costantiniana durante i lavori della nuova Basilica, e al muro divisorio eretto da Paolo III con la sua doppia scalea.

« Ma ogni aspettativa — rileva l’illustre Professore — fu superata dalla identificazione della Tomba, dove le spoglie dell’Apostolo vennero deposte dopo il martirio: un’umile fossa nella nuda terra sul declivio del Colle Vaticano. Essa venne poi circondata da altre tombe, pure praticate sul terreno; ma essa sola venne protetta con opere in muratura e con tre nicchie [delle quali una sotterranea] costituenti il “trofeo”, additato al Vaticano dal Presbitero Gaio verso l’anno 200. Una sua parete venne rinforzata con un muro, subito ricoperto dai graffiti di devoti: testimonianza inconfondibile della sua venerazione.

« Ivi pellegrini deposero il loro obolo, fino ai secoli più recenti. Costantino rivestì la memoria di marmi e colonne preziose, e la circondò con la sua imponente Basilica ».

«Gli scavi hanno dunque rivelato — conclude la Relazione ufficiale (voi. I, pag. 144, b) — quello che nessuno sospettava, cioè che la tomba del Principe degli Apostoli aveva avuto già prima di Costantino una propria sistemazione monumentale, la quale, nel corso di un secolo e mezzo, subì numerose modifiche e rinnovazioni che documentano chiaramente la continua venerazione concentrata in questo luogo.  Costantino non dovette ricercare la tomba di S. Pietro: questa era ai suoi tempi presente agli occhi di tutti, ed oggetto della più fiorente venerazione. La tomba stessa dimostrava, con la sua consistenza strutturale, la sua età veneranda e la sua lunga esistenza: dall’umile avello, che doveva una volta occupare il misterioso quadrato stretto tra le tombe circostanti, al monumentale “trofeo” a doppie piano additato da Gaio».

Il testo del polemista Gaio, riferito dallo storico Eusebio (Hist. eccl. II, 25, 7), « aveva fatto scorrere — osserva A. FERRUA — fiumi d’inchiostro dalle penne di archeologi e di storici del primitivo Cristianesimo; ma per quante se ne siano dette, non era ancora venuta fuori quell’ipotesi che tanto quanto si avvicinasse allo stato vero delle cose [quale ora è chiaramente emerso dagli scavi]. Il che vuol dire che anche questa volta la realtà ha superato l’immaginazione, come spesso suole avvenire » (in “La storia del sepolcro di S. Pietro”, « La Civiltà Cattolica» 5 gennaio 1952, pag. 28).

E a questo proposito l’insigne studioso fa due riflessioni a modo di conclusione, in risposta a quei critici, i quali ritenevano che «le origini del culto dei Martiri nella Chiesa di Roma fossero relativamente tarde », assegnandole ai tempi di Decio e Valeriano (metà circa del III sec.), e nello stesso tempo affermavano l’inesistenza del ‘martyrium’ — o edicola eretta sulla tomba di un Martire — « prima del periodo costantiniano »: asserzione, questa, che appariva vera anche dopo la recente opera del Grabar “Martyrium” (Parigi 1946), nella quale si raccolgono accuratamente da ogni parte tutti gli indizi dei più antichi santuari eretti in onore dei Martiri.

Ora invece — scrive il Padre FERRUA (ivi p. 29) — « è risultato dai nostri scavi che il culto dei martiri nella Chiesa Romana esisteva già nella seconda metà del II secolo. Ed era quello un culto proprio della Chiesa, quindi ufficiale, sebbene sia difficile precisarne ulteriormente la natura liturgica: ma era per lo meno simile a quello che più tardi ci è attestato per tutti e due gli Apostoli insieme “in catacumbas”, presso S. Sebastiano, della cui natura pubblica e liturgica nessuno muove dubbio. Nello stesso tempo abbiamo pure potuto mettere in chiaro l’esempio di gran lunga più antico di un ‘martyrium’ o edicola eretta sulla tomba di un martire… Da uno stato d’incertezza e di vaghe congetture siamo passati sul solido terreno dei fatti e della concreta realtà monumentale, con un salto in addietro di un secolo e mezzo.

Questi — oltre a un’ampia messe di osservazioni storiche, artistiche e topografiche — i principali risultati archeologici degli Scavi Vaticani, di straordinaria importanza per la storia del Cristianesimo.

LE FONDAZIONI COSTANTINIANE

Nella Sezione trasversale, da sud a nord, sotto il pavimento della Basilica di Costantino, all’altezza del ‘mausoleo dei Cetenni’, a quota superiore, c’è il pavimento della Basilica attuale, rialzata di circa 3 metri rispetto a quella della basilica primitiva.

Il sepolcro dell’Apostolo trovasi più indietro, e ad una quota più alta del mausoleo pagano che qui si vede attraversato dalla sezione: e precisamente alla quota che l’Imperatore assegnò alla sua basilica. Si comprende, con la configurazione del terreno, il grande lavoro che si richiese per ottenere la necessaria piattaforma, dopo aver innalzato le robuste fondazioni delle pareti perimetrali e delle quattro file di colonne, dopo interrato la necropoli ancora in efficienza, e tagliato i sepolcri di tutta la parte (in genere non molta) emergente dalla quota prescelta.

Siamo grati all’Ing. Francesco VACCHINI, Dirigente dell’Ufficio Tecnico della Rev. Fabbrica di San Pietro, per l’illustrazione, dalla quale risulta che il maestoso edificio costantiniano, eretto su di un luogo assolutamente inadatto, denota tutta la sicurezza che la Chiesa Romana nutriva in quel tempo intorno all’ubicazione della primitiva tomba di San Pietro.

« Quando intorno alla metà del IV secolo l’Imperatore Costantino stabilì di edificare in onore dell’Apostolo Pietro una grandiosa Basilica sopra la sua tomba, trovò che la zona adiacente al sepolcro era stata occupata nel II e III secolo da una necropoli pagana che si stendeva, con andamento est-ovest, a mezza costa del Colle Vaticano il quale, per di più, aveva un ripido declivio da nord verso sud. Gli architetti constantiniani costruirono allora, lungo il lato sud della erigenda Basilica, dei grossi muri che dovevano servire da fondazione e da contenimento delle terre, e, aperte le volte di copertura di molti mausolei ivi esistenti, tagliarono la terra a monte del colle e la riversarono verso valle a riempire i mausolei stessi, in modo da costituire un piano di appoggio per la Basilica.

« Immane lavoro, che comportava, oltre ad un grandioso movimento di terre ed eccezionali difficoltà costruttive, anche la distruzione di una necropoli, per la qual cosa occorreva un speciale provvedimento riservato all’Imperatore. Tutto ciò non può spiegarsi diversamente che con la presenza, in quel luogo, della tomba di S. Pietro, e la decisa volontà di edificare un tempio esattamente sopra di essa.  Gli scavi, infatti, hanno rimesso in luce le grandi fondazioni costantiniane, e, nel loro interno, i magnifici mausolei pagani, che, guasti da un lato, sono stati quasi protetti dall’altro, da questa coltre di terra del riempimento costantiniano».

ILLUSTRAZIONI DOCUMENTARIE

Sentiamo il dovere di ringraziare il chiarissimo Professore Padre Engelberto KIRSCHBAUM S. J., per averci fornito appunti e suggerimenti, dei quali ci siamo ampiamente serviti per illustrare la presente documentazione scientifica, con squisita cortesia dalla REV. FABBRICA DI SAN PIETRO. Documentazione breve, la nostra, ma sufficiente per poter apprezzare la ricchezza e la eccezionale importanza degli avvenuti ritrovamenti archeologici.

— Nella necropoli romana rinvenuta negli scavi vaticani, sotto la navata centrale del tempio, ci sono i muri o le sopraelevazioni costantiniane. È da notare che non è stata esplorata tutta l’area sotto la Basilica, ma solamente quella sotto le Grotte, le quali si estendono, con andamento semianulare, dall’abside alla crociera (Grotte Nuove) e, in senso rettilineo, dalla crocierà, sotto la navata centrale, fino all’altezza della Cappella del SS. Sacramento (Grotte Vecchie). Nelle parti rimanenti il pavimento della Basilica non poggia sulle volte, ma direttamente sul terreno. Per esplorare anche questa parte, occorrerebbe quindi fare prima, ex novo, delle volte di sostegno (secondo quanto è stato affermato [cfr. Capitolium, genn. 1952, p. 1], sarebbe desiderio del Sommo Pontefice che tali lavori si riprendano, appena possibile, per l’ulteriore indagine archeologica).

I mausolei, allineati su una duplice fila lungo il pendio del colle vaticano (da oriente ad occidente), hanno tutti la porta di entrata a sud, verso la valle. In tal modo la zona delle confessione e quindi la tomba di san Pietro, corrispondente alla nicchia sotterranea della Memoria Apostolica, viene a trovarsi verso l’estremità ovest verso il 14° posto della serie monumentale, ossia nell’area o ‘campo’ che diciamo dell’Apostolo.

V’è una tomba cristiana antichissima, vicina a quella apostolica. La tomba di S. Pietro attirava a sé come una calamita le sepolture cristiane, le quali però, pur stringendosi intorno ad essa, ne rispettarono l’area veneranda. Le più vicine risalgono certamente al I secolo. Tale sepoltura cristiana con il suo sarcofago di terracotta, anche nella sua povertà, è ben più ricca di quella del Principe degli Apostoli: semplice fossa, questa, scavata nella nuda terra e ricoperta tutt’al più da qualche grossa tegola. Ritrovata, è riapparsa ora, dopo tante vicende di secoli, nella sua immutata povertà.

Ci sono delle colonnine di marmo bianco, parte della Memoria Apostolica (il « trofeo ricordato da Gaio), rinvenuta nel sito originale. Una colonnina è alta m. 1,40 e appartiene al lato sud della Memoria. Insieme ad altri resti autentici, ha permesso la ricostruzione del “trofeo”  di Gaio.

Il ‘Martyrium’ o Memoria Apostolica: primo monumento eretto sulla tomba di S. Pietro, verso la metà del II secolo (intorno al 160 circa: infatti i mattoni del relativo fognolo retrostante, rinvenuto allo stato originario, recano bolli di fabbrica dei tempi di Marco Aurelio, ancora ‘Caesar’ [140-161]).

Il monumento detto ‘Trofeo’ di Gaio consiste in un sistema di nicchie sovrapposte, organicamente costruite fin dall’inizio entro un muro coevo (chiamato ‘muro rosso’ dal colore del suo intonaco), e da una grossa lastra di travertino (con 11 cm. di spessore, lunga cm. 178, e larga più di un metro), sorretta, a guisa di tetto orizzontale, da due agili colonnine di marmo bianco, poggianti sugli estremi di una robusta soglia, anch’essa di travertino. Tutto l’insieme dava l’impressione di una elegante ‘edicola’. — Sul muro di fondo (‘muro rosso’) si possono ancora decifrare, a destra della nicchia inferiore, alcuni graffiti antichissimi (a caratteri minuti e poco profondi, quasi per sottrarli all’attenzione dei profani), in buona parte nascosti dal murello di rinforzo erettovi posteriormente, tra i quali uno assai importante, con quattro lettere greche: PETR, che sembrano doversi interpretare per il nome stesso dell’Apostolo (cfr. il disegno del padre FERRUA, in La Civiltà Catt., 5 gennaio 1952, p. 25).

Questo complesso è evidentemente eretto sopra i resti di una tomba più antica, la quale determina certe irregolarità nella costruzione del monumento stesso. Il quadrato sul pavimento manifesta le linee della lastra di chiusura, allora esistente sopra la tomba dell’Apostolo: i suoi lati seguono non già l’andamento del ‘muro rosso’, ma quello della tomba venerata sottostante, che aveva qui la sua estremità, mentre il resto si spingeva sotto il medesimo ‘muro rosso’. Il suolo tutto intorno doveva essere lastricato a mattoni, o forse meglio di riquadri di pietra, di cui — a quanto sembra — si è ritrovato qualche resto.

Il disegno di ricostruzione, eseguito su resti monumentali (le due nicchie sovrapposte, le due colonnine con le basi, parte della soglia di appoggio, parte della lastra di copertura), è dovuta al Prof. Arch. Bruno M. APOLLONJ GHETTI, uno dei quattro archeologi che hanno seguito gli scavi.

La parte superiore di un muro precostantiniano ricingeva il lato nord della detta Memoria (presso la colonnina destra del ‘trofeo’). Secondo ogni probabilità risale al III secolo, ed è da considerarsi come muro di rinforzo: uno sperone o contrafforte, resosi necessario per una lesione prodottasi nel muro di fondo (‘muro rosso’). Esso obbligò a spostare alquanto a sinistra la colonnina del ‘trofeo’, posta in quel lato.

Rivestito in parte di stucco, e situato immediatamente accanto al sepolcro di S. Pietro, il murello fu subito ricoperto di ‘graffiti’ paleocristiani (onde è detto muro graffito), testimonianza della venerazione di questo luogo da parte di quegli antichi fedeli, che desideravano lasciarvi il loro ricordo, incidervi il nome loro o quello dei loro cari, accompagnandolo spesso con voti ed acclamazioni, come “Vivas in Christo”.

I pellegrini che vollero lasciare il loro ricordo su questa parete furono tanto numerosi, che dovettero sovrapporre un nome sull’altro. A differenza dei graffiti scoperti presso la memoria in catacumbas (San Sebastiano), nei quali non si trova mai il monogramma detto di Costantino, in questi graffiti del Vaticano invece quel monogramma è assai frequente, come “compendio di scrittura” e ”segno di Cristo”. Ciò conferisce loro una particolare importanza scientifica (cfr. “Relazione ufficiale”, voi. I, pagg. 129-130)

Costantino eresse un monumento sul sepolcro dell’Apostolo, e precisamente il presbiterio della grande Basilica cimiteriale primitiva. L’Imperatore non distrusse il vecchio monumento del II secolo ( o’trofeo’ di Gaio) ma, conservandolo come era pervenuto dall’antichità, volle che emergesse dal piano della basilica, e io rivestì di una ricca incrostazione marmorea di protezione, aperta sul davanti (ossia ad est, verso le porte della Basilica) per permettere la vista e la venerazione più diretta della tomba apostolica, la quale rimase così racchiusa in una specie di cappella monumentale (sacello), a forma di parallelepipedo (m. 1,80 di base, e 2,90 di altezza). Attorno e sopra questo sacello una magnifica ‘pergula’ con sei colonne vitinee di mirabile fattura (fatte venire dalla «Grecia» o meglio dall’Oriente: cfr. Liber Pontificalis I, p. 176), e recinti presbiterali. Il monumento sepolcrale dell’Apostolo, così isolato e ornato, costituiva il centro ideale e architettonico della costruzione costantiniana (il centro dell’abside). Tutto ciò testimonia chiaramente la sicurezza di Costantino e della Chiesa Romana di possedere proprio in questo monumento il sepolcro di S. Pietro.

Un antico rilievo eburneo del presbiterio costantiniano si può vedere nell cofanetto o capsella d’avorio di Samagher, presso Pola, del principio del secolo V.

I pellegrini così videro il monumento dell’Apostolo fino ai tempi di Pelagio II (579-590) e di S. Gregorio Magno (590-604): il primo intese rialzare il presbiterio, e il secondo volle al vertice del ‘monumento’ costantiniano un altare stabile per il santo sacrificio della Messa sul sepolcro di S. Pietro (“sopra il corpo del beato Petro, come dice il Liber Pont. I, p. 312), mentre a comodità dei fedeli si aprì sotto il nuovo piano, intorno allo stesso sepolcro, una cripta semianulare (cfr. Relazione, I, p. 193).

Nell’odierna Cappella Clementina (Grotte Vaticane), detta anche Cappella di San Pietro (a suo tempo sistemata da Giacomo della Porta per ordine di Clemente VIII, onde il nome di Cappella Clementina). Nello sfondo si mostrano ora i resti autentici del ‘monumento’ costantiniano, ossia del rivestimento marmoreo con cui l’Imperatore racchiuse e protesse quanto alla sua epoca esisteva sulla tomba dell’Apostolo (il ‘trofeo’ di Gaio, con le modificazioni susseguitesi intorno alla Memoria stessa durante tutto il sec. III, tra le quali il muro graffito). E’ questa la parte posteriore (lato occidentale) del ‘monumento’ sepolcrale, decorata  con lastre di pavonazzetto incorniciate con liste di porfido. Proprio dietro di esse, quindi, è il «muro rosso» costituente la parete di fondo del ‘trofeo’ di Gaio.

Nell’altare medievale, il Papa Callisto  II (1119 -1124) racchiuse l’altare più antico che S. Gregorio Magno costruì o adattò esattamente sopra la Memoria (ossia sopra il ’monumento’ costantiniano) dopo che fu rialzato il presbiterio intorno alla medesima — Per l’attuale aspetto delle S. Grotte ( cfr. Osservatore Rom. 29 giugno 1950.

L’Altare della Confessione per la nuova Basilica — cioè l’altare ‘papale’ attualmente in uso, sotto il grande baldacchino bronzeo del Bernini — fu eretto da Clemente VIII (1592-1605} al di sopra degli altri due precedenti, e non fu consacrato, perché in diretto collegamento con essi. [La Basilica rinascimentale fu elevata di circa tre metri nei confronti della primitiva o costantiniana: il suo pavimento è venuto così a trovarsi presso a poco all’altezza del «presbiterio rialzato» medievale].

Perciò è tuttora evidente, sopra il sepolcro dell’Apostolo, la millenaria triplice successione degli Altari, che ne garantisce la perennità del culto: l’altare di S. Gregorio Magno, l’altare di Callisto II (consacrato il 25 marzo 1123), e quello rinascimentale di Clemente VIII.

Questo timore riverenziale — tanto impressionante quanto palese, e perciò degno di particolare nota — di toccare, in questi lavori di trasformazione, qualsiasi cosa pervenuta dall’antichità, è dovuto evidentemente alla certezza di trovarsi di fronte alla vera tomba del primo Papa.

Nella stessa Cappella Clementina, il vetusto altare a blocco — del VII-VIII secolo — costruito nella cripta semianulare dopo che fu rialzato il presbiterio della Basilica costantiniana, fu ivi eretto al fine di poter celebrare il più vicino possibile alla memoria Apostolica {‘al corpo’). Attualmente esso è racchiuso in una custodia di marmi preziosi (specialmente di malachite), che formano l’altare di S. Pietro o della Confessione nelle Grotte Vaticane (Confessione ’coperta’), consacrato il 5 giugno dell’anno giubilare 1950 dallo stesso Sommo Pontefice Pio XII.

Nella parte opposta alla Cappella Clementina è la così detta ‘Nicchia dei Pallii’, immediatamente dietro la quale si trova quindi la parte anteriore, ossia orientale, del ‘trofeo’ di Gaio. A questa Nicchia si accede dalla Confessione “scoperta”, cioè visibile dall’attuale Basilica. La Nicchia, ora alterata da sovrastrutture, muri di rinforzo, decorazioni (mosaico medievale del Salvatore), nella forma originaria doveva far vedere il ‘trofeo’ come al tempo di Costantino. E’ sempre stata considerata soprastante alla tomba apostolica, anzi in diretta comunicazione con essa attraverso un pozzetto o “cataratta” (la “finestrella parvula” di S. Gregorio di Tours: cfr. E. Josi, Fenestrella confessionis, in Enciclopedia Catt. V. 1149), che conserva resti di antichi rivestimenti, e attraverso il quale, durante il Medio Evo, si faceva la incensazione della tomba medesima (cfr. H. Grisar, Anal. Rom., diss. VI: Le tombe apost.). Perciò la ‘Nicchia dei Pallii’ non è altro che il rivestimento interno del ‘trofeo’ di Gaio, nel quale si inserisce integralmente, occupandone il vano compreso tra le due colonnine originarie e sfondandone la tavola orizzontale o lastrone di travertino poggiante nelle medesime, che venne tagliato per costruirvi la relativa calotta (cfr. Relazione I, p. 198). Come gli accertamenti archeologici hanno rilevato, essa corrisponde quindi esattamente, per collocazione e orientamento, al ‘Martyrium o trofeo’ di Gaio (cfr. Relaz. I, fig. 96 a p. 131).

Il nome di ‘Nicchia dei Pallii’ le proviene dal fatto che ivi si custodiscono i Sacri Pallii che il Papa, successore di S. Pietro, benedice (sul posto, a sera del 28 giugno) e «dal corpo del beato Pietro» (come si esprime la formula liturgica) invia agli Arcivescovi — a coloro cioè che nella Chiesa hanno ricevuto, come metropoliti, la dignità pastorale più alta — in segno di unità e di unione: «Da qui una fede rifulge al mondo» dice l’iscrizione sotto la cupola michelangiolesca. — La statua di Pio VI del Canova, inginocchiata in preghiera lì davanti, vuol esprimere la perenne venerazione dei Successori al sepolcro del Principe degli Apostoli.

Uno dei Mausolei vicino alla tomba Apostolica è della seconda metà del sec. II, passato poi a cristiani. Vanto singolare di questo Mausoleo, detto dei Giulii, è la ricca decorazione musiva cristiana, purtroppo in parte caduta; la volta ne conserva intatta circa tre quarti.  La volta del mausoleo è tutta invasa dai magnifici tralci di una vite lussureggiante. In un ottagono centrale è raffigurato il Sole con la testa radiata, sopra il suo caratteristico carro. È la rappresentazione simbolica di Cristo-Sole, di Cristo vero «Sole invincibile» che qui, in ambiente cimiteriale, doveva avere una particolare relazione al mistero della risurrezione. Certamente era una risposta al culto dei Sole invincibile che l’Imperatore Aureliano aveva introdotto negli ultimi decenni del III secolo come festa simboleggiante l’invincibile potenza imperiale, e come culto unitario, valevole cioè, secondo lui, a ridurre ad unità i vari culti nell’Impero.

Il « giorno natalizio del Sole invincibile » veniva festeggiato il 25 dicembre. Ancor oggi risuona la risposta nella nostra liturgia: “Vedrete il Re dei re che procede dal Padre, come sposo dal suo talamo, quando il sole sarà nato dal cielo”.

UN SARCOFAGO PALEOCRISTIANO PRESSO LA TOMBA DELL’APOSTOLO

Uno dei più importanti sarcofagi cristiani rinvenuti negli scavi sotto la Basilica Vaticana è detto il sarcofago dei “tre monogrammi” (due sul davanti e imo sul coperchio), e appartiene all’età costantiniana (metà del sec. IV). È quindi uno dei primi sarcofagi accolti nella Basilica, calato sotto il pavimento della medesima: è stato infatti rinvenuto intatto nel luogo primitivo, addossato alla parete frontale, sopra la porta, del mausoleo degli Ebuzi, vicino alla zona della Confessione (cfr. Relazione, vol. I, p. 37).

Al centro di tutte le scene è l’anima del defunto, al cui onore e alla cui memoria è consacrato il sarcofago. L’anima è in atteggiamento di orante, a significare la raggiunta contemplazione celeste. Naturalmente tutte le scene ivi rappresentate hanno, nel loro simbolismo, un diretto rapporto con il defunto: ma su ciò qui non possiamo soffermarci.

Le scene sono disposte, artisticamente, con una certa simmetria. Nella parte centrale, ai lati del defunto, due episodi evangelici: a sinistra, “il Signore che guarisce il cieco nato”; a destra, “la cananea che si prostra dinanzi a Gesù”. In ambedue le scene l’Apostolo Pietro, vicino al Signore, sembra presentargli i due miseri imploranti pietà.

Seguono, d’ambo le parti, due scene del Vecchio Testamento: a sinistra, “Daniele che dà l’offa al serpente che muore” (Dan. 14, 26); a destra, “Abramo nel sacrificio d’Isacco, liberato dalla mano dell’Angelo” (Gen. 22, 1-18).

Ai due lati estremi, altre scene bibliche. A sinistra è il Principe degli Apostoli, rappresentato quale Mosè del Testamento nuovo, nell’atto di battere la rupe per fame scaturire l’acqua della grazia, specie del Battesimo ch’è la porta della fede e «via del Paradiso». Ad essa si dissetano i vicini militi, dal caratteristico berretto pannonico: sembra non doversi escludere una lontana allusione al battesimo del centurione romano, che l’Apostolo ammise con tutta la sua famiglia nella Chiesa come primizie dei gentili (cfr. At. 10-11).

Segue la figura del Signore, che esorta Pietro a confermare i fratelli nella fede dopo la triplice negazione predettagli al canto del gallo qui raffigurato (Marco 14, 30: Luca 22, 31-34). Gesù tiene nella sinistra il ‘volume’ della legge evangelica, contrassegnata dal monogramma costantiniano «segno di Cristo».

Al lato destro ricorrono le stesse figure. Gesù, resurrezione e vita, si appressa a toccare con lo ‘scettro della divinità sua’, e il sepolcro di Lazzaro per risuscitarlo, dopo che Maria, prostrata ai suoi piedi, ne piangeva la morte (Giovanni 11, 32-33). A destra del Signore, simmetricamente, tra due militi, ricompare Pietro: sono soldati, però, che lo catturano mentre insegna la legge di Cristo. Lo afferrano per il braccio e lo trascinano al martirio.

Sul coperchio del sarcofago, altre scene bibliche —- care ai primi cristiani — di evidente significato simbolico: Giona, a sinistra, e i tre Fanciulli nella fornace ardente, a destra (per questi temi dell’arte funeraria antica, cfr. le relative voci dei Prof. E. Josi in Enciclic. Cattol. V, 1020 s. e VI, 428 s.).

Tornando alle figurazioni frontali, troviamo a sinistra, vicino al capo di Daniele, una mano celeste che consegna un codice ad un personaggio. È questi Mosè, il quale riceve il libro della legge datagli dal Signore sul Monte Sinai (cfr. E. Jos, alla voce, in Encicl. Catt. VIII, 1476). La scena è in manifesta simmetria, sia, artisticamente, con quella a destra, in cui compare la mano celeste che ferma Abramo, sia, simbolicamente, con la scena di Pietro a sinistra. Come Mose ebbe da Dio le tavole della legge e batté la rupe per farne scaturire l’acqua salutare, così Pietro riceve dal Divino Maestro i divini poteri di santificare le anime con l’acqua della redenzione, e di guidarle a salvezza con la legge evangelica, il cui volume conserva immutato come lo ha ricevuto da Cristo, fino al martirio. Si noti come nel volume tenuto da Pietro è inciso lo stesso «segnn di Cristo» che è nel volume tenuto da Gesù Cristo: ciò a dimostrare che la legge o dottrina insegnata da Pietro è quella stessa di Cristo.

È certamente assai interessante, nel nostro sarcofago, l’importanza eccezionale che ha Pietro, figura emergente, sempre vicina al Signore: eloquente omaggio dell’arte e della fede al Principe degli Apostoli. Catturato e condotto al martirio, egli reca lo stesso volume della legge, contrassegnato dallo stesso monogramma costantiniano, come quello di Gesù. Il sarcofago quindi, pur nella rozzezza della sua scultura, caratteristica dell’epoca, esalta il “primato di Pietro”. È evidente come la Chiesa antica credesse come noi crediamo. Nell’economia della salvezza la figura di Pietro e dei suoi Successori è essenziale. Egli fa le veci di Cristo sulla terra, egli ha il governo effettivo della Chiesa.

Non è, perciò, senza profondo interesse e viva commozione che noi oggi, grazie agli scavi vaticani, possiamo con esattezza ritessere la storia e lo sviluppo, attraverso i secoli, del sepolcro glorioso del primo Papa. Dalla fossa primitiva al ‘Trofeo’ di Gaio, al monumento nella Basilica Costantiniana, al presbiterio di Gregorio Magno, e infine alla maestosa Cupola di Michelangelo e all’imponente Baldacchino berniniano, abbiamo un crescendo continuo e mirabile di grandiosità e di splendore, all’unico fine di onorare sempre più degnamente l’umile tomba, posta nella nuda terra, del Principe degli Apostoli.

Il giornale “lOsservatore Romano”, nel suo editoriale del 20 dicembre 1951, a proposito della documentazione scientifica del ritrovamento della Tomba di S. Pietro, rileva: «La parola definitiva è stata pronunciata. La scienza, che non crede se non vede, ha veduto. Crede con la Chiesa, con la tradizione, con la storia, con l’arte… Chi avrebbe immaginato che quel breve spazio scavato nelle crete del Colle Vaticano, quelle poche pietre salve da tante note e misteriose vicende, avrebbero illuminato la Basilica Vaticana, l’Altare più splendido che ogni religione conosca, di una luce di simbolo meraviglioso: il simbolo della «pietra» con cui il Signore edificò la sua Chiesa? Giacché è su quel poco cui umana pietà consentì al Giustiziato e devozione filiale conservò al Martire, è su quel poco — come gli scavi hanno confermato sino ai dettagli più controllati — è su quella consunta pietra, ancora, che sbocciò il Tempio, la «Chiesa di San Pietro», come da unico germoglio apertosi nella primitiva Edicola, fiorito, alla primavera dell’Impero Cristiano, nella Basilica di Costantino, e maturato, infine, gigante, al pieno clima del genio cristiano, nel Trofeo michelangiolesco.

«Il Pontificato di Pio XII scrive ancor questo: con la proclamazione del Dogma dell’Assunta, con la Beatificazione di Pio X, il ritrovamento della Tomba di S. Pietro, a gloria della Santa Madre Chiesa e a sovrana maestà del Vicario di Cristo! ».

Igino  CECCHETTI

  1. AGOSTINO: “Vedrete certamente (…) supplicare, deposto il diadema, presso il sepolcro del pescatore Pietro, culmine eminentissimo del nobilissimo impero” (Epist. 232, 2)

 

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