Pasto fratino (rurale)

FRATINO IL RAPIDO PASTO NEL CAMPO DEI FALCIATORI E MIETITORI

   “Fratino” si dice il modo, lo stile, il senso sociale semplice e amichevole. Il tavolo fratino è piccolo, il taglio dei capelli fratino riduce la capigliatura: questo vocabolo viene riportato dai dizionari della lingua italiana come derivato da “frate” nel senso di frugale . Tra altro fratino è anche il nome di un uccello.

   Durante i lavori nella calura estiva per la fienagione dell’erba e per la mietitura del frumento si faceva una sosta di sollievo: era un rito culinario di ristoro gradevole perché si posavano gli attrezzi agricoli per una breve pausa durante la quale si gustavano cibo e bevande preparate in casa dalle donne e servite nello stesso campo dove si svolgevano i lavori. Si faceva sosta all’ombra di una pianta. Si prendeva cibo semplice, alla svelta, stando in piedi tra le stoppie. Già al mattino presto il lavoratore aveva ‘sdigiunato’. Nel campo l’amichevole bisboccia di dose ridotta era l’occasione per ritemprare le energie, e scambiarsi idee e notizie.

   Questo pasto fruito senza allontanarsi dal campo, non faceva perdere tempo e non riduceva l’impegno nel lavoro; al contrario rincuorava per lo sforzo della fatica da continuare. Ogni lavoratore mangiava un pezzo di “ciambellotto” o biscotti o altra preparazione gastronomica per una rapida merenda. Gli uomini adulti la completavano con una rapida stozza di mezzo bicchiere di vino cotto. Pasto rapido per una pausa adatta a rinvigorire il corpo nel faticoso lavoro.

   Tutti conosciamo ora i profondi cambiamenti dei mezzi e dei metodi di lavorazione e di produzione rurale, rapidamente giunti a trasformare le abitudini della generazione dei nostri nonni agricoltori. È una storia da raccontare, da riscoprire, da sapere perché in campagna era importante scambiarsi l’aiuto tra agricoltori, come dire: “oggi da Noi; domani da Voi ci aiutiamo e ci mettiamo assieme in squadra”. La collaborazione solidale era affatto frenetica, allorché alzando lo sguardo sulla distesa campagna si vedevano arrivare nel campo la donna, i ragazzi, le ragazze che portavano il “fratino” nel quale avrebbero consegnato i bicchieri.

   Momento atteso e desiderato di sollievo che ridestava l’allegria appena era stata posata la canestra con la pizza tagliata a pezzi e talora con il cocomero rinfrescato tagliato a fette e con le bevande.

Quei lavori estivi richiedevano forza e ci voleva proprio una merendina. Allora per primi i giovani raggiungevano a lunghi passi l’albero dove era posata la canestra con il ristoro fratino. Ognuno chiamava l’altro e lo invitava a rinfrescarsi, a ristorarsi con un boccone dolce e con una bevuta che perlopiù era di acqua con limone o con ‘citrato’. La fatica lasciava immaginare una sperata serenità per il buon esito dei lavori contro la povertà, pensando al grano tagliato e raccolto per fare la farina per il pane dei figli e così si apprezzava il fruttato del mietere in collaborazione.

   Con il raccolto veniva evitata la povertà e esorcizzava l’afa, i sudori, i sospiri con l’aiuto tra lavoratori che non si sentivano mai solitari ed erano consolati nel rafforzare la sollecitudine per giungere a completare l’opera. Questo scambievole aiuto mai si negava. E il momento fratino di mangiare vicini era un sentirsi incoraggiati l’un l’altro, in pace. Talora il vergaro raccomandava di evitare ogni bestemmia per il rischio che i grani spigati diventassero carbone. Con la ferma fiducia nella divina provvidenza, il metodo fratino dava speranza, rincuorava a risolvere le difficoltà: serviva a non avvilirsi negli sforzi, a non scoraggiarsi e prendere amicizia tra lavoratori vicini, creava fiducia, faceva sognare il fruttato, sosteneva i sudori senza impazientirsi e quel rapido mangiare fratino in piedi presso una pianta, raddrizzava le spalle che si incurvavano nella falciatura.

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