REMIA GIULIO 1875 – 1963

don Giulio  REMIA

Belmonte 1875 – Falerone 1963

Sacerdote belmontese   Artista dell’arcidiocesi fermana

L’infanzia e la formazione:    Giulio è il secondogenito di Saverio e di Giuditta Mannozzi, nasce a Belmonte il 14 aprile 1875, e lo stesso giorno viene battezzato, gli è compare Settimio Remia, la comare, Carolina Giampieri. Il Parroco è don Francesco Nobili. Alla sua nascita stanno in casa i nonni paterni Antonio e Rosalia Sanguigni, inoltre la sorella primogenita Michelina. Dopo di lui nascono la sorellina Rosalia e il fratello Umberto che ha proseguito la discendenza maschile.

   Il fratello del padre è don Pasquale Giuseppe Remia, parroco a Monteleone di Fermo. A guidare i Belmontesi nella crescita spirituale cristiana c’è il pievano coadiutore don  Giulio Michelini che orienta tre ragazzi, distinti per mente e per indole, a divenire particolari protagonisti dell’avvenire, in particolare  Giulio Remia, Ruffino Brunelli (futuri parroci) e Silvestro Baglioni, fisiologo di fama mondiale, i quali sono solidali nell’affinità elettiva di entrare in seminario per la loro formazione, dopo aver frequentato la scuola elementare a Belmonte, con il maestro Luigi Bertoni che ha valorizzato le doti dei suoi alunni. I locali sono nella piazza (poi demoliti per il monumento ai caduti).

   Il Comune gestisce il Luogo Pio della Santa Croce, patrono di Belmonte e contribuisce alla festa del 3 maggio, tutta primaverile piena di fiori, verzura e sole, con fiera e musica. Solenne la processione per benedire le campagne. La reliquia della s. Croce viene esposta nel giorno di Pasqua, inoltre il 14 settembre, nel triduo dal 30 giugno e nei tre giorni di Rogazioni.

   Ogni anno si estraggono a sorte i deputati per solennizzare la festa patronale. Si organizzano con collaboratori a fare raccolte. In campagna vengono offerti i covoni, altre famiglie portano le canestrelle di grano. Ne fanno la vendita  per aver di che pagare la banda musicale, gli addobbi, i tonanti e gli svaghi. Nel 1883 si trova a Belmonte, il giorno della festa, l’arcivescovo fermano Amilcare Malagola che invita i deputati festaioli a presentare il resoconto del ricavato e delle spese. Questo monito porta la novità che con il grano si fa pane e il giorno della festa viene dispensato a tutte le famiglie.

Visita dell’arc. Malagola, 1883:    Ecco il verbale della visita pastorale del 1883: “ Al confine che divide Grottazzolina da Belmonte, si trovò a ricevere sua Eccellenza la deputazione composta dai signori Antonio Nichelini e Nicola Baglioni (padre di Silvestro). Arrivato monsignore vicino al paese fu incontrato dalla Banda musicale di Monte San Giusto venuta a Belmonte per la festa della S. Croce. Tutte le finestre del paese ed anche delle case dei contadini vicine al paese o poste vicino alla strada battuta erano ornate o di arazzi o di coperte; archi trionfali con iscrizioni erano innalzati in vari punti della strada principale del paese e sua Ecc.za veniva salutato dal suono dei sacri bronzi e dallo sparo di bombe e mortaretti. (…..)

 Alla porta della chiesa parrocchiale si trovò a ricevere  sua Ecc.za, vestito di pluviale, il m. rev. Sig. Pievano don Francesco Nobili (……sino al 15 maggio si tenevano le ss. Missioni).

 Nel giorno 7 maggio mons. Arcivescovo amministrò il ss. Sacramento della Cresima a 210 fanciulli dell’uno e dell’altro sesso.  IL 13 maggio fece la Comunione generale degli uomini in n° 486 e il giorno 14 a 510 donne.

 E’ da notarsi che nella visita di tutti i luoghi mons. Arcivescovo procedé processionalmente, preceduto sempre dalle due confraternite del SS. Sacramento e del Rosario. Nella visita poi della chiesa rurale di S. Maria delle Grazie e del Cimitero fu accompagnato dalla Società operaia, dalle scolaresche maschile e femminile assistite dai rispettivi insegnanti e da tutto il popolo Belmontese.

 Mons. Arcivescovo fu accompagnato nel partire fino al confine di Grottazzolina da Pievano Coadiutore don Giulio Nichelini, dal sig. Antonio Nichelini, dal sig. Nicola Baglioni, dal sig. Remia e dal sig. Loi.”

      Dalla visita pastorale desumiamo un elenco di opere d’arte esistenti in paese. Tra le più antiche un bassorilievo in legno raffigurante la Deposizione del Cristo dalla croce, nella braccia della madre Maria ss.ma. Davanti ad ognuno  dei tre altari un dipinto di grandi dimensioni raffiguranti i vari santi dei benefici, opere di Filippo Ricci fermano. Un dipinto della Madonna del Soccorso (attribuito a Lucia Ricci) con ornato di cornice a raggiera e base. Altri sette quadri raffigurano s. Vincenzo Ferreri, s.Eurosia, s. Francesco da Paola, s. Francesco Borgia, s. Vincebnzo de Paoli, s. Luigi Gonzaga, e le anime sante del purgatorio.

   Altre chiese esistevano nelle campagne, demaniate dai Savoia e cedute ai proprietari terrieri: chiesa della SS. Trinità del conte Morrone Mozzo, chiesa di san. Simone (antica s. Maria) di Remia Severino, chiesa di san Prospero di Malvatani Eligio e la chiesa della Madonna delle Grazie dei signori Gualtieri.

   Le feste belmontesi son collegate al culto: a Santa Croce, la Madonna del Soccorso (ogni due anni), S. Antonio abate, S. Vincenzo Ferrer. Molti frequentati il mese Mariano a maggio, il mese dei Morti a novembre, le novene dell’Immacolata e del Natale, a dicembre.

Belmontesi uniti nelle confraternite:    Nella gioia di celebrare e collaborare insieme le persone si associano nelle due confraternite belmontesi. La confraternita del SS. Sacramento stabilita dopo il concilio di Trento si era aggregata nel 1569 a quella romana della Minerva. L’oratorio in piazza fu costruito nuovo nel 1845 dal priore dei confratelli Ermanno Nobili, e dedicato al SS. Crocifisso. Nel 1883 i confratelli erano quaranta e si applicano insieme alle opere spirituali eucaristiche, alla festa con ottava del Corpus Domini, alle Quarant’ore, all’accompagno del ss. Viatico.

   Somministrano la cera al pievano per l’altare maggiore per metà anno. Il lascito di don Francesco Emiddi gestito dalla famiglia Urbani fa donare alla parrocchia un metro di olio da ardersi davanti al Santissimo ed una libbra d’incenso. Esisteva un monte frumentario stabilito nel 1585 per questa confraternita con dono di 25 some di grano da Giovan Tommaso Donadio da Amandola, ma dopo la demaniazione è gestito dalla Congregazione di Carità comunale.

     La Confraternita belmontese del s. Rosario che ebbe un primo lascito nel testamento di Tommaso Donadio rogato dal notaio Fabio Francolini il 31 maggio 1583, è stata approvata nel 1645 ed ha costruito la propria chiesa extraurbana. Le consorelle ed i confratelli praticano la spiritualità mariana e festeggiano ogni prima domenica di ottobre la Madonna del Rosario. Il legato, lascito dei beni, fatto dal Donadio per far celebrare le ss. Messe, è pagato dai fratelli Baglioni Francesco e Nicola.

   Le due confraternite unite dal 1881 si impegnano a sostenere la spesa per dare alla chiesa parrocchiale un organo moderno, opera della ditta Paci di Ascoli.

   Si introduce anche la festa della Madonna delle Grazie, facendo raccolta di offerte e di granoturco, con incarico dei promotori ‘festaroli’. Rettore di questo chiesa nel 1779 risulta mons. Settimio Vecchiotti illustre curiale romano, nunzio apostolico, nativo di Servigliano.

   La popolazione belmontese generalmente vive con sincerità la vita religiosa. Si va diffondendo la propaganda anticlericale e massonica, ma i preti sono fiduciosi di far fiorire nuove opere cattoliche in campo economico sociale e di guidare spiritualmente la gioventù. Giulio apprezza il senso di unione tra i fedeli nelle confraternite e valorizza le feste patronali e paesane. Per suffragare i defunti in particolare nel mese di novembre esiste l’Opera pia del Purgatorio che fa celebrare ss. Messe.

Ministro di Dio e del popolo:    Nello stile sobrio della sua famiglia il lavoro è un dovere, la religione è la guida e gli affetti familiari sono la stabilità. Famiglie unite, ancorate alla divina grazia, pronte a dedicarsi con generosità alla loro missione per sostenere in tutti i modi la vita e la formazione dei figli. Con la pratica della preghiera alimentano la fiducia, il coraggio, la solidarietà contro le forme agnostiche ed egoistiche.

   Giulio frequenta il seminario di Fermo dal 1887 e incontra sacerdoti entusiasti della loro missione che danno uno stile nuovo alla vita diocesana dedicandosi a realizzazioni pratiche soprattutto a favore della gioventù e delle missioni: don Cipriani, don Sargolini, don Nogara. Giulio è ricco di buon senso, rispettoso della gerarchia ecclesiastica, agisce secondo i sinceri ideali cristiani. Riflette prima di prendere qualsiasi nuova scelta ed è costante nella realizzazione.

   La formazione del Seminario dà ai giovani lo stile per saper vivere da soli nelle parrocchie. Il prete si considera uomo dell’Eucaristia, dedito all’azione liturgica, con la Parola di Dio, la santa Messa e le Confessioni di penitenza. La sua veste talare esprime una certa austerità, ubbidiente al Vescovo e poco fiducioso nei confronti dello Stato del Re di Savoia, contro il quale vige il “non expedit” della partecipazione dei cattolici al parlamento.

   Don Giulio Michelini per la visita pastorale dell’arciv. Roberto Papiri nel 1899 incarica don Giulio Remia, prossimo al sacerdozio, a decorare l’abside della chiesa ed ebbe così inizio un’opera continuata dai parroci successori. Don Michelini sessantacinquenne fa in tempo a ricordare l’ordinazione sacerdotale di don Remia il 23 settembre 1899. Muore un anno dopo. Gli succede don Giovanni Mattii. La popolazione belmontese in 230 famiglie è di 1200 persone.

    Il neosacerdote don Giulio è inviato come cooperatore al parroco del paese natio, Belmonte, per due anni. Si fa apprezzare per il suo stile improntato a precisione, disciplina, intransigenza e libertà creativa. Il suo metodo rende efficace la passione civile ricca di iniziative. Nei ricordi tramandati dai più anziani belmontesi don Giulio è un tipo sprint, sempre pronto a coinvolgersi ed a coinvolgere gli altri nelle iniziative più popolari.

   Anche negli anni seguenti torna al paese natio in calesse. Don Giovanni Mattii nel 1933 studia un progetto per dipingere la volta della chiesa parrocchiale e si consiglia con don Giulio per poi affidare la realizzazione a don Giuseppe Toscani. Anche il successore don Ruffino Brunelli, coetaneo di don Giulio, si giova dei suoi suggerimenti per i nuovi dipinti dopo il terremoto del 1943, con una bella immagine di Gesù-Eucaristia e festoni nell’abside, opera di Armando Moreschini.

Inizia un secolo nel sangue:    La mancanza di lavoro spinge la gioventù a recarsi all’estero. La statistica riferisce che tra il 1876 ed il 1815 sono quattordici milioni gli italiani che emigrano.

   I politici liberisti vogliono che l’andamento sociale sia lasciato indisturbato; i socialisti invece chiedono protezione sicura per i più deboli; i colonialisti nel disprezzare i popoli africani ed asiatici inaugurano un nuovo razzismo; i comunisti esaltano la lotto di classe.

   Il papa Leone XIII nel 1891 con l’enciclica “Rerum novarum” chiarisce la responsabilità di chi specula sui salati e sulle vite degli uomini. Un’idea semplice, che, spiegata dal pulpito, fa molto riflettere. Il papa incoraggia anche a collocare sulle più alte vette delle montagne la Croce, segno della fede. Chiede alle famiglie la recita del Rosario di Maria in casa.

    Don Giulio Remia non è prete per comodità, piuttosto prete nuovo per i tempi nuovi. La questione “romana” rende difficili i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, persino tra i comuni e le parrocchie.

   Sono aspre le questioni quotidiane della povertà ed indigenza a tal punto che si giunge all’uccisione del re Umberto I nell’estate del 1900, nella sua villa a Monza. Il sangue regio colora l’alba del nuovo secolo. Le soluzioni che i cristiani cerano sono basate sulla fiducia In Dio, non sul suo rinnegamento.

   Quando la massoneria, in nome del Libero pensiero, fa sventolare nelle piazze la bandiera di satana, il papa Pio X stimola l’impegna ad operare nella società civile, abbandonando le posizioni rinunciatarie ed assenteiste. Soprattutto aver cuore, come si dice, diffondendo la devozione al sacro Cuore di Gesù, come l’apostolato della preghiera.

   Don Giulio si affida a Dio nell’accettare comunque, in spirito di obbedienza, di andare  nel luogo dove il vescovo lo vorrà mandare. Niente proteste contro le autorità ecclesiastiche.

Coadiutore:    Si mostra persona aperta ma inflessibile, uomo d’azione e servizievole, a suo agio nelle difficoltà. E’ lento nelle parole e nei gesti, cauto nell’intervenire, fermo nelle risoluzioni.

   La mentalità parrocchiale tra i fedeli  porta a considerare il curato come maestro della vita individuale e sociale dei fedeli, ma non senza qualche incomprensione. Lo stile povero e la generosità del prete caritatevole conquistano la simpatia soprattutto quando egli è libero da ogni ambizione.

   Don Giulio avverte i diversi modi di esser considerato, accetta un cammino impegnativo, affronta la ricerca ardua della strada migliore. Promuove la catechesi, la liturgia e l’azione fraterna. Si trova a vivere nella bufera di don Romolo Murri, accusato di modernismo; ma lui non vuole star dietro alle ideologie razionalistiche  dette ‘metodo critico’,  preferisce stare ubbidiente alla Chiesa, la cui riforma non può provenire che dal suo interno.

   A Belmonte, don Giulio crea iniziative di grande partecipazione popolare. Ad esempio nel tempo di carnevale, mette Terenzio Sebastiani (1888-1983) muratore, a capo dell’iniziativa di festeggiare il giovedì grasso, preparando la polenta all’aperto nella piazza belmontese. Sguinzaglia i volontari a cercare nelle famiglie la carne per il sugo e la farina di granoturco da mettere nel caldaio. Cucinano, poi apparecchiano la polenta sui tavoli in piazza. Questa piacevole iniziativa è rimasta come tradizione.

   Grande importanza ha la principale festa belmontese, quella della Santa Croce, venerata come patrono e con la buona volontà degli amici compaesani, mette in assetto una banda che accompagni gli inni durante la processione quando si imparte la benedizione alle campagne con la Santa Croce.

   Nel 1901 è nominato vicario cooperatore a Colbuccaro dove svolge il suo apostolato per sei anni. Il mondo cattolico italiano è organizzato nell’Opera dei Congressi, fino al 1904, e in seguito si formano le Unioni destinate ad alimentare l’amore al prossimo con opere sociali.

   Nel 1907 per due anni va a collaborare con  lo zio don Pasquale a Monte Leone, poi viene nominato vicario a Civitanova, ma  per pochi mesi, a motivo della morte di don Costantini  a Palmiano.

Parroco  a  Palmiano:    A 33 anni, nel dicembre 1909, è nominato parroco a Palmiano, diocesi di Fermo nelle Ville di Ascoli, e vi resta fino al trasferimento a Falerone nel giugno1915. E’ il più piccolo comune della diocesi fermana, immerso nel silente paesaggio delle masse verdi boschive con pascoli e campi a tratti coltivati nella vallata del Cinante. In quest’ambiente solido, don Giulio matura la bella esperienza del dipingere.

   A Palmiano la chiesina è povera di opere d’arte. Don Giulio, uomo di grande laboriosità e di felice inventiva è inclinato in particolare alla pittura. Personalmente decora le pareti della chiesa parrocchiale. La sua pittura, come la sua predicazione, afferma la trascendenza dello spirito umano contro il materialismo che vuol ridurre l’uomo ad una macchina produttiva. La sua spiritualità si riflette nell’alone della figurazione di contenuto cristiano, con molto fiducia nella divina bontà.

   Per infervorare alla migliore partecipazione ed alla più attiva corresponsabilità nel 1910 facilita il riorganizzarsi, fra i volenterosi, della confraternita del SS. Sacramento nella parrocchiale di san Michele, aggregandola all’arciconfraternita romana. Così Palmiano solennizza al meglio la festa del Corpus Domini e le Quarant’ore.

    La vecchia casa parrocchiale è impegnata dalla famiglia del colono e il parroco si trova ad abitare a pigione. Dal 1912 si dedica alla costruzione, dalle fondamenta, di una nuova casa parrocchiale. Per sostenere le spese chiede ed è autorizzato a vendere alcuni appezzamenti di terre separate e distanti. Suo è il disegno e sua in gran parte è l’esecuzione di questo edificio. Allo scopo fa costruire una fornace per laterizi. Personalmente, più che per mano di altri, usa un impasto di brecciola e cemento per fare le scale e tutte le pavimentazioni, mentre i muratori locali non erano ancora esperti di questo sistema.

   Compiute le opere per la chiesa e per la canonica nel 1915 l’arcivescovo mons. Castelli lo nomina priore della parrocchia di Santa Margherita a Falerone. Questo arcivescovo era già venuto in visita pastorale a Palmiano nel 1907, due anni prima che vi andasse parroco Don Giulio ed aveva notato la chiesa disadorna e la necessità di una canonica. Anni dopo, tornato qui vede le novità. Don Giulio, già a Falerone, vi è stato invitato. L’arcivescovo, meravigliato per tutti i lavori compiuti,  esclama: “Oh! che hai fatto mai don Giulio! In pochi anni hai dipinto la chiesa e hai fatto la canonica nuova!”

Parroco a Falerone:    Don Giulio, quarantenne, è priore parroco a Santa Margherita di Falerone, si profonde anche qui con impegno e passione nella sistemazione della chiesa e delle case. Man mano che gli anni crescono si avvale sempre di più della collaborazione di attivi parrocchiani. Elabora personalmente l’ideazione dell’intero progetto dei restauri e delle decorazioni e sovrintende a tutti i lavori.

   Il suo metodo di attività pastorale consiste nel mettersi tra la gente, mai isolarsi, stare in ogni ambiente, con dignità, tra i ricchi e tra i poveri. Mai si nasconde di fronte al sacrificio. Favorisce le associazioni cattoliche nelle iniziative interparrocchiali, soprattutto l’Azione Cattolica.

   Ama aggiornarsi per il decoro della casa di Dio. Già al tempo della prima guerra si è abbonato alla rivista “L’arte cristiana”per aggiornare le sue ideazioni. Ripulisce le pareti della chiesa, esorta tutti a lavorare, anche affrontando le difficoltà. Affida i dipinti e decorazioni dell’abside al pittore Carmine di Montappone. Si adopera in vari modi, come elettricista, falegname, pittore, sempre a sue spese.

   Ecco un articolo della Voce delle Marche sulla visita pastorale dell’arciv. Carlo Castelli che mercoledì 30 aprile 1919 si recò alle ore 8 nella chiesa di S. Margherita “festosamente accolto dal parroco, da uno stuolo di bambini portanti fiori, dalla società col vessillo e da numerosissimi fedeli (…) In paese visitò l’ospedale e l’ospizio dei vecchi, accolto dalle ottime suore e dai ricoverati ai quali fu largo di conforto e di generosità; compì l’ascolto dei sacerdoti. Alle ore 18,30, pienamente soddisfatto del bene compiuto e delle accoglienze avute, ripartì per Fermo, lasciando la più bella impressione e largo desiderio di rivederlo più di frequente fra noi”.

Iniziative nuove:    Affronta con liberalità i costi per provvedere la frazione Piane di Falerone di una nuova Chiesa che progetta e realizza, con la ditta di edilizia Speranzini. Nel seminario nuovo mancavano ancora i banchi per la cappella dei seminaristi ed egli generosamente provvede alla spesa. È il prete che si avvicina a tutti, pronto alla carità, ove necessario.

   Il faleronese mons. Roberto Massimilani ha raccontato che i preti e i fedeli per essere coerenti con il cristianesimo, nel senso reale della vita, devono affrontare umiliazioni e giudizi malevoli. Di fronte all’indifferenza il papa Pio XI raccomanda l’azione cattolica che difende la libertà della chiesa e delle coscienze e incoraggia la franca professione della fede pur tra la timorosità degli amici.

   Don Giulio segue le direttive del papa, sostiene la dignità personale dei giovani e dei lavoratori, offre un chiaro esempio di tempra volitiva. Su quello che si mette a fare, riflette per tempo per poter raggiungere l’obiettivo finale. I giovani apprezzano la responsabilità delle sue decisioni e si incuriosiscono alla fermezza dei suoi giudizi. Si manifesta informato e critico nell’attualità, non per essere distaccato, ma per rendersi conto di quello che necessita alla vita della gente.

   Affronta gli sbandamenti dottrinali e comportamentali con la sua maniera energica e sincera. Desta negli altri l’attenzione al mistero dell’anima umana, ai problemi della fede, denuncia le contraffazioni della verità e dell’onestà senza fermarsi di fronte ai miscredenti e ai contestatori contro il clero. Le famiglie coraggiose manifestano la loro fede.

   Anche nel seguire i lavori agricoli si aggiorna e offre al colono della prioria, il più grande di Falerone, preziosi consigli di innovazioni produttive. Nel 1932 viene premiato per la semente selezionata con altissima rendita di grano. Nel settembre 1938 Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste delibera di concedere l’onorificenza con la nomina di don Giulio a Cavaliere della Corona d’Italia. 

   Si distingue per il suo impegno sociale, per l’attenzione per gli altri.  Alla morte del fratello Umberto, più giovane di lui, accoglie in casa i tre nipoti minorenni, orfani di padre e di madre. Assicura loro il sostentamento e gli studi. E’ apprezzato per l’acuto ingegno nel ragionare sui problemi di attualità. Più ancora è simpatico per l’animo disponibile e sincero. Nella sua parrocchia c’è la Società Santa Margherita  con lo scopo specifico dell’accompagno dei defunti al cimitero.

   Riguardo al suo stile pittorico romantico e aderente alla realtà, si può notare un chiara consonanza con il pittore Pavisa di Mombaroccio che ha dipinto gli affreschi nella cappella della Madonna del Buon Consiglio dentro la chiesa interparrocchiale in paese.

   Don Giulio è anche cappellano del monastero faleronese delle Clarisse, avviato da Pietro Antonini con suo testamento del 1604. Vi si tiene un educandato interno, fruito, nel 1928, da dodici giovanette, a cui con l’insegnamento elementare e tecnico si danno lezioni di cucito, ricamo ed altre nozioni di massaia. Nell’ospedale civile, vi sono tre suore della congregazione delle Figlie di San Gaetano ed altre tre stanno nel ricovero di mendicità. Una di queste è adibita alla direzione della scuola di lavoro femminile, sostenuta e mantenuta dai quattro parroci.

Iconografia di S. Michele:        Il diavolo è protagonista dei racconti agiografici e torna sempre nella vita dei santi, come pure seduce ogni cristiano, per cui ciascuno deve far valere la forza di S. Michele arcangelo per liberarsi dal male e far trionfare il bene. Il fatto biblico è che Lucifero si è voluto ribellare contro Dio. Viene scacciato dal paradiso e precipitato nell’inferno.

   Nel Vangelo di Luca (10,18) i settantadue discepoli, mandati da Gesù a predicare e tornati pieni di gioia, gli dissero: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi, nel tuo nome”. Egli disse: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore”.

   Per mezzo di Gesù il potere del diavolo è spezzato una volta per sempre ed egli è privato del dominio del mondo, tuttavia questo fatto sarà definitivo al ritorno di Gesù Figlio di Dio. Per ora sono gli uomini a fare la loro scelta contro il male che è possibile debellare per mezzo della Parola di Dio e per mezzo della fede.

   La considerazione della lotta tra San Michele e l’avversario chiarisce il contrasto sempre esistente nella storia umana, tra la verità e la menzogna. Trionfa la giustizia sulla violenza. Cristo dona la Vita che trionfa sulla morte portata dal male.

   “Non potete servire a Dio ed a Mammona”(Mt 6,24). Non è possibile un compromesso tra Dio e la ricchezza come potere. Il denaro va usato rettamente.

Palmiano Sacra

La Parrocchia:    Nei registri delle visite degli arcivescovi fermani alle sue parrocchie si leggono alcune notizie della vita cristiana a Palmiano. La parrocchia di San Michele Arcangelo e di Maria SS. delle Grazie fa parte della diocesi di Fermo. Confina con le parrocchie di Castel San Pietro, Cerreto, Valcinante, Casale, Lisciano. Appartiene alla diocesi di Ascoli Castel San Pietro con Tavernelle.

       Ecco i Parroci di Palmiano:

Dal 1875 al 1909 Don Raffaele Costantini da Palmiano

Dal 1909 al 1915 Don Giulio Remia da Belmonte

Dal 1915 al 1923 don Umberto Bellabarba da Montegiorgio

Successore Don Antonio Lanciani da Potenza Picena

   Nell’anno 1907 la Parrocchia è formata da una cinquantina di famiglie con 270 persone, aumentate a 288 nel 1921. Il numero dei parrocchiani residenti rimane quasi costante negli anni. Allora annualmente si contavano 6 nascite e 4 o 5 morti. Non c’è stato un aumento della popolazione a motivo dell’esodo. I giovani espatriano in cerca di lavoro. Prima l’emigrazione è diretta soprattutto in Germani, poi, nel primo dopoguerra, sono gli Stati uniti d’America ad attirare i palmianesi che vengono destinati soprattutto alle miniere. Ciò è occasione di allontanamento dalla pratica cristiana. Il parroco fa raccomandazioni mantenendosi in corrispondenza con loro.

La chiesa:    La chiesa parrocchiale più antica che era dedicata a San Michele per l’ingiuria dei tempi è andata demolita e le funzioni parrocchiali si celebrano in quella ceduta dalla confraternita del SS. Sacramento. È fatta di pietra, con il soffitto a volta ed ha un campanile con sopra due campane. È dedicata alla a Maria Vergine delle Grazie  ed officiata dalla parrocchia di San Michele.

   Ha una buona capienza per i fedeli. Alle pareti laterali ci sono due altari, uno dedicato alla B. Vergine addolorata con sua statua e l’altro alla B. Vergine immacolata la cui statua verrà rinnovata con quella di Lourdes.

   Vi è anche un quadro dipinto su tela ed usato per le processioni raffigurante la pietà. Mostra Maria SS. Addolorata con il suo Figlio morto appoggiato in parte sulle sue ginocchia. Nel dopoguerra si mettono in chiesa anche due oleografie dei Sacri Cuori: uno di Gesù e l’altro della B. Vergine Maria.

   Don Giulio Remia provvede a fare l’affresco nell’abside dipingendo S. Michele arcangelo. Inoltre nel soffitto voltato crea gli affreschi di Gesù Redentore e di Maria SS. Delle Grazie.

Vita cristiana:    A Palmiano tutti celebrano il matrimonio cristiano. I fedeli sono assidui alle sacre funzioni delle feste e della Pasqua. Le donne praticano in maggior numero i sacramenti, rispetto agli uomini. Occasioni particolari sono le feste della Santa Croce, dell’Assunta, dell’Addolorata, dell’Immacolata Concezione, i giorni 1 e 2 per tutti i Santi e per i defunti. Alla domenica si celebra la Santa Messa alle ore 10 nei mesi da maggio ad agosto ed alle ore 8 da settembre ad aprile. Orari poi aggiornati alle ore 9,30 oppure 8,30.

   All’inizio del secolo XX viene diffusa “La Voce delle Marche”, settimanale cattolico fondato a Fermo nel 1892. A Palmiano arriva anche, per gli impiegati comunali, qualche giornale non cattolico. Il parroco Don Bellabarba è abbonato al “Corriere d’Italia”, al “Pro Familia”, alla “Scuola Catechistica”.

   La catechesi per gli adulti viene fatta la domenica pomeriggio, mentre al mattino c’è per i fanciulli. I ragazzi sono preparati per mezzo del catechismo al grande mistero d’amore che è la prima S. Comunione, preceduta dagli esercizi spirituali.

    Anche durante l’estate, il suono della campana chiama i ragazzi al catechismo. Don Bellabarba rende più efficace la scuola di religione con l’impegnarvi la maestra della scuola elementare e con il formare tre classi distinte con lezione di circa tre quarti d’ora per ciascuno.

   In chiesa, oltre alla consuete predicazioni festive, si hanno prediche particolari il Giovedì Santo sulla passione di Cristo ed il Venerdì Santo sulla Vergine Addolorata.

   Il parroco visita con frequenza gli ammalati ed all’occorrenza celebra il Viatico con il corpo del Signore. Si fa accompagnare da alcuni confratelli del SS. Sacramento e da volontari.

   A Palmiano il camposanto è benedetto, non vi è la Croce in mezzo. “È ufficiato da Sisti Pietro che abita in Palmiano” si legge nella visita del 1926.

   Ogni giorno, con la campana, si da il segno dell’Angelus al mattino, a mezzodì e a sera. Le feste paesane solennizzate con processioni ricorrono: il 3 maggio (per il rinvenimento della Santa Croce) e l’ultima domenica di settembre  (per la Vergine Maria Addolorata) che è festa patronale e civile.

    Si praticano novene di preghiere in preparazione alle feste della Pentecoste, dell’Immacolata e del Natale. La benedizione con il Santissimo, ogni domenica pomeriggio, è preceduta dal canto delle litanie lauretane.

   In preparazione alla Pasqua, tutti i venerdì di quaresima si prega la via crucis in chiesa presso le 14 stazioni. Nelle tre domeniche prima della quaresima si fa la funzione delle cinque piaghe. Parimenti nei giorni di carnevale.

La Confraternita:     Molto zelo manifestano i confratelli del SS. Sacramento. Questa confraternita avviata alla fine del secolo XVI ed accolta dal vescovo fermano nel 1607, viene aggregata, dal breve apostolico dell’8 giugno 1632 di Urbano VIII a quella romana della Chiesa Sopra Minerva.

   Nel 1897 sono 37 confratelli, insieme con 59 consorelle. Recitano ogni giorno cinque Pater Ave e Gloria in onore delle piaghe del Cristo ed una terza parte del rosario Mariano in casa. Pregano anche in occasione della morte di qualche aggregato e lo accompagnano alla sepoltura.

    Solennizzano il Corpus Domini con la relativa ottava per onorare il SS. Sacramento come vero figlio di Dio, vero medico dell’anima e del corpo, come recita il loro statuto. Accompagnano il parroco per il SS. Viatico dentro il castello, con una rappresentanza di quattro confratelli vestiti della propria divisa.

   Lo statuto impegna a praticare la Confessione e la  Comunione, oltre che nella festa del Corpus Domini, anche a Pasqua di risurrezione, a Pentecoste, all’Assunzione della Madonna ed alla Natività di Gesù.

    Questa confraternita ha in proprietà una casa destinata a magazzino del grano del Monte frumentario. Nel 1879 viene usata per la scuola comunale. Il Monte frumentario ha rubbia 19 e quarte 4 di grano che viene dato a mutuo col cresci mento di libre cinque per ogni quarta. Il prezzo nel 1879 è di lire 6,50 circa alla quarta.

   La confraternita ha delle rendite che spende per la parrocchia, dove usa sette calderole di olio ogni anno per la lampada del SS. Sacramento, al prezzo medio di lire 8, inoltre offre cera, incenso, gelsomini. Possiede una decina di piccoli appezzamenti sparsi in varie contrade, di cui alcuni sono tenuti in enfiteusi dai Marinelli ed dagli Antonelli. Anche i prati vengono affittati per il pascolo.

   Don Giulio Remia nel 1913 aggrega questa confraternita a quella eretta nella chiesa dei santi Andrea e Claudio a Roma e la incoraggia all’ora di adorazione. Gli iscritti, quando non possono essere presenti con la loro tipica divisa, la fanno indossare ad altri che li suppliscono. Nel primo dopoguerra, mentre per i 28 confratelli resta la divisa a ‘sacco’, le 30 consorelle si fregiano di una fascia celeste.

   Il Santo Rosario, raccomandato a pregarsi in ogni famiglia, al tempo del parroco don Remia, si inizia a pregarlo in chiesa, nei giorni delle funzioni alla sera, anche d’estate. Dopo di lui, a motivo dei lavori agricoli ciò viene lasciato e affidato alla pratica in famiglia.

Associazioni:    Le associazioni cattoliche fioriscono a Palmiano in forma complementare con la confraternita del SS. Sacramento nel primo dopoguerra. Nel 1919 viene fatta la consacrazione delle famiglie e viene ripetuta in chiesa ogni anno. Si formano la Lega contro la bestemmia, l’associazione delle Madri cristiane, il Circolo giovanile detto poi dei Luigini. Risulta anche la “Lega dei contadini cristiani con la cooperativa agricola” ( Visita dell’anno 1921).

   La famiglia Nardinocchi ha fondato una chiesuola dedicata a San Giuseppe (dietro casa Costantini) e vi è in venerazione pubblica una statua del Santo.

   Oltre alle feste principali della Santa Croce,  dell’Addolorata e del Corpus Domini, si solennizzano con la processione anche il 25 aprile (San Marco), l’Ascensione del Cristo, i tre giorni delle Rogazioni per la benedizione delle campagne. Don Bellabarba pratica anche la processione all’epifania con Gesù bambino e quella per la Madonna di Lourdes

La casa parrocchiale:     Il 4 settembre del 1907 viene in visita a Palmiano l’arcivescovo  fermano Carlo Castelli. Alle 7,30 celebra la s. Messa con la Comunione generale (121). Alle 10,30 la s. Cresima. Alle 15 la Dottrina cristiana dei ragazzi che trova impreparati. Alla sera al Camposanto e la funzione di congedo.

   Il parroco, nativo di Palmiano, ha una sua casa insieme con il fratello sposato. L’arcivescovo annota: “La Casa parrocchiale in condizioni poco buone è attualmente abitata dal contadino della colonia parrocchiale. L’attuale sig. Parroco però mi ha assicurato essere già iniziate le pratiche e trovarsi a buon punto per la ricostruzione di una casa conveniente”.

   L’Arcivescovo scrive nei suoi decreti: “Si raccomanda caldamente alla bontà ed allo zelo del sig. Parroco perché vegga di provvedere nel miglior modo possibile alla casa parrocchiale. Sarà questa altra opera che gli meriterà la riconoscenza dai suoi buoni parrocchiani, che eternerà il suo nome in benedizione e gli meriterà premio speciale dal Signore”

   A realizzare questo decreto sarà don Giulio Remia. Si legge nella visita del 1921: “La casa parrocchiale è di fronte alla chiesa e si trova in buono stato. Si compone di 15 vani, ed è divisa in tre piani, 5 vani per ogni piano. E’ costruita in cemento armato e invece del tetto vi è la terrazza.”

TESTIMINIANZA DI UNA PERSONA DI PALMIANO= (Preside)

   L’attuale piazza Umberto I (con fondo selciato dopo che il paesino da agricolo è diventato di pensionati!) ai tempi di don Giulio era da tutti chiamata “ara” (aia) perché in essa veniva fatta la trebbiatura del grano dei contadini che abitavano in paese; superficie in terra battuta e con le pozzanghere,  animata non solo da tanti bambini (la scuola elementare era nel palazzo comunale in piazza), ma anche dal passaggio di greggi e di buoi trainanti carri e “traije” che avevano scavato due solchi, due linee parallele verso l’altura, dopo un arco.

   Ogni famiglia aveva un piccolo gregge di pecore, e, spesso, anche un paio di buoi.   Le case erano grezze e spoglie..

    Di domenica, quand’era bambino di pochi anni, entrava in chiesa, guardava le pareti ed il soffitto levigato e affrescato con figure e disegni variopinti, e provava la sensazione di entrare in un altro mondo!

   La nonna gli spiegava che l’angelo con il bastone dipinto nell’abside era San Michele che trafiggeva il demonio, quella bestiaccia dalle sette teste che si divincolava ai suoi piedi, e quella Signora dipinta sul soffitto era la Madonna con il Bambino Gesù, coronata di dodici stelle, in mezzo a due angeli. La si vede affacciata sopra i fedeli, in un cielo azzurro con tante stelle dorate.

   L’immagine che ha portato dentro di sé della Madonna è stata quella dipinta da don Giulio Remia nel soffitto della chiesa  dedicata a S. Michele ed alla Madre delle Grazie.

   Ritornando con la mente a quegli anni il nostro palmianese dice di aver maturato la convinzione che quelle sue prime emozioni estetico-religiose sono state provvidenziali e determinanti per l’orientamento nel corso della sua vita.

   Tra tanti altri benefattori che lo hanno sostenuto nel cammino, deve viva gratitudine e riconoscenza anche a don Giulio Remia, che non ha conosciuto personalmente, ma che senza saperlo, con i suoi affreschi, è stato per lui uno strumento efficace di grazia.

La Carità  durante la guerra 1940-45 a Falerone:   Anche nei difficili anni dell’ultima guerra mondiale le parrocchie di Falerone manifestano la perenne solidarietà del bene che emana dal vangelo. Don Giulio ed i parroci si prodigano a soccorrere chi si trova nel pianto e nel bisogno. Particolarmente tribolati sono gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca tra il diffondersi di disoccupazione, miseria, ruberie, coscrizioni, minacce di fucilazioni, distruzione di ponti. La maggior parte dei comitati di liberazione, all’arrivo delle truppe alleate, incomincia a funzionare per iniziative del parroco con alcune riunioni nella stessa casa parrocchiale. Si formano i nuovi partiti, e rinascono le libere amministrazioni comunali.

   I sacerdoti predicano la dottrina sociale della Chiesa ed incoraggiano alle opere di assistenza a favore dei bisognosi, in particolare sfollati. Il parroco si dedica personalmente a scrivere le lettere dei familiari dirette ai soldati o ai prigionieri lontani. È lui a ricevere le notizie per le persone ricercate. Don Giulio dà aiuti materiali alle famiglie in bisogno: indumenti, viveri e medicine. Insieme con i parroci organizza l’assistenza per mezzo delle donne di Azione Cattolica le quali offrono corredino e viveri alle donne sfollate. Si fa una larga distribuzione di generi alimentari, di indumenti e di legna per chi è in necessità. Si crea la “Scuola di Lavoro” per le giovinette sfollate che nelle domeniche sono invitate alle adunanze. Si distribuiscono con buoni risultati molti opuscoli e stampe cattoliche.

   La parola di Don Giulio è ascoltata e seguita per la sua autorità morale di grande efficacia tanto da impedire atti di violenza e di sangue. Nei momenti di odio e di vendetta il priore fa riflettere su quanto è stato distrutto e ucciso ed invita a ricostruire e salvare vita. I prigionieri e i perseguitati per ragioni di razza o di partito politico, fuggiti dal campo di concentramento di Servigliano, vengono aiutati a mettersi in salvo.

   Gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca fanno soffrire bombardamenti, azioni di rappresaglia, operazioni militari, requisizioni di persone e di beni, e don Giulio si adopera a limitare gli effetti della ferocia con consigli e con la protezione di persone. Particolarmente delicata la situazione del 15 giugno 1944, quando il capitano Remia guida l’azione dei partigiani a Montegiorgio. L’intervento dei sacerdoti riesce a far liberare le persone sequestrate e così gli ostaggi possono tornare in famiglia. Nel maggio 1945 don Giulio assieme con i Faleronesi partecipa alla raccolta di generi alimentari e di denaro da donare al papa Pio XII per la sua azione caritativa.

   Riprende a funzionare nel 1945 a Falerone la cucina gratuita e viene distribuito un sussidio settimanale di generi alimentari ai poveri, ancora  ad opera della gioventù femminile di Azione Cattolica, tanto da raggiungere un valore totale di lire 11.350, al prezzo di calmiere. Un modo di incoraggiare i parrocchiani alla pazienza, cristiana tra i disagi arrecati dalle condizioni difficili della passata guerra, è quello di organizzare pellegrinaggi ai santuari della Madonna del Pianto a Fermo, all’Ambro e a Loreto.

   Il parroco provvede all’invio dei pacchi ai prigionieri. Con paternità spirituale incontra i militari reduci e cerca per loro un’occupazione. Don Giulio ha conservato una ricevuta per aiuti dati ai partigiani con sussidi di denaro per la notevole cifra di lire 10.000 nelle mani del tenente “Barbaeletrica”.

Commemorazione:     Si avvale dell’intervento di predicatori esperti. Nel 1954 è l’anno Mariano, centenario della proclamazione dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX. Don Giulio inaugura un’altissima stele con sopra la statua dell’Immacolata, nelle vicinanze della chiesa parrocchiale e della pubblica strada, ancor oggi ben visibile ed apprezzata come progetto ben ideato.

   Nel 1961 il parroco conta ottantasei anni, un’età venerabile, è lucido di mente, ma gli acciacchi sono inevitabili e vanno superati con serenità. Gli scrive l’arcivescovo mons. Norberto Perini per dargli come Vicario coadiutore don Delio Vita. “ La scelta di don Delio è stata fatta perché si sa quanta stima e quanto vicendevole affetto corrono fra voi. E voglio ringraziarla di quanto ha fatto nella sua lunga vita Sacerdotale, e di quanta attività e volontà di bene continua ad avere nell’animo e a dimostrare, ad esempio dei Confratelli ed edificazione dei fedeli. Il Signore La conservi e confermi con le Sue più elette Benedizioni . . .”

  Fra i parrocchiani ci sono i due fratelli sacerdoti Massimiliani, poi ambedue vescovi: è questo un fatto raro, per una parrocchia di un migliaio di anime,  ma esprime il valore  della formazione cristiana nelle famiglie.

   Don Giulio dà ai ragazzi un senso pratico. A carnevale, li invita a prepararsi e cucinare le frittelle nell’oratorio. Con il suo modo austero, di poche parole, ma pensate, diffonde il senso delle scelte responsabili. Richiama  chi fa atti di bullismo, talora con minaccia di parlare con i carabinieri. Per la sua rettitudine ed il tono serio a volte incute un senso di timidezza, ma superabile.

   La festa parrocchiale di S. Margherita prima del Concilio Vaticano II era celebrata a maggio con la solennità della processione. La gente partecipa numerosa, passeggia, sorseggia le bevande. I ragazzi si sparpagliano e si richiamano con la vivacità della primavera in fiore.

Scrive don Giulio

   Ecco, in breve, la descrizione della Parrocchia fatta da don Giulio Remia nelle relazioni da lui scritte per la Curia nel 1928 e nel 1935).

La chiesa parrocchiale:    Il priorato di Santa Margherita confina con la provincia di Macerata ad ovest e nord, precisamente con i comuni di Penna San Giovanni e Sant’Angelo in Pontano. Ad est e sud con le parrocchie di San Giovanni Battista e S. Paolino del Comune di Falerone.

   La chiesa rurale titolare della parrocchia in contrada S. Margherita, quasi all’estremo limite del suo territorio, la più antica esistente. Esternamente è rimasta intatta, ma internamente e per necessità di cose e per decenza, è stata restaurata completamente nell’anno giubilare 1925 con sua spesa di circa lire 30.000 delle quali la popolazione ha contribuito per lire 5.000 per il resto l’attuale priore parroco. Nell’abside ci sono due quadri, uno della titolare santa Margherita e un altro quadro della Madonna della pace (Regina pacis).

   Una metà della popolazione della parrocchia viene in paese, essendo ubicata la chiesa in un punto estremo del suo territorio. La chiesa interparrocchiale di S. Giovanni Battista è nell’interno del paese, ove officiano i quattro parroci. Vi sono opere interparrocchiali.

Tra i parrocchiani:    Nel 1928 la parrocchia conta 140 famiglie con circa 1000 abitanti. Battesimi all’anno circa 25 – matrimoni 7 – morti 14.

La condizione economica dei parrocchiani può dirsi buona, essendo la maggior parte piccoli proprietari agricoltori e coloni mezzadri.

   Nella parrocchia vi sono tre Sacerdoti: don Domenico Sorbatti, nato 1866, libero; il (fratello) don Filippo Sorbatti, cappellano della confraternita del SS. Sacramento e rettore della chiesa di S. Francesco. Il terzo, dottor Roberto Massimiliani, laureato in teologia, nel 1928 alunno dell’almo collegio Capranica di Roma. Vi è il chierico Malintoppi Elia, studente al secondo anno di teologia al seminario di Fermo, il quale durante le vacanze ha sempre coadiuvato alla dottrina cristiana ai fanciulli.

Sacre celebrazioni:  Il parroco, in tutte le feste, spiega il Vangelo e la dottrina ai fanciulli e nella seconda messa il catechismo agli adulti conforme i temi diocesani. Vi è frequenza nell’accostarsi ai sacramenti e, per quanto è noto, non vi sono persone che non soddisfino al precetto Pasquale.

Appena avuta notizia e richiesta, il parroco visita gli infermi, anche più volte durante il processo della malattia e nel portare la s. Comunione non lo fa privatamente. L’estrema Unzione mai viene differita agli estremi momenti.

   La quasi totalità dei fedeli osserva il riposo festivo, va a Messa e si accosta ai santi sacramenti. La gioventù santifica la festa. Non vi sono acattolici. Durante l’inverno vi sono conferenze, proiezioni luminose su argomenti sacri per i giovani ed un buon numero di essi è iscritto ai nostri circoli di Azione Cattolica. Il vizio comune è la bestemmia e turpiloquio però molto si è ridotto e può dirsi scomparso specialmente dopo le sante Missioni del dicembre 1933.

Nel corso dell’anno la prima domenica di ogni mese si fa la comunione generale dei fanciulli. Gli adolescenti si comunicano anche più volte al mese. Gli adulti, in genere, vengono sempre tutte le domeniche ed altre feste a Messa. Molti si comunicano anche quotidianamente.

   Nei matrimoni tutti sono uniti col vincolo religioso e civile e non v’è alcun concubinato. E’ stata fatta la consacrazione delle famiglie al sacro Cuore di Gesù ed ogni anno si rinnova.

Casa e beneficio parrocchiali:  La casa parrocchiale di fronte alla chiesa interparrocchiale è in buono stato, restaurata nel 1926, in occasione del secondo Congresso Eucaristico Diocesano.

Il beneficio parrocchiale è composto di due fondi, con case coloniche delle quali una nuova fatta nel 1924 e l’altra metà nuova e metà restaurata, di ettari 40 ma con pochissimi soprassuoli, molte ripe e sodi.

Nella costruzione delle nuove case coloniche, nell’ampliamento della chiesa rurale e nell’accomodatura della casa parrocchiale il sottoscritto spese fra il 1924 e 1926 lire 130.000 (centotrentamila). Furono ricavate dalla vendita di quattro appezzamenti di terreno lire 61.107,5 per il resto contrasse debiti presso la locale Cassa di Risparmio ed ora sono rimaste da pagare sole lire 25.000 (venticinquemila nel 1935). L’attuale investito per le continue migliorie che pratica nei fondi e nelle case, appena raggiunge lire 3.000.

Le proprietà rurali sono condotte con criteri tecnici tanto che nell’anno 1933 e nell’anno 1934 nel concorso tra i parroci nella battaglia per il grano il beneficiato è stato classificati primo e secondo.

L’archivio: L’archivio ha tre reparti: per registri; per i documenti; per le carte varie. I libri sono conformi alle norme  regolamentari e vi è il sigillo parrocchiale. Disgraziatamente le pergamene, i manoscritti ed altri documenti scritti furono rilegati in parecchi volumi dal Priore De Minicis e lasciati in famiglia, gli eredi non l’hanno voluti riconsegnare, quindi mancano i migliori documenti.

Don Giulio e la vocazione di Don Leonardo Zega

Don Giulio è il padre della mia vocazione paolina. Avevo 12 anni quando lo conobbi, nell’ottobre del 1940, e studiavo da privatista, facendo il pendolare tra Sant’Angelo in Pontano e Falerone ove la famiglia s’era appena spostata. Per una serie di circostanze, tra cui un grave infortunio sul lavoro occorso a mio padre, non mi sarebbe stato possibile proseguire i miei studi senza la generosa disponibilità dei sacerdoti santangiolesi che mi impartivano le lezioni privatamente e mi presentavano poi agli esami a fine anno, all’Istituto Fontevecchia di Fermo. Con lo spostamento, don Giulio, Priore di Santa Margherita, divenne così parroco mio e di tutta la famiglia.

Al termine dell’anno scolastico del 1941 la precarietà della mia situazione diventò insostenibile e fu  appunto il Priore a suggerirci di accogliere l’invito di due suore, Figlie di San Paolo, che giravano allora per parrocchie e case con le borse cariche di “buona stampa”, di trasferirmi a Roma, nel seminario della Società San Paolo. La “retta” era modesta, il Priore avrebbe dato una mano per far fronte ai costi, l’ambiente più aperto e ricettivo di quello del seminario diocesano.

C’era, in più, il lavoro in tipografia che mi allettava da quando avevo potuto conoscerlo nelle due piccole aziende tipografiche operanti a Falerone. E c’era soprattutto, come avrei presto capito, la straordinaria lungimiranza del Priore che spingeva in tutti i modi noi ragazzi ad aprirci al mondo, uscire dal “natío borgo selvaggio” e misurarci con le prospettive che la grande città offriva, nonostante le paure e le ristrettezze indotte dalla guerra.

Ricordo che in quegli anni, da Sant’Angelo e da Falerone, decine di giovani si avventurarono a Roma, Milano, Torino, con quattro soldi in tasca ma con una voglia di sfondare quasi epica. E il Priore che diceva: «E’ la scienza, è la tecnica il vostro futuro. La terra non basta più e sarà sempre meno remunerativa». E ci mostrava, orgoglioso, la sua radio (una delle prime entrate in paese), i suoi disegni (era anche un po’ architetto, come testimonia la chiesa da lui progettata per Piane di Falerone); e i suoi quadri, un amore segreto che coltivava con gelosa esclusività. Burbero benefico, non lusingava ma spronava i ragazzi più meritevoli di attenzione, motivandoli con argomenti del tutto controcorrente per quei tempi: «Fuori, via, prendete il largo!».

Di quegli anni mi sovvengono anche le messe mattutine per i defunti che lui veniva a celebrare a Santa Margherita, messe cantate, in latino ovviamente, con gruppetti di parenti nei banchi ed io dietro l’altare, unico assistente e cantore. Che io sappia, don Giulio non è mai risieduto a Santa Margherita, preferì restare in paese, al centro, nella sua casetta affacciata sulla piazza semicircolare di rara bellezza.

A questa sua residenza è legato anche il ricordo di un gesto che si ripeteva puntualmente ogni anno, in uno dei venerdì delle mie vacanze estive: il pranzo di pesce, servito secondo sue precise direttive. Un brodetto bianco, cremoso e ricco di sapori, di cui non cessava di decantare le virtù.

Anche in questo si esprimeva una sapienza contadina, sublimata però da cognizioni teorico-pratiche che stupivano chiunque lo frequentasse. Solo la tonaca era e rimase, fino agli ultimi tempi della sua lunga vita, 10-15 centimetri più corta del normale; e svolazzava battendogli allegramente sulle caviglie mentre attraversava a passi veloci le vie del paese, le mani incrociate dietro la schiena.

La pittura era l’hobby preferito cui il Priore dedicava il suo tempo libero. Non so dare una valutazione della sua arte, ma nella memoria persiste l’immagine di lui, concentrato sulla tela e infastidito da chiacchiere inutili e rumori improvvisi. Le rare volte che si era ammessi nel suo studio, si sostava davanti al suo “San Girolamo” alle prese con la traduzione della Bibbia nel “buon retiro” di Betlemme. Credo che don Giulio fosse preso dal soggetto anche per una certa affinità di carattere con il grande Padre della Chiesa, innamorato della Sacra Scrittura. Girolamo, burbero benefico come lui, gusti precisi e idee chiare su come andava il mondo, o su come sarebbe dovuto andare. Era così il nostro Priore. Prendere o lasciare. 

  21 settembre 2007      Don Leonardo Zega

Il ricordo di don Giulio di don Delio Vita

   Don Giulio manifesta un’indole aperta, sa accettare gli altri e sa farsi accettare. Ascolta tutti con attenzione. Manifesta di agire con criterio di rettitudine, di verità, in modo equilibrato, sa consigliare con precisione e sa farsi capire bene. A Falerone abita in piazza. Si reca nella chiesa parrocchiale di Santa Margherita per la celebrazione della S. Messa nei giorni festivi e per la preparazione dei fanciulli alla Santa Comunione ed alla cresima. Ogni giorno celebra la Santa Messa presso il monastero delle clarisse, in paese, perché è il cappellano delle monache.

   Nella sua chiesa parrocchiale egli dipinge personalmente l’immagine della titolare, santa Margherita, ed inoltre la Madonna dell’ulivo con il s. Bambino. Quest’opera risale al periodo della grande guerra 1914-18 come invocazione alla pace. Nel primo dopoguerra fa decorare le pareti della sua chiesa, in particolare l’abside e la cupola, dandone incarico al pittore Carmine di Montappone.

   All’epoca i parrocchiani di Santa Margherita sono buoni  praticanti. Anche nel mese di Novembre la chiesa è piena di fedeli. A Falerone esisteva l’usanza particolare detta “La carità dei morti”. Durante ogni giornata di questo mese la casa parrocchiale resta aperta  e una persona è incaricata a dare l’elemosina a chiunque si presenti a chiederla. Viene data una moneta di quattro soldi, equivalente al prezzo di un chilo di pane.

    Nell’anno 1932 don Giulio è tra i primi a procurarsi un apparecchio radioricevente e lo tiene acceso fuori dalla finestra, sulla piazza, per soddisfare la curiosità e il desiderio di ascolto di molta gente.

   Uomo di ingegno, don Giulio si mette anche a riparare le sveglie e gli orologi, e la gente si rivolge per questo a lui. Oltre che orologiaio sa essere anche fotografo e si crea una camera oscura per sviluppare le pellicole e stampare le foto su carta. Maggiore la sua celebrità come agronomo specializzato.

   Il beneficio parrocchiale all’epoca ha una proprietà terriera di 45 ettari con una famiglia colonica di circa 27 persone, la colonia più estesa e più numerosa di Falerone. Questa azienda agraria è la più rinomata del paese perché don Giulio sa aggiornarsi nella agronomia e partecipa alle iniziative di innovazione. È un consulente ascoltato da numerosi coltivatori che gli chiedono un parere. Dopo la Santa Messa festiva si sofferma tra queste persone perché è capace di dare i giusti consigli come agronomo, sulla qualità delle sementi secondo la natura dei terreni più o meno argillosi o cretacei, sui tempi e sui modi di esecuzione dei lavori nei campi.

   Negli anni trenta il governo di Mussolini indice la “Battaglia del grano” per innalzare le produzioni ed assegna premi ad incoraggiamento per i risultati più qualificati. Don Giulio fa selezionare la varietà di grano da semina “Santa Margherita”, molto adatta alle colline fermane per la resa e così merita  uno dei premi messi in palio. Nel 1938 il ministero dell’agricoltura e delle foreste delibera che venga concessa l’alta onorificenza di Cavaliere della corona d’Italia a don Giulio Remia. Egli riceve il premio di lire 5000 recandosi a Roma, sul palco, direttamente dalle mani del capo di Governo Benito Mussolini. I Faleronesi poi gli chiedono come gli è apparso il duce. Lui sottovoce, in segreta confidenza, risponde: “Un commediante, un pagliaccio”.

   Nelle colline picene la resa media precedente del grano per ettaro si aggira sui 20 o 22 quintali, la semente selezionata Santa Margherita può arrivare alla resa di 40 quintali in terreni non scoscesi ed in seguito all’aratura profonda fatta con macchine a motore ed alla concimazione, si può giungere sino a 80 quintali ad ettaro. Il primo trattore FIAT 25 cavalli giunto a Falerone è quello comprato da don Remia. Come pure è lui il primo ad usare i concimi scelti per le coltivazioni e gli anticrittogamici. L’alto rendimento compensa ogni spesa.

   La festa della trebbiatura è rimasta celebre presso la colonia di Santa Margherita. I Faleronesi vanno a vedere questo lavoro che è anche uno spettacolo che dura non meno di due giorni ed è occasione per mangiare e per bere. Quando il grano trebbiato giunge alla quantità di 400 quintali, si ferma il motore, si suona la campana della chiesa, la gente è invitata alla merenda con ciambelle, maritozzi, pizze e bibite. Questa resa oltre 400 quintali c’è normalmente ogni anno, un’enormità e un’allegriata.

   Don Giulio valuta la necessità di diffondere la buona stampa per la formazione spirituale dei fedeli ed apprezza l’opera di apostolato dei Paolini, congregazione fondata da don Giacomo Alberione. Nel 1940 viene ad abitare poco lontano dalla chiesa di Santa Margherita, la famiglia degli Zega di Sant’Angelo in Pontano. Don Giulio che condivide gli ideali dei Paolini, si reca nella casa degli Zega e dice al padre di Leonardo che è bene che mandi suo figlio a formarsi tra i Paolini. Riesce a persuaderlo e così Leonardo si prepara fino ad essere il direttore di Famiglia Cristiana e il consigliere della “Lettera al Padre”.

  Nel 1954 Don Giulio fa erigere un’alta stele di circa 8 metri in travertino con sopra la statua della Madonna Immacolata in prossimità della chiesa. Vi si legge anche la data 1854 perché commemora la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX. Viene benedetta dopo una solenne processione con preghiere e canti, sparo di tonanti e fuochi d’artificio.

12 DIPINTI DI REMIA don Giulio:

San Michele vince il male

Beata Vergine Maria con Gesù

San Girolamo medita le Scritture                    

Un bevitore brinda alla salute

Veduta di Palmiano

Santa Margherita di Antiochia

Madonna dell’ulivo con Gesù

Ritratto di Pietro Costantini

Il Cristo coronato di spine

Paesaggio e veduta di Falerone

La beata Vergine Addolorata

San Francesco serafico

                                                   NOTE SUI DIPINTI

San Michele vincitore del male: L’arcangelo reso potente da Dio, schiaccia la testa al diavolo, falsario violento. Il significato del nome Michele è “Chi come Dio?” scritto nell’aureola.  Il dipinto è riferibile al 1910 circa.

Beata Vergine Maria con Gesù: La santa Madre, in veste rossa e manto azzurro è assisa sulle nubi della gloria con il divin Figlio Gesù che sta muovendosi tra le sue braccia. L’arco luminoso alle loro spalle è segno di speranza di salvezza soprannaturale. Il dipinto è firmato e datato 1913.

San Girolamo  traduce la Bibbia: Il santo dottore della Chiesa (321-420) nella Grotta di Betlemme attende alla traduzione delle Sacre Scritture, chiamata “La Volgata”. Raffigura il momento in cui il santo con lo sguardo verso il Crocifisso, riceve dallo Spirito Santo un’illuminazione su un dubbio.

Dipinto riferibile al 1914 circa.

Un bevitore brinda: L’anziano dallo sguardo furbesco e dalla barba brizzolata, solleva il bicchiere semipieno come per un brindisi. E stato stampato in cartolina con scritto:”Il vino letifica il cuore dell’anziano”. Il dipinto è firmato e datato 1915, riferibile ad una persona di Palmiano.

Palmiano: La veduta della piazza Umberto I prosegue nella via verso l’altura. Sulla sinistra in primo piano la chiesa. Tipico il color giallo ocra dei laterizi  marchigiani. Il dipinto è un ricordo del parroco di Palmiano dal 1909 al 1915.

Santa Margherita d’Antiochia: La martire di Antiochia di Siria (+305) in veste bianca, orlata a ricamo, col capo scoperto con capelli color rame, ha come attributi i fiori della verginità, le spine del martirio ed il drago delle prove.  E’ venerata patrona dei contadini e delle maternità. Il dipinto è firmato e datato: IV. 1939..

La Madonna dell’ulivo con il Cristo: La beata Vergine in manto bianco mostra il divin Figlio Gesù Cristo che è la Pace impersonata, con rametto di ulivo. Il cielo è segnato dall’arcobaleno in un’atmosfera dorata, carica di energia positiva. Il dipinto è riferibile al tempo della prima guerra mondiale, quando il papa Benedetto XV condanna la guerra e invoca da Dio la pace.

Ritratto di Pietro Costantini: L’anziano di Palmiano, persona distinta, dalla barba bianca, in giacca blu, camicia bianca, cravatta e gilè, ha uno sfondo porpora. L’animo bonario traspare nello sguardo perspicace ed intenso. Nell’insieme indica un certa maestria ritrattistica. Il dipinto è firmato e datato  1917.

Paesaggio con veduta di Falerone: Il panorama a sud del centro urbano faleronese mostra in primo piano aceri, viti e olivi. Le case spiccano per i tetti rossicci e le facciate similoro, al pari delle messi ondulate biondeggianti. Caratteristiche le due torri, quella di san Giovanni al centro, e quella di san Fortunato, sul pendio. Il dipinto è firmato e datato 1919.

Il Cristo coronato di spine: Il volto di Gesù Cristo è ritratto con lo sguardo rivolto al Cielo, in atteggiamento di umile dedizione, come aveva detto: “Padre sia fatta la tua volontà”. Il dipinto è tra le foto lasciate da Adolfo Remia. Forse è riferibile al 1933, anno santo della redenzione, proclamato dal papa Pio XI nel XIX centenario del martirio sul Golgota.

La beata  Vergine addolorata: La Madonna di profilo, in manto celeste e velo bianco, volge lo sguardo in alto a contemplare il martirio ablativo di suo Figlio Gesù Cristo. Regge tra le mani una corona di spine, segno del martirio del suo cuore immacolato, secondo la visione di Fatima.

Il dipinto è tra le foto del nipote Adolfo Remia, e sembra riferibile all’anno santo della redenzione 1933.

San Francesco in serafica contemplazione: In ambiente silvestre, il santo assisiate, in veste marrone, è inginocchiato su roccia, con le braccia aperte in largo, e contempla in alto il divin Serafino con le stimmate.

Il dipinto donato alle monache Clarisse di Falerone, ricorda don Giulio quando era cappellano del monastero: E’ datato 1916.

La Croce delle sante Missioni in contrada Pacchiarotti: La croce posta settant’anni fa da don Giulio è stata restaurata dal nuovo Priore di S. Margherita, don Delio Vita, che ha mantenuto lo stile dato da don Remia di croce con bracci a spigoli trilobati. Don Giulio amava ideare le linee con intento artistico spesso ben riuscito.

Chiesa di Santa Margherita a Falerone: Restaurata con novità di dipinti su tutte le pareti, la volta e l’abside con Carmine da Montappone, rifece il pavimento a tasselli di cemento bicromi, nuovi bracci per lampade e lampadario centrale, opere di Marini Valerio. A lato del presbiterio sulla navata i due dipinti di don Remia: S. Margherita e La Regina della Pace.

Nuova casa del beneficio parrocchiale: Adiacente all’abside della chiesa, la casa colonica in mattoni rosa ha le finestre corniciate a cemento ed in quella centrale a ovest il nome: Priore Giulio Remia. Usata per  27 persone circa, pur variando negli anni, valorizza il beneficio parrocchiale di S. Margherita,.

Restauro della Madonna delle Grazie a Belmonte P. e del dipinto: Riguardo ai restauri fatti da don Giulio Remia su antichi dipinti,  nel 1952 si ricostruirono le pareti laterali della chiesa delle Madonna delle Grazie a Belmonte Piceno, suo paese natio, e l’amico parroco don Ruffino Brunelli gli fece restaurare l’affresco secentesco con lodevole risultato.

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