Letteratura dell’Arcadia dalle lezioni del prof. Mancini don Dino

L’ARCADIA

   L’Arcadia è un movimento letterario che sorge alla fine del secolo XVII in Roma e si diffonde, specie nella prima metà del secolo XVIII, in tutta Italia; movimento che si propone di reagire alla letteratura fastosa del ‘600 e di semplificare e ingentilire il contenuto e la forma della composizione poetica.

   Per raggiungere questo fine l’Arcadia si propone:

a)- di scegliere temi semplici e facili

b)- di ispirarsi a pensieri e sentimenti evidenti ed accessibili anche alle menti più

piccine, e ricchi di potenza emotiva.

c)- di adottare un linguaggio il più possibile libero dalle forme retoriche,cioè da  

tutti quegli artifici che la retorica umanistica del tardo ‘500 aveva definiti 

come mezzi 

efficaci di espressione, ed erano stati considerati come essenziali all’arte, e   

quindi coltivati con religioso entusiasmo dai secentisti (che ne avevano fatto

addirittura dei fini a sé stessi): si evitano le metafore, le esclamazioni, le

apostrofi, i ritmi sonori, aggettivazioni e le sinonimie abbondanti; lo stesso

verso è ridotto ad una specie di prosetta piana caratterizzata solo dal ritmo.

d)- si rifiuta il concetto che l’arte sia frutto del genio e del gusto, intesi come

facoltà soggettive destinate ad inventare il linguaggio sfavillante; e si accetta  il concetto classico che l’arte è il frutto di ragione e di buon gusto e che non è lecito pretendere di comporre bene senza tener presenti i modelli greci, romani e italiani, cioè l’esempio dei classici i quali (secondo il vecchio concetto umanista) restano sempre insuperabili. Nel seno dell’Arcadia sorsero divergenze circa il significato di ritorno ai classici. Alcuni (come il Gravina) propugnavano un ritorno integrale al classicismo, con la rievocazione di tutti i generi e di tutte le specie della poesia antica (come il Crescimbeni) propugnavano un ritorno parziale e precisamente un ritorno ai modelli più adatti a favorire quelle semplificazioni e quell’ingentilimento della poesia che erano nelle finalità dell’Arcadia stessa; cioè ai modella della poesia idillica quali Teocrito, Virgilio, Petrarca, Sannazzaro, Tasso. La tesi del Crescimbeni trionfò e quindi la letteratura arcadica fu essenzialmente lirica e precisamente lirico-pastorale.

 Origine storica e cause dell’Arcadia

   Maria Cristina di Svezia, figlia de re Gustavo Adolfo, convertitasi al cattolicesimo, trasferì la sua dimora Roma ove rinnovò, benché in tono minore, il mecenatismo signorile del Rinascimento. Costituì nel suo palazzo un circolo di letterati affinché essi tenessero alto il tono spirituale della sua casa, venissero incontro al suo personale interesse per la letteratura e dessero origine ad un nuovo movimento letterario che soppiantasse il secentismo, divenuto ormai noioso e ridicolo. Il circolo di Maria Cristina formulò ben presto un programma i cui principi furono elencati e sanciti dal Crescimbeni. Con la formulazione di un programma ben definito e con il carattere di associazione stabile, che venne ad assumere il circolo cristiniano diventò Accademia e fu denominata Arcadia.

   L’accademia si diffuse ben presto in tutta Italia: sorsero ovunque colonie, e con entusiasmo cavalieri e dame dell’aristocrazia, ecclesiasti ed intellettuali laici si sentirono onorati di far parte dei circoli arcadici, cosicché ben presto il farne parte significò essere persone civili e fini; il non farne parte persone ignoranti e rozze.

Prima causa  – L’accademia dell’Arcadia, dunque, si può dire filiazione diretta del circolo letterario di Maria Cristina; e si può dire, quindi, che la diffusione dei circoli letterari fu la prima causa dell’Arcadia stessa. Il circolo letterario o salotto aveva avuto origine in Francia durante il secolo XVII. Questo circolo rappresenta nella storia della letteratura francese il secolo d’oro. Durante il regno di Luigi XIV si notò in Francia un diffuso entusiasmo per la cultura anche nel ceto aristocratico, il re infatti per troncare una buona volta le lotte tra la monarchia e la nobiltà, volle accattivarsi questa concedendole privilegi e chiamandola a corte. I nobili che, dietro invito del re, si stabilirono a Parigi, si trovarono nella necessità di adeguarsi alle esigenze della vita cittadina e cortigiana.

   La vita della capitale, e particolarmente quella della corte, esigevano finezza di linguaggio e di vivacità spirituale, cultura peregrina e svariata, agilità ed eleganza nei movimenti, precisione di gesti. A definire tutto questo complesso di eleganza e di gentilezze, sorse una specie di codice (l’etichetta). Per venire incontro ai bisogni della nobiltà, di recente arrivata a Parigi ed alla corte, sorsero qua e là, nella capitale, i cosiddetti salotti, cioè circoli culturali e mondani nello stesso tempo in cui i nobili potessero imparare a parlare e potessero acquistare svariate nozioni, osservare le forme sempre nuove della eleganza aristocratica e far pompa della loro vanità. Chi apriva il salotto era generalmente qualche dama o qualche principe famoso, o, se non fosse famoso, desideroso di mettersi in evidenza nel mondo aristocratico. Al circolo del salotto si conversava, ci si faceva complimenti, si ascoltavano conferenze di persone dotte su svariati temi e composizioni galanti di poeti.

   A noi interessa individuare lo stile culturale del salotto. I conferenzieri e il poeta si trovavano di fronte ad un complesso di uditori i quali mancano di una vera preparazione culturale e quindi sono incapaci di intendere il linguaggio difficile e di seguire esposizioni complesse e profonde.  Anzitutto, quindi,  essi si preoccupano di rendere semplice, il più possibile, il loro linguaggio e di procedere nelle loro esposizioni con la massima chiarezza, sacrificando le esigenze dell’indagine profonda e severa e adottando il sistema del dire in modo grazioso e gentile cose gravi e difficili (il Parini ci presenterà alcuni tipi di poeti e di dotti di questo genere qualificandoli saputi e imbroglioni). Inoltre avendo davanti a loro una raccolta di gentili dame e cavalieri e dovendo compiacerli, condiscono volentieri il loro discorso di espressioni di omaggio e di compiacimento e, quel che più conta, adeguando la loro ispirazione alla spiritualità dell’uditorio. Tale spiritualità non era certo delle più serie e delle più profonde; l’ideale del mondo aristocratico francese, nei secoli XVII e XVIII, è quello di brillare per finezza ed eleganza.

   L’aristocrazia ha cessato di esercitare qualsiasi funzione politica ed esercita solo una funzione decorativa: le famiglie nobili sono l’ornamento del paese e delle città in cui vivono.

   La preoccupazione degli aristocratici è quella di affermarsi, non tanto dedicandosi a compiere grandi cose di vantaggio pubblico, quanto sforzandosi di realizzare l’ideale perfetto della grazia:  ma quei “bassi geni dietro al falso occulti”, non hanno il concetto esatto della grazia. Essi infatti la concepiscono come gentilezza imparata, come artificio assimilato in modo da sembrare maturale, come ornamento studiato in modo da essere compostissimo ed apparire semplicissimo; non ripongono certo la grazia nel fine senso di civiltà che è ispirato, ad esempio da una alta concezione umana e cristiana della vita.

   La giornata degli aristocratici si esaurisce in toelette, in conviti, in visite, in convegni mondani, in passeggiate pubbliche e in visioni di spettacoli teatrali. Il gruppo più gentile di questo mondo aristocratico è quello giovanile delle damine e dei cavalieri, i quali sono tutti grazia, sentimentalismo, capriccio gentile, passioncelle malinconiche.

   Il poeta, il quale, tra i personaggi attivi del salotto, è il più applaudito e il più ricercato,  perché sa fare complimenti, sa soddisfare gli orgogli, sa mettere i n vista chi vuol farsi notare, deve adeguare l’ispirazione alle esigenze di questo mondo grazioso, ambizioso e piccino.

   La nobiltà italiana, come quella francese, non esercita più che una funzione decorativa ed ha come supremo ideale di far bella mostra di sé di fronte al volgo, di fronte ai colleghi, di fronte ai principi. Tutti i beni ereditati dagli antenati servono ad alimentare l’ambizione e a garantire la soddisfazione di capricci più o meno deplorevoli.

   Mancano nel mondo aristocratico italiano vari ideali umani, degni di un popolo serio ed attivo: nei paesetti come nelle grandi città la vita delle famiglie nobili è sempre la stessa: sveglia a mezzogiorno, toeletta laboriosa, pranzo, visite, passeggiate, teatro o gioco. In questo mondo, dominato anch’esso come quello francese dall’etichetta, dal complimento, dalla mania della finezza graziosa si diffonde l’Arcadia, la quale sorge appunto come circolo letterario nel salotto aristocratico di Maria Cristina di Svezia a Roma. Il circolo letterario di Maria Cristina diventa accademia e questa diffonde le sue colonie in tutta Itali a e accoglie nei suoi banchetti di aristocratici, gli ecclesiastici,  e i principi. E’ chiaro che la semplicità, la grazia dell’ispirazione, della forma arcadica dipendono dal carattere aristocratico dell’accademia stessa.

Seconda causa – Cartesio aveva insistito sulla chiarezza  e la distinzione delle idee per garantire una buona indagine filosofica. Bacone aveva insistito sulla chiarezza e sulla diligenza nell’osservazione sperimentale. Il classicismo francese del secolo XVIII, cioè il secolo d’oro, aveva preso a modello l’arte poetica di Orazio (di cui aveva rielaborato lo spirito e i precetti di Boileau nella sua “Art poetique”): riflessione, chiarezza, ornato sobrio ed elegante sono i principi in cui si riassume la poetica greco-romana e quella francese del secolo d’oro. Un bisogno, dunque. di chiarezza e di semplicità, di finezza di gusto e di grazia formale, è diffuso ovunque alla fine del secolo XVII, particolarmente in seguito all’influsso della cultura francese su tutta l’Europoa centro-settentrionale.

   E’ chiaro che la corrente letteraria dominante nel nostro paese, all’inizio del secolo XVIII (cioè l’Arcadia), debba anche essa risentire l’influsso francese e specialmente della poetica classicista esaltata dai critici dell’epoca di Luigi XIV:

Terza causa – Sul finire del secolo XVII, in Italia, all’influsso della civiltà spagnola subentra quello della civiltà francese (la Francia è in questo momento una delle potenze più dinamiche dell’Europa): civiltà ancora raggiante nella luce del secolo d’oro e tutta spigliatezza, finezza, agilità.

   Lo stile di vita francese influenzò in Italia specialmente la nobiltà. I giovani signori del ‘700 ormai sorridono maliziosamente e provano addirittura orrore dello stile dei loro vecchi.

   Un don Rodrigo, molestatore di contadinelle, fa pietà al cavalier servente del ‘700; un conte zio che non riesce a contenere tutti i gravi pensieri della sua carica, fa pietà al giovin signore spensierato e vanerello: ad uno stile di vita rozzo ed enfatico succede uno stile galante e superficiale. A ciò si aggiunge il fatto (abituale nella storia) che al cadere di una civiltà si dà vita, per reazione, ad una forma di civiltà opposta, ed allora si capirà anche meglio perché allo sforzo caricato del secolo XVII si opponga nel secolo XVIII, la grazia sdolcinata e tenue.

Quarta causa – Infine non bisogna dimenticare che l’Arcadia, come già si è detto, fu prodotta in modo particolare da un bisogno di reazione contro i pazzeschi eccessi a cui si erano abbandonati i marinisti. Ma ad un eccesso di forma si rispose pure con un altro eccesso pure di forma: sia ai secentisti che agli arcadici sfuggì il principio che, in arte non è possibile rinnovare la forma e il linguaggio se non si rinnova l’ispirazione e il contenuto (essendo la forma nient’altro che il “modo” della vita intima del soggetto ed essendo il linguaggio nient’altro che il mezzo con cui il poeta comunica agli altri la sua visione della vita intima del soggetto).

   La letteratura secentista, ormai, aveva fatto il suo tempo. I poeti delle corti, dei re, dei principi ove, in armonia con lo stile enfatico in esse imperante, avevano dovuto e potuto assumere pose da ispirati ed atteggiamenti da avventurieri nell’arte e nella vita, nel secolo XVIII passarono ai palazzi nobiliari privati ove, esercitarono oltre alla funzione di segretari e di precettori, anche quella di letterati  “domestici” con ispirazione e linguaggio a disposizione delle esigenze della etichetta aristocratica e delle vicende del mondo familiare interno.

   La nobiltà del secolo XVII (quale ce la presenta il Manzoni) è tutta boria mezzo selvatica; quella del secolo XVIII (quale ce la presenta il Parini) è tutta leggerezza e superficialità, perché, come le corti regie e principesche del ‘600 avevano chiesto al poeta  la parola roboante, così i nobili del ‘700 chiesero al poeta un complimento gentile ed ingegnoso. Se passasse l’espressione si potrebbe dire che il letterato “bombardiere” succede al letterato “giardiniere”.

   Anche nelle arti della pittura e della architettura si verificò lo stesso fenomeno che abbiamo verificato nell’arte della poesia: restò evidente l’intenzione dell’artificio, ma cambiò le forme dell’artificio stesso. In pittura all’artificio dei contrasti violenti si sostituì quello delle tinte sfumate in luminosità diffusa e variatissima; in architettura al barocco fastoso e ardito succede uno stile anche esso studiatissimo, ma più gentile (questo stile fu detto “rococò” da roncaille = conchiglia, in quanto la conchiglia costituì il motivo decorativo preferito per le sue volute complicate ma graziose.).

Motivi di ispirazione dell’Arcadia

1)- La vita intesa come festa graziosa. Ogni generazione umana vagheggia uno stile di vita che essa considera il più perfetto: i nobili del ‘600 avevano concepito la vita come una affermazione boriosa della propria personalità o del casato; i nobili del ‘700 la concepiscono come una festa graziosa e così la idealizzarono. Per questi la vita era un divertimento continuato: tutte le manifestazioni della vita, perfino un funerale domestico, assumevano le caratteristiche  di una rivista mondana. L’etichetta regolava  questa rivista dettando norme di gentilezza alle pose, ai gesti, ai sorrisi, al saluto, a tutte, insomma, le espressioni della vita.

   Il letterato arcadico interpreta le esigenze idealizzando le forme di questa vita trasferendola in un mondo di sogno, cioè in Arcadia, la terra delle tenerezze pastorali, l’isola d’Amore (ricorda il quadro del francese Vatteau :”Embarquement pour Cithère”; e “Navigazione verso l’isola di Amore” del nostro Frugoni).

   Il paesaggio, graziosamente stilizzato, è costituito da vallette e collinette con prati, boschetti e ruscelletti, con greggi al pascolo, mirti, zampogne, tortorelle.  In questo paesaggio: amorini, ninfe, Cupido, Venere, sotto le cui sembianze rivivono questa o quella dama, questo o quel cavaliere.

   In questo mondo la vita è intreccio incessante di amori, è caccia maliziosetta, è fuga soavemente sbigottita, è sospiro, è celebrazione di trionfi per conquiste e liberazioni, è gentile compianto per incidenti o decessi: è, insomma, la vita del  salotto del palazzo nobiliare trasferita in Arcadia o a Cipro.

2)- Interpretazioni psicologiche. L’enfasi del ‘600 e la graziosità del primo ‘700 furono forme spirituali di due generazioni che sentirono anch’esse, come gli uomini di tutte le età, a modo loro, la vita: la prima forma della sua clamorosità è più evidente, la seconda nella sui tenuità è più complicata

   La nobiltà del ‘700 non ha cultura, benché non sia ignorante: i suoi ideali sono meschini e le sue convinzioni sono addirittura nulle, poche e artificiali. Orbene, si sa che i sentimenti possono sorgere in un anima solo se sono alimentati dalla meditazione profonda e sorretti da una volontà decisa: sentire ciò che non si conosce o che si conosce male e che non si ha intenzione di tradurre in programma di vita non è “sentimento” ma “sentimentalismo”. Caratteristiche del sentimentalismo sono la capricciosità, la leggerezza, la volubilità, la svenevolezza, come sono caratteristiche del sentimento la serietà, la profondità,la saldezza e la vigorosità.

   La psicologia del mondo nobiliare settecentesco, ossia dell’Arcadia, fu caratterizzata da leggerezza e da superficialità:  perciò non veri sentimenti, ma atteggiamenti sentimentali, complicati dalle esigenze dell’etichetta e della moda, ritroveremo  nella produzione poetica dell’Arcadia.

   L’amore (specie nell’abbondante produzione lirica dei poeti minori) è complimento alla bellezza, è fiamma capricciosa, è gelosia patetica: quando fa sul serio, quando cioè tende a diventare vero sentimento (come nei melodrammi del Metastasio) non supera mai lo stadio della tenerezza e della emozione. I drammi amorosi si svolgono come “interessanti” congiunture combinate da amore e dal fato. L’ammirazione per le alte forme di vita diventa stupore senza convinzione: gli ideali patriottici, religiosi e morali si fanno vivi per ricordare ai lettori e agli spettatori che esistono:  ma restano in un mondo superiore, che destano il brivido nelle anime sensibili e il sorriso scettico negli spregiudicati. Perfino gli affetti più intimi e più umani sono interpretati con aria e tono da complimento, cosicché la produzione arcadica, in generale, sembra riflettere una spiritualità gentile, ma fredda.

3)- Motivi occasionali – Nella letteratura arcadica i motivi occasionali sono mi più frequenti. E ciò si spiega facilmente perché i poeti arcadici erano letterati puri senza una spiritualità ben definita e che quindi essi non componevano per bisogno intimo, cioè per esprimere un loro mondo interiore, ma lavoravano, per così dire, su richiesta, per commentare qualche avvenimento domestico della famiglia, di cui erano al servizio. Un fidanzamento, un matrimonio, una nascita, un grazioso incidente, un polemica interfamiliare, una morte, costituivano gli spunti ordinari e, spesso, unici della ispirazione arcadica.

   E’ chiaro che, in queste composizioni occasionali, l’ispirazione si riduceva ad uno sforzo di ricerca del complimento ingegnoso, si procedeva con un linguaggio enfatico, che coprisse la miseria del contenuto.

4)- Ispirazione ottimistica – Se la vita è concepita come una festa, come una gita interminabile nella soave Arcadia o nella ridente Cipro, è chiaro che le visioni della poesia arcadica saranno normalmente serene.  Al massimo qualche pastore o pastorella sospirerà per ansie o delusioni, verserà lacrimette per capricci non spuntati, per cuccioli o canarini malati, o per altri simili sciagure.

   Quando (come nel melodramma metastasiano) lo sviluppo di un soggetto presenta visioni troppo tragiche, si ricorre ad ingegnosi artifici per rasserenare l’atmosfera cosicché nessuno dei lettori o degli spettatori resti con tristi immagini nella fantasia e ne soffra. Anche la visione della morte viene abilmente rasserenata o col vecchio motivo dantesco e petrarchesco della bellezza che rende gentili perfino le forme di un cadavere o con l’audace affermazione che il defunto vivrà immortale nel ricordo dei posteri.

La forma della letteratura arcadica.

1)– Liricità. La montatura arcadica, generata, come si è visto, da una graziosa illusione e sostenuta dai più ingegnosi artifici (di cui l’assegnazione di un nome pastorale classico ai vari soci era praticamente il più efficace) attraeva i pastorelli e le pastorelle, i poeti e gli ascoltatori dal mondo della vita vissuta e li trasferiva in una atmosfera di sogno emozionante. Di qui il lirismo che è il modo costante con cui gli arcadi vivono e sentono il loro mondo: un lirismo a temperatura artificiosamente mantenuta, ma presuntuoso e soddisfatto di sé stesso.

   Perciò, in Arcadia, fioriscono soltanto le varie specie della lirica particolarmente quelle che nel corso dei secoli si erano rivelate più adatte ad esprimere visioni e sentimenti idillici.

   Il sonetto e l’agile canzonetta sono le forme metriche più comuni di cui si valgono i poeti per complimentare una persona, per commentare un gentile episodio e commuovere i cuori gentili.

   La lirica teocritea, quella virgiliana, quella petrarchesca e  quella dantesca sono gli esemplari della lirica arcadica, la quale pretende di concludere tutta la tradizione idillica classica con le espressioni più sfumate e più tenui del sentimento umano. Ma di fatto si tratta di un lirismo senza pensiero e senza vigoria di personalità; è un misero lirismo sentimentale, in forme piccine e graziose, e per di più stilizzate. Degli altri generi letterari rifiorisce solo il melodramma, appunto perché, è un dramma lirico che offre il più grazioso e gentile passatempo alla nobiltà che, a tarda sera, dopo il “faticoso ozio della giornata”, si reca a teatro.

   Tra  i due più famosi esponenti dell’Arcadia, il Gravine e il Crescimbeni, si discusse se si dovessero richiamare in vita tutti i vari generi letterari classici o solamente quello lirico: prevalse la tendenza del Crescimbeni il quale sosteneva che l’Arcadia dovesse specializzarsi nella sola lirica e precisamente nell’idillio, affinché con forme semplici, graziose riuscisse ad eliminare lo stile fastoso e clamoroso del secentismo.

   E’ per questo motivo che in Arcadia non troviamo poemi epici o didascalici, tragedie, scritti storiografici, orazioni ecc. ecc. : questi sono generi letterari più impegnativi dell’idillio e quindi inadatti ad un ambiente che si compiaceva di composizioni gentili, facili a leggersi e tali da non esigere una applicazione lunga ed intensa. La poesia arcadica, dunque, elabora tenue e modesto contenuto, in forma essenzialmente lirica.

2)- Classicismo – Il lirismo arcadico assume le forme classiche attenuandole e aggraziandole, Come i classici, i poeti dell’Arcadia amano la descrizione nitida ed idealizzata; amano la semplicità e l’ornato piacevole; ma a differenza dei classici essi sono troppo uniformi, troppo poveri di motivi, troppo semplicisti dal punto di vista della tecnica.

   Per esempio l’idealizzazione classica è sempre frutto di una rielaborazione della realtà compiuta attraverso una concezione ben chiara della vita e di un’arte originalissima nel rappresentarla artisticamente; mentre l’idealizzazione arcadica è più un modo fantastico collegato con l’etichetta dell’Accademia, che una conquista di anime assorte nella contemplazione di realtà che appassionano.

   Il classicismo arcadico, dunque, è freddo, poco articolato, poco originale, poco aperto alla varietà ed alla vivacità dei vari motivi ideali della vita umana vissuta. Lo potremmo definire un classicismo da salotto che sa muoversi e destreggiarsi solo nel salotto.

   Il più assennato e il più ricco tra i lirici dell’Arcadia, cioè il Metastasio, paragonati ai grandi lirici della tradizione classica appare come l’uomo che sa controllare la sua espressione, riesce a renderla chiara e graziosa, ma dice quasi sempre le stesse cose, e fra i toni dell’espressione conosce quasi esclusivamente quello patetica o quello saggio, ma di una pateticità e di una saggezza da ometto galante che mira a commuovere e a persuadere più con i gesti e con il ritmo del suo linguaggio che con la serietà e la profondità di quel che dice.

3)- Semplicità – Il programma dell’Arcadia era quello di reagire alla letteratura fastosa e complicata del secentismo: quindi è naturale che gli arcadi, di proposito, adottino una forma semplice e lineare. Però, come suole avvenire ogni volta che si reagisce ad un eccesso, il proposito di riparare i mali dei secentismo doveva fatalmente sfociare in un eccesso opposto a quello a cui si voleva rimediare, cioè nel semplicismo, nella povertà.

   I poeti dell’Arcadia, infatti, per realizzare la semplicità evitano le impostazioni ampie e profonde dei loro temi e conducono i loro svolgimenti con una logica quasi infantile e per dir meglio con la logica graziosa e complimentosa dei circoli mondani aristocratici. Il sistema di inquadrare tutto nel piccolo mondo pastorale, di scegliere temi cosiddetti semplici di interpretare le forme più superficiali della psicologia umana è rivelazione chiara di questa mentalità semplicista e poverella.

   E’ cosa poi evidente che una semplicità voluta di proposito diventa una semplicità artificiosa, cioè una specie di contraddizione in termini. La semplicità è quella dote per cui la composizione, anche la più complessa e la più ricca di motivi vasti e profondi, rivela ben nitidi i suoi sviluppi e le sue visioni e trasferisce con facilità tutta la portata della sua ispirazione nell’animo del lettore: essa è frutto di naturalezza, di logicità, di proporzione e di armonia: volerla ottenere con la scelta di termini facili (senza dire che nessun tema è facile per chi non sa trattarlo, né difficile per chi sa trattarlo), significa confondere la semplicità con la povertà.

   Alcuni poeti dell’Arcadia si accorsero di questa povertà connessa con il metodo da essi sostenuto e seguito, perciò ricorsero a particolari accorgimenti che sostenessero il tono della composizione: l’accorgimento più comune è quello della scelta di parole sonore e della collocazione astuta delle parole stesse in modo da creare ritmi travolgenti, capaci di conciliare l’applauso anche agli svolgimenti, alle composizioni più meschine.

   Ci troviamo così di fronte ad una enfasi arcadica che, pur facendo uso di mezzi d’effetto diversi da quelli usati dai secentisti, è tuttavia antipatica. Il Frugoni, alla metà del ‘700,  ed il Monti, nella seconda metà del secolo stesso, sono i poeti tipicamente enfatici dell’Arcadia; con mezzi ridotti, ma sfruttati abilmente, essi sono capaci di affascina l’uditorio del salotto, di strappare l’applauso fragoroso, di dare ad intendere che essi sono veramente artisti; ma ad un lettore che esiga qualcosa di più della parola, essi appaiono assai modesti e quasi poveri.

   Quelli che per superare l’impressione di povertà non ricorrono all’enfasi, ricorrono al tono grazioso e sdolcinato in modo da rivelare anche essi risorse geniali.

Il linguaggio.

   Mossi sempre dal proposito di reagire “all’Idra” del malgusto secentesco i poeti arcadici oppongono al linguaggio sfavillante, retorico dei marinisti una espressione chiara e semplice e, talvolta, quasi umile. Si eliminano le metafore e si usano termini propri;  vengono eliminate tutte le altre forme dell’espressione retorica e il linguaggio fluisce spontaneo e facile. I ritmi metrici, anch’essi chiari e melodici, contribuiscono a creare nel lettore quella sensazione di agilità e di leggerezza che costituì l’intento dell’arte settecentesca in tutte le sue forme.

   Il pregio della chiarezza e della facilità del linguaggio costituisce forse uno dei meriti più eccellenti dell’Arcadia: peccato che quel parlare così elegante ed accessibile sia usato per esprimere una ispirazione poverella.

Meriti e demeriti dell’Arcadia.

1)- Anzitutto l’Arcadia ha avuto il merito di aver eliminato dalla circolazione nel mondo letterario quelle forme ampollose a stravaganti del ‘600; tuttavia ha avuto il demerito di aver messo in circolazione forme più simili a bambole che ad esemplari di vita vissuta, forme più da presepio e da vetrina, che la realtà concreta. Ad una  esagerazione reagì con un’altra esagerazione.

2)- L’Arcadia eliminò la poesia fatta di parole e sostituì una poesia che, per quanto tenue e semplicista, pure si sforzò di prendere contatto con la psicologia umana;  ma ebbe il demerito di aver limitato i motivi umani solo a quelli graziosi e sentimentali. Riportò la letteratura a contatto con la vita, ma disgraziatamente la vita fu quella del salotto, tutta grazia, ma tutta falsità.

3)- L’Arcadia ebbe il merito di aver sostituito all’arbitrio e al disordine della forma un modo di comporre logico e chiaro, e di aver richiamato in vigore lo stile classico; ma ebbe il demerito di aver stilizzato e di aver rimpicciolito e impoverito gli esemplari della poesia classica latina e italiana.

4)- Ha avuto il merito di aver esaltato la chiarezza e la semplicità, ma ha avuto il  demerito di aver confuso la semplicità con la povertà, e di aver fatto della semplicità un programma letterario, mentre essa presuppone la spontaneità, anzi è  generate solo da essa.

5)- Ha avuto il merito di aver creato un linguaggio facile e piano; ma ha avuto il    demerito di aver rinunciato alle forme espressive complesse e degne di significato per rendere accessibile il suo dire ad una società poco colta, ma presuntuosa, niente affatto appassionata delle lettere, ma desiderosa di darsi le arie da letterato.

6)- Ha avuto il merito di aver creato una associazione letteraria di cui entrarono a far parte persone provenienti da diverse classi sociali e che ebbe le sue ramificazioni in tutte le regioni della penisola: una società letteraria che, potremmo dire, nazionale; ma ebbe il demerito di non aver accolto nei suoi ambienti né ideali sociali, né ideali patriottici.

Conclusione

   Il Baretti, famoso critico illuminista,  nella sua “Frusta letteraria”, sotto lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, picchiò forte contro l’Arcadia e l’annientò. Dopo il Baretti numerosi letterati, tra cui anche l’Alfieri, si fecero beffe di quella letteratura che, anche nel suo miglior rappresentante, il Metastasio, non smentì mai la sua leggerezza e superficialità.

   Come per il seicento, anche per l’Arcadia bisogna adottare un criterio di giudizio equanime il più possibile. Anzitutto dobbiamo riconoscere nella letteratura arcadica l’espressione di una mentalità e precisamente di quello stile grazioso e sentimentale che caratterizzò la vita delle classi elevate alla fine del seicento e nei primi decenni del settecento, non solo in Italia, ma pressappoco  in tutte le nazioni d’Europa

   Fu una letteratura da salotto più per damigelle e cavalieri che per uomini che vivono la vita nella sua concreta realtà;  tuttavia chi potrebbe negare che le forme di quella letteratura non abbiano interpretato bene le esigenze e gli atteggiamenti di quel mondo culturale piccino ma vivace ? Si tratta di cosette, ma sono cosette fatte benino.

Il minuetto, creazione tipica della musica settecentesca non è forse  un genere leggero, ma quando è trattato bene, come dal Boccherini, non è forse simpatico e piacevole ?

Quello dell’Arcadia non fu un movimento letterario di larghe vedute, di ampio respiro, capace di impostazioni e di costruzioni complesse e grandiose: fu un movimento che di proposito volle il piccolo e, in verità, nel piccolo seppe fare discretamente. Del resto lo stesso Aristarco Scannabue rese omaggio all’arte del Sofocle italico, cioè del Metastasio, il quale non solo non fu estraneo all’Arcadia, ma si formò e lavorò in essa come uno degli esponenti più gloriosi.

   Chi paragonasse l’Arcadia al ‘300 o al ‘500 o al Rinascimento e pretendesse di mettere un Metastasio di fronte all’Alighieri o all’Ariosto o al Manzoni, cadrebbe nel ridicolo: noi giudichiamo l’Arcadia in sé e, limitato il giudizio in questi termini, dobbiamo affermare che anche l’Arcadia è espressione di uno stile spirituale storicamente vero e giustificato. Ma se passiamo ai giudizi comparativi è quel che è, ossia uno stile letterario piccino, grazioso quanto si vuole, ma sempre piccino.

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