PETRITOLI storia scritta da Luciano Pallottini

PETRITOLI di Luciano Pallottini

L’attuale territorio di Petritoli, nel Medioevo, comprendeva, oltre al castello di Petritoli, il castello o torre di Cecilia, la chiesa di S. Anatolia (tuttora esistente) ed il monastero femminile di S. Maria in Leveriano (oggi santuario della Madonna della Liberata).

Di tutte queste realtà si trovano tracce in vari documenti. Nel più antico di essi, che risale al 1029, Ramberga, badessa del monastero di S. Maria in Leveriano sull’Aso, chiede ad Uberto vescovo di Fermo di concederle in usufrutto dei terreni siti nel fondo Varianello, compreso tra i beni farfensi ed il torrente Lubrico (1).

Da un documento del 1032 si apprende che Ramberga dona a Teobaldo, abate del monastero di Montecassino, la chiesa di S. Maria in Leveriano e quanto ad essa appartiene, citando ben sette ”castra”. I nomi di tre di questi sette castra risultano incisi sulla porta centrale della Basilica di Monte Cassino (2).

La tradizione vuole che sul colle di S. Maria in Leveriano si siano stabiliti dei monaci farfensi, che vi abbiano fabbricato una piccola chiesa e che abbiano lavorato quei terreni fino all’Aso. Entro la chiesa infatti v’è ancora un piccolo trono, sul cui cielo è dipinto lo stemma di Farfa (3).

In un documento del 1055 Amata, figlia del fu conte Gozone  , dona ad Ulderico vescovo di Fermo alcune proprietà e dei mulini, compresi nel castello di Petritoli ed in quello di Saltereccio (presso Lapedona) (4).

La chiesa di Santa Anatolia viene citata in un documento del 1063, in cui, in una permuta tra il vescovo di Fermo Ulderico ed un certo Longino di Suppone, il vescovo si riserva la chiesa suddetta, insieme alle chiese di S. Procolo e di S. Maria in Collina, S. Anatolia ed altri beni (5).

Il castello di Petritoli viene poi citato, insieme a quello di Saltereccio e a S. Maria in Leveriano, in un documento del 1064. Il castello di Cecilia verificato fin dall’anno 996 nel documento con cui Ottone III dona alla basilica di S. Croce sul Chienti la corte di S. Cecilia in Camporo. Si trattava forse del castello di Santa Cecilia, presso Petritoli, che a quell’epoca ricadeva sotto la giurisdizione del vicino Camporo (castello ora non più esistente, situato in territorio di Carassai) (6).

Nel 1181 Gentile e Trasmondo, figli di Ugone, cedono a Trasmondo di Giberto la terza parte del castello di Petritoli e gli restituiscono, fra l’altro, il castello di Cecilia, che era appartenuto a suo padre Giberto (7). Il nome di Giberto, con ogni probabilità, si è conservato come toponimo nell’attuale paese di Montegiberto, vicinissimo a Petritoli.

Nel 1191 Transarico, abate del Monastero di S. Pietro in Ferentillo, concede a Trasmondo  di Cecilia e alla moglie Dinambra, in usufrutto fino alla terza generazione, i beni di detto monastero di località di Petritoli (8).

Lo storico locale Luigi Mannocchi riferisce un’antica tradizione, secondo la quale i monaci Farfensi, fin dalla fine del X secolo, avrebbero eretto anche un castello, denominato “Castel Rodolfo”. A questo castello si sarebbero uniti in seguito quelli di Petrania, Petrosa o Petrollavia. Dalla fusione di questi sarebbe derivato lo stemma di Petritoli, avente nel campo tre pietre disposte in orizzontale.

In seguito Petritoli cadde sotto il dominio dell’imperatore Federico II, che lo cedette a Fermo, città che cospirava contro il Papa, insieme all’Imperatore. Di conseguenza re Manfredi, figlio di Federico II, vi stabilì un forte presidio.

Rimasto così sotto il dominio di Fermo, Petritoli in seguito avrebbe subito l’occupazione da parte di Gentile da Mogliano (sec. XIV), nonché da parte di Francesco e di Alessandro Sforza (sec. XV). Nel 1351, dopo aver atteso invano i soccorsi dai Fermani e dopo aver opposto una strenua resistenza, i Petritolesi dovettero cedere all’esercito Ascolano condotto da Galeotto Malatesta, abbandonando così il paese al saccheggio da parte del nemico.

Nel 1382 Giovanni di Cola, signore di Campora (da identificarsi forse con il castello scomparso di Camporo presso Carassai), che era stato esiliato dal Capitano del Popolo di Fermo Giovanni Campi Fiorentino, ebbe il permesso di rientrare a Petritoli. Per poter ottenere questa grazia, egli dovette vendere, al popolo di Fermo, le case che possedeva nel poggio di Campora e, alla comunità di Petritoli, alcune case che possedeva in quel castello, presso l’attuale Borgo vecchio, dove i Petritolesi avevano costruito una rocca di cui oggi non resta traccia (9).

Da queste notizie appare chiaro che Petritoli nel XIV secolo possedeva anche ciò che restava del castello di Camporo, che era stato distrutto intorno al 1356-1369, insieme al castello di Carassai, da Petrocco da Massa su ordine del Cardinale Egidio Albonoz, per essersi ribellato alla Chiesa.

Nell’aprile del 1394 il popolo Fermano si ribellò contro i Priori, ma fu sopraffatto dalle soldatesche. Alcuni rivoltosi furono decapitati, altri impiccati e, tra le vittime, ci fu anche un tale Stefano da Petritoli.

Pochi anni dopo Cosimo Migliorati da Sulmona fu eletto papa con il nome di Innocenzo VII e investì il nipote Ludovico Migliorati della signoria Fermana e del Marchesato di Ancona.  A Innocenzo VII successe poco dopo Gregorio VII, che aveva opinioni ben diverse sulla signoria fermana. Ludovico Migliorati, avendo fiutato l’antifona, divenne ghibellino e si alleò a Ladislao re di Napoli. Il nuovo pontefice, con l’aiuto di Braccio da Montone e di altri capitani di ventura, assediò Fermo scacciandone il Migliorati. Costui, fuggendo da Fermo, con le sue truppe assalì Petritoli facendo diversi prigionieri ed un ricco bottino.

Correva l’anno 1407 e questi misfatti si ripeterono nel 1409, quando le truppe di Martino da Faenza, dopo aver dimorato a S. Severino, scorrazzavano per Mogliano ed infine predarono Petritoli ed il suo territorio.

Nel 1413 si registrò la scorreria di Paolo Orsini e delle sue genti e nel maggio del 1415 fu la volta di Carlo Malatesta da Cesena che, con le sue truppe, operò ogni sorta di atrocità: estorsioni, stupri, uccisioni ecc., dal castello di Petritoli fino alla Castelletta (probabilmente nell’attuale territorio di Carassai).

Nel 1435 i Petritolesi , stanchi delle angherie e del dazio focolare, in particolare, che gli infliggeva Fermo, ricorsero a Francesco Sforza. L’anno successivo costui li costrinse ad unirsi al suo esercito per marciare contro Camerino e li trattenne con sé fino al 1442, anno in cui lo Sforza non riuscì ad espugnare Ripatransone (battaglia di S. Prisca).

Dopo ciò lo Sforza decise di soggiornare a Petritoli esigendo vitto e alloggio dai Petritolesi, che erano stati ridotti in miseria dalla grandine nel 1440; che aveva colpito fortemente due anni prima anche Monte Fortino e, insieme a Petritoli, Carassai (10).

Il 30 settembre del 1445, Pietro Brunoro, capitano di Alessandro Sforza, assalì Petritoli perché fedele alla Santa Sede, depredandolo di parecchio bestiame e conducendo con sé alcuni prigionieri. I Petritolesi allora, usciti dal castello, assalirono le soldatesche uccidendo 15 nemici e recuperando bestiame e prigionieri. Lieti della vittoria, si incamminarono verso Torchiaro dove si imbatterono in circa 300 armigeri del Brunoro. Questi, dopo aver riconosciuto i Petritolesi, ne fecero 86 prigionieri e misero a sacco il castello di Torchiaro. Il giorno successivo, visto che la maggior parte dei loro giovani era ormai prigioniera, gli abitanti, che erano rimasti entro il castello, uscirono e si ripararono nei castelli vicini: Monterubbiano, Ortezzano, Carassai, Massignano. Questi avvenimenti furono narrati dall’annalista fermano Anton di Nicolò, che era all’epoca Podestà di Petritoli (11).

Nel 1508, in seguito a una rivoluzione dei Petritolesi, la città di Fermo si vide costretta a costruirvi una rocca e a porvi un suo presidio. Già si sentiva parlare del terribile condottiero Sciarra Colonna che, con le sue truppe, imperversava nello Stato Fermano. A costui, nell’agosto del 1515, si erano uniti il fermano Battista Guerrieri e Carlo Baglioni di Perugia, che divenne capitano delle truppe Colonnesi e amico del signore fermano Ludovico Euffreducci.  Carlo Baglioni, che aveva già fatto scorrere molto sangue nel Fermano, nel giugno del 1517 diede alle fiamme Petritoli e poco mancò che lo distruggesse. Al Colonna si unì in seguito anche Nicolò Guerrieri, fratello di Battista e capo dei guelfi, il quale nel 1527 pose l’assedio a Petritoli lo mise al sacco, volgendo poi le armi contro Monte Giorgio.

Dieci anni dopo Petritoli dovette sopportare l’assedio delle truppe francesi di Lautrek de Foi, dirette alla conquista del Reame di Napoli. I Petritolesi opposero una strenua resistenza, e stavano ormai per cedere, sopraffatti dal loro numero (circa diecimila). Fu allora che diverse donne si unirono ai difensori e gettarono dalle mura, pietre, cenere ed anche mobilia contro gli invasori. Gli assediati, riuscirono così a fare una sortita e a disperdere gli assalitori. La vittoria fu attribuita alla Madonna, della quale ricorreva proprio quel giorno la festa della Presentazione.

Da quell’epoca si è mantenuta la tradizione che i fanciulli del paese portassero in processione, sopra delle bacchette date, corone di fiori offerte alla Madonna dalle donne del luogo. La festa si continuò a celebrarla tutti gli anni, il 21 novembre.  Queste vicende furono cantate dal poeta san sanseverinate Francesco Panfilo, uno dei più famosi umanisti marchigiani delle XVI  secolo, nel suo poema ”Picenum” (12).

Nel settembre del 1537 Pier Luigi Farnese , figlio del nuovo papa Paolo III, occupava Fermo. Paolo III, riconoscendo i servigi resi da Petritoli alla Santa sede, ordinava la liquidazione dei danni sofferti da questo castello ad opera di Francesco Sforza e di Sciarra Colonna. A Petritoli fu riconosciuto di nuovo il titolo di “Terra” e fu esentato dal pagamento delle cosiddette “collette camerali”.  Il papa, con un’apposita bolla, privò Fermo del suo Stato del suo Comitato, trasferendolo a Montottone, e Petritoli si liberò così dal giogo fermano riottenendo i suoi statuti ed i suoi privilegi.  Fermo avrebbe poi riottenuto il suo Stato e di il suo Comitato soltanto nel 1547, dopo ben 10 anni.

Luciano Pallottini

————

(1)   Liber Iurium dell’Episcopato e della città di Fermo (anni 977-1266), Codice 1030 dell’Archivio Storico Comunale di Fermo, a cura della Deputazione Storia Patria per le Marche e della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, Ancona 1996, Vol.1, Delio PACINI Documento   n°70  pag. 150.

(2)   Da S. Maria in Leveriano a S. Maria della Liberata – Archeoclub d’Italia sede di Petritoli, A. Livi Editore, Fermo 1998, pag. 14.

(3)   Vedi Nota n°2, ibidem pag.34, ove vengono citati gli “Annali”, oggi custoditi nell’Archivio Parrocchiale, dovuti ad Alessandro LETI,  Pievano di S. Anatolia.

(4)   Vedi Nota n°1, ibidem, Vol.1, Documento n°77, pag,167.

(5)   Ibidem, Vol.3, a cura di Ugo Paoli – Documento n°351, pag.632. <Altra s. Marcgherita e S. Anatolia a Falerone>

(6)   V. GALIE’, Carassai erede della Romana Novana, Media Print 2000 Grottammare (Ascoli P.) 1995, pagg.3-4 in Note.

(7)   Vedi Nota n°1, ibidem, Vol.2, a cura di Giuseppe AVARUCCI, Documento n°315, pag.566.

(8)   Ibidem, Vol.2, a cura di Giuseppe AVARUCCI, Documento n°283, pagg.515-516.

(9)   L. MANNOCCHI, Memorie Storiche e Statistiche di Petritoli, Stab. Tip. BACHER, Fermo 1889, pagg.7-8.

(10) Ibidem, pag.11.

(11) Ibidem, pag.12.

(12) Ibidem, pag.15.L. PALLOTTINI, I Casteli del Territorio di Carassai e di Monte Varmine, a cura dell’Archeoclub di Carassai, Fotochrom, Grottammare (Ascoli P.) 1997, pagg.17-18.

This entry was posted in Chiese, DOCUMENTI, Documenti in cronologia, LUOGHI, PERSONE and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Gentilmente scrivi le lettere di questa immagine captcha nella casella di input

Perchè il commento venga inoltrato è necessario copiare i caratteri dell'immagine nel box qui sopra