Cattedrale di Fermo sintesi della città studio di Germano Liberati

LA STORIA DELLA CITTA’ di Fermo  NELLA CATTEDRALE  Liberati Germano

Ecco un itinerario ideale attraverso i secoli, dai Romani all’epoca moderna, tutto concentrato in un solo edificio, il duomo. Collocato nel punto più alto, visibile da ogni lato, in suggestivi scorci, sempre diversi, imponente in tutta la sua mole, attira subito lo sguardo del visitatore. Ma è bene visitarlo dopo una visita attenta ai monumenti cittadini, per avere modo di fare la sintesi della città. La  visita fa conoscere le piscine epuratorie romane, l’antiquarium; l’arte nelle chiese di Sant’Agostino,  Santa Monica;  San Francesco, San Domenico; la piazza del Popolo, dove si concentrano cultura, potere politico e autorità religiosa con il palazzo del Comune e la pinacoteca, l’episcopio, l’ex università e il loggiato di San Rocco, fino ai più recenti palazzi e al teatro dell’Aquila: tutto fa intravvedere spezzoni di storia disseminati come tante tessere di un mosaico in un’articolazione incredibile di stratificazioni urbanistiche, politiche e religiose.  Il duomo le riassume tutte.  Ecco allora la necessità di salire il colle per trovare la risposta all’ovvia e incalzante esigenza di dare ordine, chiarezza e di percepire lo svolgimento logico di una storia così ricca, così diversificata, anche contraddittoria, che nemmeno il commissario Valerio del governo sabaudo del 1861, aveva capito,  pur con la sua assidua frequentazione della città.  Giunti sulla spianata, immersi nel verde del piazzale del “Girifalco”, la gotica facciata ci appare in tutto il suo splendore: la pietra d’Istria, che la riveste, le forme apparentemente asimmetriche, l’elaboratissimo strombo del portale cuspidato, sormontato dall’elegantissimo rosone del fermano Palmieri, subito dicono quello che Fermo rappresentò nel medioevo: splendore, ricchezza, potenza, superiore alle altre città delle Marche. “Anno del Signore 1225. Bartolomeo mansionario fece innalzare questo edificio per mano del maestro Giorgio della diocesi di Como”.   All’epoca di Federico II dunque; e furono scomodate niente di meno che le maestranze comacine e fu ordinato e trasportato il bianco – grigio calcare dell’Istria sulle barche che giungevano cariche al Porto di Fermo. Questo è il centro della storia che si proietta nei secoli futuri e rammenda le file del passato.  Superato il portone, l’atrio con le vestigia medievali segna il primo passo del cammino della storia. Nell’atrio il monumento funebre a Giovanni Visconti di Oleggio, signore di Fermo e rettore della Marca fino al 1366.

L’interno della cattedrale, entrati dalla bussola, ci si dispiega  grandioso, a tre navate divise da enormi pilastri su cui sono voltati archi a tutto sesto, con le cupole e le calotte di prospettiva dipinta. L’inaspettato impatto ci fa recuperare ancora una volta la storia: quella religiosa, innanzitutto nella volontà dell’arcivescovo mons. Minucci di adeguare Fermo agli splendori del Settecento romano; e quella culturale dell’architetto Cosimo Morelli da Imola, e del decoratore Pio Panfili del Porto di Fermo, in un misto di linee neoclassiche e decorazione scenografica tardo settecentesca.   Questo clima è più evidente nel grandioso presbiterio rialzato, con l’altare, il coro ad intarsi e, sul catino dell’abside, la gloria della Vergine Assunta in cielo, dove lo scultore Gioacchino Varlè, in un linguaggio magniloquente e prezioso ha esaltato la patrona della città e della diocesi. Ma questa chiesa in ogni dettaglio riassume i protagonisti e la cultura storica con opere disseminate lungo le pareti e nel tesoro: dalla mondo orientale con la casula di Tommaso Becket di fattura arabo – spagnola, all’icona bizantina nel terzo altare di destra; il classicismo del ciborio dell’altare del SS. Sacramento dei fratelli Solari, il pastorale di Sisto V; la migliore pittura del nostro Settecento con tele di Alessandro Vitali e Andrea Boscoli; il monumento funebre della contessa Spinucci, moglie del principe di Sassonia, esemplato dal Cardelli su quello del Canova a Vienna, e la pittura dell’ottocento nel tono e nei colori dei preraffaeliti della cappella del SS. Sacramento, e di quella dell’Immacolata, per mano del fermano Cordella allievo di Friedric Overbek. E completano l’insieme tutta la preziosa argenteria e i ricami dei paramenti conservati nel tesoro.   La sintesi di un lontano passato si scopre  in due particolari ambienti: la cripta e l’ipogeo.

Alla cripta del Duomo si accede, scendendo a lato del presbiterio. Qui, in uno splendore, l’arcivescovo Borgia volle rinnovare i fasti della Chiesa romana, e vi troviamo le radici del cristianesimo. A destra dell’altare centrale è conservato il corpo del beato Adamo vissuto nel secolo XII. E’ tradizione che il sarcofago paleocristiano, di ottima fattura, sia il sepolcro del secondo vescovo di Fermo, san Filippo martire nel quarto secolo. Siamo così agli albori del cristianesimo, quando cultura romana e fede cristiana tentavano una difficile convivenza. A portare la fede a Fermo, si vuole sia stato un giovane romano, Alessandro, divenuto il primo vescovo della nuova comunità e martirizzato sul Colle Vissiano dove la memoria è conservata da un tempietto con colonnato e con materiali di riporto. Se la tradizione non ha prove, l’archeologia è certamente una scienza precisa; e allora  fermiamoci ad ammirare il mosaico pavimentale paleocristiano probabilmente del quarto secolo, nella consueta simbologia di due pavoni che si abbeverano:  è solo la punta visibile di un iceberg che recenti scavi hanno portato alla luce.   Possiamo documentarci scendendo nell’ipogeo. Vi si individuano i resti delle strutture di base di ben tre chiese: quella paleocristiana, quella romanica e quella gotica. Una storia scandita da numeroso materiale, dai Piceni ai Romani, al Medioevo, conservato in loco. Le memorie storiche e l’epigrafia ci aiutano nella ricostruzione. Sul posto, sorgeva una Chiesa paleocristiana risalente al quarto (o quinto) secolo restaurata e ampliata dal vescovo Lupo (826-844), intitolata Santa Maria in castello. Incendiata e distrutta da  Cristiano di Magonza, cancelliere dell’imperatore Federico Barbarossa, questa venne ricostruita, durante alcuni anni, nello stile di transizione con elementi romanici e, nel seguito, prevalentemente gotici. La storia della cattedrale non si è mai conclusa, come viva è la fede cristiana. Per riscontro, uscendo dalla chiesa, soffermiamoci sull’ultima stratificazione, le porte bronzee del portale centrale, volute dall’arcivescovo Cleto Bellucci, opera dello scultore Aldo Sergiacomi di Offida, fuse a Milano dai Battaglia e poste in sito nel 1980.   Un’ultima riprova è nel volgere lo sguardo sull’immensa terrazza che, ad angolo giro, domina tutta la città appollaiata ai suoi piedi e il territorio circostante, memoria di un’antica potenza.

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