CICCOLUNGO GIAMBATTISTA missionario Fermano: scheda di TASSI Emilio

P. GIAMBATTISTA CICCOLUNGO missionario

(FERMO 1897-1895)

INTRODUZIONE:  In occasione del Giubileo sacerdotale e del XX di episcopato dell’arcivescovo mons. Norberto Perini (1962) il Beato Giovanni XXIII con una sua lettera autografa indirizzata al venerato Presule, esprimendo il suo compiacimento per la felice ricorrenza giubilare, rendeva un esplicito ringraziamento agli iscritti alle Pontificie Opere Missionarie della Diocesi per l’attività che essi svolgevano nell’ambito della cooperazione missionaria.   Nella medesima circostanza il card. Gregorio Agagianian, Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, esprimeva “il vivo e grato plauso della Congregazione per il fervido movimento di cooperazione missionaria suscitato nell’Arcidiocesi”.

In effetti nel 1962, contestualmente alle celebrazioni giubilari dell’Arcivescovo, si celebrò a Fermo il Congresso diocesano Missionario che ebbe una vasta risonanza non solo in Diocesi, ma anche in tutte le Marche e che diede il destro di ripercorrere la storia del Movimento Missionario nell’Arcidiocesi, di ricordare tutti i missionari della Chiesa fermana operanti nelle varie parti del mondo; il frutto del Congresso fu un’interessante e corposa pubblicazione che vide la luce nel dicembre dello stesso anno e che porta il significativo titolo: Fermo Missionaria: La Chiesa fermana nel mondo missionario odierno.

Presentando il volume S. Ecc. mons. Gaetano Pollio, arcivescovo metropolita di Otranto, già eroico arcivescovo missionario in Cina, che conobbe e soffrì la persecuzione e il carcere maoista, osservava: L’Arcidiocesi Fermana ha una storia cristiana gloriosa ed ha tanti fiori belli nella persona dei missionari che hanno saputo donare e donano la loro giovinezza e le loro forze per l’estensione del Regno di Cristo nel mondo.

Nella medesima occasione del Congresso la Chiesa di Fermo ebbe la gioia di celebrare anche il giubileo sacerdotale di S. Ecc. mons. Francesco Mazzieri, vescovo di Ndola, che era stato a lungo parroco di S. Francesco a Fermo e la consacrazione episcopale del fermano S. Ecc. mons. Nicola Agnozzi, Ausiliare e confratello di mons. Mazzieri, venerando e veneratissimo Presule che il popolo di Fermo ha la fortuna e il piacere di ammirare e di ascoltare ancora.

E’ opportuno questo riferimento al 1962 perché la nostra Diocesi visse un anno straordinario: raccolta attorno al suo Arcivescovo, nel bel mezzo della celebrazione del Concilio, nel ricordo del suo impegno missionario, stimolata dalla presenza del card. Giovanni Battista Montini a pochi mesi dalla sua elezione al Pontificato.

Collegandoci con la tradizione missionaria della nostra Chiesa particolare, desideriamo riprendere in qualche modo il discorso di quarantadue anni fa e di ripercorrere quella esaltante esperienza mettendo a fuoco la splendida figura di uno dei primi missionari fermani che ha operato in modo incisivo nel campo della diffusione del Vangelo e che ha lasciato una traccia indelebile ed è morto a soli 47 anni in concetto di santità.    Si tratta del P. Giambattista Ciccolungo, missionario apostolico in India.   Non si tratta, però, in questo breve scritto di delineare in modo analitico né la sua figura né la sua attività missionaria; si intende invece offrire un ricordo presentato attraverso la sottolineatura di alcuni elementi della sua notevole personalità e della sua spiritualità missionaria.

LA FIGURA E LA SPIRITUALITA’DEL P. GIAMBATTISTA

Nacque nel 1847 da una famiglia benestante e profondamente religiosa; tra il 1858 e il 1868 essa fu travolta da una serie di eventi luttuosi: Nel 1858, quando Giambattista era appena undicenne, morì il padre e nell’arco di due anni morirono anche tre fratelli; nel 1868 poi morì anche la madre.   Queste tristi vicende influirono non poco sul curriculum degli studi del giovane, tanto che riuscì soltanto nel 1867 a compiere gli studi ginnasiali e dovette l’anno dopo interromperli, dopo la morte della madre.   Un giudizio di don Federico Fagotti, suo parroco, ci permette di delineare l’immagine del giovane: “E’ un giovane che non fu mai dissipato e tanto meno scandaloso, sebbene non fervoroso; onesto giovane laico che adempie sempre i propri doveri religiosi”. Come si vede, è un giudizio moderatamente positivo.  Dal 1868 al 1871 il giovane trascorre un periodo di sbandamento che, pur non allontanandolo dalla fede, lo consegna ad un’esperienza di mondanità.

Mons. Giovanni Cicconi, che pronunciò l’elogio funebre di P. Ciccolungo nel primo anniversario della morte, spiega questo evento con le tragiche vicende familiari vissute dal giovane e specialmente con la morte della madre. Il P. Giambattista, invece, ne parla in maniera allarmata in una lunga lettera scritta a mons. Marinoni nel 1873, qualche mese prima di entrare nel Seminario S. Calocero dell’Istituto Pontificio dei Ss. Pietro e Paolo e dei Ss. Ambrogio e Carlo per le Missioni Estere a Milano.  In essa il giovane Giambattista fa la storia della sua conversione, iniziando dall’impatto iniziale che scatenò la crisi: “A conclusione del carnevale del 1871, tornando a casa dopo una notte di bagordi e di peccati, dal monastero delle Cappuccine mi giunsero flebili voci di vergini oranti che mi fecero esclamare: a che il mondo? Basta così!”. Continua descrivendo gli sviluppi che nel corso del 1871-72 quella prima impressione ebbe fino a maturare la decisione di consacrare la propria vita al Signore nel servizio e nel lavoro di evangelizzazione nelle Missioni Estere.

Tale lettera, molto ampia ed articolata, meriterebbe di essere attentamente studiata e meditata per scoprire i fondamenti della spiritualità missionaria di P. Ciccolungo. Basti qui accennare a due elementi che emergono tra tutti: la lettura assidua e direi accorata della Bibbia e una forte e tenera devozione alla Madonna con la quale il giovane intreccia un filiale dialogo sul futuro della sua vita.   Nel maggio del 1872, dopo aver notato che la sua decisione si andava rafforzando, si impone un periodo di verifica onde essere certo della solidità della sua decisione, guidato in ciò dal parroco don Vecchiotti. Tale periodo si concluse nel luglio 1873. Nel frattempo il desiderio di dedicarsi ad una vita di maggior perfezione, gli fece nascere nel cuore il desiderio di dedicarsi alla vita contemplativa entrando in un ordine monastico.  Il buon parroco Vecchiotti lo consigliò di rivolgersi a Mons. Marinoni e a seguire il suo illuminato consiglio; il fondatore dell’Istituto missionario di Milano gli fece capire che la sua strada era quella del missionario.   Fu così che nel dicembre 1873 decise di entrare nel Seminario missionario di S. Calocero, aperto solo tre anni prima, dove compì gli studi teologici.

Nel 1876, l’11 di giugno, ricevette l’ordinazione sacerdotale . Qualche mese prima il superiore dell’Istituto mons. Marinoni così scrisse al card. Filippo De Angelis, arcivescovo di Fermo: “Il rev. Giambattista Ciccolungo è il primo di decananza tra gli alunni e li precede tutti con la sincera pietà, con la sua docilità, con l’assidua diligenza ai suoi doveri”.

Il 17 gennaio del 1877 partì per l’India; fu per qualche anno ad Ellere, non distante dalla costa della Baia del Bengala. Fu trasferito poi presso la base militare inglese di TRIMULGHERRY nei pressi della quale sorgevano numerosi villaggi popolati da indigeni le cui condizioni erano di estrema povertà ed erano di lingua Tamil. Il durissimo lavoro a cui erano sottoposti per il servizio delle truppe inglesi rendeva difficili i contatti con i missionari.   Sul piano della giurisdizione ecclesiastica la zona di Trimulgherry dipendeva dalla Missione sui juris di HAIDERABAD, affidata ai Missionari del PIME; fu elevata a Diocesi verso il 1883.   Dell’attività svolta da P. Ciccolungo in quella regione dell’India fortunatamente disponiamo di una preziosa testimonianza autorevole e di prima mano.

P. Dionigi Vismara, notissimo missionario del PIME, giunse a Hyderabad nel 1889 e conobbe negli ultimi due anni P. Ciccolungo. Divenuto Vescovo della diocesi nel 1909, nel 1947, ormai ottantenne, mentre ancora reggeva quella Chiesa, scrisse una lunga ed articolata relazione sull’attività svolta da P. Giambattista nella Missione.

Non è il momento di ripercorrere e sottolineare quanto mons. Vismara espone, con profonda ammirazione e con venerazione, intorno all’attività svolta dal P. Ciccolungo e a proposito della sua profonda spiritualità sacerdotale  e missionaria. Mi limito a registrare i paragrafi che egli svolge nella sua relazione.   Dopo aver affermato che il P. Giambattista ha praticato in grado eroico tutte le virtù, mons. Vismara passa in rassegna alcuni punti degni di particolare attenzione:

Il suo spirito di orazione;

La sua carità e disponibilità verso i confratelli;

Il suo spirito di mortificazione;

In particolare il suo amore per i lebbrosi;

Il suo sforzo continuo di sovvenire alle povertà gravi e molteplici degli indigeni.

Nell’ottobre del 1891, col consenso della Congregazione di Propaganda Fide, gli fu consentito di ritornare in patria. Si stabilì a Fermo e il cardinale arcivescovo Amilcare Malagola gli affidò, come cappellano, la cura spirituale dei malati dell’Ospedale civile della città.   Il dispiacere di aver dovuto lasciare la sua Missione e i suoi poveri, fu in parte lenito dall’incarico pastorale ricevuto. Egli infatti così scriveva alla sorella che viveva come monaca nel monastero domenicano di Loro Piceno: “Essendo indispensabile che io resti a Fermo, ho creduto bene accettare la cappellania del nostro ospedale. Il trovarmi impiegato in un ospedale fu sempre anche in missione il mio desiderio, che però non si poté effettuare. Sembrerebbe che nostro Signore abbia disposto che si effettui in patria. Tanto debbo per ora restare a Fermo, il miglior modo con cui posso occuparmi si è il rimanermi nell’ospedale. Mi trovo in una casa di dolore il che farà sì che, se si prolungherà per anni la mia dimora in Patria, non produrrà quello scandalo che potrebbe produrre la lunga dimora di un missionario in patria. Almeno col veder tanti morire, mi preparassi bene al gran passo della morte! Questa è la grazia da domandare per me al Signore”.

La sua permanenza a Fermo, quindi, egli la vedeva e la viveva come prolungamento della sua attività missionaria in India.  Un malore improvviso lo colpì mentre celebrava la Messa; dopo qualche giorno di malattia, morì il 18 febbraio 1895.

A conclusione di questo superficiale intervento, sommessamente ci sembra opportuno suggerire all’Ufficio Missionario diocesano di aggiungere alle molteplici lodevoli e importanti sue iniziative, quella di proporre alla Chiesa fermana un organico lavoro per riscoprire le luminose figure di Missionari diocesani ormai scomparsi. Penso ad esempio a mons. Giuseppe Milozzi, a P. Igino Pallottini, a P. Andrea Celanzi, a P. Giuseppe Zamponi, a P. Alessandro Patacconi.

Da ultimo, al fine di cogliere l’immagine missionaria della nostra Chiesa fermana, riportiamo le parole pronunciate dal nostro venerato arcivescovo mons. Perini in occasione dell’omelia pronunciata durante il Pontificale celebrato nella chiesa Metropolitana di Fermo dal neo vescovo mons. Nicola Agnozzi: “Dalle mie esperienze episcopali ho imparato a non oppormi mai ad una vocazione missionaria. Ho avuto alle volte dei chierici rimasti nel seminario magari fino agli ultimi anni, chierici che davano tante speranze, che erano tra i migliori. Li ho visti venire a chiedere di poter essere missionari e ho detto subito: se il Signore ti chiama, vai pure”.

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