AFFRESCHI QUATTROCENTESCHI A SANTA VITTORIA IN MATENANO studio di CROCETTI Giuseppe

L’ORATORIO DEGLI INNOCENTI O DELLA RESURREZIONE AFFRESCHI A

SANTA VITTORIA IN MATENANO – Studio di Giuseppe CROCETTI

Ciclo pittorico di affreschi in encausto. Datazione: sesto decennio del sec. XV.

Ubicazione: S. Vittoria in Matenano, Chiesa della Risurrezione

Note di storia:  La chiesa della Risurrezione, detta comunemente Cappellone,  domina la vetta del Monte Matenano, alla quota di m. 625 sul mare; è monumento ricco di storia e di arte. Qui infatti un tempo si ergeva un castello fatto costruire da Pietro, abate di Farfa, con l’annessa torre-fortezza a difesa della cella dei monaci, trasformati ed ingranditi in chiesa e monastero dedicati alla martire cristiana Santa Vittoria in seguita alla traslazione delle Reliquie dalla Sabina al Matenano, compiuta dall’Abate Ratfredo il 20 giugno 934.  Quello che oggi rimane è solo una piccola parte, forse la meno importante, dell’antica chiesa, coperta a capanna, con l’ingresso sulla spianata del colle, con l’abside quadrata (m. 6 x 6,30) sul lato opposto. Era una chiesa lunga m. 40,15, larga m. 15,60 e terminava con la torre-fortezza quadrangolare, nei cui piani sovrapposti erano stati sistemati la cripta con il Sarcofago della Santa, il presbiterio, i dispositivi di difesa, le campane. Dalla ricostruzione planimetrica realizzata in base ai dati tratti dall’Archivio Capitolare di S. Vittoria, si evidenzia la pianta basilicale della chiesa sull’asse Ovest-Est, nonché il capovolgimento effettuato nel sec. XVII in stile barocco, sulla “Sepellitio de’ morti” con coro ligneo, altare maggiore e presbiterio, e infine la posizione dell’Oratorio degli Innocenti, che, stanti le sue misure di m. 6,45 x 3,35 e il suo sviluppo in altezza di m. 5,05, rappresentava appena la venticinquesima parte dell’intero sacro edificio. La conservazione di questa parte antica, divenuta chiesa della Risurrezione, si deve alla munificenza della signora Maria Vittoria Perfetti che, a sue spese,  volle fossero conservati,  per l’ammirazione dei posteri,  gli stucchi del “Cappellone”, opera di Domenico Malpiedi di San Ginesio, e gli affreschi della “Cappella degli Innocenti”. Per questa lodevole impresa dovette superare l’opposizione del comitato preposto alla costruzione della nuova Collegiata, che mirava a riutilizzare tutto il materiale  della chiesa cadente e del monastero semiabbandonato.

Si accede all’oratorio farfense per una porticina ricavata sulla parete sinistra, a fianco dell’altare della Risurrezione. Si presenta come costruzione gotica a due campate, con costoloni mistilinei che formano nel soffitto otto vele, tutte affrescate. Le pareti di testa sono in bianco, perché costruite nuove; la parete meridionale si compone di due arcate regolari, separate da una lesena; quella settentrionale è costituita parimenti da due arcate, ma la muratura è irregolare per interventi protettivi operati dopo la metà del sec. XIV. Alcune esplorazioni effettuate nella chiesa della Risurrezione e nell’Oratorio farfense durante i recenti restauri inducono a supporre che queste arcate gotiche sono un prolungamento delle tre navate della primitiva chiesa romanica. Furono realizzati tre ambienti (probabilmente non comunicanti fra loro), che presero il nome di Cappella degli Innocenti, Sepellitio de’ Morti e Cappella del Crocifisso. Nel perimetro della “Sepellitio de’ Morti”, nel sec. XV, furono costruite diverse cappelle per sepolture di private famiglie con altare sotto archi, o sotto lunette variamente affrescate.

Le pitture adornano non solo i pilastri e le pareti della costruzione primitiva, ma anche i muri di occlusione, le paraste, le vele delle vôlte, i costoloni. Nelle superfici lisce dei fondali sono affrescate storie di Cristo e della Vergine; sui pilastri, sulle lesene e lungo gli archi ogivali sono dipinte figure di santi. Nel pilastro prossimo alla porticina di ingresso, (costruito proprio a sostegno dell’arco della prima campata), trovasi incastonata una pietra arenaria con il rilievo dell’anno M.CCC.LXVIII, in caratteri semigotici. Probabilmente sta ad indicare l’anno in cui furono eseguiti importanti lavori di consolidamento nella chiesa monastica.

Descrizione. L’insieme è molto interessante, perciò merita di essere esaminato in ogni suo particolare. Per la descrizione dei soggetti rappresentati si procederà da sinistra verso destra, dall’alto in basso, dando un titolo ad ogni soggetto rappresentato ed una numerazione progressiva. Nella stesura del testo sono aggiunte le annotazioni sullo stato di conservazione.

1) La Natività (frammento)  Sopra la porticina di ingresso si vedono angeli, pastori e cartigli che indicano chiaramente che, nell’area ora occupata dalla porta, era rappresentata la scena della Natività, secondo i canoni tradizionali dell’arte umbro-marchigiana.

2) San Leonardo abate (165 x 46)  dipinto nella parte alta del primo pilastro. San Leonardo, monaco francese di Noblat è rappresentato in piedi, in prospettiva frontale; indossa abiti monacali, nelle mani reca un libro ed il ceppo dei prigionieri. Mel medioevo, il suo culto ebbe larghissima diffusione come patrono di prigionieri e di carcerati, di donne incinte e di città assediate. In basso, in caratteri gotici, la dicitura “S. LEONARDUS”. Lo stato di conservazione è molto compromesso per lacune e colore deperito.

3) S. Cornelio Papa (165 x 46)  La figura maestosa del pontefice occupa la parte mediana del primo pilastro; veste abiti pontificali, con la sinistra si appoggia al pastorale, la destra è benedicente; lo sguardo vivo è intenso e profondo, in un bel volto coronato dal triregno, sotto il quale spuntano bianche ciocche di capelli; la barba polipartita contorna le guance e il mento. L’aureola è realizzata con stampo impresso a fresco sull’intonaco.  Il dipinto è contornato da strisce colorate; nonostante presenti numerose lacune, è da considerarsi un bell’esemplare dai caratteri accentuati per individuare la personalità artistica del suo autore.

4) Eterno Padre (160 x 60)  In un nimbo di luce, contrastato dai colori dell’iride, l’Eterno Padre, protende le braccia ed invia un suo raggio che, come freccia, tende al cuore della Vergine Maria del quadro sottostante. La figura si libra nell’aria, entro un cerchio verde dal fondo rosso. Più in basso, sul loggiato della scena della Annunciazione, la verde distesa di un prato fiorito.

5) L’Annunciazione (135 x 160)  L’affresco occupa la parte mediana della irregolare prima campata. Due figure campeggiano sotto due archi posti sul primo piano del quadro, sostenuti da esili colonne. La Vergine Maria è seduta, le mani al petto, dall’aspetto pudico, raccolta in preghiera: figura leggiadra nelle sue membra sottili che le vesti coprono con grazia e con rispetto. L’Arcangelo Gabriele, vestito con dalmatica rossastra, si inginocchia alzando la destra col dito proteso, mentre con la sinistra sorregge un giglio. Il suo saluto è affidato all’agile cartiglio che si libra tra le due figure, all’altezza delle teste. L’architettura è animata dal disegno in prospettiva e dai panni stesi sulla balconata.

L’esecuzione è accurata, accarezzata in tanti particolari, più che in tutti gli altri affreschi. Nel movimento delle mani c’è una purità, un istinto di eleganza che è difficile descrivere; il tutto è un invito a mistica contemplazione nell’armonia delicata offerta dal giusto dosaggio di tanti colori.  I fondamentali elementi compositivi di questa scena ed alcune aggiunte ornamentali si riscontrano in analogo soggetto nella chiesa di S. Agostino di Fermo, nella parete di fondo del braccio sinistro del transetto.  Purtroppo l’originale bellezza di tutto quest’insieme, che poteva considerarsi il capolavoro dell’artista, va perdendo, gradualmente, quella vivacità di colori che ancora resiste negli affreschi delle campate opposte.

6) Santo Eremita in preghiera (100 x 50)  Nella parte superiore del pilastro, costruito a sostegno dell’arco della seconda campata, è dipinta la figura di una santo in ginocchio, col volto rivolto in alto e con le mani giunte. Un Angelo, librato in aria, gli reca pane e bevanda. Il pessimo stato di conservazione non ci consente l’identificazione del personaggio; come ipotesi, si suppone uno dei santi eremiti, che, stando al leggendario racconto della loro vita, furono provvisti miracolosamente di cibo quotidiano come S. Paolo di Tebe, primo eremita cristiano.

7) S. Bernardino da Siena (160 x 50)  Nella parte inferiore dello stesso pilastro è appena riconoscibile la figura slanciata di S. Bernardino da Siena, individuabile solo attraverso la sagoma caratteristica del santo, tramandataci dai contemporanei, e dai pochi segni che indicano il tipo di veste indossata: quella dei Frati Minori Francescani.  S. Bernardino da Siena  morì nel 1444 e fu santificato nell’Anno Santo del 1450. Pertanto l’anno della sua santificazione è da considerarsi il “terminus post quem” per la datazione di questo ciclo di affreschi, elemento di fondamentale importanza, finora non noto tra i critici d’arte.  Ci sembra anche opportuno rilevare la collocazione nello stesso pilastro delle figure del più antico santo tra i monaci e del più giovane santo di vita attiva, elevato di recente agli onori degli altari, e probabilmente conosciuto di persona dal pittore, quand’era ancora in vita.

8) La strage degli Innocenti (275 x 150)  L’affresco ricopre il fondo di tutta la seconda campata. Vi è rappresentata una scena drammatica, purtroppo non molto leggibile, perché deperita. Il pittore ha finto un loggiato davanti a cui è una scena tumultuaria, un aggrovigliamento di soldati, di fanciulli e di madri. Ha cercato l’effetto nel disordine e nella confusione stessa delle figure, tra le quali non ce n’è una che predomini talmente da fermare lo sguardo e riposarlo. Vi prevalgono vesti rosseggianti. Solo sul davanti, in un primo piano, l’episodio delle due madri che si chinano desolate a raccogliere i figli trucidati; quelle due teste, simili nel disegno e nell’espressione, quei due dorsi curvi che si ripetono, distinti nel colore delle vesti, sono una gran bella cosa, anche se a prima vista potrebbero sembrare un prodotto di arte ingenua. Ma non è così per l’osservatore attento, che vi scopre una madre che con le unghie si graffia la faccia per la disperazione, mentre l’altra raccoglie il figlioletto, se lo avvicina al viso per esplorare se gli resta un po’ di vita.

Tutta la superficie affrescata, al momento del nostro rilievo, si presentava con i colori resi più vivi dalle infiltrazioni di umidità, tra il muro e l’intonaco, per discesa di acqua piovana. L’inconveniente, tempestivamente segnalato, dovrebbe essere eliminato nel corso di programmati restauri.

9) Santa Lucia, vergine e martire (120 x 30)  Nell’intradosso del pilastro che sorregge l’ultimo arco ogivale verso oriente è dipinta la figura di santa Lucia, che si riconosce dal vassoio con i due occhi, sorretto dalla mano destra. L’affresco presenta molte lacune ed i segni di un grossolano restauro; ciò nonostante, si evidenzia come opera dello stesso artista.

10) Le virtù cardinali: Prudenza e Temperanza.  Nel sovrastante arco ogivale, lungo la parete frontale di esso, restano due ovali entro i quali sono raffigurati personaggi femminili e simboli tradizionali per la rappresentazione pittorica di due virtù cardinali: Prudenza e Temperanza. Nelle riquadrature, tra un ovale e l’altro, sono dipinte foglie di acanto, accartocciate con rami che  si incrociano e si rincorrono in movimenti che si adattano alle esigenze spaziali in mirabile grazia: squisito prodotto  della fantasia del pittore, il quale anche nell’affresco rivela la sua formazione artistica presso una scuola di miniatura.

11) S. Antonio abate (195 x 100)  Nell’intradosso del grande pilastro che è sito in fondo alla cappella sul lato destro, è affrescata la maestosa immagine di S. Antonio Abate, dallo sguardo immobile, fisso in avanti, figura statuaria come quella di un simulacro; stringe con la destra il bastone viatorio degli eremiti, sormontato da una campanella; con l’altra mano regge un libro aperto, posato sul ginocchio. Manca il porcellino perché nel secolo XV il santo ancora non era invocato come patrono degli animali d’allevamento domestico. Il viso appare rude, intagliato con segni netti in tutte le sue componenti. Le pieghe delle vesti sono distribuite con verità e tracciate con sicurezza. La testa del santo è circondata da una bianca aureola con ornamento impresso nell’intonaco fresco. Il disegno dello stampo è uguale in tutte le altre figure e costituisce quasi una firma dell’autore. Da notare l’arco trilobato e le due borchie in alto con disegno di ornato rinascimentale, che offrono utili elementi per la datazione.  Sul suppedaneo del sedile, in chiara scrittura gotica minuscole, che sarà oggetto di confronto con simili caratteri che riscontreremo più avanti, si legge: “S. Antonius”; lo stato di conservazione di questo affresco è da considerarsi buono, dopo più di cinque secoli.

12) Santa Caterina di Alessandria (165 x 40)  La figura della santa martire è stata dipinta sul fianco destro del predetto pilastro. Con una mano innalza la palma della verginità e con l’altra sorregge la ruota dentata, strumento del suo martirio; è assai notevole per lo slancio della corporatura, per la veste bianca, coperta da un manto verde dalle pieghe che si succedono e si richiamano in modo naturale, per il delicato volto femminile circondato dall’aureola, al centro di un bell’arco trilobato, dal fondo color verde smeraldo. L’affresco è da considerarsi fra i meglio conservati.

13) Transito e Incoronazione della Vergine Maria (350 x 190)  L’affresco occupa tutto lo spazio offertogli dalla intera campata, di fronte alla Strage degli Innocenti. La composizione pittorica ci offre tre scene ben delineate e distinte: il Transito della Vergine Maria, o “Dormitio Virginis”, nella iconografia tradizionale, la Leggenda della cintura ricevuta da san Tommaso Apostolo; l’Incoronazione della Vergine con contorno di Angeli musici.  Il corpo della Madonna è disteso nel letto; gli Apostoli sono disposti all’intorno, o meglio, sono quasi tutti schierati al di là del letto. Al centro S. Pietro, nell’atto di aspergere, legge dal libro aperto: “Factus est locus eius et habitatio eius in Sion”.

Le figure, sebbene disposte in modo convenzionale, hanno una espressione abbastanza movimentata; in quelle in piedi si notano, però, durezza di lineamenti e una certa sciattezza nel disegno. I due apostoli sono inginocchiati al di qua del letto vestono di rosso; si ripetono armonicamente nell’atteggiamento ricurvo e nella smorfia di dolore. Però S. Giovanni Evangelista, che afferra le mani irrigidite e diafane della Madonna per porle a contatto con il suo volto infuocato dal pianto, è una cosa stupenda per purità di sentimento, reso alla perfezione. Così pure nel volto assopito della Vergine, c’è un’aura di misticismo così schietto, così lontano da ogni formula, c’è una calma, un pallore così poetico, una bellezza di lineamenti, e – direi quasi – una luce morale che innalza l’opera e il suo autore ad un grado di alta ispirazione. Ufficialmente il nome del pittore ci rimane ignoto, perché il cartiglio posto sotto il cataletto è rimasto in bianco. Da quella lacuna ha preso avvio la presente ricerca nel metodo del confronto con opera di più sicura attribuzione.

Unisce le due composizioni sovrapposte un vago paesaggio, adorno di fiori e di spoglie colline, sopra le quali, a sinistra si staglia la figura del dodicesimo apostolo S. Tommaso; con la sinistra fa riparo allo sguardo rivolto verso l’alto, mentre con la destra stringe la Cintura della Vergine. Secondo la tradizione, l’apostolo Tommaso non fu presente in Gerusalemme al transito della Madonna; giunto con otto giorni di ritardo, fu accompagnato alla tomba di Maria nel Getsemani, che fu trovata colma di fiori profumati. Frugando fino in fondo per scoprirvi il corpo della Vergine, Madre del Signore, fu trovata quella cintura miracolosa, che, più tardi, in seguita ad una apparizione della Madonna a S. Monica madre di S. Agostino, suscitò nella tradizione cristiana la devozione della “Madonna della Cintura”, detta anche “Madonna della Consolazione”.

Nella parte alta della parete è rappresentata la Incoronazione della Vergine. Entro una mandorla iridescente dalle minute squame triangolari, Maria congiunge umilmente le mani e china la fronte purissima e bianca perché il Cristo vi posi la corona di gloria: “Veni coronaberis”!  E’ il gruppo consueto che più tardi avrà l’onore di essere riproposto da Raffaello. Attorno sono raffigurati Angeli dalle ali svolazzanti, mossi con brio: alcuni reggono la mandorla iridata, altri suonano strumenti musicali. Sono fisionomie dolci, rispettose, quasi pensierose,  che ci fanno ricordare le falangi di spiriti celesti create dal genio del Beato Angelico.

Sotto la cornice che inquadra tutta la scena si stende un vago e movimentato panneggio ornato di graziosi rosoncini, in mezzo a scomparti separati da ornati mistilinei disposti in senso verticale, simili a quelli dipinti sotto le scene della Annunciazione e della Strage degli Innocenti.

14) S. Giovanni Battista (146 x 40)

Questa figura per grandezza, impianto ed ornato è in sintonia con quella di S. Caterina di Alessandria; occupa la facciata del pilastro che divide le due campate della parete meridionale. E’ una immagine assai notevole per l’intensità dello sguardo, per la vivacità dei colori, le pieghe naturali del manto violetto, colore tanto caro al nostro pittore; solo la mano e i piedi scoperti del Battista, simbolo di penitenza,  risultano scarni e legnosi. Stilisticamente riproduce schemi già noti nella pittura marchigiana del sec. XV; lo si nota nella capigliatura, nel cartiglio con la scritta “Ecce Agnus Dey qui tollis peccata mundy” (sic), nell’impianto divaricato dei piedi.

15) La Crocifissione (285 x 220)

La Crocifissione costituisce l’affresco più vasto e più grandioso nella proporzione delle figure, che sono rappresentate nella grandezza naturale.

La Croce prolungata nella parte superiore con doppia traversa orizzontale richiama propriamente quella riprodotta negli stemmi della Abbazia Farfense e nelle epigrafi poste in monumenti che ne ricordano il possesso, l’arte e la storia. Tale forma, in arte, è detta croce patriarcale, o di Lorena.

Gli Angeli della Passione che, piangenti e spauriti volano nell’aria tetra, raccolgono nei calici il Sangue prezioso del Cristo, danno il tono alla drammatica scena insieme alle rocce spoglie e violacee del Calvario, disegnate in modo convenzionale.

Il Crocifisso, dai marcati segni anatomici, è tutto dipinto con vaghe reminiscenze di altri artisti fioriti nelle Marche e nell’Umbria; il ricordo è sostenuto da una conoscenza molto approssimativa della anatomia; ciò nonostante l’artista consegue un efficace tono di mistica  religiosità, dando all’immagine un soffio di spiritualità nel volto raccolto, nel nudo coperto dal velo trasparente e ondeggiante, nelle pieghe cadenti al naturale. Ma il proposito di rendere addolorato il viso della Madonna e di S. Giovanni ha indotto il pittore a quel particolare manierismo che si rifà alla scuola senese, non sempre soddisfacente; però nel complesso le figure sono molto notevoli ed espressive, non tanto per i visi, quanto per la verità dei gesti: braccia aperte, mani tese,  assai ben mosse e ben fatte. Il drappeggiare manifesta uno spirito logico: una piega chiama l’altra e il getto totale ha sempre una spontaneità e nobiltà che impongono ammirazione.

Sotto la Croce, entro una grotticina, si vede il Cranio di Adamo.  Ai piedi della Croce sono rappresentati, in piccolo, due coniugi genuflessi. Il cappello indica che l’uomo è un notaio, un dottore in legge. Sono i committenti: quelli che avranno finanziato la pittura della Crocifissione e forse anche il ciclo della Storie Evangeliche. Intorno alla metà del sec. XV, grandi benefattori del monastero furono i coniugi ser Rinaldo di ser-Paolo Vanni e Donnetta, figlia di ser Nicola di ser Bartolo Vanni, i quali con rispettivi testamenti del 24 dic. 1452 e 30 luglio 1475 costituirono il monastero di S. Vittoria erede universale dei loro beni, e vi istituirono alcuni legati.

La superficie affrescata ha subìto danni diversi dalle strutture portanti e dall’uomo. Vi affiorano incrinature nell’intonaco, causate dalle lesioni sofferte dal muro di sostegno, e rattoppi macroscopici fatti sia dai muratori nell’impianto dei tiranti in ferro, sia dai restauratori nell’intervento dell’immediato dopoguerra, limitato al consolidamento e fissaggio degli intonaci.

16) La Deposizione dalla Croce, o Pietà (100 x 180)

La scena è contenuta in una nicchia ricavata nella parte inferiore della campata; è delimitata, in alto, da un arco ribassato, decorato all’interno e all’esterno con fasce e medaglioni. La superficie affrescata arriva sino al livello del pavimento, con l’aggiunta del disegno di una pietra sepolcrale.

Nella rappresentazione della “Pietà” le figure sono in proporzioni dimezzate; i personaggi sono gli stessi del quadro sovrastante con la aggiunta della Maddalena, in dolorosa contemplazione. Sul fondo severo di un cielo cupo, solcato dai bracci della croce, si stacca la soave figura dell’Addolorata, che stringe nella sua braccia le membra deiette del Figlio, colta nell’atto di un tenero, lunghissimo bacio. Dopo l’Annunciazione è l’episodio che, più d’ogni altro,  trasmette un immediato messaggio di fede e di arte allo spettatore. Purtroppo l’affresco nella parte centrale è in progressivo deterioramento.

17) I quattro Evangelisti (315 x 260)

Nelle vele della prima vôlta sono dipinti i quattro Evangelisti, due dei quali sono deperiti da molto tempo; di un altro si conserva la parte superiore, pertanto solo la figura di S. Luca, riconoscibile dal bue sul lato sinistro, è discretamente conservata e, insieme alla decorazione dei costoloni, ci dà l’idea dell’impegno artistico assunto dal pittore.

18) I quattro Dottori della Chiesa (315 x 260)  Le vele della seconda vôlta sono state affrescate con le figure dei quattro Dottori della Chiesa occidentale. Questi sono seduti in ampi scranni gotici, dietro piccole scrivanie: S. Girolamo con il cappello prelatizio, S. Ambrogio e S. Agostino con la mitra, S. Gregorio Magno con la tiara papale. Opportune segnature del nome di ciascuno dei Dottori e di loro testi famosi ne assicurano la identificazione.  Meravigliosa per cromatismo  e dovizia di disegni è la decorazione ornamentale che si affianca alla spirale che ascende lungo i costoloni dell’architettura gotica, fino all’incrocio centrale.

Purtroppo lo stato di conservazione è molto compromesso.

19) Figure e ornati dell’arco centrale.  Degni di rilievo sono anche i piccoli medaglioni e i disegni ornamentali distribuiti lungo le tre facciate curve dell’arco centrale, quello che, congiungendo le opposte pareti,  delimita le quattro campate.

Nei tre medaglioni della fascia centrale sono rappresentati: al centro, l’Eterno Padre; a sinistra, un Angelo contemplante, a braccia aperte; a destra un Angelo adorante, a braccia incrociate. Nei riquadri di congiunzione si alternano disegni geometrici vari,  su fondo verde e violetto.

Nella fascia orientale, quella rivolta verso le vele con i Dottori, in altrettanti medaglioni sono stati raffigurati i tre grandi Fondatori degli ordini religiosi: al centro S. Benedetto da Norcia, ai lati S. Francesco d’Assisi e S. Domenico di Gusman. Nei riquadri di collegamento si rincorrono rami intrecciati con vario fogliame accartocciato.

Parimenti nella fascia occidentale, quella rivolta verso le vele degli Evangelisti, in tre medaglioni sono dipinte, figure a mezzo busto; al centro, il Cristo nel sepolcro; a sinistra, l’Addolorata; a destra S. Giovanni apostolo. Anche qui ornati di fogliame vario riempiono le zone di congiunzione tra un medaglione e l’altro. La parte sinistra è ben rifinita, quella destra, invece, dà l’impressione che non sia stata terminata: sulla sagoma del colore di preparazione, steso in modo uniforme, manca il disegno ornamentale.

20) I motivi decorativi più ricorrenti.  Sebbene elencati alla fine della nostra descrizione, alcuni motivi decorativi, ricorrenti in questo ciclo pittorico, assurgeranno ad un grado di primaria importanza nel confronto con il ciclo pittorico della Cappella S. Croce in S. Maria di Patrignone, poiché stanno ad indicare il rapporto di interdipendenza tra due importanti manifestazioni artistiche coeve: .1.  Colonna tortile con disegni di fogliame vario, lungo la spirale; .2.  Intreccio di tre corone spinate entro una circonferenza; .3.  Stelle ad otto punte entro rosoncino formato da due cerchi concentrici e due quadrati incrociati; .4.  Rosoncino gotico con otto archetti; .5.  Rosoncini gotici con sei archetti nell’incrocio di due triangoli equilateri; .6.  Rosoni più grandi con decorazioni di foglie accartocciate.

<Digitazione di Albino Vesprini>

A SANTA VITTORIA IN MATENANO Pitture  (CROCETTI Giuseppe)

Deposizione di Cristo nel sepolcro”  attribuzione a Cola di Vittoria

Discesa al limbo del Cristo Risorto  attribuzione a Cola di Vittoria

Dipinti a tempera entro l’arcosolio sepolcrale, della seconda metà del secolo XV. Collocazione: A Santa Vittoria in Matenano nella chiesa della Risurrezione detta anche Cappellone.  Proprietà  del Comune di Santa Vittoria in Matenano. Questi dipinti, tornati alla luce del 1983 si presentano in stato di conservazione mediocre per vaste lacune e si attende un intervento di generale integrazione nelle tinte omogenee, e la stesura di una vernice protettiva.

La scena della Deposizione di Cristo nel sepolcro è sulla parete di fondo nella parte sinistra rispetto a chi guarda l’altare; vi si rappresenta un sepolcro scoperto, a forma di sarcofago, emergente dal piano terra. S. Giovanni Evangelista e Giuseppe d’Arimatea eseguono la deposizione sorreggendo i lembi estremi del lenzuolo che accoglie il corpo esanime del Cristo; guida l’operazione Niccodemo, rappresentato di spalle, mentre dall’altro lato, la Madonna effonde l’ultimo bacio in un inseparabile abbraccio. Sullo sfondo oscuro con riflessi verdognoli, si stagliano le figure lacrimanti delle Marie, aventi le chiome raccolte in lunghe trecce; sono raffigurate in piedi, una con le mani giunte elevate sino al mento, l’altra con le braccia e le palme allargate e protese in avanti. Le tinte sono tenui e delicate; ne risulta un cromatismo armonioso nelle prevalenti  gradazioni dei colori giallo, verde e rosso.

La Discesa di Cristo Risorto nel Limbo,  è dipinta sul lato opposto della stessa parete di fondo. In questa scena, preparata con analogo sfondo a tinta unita e scura, domina la figura trionfante del Cristo Risorto con vessillo crociato, dispiegato al vento, che appare al “ Limbo dei patriarchi”, detto anche il “seno di Abramo”, ove, secondo le deduzioni della teologia medievale, sarebbero discesi i giusti di Israele, vissuti prima dell’avvento di Cristo, il quale, ora, scende in mezzo a loro, annuncia la sua resurrezione, li libera, rompendo la roccia della montagna e li guida verso la gloria del paradiso. Nel dipinto sono raffigurati, ignudi, uomini e donne, vecchi e bambini.

Ecco i due temi fondamentali del culto cattolico: morte e resurrezione del Cristo: temi che ben si addicono alla cappella che nel secolo XV, era denominata “Sepelitio de’ morti”, ed ora è detta chiesa della Risurrezione.

Questi dipinti, per stile, tecnica e cromatismo, si differenziano dagli affreschi di encausto della vicina cappella degli Innocenti, attribuiti a Fra Marino Angeli. Si presentano come opera di artista esperto, che si esprime in modulazioni drammatiche, proprie  dell’arte popolare umbro marchigiana della metà del secolo XV.

Volendo indicare un nome, la prima proposta cade in favore del pittore Cola da Santa Vittoria, ricordato nei  documenti dell’archivio capitolare. L’attribuzione è fatta con la riserva della provvisorietà, in attesa che l’esplorazione di altri dipinti e documenti possa offrire indicazioni per completare la ricerca storica e l’analisi stilistica. Sotto questo nome provvisorio ci sembra di poter proporre un’opera omogenea nello stile e coeva nel tempo, come la Crocifissione di Magliano di Tenna.

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A SANTA VITTORIA IN MATENANO – NELLA CHIESA DELLA MADONNA DEGLI ANGELI

(Giuseppe Crocetti)

Affresco centinato e contornato da cornice in stucco di stile barocco: Misure 100 x 110 circa. Ubicazione: Santa Vittoria in Matenano, nella Chiesa Madonna degli Angeli, parete sud.

Note storiche.  Sulla strada provinciale che conduce da Santa Vittoria in Matenano a Montelparo, nel punto ove, terminata la discesa, si incomincia a risalire, sorge l’antica chiesa di Sancta Maria Corus Angelorum, oggi detta più comunemente “Madonna degli Angeli”.  Nel viario degli Statuti Comunali santavittoriesi, approvati nel 1446, (Lib. VI rubr. 5) si accenna alla Cappella Petri, la primitiva ‘pintura’ ov’era rappresentato un affresco di scuola riminese del sec. XIV, la Madonna del latte e due Angeli musici, che ora forma la pala dell’altare maggiore.

Nel testamento di Ser Cataldo di Nicola Guglielmi, rogato il 19 marzo 1459, si legge: “Item reliquit pro fabrica ecclesiae Collis Alti, sive S. Marie Corus Angelorum, sitam in territorio Sancte Victorie juxta viam, libras viginti denariorum….” lascia un legato di circa mezzo milione per la costruzione in atto della chiesa in cui sarebbe stata inclusa la pintura di S. Maria Corus Angelorum.

Un altro testamento del 1475 ci informa che la chiesa era già terminata. Infatti Donnetta, di Ser Nicola di Ser Bartolo Vanni, “reliquit ecclesie S. Marie corus Angelorum ….. pro dote et possessione ….. agrum unum ….. situm un contrada dicta Volta Collis Alti, juxta ipsam ecclesiam S. Marie”, <lasciò alla chiesa di Santa Maria ‘corus Angelorum’ come dote e in possesso un terreno sito nella contrada dettaVola di Colle Alto, presso la stessa chiesa>.

Nel frattempo due affreschi furono eseguiti alle pareti laterali con intervento di due pittori di diversa scuola. A destra la Vergine col Figlio, attribuita a Pietro Alima, attivo nel Fermano tra il 1462 e il 1478; a sinistra, meglio conservata, la Madonna degli Angeli, attribuita a Fra’ Marino Angeli e databile intorno al 1460. Dalle memorie del Card. Alessandro Borgia, Arciv. di Fermo, si apprende che nel 1732 in questa chiesa si verificarono fatti portentosi che richiamarono gran concorso di popolo da ogni parte della diocesi. Un comitato stabilito raccolse offerte cospicue e rimodernò il sacro edificio con rialzo del tetto, costruzione del portico e dell’altare maggiore, demolizione degli altari laterali e costruzione di (discutibili) cornici a stucco in stile barocco attorno agli affreschi quattrocenteschi.

Il dipinto “Madonna degli Angeli”, non si sa se per ragioni di simmetria o per deperimento, è stato ricoperto con nubi in rilievo nella zona inferiore. Nel verificare lo stato di conservazione della superficie ricoperta si riflette sui provvedimenti per rimetterla in luce. )Chissà che non venga fuori qualche scritta rivelatrice!)

Descrizione. La parte attualmente visibile ci mostra la Madonna seduta in semplice scanno gotico, mentre allatta il Bambino; le fanno corona sei raccolte figure di Angeli contemplanti ed adoranti il divin Figlio. I colori si son mantenuti vivi e ben saldi, favoriti dalla posizione soleggiata ed asciutta della parete, a differenza degli altri, assai compromessi dall’umidità infiltrata nei muri.

Si propone la attribuzione in favore di Fra‘ Marino Angeli, non solo per la concordanza storica della costruzione della chiesa di S. Maria degli Angeli, avvenuta negli ultimi anni di sua vita, ma anche, e soprattutto, per alcune rispondenze nel disegno, cui accenniamo brevemente, specialmente con la tavola “Madonna con Bambino”: la corona sul capo della Vergine, l’accollatura della veste col medesimo bordo ricamato, la mano con le dita lunghe ed affusolate, la testa del Bambino …..

<Digitazione di Albino Vesprini>

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