STORIA DI MONTE GIBERTO – ORIGINI E PRIMO SVILUPPO – studi di SANTARELLI GIUSEPPE

MONTE GIBERTO – Origine e primo sviluppo – Studi di SANTARELLI Giuseppe
NOTA DI DOCUMENTI E STUDI CHE SONO SEGNALATI NELLE CITAZIONI
*Adami = ADAMI, F. “De rebus in civitate Firmana gestis fragmentorum libri duo”. Roma 1591
*A.S.A.F. = Archivio storico arcivescovile di Fermo
*Bonvicini = BONVICINI, P. La centuriazione augustea della Vallata del Tenna. Fermo 1978
*Conlationes registro = A.S.A.F.: registri mss. Armadio .I. palchetto B.
*Crocetti, Scoccia = CROCETTI, G. – SCOCCIA, F. Ponzano di Fermo. Storia ed arte. Fermo 1982
*Cronache Fermane = Cronache della città di Fermo; a cura di DE MINICIS, G. Firenze 1870
*Fabiani = FABIANI, G. Ascoli nel Quattrocento. Ascoli Piceno 1975 pag. 276
*Leopardi = LEOPARDI, M. Vita di Nicolò Bonafede vescovo di Chiusi. Pesaro 1832
*Liber = Edizione del Liber 1029; del Liber 1030, e del Liber 1031: tre codici o registri membranacei dei secc. XIII-XIV rilegati insieme nell’Archivio Storico comunale di Fermo secondo numerazione e titoli di M. Hubart: n. 1029 = Copia bullarum, privilegiorum et instrumentorum pertinent. ad civitatem et episcopatum Firmi facta in pergameno per ser Bartolomeum Petri notarium de anno Domini 1266 tempore et de mandato domini Lorentii Tepuli Firmi potestatis “; n. 1030 = “ Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi; n. 1031 = “Liber diversarum copiarum bullarum, privilegiorum et intrumentorum civitatis et episcopatus Firmi “. Sono editi con titolo Liber Iurium dell’episcopato e della città di Fermo; a cura di PACINI, D. vol 1° – AVARUCCI, G. vol 2° – PAOLI, U. vol. 3° con impaginazione sequenziale. Ancona 1996
*Mangani, Mariano = MANGANI, G. – MARIANO, F. il disegno del territorio. Storia della cartografia delle Marche. Ancona 1998
*Marini = MARINI, A. “Rubrica eorum omnium quae continentur in libris Conciliorum et Cernitarum ill.me Communitatis Civitatis Firmane ab anno 1380 usque ad annum 1599.” ms. presso archivio di Stato di Fermo e copia nella biblioteca fermana.
*Michetti = MICHETTI, G. S. Vittoria in Matenano. Fermo 1969
*Pacini Origini = PACINI, D. Sulle origini dei signori di Mogliano e di altre famiglie signorilimarchigiane; in “ Studi Maceratesi” n. 22 Macerata 1989
*Pacini Pievi = PACINI, D. Le pievi dell’antica diocesi di Fermo; in: “Le pievi delle Marche” Studia Picena Fano 1978
*Piergallina = PIERGALLINA, G. A. Storia di Grottazzolina. Assisi 1989
*Plebanato 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV. Cartella O, n. 1-5. Fascicolo Ponzano – S. Maria Mater Domini, inventario redatto da Bonanni nel 1450; edito in CROCETTI, SCOCCIA (vedi sopra) pp. 396ss
*Rationes Decimarum = Rationes Decimarum Italia e Saecc. XIII- XIV. Marchia; a cura di SELLA, P. Città del Vaticano 1950 con carta geografica annessa
*S. Antonio da Padova 1771 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giberto 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Giovanni = Inventari 1727 \ 1765 \ 1771 = A.S.A.F. Inventari: sec. XVIIIs; cartella 28 Montegiberto
*S. Giovanni di Casale 1450 = Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Maria delle Grazie1765 = Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto
*S. Michele 1450 Inv. = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1450 = A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*S. Nicolò 1727\1763\1771 = A.S.A.F. Inventari: secoli XVIIIs; cartella 28 Monte Giberto; anni 1727; 1765; 1771
*S. Pietro 1450 Inv. A.S.A.F. Inventari del secolo XV: armadio .II. cartella O, n. 1-5 Montegiberto
*Santarelli S. Casa = SANTARELLI, G. La santa Casa di Loreto. Ancona 1996 pp. 305s
*SS. Vergine di Loreto Inv. = A.S.A.F. Inventari: secc.XVIIIs; cartella 28
*Statuta Firmanorum = Statuta Firmanorum. Firmi 1507 ed altre edizioni successive

L’attuale territorio comunale di Monte Giberto si estende per kmq. 12,53 e confina a nord-est con Ponzano di Fermo; a nord-ovest e con Grottazzolina, ad ovest con Montottone, a sud-ovest con Monte Vidon Combatte e a sud-est con Petritoli.
È indubitabile che, in epoca antica, l’attuale territorio montegibertese sia stato abitato dai Piceni che avevano sedi importanti nei vicini centri di Belmonte, di Grottazzolina e di Fermo, le cui vestigia archeologiche sono state rese note da vari studi e mostre. Sinora, tuttavia, nel territorio comunale non sono stati rinvenuti reperti sicuri che abbiano testimoniato inequivocabilmente una presenza di Piceni in loco. Non risulta che siano state fatte delle esplorazioni specifiche.
Stando a uno studio del Bonvicini, il territorio di Monte Giberto sarebbe stato incluso nella centuriazione romana al tempo del secondo triunvirato di Ottaviano, Antonio Lepido (43 a.C.), quando ai veterani di Giulio Cesare Ottaviano assegnò, tra l’altro, l’agro fermano, confiscando i terreni agli antichi proprietari e dandoli ai militari collocati in riposo, perché lo lavorassero. Egli infatti distribuì le terre promesse in Italia ai quasi 180.000 veterani del partito cesariano, scegliendo diciotto città, tra cui Fermo. Nelle sue “Res Gestae” (cose compiute) Ottaviano, ricorda che, nominato Principe (29 a. C.), inviò più di 300.000 cittadini romani, sotto le sue insegne, in colonie o nei loro municipi, dopo che avevano compiuto il servizio militare; e ad essi (tutti) assegnò terre”. Questi costruirono le loro ‘ville’ nei terreni ottenuti.
È noto che la centuriazione, che era una suddivisione misurata dei terreni, veniva effettuata da tecnici denominati gromatici, perché tracciavano sul territorio le linee di ripartizione, incrociate ad angolo retto, usando uno strumento detto ‘groma’. Sulle linee ortogonali si aprivano le strade sviluppandole in direzione est-ovest, che venivano chiamate decumani, e altre strade correvano sulla direzione nord-sud, venivano chiamate cardini. Secondo il Bonvicini, il decumano massimo – cioè la via principale dell’intero territorio – si sarebbe sviluppato nell’agro fermano in direzione da nord-est, verso sud-ovest: a partire dalla costa del mare Adriatico, avrebbe attraversato idealmente la città di Fermo passando per il Duomo, proseguendo poi verso il convento dei Cappuccini, per proseguire attraversando l’Ete Vivo alla confluenza del fosso Capparuccia e sarebbe giunto, probabilmente, presso l’attuale confine tra Monte Giberto e Montottone.
Il terzo decumano sinistro, sviluppantesi in direzione est- ovest, avrebbe seguito, grosso modo, l’attuale tracciato della strada provinciale “Ponzanese”, che prosegue per Monte Giberto, il cui confine dista dalla monumentale chiesa di S. Marco solo un km circa. Il sito dove sorge questa chiesa avrebbe costituito il punto di incrocio con la linea del cardine. Affidiamo queste ipotesi agli studiosi.
Il Bonvicini ipotizza la presenza di un preesistente tempietto pagano nei pressi del colle di S. Marco di Ponzano, come suggerirebbero tre reperti di epoca romana, presenti nella chiesa: un capitello corinzio (che funge ora da acquasantiera); un grande sarcofago (utilizzato come mensa d’altare); e una lapide – fino a poco tempo fa sconosciuta – con iscrizione sepolcrale che dice (tradotta): “Cassia Vera, figlia di Marco, fece a sua madre Jonia, figlia di Spurio”. Secondo il Bonvicini è molto probabile che Cassia abbia fatto collocare il bel sarcofago con l’iscrizione per sua madre in un tempietto funebre.
Questi resti archeologici costituiscano un segno eloquente della presenza di insediamenti romani a ridosso del territorio di Monte Giberto, il quale, peraltro, posto com’è a sud-ovest di Fermo e a sud-est di Falerone, non lontano da questi due notevoli storici centri romani, ricchi di note testimonianze archeologiche, poté senz’altro essere compreso in un’area popolata da coloni romani, almeno dall’età imperiale in poi.
Lungo la strada ‘romana’, presso il poggio ponzanese di S. Marco, pensiamo corresse l’incrocio del citato terzo decumano sinistro con il dodicesimo cardine anteriore, dato che, secondo il costume romano, all’incrocio delle strade sorgevano tempietti di lari protettori (compita). Presso le ‘ville’ romane esistevano le edicole per le ceneri dei defunti e gli dei Lari. In epoca cristiana furono gliantichi tempietti o edicole trasformati in chiesine.
Il Crocetti e lo Scoccia sono del parere che nella zona valliva, tra il colle di Ponzano e il poggio di S. Marco, si sarebbe snodata un’altra strada, il cui braccio destro sarebbe sceso verso l’Ete Vivo, e il braccio sinistro verso il Rio e il colle di Torchiaro. Questo dato sarebbe molto importante per chiarire la presenza di tanti castelli piccoli e autonomi denominati Montone, Longiano, Ponzano, lo stesso castello (o villa) di S. Maria Mater Domini, Torchiaro, Moregnano e Monte Giberto, nella zona intorno all’antica chiesa di S. Maria Mater Domini passata al vescovo Fermano. (Crocetti, Scoccia, 28).
Intorno al 705, Faroaldo II, duca longobardo di Spoleto, assegnò all’abbazia di Farfa undici insediamenti rurali, detti ‘curtes’, estese undicimila moggi ciascuna. Un’altra notizia del registro farfense riguarda la confisca fatta nell’agosto del 787 e confermata, nell’anno successivo, da Carlo Magno re dei Franchi, dei beni del conte fermano Rabenno e della sua moglie Alerama per punirli di un delitto commesso. Sicuramente i terreni che il conte Rabenno aveva nel territorio riguardano anzitutto i terreni vicini a Fermo, ed altri.
Alcune delle terre acquisite dai monaci Farfensi dalla donazione di Faroaldo nel 705 e dal sequestro del 787 a Rabenno e Alerama, erano situate nel medio e alto bacino dei fiumi Aso, Ete Vivo e Tenna. Altri beni furono dati ai monaci farfensi nel Fermano, come risulta dal Regesto di Farfa. Nel 946 circa, tra i beni farfensi sperperati dall’abate intruso Ildebrando, compare una serie di insediamenti curtensi che interessano il territorio Piceno compreso tra i fiumi citati. Ecco un testo tradotto dal latino: “Infatti lo stesso Ildebrando diede la curtis di Plotenano, la curtis di Monra, la curtis di S. Angelo tra le due Tenne, la curtis di Montefalcone, il monastero di S. Maria presso il fiume Chienti […], la curtis di S. Maria Mater Domini e la curtis di San Martino di Ortezzano … (Regesto di Farfa, III, 84s)
E’ noto che la ‘curtis’ era costituita da un insediamento rurale comprendente il fondo del padrone dominante, e i fondi dei servi e dei liberi, i quali, nel loro insieme, formavano un’entità giuridica ed economica. La ‘curtis’ prendeva il nome da una chiesa o dalla contrada in cui abitavano. Nel regesto farfense si leggono moltissimi toponimi curtensi del territorio Fermano, segno dello sviluppo abitativo.
In base ad un inventario, redatto nel secolo XV, la giurisdizione della pievania di S. Maria Mater Domini si estendeva alle chiese sparse negli attuali territori di Ponzano, Torchiaro, Moregnano, S. Marziale di Petritoli e Monte Giberto. e in questo complesso di tali territori si possono includere undicimila moggi donati nel 705 ai Farfensi. Si potrebbe pensare che anche la “curtis” di S. Maria Matris Domini di Ortezzano potesse estendersi fino al territorio di Monte Giberto, che non dista molto da questo centro.
Il Michetti, illustrando, in base a un diploma di Enrico IV del 1084, i possedimenti farfensi nel Piceno, situati tra l’Aso e il Tenna, nel comitato o contado di Fermo, cita Monte Giberto, insieme con Ortezzano, Monteleone, Belmonte Piceno, Montottone, Ponzano, parte di Petritoli, Altidona e con il territorio costiero da Pedaso alla foce dell’Ete Vivo. (Regesto di Farfa, V, 95s).

– DUE NUCLEI DEMICI MEDIEVALI NEL TERRITORIO ATTUALE DI MONTE GIBERTO

Dal confronto incrociato di alcuni documenti vescovili e pontifici con quelli del Liber 1030 di Fermo è possibile accertare due antichi insediamenti medievali nel territorio montegibertese, i quali assumono importanza anche per l’incastellamento dentro il successivo centro urbano di Monte Giberto.

– IL CASTELLO DI CASALE
Un documento del giugno 1059 (Liber 153s) riguarda l’attuale territorio montegibertese. Vi si dice che Longino, soprannominato Brittolo, figlio del defunto Adalberto, soprannominato Massarello, dona ‘pro anima’ a Ulderico, vescovo di Fermo, il Castello di Casale con la terza parte della chiesa di San Giovanni, e le porzioni di un’altra sua proprietà sulle chiese di S. Salvatore e S. Gervasio, nonché cento moggi di terra situati tra i fiumi Tenna ed Ete Vivo, nei pressi delle citate strade di Ponzano.
Qui interessa il Castello di Casale con la rispettiva chiesa di S. Giovanni. Ecco in sintesi di dati dell’atto notarile: Brittolo dispone di concedere in perpetuo ciò che possiede per eredità e per acquisizione, e cioè il fondo con il Castello di Casale, le sue varie parti e pertinenze, e la terza parte della chiesa di S. Giovanni, che sta nello stesso Castello, con le cappelle, i libri, le campane, le dotazioni e gli arredi sacri.
Questo Castello di Casale ritorna in un altro documento (Liber 214s) datato al settembre 1063. Vi si legge che un altro Longino, figlio del fu Suppone e fratello di Mainardo, permuta vari beni con il vescovo di Fermo Ulderico, ricevendone, fra l’altro, il Castello di Casale con 3.500 moggi di terra tra il fiume Tenna e il fiume Ete Vivo, ad esclusione di alcune chiese, come la pieve di S. Maria Mater Domini, fatti salvi i diritti degli uomini di Casale. Il vescovo di Fermo, in tal modo, cede a Longino di Suppone, con la permuta, i possedimenti posti tra il Tenna e l’Ete Vivo intorno a Monte Giberto, con toponimi ancora identificabili a confine, quali Sant’Anatolia (in territorio di Petritoli), S. Procolo (a Collina) e la pieve di S. Maria Mater Domini (S. Marco presso Ponzano). Del Castello di Casale si dice che esso viene confermato a Longino e ai suoi eredi, con le pertinenze e le dipendenze, integralmente. Chiaramente risulta come luogo abitato.
Dove si trovava il Castello di Casale? Già il testo suggerisce di situarlo su un colle a sud dell’Ete Vivo, perché viene elencato assieme con Sant’Anatolia di Petritoli e San Procolo, che è nel comune di Monte Vidon Combatte, confinante con l’attuale territorio montegibertese. Un’indicazione più precisa può venire dal fatto che la chiesa di S. Giovanni, nel precedente documento del 1059, risulta annessa al Castello di Casale.
La chiesa di S. Giovanni di Casale è censita nelle Rationes Decimarum, cioè nell’elenco delle decime straordinarie che furono imposte per il triennio 1290-1292 da Nicolò IV e nel 1299 da Bonifacio VIII. Per l’anno 1290 il cappellano don Andrea rettore della chiesa di S. Giovanni di Casale versò 20 soldi. Casale risultava un centro a sé stante (doc. S. Giovanni).
Un’ulteriore precisazione si ha in un inventario compilato il 27 gennaio 1450 da Don Giovanni Bonanni di Moresco, pievano di S. Maria Mater Domini di Ponzano, su disposizione del cardinale Domenico Capranica, vescovo di Fermo. Vi sono elencati anche i benefici ecclesiastici di pertinenza della stessa pievania, la cui assegnazione e nomina dei titolari competeva al pievano, il quale, ogni anno, riceveva il tributo. (Crocetti, Scoccia 386s doc. Plebanato ). Tra le varie chiese e altari dipendenti dalla pievania ponzanese figura anche la chiesa di S. Giovanni di Casale che versa libre 12, soldi 17 e denari sei.
La conferma esplicita di questa collocazione topografica viene da un altro inventario, tra i molti della stessa epoca del vescovo Capranica che aveva in proprietà le chiese inventariate. Nell’inventario della chiesa di S. Giovanni di Casale del 1450 si legge che Don Marino, rettore della chiesa di S. Giovanni di Casale nel Castello di Monte Giberto e della chiesa di S. Margherita, fuori dello stesso Castello, unita a quella di S. Giovanni di Casale, è chiamato a redigere e di fatto redige lo stesso inventario delle due chiese, sottoscritto dal notaio Angelo di Pocuzio di Monte Vidon Combatte, che nel 1449 era stato podestà di Monte Giberto.
Una conferma moderna, si ha nell’inventario della chiesa di S. Giovanni Battista di Monte Giberto, compilato dal parroco Don Filippo Franchelucci il 15 dicembre 1771 su mandato dell’arcivescovo di Fermo Urbano Paracciani (1764-1779) e vidimato il 2 gennaio 1772 dal notaio Giovanni Battista Petrelli. Questi inventari sono nell’archivio arcivescovile di Fermo.
Nell’elenco delle pertinenze della pievania di S. Maria Mater Domini di Ponzano, nell’inventario del Bonanni, (Plebanato) sono nominate tre chiese con il titolo di S. Giovanni. In base al citato Inventario del 1771, esse risultano tutte esistenti nel territorio del castello di Monte Giberto: una parrocchiale S. Giovanni nel Castello, e due altre nel suo territorio.
Quest’inventario moderno dice che alcune chiese rurali di Monte Giberto, scomparse nel tempo, erano state aggregate alla chiesa di S. Giovanni Battista, sita nel centro urbano, tra le quali due con il titolo di S. Giovanni. Ecco il tenore del relativo testo: “E’ costante tradizione avvalorata da forti congetture e fondati indizi che nel ridursi le chiese sparse nel territorio di questo luogo di Monte Giberto dentro al Castello, la maggior parte di esse si aggregasse ed unisse alla chiesa di S. Giovanni. Questo è certo rispetto la chiesa di S. Giovanni posta nel colle di tal nome, di cui rimane ancora qualche vestigio […] come pure di altra chiesa del territorio similmente di tal titolo di S. Giovanni che fu in altra contrada, pure ‘Colle’ chiamata, presso il confine di Collina”. (S. Giovanni Inv. 1771).
Dunque, tre chiese esistevano un tempo a Monte Giberto e nel suo territorio dedicate a S. Giovanni: una dentro il castello, menzionata dalle Rationes Decimarum, con il cappellano Don Guglielmo (n.6111), e due nel territorio circostante, cioè S. Giovanni di Casale, di cui si è parlato, e San Giovanni di Faveto (n.5726), segnalata dalle Rationes Decimarum con il cappellano Don Landrisio.
L’inventario del 1771 aiuta anche a meglio definire l’ubicazione delle due chiese rurali intitolate a S. Giovanni. Vi si legge infatti che una di esse era posta sul ‘Colle’ detto appunto di San Giovanni. Vi si elencano i terreni posseduti dalla chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, situata dentro il Castello, e menziona “una pezza di terra in contrada di Rivo di Valle, detta Colle S. Giovanni”. Questa indicazione ci riporta con sicurezza al luogo denominato ancora oggi Colle S. Giovanni, a ovest, rispetto al centro di Monte Giberto, a due chilometri circa di distanza. Qui sorgeva la chiesa di S. Giovanni detta di Faveto o Fageto, menzionata senza il toponimo nell’inventario del 1771.
Un’altra chiesa di S. Giovanni (senza toponimo) nell’inventario del 1771, è segnalata “in altra contrada, pure il ‘Colle’ chiamato, presso il confine di Collina”, deve identificarsi con quella dell’antico Castello di Casale, del documento del 1059, nonché delle Rationes Decimarum del 1290. Esiste infatti in quella zona una contrada tuttora denominata ‘Campo Casale’, che riconduce immediatamente al sito in cui sorgeva con ogni probabilità l’antico Castello di Casale.
In un’ampia carta topografica manoscritta, raffigurante il territorio comunale di Monte Giberto, redatta nel 1871 con l’indicazione delle antiche contrade e con i nomi dei proprietari o residenti, ora esposta in bella mostra nell’ufficio del sindaco, è notata ad evidenza, verso Collina, la contrada Campo Casale che, quasi sicuramente, deriva il nome dal vecchio e distrutto Castello. L’orografia del territorio ben si confà alla descrizione del documento del 1063, con i suoi corsi d’acqua (un fosso a nord che confluisce sul Rio, a ovest) e con le ripe, tuttora esistenti sul versante nord-ovest. Esiste inoltre un antico catasto di Montegiberto nell’archivio di Fermo.
In un inventario della stessa Chiesa di S. Giovanni Battista, redatto nel 1728, si legge che, secondo la ‘credenza’ popolare, questa chiesa, situata dentro il Castello, “sortisse il suo principio da un’altra chiesa di campagna dedicata pure a S. Giovanni Battista”. E a testimonianza di ciò scrive: “e questa volgare credenza non è affatto improbabile, atteso che ai nostri giorni in una pezza di terra di questa chiesa, che si dice il ‘Monte S. Giovanni’, e dove si crede essere stata l’antica chiesa, sono stati trovati teschi e ossi non mancandovi qualche, sebbene oscuro, vestigio di muro”. I resti archeologici menzionati fanno pensare a un incasato complesso e, appunto, all’antico Castello di Casale.
Il Castello di Casale doveva avere una sua consistenza difensiva e strutturale perché, secondo il documento del 1059, era munito di porte d’ingresso e uscita e di un fossato di cinta (carbonaria). Godeva anche di una difesa naturale per le ripe a nord-ovest. L’annessa chiesa di San Giovanni possedeva oratori, era dotata di libri e munita di campana, oltre che di arredi sacri e oggetti (ornamenta).
Questa chiesa quasi sicuramente era in funzione della cura spirituale della popolazione residente nel castello e nelle case sparse nella campagna circostante. Infatti la presenza della campana nella chiesa di San Giovanni di Casale, ha una rilevanza perché indicava il luogo di culto pubblico, inoltre essa aveva un insieme di libri, che, in genere, secondo le norme, comprendeva i libri liturgici.
In generale, gli oratori (o cappelle) fanno pensare all’organizzazione di un luogo di culto in cura d’anime, come piccoli centri pastorali distribuiti nel territorio, i quali concorrevano al coordinamento dell’attività del complesso terriero. Talvolta si trattava di oratori dipendenti da qualche grande abbazia. Esistevano, inoltre, oratori di fondazione ecclesiastica o anche privata, come sembrerebbe il caso della chiesa di S. Giovanni di Casale.
Il documento del 1063 segnala che nel Castello di Casale esistevano ‘edifici’, i quali, probabilmente, erano abitazioni con strutture difensive, con le ‘ripe’. Dato che aveva delle pertinenze e dipendenze è significativo dell’espansione dell’insediamento. In questa entità demica medievale di un certo interesse, gli abitanti, liberi da ogni sudditanza nei riguardi di Longino di Suppone, costituivano un insediamento rurale curtense dotato di proprio centro nel Castello di Casale. Si riscontra un’entità giuridica, religiosa, economica e amministrativa, che si configura come un insediamento rurale, con un castello munito, quello di Casale e una sua chiesa, dedicata a S. Giovanni, per il culto e l’assistenza cristiana degli abitanti circonvicini.
Quando scomparve il Castello di Casale? Un indizio si può ricavare da un’espressione dell’inventario della chiesa di S. Giovanni di Casale redatto quasi sicuramente nel 1450, dove si legge: “chiesa di san Giovanni de Casale nel Castello di Monte Giberto”. Una traslocazione dentro al centro urbano del castello. Nel testo dell’inventario si legge che la chiesa possedeva, tra i beni immobiliari, due case, e ambedue presso la medesima chiesa di S. Giovanni. Nella chiusura dell’atto si legge: “Redatto nel Castello di Monte Gilberto, nella casa della detta chiesa di S. Giovanni, sopra la Porta e la Contrada da Sole”
Risulta così che l’antica chiesa, forse andata distrutta, fu ricostruita con la medesima dedicazione dentro il Castello di Monte Giberto. A questa era unita, nella persona dello stesso rettore, la chiesa di S. Margherita, che con indicazione topografica viene distinta come esistente: “fuori del detto castello di Monte Giberto”. Certamente in tutti i secoli le chiese rovinate dalle intemperie furono ricostruite, o, per utilità dei fedeli, trasferite talora in altri siti, con la medesima titolazione. Questo è il caso anche della chiesa di S. Giovanni di Casale, che prima esisteva in campagna nell’omonimo Castello e poi, andato l’incasato in decadenza, fu ricostruita nel centro urbano, dentro il Castello di Monte Giberto.
Tale fenomeno si verificava spesso proprio nell’incastellamento della popolazione di una data contrada che riedificava dentro le mura del castello urbano la propria chiesa, dotata in genere dei suoi beni, con la precedente titolazione. Talora essa veniva ricostruita in direzione (linea d’aria) dell’antico e abbandonato sito, come il caso della chiesa di S. Giovanni di Casale, riedificata, secondo alcune indicazioni del citato inventario del 1450, nella zona di Porta da Sole, di fronte alla contrada di Campo Casale. Non è ragionevole supporre che il Castello di Casale con la sua chiesa sorgesse originariamente nel luogo dell’attuale centro urbano di Monte Giberto. Vi fu traslocata, probabilmente per consiglio del vescovo divenuto proprietario. Anche gli inventari del 1727 e del 1771 della chiesa di S. Giovanni Battista, inducono a ritenere con sicurezza che l’antica precedente chiesa sorgesse un tempo nel Castello di Casale. Successivamente, come fa intendere l’inventario del 1450, essa fu ricostruita, in epoca imprecisata, ma assai probabilmente nel secolo XIV, nel Castello di Monte Gilberto, fenomeno non raro a quel tempo.

– IL CASTELLO DI PODIO
Nel Regesto di Farfa (p. 368) alcune parole aiutano a definire qualche aspetto interessante le vicende, le entità e l’ubicazione del Castello del Podio. Vi si legge: “il Castello detto podio che Giovanni, figlio di Otberto, concesse al nostro monastero con i corsi d’acqua e con tutte le pertinenze”. Così si viene a sapere che il castello era stato un possedimento farfense, donato al monastero da un tal Giovanni, figlio di Otberto. Non ci dice quando avvenne tale donazione, ma è da supporre che al più tardi sia avvenuta nella prima metà del secolo XI, dato che in altra pagina (p.269) esiste un documento del 1070 circa, dove viene nominata questa località, di grande interesse per la storia degli insediamenti medievali nel territorio di Monte Giberto in esame. Potrebbe trattarsi del più antico insediamento medievale finora documentato in territorio montegibertese, forse precedente allo stesso Castello di Casale.
Il preposto farfense Giso di Santa Maria in Georgio (oggi Monte Giorgio), nella seconda metà del secolo XI – probabilmente intorno al 1070 – in una sua relazione lamenta che il vescovo di Fermo Ermanno (1047-1055) e il suo successore Ulderico (1057-1073) si erano appropriati di molti possedimenti dell’abbazia di Farfa, alcuni dei quali erano situati nelle vicinanze di Monte Giberto, come Cripta (Grottazzolina), Montebello, (colle a nord del cimitero di Grottazzolina) e la “curtis” di S. Maria Mater Domini, presso Ponzano (cfr nel Liber 214). Vi compare usurpato dal vescovo anche un castello così definito: “Castello detto Podio” che – direi – va identificato con quello in cui sorgeva la chiesa di S. Martino del Podio.
Questo detto Podio che significa ‘poggio’ possedeva assieme “con tutte le pertinenze anche corsi d’acqua”, dotazioni forse non trascurabili come fa supporre l’aggettivo “tutte”. Questi dati, per quanto generici, suggeriscono l’ipotesi di collocare il Castello de Podio nell’attuale località detta Castelletta, che è un bel poggio a sud ovest e di Monte Giberto, il quale si eleva di fronte a Cripta (Grottazzolina) e a Montebello, sul lato sud dell’Ete Vivo e non lontano dal Rio, posto a sud ovest, i quali fanno subito pensare ai corsi d’acqua registrati nel Regesto Farfense.
Le Rationes Decimarum facilitano l’individuazione, confrontate con altre carte, come l’inventario del 1450 del Bonanni, e quello del 1771. Nelle Rationes viene menzionata la chiesa di San Martino del Podio, il cui cappellano Don Marco del 1290 (n.5849) versa in un’unica rata 21 soldi, mentre nel 1299 chiese l’esenzione dalla decima (n.7485) giurando di avere una rendita di sole 15 libbre e 10 soldi (n.7485), avvalendosi della concessione di Bonifacio VIII, che aveva esentato da tale pagamento i beneficiati con un reddito inferiore a 18 libbre, con dichiarazione giurata.
La chiesa di S. Martino de Podio si ritrova elencata nell’accennato inventario del Bonanni del 1450 (Plebanato) come la prima delle pertinenze, come beneficio ecclesiastico, di proprietà del Plebanato vescovile di S. Maria Mater Domini di Ponzano (Crocetti, Scoccia 387). Questa chiesa dovrebbe identificarsi con quella elencata nelle Rationes Decimarum, retta da Don Simone, “preposito di San Martino di Monte Giberto” (nn. 6115 e 7424).
Anche l’inventario del 1771 menziona, in territorio montegibertense, una chiesa di S. Martino che fu aggregata alla chiesa di S. Giovanni Battista e qui esisteva un altare dedicato appunto a S. Martino, dopo la scomparsa della chiesa rurale.
Suggeriscono l’ubicazione anche gli Statuta Firmanorum, dati alle stampe per la prima volta nel 1507 i quali riportano un antico elenco di castelli e ville, precedente forse anche a quello redatto da Egidio Albornoz intorno al 1356. Vi sono riportati anche i nomi di ville e castelli che agli inizi del secolo XVI non esistevano più. Tra essi figura “Castello del Podio fuori Grottazzolina” (libro 2°, rubrica 27). Questo Castello del Podio, che si considera ubicato in contrada Castelletta, sul versante sud del fiume Ete Vivo, ai confini praticamente con il territorio di Grottazzolina, si scorge di fronte, quasi dirimpettaio, poteva ben dirsi situato “fuori Grottazzolina” (Crocetti, Scoccia 150).
Corroborerebbe questa supposizione lo stesso toponimo Castelletta, che spesso, nelle Marche centro-meridionali, sta a significare un sito ove esisteva, nelle immediate vicinanze, un antico castello o fortilizio in rovina o abbattuto, come si riscontra in vari Comuni, come residui toponomastici di un antico e distrutto Castello o di un fortilizio, con terrapieno o poggio. Ad esempio il toponimo Castelletta ad Ortezzano, a Carassai, a Fermo e altrove.
Che il Castello del Podio debba collocarsi in contrada Castelletta è suggerito anche dal reperimento in questa zona di un piccolo peso di forma tondeggiante con marchio nella base, giudicato di epoca romana tardo-imperiale dal prof. Giovanni Ciarrocchi, il quale ci racconta che esso era stato ritrovato da un contadino tra petraie e antichi residui edilizi (tegole romane, e altro). Questo peso fu consegnato al podestà di Monte Giberto Ugo Agostini, agli inizi degli anni Quaranta del secolo XX, poi finì nelle mani di un antiquario. Il reperto, oltre ad avvalorare l’ipotesi dell’ubicazione di un Castello, in contrada Castelletta, sta anche a confermare come alcuni castelli medievali siano sorti su precedenti antichi centri demici di origine romana.
L’antico proprietario del Castello del Podio era in origine Giovanni, figlio di Otberto, vissuto nella prima metà del secolo XI o anche prima. Lo cedette ai monaci Farfensi. Non siamo riusciti a rintracciare sinora precisi indizi su Otberto. Il nome, piuttosto raro a quel tempo, è interessante perché fa venire in mente anche il toponimo Monte Berto (o Berte) che ricorre più di una volta nel Liber fermano. E per questo era sorto il dubbio che Monte Berto potesse essere una prima denominazione del castello (ipotetico Monte di Oberto) e per una imprecisata trasformazione linguistica fosse rinominato Monte Giberto.
Una constatazione di carattere topografico, però, convince a emarginare una simile congettura. Infatti, negli atti notarili in cui ricorre il toponimo Monte Berto, questo appare situato più a sud. Esplicita è l’ubicazione in un atto notarile del luglio 1061: il castello di Monte Berte vi risulta ubicato nel territorio ascolano, in fondi rurali esistenti tra il fiume Aso e il torrente Menocchia. (Liber 697). Monte Berte compare in altro documento del 1063, già citato per il Castello di Casale, che riguarda la permuta di alcune possessioni tra Longino di Suppone e il vescovo di Fermo Ulderico. Nel documento non è molto esplicita l’ubicazione del castello di Monte Berte che viene conservato dal vescovo di Fermo, ma, essendo nominato subito dopo Monte Varmine, esistente in territorio di Carassai, si può supporre che si trovasse tra l’Aso e il Menocchia (Liber 217).

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