VAGNONI VINCENZO DESCRIVE L’ANIMO DI ADOLFO DE CAROLIS ARTISTA DI MONTEFIORE DELL’ASO

L’ANIMO DI ADOLFO DE CAROLIS Laboriosità, qualità artistica, cultura, amore alla patria, idealità cristiane.
Scritto da mons. VAGNONI Vincenzo attorno al 1950 anno in cui le spoglie dell’artista furono traslate dal Verano alla chiesa di S. Francesco di Montefiore, sua patria. Il De Carolis pittore, incisore, illustratore e fotografo ha creato molte opere \\\
Quando accostiamo una personalità nella pienezza del suo agire, facilmente ci illudiamo che quanto riesce ad attuare sia qualche cosa di spontaneo, che non costi alcuna fatica e sia venuto su per naturale sviluppo, senza che ci siano stati esercizio di volontà, contrarietà, lotte e vittorie.
Così possiamo aver pensato del nostro artista marchigiano, quando per trent’anni popolava i suoi cartoni di figure, le sue tele di colori e bulinava il legno come se fosse della cera.
Non si spiega De Carolis nella sua molteplice attività artistica solo col genio naturale, né solo con una assiduità di studio o con un metodo di eclettismo acquisito.
Ecco perché più che una rivisitazione della sua opera artistica, più che una rievocazione delle polemiche suscitate dalla sua attività, convenga meglio studiare De Carolis, per quanto possibile, nella sua struttura intima, nella profondità del suo animo, e nell’uso della sua vita, per meglio valorizzare la sua opera.
Penso che ogni forma d’arte che si rispetti e riesca ad affermarsi, nasce da un animo che intimamente viva, pensi e, fortemente amando, senta il bisogno di fantasticare forme ideali, e, nelle sue nobili passioni, gioisca e soffra. Senza questo credo che non possa nascere l’artista. Tutto ciò è strettamente personale, né può essere in qualche modo ripetuto.
Se l’artista può sentire ammirazione ed attrattiva per qualche genio, ne ammira ed inconsapevolmente ne assorbe quanto rientra nell’ambito del proprio sentire e concepire. Così quando i critici hanno preso a dire che De Carolis sia un prerafaellita, scolaro del Costa, del Burne e del Rossetti, o, nella seconda delle maniere, nipote di Michelangelo, penso che si sbagli sempre, in quanto De Carolis è inconfondibile per la sua personalità artistica, per il suo modo personale di concepire e di sentire:
Così non comprendo le altre critiche che vogliono confinare l’arte del De Carolis ad un’arte decorativa ornamentale di saloni per la figurazione e per il colorito, quando si hanno concezioni organiche quali quelle della decorazione del salone del Palazzo del Podestà in Bologna ed una efficacia di disegno ed anche di colorito, da far sembrare vivente la moltitudine di figure affrescate oltre che a Bologna anche a Padova, a Pisa e ad Arezzo, quando un’arte incarna un’idea, vivifica nobili passioni, alte forme di ideali ed è capace di eccitare l’ammirazione e suscitare sentimenti dall’artista vissuti, quest’arte ha colto nel segno, ha raggiunto il suo scopo, si impone alla stima e sfida il tempo.
Il suddividere il prodotto artistico in categorie, in maniere, per cui uno cerca più di ammirare il colorito che il disegno, la macchia più che il chiaroscuro, tutto ciò è modo di chi non arriva alle alte concezioni artistiche ed alla potenza dell’estrinsecazione.
Mi rendo ragione come l’arte del De Carolis ancora rimanga vivissima, come interpretazione della natura, specie della terra picena, come visione di una bellezza, e come rievocazione di grandi epoche storiche, sia come simbolismo del progresso e della civiltà.
A questo punto per assolvere il ruolo stabilito, è spontaneo che ci si domandi quali qualità naturali abbia posseduto il De Carolis.
Un grande amore alla propria terra.
Si nota che ha vissuto intensamente la sua infanzia nell’ambito degli affetti famigliari nella varietà del vasto orizzonte montefiorese, nella policromia delle aurore e dei tramonti, nel profumo dei pini e delle acacie abbondanti in quella terra. Sentiva il bisogno di risalire di anno in annoi quei colli, di ritornare al suo paese natio, di rivivere sentimenti, affetti e fantasie di fanciullo.-
E diveniva cultore della storia di queste nostre terre picene. Così scriveva nel 1923: “ Amor di terra natia mi riconduce sulle colline cuprensi. Ecco siedo presso l’aranceto di S. Andrea dinanzi al mare che mormora, mentre le nuvole passano sul cielo. Rivedo intorno le piante e i fiori, gli animali e gli uomini e le opere: ricalco la terra che ricopre i sepolcreti millenari. Questo pino giovinetto discende da quelli donde trasse con la bipenne i sostegni per farne la capanna l’umbro spoletano …… Lungo il lido tra le selve dei pini ardono le are della dea, la madre antica venuta dall’oriente (Cupra): e passano le grandi vele diomedee e forse liburniche. Sotto il velo delle apparenze mutevoli come le onde, vive eterna l’anima dei nostri padri: eroi venuti dall’Ellade, Achei astati, fondatori di civiltà, aratori, pastori.”
La sua mente pensosa in tal modo rievocava l’antica storia della sua terra, mentre la sua fantasia mutava in soggetto d’arte la bellezza e le armonie di quei luoghi.
Ardeva di fiamma pura per la sua famiglia
Attaccato fortemente ai suoi da cui aveva avuto origine, sentiva di dover vivere per i suoi. Scriveva Guido Guida: “La sua famiglia che tanta eredità di luce ha avuto da Lui, gli diede il sorriso. Ancora oggi i ritratti della sua indimenticabile compagna e dei suoi figli diletti, sono fra le cose più belle che da Lui ci vennero: egli aveva nella sua arte raccolto il profondo amore di padre e di sposo. Una delle sue più grandi preoccupazioni fu quella di lasciare ai suoi figli una vita dignitosa. Non potendo lasciare ricchezze, perché anima francescana, amava e praticava la povertà, lasciava ai suoi la rettitudine, la sua generosità.”
Angelo Conti così rende testimonianza alla sua probità e rettitudine morale: “ Visse modestamente, in un silenzioso raccoglimento, tra la famiglia e la scuola, lontano da ogni vanità, incapace d’orgoglio, lieto del successo degli altri, e d’una fede inestinguibile e d’un amore per l’arte, che lo rapiva al settimo cielo.. Sentiva ogni giorno più forte il disgusto per la mediocrità ufficiale che lo circondava.
Sopportava che le piccole persone delle cattedre e degli uffici del suo tempo pronunziassero il nome dei grandi artisti, osassero giudicare i filosofi e i poeti, si occupassero dei monumenti, mentre sappiamo che per quella gente l’arte, il pensiero, la virtù non possono avere significato. Chi non sa che in pieno regime massonico, la civile attività non poteva condurre se non a raggiungere gli onori ed aumentare i guadagni?
Chi pensava allora alla felicità della vita semplice, chi pensava ancora ad accettare, con gioia, il dolore, come un dono di Dio? Adolfo De Carolis era assai vicino ai pochi che così sentivano naturalmente e senza alcuna fatica; e faceva a Lui una grande pena gli ambiziosi che non aspirano ad altro, se non ad arrivare dove la morte li annullerà e senza che di essi rimanga traccia nella riconoscenza umana …
In mezzo a questi schiavi dell’egoismo, instancabili cercatori della ricchezza, il nostro pittore visse povero, contento della sua cattedra all’Istituto delle Belle Arti, degli affreschi che dipinse soltanto per la felicità di parlare al popolo d’Italia, dalle volte e dalle pareti dei palazzi pubblici, secondo le tradizioni della più bella pittura italiana.”
Proprio in questa rettitudine di vita per tale generosità d’animo, per tanta eredità d’affetti, abbiamo con molta gioia veduto la preoccupazione di molti nel dare una monumentale sepoltura alla salma dell’Artista, il bisogno di esaltare la sua mirabile figura da parte di una eletta schiera di discepoli ammiratori amici e la nota di mestizia da parte dei suoi famigliari.
Ha avuto il gusto del bello, la potenza di una fantasia contenuta,
la facilità di una estrinsecazione vigorosa.
Ancora una volta mi permetto di citare una pagina di Angelo Conti che ci rivela come il Maestro sentisse la sua arte ed in qual modo entrasse nel suo animo l’altrui artistico lavoro.: “ Una mattina Egli mi aspettava sulla porta (dell’Accademia delle Belle Arti, vicina alla piazza San Marco, dove era allora il S. Matteo di Michelangelo) ed andammo subito a vedere la statua che esce dalla pietra … “Qui – mi diceva – assistiamo veramente alla nascita della forma”. La creazione avveniva davanti ai nostri occhi; l’informe diventava cosa viva e parlava nel potente linguaggio del genio. “Qual mistero è l’arte!” mi diceva Adolfo De Carolis. Intanto da quella figura, che sembrava spezzasse la roccia ed uscire alla vita, il giovane pittore aveva avuto il primo insegnamento: quello di tacere dinanzi al capolavoro, aspettando che il ritmo si svegliasse nel suo spirito.
Nulla nell’arte d’un altro artista può e deve entrare in noi: ma in noi, può davanti alle sue opere, nascere una vita nuova, vite innumerevoli come quelle che si destano nella nostra anima davanti all’alba, quando alla prima luce, sugli alberi gli uccelli cominciano piano a cantare. Cominciano piano; poi crescono i richiami e le voci si rispondono e il sole non è uscito ancora. Prima che spunti, è già nato in noi.
Che cosa passa dal sole negli uccellini che all’alba si svegliano e cantano? Niente altro che una vibrazione. Così, dal capolavoro entra nella nostra anima una voce che ci chiama e diventa, nella parte più profonda del nostro spirito, uno stato nuovo della nostra immaginazione. Ad ogni visione dell’opera perfetta, come davanti ai grandi spettacoli della natura, se siamo nel pieno possesso delle facoltà del pensiero, la vibrazione si rinnoverà in noi, e darà luogo ad altri ritmi, ad una sempre diversa ricchezza spirituale. Così davanti ad ogni alba o tramonto, i nostri occhi vedranno sempre lontananze non immaginate e non mai sognate armonie.”
Con questa descrizione sul modo di sentire l’arte si concepisce come il De Carolis si commovesse di fronte alla natura o davanti all’altrui capolavoro e sentisse il bisogno di una contemplazione profonda. Sopraggiungevano poi in Lui la riflessione, lo studio ed il sogno di una concezione artistica personale che lo tormentava sino alla gioia della estrinsecazione con i quadri da cavalletto col bianco e nero della xilografia o con gli affreschi delle grandi pareti.
Abbiamo voluto accennare, per comprender meglio l’artista, alle mirabili e caratteristiche doti avute dal naturale temperamento.
E’ doveroso ora aggiungere cosa egli abbia voluto aggiungere ai naturali doni con la sua volontà nella piena consapevolezza della sua potenza artistica.
Aveva una volontà ferrea: ha voluto lavorare per trenta anni in un modo veramente febbrile, si da esaurire in breve tempo le sue preziose energie. Metteva in pratica il detto dantesco: “Il perder tempo a chi più sa più spiace”. Persino nelle altezze delle armature, vicino alle volte che affrescava, trovava un angolo per il suo raccoglimento, per il suo studio. Amava la sua solitudine per essere pronto a fissare quella interna sollecitudine artistica, che era in lui fecondissima.
E quando s’accorse che il corpo non obbediva più prontamente, sentì più prepotente il bisogno del tempo che veniva a mancargli. Scrive Remigio Strinati: “ Il maestro era giù da parecchio tempo: viveva, più del consueto, appartato, e non possiamo dimenticare la contenuta desolazione del suo accento, quando rallegrandoci noi con lui del matrimonio della sua figliuola, ci rispose: “ Si, sono lieto, ma i figli che crescono, i figli che se ne vanno, significa che noi si cammina, che si scende, per non risalire più!”
Sentiva la dignità del maestro, la gioia dell’amicizia.
“Era titolare della Cattedra di decorazione nell’Istituto di Belle Arti a Roma: aveva una cattedra alla Scuola Industriale al Viale Manzoni: erano le sue lezioni, diciamo quelle cattedratiche; ché le altre, quelle che non nascono dall’esempio, quelle che sorgono da un sorriso, da una parola furono innumerevoli: lo sanno Diego Pettinelli, Bruno da Osimo, ed altri che piangono con noi il grande scomparso” (Strinati)
“Era modesto e buono, lavoratore instancabile,prodigo di consigli e di ammaestramenti ai giovani che lo consideravano come un maestro.
I calmi silenzi ed il sorriso dell’Artista incoraggiavano alla confidenza. Gli si diventava amici sin dalla prima ora della conoscenza, ma senza mai,anche dopo anni, perdere con Lui quel senso di riguardo attento e scrupoloso che serba all’amicizia il valore di una elevazione morale” (Orano).
Ebbe sete di una profonda cultura.
La sua cultura pari alla nobiltà della sua arte, era meravigliosa. E Bacchiani Alessandro dice che possedeva una cultura letteraria non frequente tra gli artisti, quasi tutti autodidatti. La consuetudine con i poeti come Gabriele D’Annunzio, Pascoli, Ettore Romagnoli ne aveva affinato il naturale gusto ed estesa la conoscenza dei grandi maestri, di modo che Egli riuscì scrittore efficacissimo, pur serbandosi, secondo l’indole propria, semplice e schietto.
Fortemente sentiva l’amor di Patria.
Non il semplice amore naturale per la propria terra, per il paese di nascita, che racchiude l’età più preziosa e bella, e suscita i fantasmi più vivi ed immaginosi ed i sentimenti più forti e delicati, quali quelli che nascono nell’ambiente della Famiglia; ma ha sentito l’amore per la sua Italia, con tutta la storia più volte millenaria, con tutte le sue glorie e le sue sciagure, con le bellezze della natura e dell’arte, con l’esuberanza della genialità come è sgorgata in Leonardo e Michelangelo, con le sue tradizioni di feste, e col suo patrimonio di scienza e di civiltà.
Non si spiegano altrimenti i suoi cicli pittorici di Ascoli , Pisa, Arezzo, Bologna.
Nell’agosto del 1907 invitato dagli Ascolani a chiudere la mostra dei disegni di Giuseppe Sacconi, porgeva auguri alla Patria nostra, parlando del Monumento a Vittorio.
Coltivò le cristiane idealità.
Lo afferma il Guida: “In una casa così benedetta, non poteva mancare il culto della nostra religione. Entrava nei giorni felici ( e furono molti nella vita semplice di Adolfo De Carolis) nello studio chiaro del Maestro il Cantico di san Francesco , l’amore agli uccelli, alla musica, ai libri dei poeti, alla beneficenza, alla moderazione: quel saper ricreare Dio in tutte le cose belle e buone …
Fu servo di Dio ai suoi piedi con la fronte rivolta all’azzurro che lo cinse in vita, lo accoglie nell’eternità. Anche Angelo Conti delinea De Carolis come anima religiosa, anzi in una lettera indirizzata a lui sente il bisogno di ringraziarlo per il bene ricevuto: “ La tua xilografia (aveva ricevuto in dono Dante Adriaticus ) è ormai vicino qui a me ed io m’inchino più volte al giorno a questa rappresentazione dell’estasi, dinanzi alla verità. Leggo adesso il Vangelo di san Giovanni e cerco anch’io la Via, la Verità e la Vita. Tu mi hai aiutato. Te ne rendo grazie”.
Bruno da Osimo, nell’incontro fortunato avuto con lui in occasione delle onoranze dell’Artista del 20 agosto <1928>, mi diceva con tanto piacere di avere incontrato qualche volta Adolfo uscire di chiesa dove si aveva fatto la Comunione ad invocare l’aiuto dall’alto per le sue concezioni artistiche.
Ed è abituale nelle sue lettere l’invocazione o il suo ringraziamento a Dio. Dopo la vittoria nel concorso per affrescare le pareti della chiesa di san Francesco in Ravenna, così si esprime: “Urania mi ha aiutato, siano rese grazie al cielo, questo è stato un atto di umiltà e spero che mi varrà per il futuro: Signore non sono degno” questa è stata la mia preghiera dopo l’annunzio”.
In una lettera mostra un delicato sentimento in occasione della festa del santo Natale: “Finisco di provare questo santino (incideva l’immagine di san Francesco) e te la mando perché ti sia di qualche consolazione nel santo Natale. Così mi preparo alla grande immagine, per la quale ancora: Non sum dignus “ ed inviando copia delle illustrazioni dei Fioretti così chiude la lettera: “E che il Creatore di tutte le Creature ti protegga dalla superbia. Pax et bonum “.
D’altra parte la sua bontà, la sua modestia, la sua rettitudine e generosità, non le so comprendere che come frutto di un ambiente rischiarato e riscaldato da tradizione eminentemente cristiana. Tutto quanto è stato detto sopra viene vivacemente confermato dalla sua produzione artistica religiosa.
In questo genere di arte non troviamo semplicemente le risorse delle abilità acquisite e della naturale genialità: il soggetto viene studiato e rivissuto per poi essere eternato nelle più alte espressioni dell’arte. Lo constateremo quando si riporterà un brano della illustrazione da Lui fatta al progetto presentato per la decorazione della chiesa di san Francesco in Ravenna.
Riesce il nostro artista a provocare in noi, con la sua arte religiosa il senso di pietà, uno stato mistico dell’unione dell’anima con Dio? Il Conti a tal proposito scrive: “ Penso con profonda commozione alla sua opera, che credo fra le ultime, se non l’ultima: il Crocefisso di San Ginesio. Il fondo sembra ispirato da una miniatura medioevale, mentre la figura di Gesù esprime l’apparire della forma nell’età che si rinnova. In mezzo ai cartigli scritti e al canto dell’antica preghiera, il corpo del Martire è trasfigurato dal nuovo sentimento religioso, che non sa rinunziare alla linea della bellezza. Il gesto del Dio che perdona, pare rivolto al pittore che si raccomanda alla sua misericordia, come se quella fosse l’estrema sua ora. Si pensa, col sonetto di Michelangelo a quell’Amor divino “ch’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia” .
C’è stato qualcuno, il quale ha fatto obbiezione per l’arte religiosa del De Carolis, quasi che non gli competa il titolo di artista cristiano e ci sono stati altri che mal sanno spiegare un’arte cristiana con un’altra che voglion definire paganeggiante.
Già si è risposto alla prima forma di critica. Quanto alla seconda, penso che il presentare, come scrive Paolo Orano, l’immagine delle creature possenti e floride, mascolinità dall’ampio torace, tipi della casa feconda, della gente contadina robusta tenace, della razza sana ed eroica, non sia paganesimo, come credo che non sia paganesimo il sognare un’umanità perfetta, che possa ordinatamente godere dei beni della vita e della terra.
E’ certo che nell’arte religiosa il De Carolis presenta diversi aspetti. Mentre nei Fioretti rispecchia così chiaramente la ingenua semplicità, negli episodi della vita di san Francesco, nella Basilica del santo a Padova, raggiunge un’ineffabilità espressiva affidata a un sentimento religioso, in quadri storico religiosi fa prevalere la sua concezione più meditata, più storico ontologica a seconda del soggetto: come nella posa della prima pietra di san Petronio o nel trionfo del Cristianesimo dove in tre piani si affacciano la chiesa discente, docente e trionfante.
Ma dove De Carolis fa vedere la sua completa profonda concezione cristiana e la sua commossa adesione ad essa è nella relazione con cui accompagna i cartoni danteschi per la decorazione della chiesa di san Francesco in Ravenna. Qui si colgono tanto la sua potenza creativa, come il suo sublime lirismo: “ Mi parve che fosse necessario – egli scriveva – conservare in qualche modo l’unità e la simmetria dantesche, quasi che nelle pareti della grande navata, dovesse essere dovunque presente l’onnipotenza di Dio, che in ogni parte impera. Bisognava che alla parte delle pene fosse contrapposta quella della luce celeste, che di fronte all’eterno dolore splendesse la rosa sempiterna, che tra l’inferno ed il paradiso corresse come sopra un ponte il cammino graduale verso la perfezione e fosse rappresentata nel Paradiso terrestre la processione mistica. Nell’abside l’Empireo, la rosa del Beati, dove nel mezzo sta Maria la Mediatrice, non solo per Dante, ma per tutti gli uomini, che solo per mezzo della Vergine possono aspirare a vedere Iddio”.
Peccato che questa concezione artistica non sia stata fissata dal suo sicuro pennello nella chiesa di san Francesco. Allora avremmo avuto la gara di tre Geni in tre piani diversi: san Tommaso d’Aquino con la sua Summa Teologica; Dante con la Divina Commedia; De Carolis con i suoi affreschi.
Quando si arriva a queste altezze e potenzialità, ci si domanda come mai De Carolis, che ha raggiunto forme così complesse ed organiche di arte, abbia avuto volontà e trovato tempo per coltivare la xilografia.
Essa è un’arte delle più difficili: ha a sua disposizione poco spazio, fornito dal legno del bosso, come pennello una sgorbia, come colore il semplice bianco e nero. Come raggiungere l’espressività artistica? Solo i sicuri di sé, coloro che hanno il disegno preciso, potenzialità fantastica, sicurezza e padronanza di mano, costoro riescono. Prendono la superficie di bosso quasi foglio di carta, dove fissare un sogno d’arte.
L’avere coltivato la xilografia ed averla portata ad altezze artistiche, tutto ciò depone per la potenza di arte del De Carolis. Lo Strinati conviene nello stesso concetto: “Il disegno regge tutta l’opera del De Carolis: largo potentissimo disegno, dagli sprazzi michelangioleschi, conca argine, forma e fantasia epiche, a rievocazioni non periture. Forse fu codesta padronanza, di cui aveva coscienza piena, che determinò in Lui il culto del bianco e nero nella esclusiva espressione xilografica.
Penso che dopo questa rievocazione più psicologica che storica di Adolfo De Carolis, possiamo meglio comprenderlo come uomo e come artista e meglio possiamo rispondere alla domanda che sorge spontanea: “ Tramonterà questa stella dell’arte, Adolfo De Carolis?”
Non si può immaginare. C’è dinanzi una personalità alta per nobiltà di sentire e di agire: c’è un cuore che si è consumato per l’amore della sua arte, della sua famiglia, della sua terra. Ci sono le eloquenti opere che parlano di Lui, dalle chiese, dalla sale, dai quadri, dai legni, dai libri. C’è il culto di amore e di ammirazione da parte dei suoi di famiglia, dei suoi discepoli, dei suoi ammiratori ed amici.
Anche Michele Biancole, critico esigente, che ha fatto le sue riserve sull’arte del De Carolis, quando, alla conclusione di una commemorazione chiude il suo dire, deve pur confessare quanto segue: “ De Carolis assorbì nel suo spirito squisitamente eclettico tutti i motivi dell’arte e della poesia del suo tempo.
Realismo ingenuo, allegorismo anglo- costiano, titanismo michelangiolesco, storicismo poetizzato, primitivismo religioso costituiscono gli schemi della sua personalità, che sfugge ad ogni definizione assoluta, ma che nell’analisi scopre lati bellissimi di temperamento re d’intelletto, tali che l’arte italiana può registrarli ed esaltarli”.
Altro articolo che lo stesso mons. Vincenzo Vagnoni scrisse per “La Voce delle Marche”
“ Montefiore dell’Aso: Stanno per avere inizio le manifestazioni celebrative del 1974 concittadino pittore e scrittore Adolfo De Carolis nel primo centenario della nascita”, nell’anno centenario della nascita dell’artista.

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