A FALERONE IL DIPINTO DI SAN FRANCESCO CON LE STIMMATE studiato da Giuseppe Crocetti per l’attribuzione a Fra’ Marino Angeli di Santa Vittoria in Matenano

FALERONE

Attribuzione al pittore: FRA’ MARINO ANGELI DA SANTA VITTORIA IN MATENANO

Raffigurazione: San Francesco che riceve le stigmate.

Tempera su tavola arcuata e fondo d’oro: misura 95 x 135.

Segnatura: nessuna

Origine: Falerone, Convento di S. Francesco.

Proprietà: Comune di Falerone.

Deposito: Falerone, Palazzo comunale.

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Descrizione del dipinto

   In alto sul lato destro è raffigurato Gesù Cristo che è adorato da S. Francesco d’Assisi, in ginocchio, a sinistra, a braccia aperte, col capo contornato da aureola, fisso lo sguardo sul Redentore crocifisso che è circondato da tre Angeli contemplanti ed adoranti, con dietro la croce quasi coperta dalle ali di un Serafino. Cinque raggi sottilissimi partono dalle piaghe del Crocifisso e vanno a ferire le mani, i piedi ed il costato del Santo. Tre fraticelli, in uno scenario da presepe, contemplano il prodigio delle stigmate, affacciati sulla porta di una capanna.

   In basso, a destra, in un fondo ricco di architetture di folte piante, S. Michele arcangelo è rappresentato nell’atto di trafiggere il mostruoso dragone demoniaco. Il significato allegorico dell’insieme è evidente: ricevere le stigmate è un privilegio d’amore per chi ha combattuto e vinto, sconfiggendo in sé lo spirito del male.

   Questa composizione presenta innegabili analogie iconografiche con il noto “S. Francesco” di Gentile da Fabriano, oppure con un altro, anch’esso assai noto, attribuito a Ottaviano Nelli (1425), nella Cappella del Palazzo Trinci in Foligno.

   Il singolare modo di realizzare le aureole con puntini che inseguono linee disuguali di cerchi concentrici si nota riproposto in alcune opere di Giovanni Boccati: nel polittico di S. Eustachio (1468) a Belforte sul Chienti; nella “Madonna del latte” di Perugia, nella “Madonna col Bambino che dorme e quattro putti” della collezione Chiaramonte Bordocaro di Palermo, opere databili intorno al 1470, secondo il recente studio dello Zampetti.

 Storia delle attribuzioni

   Attribuito in un primo tempo ad Andrea di Bologna, perché vi si scorgevano alcuni riferimenti al polittico di Fermo, firmato e datato 1369, in un secondo tempo, prevalendo la osservazione di molti elementi rievocanti modi del secolo seguente, fu assegnato ad una rosa di diversi pittori della prima metà del Quattrocento. Il Rotondi (1936), per alcune affinità con il Cristo della “Incoronazione della Vergine” di Montecassiano, lo attribuì a Giacomo di Cola da Recanati. F. Zeri (1948) ci vide modulazioni proprie, o affini, all’enigmatico Carlo da Camerino. L. Dania nel 1967 espresse la sua opinione in questi termini: “Questa tavola, pur presentando consonanze con la sintesi dei due artisti (Andrea da Bologna e Carlo da Camerino) e alcune reminiscenze di Gentile da Fabriano, va classificata ad un pittore marchigiano della prima metà del quattrocento, il quale dimostra di essere molto vicino a Carlo da Camerino”.

   A. Rossi, nel rifare la scheda della tavola dopo il restauro del 1969, scrive: “L’alta qualità del dipinto, quale si è rivelata dopo il restauro, non ci consente infatti di parlare di “seguace” o di “scuola”. Basterà solamente osservare il bellissimo particolare di S. Michele che uccide il drago ed ammirare lo squillo cromatico che questo episodio apporta alla tonalità generale del dipinto, piuttosto dimessa, per ritrovarvi lo stesso spirito estroso e pungente che ha suggerito a Carlo da Camerino di gettare quella manciata di cherubi rossi a saettare il cielo della “Annunciazione” della Galleria Nazionale di Urbino. Ancora un tratto comune alla tavola di Falerone ed a quella di Urbino: lo stesso raffinato ed audace avvalersi delle sproporzioni per raggiungere una fitta tessitura di valori umani e divini”.

   F. Bisogni, nel 1973, con due interventi indiretti per proposte su Giacomo di Nicola da Recanati e sul veneto Cristoforo Cortese, dopo aver osservato attentamente, ad Urbino, le tavole restaurate del polittico di Collina, propose “per la persistenza di carnose fisionomie” il nome di Fra’ Marino Angeli (religioso farfense a Santa Vittoria in Matenano).

   Anche il Prof. Zeri, nel rivedere le opere del monaco pittore santavittoriese dopo i restauri urbinati, gli assegna, senza esitazione, questa tavola del convento di Falerone.

   Alle precedenti annotazioni si aggiunge un altro elemento di confronto: la somiglianza dell’ornamento floreale, realizzato con tipi di fiori e di foglie ideali, lontani dalla comune realtà, molto simili a quelli disseminati da Fra’ Marino Angeli negli affreschi di Santa Vittoria in Matenano e nel polittico di Collina (di Monte Vidon Combatte). Ma soprattutto ci par di vedere una specie di firma dell’opera nella tecnica usata per le aureole, che rivelano il marchio di bottega che Fra’ Marino ha usato esclusivamente nei dipinti su tavola. Per gli affreschi adoperava uno stampo ad imprimitura con un altro disegno, molto simile a quello della scuola pittorica umbra, vicina al Nelli.

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