Falerone: cattedrale dell’antica diocesi

LA CATTEDRALE  DELLA DIOCESI  DEL  VESCOVO DI FALERONE:  LA CHIESA DI SAN PAOLINO

   Falerone, antica città del Piceno romano, si mantenne, come Fermo, fedele a Roma, tanto che Augusto rinnovò la costituzione della colonia picena, dopo la battaglia di Azio ( 31 a.C) godendone perciò il titolo di padre. Il capoluogo  municipio Faleriense nella media vallata del Tenna ospitava la seconda legione mentre a Fermo c’era la quarta. ( Archeologia nelle Marche a cura di  M. LUNI, Fermo 2003;  PACI,G. (a cura) Scritti su Falerone Romana Tivoli 1995; BONVICINI, P., Insediamenti rurali nei secoli XII-XV nell’ex territorio di Falerio Picenus, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, vol 84 ed. Ancona 1981, p.67).

La città è ricordata da Plinio ( Historia Naturalis III, 13,113). Si costruirono ville nei ripiani nei pressi del fiume Tenna,e nelle adiacenze collinari. Presso ciascuna villa,c’era il tempietto con le anfore delle ceneri dei defunti della famiglia.

In uno scritto del 1727 il parroco riferiva, forse con  un po’ d’invenzione, che fosse esistita una sontuosissima villa nella Valle detta di Maddonna (così ) con i giardini romani di Fulvia, moglie di Marco Antonio.

Tutto il complesso dell’insediamento fu abbellito, arricchito, ornato ed ampliato dai soldati veterani.

A Piane di Falerone con la diffusione del Cristianesi nel Piceno, fu stabilita la sede di un vescovo, di cui attualmente resta il nome (vescovo di Falerio). Il documento è una lettera del Papa Gelasio (492-496) in cui si fa menzione di un vescovo di Falerio e del predecessore che aveva lasciato i beni per il sostentamento del clero. (Epistulae Romanorum Pontificum genuinae a cura di THIEL, A. Brunberg 1867, I, p.496).

Non sappiamo come fosse intitolata la chiesa cattedrale, se non da una tradizione che la diceva esistente nella chiesa San Paolino

La diversa denominazione di Prepositura (a San Paolino) e Pieve (a Santo Stefano) può esser un elemento significativo. In pianura,, si conosceva nel secolo XII una pieve dedicata a Santo Stefano, localizzabile poco lontano dal bivio della strada che da Piane sale verso Falerone. (BONVICINI, P. Importanti scavi archeologici per l’ubicazione della chiesa di s. Stefano, in ‘La voce delle Marche’ 7.1.1968 e ID. Falerone, Fermo 1991. La pieve di Santo Stefano risulta unita al Capitolo dei Canonici della cattedrale di Fermo nei documenti del XVI secolo).

Il prevosto don Alessandro Ramponi scrisse in un inventario del 1727 che la chiesa di San Paolino da tempo immemorabile era riconosciuta come la prima chiesa, la madre da cui gli abitanti avevano”ricevuto il latte ed il nutrimento dei Misteri della nostra santa fede ed anche il principio della rigenerazione”  tanto da meritare onore e venerazione più delle altre chiese, perché“fu assunta alla dignità episcopale”. Era tradizione che questa chiesa fosse stata stabilita “nel principiare a germogliare la nostra santa fede nel Piceno … fabbricata nella nobilissima ed antichissima città di Fallera e lo si arguisce dal sito, dalla costruzione e dalla pittura.”

Riguardo al sito lo stesso preposto don Alessandro scriveva che essa era “situata non gran lungi, o poco distante dal palazzo regio o senatoriale” della stessa città  e in base alle memorie ivi trovate, come le iscrizioni ed una “sentenza a favore di Fallera contro i Fermani in tavola di bronzo, data da Vespasiano imperatore, ritrovata nel 1593 e da altre magnificenze di statue ritrovate a tempo di Urbano ottavo”.

La costruzione  (1727) ”è in un colle vicino alla strada maestra che conduce alla montagna nell’imboccare del fiume Salino”.

Alla Prepositura erano soggette, oltre alla chiesa di san Paolino, altra due chiese: una dedicata a san Giovanni Battista, sull’altura del castello, poi trasformata come parrocchiale comune,ed un’altra chiesa in contrada Monterone, detta della Madonna delle Grazie.

Sono andate perdute le memorie cristiane scritte a Falerone. Sin dall’alto medioevo, Falerone subì irreparabili rovine a motivo della scomparsa dell’impero romano, dagli sconvolgimenti barbarici, dai Goti di Alarico (408) dalle guerre bizantina (circa 538) e ostrogota (circa 551) poi dai Longobardi (o Langobardi circa 571) e dai Franchi (775).  (PUPILLI;L. Falerone in Castelli rocche torri, cinte fortificate delle Marche. I castelli dello Stato di Fermo vol. IV, tomo II. a cura di MAURO,M. Ravenna 2001. pp. 220-222)

Secondo il preposto del 1765, don Giuseppe Manili, le antiche scritture furono disperse quando i soldati fermani mossi da mons. Bonafede, assalirono e depredarono il castello dove si era rifugiato il tiranno Eufreducci, nel 1519.

Non si ha notizia di quando cessasse la sede vescovile di Falerio, ma dopo il secolo V non ha più notizie.

Con il Papa Gregorio VII  (580-603) risulta molto vasta e dominante la diocesi di Fermo. (PRETE,S. Pagine di storia fermana  Fermo 1984, p. 14).

In una lapide della chiesa di San Paolino, si ha notizia che  il gastaldo Volveto volle costruire ivi il suo sepolcro. Tradotta l’epigrafe dice: “Nel nome di Dio, durante il regno del signore nostro Desiderio, uomo eccellente, re della gente longobarda, nell’anno tredicesimo di sua pietà nel nome di Dio,  e parimenti di Adelchi, signor nostro, suo figlio, nell’anno undicesimo del suo felicissimo regno nel nome di Cristo, al tempo di  Tasbuno, duca della città di Fermo, nel mese di gennaio nell’indizione ottava, in questo sito, Volvet fece la tomba per sé e per i suoi”.  (MOMSEN, C.I.L. IX, n.5463)

La Chiesa di San Paolino conservava nella torre questa lastra calcarea con l’iscrizione, che è stata tolta e portata al museo locale. La torre era considerata per tradizione “di antica struttura”. Se la lapide non fu rifatta, la tomba venne costruita ivi nell’anno 770. A Piane è stata ritrovata anche un’iscrizione cristiana in una lapide da tomba, senza data, forse del secolo V, segno della presenza della comunità cristiana (BONVICINI,Falerone pp. 156  e 201).

L’edificio sacro fu ingrandito con il crescere della cristianità e vi restarono murati, dopo le devastazioni barbariche alcuni pezzi di colonne di marmi spezzati,e  di capitelli ben elaborati, come si legge in un inventario del 1727 quando c’erano delle case aderenti alla chiesa stessa.

In seguito, con i Franchi, prendeva avvio la Stato Romano, governato dalla Sede pontificia. Gli abitanti della zona fermana giuravano fedeltà a san Pietro (BONVICINI, P, p.56-64 e Liber Pontificalis, ed. DUCHESNE, 1,p.469).  

Con i sovrani carolingi prese avvio anche la Marca di Fermo, data l’importanza della sede vescovile di questa città.

L’antica chiesa collinare di San Paolino oltre al segno distintivo del sepolcro di Volveto ha altri due segni importanti da capire, uno nella ubicazione in altura, tipica del medioevo, un altro nelle più antiche opere di scultura che l’adornano.

 I Romani avevano stabilito il municipio nelle Piane, avevano costruito anche ville sparse ed una di queste era stabilita nelle terre attorno a San Paolino, nel ripiano della collina, detto Piagge  presso la strada che scende verso il Tenna. Vicina alla villa romana, esisteva l’edicola (piccola sede) per riporre le ceneri con le lapidi dei padroni defunti. Questa edicola, cadente per le devastazioni barbariche, rimase come spazio sacrale e fu utilizzata, con piena legalità, dalla comunità dei primi cristiani faleronesi, come loro piccola chiesa, ingrandita nei secoli.

Nella parete sinistra di questa chiesa fu trovata murata una lapide con i nomi degli imperatori augusti Flavio Valerio Severo e Galerio Massimino, segno del riconosciuto dominio romano nell’antica villa.

Vien da domandarsi quando fu introdotto il culto e l’intitolazione a San Paolino. Cerchiamo di stabilire dei riferimenti cronologici.

San Paolino era stato vescovo di Nola all’inizio del secolo V. Era nativo di Bordeaux (Francia), ordinato sacerdote a Barcellona  (Spagna), si trasferì a Nola di Napoli, per dedicarsi alla vita comunitaria in umiltà, mitezza, povertà e preghiera comune. Qui fu vescovo dal 409 al 431 al tempo del re goto Teodorico di Ravenna e morì in concetto di santità, tanto che il suo sepolcro fu frequentato e si diceva onorato da miracoli.(Tra i molti studi su san Paolino, il professore fermano, PRETE,S. Paolino da Nola e l’umanesimo cristiano. Saggio sopra il suo epistolario. Studi e ricerche della Facoltà di lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, 1964 e la voce nella Bibliotheca Sanctorum, vol. X, pp.156-162)

In Campania San Paolino era raffigurato in abito vescovile, con suo pastorale e talora gli erano dipinti accanto alcuni oggetti, come le catene (a memoria di uno schiavo liberato), inoltre un annaffiatoio, una vanga e un paniere, simboli del suo essere stato un giardiniere benevolo e umile. Di questo santo era noto che assunse la difesa dei cristiani contro le aggressioni dei Goti di Alarico. Dato che i faleronesi avevano subito più volte le devastazioni del loro municipio, è pensabile che, oltre che per la mite vita comunitaria, San Paolino fosse caro e venerato qui per il suo coraggio contro i devastatori.

Si ha l’impressione che la chiesetta venisse ricostruita nel secolo VI, secondo lo stile bizantino, dato il forte influsso dell’arte di Ravenna.

Il parroco di san Paolino era chiamato PREPOSTO come il primo, tra altri preti che con lui officiavano la stessa chiesa e lui faceva da guida nella cura delle anime del territorio circostante, sull’esempio dell’attività pastorale dei vescovi.

La pittura più antica che sia ricordata in questa chiesa, raffigurava l’immagine di Gesù Cristo Risorto contemplato da quattro santi: san Paolino, san Francesco d’Assisi, sant’Antonio abate, san Francesco Saverio.

La Pasqua di risurrezione era la massima solennità sin dai tempi cristiani più antichi.

Nelle ricerche di storia picena, si nota che quasi sempre le notizie sulle chiese del territorio fermano, provengono dai documenti del notaio Gregorio di Catino dell’abbazia di Farfa. Questa era proprietaria di vasti lasciti, e teneva un priore a Santa Vittoria in Matenano. Ma Falerone e la chiesa di san Paolino, non sono menzionati nelle carte farfensi. Solo si sa che nel secolo XIII gli imperatori svevi da Palermo distribuivano i beni farfensi oppure li toglievano a chi li avevano già dati, come decise Manfredi a danno dei signori di Falerone perché restavano sudditi fedeli al papato.

Nel registro farfense si ha la notizia della condanna, al tempo dei Franchi, nel 787 della giovane signora Falerona infedele al marito Rabennone conte. Il nome della donna ha fatto pensare ad una ricca famiglia locale. (BONVICINI,pp.66-68 dal Regesto Farfense II,p.121).

Dopo il monachesimo benedettino sorsero nuove forme di vita comunitaria religiosa. Nella campagna di Falerone c’è la chiesa del secolo XII dedicata a Santa Margherita che era probabilmente un monastero femminile. Dal secolo XIII in poi anche qui si diffusero i Francescani, sull’esempio dei concittadini Pellegrino e Giacomo. Le monache Francescane seguivano , come santa Chiara, la regola di san Francesco e si stabilirono nell’area del castello faleronese. La chiesa di Santa Margherita fu affidata ad un parroco che fu detto priore. Secondo una tradizione, forse non del tutto fantasiosa, ci fu un preposto di san Paolino il cui nipote starebbe stato parroco a Santa Margherita e lo zio avrebbe voluto ottenere per la chiesa del nipote, dall’autorità ecclesiastica, il titolo onorevole di priorato.

Un ruolo notevole svolsero i feudatari, sin dal tempo dei Franchi. Erano le famiglie nobili a governare. Le ville romane con i Franchi erano divenute feudi, casali con attorno le terre coltivate da contadini. Una nuova tendenza abitativa portava a fare sulle colline delle costruzioni simili ai castelli, detti castellari. La zona delle Piane andò spopolandosi e gli agricoltori vi si recavano soprattutto per il molino presso il fiume Tenna (BONVICINI, Insediamenti, p.77).

Baligano che divenne vescovo di Fermo dal 1145 al 1167 era il figlio del conte Falerone e la sua nomina nella sede fermana (quando da secoli era cessato l’episcopato faleriense) indica i buoni rapporti tra le due città. Ancora nel 1169 troviamo l’espressione ‘urbe faleronense’ vale a dire città (ivi,p.68).

Il dominio dei signori di Falerone era ampio e riconosciuto nei documenti pontifici. Si estendeva nella zona subappeninnica ed aveva parentele con le altre signorie locali a motivo della discendenza in comune con i Brunforte di Sarnano, con  i signori di Loro e  con quelli di Servigliano.

Nel 1274 venne a Macerata il vicario in spiritualibus del papa e il suo rettore della Marca, assieme con il pievano faleronese Berardo, per fare le spartizioni tra i sette eredi dei signori locali, Corrado, Falerone e Giberto (TABARRINI,M. Sommario cronologico di carte fermane; in DE MINICIS, G. Cronache della città di Fermo, Firenze 1870, pp.447 ss).

Il registro medievale dei vescovi e della città di Fermo contiene il nome di un precedente prete di s. Stefano. Nell’anno 1239, ci fu la pacificazione tra il vescovo fermano Filippo e i rappresentanti di cinque castelli, ad opera del rettore della Marca cardinal Sinibaldo, e tra le firme dell’alto si legge il nome di don Ruberto cappellano di santo Stefano, che possiamo riferire al territorio faleronese. (AVARUCCI,G. |a cura| Liber iurium dell’episcopato e della città di Fermo, vol. 2°, Ancona 1996, p.272)

Già nel sec. XIII esisteva qui il Comune di organizzazione signorile che convogliava molti lavoratori nei nuovi insediamenti, come faceva Ruggero, figlio del conte Ferrone che risiedeva a Castelnuovo (Pergamena di Montelparo n.2 presso l’Archivio di Fermo).

Nei documenti dei Decimari dell’archivio vaticano notiamo la chiesa di san Paolino di Falerone come tributaria di Roma negli anni dal 1290 al 1299 per la decima pagata al papa dal prevosto don Corrado in sei ratei. Anche gli altri parroci e preti di San Giovanni, di Santa Margherita, di Santa Maria, di Santo Stefano e i signori Tomassino figlio di Nicola e Falerone figlio di Falerone erano sottoposti a questa tassa (SELLA,P: Rationes Decimarum Italiane. Marchia, Città del Vaticano 1950, nn.5702; 6170; 6779; 7014; 7129; 7352, 5703, 5731, 6591, 7026, 7296, 5701, 5767, 6673, 6829, 7017, 7094, 7420, 6285)

Dagli atti notarili, si ha notizia di un Prevosto di San Paolino, don Corrado, che era signore di Falerone, come risulta dal suo testamento dell’anno 1342 (Archivio di Mogliano, Carte Zitelli, XVI, cc15ss).

La posizione del complesso edilizio di case e chiesetta nel ripiano di S. Paolino era in sito intermedio tra collina e vallata e perciò adatto agli incontri. I Longobardi  quando avevano preferito stabilire il loro insediamento in altura, abbandonarono alla rovina il municipio romano della pianura. I motivi erano la salubrità del clima, la sicurezza abitativa, la posizione difensiva, i percorsi stradali non interrotti da intemperie.

A questi motivi si aggiunsero poi le lotte tra ghibellini a sostegno degli imperatori germanici, contro i guelfi favorevoli al papato e le incursioni dei signorotti locali

L’edificio della chiesa di San Paolino venne più volte restaurato nei secoli, come mostra la diversità di epoca dei differenti mattoni,  anche secondo le esigenze dell’accresciuta popolazione. Riparazioni urgenti erano richiesta nel 1727 quando le dimensioni dell’edificio erano calcolate in piedi romani 80 di lunghezza per 25 di larghezza.

Furono eseguiti interventi innovativi, a metà sec. XVIII. L’ornato di tipo longobardo delle sculture in marmo, fu collocato in parte nella facciata rialzata, ed in parte nella parete esterna meridionale, la meglio conservabile.

Lo stile romanico con il volto a botte nel sottotetto, era deperito e caduto. Alla torre ed alla chiesetta fu aggiunto un altro corpo di costruzione, che si vede distinto per i tetti separati. Nel 1765 il preposto d. Manili dichiarava di avervi stabilito il presbiterio  e sopra di esso una volta finta. Inoltre aveva ingrandito due finestre. La chiesa, era divisa da tre archi acuti. Lo stesso preposto riferisce la tradizione secondo cui era stata, un tempo, cattedrale.

Nel susseguirsi dei secoli, il tetto e la pavimentazione furono più volte rinnovati.

Nel secolo XVI il Comune di Falerone diede la maggiore importanza al centro amministrativo sull’altura a circa un chilometro dalla chiesetta rurale di san Paolino.Questo cambiamento  ha influito sulla vita delle parrocchie di Falerone. Un decreto del visitatore apostolico mons. Maremonti vescovo di Utica nel 1573 dava ordine ai parroci di stabilirsi nel centro urbano per officiare, con un turno di presidenza della durata di una settimana,  per ciascuno, la chiesa in piazza e far vita comune nel servizio liturgico.

La piccola chiesa di san Giovanni dentro al castello fu dunque demolita per costruirne una grande, a spese comuni tra i quattro parroci con il contributo del Capitolo della cattedrale fermana e dell’amministrazione comunitaria. Qui dunque la prepositura di S. Paolino, il priorato di S. Margherita, la pievania di S. Stefano e la parrocchia di S. Giovanni stabilirono la loro nuova sede. Nella chiesa rurale di S. Paolino un vicario o cappellano celebrava tutte le domeniche, nei giorni festivi ed anche in molti feriali, con le offerte dei fedeli. Davanti all’altare si mise un altro quadro con l’immagine di santa Eurosia che era considerata la protettrice contro i temporali, dannosi ai raccolti.

Con il mutar delle esigenze mutarono le usanze di culto. La disposizione delle parrocchie riunite ebbe a finire con la dispensa pontificia alla fine della prima guerra mondiale quando la popolazione dall’altura tornava nella vallata del Tenna, dove dal 1949 si cominciò ad officiare una nuovissima chiesa dedicata a Cristo re. A Piane di Falerone la popolazione è cresciuta costantemente ed ha superato il numero dei residenti del restante territorio comunale.

Riferiamo i nomi dei preposti.

Il primo nome di un sacerdote presente a Paolino negli atti dal 1290 al 1299 risulta don Corrado. Un altro don Corrato signore e prevosto, fece testamento nel 1342.

Gli altri prevosti furono elencati, nel 1845, dallo studioso d. Angelo de Minicis (Ms Memorie sulla religione dei Faleronesi) :

1525-1562 d. Domenico Battista Balducci

1562 d. Francesco Balducci economo

1568-1610 d. Giovan Battista Capranica

1610-1647 d. Eurialo Olivieri

1647-1665 d. Giovan Battista Amici

1665-1684 d. Benedetto Moro

1684-1706 d. Giovan Francesco Gualdiero

                                      Tancredi

1706-1727 d. Bartolomeo Pasquali

1727-1746 d. Alessandro Ramponi

1746-1780 d. Giuseppe Manili

1780-1808 d. Costantino Fortunati

1808 d. Domenico De Minicis economo

         poi d.Bonfiglio Geronsi amministr.

1811 d. Domenico De Minicis economo

1816-1844 d. Niccola Bonfigli

1844-1851 d. Angelo De Minicis

aggiunte

1851-1858 economi Emiliani, Zampetti, Stasi

1858-1880 d. Francesco Battista da Mogliano

1880-1907 d. Angelo Fares da Lapedona

1907-1950 d. Sante Gianfranceschi

1950-1983 d. Silvio Catalini coadiuvato da d. Giovanni Crocetti poi parroco fino al 1995

1995 – 2001 d. Flaminio Gionni

2001 viva d. Leandro Nataloni

Il De Minicis ha penasato che la data del 1525, fosse valida per don Domenico Battista, poiché Giovanna Maria Fredutia il 21 giugno dell’anno 1525 scriveva da Fermo a don Battista Preposto di Falerone affinché facesse quietanza a nome di lei stessa al molinaro per il pagamento dell’affitto del molino. Non si sa se questo Battista fosse precisamente Domenico Battista Balducci che morì il 20 ottobre 1562. Dopo di lui don Francesco Balducci faleronese  fece da economo spirituale ed amministrò la Parrocchia con ogni diligenza tanto che nel 1568, i pubblici amministratori di Falerone, Paraninfo Fortunati (celebre medico), Giandomenico Fortunati, Baldo e Girolamo di Piersante scelsero appunto lui come Preposto di San Paolino e l’eletto accettò la designazione, in attesa della conferma da parte dell’autorità ecclesiastica. Ma il papa Pio V non diede la conferma richiesta per don Francesco, forse perché tale elezione per essere regolare richiedeva il previo concorso ordinato dal Concilio di Trento  nel 1564. Nel 1568 fu nominato preposto d. Giovan Battista Capranica che andò ad abitare in paese. Da allora i prevosti non risedettero più presso la chiesa di san Paolino, a motivo della decisione del visitatore apostolico del 1573 che aveva stabilito per i quattro parroci una chiesa comune nel centro urbano. Si narra che egli abbia fatto dipingere l’immagine di san Paolino nella casa parrocchiale, sita in paese, lungo il corso. La pittura ad affresco era sulla parete esterna, entro un arco di linea gotica con cornice di bassorilievi in pietra. L’immagine che era quasi del tutto cancellata nel sec. XIX, finì con lo scomparire. (De MINICIS ms cit. pp.49-50. Per la prepositura  altre notizie nell’Archivio storico arcivescovile, Inventari del sec. XVIII, 33 A)

Dalle notizie scritte dai preposti del secolo XVIII si viene a sapere che la festa di San Paolino era solennizzata nella chiesa dentro al castello e anche in quella rurale. Il titolo attuale della parrocchia del centro di Falerone (nella chiesa di s. Giovanni) resta di S. Paolino.

Nella contrada restò l’usanza di solennizzare la festa della Pasqua e il giorno seguente veniva organizzata una grandiosa processione delle confraternite, “assieme con il devotissimo popolo che numeroso interviene con il clero, i religiosi, il magistrato con tutta magnificenza, anche con il (francescano) Predicatore il quale eruditissimo fa la sua predica in detta chiesa … con l’intervento anche di moltissimi forestieri. E perché gli antichi nelle feste più solenni erano soliti diportarsi agli spettacoli, non si è potuto mai estirpare in quella giornata il tirare archibugiate al gallo o gallinaccio”.(Inventario del 1727). Al preposto di san Paolino resta la memoria dell’antica cattedrale.

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