SVAMPA cardinal Domenico 1851-1907

Card. DOMENICO SVAMPA da  MONTEGRANARO 1851-1907

Centenario 1907 – 2007

Nasce a Montegranaro il 13 giugno 1851

E’ ordinato sacerdote a Roma il 4 aprile del 1874

Laureato in teologia e Diritto civile e canonico nel 1879

Docente nella Facoltà teologica di Fermo 1879-1881

Docente di Diritto Civile all’Apollinare 1881-1887

Vescovo di Forlì dal 1887 al 1894

Cardinale e arcivescovo di Bologna dal 1894 al 1907

DON GIOVANNI BOSCO E DOMENICO SVAMPA    Il Cardinale Arcivescovo di Fermo (1842-1877) fu catturato nel suo arcivescovado a Fermo nel 1860 dalle truppe sabaude arrivate in città e deportato a Torino fino al 1866. Durante questo periodo si incontrò con don Bosco e partecipò alla formazione dello Statuto della Società di San Francesco De Sales o dei Salesiani di don Bo-sco.

“ Il 27 gennaio 1867  giungeva a Fermo don Bosco per restituire la visita al card. De Angelis liberato dal carcere coatto di Torino. La mattina seguente celebrava Messa in seminario e nelle varie came-rate era fatto oggetto di cordiali dimostrazioni di rispetto. Un alun-no della camerata S. Luigi gli leggeva e consegnava una poesia con propria firma, e don Bosco diceva una parolina all’orecchio e dava uno sguardo affettuoso e una piccola medaglia al caro poeta. Chi era costui? Domenico Svampa che doveva divenire il cardinale ar-civescovo di Bologna” (Dalla Vita di don Bosco  del Lemoyne).

Une memoria più dettagliata, con il testo della poesia di Domenico Svampa è stata pubblicata nel 1905 da DON FRANCE-SIA in un volumetto intitolato “Due mesi con Don Bosco a Roma”  recensito da “La Civiltà Cattolica”.  Don Francesia scrisse una let-tera da Fermo  il 27 febbraio 1867 ad un amico: Carissimo sig. Ca-valiere, ieri soltanto abbiamo lasciato Roma e dopo felice, se non lieto, viaggio siamo arrivati a Fermo. Abbiamo Visto Sua Eminen-za; sta bene, il suo segretario e gli altri di sua famiglia, tutti bene, e ci accolsero colle feste più belle e care . . .

Ecco il racconto:  “Don Bosco alle 10,30 antimeridiane era giunto a Fermo ove trattenevasi tutto il giorno e fino al dopopranzo del dì seguente. Sua Em. Il Cardinale De Angelis era fuori di sé dal-la gioia procuratagli da quella visita e diceva a Don Bosco: – Ho sentito che a Roma ha fatto furori! Me ne rallegro!- Don Bosco rispose con una facezia, perché in tutte le circo-stanze egli era don Bosco, cioè umile.

La mattina del 28 egli celebrò il Seminario la Messa della comunità, predicando e di-stribuendo la S. Comunione ai chierici, che poi nella varie camerate gli davano un cordia-le dimostrazione di rispetto. Un alunno della camerata di S. Luigi leggevagli e consegna-vagli una poesia colla propria firma.

DOMENICO SVAMPA convittore Camerata S. Luigi, 28 febbraio 1867 Anacreontica

IN OCCASIONE DELLLA VENUTA DI D.  GIOVANNI BOSCO

Salve, Giovanni, Oh! il giubilo

figlio di caldo affetto,

oh! il gaudio e la letizia

di cui ci esulta il petto

\\or che il dolce e amabile

sembiante tuo miriamo,

ora che un bacio imprimere

sulla tua man possiamo.

\\   Più volte del tuo giungere

volò tra noi la fama,

di te più volte vivida

si accese in cuor la brama,

\\ed ecco alfin s’appagano

i desideri ardenti:

alfin ci è dato scorgerti

ci è dato udir tuoi accenti.

\\   Siccome in notte placida

bella è a mirar la luna

in cui candore argenteo,

almo splendor s’aduna,

\\come di varii e fulgidi

color l’iri s’abbella,

qual sorge dall’oceano

ridente amica stella,

\\e in sul partir, deh! a’ pargoli

sorridi e benedici:

non chieggon più, ché renderli

può questo sol felici

\\così soave e amabile

ne appare il tuo sorriso,

in cui la luce splendere

veggiam del Paradiso.

\\Dunque gradisci il giubilo,

figlio di caldo affetto,

gradisci la letizia

di cui ci esulta il petto.

Domenico Svampa

Il venerabile<d.Bosco> disse una parolina all’orecchio e diede uno sguardo affettuoso ed una piccola medaglia al caro poeta. E questi, poi vescovo di Forlì, quindi Arcivescovo di Bolo-gna e Cardinale, che promosse a Bologna il Primo Congresso Salesiano e prese parte al Terzo, tenutosi in Torino prima dell’Incoronazione della Sacra Effigie di Maria SS.ma Ausi-liatrice, conservò sempre quella medaglia con immenso amore.

Nell’aprile 1895 l’Em.o Card. Domenico Svampa, inaugurando il Primo Congresso Sale-siano a Bologna, diceva in adunanza plenaria: “Per me, mi sia consentito di dirlo, la memoria e la venerazione profonda che sento per don Bosco e per l’opera sua è antica, perché si riannoda ai miei primi anni. Incominciò quando, appena trilustre, ebbi la fortu-na di incontarmi con quell’uomo straordinario, ne intesi la calda parola, ricevetti dalle sue mani la S. Eucaristia, la S. Benedizione, e fui regalato di una piccola medaglia che tuttavia porto al petto”.

E dieci anni dopo, nell’aprile del 1905, pregato a dettare una pagina pel Bollettino Sa-lesiano in occasione del mese di Maria Ausiliatrice, tra le altre cose scriveva: –  “ . . . Io mi rammento ancora, e rammenterò sempre, la santa emozione che provai, quando gio-vane convittore, appena trilustre, nel Seminario di Fermo, ebbi la sorte di vedere per la prima volta il grande apostolo della pedagogia cristiana, che aveva già iniziato in Italia l’opera sua educatrice a salvezza dei poveri figli del popolo. Don Bosco non era oratore di parata, ma incantava i cuori colla sua parola semplice, familiare, e tutta avvivata dallo Spirito di Gesù Cristo. Dopo aver celebrata la S. Messa nella cappella del nostro Semina-rio, e dopo averci dispensato la S. Comunione, egli ci tenne un discorso deliziosissimo. Ci parlò come parla un padre ai suoi figliuoli, non in sublimitate sermonis, ma in ostensione spiritus, e noi succhiavamo avidamente le sue parole, che sgorgavano limpide dalla vena del suo cuore sacerdotale. Due cose ci raccomandò specialmente: la devozione a Gesù Sa-cramentato e la devozione alla cara nostra Madre celeste. Ed affinché rimanesse in noi scolpito il ricordo di quella visita tanto cara, venne nelle sei camerate in cui eravamo di-visi, per intrattenersi più da vicino con noi, esortandoci a crescere virtuosi e buoni, sotto il manto materno di Maria Ausiliatrice. Prima di accomiatarsi, consegnò ad ognuno la medaglia della Madonna, e noi con vivace affetto stampavamo dolci baci e sulla medaglia e sulla mano di chi ce l’offriva. Inginocchiati per terra, domandammo infine ed ottenem-mo la sua benedizione.

“La medaglia di Don Bosco io la tenni sempre carissima, e la riguardai come una protezione ed un ammaestramento. Son passati quasi quarant’anni, ed io ho sperimentato in questo periodo non breve della mia vita, che l’assistenza materna di Maria Ausiliatrice non mi è venuta mai meno, e tanto più mi ha sostenuto e confortato, quanto più gravi e difficili erano le vicende in cui per avventura io mi sono incontrato. Intesi anche, e profondamente mi stampai nell’animo, una grande lezione, che cioè dopo Gesù Cristo, non abbiamo miglior appoggio su questa terra, né consolazione più gioconda, che affidarci al patrocinio di Lei che è dispensatrice delle celesti grazie : . . “

Anche Don Bosco conservò fino alla morte la poesia che gli lesse Domenico Svampa giovinetto; autografo prezioso, caro oggi per doppio titolo, che gelosamente custodiamo!

\ All’ora della partenza il Card. De Angelis si inginocchiò per terra e pregò Don Bosco a benedirlo; ma il Venerabile si gettò anch’egli in ginocchio innanzi al Cardinale. Questi continuava: “Sono vecchio: non ci vedremo più su questa terra: Don Bosco, mi benedica!”

–          “Io benedirlo! io povero prete? Mai più! “ – – “Oh, sì, che mi benedirà! “  – – “ Ma come? io povero pretazzuolo benedire un Cardinale, un Vescovo, un Prin-cipe? Tocca a lei benedir me!

–          “Quando è così, vede Don Bosco quella borsa? – e gliel’additava – E’ poca co-sa, ma se mi benedice gliela dono per la sua Chiesa; altrimenti no! “

–          Don Bosco pensò alquanto, poi concluse: “ Quand’è così, io la benedico. Vostra Eminenza della mia benedizione non ne ha bisogno, mentre io invece ho di bi-sogno dei suoi danari! “ – E si alzò e lo benedisse.

Il cardinale Domenico Svampa  el ricordo a Montegranaro del successore Card. Giacomo Lercaro (Da La Voce delle Marche 19.X.’58) a Fermo:

Commemoriamo il card. Domenico Svampa, arcive-scovo di Bologna, in questa sua terra natale che lo vide fanciullo, ne ammirò il candore e la pietà, lo seguì nel suo rapido crescere verso una vita sempre più ricca di opere e di esempi.

Qui lo commemoriamo in questa terra marchigiana dalla quale ebbe ed illustrò la fede; donde trasse il suo amore per gli umili e la mitezza serena del tempera-mento. Qui lo commemoriamo, oggi, mentre è ancor vi-vo il suo ricordo in Italia tutta, e particolarmente nella Chiesa bolognese che l’ebbe tredici anni pastore.

La sua figura alta, prestante, dignitosa, il suo volto aperto, illuminato dal sorriso, i suoi occhi vividi, pene-tranti e chiari come gli occhi di un fanciullo, la sua pa-rola calda, ne hanno fissato incancellabilmente l’immagine in quanti lo accostarono od anche soltanto lo videro.

Lo ricordo anch’io, che, giovane seminarista, lo vidi una sola volta nella [chiesa] Metropolitana genovese: il suo nome era popolare anche fuori di Bologna e la sua figura maestosa, che dominava sul corteo che lo ac-compagnava con altri presuli all’altare, rimase impres-sa nella mia memoria, sempre.

Non potevo allora, ovviamente, oltre alla figura so-lenne e buona e alla risonanza simpatica del nome, scorgere la ricchezza dei doni che Iddio aveva dato a questo figlio delle Marche: ricchezza di doni che, fin dalla prima giovinezza, lo resero ammirato tra i condi-scepoli del seminario di Fermo e del seminario di Roma dove, avviato dai superiori che ne avevano intuito il va-lore, completò i suoi studi.

L’intelligenza vivace ed acuta, la prontezza e la chia-rezza d’idee, un singolare equilibrio e buon senso che, come si esprime il Crispolti, in lui, benché venuto dalle Marche, doveva dirsi romano, gli segnarono rapida l’ascesa.: a trent’anni, dopo appena sei anni che era tornato in patria, Leone XIII lo richiamava a Roma per affidargli l’insegnamento del Diritto civile nel Pontificio Seminario di S. Apollinare; dopo altri sei anni è consa-crato vescovo di Forlì; e nel 1894, quarantatreenne, è creato cardinale e trasferito arcivescovo di Bologna.

VITA PASTORALE:  la dedizione all’attività pastorale non gli consentì una produzione scientifica, quale certo avrebbe lascia-to se fosse rimasto a lungo sulla cattedra, suggerì però alla sua mente colta ed al suo spirito vivido, posti a contatto con l’esperienza delle anime e delle popolazio-ni, una serie di scritti pastorali luminosi e caldi, con-creti ed efficaci che, raccolti sotto il titolo ”Vent’anni di Episcopato“, sono ancor oggi, per molti aspetti attuali ed illuminano l’impronta da lui lasciata ed ancor viva nell’Archidiocesi bolognese; mentre la sua cultura teo-logica ed il grande amore per nostro Signore lo portò, pur tra le incessanti attività del ministero, a darci un luminoso trattato sulla devozione al sacro Cuore di Cristo, con quella serie di articoli che aprirono per an-ni ogni numero del periodico da lui steso fondato, “Il Secolo del Sacro Cuore”.

Perché, nel disegno divino, la ricchezza delle doti in-tellettuali e la seria cultura, frutto della coscienziosa applicazione, dovevano completare la figura e illumina-re lo slancio apostolico di chi, giovanissimo ancora, era chiamato ad impugnare il pastorale e veniva posto dal-lo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio in quelle ter-re di Romagna, che circostanze molteplici rendevano particolarmente difficili.

Ma a questi compiti Domenico Svampa, con la ric-chezza del cultura, portava soprattutto una valida pre-parazione spirituale. Tutti sentirono in lui il fascino di una santità luminosa; i più intimi, come l’allora giova-ne segretario, mons. Giulio Belvedere, ne poterono constatare e poi documentare nell’umiltà della vicenda quotidiana, la solidità e la costanza.

ESEMPIO DI PRECLARE VIRTU’: Fu umile il cardinale Svampa: lo fu sempre; lo fu nel contatto familiare con la povera gente, che ne andava entusiasta; lo fu negli incontri d’ogni sorta; e “nei col-loqui – scrive il Crispolti – era singolare la sua benevo-lenza così paterna, così semplice, da cui la nostra one-sta libertà del dire e del fare era tanto autorevolmente incoraggiata e difesa”

Non fu meraviglia che da quel suo contegno gli ve-nisse voce d’essere perfino troppo indulgente e di quell’indulgenza che non tanto nasce da un proposito positivo, quanto da un fastidio, da una svogliatezza d’essere severo.

Eppure, se l’indole dolce contribuiva a non rendergli confacente la severità, era bontà risoluta e, per le cir-costanze era talora ardimento.

Fu umile, soprattutto quando, pur avendo agito con prudenza e sempre con schietto amore di bene, o furo-no male interpretati o male riferiti i suoi atteggiamenti; o, nelle ovvie oscurità di momenti singolarmente diffici-li, la sua valutazione non incontrò la superiore appro-vazione. Amarissime ore per il cardinale Svampa che permisero però di collaudarne la profonda umiltà, la docile obbedienza e, col candore delle intenzioni, la cordiale adesione e l’amore filiale alla santa Chiesa e al suo capo visibile.

UOMO DI PREGHIERA:    A dare alla sua umiltà e affabilità il senso profondo dello spirito evangelico e ad aprire il suo cuore all’amore e all’obbedienza ala chiesa, come ad alimen-tare tutta la sua vita di povertà, di semplicità e di cari-tà era la preghiera. Il cardinale Svampa fu un uomo pio; d’una pietà semplice – quale si conveniva al suo spirito schietto – pura e profonda.

Le sue ore di preghiera mattinale. mai tralasciate, la sua Messa, il Suo Breviario e la devozione al Cuore di nostro Signore furono l’alimento della sua virtù cri-stiana e sacerdotale e la forza della sua attività pasto-rale; come furono la luce del suo immaturo ma sereno e soave tramonto.

Dalla cattedra di diritto nel seminario  di Sant’Apollinare, a trentasei anni appena, Domenico Svampa fu chiamato alla cattedra episcopale: non ave-va mai avuto fino ad allora cura d’anime; perché, an-che nel breve periodo di dimora in diocesi, gli si erano ovviamente affidati incarichi di insegnamento e compiti culturali. Ma, e a Fermo e a Roma, pur attendendo con dedizione e passione ai suoi compiti, di maestro, sem-pre aveva sentito il richiamo del Sacerdozio alla solleci-tudine per le anime; ed all’insegnamento aveva affian-cato, marginalmente ma con ardore e profondo senso di responsabilità, l’assistenza spirituale, soprattutto di Comunità religiose.

Quando lo Spirito Santo lo pose a reggere la chiesa forlivese e più tardi la chiesa di San Petronio, l’anima sua pastorale si rivelò luminosa e operosa.

Già la sua stessa persona, come si diceva, sembrava fatta per accostare a se gli spiriti in un’atmosfera di simpatia e di fiducia.

Sarebbe stato, questo, però, ben poco, e avrebbe poi deluso se l’anima del vescovo non avesse profonda-mente vibrato di carità pastorale. Ma il cardinale Svampa intese sempre il suo ministero come un impe-gno di dedizione totale e di sacrificio.

VERSO I NEMICI DELLA CHIESA:   Non lo fermarono ne attutirono il suo slancio e nep-pure valsero a turbare la sua serenità le amarezze che incontrò d’ogni parte.  Le nostre terre di Romagna, da quando al Governo pontificio era subentrato il Regno d’Italia, sentirono, forse più di ogni altra terra, l’influenza della massoneria e dell’acidità anticlericale che caratterizzò in Italia quel triste periodo; e avvele-nava – a Bologna anche da insigni cattedre universita-rie – la mentalità della borghesia e del medio ceto; mentre, e proprio ancora da queste terre, partiva la predicazione socialista, atea e socialista nei principi, volgare nella forma violenta, anche nei metodi; e strappava alla Chiesa le masse operaie e rurali.

La veemenza di quelle lotte raggiunse talvolta il grot-tesco come quando a Molinella si proibì al vescovo in visita pastorale l’ingresso al Cimitero perché comunale. Raggiunse il tragico, come nella settimana rossa di Romagna, quando furono arse le chiese, profanati i va-si sacri, braccati i sacerdoti e i fedeli; e si degradò nella calunnia oscena e lurida col giornale Podrechiano di infausta memoria.

Una situazione tanto difficile si rifletteva tra i cattoli-ci con dolorose e pericolose divisioni tra desiderosi di atteggiamenti nuovi e intransigenti fermi sulle vecchie posizioni; mentre ad accentuare il disagio era sentito nei cuori, grave tuttavia di grandi difficoltà, il proble-ma, che solo molti anni appresso la conciliazione a-vrebbe risolto per la pace religiosa degli italiani: pro-blema che allora – prima della guerra 914\18 – pre-sentava asprezze oscurità pesantissime.

A rendere poi estremamente difficile il movimento dei cattolici e tanto più la loro direzione il modernismo, sorto quasi subdolamente, e vagamente insinuatosi at-traverso il naturale senso di simpatia che le cose nuo-ve destano, specialmente se portano ad una – in realtà illusoria – conciliazione di opposte istanze, creava, per la vivacità stesa della lotta antimoderata, in tanti set-tori della vita cattolica, quasi un terreno spinoso, per non dire minato, sul quale non era facile camminare!

Grande fede, grande amore alla Chiesa, grande pru-denza e nel tempo stesso fermezza si esigevano da un vescovo: il cardinale Svampa portò sulla cattedra di Forlì e poi su quella di Bologna lo splendore esemplare di queste virtù: la sua grande carità con tutti, ma so-prattutto con l’umile gente; il suo cuore aperto a com-prendere gli uomini, anche se non ne condivideva le posizioni di pensiero e non poteva legittimarne l’agire; la sua dedizione disinteressata, al servizio delle anime della Chiesa di Dio, il senso genuino della carità patria unito al più filiale amore per la chiesa gli consentirono di passare attraverso le difficoltà dei tempi non solo senza arrestarsi o restarne vinto e demolito nella sua autorità e nel suo prestigio, ma anzi avviandone il lon-tano ma solido superamento.

Questo, ovviamente, non senza sacrifici. E fu così che le amarezze della situazione e lo sforzo del pruden-te, il costante controllo e la incessante fatica pastorale, concorsero a demolire la sua fibra e ad affrettarne la morte.

Ma quando questa lo sorprese mentre – e lo disse – sentiva ancora il desiderio e l’energia del lavoro, egli aveva già profondamente inciso sulla vita religiosa di Bologna e per notevoli riflessi d’Italia tutta.

I SUOI SACERDOTI:    A Bologna in particolare lasciava eredi del suo spirito una corona numerosa di Sacerdoti che lo veneravano padre. Di quello stuolo alcuni ancora sono sulla brec-cia. Molti si addormentarono nel Signore, ultimo tra questi il venerato mons. Cesare Sarti. Tutti contribui-rono a formare quella numerosa e valida classe sacer-dotale, che costituì per anni il nerbo del clero della Chiesa Bolognese per cui la scomparsa di molti di loro ha lasciato poi così largo e doloroso vuoto nell’assistenza spirituale della diocesi.

La Chiesa bolognese sarà perpetuamente grata alla memoria del cardinale Svampa per averle dato in tanto numero e con così valida formazione i sacerdoti. La Chiesa santa di Dio lo ringrazia per aver portato al sa-cerdozio la figura luminosa del card. Marcello Mimmi, padre, a sua volta, indimenticabile di numerosi sacer-doti nostri.

IL TEMPIO DEL SACRO CUORE:    Ma non è possibile concludere queste troppo brevi ed inadeguate note, senza accennare a quelle che egli stesso chiamò “l’impresa più cara al suo cuore di ve-scovo”: l’erezione del tempio del Sacro Cuore.

Certo, il problema che, a seguito delle due guerre sa-rebbe poi balzato imponente all’attenzione dei vescovi di ogni importante centro cittadino; quello che porta ormai il nome di “problema della periferia” non si pre-sentava allora con proporzioni tali da domandare par-ticolare impegno.

E tuttavia al cardinale Svampa non sfuggì lo sviluppo che al di là della linea ferroviaria stava pren-dendo la città e volle provvedervi e a provvedervi indi-rizzo quello che era da tempo un suo sogno di Vescovo e di Padre: in questa Bologna dove tanto si affermava-no le forze avverse alla Chiesa (nell’anno stesso della sua morte le vie cittadine avevano visto la più smacca-ta manifestazione pubblica della massoneria anticleri-cale in occasione dei funebri del Carducci); in quella Bologna, che pure conservava tanta ricchezza di anime talora eroicamente fedeli e generose, far sorgere un tempio monumentale, non indegno delle belle tradizio-ni d’arte religiosa della città, che attestasse un impe-gno di perenne fedeltà a Cristo e dedicarlo al cuore di Nostro Signore, come all’espressione del suo amore, che nella misericordia, trionfa delle debolezze e delle miserie umane.

A quell’opera egli diede tutte le risorse della sua au-torità e del suo ascendente personale; e convogliò quanto di offerte – anche per l’esercizio del suo labo-rioso ministero – gli perveniva.

Era l’opera de suo cuore; cui pochi giorni avanti la sua morte inviò i presenti fattigli per il suo giorno o-nomastico e poche ore prima di pronunziare le ultime parole mandò ancora un salvadanaio contenente una piccola somma offerta da una umile donna del popolo.

Accanto a quel tempio, che poi avrebbe ufficiato, e-rano i suoi cari Salesiani. Da quando ne aveva visto l’opera a Faenza non s’era dato pace finche non aveva ottenuto da don Rua la promessa che sarebbero venuti a Bologna; e a sollecitarne la venuta, volle si tenesse qui il congresso dei cooperatori. E li ebbe finalmente, i suoi Salesiani.

Ancora una volta la sua visione pastorale appare og-gi divinatrice: in una periferia che poi s’estenderà e si intensificherà di abitazioni, sentì che acanto alla chie-sa era opportuna un’opera sociale e formativa della gioventù. Gli sviluppi della storia e della vita hanno collaudato positivamente il suo senso previdente di pastore!

Così molto di attualmente vivo e vitale deve la Chiesa bolognese al cardinal Svampa: alle sue fervide attività, protratta fino all’antivigilia della morte; molto dobbia-mo ancora all’esempio della sua morte santa.

Che a lui, cinquantaseienne, apparve come a tutti, immatura; ma che egli accolse con umile e dolce ade-sione alla volontà del Signore e preparò nella pace rac-colta della preghiera e della suprema espansione della carità paterna verso i figli che lo circondavano: come Gesù nel cenacolo alla vigilia della croce!

Oggi, commemorandolo, ringraziamo il Signore che, attraverso l’opera di tanto pastore, ha provvisto, con provvidenza sollecita e preveggente alla sua Chiesa. E mentre abbiamo offerto per lui il Sacrificio immacolato della Vittima divina, chiediamo al Signore di guardare ancora con benevolenza e larghezza e alla sua diocesi di Bologna, a cui dedicò senza riserve né soste le ener-gie della sua maturità e alla terra sua natale, che sem-pre portò nel cuore con ricordo nostalgico dell’infanzia serena e pura e della giovinezza ardente e che benedis-se, con animo di figlio affezionato prima di addormen-tarsi nel Signore.

Voglia Dio che l’opera e l’esempio di tanto Pastore valgano qui, dove egli nacque, a conservare la fede e la vita cristiana e a restaurarla là, dov’egli, non stanco ancora ma docile alla chiamata del Signore, riposa in attesa della risurrezione.\\\\

|||||   Altre notizie: MONTEGRANARO alla fine del secolo XIX

La “ Strenna di Montegranaro”  edita a Porto Civitanova nel 1905, descrive la cittadina e mette in rilievo lo sviluppo della pro-duzione e del commercio delle calzature.

La famiglia Svampa era dotata di mezzi economici relativamente modesti, non ottimi, traeva i propri mezzi di sostentamento da un’accurata amministrazione delle rendite dei non vasti appezza-menti di terreni  a mezzadria.

L’organizzazione politica a Montegranaro dipendeva dagli inte-ressi collegati con la trasformazione economica per cui si alterna-vano nell’amministrazione comunale le componenti liberali-conservatrici con quelle radicali-progressiste che operavano in un continuo mutare di alleanze, solo in parte corrispondenti con gli sviluppi della situazione politica nazionale.

L’attività produttiva prevalente era passata, alla fine secolo XIX, dall’agricoltura all’artigianato di calzature a buon mercato, di tra-dizionale famigliare, che erano capaci di avviarsi all’esportazione, allargandosi progressivamente in direzione dell’Italia  settentriona-le.

Mons. Domenico Svampa era consapevole delle trasformazioni economiche della sua patria, della sua famiglia e dell’antico Stato Romano Pontificio.

L’andamento delle vicende politiche, sociali, economiche, cultu-rali e religiose della sua Montegranaro erano da lui osservate con concretezza di visuale e con chiarezza di giudizi sulla evoluzione in corso.

A Montegranaro si riscontravano i segni dei mutamenti del com-portamento religioso e degli atteggiamenti nuovi nei confronti del-la Chiesa, insieme con il differenziarsi dei gruppi sociali.

Mons. Domenico Svampa  il 15 ottobre 1887, quando era Vesco-vo di Forlì venne in questa cittadina, sua patria, per consacrare la chiesa e l’altare in onore di san Serafino da Montegranaro.

EPIGRAFE

Il 5 ottobre 1958  il card. Giacomo Lercaro commemorò il 50° del-la morte a Montegranaro ove si pose un’epigrafe commemorati-va:

Nel 50° anniversario \ della morte \

S. Em. Il Card. \ DOMENCIO SVAMPA \

Arcivescovo di Bologna \

ebbe degna commemorazione \

dinanzi ai concittadini ammirati \

dal successore \ S. Em. il Card. \ GIACOMO LERCARO \

che dopo solenne rito di suffragio \ dedicò questo marmo \

in ricordo non caduco \ del Principe della Chiesa \

e Pastore delle anime \  il Priore della parrocchia ddei s. Fi-lippo e Giacomo e

memorabile \

presente S. Ecc. Mons. \ NORBERTO PERINI \

Arcivescovo di Fermo \

5 ottobre 1958

CENNI BIOGRAFICI

Domenico Svampa nacque a Montegranaro il 13 giugno 1851 da Paolo  e  Tarquini Giuseppina. La sua vita fu raccontata a Monte-granaro da don Augusto Curi (poi arcivescovo a Bari) il12 settem-bre 1907 ad un mese della scomparsa, discorso pubblicato a stam-pa. Fin da bambino era ammirato per l’intelligenza ed il carattere socievole. Il primo e sicuro maestro fu il padre Daniele Paparel-li(Osimo 1811- Sant’Elpiodio a mare 1884) Minore Conventuale dal 1859 al 1864 a Monte Granaro. Per oltre cinquant’anni fu Priore dei ss. Filippo e Giacomo don Crispino M. Curi, zio del futuro arcivescovo di Bari Augusto Curi, affezionatissimo allo Svampa, suo modello.

Entrato nel seminario di Fermo nel reparto dei convittori, si distin-se per la soavità dei modi, la pietà fervente ed il profitto rapido ne-gli studi. Tra i suoi docenti si ricordano per Belle Lettere d. Fran-cesco Trebbi, per Grammatica d. Luigi Minnucci, per Filosofia d. Saverio Craja, per Scienze d. Roberto Papiri (poi ordinato vesco-vo). Pio IX aveva fondato un Seminario per i migliori giovani teo-logi delle diocesi del suo territorio. Vi era stato già mandatolo stes-so Papiri ed  ecco che i superiori nel 1872 scelsero lo Svampa per frequentare il Seminario Pio., con pieno successo.

Per esser ordinato Sacerdote a Roma chiese con istanza del 20 febbraio 1874 il consenso dell’Arcivescovo Fermano insieme con una lettera commendatizia per aver dal Papa la dispensa dall’età canonica, avendo 23 non 24 anni, e le ottenne.

Leggiamo dal Curi: “Il 4 aprile 1874 egli è già sacerdote e vede così coronate le sue calde aspirazioni che avevano arricchito di en-tusiasmo lo spirito vivace della sua intemerata giovinezza. Così, compiti gli studi dall’alma Roma tornava in patria coronato di du-plice laurea in Teologia e in Diritto e già consumato nel senno, nel-la prudenza, nell’austerità delle virtù sacerdotali, austerità che non gli impediva il sorriso bonario, il motto faceto, la cortesia dei mo-di, lo squisito sentimento di amicizia, il largo soccorso di consiglio e di conforto in ogni maniera. Come era buono con i fanciulli, che lo circondavano con riverenza e amore, mentre egli li istruiva nei canti sacri che faceva eseguire nelle chiese. Io qui da fanciullo im-parai ad amare Domenico Svampa, e da quando mi fu Padre Spiri-tuale nel fare la mia prima Comunione, egli ebbe sempre dal mio povero cuore un palpito di gratitudine e di tenace affetto che la morte non può far cessare”.

L’Arcivescovo Mons.Amilcare Malagola che molto lo stimava, lo incaricò docente di teologia e di diritto nel Seminario fermano e nei rapporti con i docenti e con i seminaristi si distinse nel meritare fiducia e benevolenza.

Fu eletto esaminatore pro-sinodale. Si adoperò per ripristinare la facoltà teologica e vi appartenne nella qualità di dottore collegiale; ebbe l’incarico di avviare e regolare l’accademia filosofica di S. Tommaso della quale l’arcivescovo lo elesse segretario. In mezzo a tante e svariate occupazioni trovava tempo di attendere con zelo alla predicazione, al confessionale con grande vantaggio spirituale del clero e del popolo fermano.

Scrive ancora il Curi: “Troppo poco tempo la Diocesi (Fermana) poté usufruire della vasta e brillante cultura del Sacerdote Svampa. Eppure nel biennio 1880-1881 che fu a Fermo professore di Teolo-gia e di Diritto, lasciò, come cometa radiante, una lunga strada di luce dietro di sé e quanti ebbero la fortuna di circondare la sua cat-tedra lo ricordano con entusiasmo. Perché il Prof. Svampa aveva sugli occhi il lampo della intelligenza viva e profonda, aveva sul labbro non la parola loquace e rapida, che a volte confonde e porta fuori la mente di chi ascolta, ma la parola calma, sobria e solenne della scienza, parola sempre precisa e scintillante di una evidenza che appagava lo spirito e vi suscitava, più che l’amore, la passione per lo studio”.

Nel 1881 un uovo incarico all’Apollinare. Scrive il Curi: “Lo Svampa aveva lasciato a Roma vivo ricordo e grande desiderio di sé, e Leone XIII lo richiamò nella Città eterna. A nulla valse l’insi-stenza del suo Arciv. Malagola, che lo avrebbe creato Arcidiacono della Metropolitana”. Lo elesse infatti canonico onorario. Scrive ancora il Curi: “Ricordo di aver inteso dire allora, in procinto di re-carsi a Roma, che doveva esercitarsi nella lingua francese, perché il S. Padre aveva espresso il divisamento di inviarlo a Parigi, non so bene per quale ufficio. Giunto però nell’alma Città allo Svampa  fu assegnata la Cattedra di Diritto Civile nell’Università Ecclesiastica dell’Apollinare” (. . .) Condensava con ordine rigoroso e sintetico e con mirabile profondità tutta la sapienza del diritto romano nei rapporti con le moderne istituzioni, rimase celebre in quell’Ateneo Pontificio ( . .) Il Papa lo elesse suo Prelato Domestico e lo destinò Consultore del più importante dei dicasteri ecclesiastici, della Con-gregazione del Concilio”.

In mezzo a tale attività di studio, di scuola e di dicastero, mons. Svampa trovava tempo per esercitare il ministero sacerdotale in cui coglieva le intime soddisfazioni di guida delle anime a Dio, “arte delle arti” secondo s. Gregorio Magno. Fu Direttore spirituale dell’importante Monastero delle Dame Francesi dei Sacro Cuore a Trinità dei Monti che formavano centinaia di giovinette apparte-nenti ad ogni classe sociale.

Don Svampa amava sempre con ardore il sacerdotale ministero e lo esercitò con zelo prudente nel collegio di Propaganda Fide dove tenne l’ufficio di confessore delle Scuole notturne Romane. Colla-borò occasionalmente al quotidiano,  L’Osservatore Romano.

Nel 1887, alla morte del vescovo di Forlì, mons. Paolo Trucchi, il papa volse su di lui lo sguardo.  Per dare un successore energico e prudente e adatto a sostenere il peso. Nella sua umiltà mons. Svampa trentaseienne, tentò di sottrarsi alla nomina a vescovo, da lui non cercata, ma Leone XIII fu irremovibile.

Per solenne obbedienza al Vicario di Cristo, si recò a reggere la diocesi assegnatagli. Nello stesso anno 1887, accolto trionfalmente a Montegranaro per la festa di S. Serafino, vi celebrò da vescovo solenni pontificali dopo di aver egli stesso consacrato la restaurata chiesa dei Cappuccni.

Nella diocesi forlivese  ebbe a restare con fecondo apostolato per sette anni. Si manifestò come un angelo inviato da Dio a questa Chiesa. La sua prudenza, il suo tatto, il suo zelo incessante gli con-quistavano l’affetto dei fedeli e l’ammirazione degli avversari. E-gli, vivamente compreso dell’alta missione che deve esercitare il clero, tenne ai sacerdoti della diocesi conferenze mensili, sugge-rendo, ammonendo, consigliando secondo lo richiedeva l’opportunità.

Prese cura specialissima del seminario accrescendo l’azione pe-dagogica nella formazione spirituale e scolastica.

Per le esigenze sociali, faceva organizzare il Segretariato del po-polo, la Società di Mutuo Soccorso, le cassi rurali nei paesi, il Pic-colo Credito Romagnolo ed una Società per assistere gli emigranti temporanei.

Consacrò la sua chiesa cattedrale, istituì la società dei missionari sotto il patrocinio della Madonna del Fuoco, prese gran cura dei monasteri attendendo costantemente al loro buon andamento, zelò l’opera di santa Dorotea imprimendole un impulso per giungere ad esito di perfezione.

Promosse l’opera dei santi Tabernacoli e fondò il ricreatorio fe-stivo di S. Luigi per i figli del popolo. Lo spirito cattolico venne ravvivato in ogni classe di cittadini con visite pastorali, assidua predicazione, lettere pastorali di stile apostolico.

Mons. D. Svampa seppe accattivarsi la simpatia di tutte le cor-renti sociali e politiche del tempo: dai liberali moderati sino ai so-cialisti rivoluzionari, si dedicò a consolidare i rapporti della Chiesa con la società.

Nel maggio 1892 a Montegranaro s’incoronò il simulacro del-l’Immacolata. Scrive il Curi: ” Si fecero feste straordinarie, solenni. Ad esse fu fatta precedere una Missione predicata dall’Arcivescovo nostro Mons. Malagola e da Mons. Svampa”.  Alla festa prese par-te oltre a d. Raimondo Jaffei (poi vescovo di Forlì) il vescovo di Macerata e Tolentino Mons. Papiri.

Dopo la morte del cardinale Francesco Battaglini a Bologna, l’attenzione del papa ai meriti aprì a mons. Domenico Svampa un nuovo e più vasto campo di attività: il 18 maggio 1894 lo creava cardinale e in seguito lo mandava arcivescovo  Bologna.

Nel 1894 Bologna accolse trionfalmente il cardinale quarantatreenne. Maestoso nella persona, fronte ampia, grandi oc-chi scintillanti, sorriso spontaneo e lucente, modi soavemente di-gnitosi lo rendevano facilmente notato da tutti.

Sul popolo il cardinale  aveva il suo scendente, perché si ricono-scevano le sue vaste ed sistematiche cognizioni, la sua chiara vi-sione dei tempi, la sua calma di governo, il senno ed il discerni-mento nelle questioni, la prudenza e  il tatto finissimo nel trattare con tutti. Resse la vastissima archidiocesi di oltre trecento parroc-chie recandosi progressivamente in ciascuna di queste.

Scrive il Curi: “Se fu tutto a tutti fu tutto specialmente per i Sale-siani che volle a Bologna all’ombra del tempio monumentale eretto in omaggio al Divin Cuore, perché all’afflusso divino della carità di Gesù Cristo venissero educati centinaia di giovinetti. Egli, col pro-prio esempio, con la sua ardente parola, con i suoi scritti  in una aureo periodico, “Il Secolo del S. Cuore” appiccò il fuoco a centinaia di cuori cristiani che divennero generosi”.

Con l’ausilio dei Salesiani faceva attivare gli oratori per la gio-ventù. Stabilì le Scuole Salesiane nell’immediata periferia oltre la ferrovia. A Bologna si celebrò nel 1895 il primo congresso dei Co-operatori laici salesiani. L’affetto e l’entusiasmo della diocesi bo-lognese esplosero incontenibili, quando nel 1899 celebrò il venti-cinquesimo della sua prima s:. Messa.

Trovava un po’ di tempo,  pur tra tanto lavoro pastorale, per de-dicarsi ai suoi studi specialistici che sono stati editi su argomenti di giurisdizione patrimoniale ecclesiastica.  Altre sue opere. Scrive il Curi: ” Venti anni di episcopato due volumi di quasi 1400 pagine raccolgono le Lettere Pastorali, Omelie, Panegirici (. . .) Ha pub-blicato anche Il Piccolo Catechismo religioso per uso delle mona-che e delle suore; i Fiori spirituali offerti alle anime religiose;  il Sacro Cuore di Gesù studiato in trenta considerazioni; Considera-zioni sulle Litanie del Sacro Cuore.”

Per il centenario di S. Serafino nel 1904 pubblicò a Bologna la biografia del suo concittadino San Serafino da Montegranaro.

Negli scritti fiorisce una pietà caratteristica che si riscontra nei santi: in particolare la sua pietà verso la Madonna sia che la invo-casse come l’Immacolata a Montegranaro, o Vergine del Fuoco del santuario da lui rinnovato a Forlì, o Madonna di san Luca sul colle sopra Bologna. La devozione alla Madonna  lo portava alla devo-zione al sacro Cuore di Gesù.

Scrive il Curi: “Egli aveva intuito i tempi ed aveva sentito il gri-do della società che cerca il progresso. S’accorgeva egli che questo grido, sia per impulso dei tristi, sia per la fiacchezza dei buoni, troppo attaccati al passato, si mescola la grido di rivolta ai principii cristiani. Sapeva lo Svampa che solo nell’Evangelo si ha in germe tutta la fioritura di progresso alla quale possa spirare l’umanità. Comprendeva nella sagacia dell’animo suo che bisogna rinnovarsi svestendo le forme troppo antiche. Quindi voi vedete questo uomo fortiter et suaviter  adoperarsi tra il clero e il laicato per ridestarvi il fuoco sacro dell’organizzazione cattolica, che non solo pensi alla difesa della religione, ma ancora a rinsaldare il principio cristiano nelle istituzioni economiche-sociali, nell’istruzione della gioventù, nella stampa.

Voi vedete il Card. Svampa parlare, esortare, incoraggiare nelle adunanze private e nei pubblici Congressi frequentandoli da Torino a Milano, da Venezia a Bologna stesa.

Spirito corretto e prudente sempre salvò la cordialità dei rapporti con le pubbliche autorità. (. . .) Visita solenne che fece in Bologna a S. M. Vittorio Emanuele III. Fra il delirio di un popolo plaudente si vide allora sul balcone del Palazzo di Città comparire vicino al Re la porpora del Cardinale Arcivescovo”. Era il maggio 1904.

Nel delicato momento politico e sociale del tempo, seppe agire con prudenza ed equilibrio. Sostenne i giovani cattolici che vole-vano capacità di iniziativa nell’Opera dei Congressi, per sottrarre le masse dal socialismo e del liberalismo, anche se non fu compreso da tutti.

Espresse sin dall’inizio il suo programma, scrivendo che nella ca-rità del vescovo risiedeva la sorgente della concordia tra tutte le classi. Voleva essere un autorevole dispensatore di pace per tutti, per uscire dai contrasti e dare un comune indirizzo alle molteplici energie territoriali. Secondo il cardinale, la moralità del popolo di-pendeva in larga misura dalla famiglia fondata sul matrimonio.

Scrive il Curi: “Il Principe di S. Chiesa s’incontrava spesso per le vie di Bologna fra i suoi figli [spirituali] visibilmente soddisfatti dell’incedere democratico dell’Arcivescovo e ciò aveva concorso a circondarlo della popolare simpatia. (. . .) Egli reggeva l’ampia dio-cesi di Bologna, che conta oltre 300 parrocchie con criteri pratici utilissimi e mi diceva un suo intimo sacerdote che aveva organiz-zato così meravigliosamente il disbrigo degli affari, da rendergli agilissimo il governo del clero e del popolo (. . .) Nella parsimonia del suo avere profuse somme vistose in beneficenza. Spirito supe-riore e cuore grande egli nulla volle mai per sé che conduceva vita modestissima, semplice e frugale (. . .) Il suo passaggio in mezzo ai suoi figli era il passaggio di un padre generoso, benefico, dal tratto buono e confidente, dalla parola che scuoteva, stimolava conforta-va e spesso ancora consolava.

La sua passione era la sacra visita pastorale, che gli permetteva di avvicinare i suoi figli spirituali toccarne con mano i bisogni, sen-tirne i lamenti e i desideri, avvisare agli opportuni rimedi e tutto provvedere con zelo. Il suo ardore giovanile lo portò ripetutamente nel corso di 12 anni per tutta la Diocesi non risparmiandogli fatiche e disagi incalcolabili per le vie difficili sui monti scabrosi.”

Non si poneva in posizione difensiva, di chiusura, ma intendeva raggiungere il giusto equilibrio nell’unire i vari aspetti, sull’esempio di san Gregorio Magno: armonie tra scienza e fede, tra religione e patria, tra libertà e autorità, tra diritti e doveri. Con-siderava necessario che ci fossero rapporti tra le istituzioni eccle-siastiche e le istituzioni civili.

Accettava l’indipendenza del laicato, non come scissione dalla gerarchia, ma come assunzione di personale responsabilità senza compromettere l’Autorità Ecclesiastica, adempiendo però tutto ciò che questa prescrive.

Il 10 agosto 1907  sul letto dell’ultima malattia diceva, come rife-risce il Curi: “Faccio volentieri molto il sacrificio della mia vita, e dico con tutto il trasporto il Nunc dimittis. Ma desidero che la mia morte stessa torni vantaggiosa alla mia diocesi, per l’aumento della carità e della concordia, e per la cooperazione di tutti alla salute delle anime.”

Morendo si incontrò eternamente con Dio con quella serenità e fiducia nell’Amore divino con cui era vissuto. L’ultima sua escla-mazione raccolta sul letto di morte: “Vado in Paradiso” come sa-luto alla terra dell’esilio per la patria nella casa di  Dio.

Il Curi conclude: “E siccome è vana ogni prosperità e inaridisce ogni fiore di virtù se manca la fede, o Spirito eletto di Domenico Svampa, rifulga la fede di Gesù Cristo facendo cadere i pregiudizi (. . .)  perché  le tue virtù rinverdiscano nella tua cittadinanza inte-ra, oggi e sempre.”

IL RE VITTORIO EMANUELE III E IL CARD. SVAMPA

Nelle vicende dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia dopo l’avvento del Regno dei Savoia si inserisce l’evento che tocca la figura del card.  Svampa,  in occasione della prima visita fatta dal Re Vittorio Emanuele III alla città di Bologna.

La cronaca giornalistica commentò i fatti locali che avevano atti-nenza con quelli di interesse nazionale, e fra i molti, mise in luce il significato del famoso incontro del cardinale arcivescovo Domenico Svampa con Vittorio Emanuele III.. Era il primo incontro di un sovrano d’Italia con un Presule diocesano della Chiesa, dopo gli avvenimenti del 1870.

E’ facile immaginare quale e quanto fu lo scalpore che ne nac-que, come furono lunghe ed intricate le polemiche e quale vigoria di opposizione provocassero i massoni. La cronaca descrive il cor-teo con il quale l’em.o cardinale si recò al Palazzo d’Accursio e commentò il significato di questo particolare: egli sedeva nella ber-lina che già era servita al cardinale Legato prima che Bologna fa-cesse parte ufficiale dello Stato Italiano Sabaudo. Ciò metteva in evidenza che l’incalzare degli avvenimenti politici ed il mutato re-gime non sminuiva o alterava né il potere né la dignità della Chie-sa, i cui uomini conservavano la stessa dignità e la cui parola, ad onta degli urli avversari, era sempre ispirata dalla verità e dalla giustizia.

Cardinale e Re si affacciarono dal balcone del palazzo fra le ac-clamazioni della moltitudine che affollava la piazza sottostante: le due figure, apparse così accostate nella medesima sede che simbo-leggiava il potere del popolo, a chi avesse saputo preconizzare gli eventi, avrebbero, in certo modo potuto preannunciare il fatto sto-rico della conciliazione del 1929.

I  CATTOLICI  BOLOGNESI

Lo studioso Alessandro Albertazzi in un documetato volume (pp.374) intitolato “Il cardinale Svampa ed i cattolici Bolognesi 1894-1907” edito con documenti nel 1971  dalla Morcelliana di Brescia, parla dell’azione cattolica bolognese, favorita anche dal ri-torno, a tempo di questo cardinale, di alcuni precedenti protagoni-sti, recepisce i fermenti del nuovo clima.

I contrasti immancabili vengono superati dall’ampia visione uni-taria che favorisce l’autonomia delle scelte operative in ambito diocesano e regionale nel realizzare le direttive della dottrina socia-le espressa dal papa Leone XIII.

Il cardinale Svampa si inserisce con spontaneità nel mondo dei cattolici bolognesi, ne comprende le caratteristiche e difende le prerogative autonome dell’azione popolare cattolica romagnola. Con prudente oculatezza indirizza il processo di sviluppo, ne detta i contenuti ed i limiti, a sostegno dell’azione dei fedeli e degli inte-ressi religiosi della Chiesa.

Il cardinale Svampa si manifesta come pastore d’anime attento, intelligente, zelante, pronto ad accogliere i moti di un cattolicesimo vivo, penetrante, animatore della vita popolare. Per tale motivo il card. Svampa ha raggiunto una grande popolarità.

Nelle varie circostanze la sua presenza era costante, attiva, inseri-ta nella realtà bolognese. Nella volenterosa fedeltà alla Santa Sede accettava la realtà cui era diretta la sua azione vescovile. Esisteva in città il quotidiano cattolico “L’Unione” e per promuovere la presenza vitale dei cattolici nello sviluppo contemporaneo, dal no-vembre 1896 promosse  ”L’Avvenire” che divenne nel 1902 “L’Avvenire d’Italia”. Primo Direttore Cesare Al granati (Rocca D’Adria) in seguito Filippo Crispolti.

Lo stesso scrittore Albertazzi ha  pubblicato nel 1978 nel <Qua-derni Culturali Bolognesi n. 5> “ Domenico Svampa. Un vescovo fra due secoli. Chiesa e società a Bologna. 1894-1907 Note ed ap-punti”.  Ecco i capitoli della biografia: 1:Formazione e prime espe-rienze pastorali; 2:Sulla cattedra si San Petronio; 3:Le ‘Opere Pastorali’; 4: La formazione del clero; 5: La Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna e i rapporti con la S. Sede.

Interessante anche di AUGUSTO CURI, “Elogio funebre del Sig. Card. Domenico Svampa” edito a Fermo nel 1907. A Fermo mons. Svampa era Canonico onorario.

ALBERTAZZI Alessandro, “ Mons. Domenico Svampa vescovo di Forlì 1887 – 1894”  in <Atti del XII convegno del centro studi e ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate. Forlì 27-29 dicembre 1977>. Lo stesso autore inoltre ha curato l’edizione delle “Lettere al fratello” di D. SVAMPA.

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