La Divina Commedia. Dante Alighieri. Appunti dalle lezioni di Mancini d. Dino

DANTE ALIGHIERI  –  LA DIVINA COMMEDIA – UNITA’. Appunti dalle lezioni di Letteratura Italiana del prof. MANCINI d. DINO.  

L’Unità dell’opera “la Divina Commedia”.    Dice qualche critico che con il pretesto di descrivere il suo viaggio ultramondano, l’Alighieri ci ha parlato di quel che ha voluto. Sebbene egli si sia sforzato di dare un certo ordine esteriore ai vari argomenti, tuttavia manca nella Commedia una vera e propria unità; cioè manca un fulcro di ispirazione a cui si riallaccino i vari motivi trattati, una sorgente da cui emanino, sebbene in modi diversi, i singoli episodi e le svariate rievocazioni in cui si articola la materia dell’immaginario viaggio.

   A questa osservazione di critica si può rispondere:

1) Il poeta ha voluto rappresentare i tre regni dell’oltretomba, cioè ha voluto darci di essi un’idea esatta il più possibile: ebbene, al termine della lettura delle singole cantiche, noi abbiamo un concetto assai vivo e completo di ognuno dei tre regni ultramondani. Questa unità ci indica che il poeta ha svolto bene le tre parti del suo poema. Ad esempio,  se l’Alighieri ci dà un’idea dell’Inferno sufficiente o addirittura esatta, a noi interessa poco di quali mezzi egli si sia servito (viaggio o altro) basta che il fine sia stato raggiunto. Come dire che se un critico, per trattare gli stessi termini, sa proporre un mezzo più efficace, ossia più idoneo a realizzare l’unità della composizione, si provi a far meglio di Dante.

2) Il tema vero della Commedia non è né il viaggio di Dante, né la descrizione dei tre regni ultramondani, ma è la vita umana osservata e giudicata da un punto di vista extra temporale, eterno e assoluto, cioè la storia umana interpretata con la mentalità mistica del medioevo. I personaggi dell’oltretomba danno al poeta l’occasione di rievocare e di giudicare la vita terrena, e la concretezza della storia dà più verosimiglianza alla materia oltremondana: il vero soggetto del poema è, quindi, l’umanità, e il tema del viaggio con i suoi spunti descrittivi non sono che mezzi per illustrare poeticamente quel tema.

3) Qualcuno afferma che l’unità della Commedia è garantita dal personaggio principale del poema che è l’Alighieri stesso, il quale è sempre presente in tutti i momenti dello sviluppo con la sua costante fisionomia spirituale. Ma questo argomento non sembra assai probativo,  perché è la stessa osservazione dei critici, ripetuta senza confutarli. Infatti, se i critici dicono che il motivo di un viaggio non dà unità ad episodi, a rievocazioni, a considerazioni slegate e senza rapporto di struttura fra loro, non è legittimo rispondere che l’unità sia garantita dal fatto che il relatore del viaggio è la stessa persona che ha udito e veduto quello che è narrato. Tanto meno è opportuno considerare come fattore di legame l’unità di tono, cioè l’immutabile mentalità e lo stile del poeta protagonista. L’unità di tono non è l’unità di contenuto. Si tratta di due cose che per quanto connesse fra loro, sono tuttavia distinte.

DANTE POETA NAZIONALE

   Per poeta nazionale intendiamo lo scrittore il quale sia esponente della mentalità, degli interessi, della civiltà del popolo a cui appartiene. In questo senso Dante è poeta nazionale per vari motivi:

a) Dante, come ha interpretato i bisogni di tutta la “respublica christiana”, ha particolarmente sentito la preoccupazione dei bisogni dell’Italia da lui definita “giardino dell’impero”.

  Egli vede la causa delle sciagure dell’Italia nelle discordie, vedi la causa delle discordie nei vizi umani e particolarmente in “superbia, avarizia, invidia” e vede la causa del diffondersi di questi vizi nel fatto che l’imperatore trascura il suo compito di reggere i popoli cristiani e specialmente il popolo prescelto da Dio a collaborare con l’autorità suprema, cioè il popolo cristiano; inoltre la causa nel fatto che il potere spirituale è profanato dal pontefice con impegni temporali e cupidigie terrene: “pensa ‘n terra non è chi governa

                                                                     onde si svia l’umana famiglia”.

   L’invettiva del canto sesto del Purgatorio contro l’insensatezza degli italiani, contro l’invadenza mondana del pontefice e contro la neghittosità dell’imperatore, è indice della passione patriottica dell’Alighieri. Egli ha dinanzi a sé il quadro di tutta l’umanità cristiana, tuttavia Firenze e l’Italia lo angustiano fino ad essere per lui una specie di incubo:

               E se già fosse, non sarìa per tempo:

               così foss’ei, da che pur esser dee!

               ché più mi graverà com più m’attempo.”  Inferno XXVI vv.10-12

b) Gli episodi, le rievocazioni, gli esempi della Commedia sono in gran parte tratti dalla storia italiana, cosicché il poema potrebbe definirsi un commento poetico alla storia della nostra vita nazionale nel medioevo.

c) Dante, come poeta, è stato il primo grande maestro di rettitudine, di giustizia e di magnanimità al popolo nostro sia con la parola, sia con l’esempio. In una lettera in cui egli esorta gli Italiani ad accogliere, come esige la disciplina civica della “respublica christiana”, l’imperatore Arrigo, dopo aver ricordato loro che essi sono i cittadini imperiali per eccellenza, dice che debbono adottare nella loro vita uno stile imperiale, cioè di disciplina, di nobile passione per il bene privato e pubblico. I rimproveri sdegnosi e talvolta crudi che egli rivolge ai suoi connazionali non sono dettati dal disprezzo, ma dall’amarezza del suo cuore onesto, disgustato dalle lotte inutili e sanguinose in cui gli italiani si disonorano e si rovinano.

d) Dante  è stato il primo e il più geniale elaboratore della nostra lingua, nel senso che ha raffinato e arricchito il dialetto fiorentino, valendosi della sua ottima conoscenza del latino, del provenzale, del francese e della lingua aulica dei  Siciliani e dei tentativi linguistici dei Guittoniani, in modo tale che ha fornito agli scrittori successivi un patrimonio linguistico per esprimere gli atteggiamenti più svariati dello spirito.

   Non si nega che gli scrittori posteriori a Dante, specie il Petrarca e il Boccaccio, abbiano contribuito efficacemente ad arricchire e a perfezionare la nostra lingua, ma il più grandioso esperimento linguistico è stato, senza dubbio, quello dell’Alighieri. Più tardi gli umanisti fanatici cultori della lingua latina aulica, spregiano la lingua di Dante; ma il fatto che i lettori, anche di modeste conoscenze linguistiche, sono riusciti nel passato e riescono oggi ad intendere il senso letterale (almeno delle due prime cantiche) sta a testimoniare che la lingua dell’Alighieri è la lingua adatta per la gran parte degli italiani, e il fatto che i dotti trovino ancora nella lingua del Paradiso forme elevate e geniali, sta a testimoniare che la Divina Commedia può offrire il piacere di un linguaggio complesso e artistico anche alle persone più esigenti.

e) L’Alighieri è espressione tipica del genio della nostra stirpe caratterizzata dall’armonia tra profondità e facilità, tra complessità e chiarezza, tra intelletto e fantasia. Il genio latino, e quindi quello italiano, è famoso per l’equilibrio delle facoltà interiori, con evidente tendenza alla praticità, cioè a porre tutte le attività interiori al servizio della vita vissuta.

      La perfetta intercomunicazione tra l’intelletto, il sentimento, la volontà e l’azione nell’Alighieri, è indice della sua armonia spirituale. Quanto alla tendenza pratica della sua mentalità e della sua arte, basta ricordare che egli scrisse non tanto per dilettare i lettori, né per dimostrare la sua bravura letteraria, ma per portare “vital nutrimento” alle anime. La Divina Commedia, sintesi perfetta di pensiero e di vita, di logica intellettuale e di vigoria fantastica, è l’espressione più significativa della concretezza ottimale del genio latino

   L’Alighieri, inoltre, anche come cittadino  si sente schiettamente italiano: ricco di passioni e nello stesso tempo ragionevole, acceso di risentimento contro i suoi concittadini e sdegnoso contro le loro offerte umilianti per un suo ritorno, eppure capace di dichiarare apertamente che sente la nostalgia del “bell’ovile ove dormì agnello” e che desidera la corona d’alloro nel suo “bel S. Giovanni”. Egli segue le sciagure di Firenze con trepidazione quasi di incubo. E il disordine e il malcostume della città natale lo preoccupano come se si trattasse del suo stesso onore. Questo stile civico di deplorare e di criticare aspramente i concittadini, non per malevolenza, né per vendetta, ma per amore della patria che vorrebbe perfetta e vede invece compromessa e rovinata dalla malvagità di pochi, sarà caratteristico della patriottismo italiano, da Dante al Petrarca, al Machiavelli, al Parini, al Foscolo, al Leopardi, al Carducci.

   Dante può essere considerato come espressione genuina della nostra stirpe per l’universalismo della sua spiritualità. Gli italiani, per l’influsso della tradizione universalistica di Roma, e in modo particolare per la mentalità cattolica che permea la loro civiltà e la loro storia, sono tra i popoli d’Europa i più inclini a ideare e propugnare gli organismi sociali a carattere internazionale e a collaborare con tutti i popoli per il progresso della comune civiltà.

   Dante fu il poeta di tutta l’umanità, in quanto fu il poeta della Chiesa e dell’Impero, cioè dei due istituti che egli considerava creati dalla divina Provvidenza per affratellare, pacificare e potenziare i popoli cristiani.

   È appunto questa visuale vasta che, oltre ai motivi eternamente attuali in essa contenuti, fa della sua Commedia un’opera che interessa non solo gli italiani, ma l’umanità in generale.

                                  DAL CONVIVIO ALLA COMMEDIA

   L’Alighieri nei primi tre anni dell’esilio, per risollevare la dignità della sua persona umiliata dalla sventura, si propose di dar saggio della sua cultura e delle sue capacità artistiche e decise di comporre il “Convivio”, un complesso di trattati costituiti, ciascuno, di una canzone e di un commento a questa in prosa, in cui fossero esposte le teorie più comuni intorno ai più importanti problemi di filosofia e di scienza. Tuttavia, arrivato al quarto trattato, l’Alighieri interruppe il suo lavoro, e lo fece, con molta probabilità, perché il Convivio, così come era stato ideato, non lo soddisfaceva. Infatti il convivio presentava i seguenti difetti:

1) l’opera risultava slegata, in quanto fra l’uno e l’altro trattato non v’era alcun legame né interiore, né esteriore;

2) l’esposizione rimaneva nel campo teorico e non prendeva contatto con la vita dell’umanità;

3) la forma rimaneva costretta nello stile arido del didascalismo: le verità erano sviluppate come in un ragionamento in versi; era reso quasi impossibile l’intervento della fantasia e del sentimento;

4) non poteva realizzare la promessa, fatta al termine della sua opera “Vita nova”, di esaltare Beatrice in modo degno della beatissima;

5) in una esposizione didascalica più o meno oggettiva e impersonale, il poeta non poteva presentarsi direttamente con il complesso delle sue passioni, delle sue aspirazioni, dei suoi programmi di rigenerazione personale e universale; non poteva rivendicare il suo onore umiliato dagli avversari e messo in dubbio da chi ancora non lo conosceva a fondo.

   Insoddisfatto dal “Convivio”, il poeta ideò allora la sua “Commedia” la quale veniva benissimo incontro alle esigenze della sua spiritualità quale gli era venuta maturando in seguito alle esperienze e alle meditazioni dell’esilio, da quando aveva imparato a pensare concretamente, a cogliere l’ideale nel reale, a rapportare la vita alla verità, ad inquadrare i suoi problemi personali nel grandioso complesso dei problemi dell’umanità. La “Commedia” offriva all’Alighieri innumerevoli vantaggi dal punto artistico:

1) Anzitutto presentando il quadro dell’umanità che ha rifiutato la verità e il bene assoluto nell’Inferno, il quadro dell’umanità che pigramente si è dedicata al servizio del vero e del bene nel Purgatorio, e il quadro dell’umanità che con slancio ha militato sotto la bandiera dell’Assoluto nel Paradiso, il poeta ha modo di illustrare la storia terrena, rievocata nel mondo extra temporale, con la luce delle verità teologiche, morali, filosofiche, scientifiche.

   Così i problemi inscritti in questi tre quadri della vita umana, (fuori dalla loro astrattezza) vengono ricollegarti concretamente alla vita vissuta; così la sapienza cessa di essere erudizione per passare al servizio della vita; così gli ideali religiosi e morali sono colti nel loro sviluppo storico, nelle loro crisi e nelle loro vittorie; e si evita la solitaria meditazione in un mondo astrattamente dottrinale.

2) L’esposizione delle verità può assumere le forme più svariate, tutte le forme, eccetto quella “raziocinativa” astratta: la verità è trasfusa nelle descrizioni dei luoghi, nella psicologia dei personaggi, nella distribuzione delle pene e dei premi, negli accenti vivaci delle invettive, nelle rievocazioni storiche e in quelle leggendarie. E il poeta penetra nell’intelligenza del lettore attraverso le vie della fantasia e del cuore.

3) Beatrice promuove la salvezza del suo fedele e lo eleva fino a Dio, diventa maestra di alta sapienza, attira lo spirito del poeta dall’atmosfera soffocante della terra e lo conduce a spaziare nelle regioni della verità e dell’amore, delle quali ella conosce i segreti e nelle quali si muove con sicurezza ed agilità.

   Così l’Alighieri, divenuto edotto, può soddisfare le esigenze del suo cuore che brama vagheggiare sì la donna bella, ma soprattutto vivace di spirito e sapiente; così il sentimento dell’amore diventa sapienza e la sapienza diventa amabile quasi ripetendo la vecchia concezione di Platone.

4) Incontrandosi con i personaggi che concordano con le sue idee o sono a lui avversi, il poeta ha la possibilità di mettere in evidenza il suo modo di pensare, le sue aspirazioni, i suoi odi, le sue simpatie, ed ha possibilità di rivendicare l’onore della sua persona umiliata dalle condanne. La sua liberale comprensibilità, la sua vivace fierezza, la sua magnanimità sdegnosa, i suoi entusiasmi, le sue sublimi aspirazioni possono essere messe bene in evidenza in colloqui che assumono i toni ora aggressivi, ora solenni, o estatici. Da Brunetto, da Cacciaguida, da san Pietro, da san Giacomo, da san Giovanni si fa elogiare come perfetto cittadino e come perfetto cristiano, e spesso, incontrandosi con i cittadini di Firenze e parlando della patria sua, mette chiaramente in luce la sua innocenza, la sua rettitudine, e il suo amor di patria.

                                       DANTE NEI TRE REGNI

La Divina Commedia descrive il viaggio di purificazione e di elevazione compiuto dall’Alighieri dalla selva oscura fino a Dio.

La purificazione avviene attraverso tre gradi: 1) l’orrore del peccato suscitato dalla visione della tremenda punizione a cui sono sottoposti i peccatori;  2) la detestazione dello stile del peccato che si rivela, ad un dato momento. Come stile irrazionale e meschino;  3)   l’assimilazione di uno stile razionale, la conquista della libertà interiore, l’armonia delle facoltà.

   La fase della purificazione comprende due momenti: uno negativo nell’Inferno in cui il poeta concepisce orrore della colpa per la paura della pena; un secondo momento positivo nel Purgatorio, quando il poeta smentisce il peccato come irrazionalità, si libera da esso come da un impaccio che affatica e logora la vita, aderisce spontaneamente e sinceramente alla virtù.

   Nell’inferno Dante compie il primo passo della purificazione in quanto concepisce l’orrore del peccato, alla vista delle tremende pene con cui esso è punito.

Nel Purgatorio ascolta le anime che sconfessano le forme irrazionali e deplorevoli della loro vita terrena, e allora egli smentisce certe forme deplorevoli della sua vita personale, a cui per irrazionalità è attaccato; e nello stesso tempo ascolta le anime che esaltano la virtù ed anelano a soffrire per poter realizzare la loro unione con Dio. Dante acquista un criterio di valutazione delle cose umane del tutto improntato alla saggezza, alla prudenza, alla nobiltà. Così al termine del Purgatorio viene proclamato da Virgilio re e pontefice di se stesso, persona libera.

                           “Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;

                             lo tuo piacere omai prendi per duce:

                             for se’ dell’erte vie for se’ delle arte.” (Purgatorio XXVII vv, 130.132)

                                 “Non aspettar mio dir più né mio cenno;

                                   Libero, dritto e sano è tuo arbitrio,

                                   e fallo fora non fare a suo senno:

                                    perch’io te sopra te corono e mitrio.”  ( Ivi vv. 139-142)

   Il poeta che andava cercando la libertà finalmente è riuscito a liberarsi da tutte le forme dell’irrazionalità sotto la guida di Virgilio. Allo stile irrazionale della mente e del cuore e della volontà, ora subentra una forma spirituale di interiore chiara razionalità, che permette allo stesso poeta di aderire al bene senza difficoltà, cioè con libertà piena. Il mondo interiore del poeta, purificato, è sistemato in armonia: la ragione indica la strada, il cuore la intraprendente con entusiasmo, la volontà lo percorre con decisione: ogni moto interiore è agile e pronto.

   Virgilio può quindi annunciare con piacere al suo discepolo, nell’atto di lasciarlo, che ormai egli è re e pontefice di sé stesso e non ha più bisogno di guida; ossia che egli, e in forza della sua razionalizzazione, è divenuto “persona”, cioè uomo capace di dirigere il suo mondo interiore, senza risentire più di alcun influsso deviante. Così si compie il perfezionamento “naturale” del poeta, in quanto egli realizza la sua vera natura di uomo che è la razionalità. È da ricordare che tale perfezionamento avviene sotto la guida di Virgilio che è simbolo della ragione e quindi della filosofia. L’elevazione si realizza attraverso, anzitutto, la conoscenza della grandiosità del reale alla luce della sapienza divina; inoltre attraverso l’amore di Dio, cioè la concordanza dello spirito umano con il bene sommo.

Nel Paradiso, a colloquio con i beati che tutto sanno perché vedono in Dio ogni genere di verità, il poeta è illuminato specialmente da Beatrice, dolce e cara guida. E Dante spazia con l’intelletto nel mondo vastissimo dell’essere, ne scorge l’ordine, si sente inondato da una gioia ineffabile, non cura più la terra che gli pare “globo dal vil sembiante”, non vede l’ora di completare il suo cammino terreno per cenare alle “nozze dell’agnello”.

   Infine dopo aver spaziato per lo “gran mare” dell’essere finito, egli può fissare il suo occhio nell’essere infinito in cui scorge il mistero della Trinità e dell’incarnazione. A questa visione suprema dell’intelletto è connessa una tale infusione dell’amore che egli, al termine della visione, si sente investito da quel ritmo grandioso di ordine e di armonia con cui si muove l’universo che è l’espressione più evidente di Dio nel creato.

                              “Ma già volgeva il mio desio e il velle,

                                sì come rota ch’igualmente è mossa,

                                l’amore che move il sole e l’altre stelle.  (Paradiso XXXIII, 143-145).

   Come la razionalizzazione della volontà cioè la conquista del dominio di se stesso o l’affermazione della personalità, ha costituito il termine del perfezionamento naturale, sotto la guida di Virgilio, così la trasumanazione della volontà  per opera dell’amore divino che permea e vivifica lo spirito del poeta, costituisce il termine del perfezionamento soprannaturale sotto la guida di Beatrice. Come si vede, tanto il perfezionamento naturale, quanto quello soprannaturale, si concludono nella volontà la quale è mossa dalla ragione al termine della prima fase, e parimenti è mossa dalla grazia al termine della seconda fase. Nella volontà, infatti, cioè nell’azione (secondo San Tommaso e Dante) si conclude ogni moto dello spirito; e ciò sta ad indicare che la sapienza filosofica (simboleggiata da Virgilio e acquistata nelle fasi di purificazione e di razionalizzazione  attraverso l’Inferno e il Purgatorio), e la sapienza teologica (simboleggiata da Beatrice e acquistata nella fase di elevazione soprannaturale attraverso il Paradiso) non hanno fine a se stesse ma sono al servizio della vita.

   È in conclusione Dante nell’Inferno concepisce orrore del peccato per paura delle pene; nel Purgatorio deplora il peccato come stile irrazionale, ed acquisisce lo stile della virtù. Nel Paradiso, libero da impacci irrazionali, spazia per l’infinito ed acquisisce lo stile del pensiero e della volontà che sono propri dei cittadini del regno di Dio, cioè stile soprannaturale.

 

(Scritti da Vesprini Albino)

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