La Divina Commedia di Dante. Presentazione dall’ascolto del prof. Mancini Dino

LA DIVINA COMMEDIA – CONTENUTI. Appunti dalle lezioni del prof. MANCINI d. DINO.    La “Divina Commedia” di Dante Alighieri è un poema narrativo, lirico, didascalico in cui vengono presentati in i tre regni dell’oltretomba che il poeta stesso immagina di aver visitati.

   Secondo quanto lo stesso Dante scrive nel “De Vulgari Eloquentia” la sua opera è intitolata “Commedia” perché la narrazione inizia con visioni tristi, paurose, e termina con visioni liete e consolanti, inoltre perché essa presenta varietà di motivi, e di toni sia nell’ispirazione che nel linguaggio, motivi tristi e lieti, tragici e comici, orridi e sereni, toni patetici e sdegnosi, solenni ed umili, gioviali ed appassionati. Il linguaggio è il volgare illustre e il linguaggio popolare.

   Secondo l’Alighieri, ogni narrazione che abbia inizio triste e fine lieto è variata nei motivi, nei toni, nel linguaggio e da lui viene definita “commedia”. Inoltre l’aggettivo “divina” fu attribuito, a questa opera dantesca, dal Boccaccio nel trattatello intitolato “In laude di Dante”. E le prime edizioni a stampa, del secolo XVI, alla parola “Commedia” aggiunsero “divina”.

CONTENUTO.

1 ) La Commedia è il poema in cui viene esaltato Dio, come centro di tutto il reale e vengono illustrati i mezzi di cui si avvale la sua Provvidenza per attrarre a sé le creature umane.

Nell’Inferno, nel Purgatorio, nel Paradiso, sulla terra e nei cieli, si sentono l’onnipotenza, la sapienza, la giustizia e la bontà di Dio il quale, come “Motore immobile”, luce inaccessibile, dirige, dal suo sublime Mistero, il movimento del reale con uno stile grandioso e perfettissimo, sia quando effonde il suo sdegno contro i ribelli, sia quando inonda di dolcezza e di luce i fedeli.

   La Provvidenza ha disposto vari e meravigliosi mezzi per attrarre a sé l’uomo. Di essi alcuni operano dall’interno, altri dall’esterno.

     Forze che operano dall’interno.    Impulsi e le luci vengono allo spirito dell’uomo direttamente da Dio per mezzo della grazia preveniente ed illuminante. Sono luci che rivelano il bene sommo e il rapporto che lo legano all’uomo, provengono dalla Rivelazione elaborata e resa accessibile dalla teologia, di cui è simbolo Beatrice. Altre luci vengono all’uomo dalla ragione rettamente sistemata entro le forme della filosofia, di cui è simbolo Virgilio. E altre luci, infine, vengono all’uomo dalla scienza, che gli rivela l’ordine mirabile dell’universo materiale, opera della sapienza creatrice dell’altissimo.

   Le inclinazioni naturali e le norme morali orientano l’uomo nel cammino che più direttamente e più facilmente va verso il suo ‘porto’ che è l’Empireo. Queste luci intellettuali e norme morali non sono sufficienti a sollevare l’uomo a Dio. Il sollevamento è opera dell’amore e la donna-Angelo, come Beatrice, guida “le ali per l’alto volo”(Paradiso XXV,50).

   L’Arte fonde (nella parola o nel colore o nelle forme o nel suono) la luce del vero ed il caldo dell’amore. Essa, in forma intuitiva, sintetizza le energie nascoste nelle mirabili realtà provvidenziali, solleva lo spirito umano ad un’atmosfera ideale, lo “trasumana”, in quanto rende visibile all’uomo l’infinito nel finito.

     Forze che operano dall’esterno.    Dio ha costituito la Chiesa come guida autorevole delle anime e questa associa sulla terra i figli di Dio in una organizzazione in cui essi trovano gli alimenti soprannaturali e le sollecitazioni per camminare diretti verso la Meta ultima.

   In collaborazione con la Chiesa, ma in una sfera tutta propria, c’è l’Impero, a cui è affidato il compito di reprimere i vizi che sono le cause di tutte le sciagure individuali e collettive. L’Impero garantisce la pace e la felicità terrena dei cristiani attraverso l’uso della legge e della forza. Le creature umane, difese ed aiutate dall’Impero, hanno la possibilità di attendere con impegno e con calma alle più belle attività naturali e soprannaturali.

   La Grazia, la teologia, la filosofia, la scienza, la morale, l’amore alla donna-Angelo, l’arte, l’Impero, la Chiesa sono i motivi più superbi e più appassionati della celebrazione magnifica del piano della Provvidenza.

 

2 ) La Commedia contiene il passaggio nei tre regni ultramondani: nell’inferno oscuro e orrido; nel purgatorio sereno, ma aspro; nel paradiso tutto luce.

 

3 ) Nel contenuto dell’opera si notano le condizioni degli uomini che hanno compiuto il cammino della vita e sono giunti in uno dei tre luoghi: o al luogo dove sono  tutti i mali dell’universo, in quanto nel periodo della prova i dannati hanno scelto l’errore e il male, rifiutando il vero e il bene; o al luogo ove, attraverso l’espiazione e la meditazione, i salvati assimilano quello stile soprannaturale che hanno trascurato di acquisire quando erano in vita, oppure sono beati, giunti al porto dell’umanità che è la felicità dell’Empireo.

4 ) Nella Commedia Dante fa le rievocazioni di episodi storici, di leggende connesse con il ricordo dei vari personaggi che incontra nei tre regni. Per il poeta le rievocazioni non sono solo l’occasione per dar prova delle sue capacità descrittive, soprattutto gli danno motivo per giudicare e per interpretare, alla luce delle verità religiose e morali e dei principi di umanità, le azioni o turpi o lodevoli, compiute dai personaggi della storia a lui contemporanea e di quella passata o da personaggi mitologici. Non si tratta, dunque, di rievocazioni pittoriche o decorative, ossia di rievocazioni limitate a pura arte descrittiva, ma di storie e di leggende richiamate ed interpretate nel loro significato più intimo cioè nel loro significato morale ed umano.

 

5 ) La Commedia contiene, inoltre, il processo che l’Alighieri, spirito severo ed appassionato di giustizia, (cristiano convinto della legittimità e della bontà delle due istituzioni, del Papato e dell’Impero) intentò alle supreme autorità del mondo cristiano responsabili della rovinosa decadenza della respubblica christiana  (Papi, Imperatori, Principi):

                                                  “Questo tuo grido farà come il vento,

                                                     che le più alte cime più percuote” (Paradiso XVII, 133s)

   Numerosi sono gli spunti di critica spregiudicata contro le negligenze e le cattiverie dei capi del popolo cristiano. Famosa nel canto VI del Purgatorio è l’invettiva contro il Papa e contro l’Imperatore, responsabili dei mali dell’Italia. Terribile nel canto XXVII del Paradiso l’invettiva di San Pietro contro i pontefici Bonifacio VIII, Clemente V e Giovanni XII che avviliscono la santità della Chiesa. Ma si tratta soltanto di invettive contro i titolari dei supremi poteri, perché l’autorità, in quanto tale, viene rispettata dall’Alighieri, anzi venerata come sacra. Il poeta, nel canto XIX del Purgatorio, si inginocchia davanti al papa Adriano V: ” per vostra dignitade”.(Purgatorio XIX 131)  Similmente nel Purgatorio al canto XX in Bonifacio VIII, perseguitato dal re di Francia, fa riconoscere Cristo. E nel canto XXI del Paradiso, dopo aver celebrato la potestà imperiale come espressione della volontà divina e come oggetto di cure particolari da parte della Provvidenza, inveisce contro i guelfi e contro i ghibellini che non si vergognano di esautorarla.

   Nell’antipurgatorio riserva ai principi negligenti il soggiorno nella valletta amena tra erbe e fiori per rispetto all’autorità che essi rivestirono in vita.

 

6 ) La Commedia  contiene anche l’espressione più piena dello “stil nuovo” e si potrebbe perciò definire il poema anche “stilnovistico”, in quanto Beatrice, benché entri in azione solo negli ultimi canti del Purgatorio, è il personaggio che muove, in nome di Dio, tutta all’azione destinata a salvare il suo fedele: è lei che invia Virgilio, è lei che garantisce la riuscita del difficile viaggio e ritempra le speranze del buon duca nei momenti disperati; è lei che dà le ali a Dante  per “l’alto volo” e lo conduce fino all’Empireo.

   Tutti i motivi più belli e più soavi, già svolti nella “Vita Nova “, ora nella ”Commedia” vengono rielaborati, vengono interpretati alla luce di un’esperienza più profonda e più vasta e di una cultura più seria e più solida, vengono inquadrati in una visione, più serena e più completa, delle realtà umane, naturali e soprannaturali. Beatrice non è soltanto la donna che beatifica con il suo sorriso e con il saluto, è anche colei che salva il poeta che l’ama tanto (Inferno II,104).  “Tu m’hai di servo tratto a libertà” (Paradiso XXXI,85).  E’ la donna sapiente che insegna verità naturali e soprannaturali; la donna saggia che si è impegnata ormai al trionfo della verità e del bene cioè del regno di Dio, lei alimenta e fortifica in Dante la preoccupazione di impegnarsi per il risanamento della “respublica christiana”; lei è, infine, madre pietosa,

                                      “ond’ella, appresso d’un pio sospiro,

                                      li occhi drizzò ver me con quel sembiante

                                      che madre fa sovra figlio deliro” (Paradiso I, 100-102).

   Tuttavia la caratteristica fondamentale di Beatrice resta sempre quella di donna innamorata, di donna bella, affettuosa, la cui visione attrae, come in un’estasi, il poeta ansioso (dopo tante esperienze tempestose) di godere le ineffabili gioie dell’amore mistico, gustate nella giovinezza.

   Il poeta avverte la presenza di lei nel paradiso terrestre, e sente lo sgomento che lo invade da quando giovanetto, si trovava a lei vicino; da lei si fa rimproverare come bambino cattivo rimproverato severamente dalla madre; come un amante traditore è rimproverato dalla sua donna onesta e fedele; ed egli si compiace di piangere sotto la sferza dell’aspra parola della donna giustamente risentita.

   Dante, dotto in filosofia, teologia, scienza, arte, politica si compiace di ascoltare, estasiato, le spiegazioni che la sapientissima donna illustra con “sorrise parole”: la scienza e l’amore realizzano il loro luminoso connubio nella Beatrice della Commedia. E siccome è fiamma che sorge dall’idea, l’espressione più piena e più intima dei rapporti rinnovati fra Dante e Beatrice è costituita dai frequenti deliziosissimi incontri degli occhi innamorati:

                        “per che tornar con li occhi a Beatrice

                      nulla vedere ed amor mi costrinse.

                      Se quanto in fino a qui di lei si dice

                      fosse conchiuso tutto in una loda

                      poco sarebbe a fornir questa voce

                      La bellezza ch’io vidi si trasmoda

                      non pur di là da noi, ma certo io credo

                      che solo il suo fattor tutta la goda “ (Paradiso XXX, 14-21)

                                   “poscia rivolsi a la mia donna il viso,

                                     e quindi e quindi stupefatto fui;

                                     ché dentro a li occhi suoi ardea un riso

                                     tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo

                                     della mia grazia e del mio paradiso” (Paradiso XV, 32-36)

   Anche lo stile e il linguaggio con cui nella Commedia viene espressa l’ispirazione amorosa sono molto più ricchi e molto più agili che nella “Vita nova.

 

7 ) Dante nella Commedia è il personaggio principale: è lui che compie il viaggio immaginario nell’oltretomba di cui il poema non è che la relazione.

   Nel suo viaggio il poeta conserva tutte le caratteristiche dell’uomo preoccupato da svariati problemi, agitato dalle passioni più ardenti, ricco delle esperienze più vive, oppresso dal peso morale di un esilio non meritato e dalla vergogna di dover mangiare il pane altrui e di dover scendere e salire per le altrui scale.

 È naturale quindi che la sua Commedia debba essere considerata anche come poema lirico, se per lirismo intendiamo l’espressione immediata dei sentimenti dell’autore: tanto è vero che alcuni hanno detto che la Commedia potrebbe essere chiamata addirittura “Danteide”.

   Il poeta ci rivela le sue simpatie e i suoi odi, la sua magnanimità, la sua elevata concezione della vita, le sue miserie morali, le sue fatiche durissime, le sue umiliazioni, le sue incertezze e le sue speranze. Ma due cose, soprattutto, egli vuol mettere in evidenza riguardo a se stesso:

a – che i suoi concittadini hanno condannato ingiustamente l’uomo più degno di Firenze, e che essendo essi deplorevoli sotto ogni aspetto, non potevano fare a meno di cacciare in esilio un discendente ormai unico, più che raro, della santa semente dei Romani. Perciò egli ha il diritto di dichiararsi “Esule immerito”, “Fiorentino di nazione non di abitudini” e di affermare orgogliosamente che considera per sé un onore l’esilio datogli.

   Egli approfitterà di tutte le occasioni che gli offriranno gli incontri con i più svariati personaggi per mettere in luce la sua rettitudine, il suo amor di patria, la sua innocenza, la sua dignitosa e decorosa fermezza contro i “colpi di ventura”. Più volte egli immagina di incontrarsi con i più illustri e stimati uomini di Firenze, ancor vivi nei ricordi dei loro concittadini, e ogni incontro è un confronto di sé con essi e da ogni incontro egli esce superiore, sia per la vivacità della sua personalità, sia per il suo senso di umanità, sia per la sua rettitudine, sia per il suo amor di patria.

   Ma egli non è soltanto il cittadino di Firenze, è il cittadino della Chiesa e dell’Impero cioè della ‘res publica christiana’, perciò, specie nell’ultima cantica, l’ Alighieri si presenta ai lettori e a tutto il popolo, e particolarmente alle supreme autorità della ‘resa publica christiana’, come profeta inviato dalla Provvidenza divina a rigenerare, con il suo grido di rettitudine e di giustizia, l’umanità credente che sta declinando verso le forme di civiltà riprovevoli sia dal punto di vista naturale che soprannaturale.

   Brunetto Latini, il suo vecchio maestro, lo rassicura che seguendo “sua stella non può fallire al glorioso porto”. Cacciaguida, per eliminare ogni sua incertezza, per incoraggiarlo ad affrontare le durezze dell’esilio e le reazioni delle coscienze fosche, gli preannuncia l’immortalità e gli fa vedere l’importanza morale e politica della sua opera; gli fa considerare quanto sia onorevole colpire con vento impetuoso le cime più alte.

   Nel canto XXVII del Paradiso Dante si fa affidare da San Pietro l’incarico di smascherare le colpe degli ecclesiastici e di invitare le alte gerarchie della Chiesa ad attendere con piena dedizione alla guida del popolo cristiano:

                                            “ e tu, figliuol, che per lo mortal pondo

                                              ancor giù tornerai, apri la bocca,

                                              e non asconder quello ch’io non ascondo.” (64-66)

b –  L’Alighieri, inoltre, spirito sincero e forte, più volte nella Commedia si confessa pubblicamente, si critica e si umilia, con la stessa magnanimità con cui riconosce le straordinarie doti di natura e i doni della Grazia a lui concessi:

                                 “ non pur per ovra delle rote magne,

                                    ma per larghezza di grazie divine

                                   questi fu tal nella sua vita nova

                                  virtualmente, ch’ogni alito destro

                                  fatto avrebbe in lui mirabil prova .“ (Purgatorio XXX, 109\112;115\117)

                            “ o gloriose stelle, o lume regno

                        di gran virtù, dal quale io riconosco

                        tutto, qual si sia, il mio ingegno” (Paradiso XXII, 112\114)

                                              “se per questo ceco

                                                carcere vai per altezza d’ingegno” (Inferno X, 58-59)

                        “o Muse, o alto ingegno, ora m’aiutate” (Inferno II,117)

                                                “all’alta fantasia qui mancò possa” (Paradiso XXXIII,142)

Nel canto IV dell’Inferno immagina di essere accolto amorevolmente dai grandi poeti dell’antichità a far parte del gruppo loro, sicché si dice “sesto tra cotanto senno” (v.102). Con la stessa franchezza con cui egli dichiara le sue doti, confessa anche le sue colpe:

                                        “              le presenti cose

                                           col falso lor piacer volser miei passi,

                                          tosto che il vostro viso si nascose” (Purgatorio XXXI, 34-36)

Egli riconosce di essere superbo e già prevede che nel Purgatorio dovrà fare lunga sosta nel girone dei superbi:

               “           tuo ver dir m’incora

                Bona umiltà, e gran tumor m’appiani” (Purgatorio XI, 118-119)

                                        “ Troppa è più la paura ond’è sospesa

                                           l’anima mia del tormento di sotto,

                                           che già lo ‘ngarco di la giù mi pesa” (Purgatorio XIII, 136-138)

   In tutto il Purgatorio il poeta assume gli atteggiamenti interiori ed esteriori del penitente contrito ed umiliato: egli riconosce di essere uno schiavo che va cercando libertà.

   Se, infine, il poeta riconosce di avere le tre virtù teologali: fede, speranza e carità (Paradiso XXIV- XXV- XXVI)  dichiara anche che tale possesso è da attribuirsi alla grazia di Dio.

   L’Alighieri, specie quando ideò la Commedia e ne condusse la composizione con una dedizione veramente eroica, ebbe la sensazione di essere un prediletto di Dio, un figlio di grazia, prescelto ad un’opera gloriosa a vantaggio dell’umanità cristiana:

                                        “Poi che per grazia vuol che tu t’affronti

                                          lo nostro imperatore, anzi la morte,

                                          nell’aula più segreta co’ suoi conti,

                                          sì che , veduto il ver di questa corte,

                                           la speme, che di là giù bene innamora

                                           in te e in altrui di ciò conforti.” (Paradiso XXV 40-45)

   Così il carattere dell’Alighieri si rivela ammirevole e simpatico, perché cosciente dei suoi difetti e dei suoi pregi, della sublimità della sua missione e delle gravi responsabilità che la Provvidenza gli affida, umile e generoso, egli offre il contributo della sua opera al benessere della “ Respublica christiana.”

 

8 )  La Commedia, infine, contiene le trattazioni di numerosi problemi teologici, filosofici, scientifici, politici che in un primo tempo il poeta si era proposto di illustrare nel “Convivio”. Il fatto che Dante interruppe il Convivio significa che egli si propose di svolgere quegli stessi argomenti in un’opera che gli avesse permesso di inquadrarli in una visione piena dell’universo e in cui egli potesse presentare Beatrice come maestra di alta sapienza. Specie nell’ultima cantica, il poeta si impegna in una poesia altamente dottrinale, cosicché all’inizio si sente in dovere di avvertire i lettori di saggiar bene le loro forze prima di avventurarsi dietro la navicella del suo ingegno:

“O voi che siete in piccioletta barca,

“desiderosi di ascoltar, seguiti

“dietro al mio legno che cantando varca,

“tornate a riveder li vostri liti:

“non vi mettete in pelago, ché, forse,

“perdendo me rimarreste smarriti.

“L’acqua ch’io prendo già mai non si corse:

“Minerva spira, e conduce Apollo

“e nove Muse mi dimostran l’Orse.

“Voi altri pochi che drizzaste il collo

“per tempo al pane delli angeli, del quale

“vivesi qui, ma non sen vien satollo,

“metter potete ben per l’alto sale

“vostro navigio, servando mio solco,

“dinanzi all’acqua che ritorna equale” (Paradiso II, 1-15).

 

 (Appunti di Vesprini Albino)

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