IL NEOCLASSICISMO ITALIANO appunti degli alunni dalle lezioni del prof. MANCINI d. DINO

IL NEOCLASSICISMO appunti degli alunni dalle lezioni del prof. MANCINI d. DINO

   E’ un movimento letterario e artistico fiorito nel periodo che va dall’ultimo trentennio del secolo XVIII al primo trentennio del secolo XIX: movimento caratterizzato dal proposito di interpretare la vita, l’arte e la spiritualità delle generazioni moderne facendo uso dei canoni compositivi classici.

   Il classicismo è stato sempre vivo nella civiltà italiana, strettamente collegata con quella greco-romana. Nel Medioevo, la Chiesa aveva conservato quanto di meglio la civiltà classica aveva prodotto nella cultura, nell’arte, nel diritto, nell’organizzazione amministrativa. Virgilio era stato scelto da Dante come maestro che gli dava il bello stile, garanzia dell’onorato successo della  sua poesia.

   Gli scrittori medievali avevano adottato il criterio libero di adattare l’antico uso del pensiero e dell’arte dei classici alle nuove abitudini. Avevano apprezzato il pensiero classico e avevano fatto proprio il principio generale della spontaneità dello stile, nella corrispondenza tra l’ispirazione e l’espressione. Dante dichiara di aver utilizzato lo stile Virgiliano nella sua opera “Vita Nova” come corrispondenza perfetta tra il dettato del cuore e la sua comunicazione.

   Durante il Rinascimento, gli umanisti vollero seguire il procedimento di adattare la vita moderna alla mentalità e all’espressione dei classici. La vita allora venne colta nei suoi aspetti più piacevoli e più signorili, perché questi si adattavano meglio alla idealizzazione;  persino la lingua fu ricalcata sullo stampo di quelle classiche. Si ebbero ottimi saggi di perfetta imitazione dei vari generi letterari creati dai Greci e dai Romani, ma la poesia perdette un po’ il contatto con la realtà complessa della vita; e si venne formando un repertorio (ripetitivo, artefatto) di procedimenti compositivi, di immagini, di espressioni linguistiche, diverso da quello usato nella pratica vissuta.

   Il mondo dei letterati venne a costituirsi come una specie di Olimpo dove la poesia diventò una tecnica letteraria. Nella prima metà del settecento, l’Arcadia esprimeva la letteratura accademia classicheggiante, con scritti pregevoli per grazia e semplicità di forma, ma l’indirizzo accademico non poteva dettare l’ispirazione che dà vitalità alla poesia. Il neoclassicismo è una novità con due elementi essenziali: la classicità della forma e la modernità del contenuto.

   CAUSE DELLA MODERNITA’ DEL CONTENUTO

   La letteratura illuministica potrebbe esser definita una letteratura di intellettuali e di riformisti politici. Il suo pregio era la sostanziosità del contenuto insieme con l’utilità pratica del suo programma. Quanto allo stile aveva il merito della vivacità e della spigliatezza, ma aveva i difetti della disarmonia, dovuta al procedimento polemico spesso intemperante.

   Rinnovato il contenuto della letteratura, si desiderava adeguare anche lo stile; e di fatto i critici, quali il Baretti, il Bettinelli e il Verri propugnavano la necessità di uno stile nuovo, sull’esempio di quanto avvenuto in Francia ad opera di Rousseau, di Voltaire e di Montesquieu. In Italia non ci fu tuttavia un esemplare tipico di questa nuova tendenza, pur espressa da una molteplicità di testimonianze.

   Il Verri nel suo “Caffè” aveva affermato che qualsiasi stile era buono, purché non fosse noioso. Uno stile fatto non di chiacchiere ma di cose, veniva proposto da Baretti. Il Bettinelli voleva uno stile lucido e animato dall’entusiasmo.  Si finì con il far prevalere lo stile adottato in Francia: vivace, con frasi ad effetto, polemico, talora prolisso, con un linguaggio spezzato ed una fraseologia innovativa, importata dall’uso straniero e in parte dalla tradizione dei libri.

   Il successo riportato dagli intellettuali illuministi svalutava la fama degli scrittori mossi da intenti estetici classici. La prosa di propaganda sociale stava soverchiando la poesia d’arte tradizionale. Sembrava che l’urgenza del rinnovamento della società segnasse la fine della precedente letteratura in versi che non appariva adatta a svolgere una funzione utile ai fini della rinascita generale. Gli esponenti più illustri della letteratura estetista capirono che correvano il rischio di restare ingloriosi fino a quando non si decidessero a toglier via l’abitudine di trattare i temi desunti dal repertorio delle opere greche e romane con le immagini, il linguaggio e la mentalità di quelle opere; roba ormai sorpassata, salvo che nella compiacenza degli stessi estetisti. Gli scrittori illuministi facevano furore, presentandosi come uomini moderni, capaci di parlare di realtà attuali e con un linguaggio interessante, con un tono agile, sveglio e brillante. La modernità costituiva il primo fattore del successo illuminista, in un mondo ormai ostile al passato e teso con ottimismo verso un avvenire da edificare sulle basi della ragione, della natura, della filosofia e della scienza

   I letterati fedeli alla tradizione classica erano sollecitati a svecchiare il loro repertorio di temi, di immagini, di elementi o motivi e di linguaggio. Erano invitati ad accogliere quanto di buono vi era nel programma e nelle realizzazioni di rinnovamento promosso dall’illuminismo, senza smentire le doti di precisione derivate dalla tradizione classica. Da qui l’esigenza di una letteratura precisa e non superficiale, moderna nei temi, nei pensieri, nei sentimenti, e diretta a potenziare la vita. Il nuovo programma del neoclassicismo (chiamato anche classicismo rinnovato) era di esprimere la ricca e complessa spiritualità contemporanea, senza abbandonare i migliori canoni compositivi adottati dagli scrittori greci e romani. Questa esigenza storica fu avvertita dal Parini che nelle sue opere “Il Giorno” e le “Odi” diede il primo saggio di una poesia tutta classicheggiante, piena di realtà e mentalità moderne.

   CAUSE DELLA CLASSICITA’ DELLA FORMA

=a)   Applicazione del metodo del razionalismo illuministico nella letteratura. L’Illuminismo si proponeva di comporre schemi razionali, universali e stabili, entro i quali si potesse svolgere il divenire incessante dello spirito. Ecco i due elementi: la razionalità costante unita al progresso indefinito. Si potrebbe esprimere questo concetto con l’immagine di un treno del progresso, ossia del divenire dello spirito, che corre lungo i binari della razionalità.

   Questo principio applicato nella letteratura presentava un problema: si doveva trovare uno stile dettato dalla ragione e quindi immutabile, che fosse adatto ad esprimere il contenuto perennemente mutevole dello spirito delle generazioni. I letterati di professione, già,  conoscevano lo stile dettato dalla ragione ai Greci e ai Romani e nel corso dei secoli questo stile classico era parso, agli ingegni migliori, come stile ideale. Che cosa esige infatti la ragione da uno che vuol parlare bene, per soddisfare, in modo pieno, coloro che lo ascoltano?  Che di un determinato oggetto colga tutti gli aspetti più significativi e che li esprima con precisione, con semplicità, con chiarezza, con eleganza e compostezza. Queste erano le doti caratteristiche dello stile classico, da considerare dotato di perenne vitalità, come garantite dalla ragione. Lo affermava il Winckelmann nella sua opera “L’Arte presso gli antichi” e lo pensavano anche i neoclassici i italiani, come Parini (che era un neoclassico pur non professando i canoni estetici neoclassici), Monti, e Foscolo. Il neoclassicismo, dunque, applicava in campo letterario il principio razionalistico illuministico dell’elemento costante razionale, unito con il divenire storico.

=b)   Stile classico di apprezzata esperienza storica. Lo stile classico veniva apprezzato, anche in confronto con quello degli illuministi  che usavano uno stile approssimativo, nonostante i pregi della vivacità e della forza. Il loro era uno stile adatto all’esposizione polemica, più che all’interpretazione integrale degli stati d’animo propriamente poetici. Gli innovatori erano alle prime esperienze e non valeva la pena di abbandonare lo stile classico ben potenziato dalle testimonianze di tanti secoli.

=c)   La letteratura illuministica si era specializzata nella prosa divulgativa e propagandistica con trattati di contenuto dottrinale riformatore e con un procedimento espositivo polemico; ma aveva trascurato il complesso dei temi affettivi e i procedimenti lirici e narrativi. Lo stile classico, invece, fin dai tempi di Atene e di Roma, aveva dato prove mirabili in tutti i generi letterari: dal poema epico a quello didascalico, dalla lirica al teatro, dalla storia al romanzo: in confronto a quello illuministico era uno stile di più vasta applicazione.

=d)   Gli scrittori illuministi non erano ostili allo stile classico, lo apprezzavano per la sua struttura chiara e razionale. Erano ostili soltanto all’accademia che praticava la letteratura delle frasi fatte, erudita, artificiosa, pedante, fuori dall’attualità.

=e)   Inoltre a rialzare il credito dello stile classicheggiante contribuiva l’ultimo saggio offerto dal Parini nel Giorno, in cui veramente l’argomento di attualità era sentito con animo schiettamente moderno e veniva svolto con procedimenti stilistici che erano propri della classicità.

   ESTETICA NEOCLASSICA

   I principi fondamentali che sono a fondamento dello stile classico e che erano stati applicati più o meno integralmente, o più o meno sapientemente, nel corso dei secoli, erano questi: l’arte è imitazione della natura; ed elabora le idee su un piano superiore a quello della natura; la facoltà dell’arte è la fantasia; le opere siano brevi, ma elaborate per mezzo della cultura letteraria, in modo che ci sia la bellezza con  la funzione di rasserenare le persone.

PRIMO PRINCIPIO:   L’arte è imitazione della natura. Questo principio fu espresso la prima volta da Aristotele, fu riconfermato da Dante  definendo l’arte ‘imitatrice della natura’, e questa, a sua volta imita Dio. Questo concetto è stato accettato da tutta la tradizione classicistica in duplice senso:

== come la natura incarna le idee nella materia, così anche l’artista le incarna nella forma sensibile che meglio la esprima;

== l’artista nell’elaborare la forma sensibile, prende a modello e idealizza la forma creata dalla natura.

SECONDO PRINCIPIO: L’arte elabora in un piano superiore a quello della natura.  C’è una differenza tra la creazione della natura e la creazione dell’artista: la natura crea forme che non esprimono pienamente le idee in esse incarnate, come nessuna persona incarna pienamente l’idea di persona. Aristotele afferma che ogni cosa è in continuo divenire, perché non riesce mai a realizzare l’incarnazione perfetta della suo idea. Questa adeguazione tra idea e forma espressiva, è possibile all’artista che può crearla con la fantasia.

   Il mondo dell’arte, pur tenendo presente il mondo reale, si pone su un piano superiore, quello della perfezione esemplare, fuori dalla dispersività e dall’imperfezione, e lo fa per mezzo della idealizzazione.  L’artista sceglie un soggetto che appartiene al mondo della realtà, un soggetto storico, un paesaggio, una persona e lo trasferisce dal mondo reale al mondo ideale, dalle cose ordinarie a quelle straordinarie. Questa traslazione avviene attraverso due momenti:

== all’inizio l’artista coglie l’aspetto più significativo del soggetto, cioè l’idea che in esso vive; ad esempio: Catilina dà l’idea della scelleratezza; Augusto l’idea della potenza serena; la Fagnani Arese (del Foscolo) l’idea dell’armonia integrale.

L’artista, dopo aver intuito l’idea vivente nel soggetto, la incarna nel modo più degno, con una forma che ha le note più adatte ad esprimere la idea. Questa forma non è solo reale, è  anche ideale nello stesso tempo.

CANONI CLASSICI  di elaborazione da parte dell’artista: idealizzazione, mitizzazione, figurazione proporzionata, armonia, eleganza, semplicità, compostezza, concretezza, chiarezza, finezza, decenza, precisione.

A –   Idealizzazione.  L’artista ha il compito di accogliere, in una forma vitale, le note sensibili più significative dell’idea che si trova nella natura. Dalla scelta delle componenti più belle e dalla loro unione armonica in una figura, nasce il bello ideale. L’idealizzazione ricerca tutte le note più adatte ad esprimere il reale in modo esemplare o ideale. L’idealizzazione esclude ogni componente negativa per scegliere tutte le note più positive. Ad esempio: per incarnare in forma sensibile ed esemplare il cimitero bello, il Foscolo pronto presenta cipressi e cedri; zeffiri impregnati di puri effluvi; verdi rami protesi sopra le urne, come se comunicassero una giovinezza perfetta; amici affettuosi che accendono luci con gesto gentile quasi per rispondere alla richiesta di luce espressa dagli occhi del moribondo; vasi preziosi che accolgano le lacrime; fontane e viole; persone che libano latte e raccontano le pene ai morti. Il poeta immagina questo cimitero che in realtà non esiste, ma è formato da elementi reali  armonizzati nell’ideale di perfezione.

B –   Mitizzazione.  Per mezzo dell’idealizzazione si giunge alla glorificazione. Il mito, o apoteosi, idealizza un soggetto a tal punto da farne un essere divino. Il Foscolo nelle Grazie dichiara che queste ispirarono tanta idealità al primo scultore che volle riprodurre la sua donna, che egli non venerò nel marmo la sua amica ma la dea Citteria. Nei Sepolcri, il Foscolo elabora il mito del Parini venerato come poeta ideale e sacerdote di Talia; l’Alfieri, con le sue tragedia, incarna il mito dello sdegnoso patriota, spirito sacro dell’Italia fremente per la viltà degli italiani. I Greci elaborarono il mito di Maratona, la tomba dei valorosi eroi morti in guerra contro i Persiani, tomba sacra, fonte misteriosa di suggestione e di ispirazione. Il Canova idealizzava Paolina Bonaparte nelle forme di Venere. L’Appiani faceva l’apoteosi di Napoleone raffigurandolo nelle forme di Giove.

   Il mirabile e il meraviglioso sono uniti al perfetto e al sublime. Fra romantici e classicisti, ci fu una polemica che offrì a questi ultimi l’occasione di chiarire le loro idee circa il sublime, il mirabile, lo straordinario indispensabile nella loro arte. Invece i romantici si proponevano una letteratura popolare e sostenevano che l’arte doveva avere le note della semplicità e della naturalezza nell’aderire al reale. I classicisti, pur non rifiutando le note della semplicità e della naturalezza che derivavano dal realismo, sostenevano che l’arte deve ascendere dal piano del reale a quello dell’ideale, del sublime.

   Il Monti affermava che senza le meraviglia non c’è arte poetica e il “nudo, arido vero dei vati è tomba”. Il Foscolo difendeva i diritti dell’immaginazione contro il vero della storia, affermando che la fedeltà radicale agli elementi reali impedisce all’artista di creare figure eccezionali, capaci di impressionare fortemente il lettore, specie nel settore della tragedia: per questo motivo criticava la tragedia storica del Manzoni ed esaltava la tragedia idealizzante dell’Alfieri. Il Pellico, sebbene romantico, criticava Il conte di Carmagnola del Manzoni dicendo che la lettura non era affascinante perché gli eroi erano lasciati troppo simili al vero. La poesia è un mondo più bello del reale; bisogna che gli abitanti di quel mondo siano ad un grado più in su di noi, nell’amore, nell’ira, nelle virtù politiche.

   Il Leopardi affermava che la semplicità e la naturalezza che rinunciano ad ogni nobiltà, conducono ad una pura imitazione del vero; e l’opera così composta colpisce molto meno di quella che, insieme con la semplicità e la naturalezza, conserva l’ideale del bello, e rende straordinario quello che è comune; il che muove la meraviglia ed il sentimento profondo, mentre non si può essere commossi dagli avvenimenti ordinari della vita che i romantici esprimono fedelmente, ma senza nulla di straordinario e di sublime che innalzi l’immaginazione e ispiri la meditazione profonda e l’intimità durevole del sentimento.

   Nello stile neoclassico, la preoccupazione di creare forme mirabili ed eccezionali ha indotto il pericolo di creare, attraverso la mitizzazione, dei mondi divinizzati distaccati dalla vita, tuttavia ha contribuito a mitigare la crudezza del puro realismo, che è un pericolo insito nel concetto dell’arte che imita la natura. Così nei migliori classicisti il realismo e le idealità si fondono in modo che la bellezza artistica ha sì la precisione del reale, insieme ha la bellezza dell’ideale.

   Per raggiungere più facilmente l’effetto idealizzante, il poeta neoclassico usa cogliere i soggetti in posa che è l’atteggiamento che manifesta tutte insieme le loro note caratteristiche, mentre il movimento diluisce gli aspetti nella successione. I romantici, invece, erano persuasi che la posa fissa  non è l’atteggiamento vero di un soggetto, perché nella realtà tutto è in divenire e preferiscono cogliere il soggetto in movimento. Contro di essi i neoclassici osservavano che nessuna fase del suo divenire presenta aspetti ideali e tutto rimane su un piano di realtà dispersiva e misera.

   Un esempio: l’Alfieri segue un metodo classico, e prima di iniziare lo svolgimento di una tragedia, ha già idealizzato, nella sua fantasia, i personaggi, e  rende le figure minori o ‘comparse’, una serie di note destinate a sviluppare la concezione fondamentale, con pensieri, sentimenti, parole, iniziative che giudica adatte ad esprimere il nucleo ideale. Il Manzoni, invece, si propone di offrire saggi di umanità vera, non di umanità ideale; perciò preferisce far pensare, sentire, parlare, agire i suoi personaggi con la complessità e con le contraddizioni che caratterizzano le psicologie in crisi nella vita vissuta.

C   –   Integralità, funzionalità, essenzialità della composizione. L’artista usa i motivi  idealizzanti che possano compiere una funzione vitale nell’integralità e nella funzionalità. Ogni motivo deve assolvere un compito funzionale, possibilmente anche decorativo, ma senza ammettere un motivo decorativo che non sia funzionale.

   Francesco Milizia nella sua opera “Principi di Architettura civile” affermava che in un edificio l’ornato doveva derivare dalla natura di questo, e risultarvi necessario. Nulla doveva vedersi negli elementi, che non avesse una funzione d’insieme. Da ciò deriva il concetto di essenzialità per cui era introdotto un elemento perché necessario; aggiungere il superfluo significava sovraccaricare e confondere.

   Il Foscolo esprimeva brevemente e chiaramente i suoi concetti complessivi. Ad esempio: tutte le cose sono pervase dall’ansia di giungere ad una forma assoluta ed immutabile, e quindi si adattano poco alle incessanti trasformazioni a cui sono sottoposte dalla forza insita nella materia universale.  Ecco l’espressione foscoliana:  “una forza operosa affatica le cose di moto in moto”, il verbo affaticare esprime la resistenza, la pena delle cose investite dalla forza soverchiante del cosmo.

D   –   Nell’insieme organicità, omogeneità, proporzione, armonia, unità, semplicità, chiarezza. 

D1===L’organicità   è il modo con cui ciascun elemento contribuisce alla vitalità degli altri, e tutti insieme alla vitalità dell’organismo.

D2===L’omogeneità  deriva dal fatto che tutti i motivi appartengono al gruppo adatto ad illustrare l’idea. Ciascun motivo richiama l’altro per affinità reciproca. In una poesia i motivi si svolgono come una melodia musicale, una serie di suoni che si richiamano fra loro. Non tutte le note musicali sono armonizzabili fra loro, così nella poesia certi motivi si richiamano fra loro, per esigenze di logica concettuale e di logica figurativa, mentre altri si respingono come estranei l’uno all’altro

D3===La proporzione e l’armonia sono considerate come essenziali per tutte le arti (pittura, scultura, poesia, musica), come affermava il Foscolo nelle Grazie. Venere, la bellezza, salendo al cielo, mandò alle Grazie, sue figliole, l’armonia affinché esse la ispirassero negli uomini e questi fossero capaci di creare il bello. Per il Monti le realtà hanno una struttura dell’ordine della bellezza e della sapienza. Lo afferma nella cantica “La bellezza dell’universo”. La sapienza costituisce la struttura intima delle cose e crea i rapporti fra esse secondo criteri razionali; la bellezza dà all’universo la forma dell’armonia, cioè della proporzione. Come nell’organismo umano tutte le parti sono necessarie, ma non tutte hanno la stessa importanza, ed a ciascuna è assegnata una funzione propria, così nel creare l’armonia è essenziale: tanto come proporzione fra i motivi figurati, quanto come armonia fra l’ispirazione  interiore e la forma sensibile.

   Un’anima bella è dotata di comprensione mentale ampia, di vivacità e calore di sentimento; inoltre è capace di comunicare il suo mondo interiore armonioso. Per il Foscolo sono belle le donne che, non solo sono dotate di eleganti forme fisiche, ma sono anche capaci di creare l’armonia dei suoni, dei moti, dei colori, dell’abbigliamento. La capacità di comunicare l’armonia rivela lo stato dell’armonia interiore, dello spirito. I fattori della bellezza integrale sono l’armonia di forme, l’armonia di spirito, la capacità di creare l’armonia. Il Foscolo presenta  Luigia Pallavicini, l’Amica risanata, Teresa dell’Ortis e tutta l’armonia loro scorre dal corpo e dallo spirito: “ e un moto, un atto, un vezzo manda agli sguardi venustà improvvisa”.

   Le elaborazioni dell’artista non devono essere incerte, né approssimate nella figurazione, ma debbono essere composizioni ricche di pathos e di significato, perfette nella figurazione.

D4===L’unità  esiste quando gli elementi sono congiunti armonicamente e proporzionati fra di loro in modo che l’effetto generale stia a significare la vita intima del soggetto. Quando il compositore non riesce a legare vitalmente i motivi e non sa proporzionarli, si notano slegature e confusione. Le singole immagini tendono a fare da sé, ad affermarsi per conto proprio, estranee al fine dell’unità. Ciò avviene quando l’autore approfitta del tema per cedere alle sue simpatie ed alle sue antipatie nello svolgere alcuni motivi in modo troppo vivo ed esteso, a danno di altri, forse più importanti, ai quali riserva uno sviluppo mediocre, perché a lui meno simpatici.

D5=== La chiarezza e la semplicità  ossia l’evidenza e la naturalezza sono conseguenze della armonia organica e dell’unità con cui i passaggi, i richiami reciproci delle parti, si legano in modo logico. La chiarezza dei neoclassici è da intendersi come evidenza; la semplicità è da intendersi come spontaneità. All’opposto della chiarezza si trova la confusione farraginosa, cioè la mescolanza disordinata di elementi eterogenei, incapaci di fondersi in modo vitale e logico nel pensiero e nelle immagini. La semplicità o naturalezza si oppongono all’artificio e alla forzatura. Nell’Iliade, nell’Eneide, nella Commedia dantesca, nell’Orlando furioso, nei grandi capolavori, i motivi svolti sono svariati, ma la linea di svolgimento e i collegamenti dei passaggi, sono costantemente logici. Il lettore li percepisce nella loro interezza. Diceva il Winckelmann che l’unità e la semplicità sublimano la bellezza, quindi la beltà deve essere come l’acqua che è giudicata tanto più salubre, quanto più è pura da corpi eterogenei.

E   –   Concretezza;  plasticità; elaborazione minuta e precisione accompagnano il procedimento nella composizione neoclassica. I procedimenti per esprimere uno stato d’animo possono essere di tre tipi: il procedimento discorsivo o concettuale; il procedimento effusivo o sentimentale; il procedimento figurativo per immagini.

   Il procedimento discorsivo esprime i concetti e i sentimenti in forma espositiva e con un linguaggio concettuale. Il procedimento effusivo traduce i concetti in sentimenti e conserva a questi il loro calore nativo, attraverso un’espressività il più possibile immediata.

E1=== Concretezza. Il procedimento figurativo trasferisce i pensieri e i sentimenti nella fantasia per tradurli in immagini, così che il discorso risulta, non un’esposizione concettuale, né un’effusione sentimentale, piuttosto una serie di figure organicamente composte in un quadro (affresco) e legate tra loro dalla logica di simpatia fra esse e dal concetto unitario.

   I neoclassici adottano costantemente il procedimento figurativo. Secondo essi, infatti, l’arte ha il compito di dar vita sensibile all’idea. Il poeta classico evita costantemente le espressioni concettuali astratte dei filosofi e degli scienziati, e si preoccupa di dare figuratività alle idee. Orazio affermava che la poesia agiva come la pittura. Il Monti precisava che quello della poesia è parlare “visibile”. Per il Winckelmann la scultura è l’esemplare di tutte le arti, perciò anche i poeti con la parola “scolpiscono”. Il Foscolo nella dedica delle Grazie al Canova diceva “Anch’io pingo spiro a’ fantasmi anima eterna”; e sosteneva  che la poesia è una specie di armonia visibile che penetra soavissima nei cuori umani.

   I neoclassici fanno uso di tre mezzi adatti a illustrare le idee con immagini: attraverso la personificazione; attraverso il mito; attraverso la descrizione. Un esempio. Il Foscolo, nell’introduzione dei Sepolcri, afferma questo concetto: una lapide non compensa la perdita della vita. Questo concetto viene incarnato in modo descrittivo personificato. Presenta da una parte il poeta che sta contemplando il sole che scalda la bella famiglia di erbe e di animali, in estasi di fronte all’incanto delle graziose illusioni, e ascolta compiaciuto e commosso la recita artistica del suo amico Pindemonte, accoglie nella sua anima l’onda dolce dell’amore e della poesia; dall’altra parte si vede un immenso ossario che copre le terre ed i fondi marini, e in mezzo a questa macabra visione (figurata con sobrietà) una lapide, rimpicciolita nelle forme di un sasso, custodisce alcune ossa. Il concetto viene svolto attraverso una serie di immagini.

   Il Monti nel suo “Sermone sulla mitologia” difende l’uso del mito contro i romantici, appunto perché questo contribuisce mirabilmente a dare vita concreta ai concetti astratti.

E2===Plasticità  è la dimensione scultorea che dà rilievo alla visione poetica. I neoclassici presentano l’immagine nella sua interezza figurale: il disegno di una figura non deve essere abbozzato, né accennato, ma svolto integralmente. Al poeta, talora, bastano pochi elementi per creare una visione. Un esempio. Il Foscolo, nei Sepolcri, parla delle tombe Santa Croce, e presenta Vittorio Alfieri che viene ad ispirarsi presso di queste. La figurazione è presentata alla fantasia del lettore con una visione completa, ben rilevata, plastica, come un bassorilievo nella prima parte; e nella conclusione come una statua libera.

 “                  E a questi marmi

venne spesso Vittorio ad ispirarsi.

Irato a’ patrii numi errava muto

ove Arno è più deserto, i campi e il cielo

desioso mirando; e poi che nullo

vivente aspetto gli molcea la cura,

qui posava l’austero; e aveva sul volto

il pallor della morte e la speranza” (Sepolcri 188-195).

E3=== Elaborazione minuta  per cui la figurazione è elaborata nei minimi particolari, affinché l’insieme risulti completo e ben visibile. Gli ornamenti richiedono la stessa cura che si pone nell’ideare e nell’armonizzare l’insieme della struttura. L’approssimazione, la sbozzatura, l’indefinitezza rendono la figurazione rozza ed imprecisa ed affliggono la fantasia del lettore che vuol vedere chiaro.

   Tra i poeti italiani, che hanno lavorato con finezza di particolari, si distinguono il Parini ed il Foscolo. Quest’ultimo nei Sepolcri, ad un certo punto, per necessità di sviluppo logico, parla del cimitero campestre: non si contenta di un semplice cenno di passaggio, ma indugia sul motivo fino a svolgerlo con una raffigurazione completa:

Senti raspar tra le macerie e i bronchi

 la derelitta cagna ramingando

su le fosse e famelica ululando” (Sepolcri 78-79)

   Questa figurazione minuta non è un saggio di estetismo ozioso o ingombrante, ma serve a mettere in evidenza il contrasto tra la Milano dei Sardanapali, e l’abbandono, la miseria a cui la città corrotta condanna i suoi cari e perfino i suoi geni, nelle zone isolate della remota campagna; e nello stesso tempo fa intuire, per contrasto, la visione del cimitero da creare come un giardino.

E4=== La precisione  si raggiunge nel curare le immagini, nel realismo ed nei vocaboli appropriati; l’immagina è scelta come la più significativa; la figurazione segue le esigenze della realismo e della idealizzazione; il poeta trova il termine linguistico più adatto alla visione interiore, quello che meglio rende l’essenza e il suono di una cosa. Molto difficile è la scelta del migliore termine linguistico.  Al confronto è meno difficile alla pittura, alla scultura, all’architettura di incarnare un’idea in una forma concreta, in quanto esse si servono dei mezzi visivi, quali il disegno, i rilievi, i colori, i giochi di luci e di ombre.

   La poesia, invece, deve rappresentare forme sensibili, facendo uso del solo mezzo della parola, la cui percezione non impegna tanto i sensi, (come l’udito), quanto lo spirito: l’orecchio percepisce il suono, ma la portata spirituale della parola è percepita soltanto dall’intelletto, dal cuore, dalla fantasia. La bravura tecnica di un poeta consiste nell’utilizzare integralmente la triplice funzione della parola: concettuale, figurativa e musicale.

   “Sdegno il verso che suona e non crea ” dice il Foscolo nella dedica delle Grazie al Canova, cioè rifiuta l’espressione creata con criteri puramente musicali, senza la preoccupazione di trasfondere in essa un contenuto di pensiero e di immagine. I difetti più gravi dell’arte, secondo i neoclassici, sono l’imprecisione e l’approssimazione: nessun discorso è efficace, quando non è preciso e nitido. Due uomini forniti di genio, di cultura, di buon gusto, abituati alla meditazione profonda, al lavoro paziente sono il Parini e il Foscolo che inventano le immagini e le figurano con precisione. Il Parini riesce splendido nel presentare la scena della Vergine Cuccia. Il Foscolo ha scene mirabili quali: il paesaggio fiorentino nei Sepolcri, la Vergine Romita e il lago di Lario nelle Grazie.

F   –   Grazia; eleganza; finezza, morbidezza; sobrietà; decenza; compostezza si addicono ad una visione ideale ricca di gentilezza nel  pensiero,  nei sentimenti, nel disegno, nel colorito, nel suono.

F1 === Grazia. Il Monti nella Misogonia, il Foscolo nelle Grazie, il Manzoni nell’Urania, insistono tutti e tre sul concetto che la dote più preziosa dell’arte è la grazia. Sono le Grazie che compongono in armonia lo spirito degli artisti e concedono loro l’arcana armoniosa melodia pittrice, come dice il Foscolo. Ed il giovane Manzoni nell’Urania dice delle Grazie:da loro sol viene, se cosa tra i mortali è di gentile”.

F2 === Eleganza:  la preferenza dell’artista va  ai motivi che sono piacevoli per serenità, eleganza e fulgore. Da qui si comprende la profusione di luci, di colori, di profumi e i toni signorili e decorosi, i sentimenti dolci e sublimi che caratterizzano soprattutto la poesia del Foscolo (ad es. I Sepocri). Qualora il poeta dovesse accogliere motivi spiacevoli, osceni o tempestosi, c’è modo di ingentilirli e di renderli piacevoli.

F3 === Finezza, morbidezza e proprietà servono ad evitare assolutamente il realismo crudo. La realtà spiacevole viene tradotta in un’immagine più fine e viene espressa con i vocaboli scelti del vocabolario delicato umanistico. Il Foscolo, all’inizio dell’ode A Luigia Pallavicini chiama le medicine “balsami beati”. Inoltre le realtà spiacevoli vengono accennate con sobrietà essenziale per distrarre l’attenzione del lettore dalla visione tetra ed elevarlo all’estasi. L’arte redime il brutto. Un classico esempio è la figurazione del cimitero nei Sepolcri del Foscolo. Uno scrittore romantico, dalla tendenza forte, avrebbe abbondato in particolari orridi; il Foscolo invece sceglie le note più significative nella misura della sobrietà, e colorisce piacevolmente con arte il cimitero campestre di sua invenzione.

F4 === Decenza.  Alla visione ideale disdicono la trivialità e la volgarità. L’artista neoclassico mette in evidenza l’armonia delle forme, nel mondo dell’idealità. La passione e il nudo vengono velati, mentre si distinguono le forme belle. Il Foscolo nelle Grazie afferma che la bellezza ha il potere di redimere lo spiacevole, e anche l’osceno. La voluttà passionale è trasformata in piacere estetico. Ma è bene che le Grazie siano velate. La bellezza, creatura letteraria ideale, sostanziata di pura armonia, è di per se casta; ma non sono casti i cuori degli uomini che la contemplano. È necessario, allora, l’aiuto con cui Pallade, e le belle arti (Flora, Iride, le Ore, le Parche, Psiche) tessano e decorino un velo mirabile per le tre caste dee.

   Il poeta che affliggesse le Grazie con oscenità, è deplorevole, anche se non gli si nega l’abilità poetica. “Dioneo le Grazie afflisse. – scrive il Foscolo in riferimento al Boccaccio – Or vive un libro dettato dagli dei, ma sfortunata la damigella che mai tocchi il libro”. Il Parini, nell’ode La Caduta, reagisce sdegnosamente contro un cittadino che gli consiglia di convertire la sua musa al mestiere di vile denaro che il pudore insulti, dilettando, scurrile, i bassi geni, occulti dietro al fasto. E l’Alfieri afferma che la passione amorosa deve essere introdotta nella tragedia, solo con l’intento di mostrare, agli spettatori, la miseria a cui essa può condurre, qualora non è frenata fin dal principio.

F5 === Compostezza.  Nel mondo idealizzato dall’arte, ogni espressione deve essere controllata, così che le parole e i gesti siano decorosi. A nessuno è permesso di gridare, contorcersi, irrompere con veemenza: anche le situazioni più cariche di forza drammatica e tragica, debbono essere contenute dentro i limiti della moderazione. Il poeta neoclassico rinuncia così alle espressioni travolgenti che turbano il lettore (eppure care all’uso romantico). L’immediatezza è ridotta, l’accoramento è pacato, l’impeto è contenuto in forme composte  perché così raggiungono una maggiore efficacia in confronto all’effusività sconvolta e violenta. La grazia neoclassica non è graziosità, non è sdolcinature: è soltanto armonia.

TERZO PRINCIPIO: La facoltà dell’arte è la fantasia.

   L’arte dà forma sensibile ai pensieri e ai sentimenti, trasformandoli in immagini nella fantasia per cui questa è la facoltà elaboratrice delle visioni poetiche. Alla creazione artistica concorrono la fantasia, l’intelletto e il cuore. L’attività della fantasia dà forma sensibile, mentre il solo pensare, di per sé, non è attività poetica, finché non interviene la figurazione della fantasia.

   I neoclassici superano la posizione della poetica illuministica che impegnava solo l’intelletto dello scrittore, e nello stile esigeva soltanto la vivacità espositiva. Gli illuministi erano scrittori divulgativi dotati di oratoria: ad essi bastava redigere trattati con una buona sostanza di pensiero e con uno stile che non fosse noioso. I neoclassici sono poeti e ad essi è necessario  di impegnare tutte le facoltà dello spirito. Proprio all’inizio del secolo XVIII, troviamo lo scrittore Giovan Battista Vico che indica nella fantasia la facoltà creatrice dell’arte. Esisteva anche la teoria poetica sensistica, che  individuava il compito dell’arte nel tradurre il pensiero in immagini sensibili. Ciò implicitamente afferma la funzione primaria della fantasia.

QUARTO PRINCIPIO: Opere brevi, ma elaborate: la poesia esige cultura letteraria.

   I neoclassici avvertono che le generazioni moderne, dinamiche ed operose, non hanno né tempo, né pazienza di stare a leggere le opere complesse e lunghe. La vita del salotto, sia arcadico, sia illuminista, è orientata verso l’opera semplice e chiara: sono nitidi ed emotivi i melodrammi di Metastasio; sono semplici e vivaci il “Contratto sociale” di Rousseau, e il trattato Dei delitti e delle pene del Beccaria; sono brevi ed eleganti le Odi del Parini.

     I neoclassici sembrano rievocare il gusto della Scuola Alessandrina (del terzo secolo avanti Cristo) e dei ‘poeti nuovi’ della Scuola Romana: “un gran libro è un gran male” aveva detto Callimaco, il capo degli alessandrini; e Catullo, poeta nuovo, aveva composto Nugae (cioè brevi testi gradevoli). Queste opere brevi erano elaborate ed impreziosite con il valido aiuto di una cultura letteraria raffinata, in grado di rievocare miti antichi e di crearne di nuovi, inventare immagini appropriate, ritmi brillanti: era stato questo il programma degli alessandrini e dei poeti nuovi. Identico appare il programma dei  moderni neoclassici.

   Il Monti e il Foscolo non scrivono poemi, bensì carmi (Sepolcri e Le Grazie) e lavorano con una tecnica fine nella precisione e nell’armonia.  A facilitare il lavoro compositivo e decorativo della fantasia, interviene la cultura letteraria. Una fantasia, quando non è educata dallo studio, seppure fosse originale, sarà però più grezza di quella che unisce alle sue energie native anche un gusto affinato nello studio delle tecniche. Questo concetto è affermato dai neoclassici in polemica contro i romantici, alcuni dei quali credevano che, per rendere più accessibile la poesia al popolo, fosse necessario smetterla con le immagini e con il frasario umanistico, per cui immaginavano di poter fare a meno anche della cultura letteraria.

QUINTO PRINCIPIO: La bellezza rasserena e ingentilisce la vita.

   L’armonia ha la potenza di estasiare lo spirito umano e di trasferirlo in un mondo ideale, in cui le passioni si acquietano, i pensieri e i sentimenti si rasserenano, i costumi si ingentiliscono e si affinano. Gli stilnovisti avevano attribuito effetti mirabili alla bellezza angelica; i neoclassici li attribuiscono ad ogni forma bella, creata o dalla natura o dall’arte: l’armonia genera  la grazia che si impone con il decoro e con la finezza.

  La bellezza genera nell’animo umano tre effetti:

=  infonde un piacere divino, il gaudio che si prova di fronte alla perfezione. L’arte apre uno spiraglio nel mondo dell’assoluto ed astrae dalle passioni;

=  genera abitudini ideali. Lo affermano il Monti nella Musogonia e il Manzoni nell’Urania, soprattutto il Foscolo nelle Grazie dove si legge: “Quando apparian le Grazie, i cacciatori e le vergini squallide e i fanciulli, l’arco e il terror deponean ammirando”… “In noi serpe un natio delirar di battaglie” .Ma alla presenza delle Grazie “ dolce sentiamo per l’anima un incanto, lucido in mente ogni pensiero”. Nell’ode All’amica risanata, lo stesso Foscolo scrive: “ L’aurea beltade, onde ebbero ristoro unico ai mali, le nate a vaneggiar menti mortali”.

Jacopo Ortis, sconvolto dalla disperazione, allorché si trova di fronte a Teresa, che, bella come una Grazia, suona l’arpa “non sente più il peso di questa vita mortale”.

CAUSE DEL NEOCLASSICISMO: rinnovamento, razionalità, progresso, cultura e arte nuova, rivoluzione, archeologia, classicità, catarsi.

I  –  Rinnovamento generale:  la rinascita generale della vita, come si verifica nella seconda metà del secolo XVIII, è promossa dal razionalismo illuminista e dal naturalismo russoniano, con ripercussioni nel campo della tradizione classicista: modernità di contenuto, vitalità e vigoria di ispirazione, concretezza e perfezione di stile esprimono un classicismo proteso ad allinearsi agli altri settori della vita, in avanzata verso forme sempre più perfette.

II  –  Componente razionale costante e progresso indefinito erano idee del razionalismo illuminista che andava alla ricerca di strutture stabili entro le quali sistemare l’evoluzione indefinita della vita. Il neoclassicismo formulò nell’arte canoni compositivi classici, eternamente validi perché razionali, e contenuti sempre nuovi, attuali e vivi.

III  –  Il bisogno di superare le forme culturali illuministe porta a rivalutare gli insegnamenti della storia. Non bastava tener presente solo la forma dell’uomo-ragione, e dell’umanità –ragione, prescindendo dalla tradizione; ma occorreva guardare alle circostanze concrete in cui gli individui e i popoli vivevano. I neoclassici accolgono il reale nella sua concreta integralità. La natura non presenta solo aspetti utilitari, anche aspetti belli, ed è fonte e di emozioni profonde. Nascono nuove concezioni sia della cultura, sia della vita e si supera il razionalismo.

III.a:Concetto della cultura. L’uomo reale ha sentimenti e non apprezza solo i ragionamenti politici, economici scientifici; vuol sentire parlare di cose che interessano il suo cuore e sublimano la sua fantasia; vuol sentire parlare dei drammi interiori e trovare consolazione nelle pene, vuol conoscere i suoi simili, quelli che lo hanno preceduto, quelli che vivono con lui, e quelli che verranno dopo di lui. La cultura neoclassica non accetta di studiare l’uomo soltanto nella sala anatomica della ragione; bensì preferisce vederlo nel campo della storia, trasferita dall’arte sul piano delle idealità. Foscolo, nel discorso inaugurale esorta gli italiani alla riscoperta della propria storia e dice: “ Osservate negli altri le passioni che voi sentite, dipingetele, destate la pietà che parla in voi stessi”. Per imparare a vivere da magnanimi non è sufficiente ragionare bisogna vivere in contatto spirituale con gli spiriti magnanimi di tutti i tempi.

III.b: Concetto della vita. L’uomo studiato dagli illuministi, con criteri esclusivamente scientifici, era apparso come pura forma della materia, destinato a compiere un ciclo vegetativo e sensitivo, più o meno doloroso, e poi cadere nel nulla come tutte le altre cose. L’illuminismo proponeva il materialismo enciclopedista, sostenuto da alcuni scrittori dell’Enciclopedia quali Voltaire e Diderot o da pensatori aderenti al sensismo tra cui Le Maitre e Condorcet. In tal modo la vita perdeva ogni significato ideale, si rivelava desolata; né vi era alcun fattore che la redimesse.

   Tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX, lo spirito europeo sentì il bisogno di evadere da questa concezione mortificante dell’esistenza. Il Manzoni diede valore e significato alla vita illuminata dalla fede religiosa, altri, come il Foscolo, potenziavano gli ideali terreni di bellezza, amore, fama, patria e famiglia, elevandoli a forme assolute attraverso l’idealizzazione.

   L’arte neoclassica venne incontro al bisogno dell’assoluto che ispirava le opere del Foscolo, creando visioni sublimi, per cui le anime in crisi, e non illuminate dalla fede, trovavano così quell’assoluto di cui erano assetate.

   Mentre il materialismo enciclopedistico  si compiaceva spregiudicatamente di presentare l’uomo- macchina, come materia soggetta alla ferrea pressione che affatica le cose di “moto in moto” (Foscolo), il neoclassicismo creava il mito della bellezza rasserenatrice e potenziava al massimo la suggestione dell’arte, neutralizzando il pessimismo dei pensatori. Le idealità che un tempo avevano consolato i grandi spiriti di Grecia e di Roma, prima della nascita del cristianesimo, erano riproposte ed attualizzate.

III.c   Superamento dello spirito illuminista  per non ispirarsi al solo dettato dell’intelletto, né contentarsi di uno stile brillante. La novità era nell’accogliere il dettato del cuore, nel risvegliare la fantasia, in quanto cuore e fantasia non impacciano il ragionamento. Lo scrittore illuminista si contentava di essere divulgatore di riforme politiche, economiche e sociali, mentre avrebbe potuto essere un artista. Lo scrittore neoclassico è un poeta creatore di visioni belle e perciò impegna il cuore e la fantasia insieme con il suo intelletto. 

   Giovan Battista Vico nella sua opera “ Principi della scienza nuova intorno alla comune origine delle nazioni “ agli inizi del secolo XVIII, esaltava la fantasia come la vera facoltà creatrice dell’arte. Secondo lui la poesia si distingue dalle altre attività dello spirito perché, mentre queste elaborano il reale secondo la ragione, essa lo elabora attraverso la fantasia e si esprime con un linguaggio essenzialmente fatto di immagini.

   In questo secolo caratterizzato dal razionalismo, Antonio Conti, contemporaneo del Vico,  individuava nell’entusiasmo, (cioè nella fantasia accesa dal sentimento), la facoltà dell’arte. Bettinelli definiva la poesia, soprattutto lirica: “un sogno che si fa in presenza della ragione”. L’estetica dei sensisti sosteneva, come principio primo dell’arte, che il poeta deve pensare e parlare per immagini.

   Il neoclassicismo può considerarsi come il movimento che raccoglie, sistema in dottrina, ed applica nella pratica, le affermazioni con cui già all’inizio di questo secolo si era tentato di rivalutare il sentimento e la fantasia nell’arte, contro l’esclusivismo della ragione.

IV  –  Il particolare momento storico e politico  era caratterizzato in Francia dalla rivoluzione e dall’impero napoleonico, nel periodo 1789-1815.  Fu uno dei più fervidi ed epici periodi di idealità. Libertà, uguaglianza, fraternità, popolo, progresso erano ideali assolutizzati, in forme quasi divine. Il Bonaparte, che di questi ideali apparve il sicuro realizzatore, fu considerato come il nume tutelare delle generazioni nuove.

   In tempi di idealità e di epicità si afferma il gusto della bellezza elegante e decorosa, espressa con uno stile classicheggiante, specializzato nella idealizzazione luminosa e dignitosa. Genialità e giovanilità militare avvolgevano, nella luce degli ideali rivoluzionari, il Bonaparte ed i suoi ufficiali. Si comprende come fosse adottato lo stile sostanziato di lucida armonia e di sobria eleganza che già si era evoluto nelle epoche classiche di Pericle e di Augusto e durante le signorie italiane dell’epoca rinascimentale.

   Ritornano in vigore alcuni nomi classici: consolato, tribunato, senato, Repubblica cisalpina, legione italica. Questa nomenclatura rievocava le glorie ed il fascino della potenza dell’Impero Romano, e serviva a dare solennità e decoro alle nuove istituzioni politiche, militari ed amministrative.

V  –  Novità archeologiche.  Gli importanti scavi archeologici di Ercolano e di Pompei (sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79), e di Roma, realizzati nell’ultimo trentennio del secolo XVIII, secondo le ricerche favorite dal papa Pio VI, e condotte da uomini qualificati come Quirino Visconti e Giovanni Winckelmann, riportarono alla luce numerose statue, pitture, architetture classiche. Il materiale artistico tornato alla luce negli scavi facilitò profondi studi sull’arte antica, soprattutto per cogliere i criteri dello stile classico, cioè il rapporto tra le forme e l’ispirazione nel modo di comporre, da parte degli antichi. Da questi studi  si viene a formare il nuovo gusto con le forme più adatte a soddisfarlo. Con grande favore fu accolto in tutti gli ambienti lo stile neoclassico, specie nei settori dell’architettura e della scultura.

VI  –  Il gusto per le forme chiare ed intelligenti  favorì la diffusione di uno stile che sintetizzasse la concezione intelligente con l’espressione spontanea e decorosa. Lo spirito del ‘700 educato dal razionalismo e dal naturalismo, considerava irrazionale lo stile secentista, artificioso e confuso; diceva fanciullesco, lezioso e falso lo stile arcadico e rococò. Si desiderava uno stile degno di una umanità evoluta, come era quella che i contemporanei erano persuasi di avere creato.

   TEMI PREFERITI DAI NEOCLASSICI.

1 ) La bellezza viene celebrata come armonia del corpo e dello spirito: bellezza rasserenante e  civilizzatrice della vita.

2 ) L’arte viene celebrata come creazione dell’armonia e come espressione dell’anima giunta al grado del perfetto equilibrio e della sublimità.

3 ) L’amore viene celebrato come passione estetica che sublima lo spirito.

4 ) I sentimenti gentili come la pietà, gli affetti verso i cari, verso gli amici, verso i grandi, la cortesia, il buon gusto, sono celebrati come espressione di un’anima veramente evoluta e fine.

5 ) La patria è celebrata come stirpe eletta dal fato, fornita di energie superiori, destinata ad un’alta missione di civiltà, attraverso la creazione incessante di opere d’ingegno.

6 ) L’attività eroica è celebrata come espressione concreta e sincera di un’anima educata alle idealità e come mezzo per riempire il “vuoto” della vita e darle un valore superiore.

7 ) La fama è celebrata come garanzia di sopravvivenza, nel ricordo dei posteri, per chi non crede nell’immortalità dell’anima.

8 ) Il dramma dell’anima  assetata di assoluto è celebrato come espressione di spiritualità energica e sublime, anelante ad evadere dall’atmosfera languida e soffocante di una vita comune, come tipiche evocazioni di quest’ansia del sublime, il Foscolo evoca le figure di Jacopo Ortis e dell’Alfieri nei Sepolcri.

ESPONENTI DEL NEOCLASSICISMO

A==== IN ITALIA. Mentre gli scrittori illuministi e quelli romantici, per desiderio, e talora per mania di modernità, abbandonavano la tradizione classicista e si avvicinavano con grande entusiasmo alle letterature illuministiche come la francese, o a quelle romantiche come la tedesca e l’inglese; un buon gruppo di scrittori, non meno progressisti degli illuministi, e non meno patrioti dei romantici, si proposero di dimostrare praticamente quanto fossero vigorose e vive le risorse del classicismo per allontanarsi alla mania forestiera. Erano mossi a queste posizioni dai seguenti motivi:

1  –  La tradizione letteraria italiana sembrava un patrimonio preziosissimo, creato dal contributo di tanti menti geniali, che, dal tempo di Omero fino al nostro Rinascimento, praticavano uno stesso metodo con una ricchezza di apporti da non trascurare. Riporre in soffitta il Vocabolario della Crusca che raccoglieva il patrimonio linguistico creato da Dante, Petrarca e Boccaccio, e che aveva insegnato a parlare e scrivere in italiano a tutti gli autori, appariva ora un gesto inconsulto, come se, per fare un esempio, uno volesse gettare a mare il carico di merci preziose. La lirica del Petrarca, la prosa del Boccaccio e del Machiavelli, il mirabile poema dell’Ariosto non dovevano cedere il posto a Shakespeare, Ossian, Schiller, Goethe, Bayron.

   Nell’ardore della polemica tra neoclassici e romantici, i meno equilibrati, dell’uno o dell’altro schieramento, non capivano che si potevano conciliare, accogliendo entrambe le ipotesi: conservare il meglio della tradizione classica, ed aggiungere quanto di buono vi era nelle nuove proposte degli illuministi e dei romantici. Alcuni lo capivano. Il Foscolo dava forma classica alla spiritualità italiana moderna. Il Manzoni dava una forma moderna alla medesima spiritualità, senza scinderla dalla tradizione, anzi collegandola ad essa.

2  –  Inoltre i neoclassici combatterono la loro battaglia in difesa del classicismo perché sentivano che non si poteva rinunciare all’equilibrio fra ragione e sentimento, tra natura e cultura, a  favore di una nuova letteratura che voleva l’immediatezza e l’utilità, sacrificando la chiarezza, l’armonia e il decoro.

3  –  Infine, i neoclassici difendevano la tradizione letteraria italiana in difesa della Italianità. Essi avevano l’impressione che lasciare la tradizione per la novità, significasse tradire i padri spirituali italiani, quali Virgilio, Orazio, Livio, Cicerone, Petrarca, Ariosto, Machiavelli, per elemosinare nuovi sentimenti e nuove immagini dagli stranieri. Senza abbandonare né disprezzare la tradizione di questi padri a favore del forestierume, il Cesarotti la conciliava potenziando la lingua italiana con forme tratte dalle lingue straniere, in particolare da quella francese; mentre, dai tradizionalisti,  il vocabolario della Crusca veniva considerato sufficiente ad esprimere il contenuto della cultura italiana.

ESPONENTI: alcuni esponenti del neoclassicismo italiano erano soprattutto artisti, mentre altri erano teorici e critici.

== Parini, Alfieri, Monti, Foscolo, Pindemonte erano artisti, più che teorici, erano capaci di conciliare l’antico con il moderno. Non hanno elaborato formalmente le dottrine neoclassiche. Il Parini è neoclassico per i contenuti moderni da lui illustrati e per l’uso dell’idealizzazione, del mito, dell’espressione figurativa, inoltre per la lucentezza, la armonia e l’eleganza dello stile. L’Alfieri è neoclassico per l’idealizzazione costante dei personaggi e per la compostezza delle forme, nella veemenza delle forti psicologie.

Il Monti è artista e teorico neoclassico, ma un po’  superficiale e bravone: svolge principi neoclassici nel Sermone sulla mitologia. Adotta  questi principi in tutte le sue opere, specie nella Feroniade.

Il Foscolo svolge i principi neoclassici, scrivendo nel 1803, il Commento alla chioma di Berenice, poemetto del poeta alessandrino Callimaco, tradotto in latino da Catullo e tradotto in italiano dallo stesso Foscolo: esemplare perfetto di un’opera breve ed elaboratissima, in cui si svolge un argomento di attualità, in forma di mito. Nel 1809 apriva il ciclo delle sue lezioni presso l’università di Pavia con la “Lezione inaugurale” invitando gli italiani a valorizzare la tradizione storica. Nel 1818 pubblicava il Saggio sulla letteratura italiana del secolo XIX.  I principi neoclassici sono da lui svolti nella Ragione poetica delle Grazie. Pubblicò un saggio Della nuova scuola drammatica in Italia, in riferimento alla comparsa, per la prima volta, delle tragedie storiche di forma libera, composte da A. Manzoni: Il Conte di Carmagnola; l’Adelchi. Il Foscolo, genio metodico, profondo, è capace di creare una letteratura che sintetizza l’antico e il moderno, non soggiace alla mania esterofila e fa apprezzare i nostri grandi poeti tra i quali egli esalta alcuni in particolare: Dante (nei Sepolcri e soprattutto nel Discorso sul testo della Commedia) ; Petrarca (nei Sepolcridolce di Calliope labbro” e soprattutto nei tre Saggi sul Petrarca definendolo il poeta delle Grazie); il Machiavelli (nei Sepolcri) ; il Tasso (in varie pagine delle opere di critica). I principi e moduli neoclassici sono presenti in tutte le opere: nelle due Odi, nei Sepolcri, nelle Grazie, nei Sonetti. Nella prosa del suo romanzo su Jacopo Ortis volle adottare lo stile immediato proprio dei romantici.

Ippolito Pindemonte è un poeta neoclassico, nitido e gentile nella sua ispirazione malinconica e sentimentale, e tradusse l’Odissea.

== Tra i neoclassici che furono più critici che artisti ci sono i sostenitori intransigenti della tradizione, specialmente riguardo alla lingua.  Antonio Cesari, Pietro Giordani, Carlo Botta sono gli esponenti del “purismo” cioè del movimento linguistico che si oppone all’imbarbarimento della lingua a motivo della francesizzazione da parte degli scrittori illuministi e delle teorie del Cesarotti. Essi sostengono il ritorno alla lingua ‘pura’ del ‘300, quella di Dante, Petrarca, Boccaccio, codificata nel Vocabolario della Crusca. Il Cesari, per quanto riguarda la prosa, sostiene il ritorno al latineggiare del Boccaccio ed al periodare complesso. Il Giordani consiglia il periodare greco, più semplice e più agile di quello latino. Il Botta propone, come modelli di lingua, i toscani non solamente del ‘300 anche quelli delle ‘500 come Machiavelli, Guicciardini, Varchi, Nardi, Gelli, Fiorenzuola, ai quali egli riconosce il merito di aver arricchito e ripulito il linguaggio dei tre grandi trecentisti.

   Nella questione della lingua intervennero anche il Monti e il suo genero Giulio Perticari. Essi erano avversi sia alla teoria dei puristi, che seguono come maestri di lingua solo i toscani, sia alla teoria dei romantici che considerano come unico maestro l’uso vivo da parte delle persone colte di tutta Italia. Il Manzoni precisava: l’uso vivo delle persone colte fiorentine. Monti e Perticari considerano come maestri di lingua il letterati di tutti i secoli, i quali hanno elaborato quel linguaggio “illustre” che offre tutti gli elementi necessari per esprimersi bene a chi voglia parlare con decoro e con efficacia.

   Questa proposta del Monti fa eco in parte a quella di Dante Alighieri che aveva proclamato che la lingua italiana è quella che si parla negli ambienti colti di tutta Italia. Mentre il Monti propone, come esemplare, la lingua scritta dei letterati; Dante aveva proposto la lingua parlata delle persone colte. L’opera che raccoglie i risultati degli studi linguistici del Monti è la Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca.

NEL CAMPO DELLE ARTI ALCUNI ESPONENTI NEOCLASSICI

Nell’architettura: Giuseppe Piermarini autore della facciata del  Teatro della Scala a Milano, e della villa Reale a Monza.

   Luigi Canonica autore dell’Arco della Pace e dell’Arena a Milano.

   Iacopo Quarenghi autore di numerosi edifici a S. Pietroburgo

Nella scultura: Canova autore del gruppo delle Grazie, delle statue di Paolina Bonaparte, Clemente XIII, Clemente XIV e Pio VI.

Nella pittura: Andrea Appiani ha affrescato il palazzo reale di Milano dove Napoleone è effigiato come Giove.

B===== IN FRANCIA i rappresentanti del neoclassicismo

Nella letteratura: Andrea Chénier ricerca la perifrasi di forma greca e l’eleganza negli Idilli nelle Odi, nei Giambi, scritti in carcere nel 1794 in attesa di morire ghigliottinato dal governo del Terrore.

Nelle pittura: David era un ritrattista e dipinse quadri storici a soggetto classico. Fu l’idealizzatore dell’immagine di Napoleone Bonaparte.

C===== IN GERMANIA il neoclassicismo ebbe il suo ideatore in Winckelmann Giovanni Gioacchino, archeologo tra i più insigni, vissuto a Roma e autore della “Storia delle arti presso gli antichi” in cui indica come pregi supremi di tutte le arti: l’armonia, la compostezza e l’unità, secondo l’esemplarità classica.

Il poeta neoclassico della Germania è Goethe che iniziò con il romanticismo dello “sturm”(assalto) in Goetz von Berlichingen e nei Dolori del giovane Werter. Per lui, secondo l’insegnamento dell’Herder, la poesia è grido della natura e poetava contro la tirannide e contro la disperazione del cuore a cui era negato l’amore. In seguito preferì dare al dolore le forme della compostezza e della semplicità, come Omero aveva espresso, in forme piene di grazia, l’energia della natura e della psicologia umana. Il Goethe scrisse: Ifigenia; Arminio e Dorotea; Elegie Romane con le note della semplicità, del vigore e della grazia.

D==== IN INGHLTERRA il neoclassicismo è espresso da John Keats che vive amando e adorando la bellezza. Dice: “una cosa bella è una cosa creata per sempre”.

                      C O N C L U S I O N E

   I neoclassici espressero una sensibilità tutta moderna di anime complesse, inquiete, protese verso il sublime. Si suol dire che questa psicologia sia stata romantica. È un errore: questa psicologia era propria delle generazioni abituate dal naturalismo a “sentire caldamente” e ad esprimersi liberamente. Le generazioni che vissero tra la fine del secolo XVIII e  gli inizi del secolo XIX si compiacevano di emozioni profonde e intense.

   I neoclassici espressero questa spiritualità emotiva e sublime in forme elaborate e composte, al modo dei greci e dei romani; mentre i romantici usavano forme immediate, da essi ritenute più adatte a garantire forza e genuinità all’ispirazione. Ciascuno dei due movimenti letterari diffondeva un proprio gusto espressivo: i classicheggianti volevano una forma composta, aggraziata e disciplinata dall’arte; al contrario i romantici, una forma prorompente, primitiva, regolata solo dalla natura.

   I temi, i pensieri, i sentimenti sono tutti dettati dalla natura personale, anche negli uomini geniali, dipende solo dalla loro natura, che, a sua volta, è il riflesso della spiritualità generale del mondo nel quale vivono. Perciò non è giusto, ad esempio, dire che il Foscolo ebbe ispirazione romantica e si espresse in forma classica; perché egli considerò il romanticismo come mortificatore dell’arte, lo considerava troppo realista, incapace di idealizzare. Il dolore, la storia, le visioni fosche si trovavano già nell’animo del Foscolo che si vantava di essere classicheggiante e non le riceveva da un’ispirazione romantica. Si dovrebbe parlare piuttosto di stile classico o romantico, per riconoscere l’origine degli atteggiamenti spirituali, comuni ai classicisti ed ai romantici, nell’anima delle generazioni in mezzo alle quali fiorirono il neoclassicismo ed il romanticismo.

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