Francesco Guicciardini nelle lezioni del prof. Mancini don Dino a Fermo

FRANCESCO  GUICCIARDINI           (1483-1540)

Il personaggio

   E’ il personaggio che conclude il Rinascimento in due sensi: anzitutto nel senso che dopo di lui, nella letteratura si manifestano una spiritualità e una forma nuova; in secondo luogo nel senso che egli conduce a maturazione i motivi fondamentali della spiritualità naturalistica e dell’Umanesimo rinascimentale.

   Il Guicciardini porta a maturazione il naturalismo rinascimentale so­prattutto sotto tre aspetti: sotto l’aspetto della maturità mentale, sot­to l’aspetto della concretezza dell’indagine, sotto l’aspetto dell’individualismo. L’esame di questi tre punti ci servirà anche a delineare la spiritualità del Guicciardini.

1)-  Maturità mentale.

   Abbiamo visto che il naturalismo o concezione della vita come espressione ed utilizzazione intelligente e fine di tutte le energie della natura, in pratica si realizza con il passaggio indefinito di esperienza in esperienza. Infatti l’espressione dell’energia di natura si ha quando queste vengono in un numero di esperienze svariate e dense il più possibile. Si verifica nella psicologia, umana invariabilmente, questo fenomeno: esperienza fatta è uguale a esperienza superata.

Il superamento del reale e della vita permette di controllare con l’intelletto i vari aspetti e i vari fenomeni della realtà.

   Questo dominio e questo controllo permettono di cogliere nella comples­sità del reale i fenomeni e gli aspetti più svariati e soprattutto di co­gliere i legami che intercorrono fra essi.

   Quando lo spirito è giunto a questa posizione, cioè quando il reale vi è dinanzi come un quadro da osservare, naturalmente si genera il senso di distacco tra lui e il quadro stesso.   

   Questo senso di distacco genera due atteggiamenti: quello della oggettività allorché si medita, e quello del­la superiorità svagata e arguta dello stile del pensare e dell’agire. Nessun entusiasmo, nessuna passione quando si è oggettivi, un sorriso scettico e bonario quando si è superiori. A Guicciardini è capitata di superare perfino sé stesso: nel quadro della realtà che egli contempla c’è anche F. Guicciardini: ed egli si osserva, si giudica con la stessa men­talità e con lo stesso tono spregiudicato e bonario con cui osserva e giu­dica gli altri. L’espressione che ci rivela in modo binario questo proces­so interiore del Guicciardini si ritrova nei “Ricordi”:”Io ho avuto dalla vita assai più di quanto ho desiderato, ma in nessuna delle mie esperien­ze ho trovato quella soddisfazione che mi ero immaginato di trovarvi e perciò è bene nella vita moderare la cupidità”.

   Ecco l’aspetto più interessante del naturalismo guicciardiniano:  il senso della sazietà della vita. Ed era fatale che il naturalismo finisse così, se é vero che esperienza fatta è uguale ad esperienza superata e se ciò che è superato non ha altro interesse che quello del ricordo.

   In altri tempi, ossia nel Medioevo, questa sazietà della vita avrebbe generato il bisogno di una nozione in un modo in cui lo spirito potesse trovare la sua quiete, cioè il mondo del misticismo. Il Guicciardini non sente questo bisogno: il senso della sazietà è accompagnato dalla coscien­za della vanità di tutte le cose, ma egli continua a vivere, cioè a spe­rimentare tranquillamente. Vane sono le cose, vana la vita degli uomini, vano è il Guicciardini stesso: ma Guicciardini si compiace di questa vani­tà. E’ vano il vivere, ma è una vanità piacevole, se non altro perché è uno spettacolo vario e complesso, la cui visione interessa, impegna e di­strae.

   Siamo di fronte ad una specie di misticismo naturalistico che con­tinua con lo scetticismo. Nello spettacolo della vita, qual è il fattore che più si agita, che più muove gli uomini, che genera perfino azioni sublimi?

   E’ l’egoismo, la ricerca del bene particolare per cui talvolta gli uomi­ni giungono a compiere perfino azioni eroiche e gloriose.

Uomo di esperienza dunque il Guicciardini; uomo superiore alla realtà; spirito oggettivo, spirito arguto, spirito scettico; uomo bonario e com­prensivo; convinto della vanità della vita e beatamente soddisfatto della vita.

   L’aspetto più simpatico di questo uomo è dato da quel suo autocriticarsi con tono scettico e superiore: quando scrive i Ricordi ha la sensazione di fare cose inutili; di tutte le sue opere non ne pubblicò una quan­do era in vita: segno che le considerava inutili e che le aveva scritte per passatempo, per distrarsi, per continuare a vivere senza annoiarsi.

       2)- Concretezza di indagine.

   Il Rinascimento tutto inteso a ricercare le risorse del piacere e a trovare i modi per utilizzarle nel modo più piacevole, dà inizio ad una indagine che tiene conto più dei fatti che delle teorie e viene così ad opporsi all’età medioevale, età della metafisica, perché impostava e risolveva le questioni sulla base della Filosofia e della Teologia.

Ai medioevali interessava illuminare la vita con la luce che viene dall’alto, per sistemarla meglio e darle un significato superiore. Ai rinascimentali piace trovare la luce nelle cose stesse e fare uso delle risorse native dell’intelligenza umana: esame dei fatti per cogliere in essi i fattori che li costituiscono e li generano; e applicazione della intelligenza al ritrovamento dei modi più adatti per utilizzare i fatti e per creare opere utili e belle. La Teologia e la Filosofia cedono il posto alla scienza.

Machiavelli lasciò da parte la politica filosofica per concentrare la sua attenzione sulla politica come scienza e arte, come tecnica: ai principi metafisici dedotti per ragionamento sostituisce i principi pratici indotti per esperienza.

   Il Guicciardini, proseguendo lungo la via della concretezza e arrivan­do fino in fondo, elimina il principio generale: ne principio dedotto, ne principio indotto. Il principio infatti sia dedotto che indotto è generale, mentre i fatti sono particolari. Per formulare un principio generale anche indotto, è necessario astrarre dalle situazioni particolari, ossia non tener conto delle circostanze in cui i fatti si verificano (cir­costanze del tutto diverse l’una dall’altra), per cogliere ciò che nei fatti vi è di comune, per mettere in evidenza questo fattore comune ed elevarlo a principio.

Ma, osserva il Guicciardini, questo fattore comune che si vuole eleva­re a principio, come ente a sé esiste solo nella nostra mente: nei fatti esso esiste incarnato nella circostanza. Quindi chi vuol cogliere il fattore comune, senza cogliere la circostanza in cui di volta in volta, nei vari casi, esso è venuto ad operare, non coglie una cosa reale, ma una cosa che è staccata dal reale, e proponendola come principio, propone una cosa che va bene per tutti i casi, e quindi per nessun caso, poiché è un aspetto che si addice a tutti i casi, ma prescinde da numerosi al­tri aspetti e circostanze che pur costituiscono ciascun caso.

   Il Machiavelli coglie nella storia un fattore comune: la psicologia umana. Il Guicciardini dichiara inaccettabile anche questo fattore, per­ché non è la psicologia umana che domina le circostanze, ma sono le cir­costanze che determinano la psicologia umana. Egli non crede alla liber­tà dell’uomo: “Né i pazzi né i savi possono resistere a quello che deve avvenire, perciò mi sembra giustissimamente detto: “Fata ducunt volentes, tradunt nolentes”; il fato, cioè le circostanze conducono quelli che vo­gliono seguirle, trascinano quelli che non vogliono seguirle: o guidatrici o trascinatrici sono sempre le circostanze che hanno il sopravvento sull’uomo. E se le cose stanno così non è possibile accettare la teoria del Machiavelli che pretende di indurre principi universali sulla base di quella costante che è la psicologia umana, poiché questa costante verrebbe a variare con il variare delle circostanze e quindi non sarebbe più costante.

   “Le cose del mondo non stanno ferme, anzi hanno sempre progresso al cammino a cui per loro natura debbono andare a finire”. Se le cose cammi­nano e non sono mai le stesse, sarà impossibile fermare di esse un aspet­to costante o immutabile: come si può dare un volto immutabile a ciò che muta di continuo?

In conclusione non si possono accettare principi universali né teorici dedotti né pratici indotti, per tre motivi:

      – Perché il principio in sé esprime non il fatto nella sua totalità cioè in tutti i suoi a spetti, ma solo in quell’aspetto che gli è comune con molti altri; e quindi non riproduce la realtà come è, quindi non è utile per la vita pratica.

       – Perché il fattore psicologia umana, non è costante.

       – Perché le cose mutano di continuo e non è possibile coglierne un aspetto fisso.

Aboliti i principi, ecco ciò che il Guicciardini sostituisce circa i fatti umani e circa la soluzione dei problemi del vivere.

Enunciamo anzitutto un principio che raccoglie tutto il pensiero del Guicciardini a questo proposito: “E’ grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e, per dir così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varietà delle circostan­ze nelle quali non si possono fermare con una medesima misura; queste di­stinzioni ed eccezioni non si trovano scritte in sui libri, ma bisogna le insegni la discrezione…non si può procedere sempre con una regola indi­stinta e ferma”.

   Ecco in sintesi il metodo guicciardiniano.

– Non essendo possibile l’indagine a carattere generale e la formula­zione dei principi a carattere universale, bisognerà procedere all’indagi­ne caso per caso. Questo vuol dire che quando si fa la storia non bisogna giudicare un fatto con un altro, ma ogni fatto è da considerarsi in sé stesso, perché le circostanze ne fanno un mondo a sé; e quando si va in cerca di una norma per risolvere un problema, non bisogna rifarsi a nessun principio, ma bisogna individuare nella situazione stessa difronte a cui ci si trova, i suggerimenti e gli indirizzi per risolverla bene, ossia con vantaggio.

“Chi cita ad ogni passo l’esempio dei Romani, mentre parla delle cose dei nostri tempi, dimentica che noi per operare come i Romani avremmo bisogno di una repubblica ordinata come la loro e di circostanze come quelle in cui ebbero la fortuna di trovarsi loro (ad es. con nazioni vicine meno civili e meno forti di loro).  Pretendere che l’Italia di oggi percorra lo stesso cammino di Roma an­tica, significa pretendere che un asino voli come un cavallo”.

Non si possono giudicare le situazioni attuali alla luce di quelle pas­sate, o viceversa; né trarre norma dal passato per risolvere i problemi del presente.

– Nell’indagine caso per caso chi insegna la soluzione dei problemi è la discrezione. La discrezione (dal latino discerno = individuare, distinguere) è la capacità di individuare in ogni circostanza i fattori che la costituiscono, le risorse di utilità che contiene i mezzi più adatti per piegarla al proprio bene particolare. La discrezione è la maestra unica della vita: “In tutte le cose bisogna procedere distinguendo la qualità delle persone dai casi e dai tempi; e a questo è necessaria la discrezio­ne, la quale, se la natura non te l’ha data, rare volte si impara con l’esperienza quello che è necessario; con i libri poi, mai”.

   Senza discrezione, dunque, o intelligenza pratica, non valgono né l’esperienza, né la cultura: la prima sarebbe cieca senza la discrezione, la seconda sarebbe vana.

   Il Guicciardini scrive i Ricordi per dare consigli al figliolo: i consigli sono massime, le massime sono principi, i principi sono generali: egli si accorge di fare cosa inutile e perciò scrive così: “Questi ricor­di sono regole che si possono scrivere sui libri; ma i casi particolari, siccome hanno forma diversa, si debbono trattare diversamente e non si possono scrivere altrove che nel libro della discrezione”.

In conclusione:

– esame caso per caso;

– criterio di risoluzione dei problemi, quello insegnato dalla discre­zione:  non esiste uno che valga per tutti.

   Il Guicciardini così ci fa l’impressione dell’uomo che ha deciso di prender contatto diretto con le cose, senza alcun velo né metafisico né scientifico che gli impedisca questo contatto immediato: all’esame della vita si va con mente spregiudicata, cioè né con la mentalità religiosa, né con una mentalità metafisica, né con una mentalità scientifica, ma con una mentalità sgombra da qualsiasi preconcetto con l’intento di vedere nei fatti quel che c’è, non quello che dovrebbe esserci o quello che avrebbe potuto esserci: oggettività assoluta.

Vediamo alcune applicazioni di questo oggettivismo spietato, di questa praticità spregiudicata.

Sentiamo cosa dice nei riguardi della Religione e della Filosofia: “I filosofi e i teologi e tutti gli altri che scrivono le cose sopra na­tura o che non si veggono, dicono mille pazzie, perché di fatto gli uomi­ni sono al buio delle cose e questa indagine ha servito e serve più ad esercitare gli ingegni che a trovare la verità”.

“Gesù dice: -Chi ha fede sposta le montagne-. E’ questo: fede significa ostinazione in cose che non sono ragionevoli. L’ostinazione o presto o tardi realizza qualche cosa: chi la dura la vince. La religione vera non consiste tanto nel creder ai dogmi, quanto in questo: non fare del male a nessuno, fare del bene a chi si può”.

   Sentiamo che cosa dice dell’uomo: “Non credete a chi dice che agisce per un ideale: ogni uomo agisce per il suo bene particolare”. “Chi disse popolo disse veramente animale pazzo, pieno di mille errori, di mille con­fusioni senza gusto, senza diletto, senza stabilità”. “La natura ha inclinato l’uomo al bene, ma le circostanze lo invitano al male, e siccome egli è fragile fa più facilmente il male che il bene”.

Ecco che cosa dice nei riguardi della vita in generale: “La vita dell’uomo è sottoposta a infiniti mali per cui quando vedo un uomo vecchio mi meraviglio come egli sia giunto a quell’età”.

“E’ impossibile governare un popolo secondo la scienza; tutti gli stati sono fondati sulla violenza, non “escluso” quello dei preti, la violenza dei quali è doppia perché ci sferzano con le armi temporali e spirituali”.

   Sentiamo che cosa dice nei riguardi di alcuni giudizi dati dal Machia­velli circa alcuni aspetti della storia d’Italia e circa la politica in generale (il Guicciardini polemizzò con il pensiero del Machiavelli nelle Considerazioni intorno ai discorsi del Machiavelli):

“Machiavelli lamenta che in Italia la Chiesa abbia impedito la unificazione della nazione. Non è un gran male: è meglio che sia andata come è andata. Se infatti fosse avvenuta la unificazione, il vantaggio sarebbe stato tutto della città capitale e non avremmo avuto quel gran numero di grandi città che abbiamo oggi”. “Machiavelli cita sempre i Romani, ma noi non siamo nelle condizioni dei Romani”. “Machiavelli afferma che i problemi della vita in generale si possono risolvere per legge generale. Non pensa che i problemi sono inquadrati nelle circostanze; e che perciò è necessario risolverli in rapporto alle circostanze stesse, e che sicco­me queste mutano di continuo, non si può stabilire una norma generale di soluzione, ma è necessario adottare per ogni problema particolare una norma particolare”.

      3)- Individualismo.

   Alla concretezza nel campo dell’indagine condotta fino ad abolire qualsiasi principio e alla soluzione caso per caso, corrisponde una spregiudi­cata concretezza anche nel campo morale. Il Machiavelli sostituisce alla morale dell’onesto quella dell’utile pubblico. L’utile pubblico è ancora un ideale che dà un certo valore morale alla azione umana pur con la dovu­ta riserva (il valore d’utilità d’una azione infatti non può prescindere dal valore di onestà).

   Il Guicciardini toglie via anche questo ideale di utilità pubblica; sostituisce, come fine ultimo dell’azione umana, il bene particolare.

   Vediamo come egli ragiona: Da osservatore spregiudicato della realtà umana, ossia della vera psicologia degli uomini, egli può affermare questo fatto: ogni uomo opera per il suo bene particolare, anche se dice di ope­rare in nome di qualche ideale. Quindi ogni uomo è egoista. Che ogni uomo è egoista significa che l’egoismo è la radice più intima e più profonda della natura umana; e se la radice della natura umana è questa, bisogna assecondarla: “quell’uomo si conduce bene in tutte le cose sue, il quale mira costantemente al suo bene particolare”.

   Che cosa intende il Guicciardini per bene particolare?

Non è solo un bene pecuniario, ma è tutto ciò che potenzia la personali­tà di un individuo, ossia tutto ciò che contribuisce a metterlo in eviden­za, a procurargli onori, cariche e grandezze.

Quali sono i mezzi per garantire, il bene particolare?

Sono questi:   

a)- Anzitutto una buona dose di discrezione intesa nel senso già enuncia­to, accompagnata da esperienza e da cultura. La discrezione è il fattore fondamentale di ogni buona riuscita.

b)- Apprezzamento di tutte le risorse che la natura offre; apprezzamento perfino delle cose che sono stimate vane, specie dalle persone colte (il saper danzare, il saper cantare ecc.). Ci sono nella vita vanità utili, anzi si potrebbe dire che tutto sia una vanità utile, perché tutto è vano e tutto è utile: “Io spesso mi son fatto beffe di coloro che sapevano danzare, fare i buffoni ecc…: mi sono convinto che anche l’abilità in que­ste cose ha il suo grande valore per garantire la fortuna ad una esisten­za”. Valorizzazione dunque delle verità utili, è in pratica realizzazione di tutto.

c)- Buona capacità di saper recitare la commedia della vita, cioè di saper fingere: “L’apparir buoni è cosa utile per raggiungere molti scopi”: sem­brerebbe un’affermazione da spregiudicato volgare; ma ecco subito quello che egli aggiunge: “Siccome non è possibile apparir buoni costantemente, se non lo si è veramente, bisogna essere veramente buoni”.

Sicché il Guicciardini non è un volgare consigliere di ipocrisia: affer­ma che bisogna essere buoni e lo afferma con convinzione; peccato che concepisce la bontà in funzione dell’utile.

     Ma questo non ci meraviglia, avendo egli impostato la vita su basi pra­tiche. Insomma il suo motto potrebbe essere questo: recitate bene la vo­stra parte nella commedia della vita: la parte della bontà è una delle più importanti: per essa come per tutte le altre vale questa avvertenza: si recita bene se si recita con convinzione e con costanza.

      In conclusione si tratta di un bene particolare, inteso con quella mentalità intelligente e liberale che è caratteristica degli uomini del Rinascimento: uomini di mondo e mondani, ma intelligentissimi e di ottimo gusto. Del resto non era forse incluso nel naturalismo il concetto che ogni individuo ha il diritto di utilizzare tutte le risorse che la natura met­te a sua disposizione, per potenziarsi e per affermarsi in modo da lascia­re un ricordo di sé ai posteri? Ma per quanto intelligente e di buon gusto l’egoismo è sempre egoismo e quando esso si afferma, muore l’ideale; e quando muore l’ideale muore la vita e muore anche la poesia che dalla vita trae l’alimento.

   Col Guicciardini cessa dunque il Rinascimento: il dinamismo, l’attività, l’esperienza, la creazione, tutto ormai appare vano; di questa verità si nota solo l’aspetto utilitario; l’utilità è ridotta ad egoismo; così lo spirito è ristretto in un mondo piccolo ed arido e non ha voglia neanche di cantare quella ristrettezza e quella aridità, perché è spirito rinascimentale e quindi non abituato a gemere. E così “beate moritur” come “beate vixit”, in armonia con il mondo classico del “bene beateque vivere et mori”.

   Chi si accorgerà di quel misero cerchio spirituale in cui si è indotto lo spirito rinascimentale e vorrà superarlo tra incertezza e gemiti, sarà il Tasso. Quel vivere “beate” o alla mondana è sempre bello; e il sacrificio eroico proposto dalla religione fuori di quel cerchio, per quanto bello è sempre sacrificio.

La storiografia nel concetto del Giuicciardini.

   Il Guicciardini è passato nella storia della letteratura italiana oltre che per i suoi “Ricordi” anche e soprattutto per la sua “Storia d’Italia” (che va dal 1492 al 1534 cioè dalla morte del Magnifico alla morte di Clemente VII) .

Ecco in generale i fattori che concorrono alla composizione di una storia:

– I fatti criticamente accertati.

– L’intreccio delle cause che hanno generato i fatti.

– Il quadro narrativo ossia la rappresentazione degli avvenimen­ti con tutti i

  legami di causalità che li intrecciano fra loro.

   Siccome l’arte è rappresentazione della vita, il fattore veramente artistico nel­la storiografia è l’ultimo dei tre citati, ossia è il quadro narrativo. In uno dei ricordi il Guicciardini lamenta che gli storici antichi abbiano parlato delle cose dei loro tempi trascurando di spiegare tante cose, quasi che gli ordinamenti dei Romani o dei Greci dovessero durare in eterno e fossero quindi intellegibili certi punti della loro storia anche a lettori di molti secoli più tardi. Ad esempio Tito Livio e gli storici Romani in generale non si sono mai sentiti in dovere di dirci quale fosse il potere e la vera natura della magistratura romana, quali fossero i costumi del mondo romano, quale fosse l’economia, ecc…: per cui oggi leggendo quelle storie noi non riusciamo a farci un concetto esatto delle situazioni generali del mondo romano nei vari momenti del suo divenire.

   Il Guicciardini, uomo pratico come è, vuole una storia concreta; uomo preciso e chiaro vuole una storia completa.

Storia concreta:

   Il Guicciardini intende la storia come rappresentazione degli avvenimenti colti nel loro divenire da quando queste o quelle cause li generano a quando altre cause ne determinano il tramonto. Fatti e cause sperimentali dei fatti rientrano nella storia intrecciati o meglio fusi in un quadro rappresentativo. Se la storia è questa sono anzitutto esclusi dalla storia i seguenti fattori:

– Il piano provvidenziale, gli interventi soprannaturali perché non si vedono e nessuno può dir mai nulla di sicuro intorno ad essi (la visione provvidenziale della storia tanto cara a S. Agostino, a S. Tommaso e a Dante viene decisamente svalutata come arbitraria e del tutto cervellotica).

–  I giudizi circa il modo con cui sono avvenuti i fatti e il valore di essi. Dire: “Se le cose non fossero andate così… sarebbero andate forse in que­sto modo”, significa non guardare ai fatti ma fare ipotesi irreali e fan­tastiche. Dire: “Questo uomo ha sbagliato agendo così”, significa quasi pretendere che quell’uomo avesse operato non come ha operato: una pretesa assur­da e quindi fuor di luogo. Ci si contenti di quello che le cause hanno dato e del modo con cui i fatti si sono svolti: tutto il resto è accesso­rio e inutile al fine della conoscenza dei fatti.

    Vediamo ora quali sono, secondo il Guicciardini, le cause più comuni e più decisive nella genesi dei fatti:

a-                   La psicologia umana, nella quale tutto è variabile, a seconda delle indoli e dell’educazione e dell’ambiente, salvo una costante eternamente invariabile: l’egoismo. Perciò il Guicciardini si è specializzato nella composizione dei cosiddetti ”ritratti” (ritratto di Clemente VII, Carlo V ecc.). In questi egli delinea l’indole, la mentalità, il contorname del personaggio, per poi vedere come l’egoismo si atteggia ora in questo, ora in quel modo, e dà origine ora a questa, ora a quella iniziativa.

b-                 Congiuntura fortuita di situazioni che si sono venute a creare inaspettatamente.

c-                  Fattori geografici, climatologici, metereologici che concorrono a favorire o a impedire lo sviluppo di una iniziativa.

d-        Certe abitudini e certi pregiudizi che dominano in un determinato luogo o ambiente e ad un certo momento influiscono decisamente sullo svi­luppo dei fatti.

   Poterebbe sembrare che, spogliata di quelle interpre­tazioni ideali che tanto piacciono ai grandi ingegni, non illuminata da nessuno di quei giudizi pratici e utili che erano tanto cari al Machiavelli, la storia del Guicciardini tutta nudo intreccio di cause e di fatti, non abbia nessuno interesse e sia priva di ogni senso drammatico.

   Potrebbe sembrare insomma che il Guicciardini abbia umiliato e svuota­to la storia, tanto più che la ha ricondotta ad una sorgente così misera qual è l’egoismo umano. E’ un’impressione falsa. L’egoismo sotto la spinta di mille fattori genera un’infinità di complicazioni, e quindi infit­tisce dello sviluppo del racconto; e siccome l’uomo non sente mai con tanta veemenza nessun ideale, come sente i suoi interessi, l’egoismo si ma­nifesta come fattore generativo della storia, ricco di drammaticità.

Così la storia, del Guicciardini risulta completa di quel che è necessario, priva di quello che non è necessario (così pensa lui).

   Quando infatti sono state esposte esaurientemente le cause generatrici dei fatti, quando di ogni causa è stata fatta un’illustrazione sufficiente, quando si è riusciti a cogliere ed a incarnare nella rappresentazione il tono ora tragico, ora comico ora umile, ora elevato negli avvenimenti umani, non c’è più nulla da aggiungere; ed anche i posteri possono star sicuri che riusciranno a capirci qualche cosa o almeno un po’ più di quanto capiscono nella storia degli antichi.

Stile del Guicciardini.

   Il procedimento che il Guicciardini segue nel comporre è quello del realismo ossia della aderenza ai fatti: nessuna complicazione teorica; nessuna intenzione di fare della scienza; nessun entusiasmo e nessuna inten­zione di entusiasmare. E’ un gentiluomo che parla di cose concrete con spirito di osservatore intelligentissimo e impassibile: il suo tono è calmo, le sue osservazioni sono ricche di buon senso e rispondono alla realtà dei fatti; i suoi consigli sembrano giusti perché dettati dall’esperien­za e verrebbe voglia di accettarli se egli stesso non ci dicesse che hanno poco valore perché nella vita ciò che insegna tutto è la discrezione.

   Lo possiamo, definire il pascià della cultura, smaliziato e galantuomo nello stesso tempo, acuto e bonario: un vero signore.

Peccato che sia troppo signore e poco uomo sebbene sotto quella appa­renza di calma e di dominio, egli stesso ci dice che c’è un senso che potrebbe saper di dramma: il senso della vanità di tutto.

Il linguaggio.

   Come è la spiritualità così sono la forma e il linguaggio. A spiritualità concreta, abbiamo visto che risponde una forma concreta: evidentemente ri­sponderà anche un linguaggio concreto, cioè ad ogni parola risponde una cosa.    

   A spiritualità non complicata abbiamo visto che corrisponde una forma lineare pur nella complessità: anche il linguaggio sarà dunque medio, cioè lontano sia dalle imprecisioni e approssimazioni caratteristiche della lingua familiare, sia dalle preziosità caratteristiche del linguaggio dotto. A spiritualità chiara risponderà anche un linguaggio chiaro, ossia facilmente intellegibile e certamente preciso.

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