Machiavelli Niccolò nelle lezioni del prof. Mancini don Dino a Fermo

NICCOLO’   MACHIAVELLI                              (1469-1527)

PERSONALITA’

Può essere definito il tecnico della politica: opponiamo alla parola tecnico la parola filosofo, nel senso che il tecnico procede in base a princi­pi sperimentali, il filosofo in base a principi teorici. Il Machiavelli fu il tecnico della politica specializzato particolarmente in tre settori:

– fondazione dello stato unitario e forte (principe).

– difesa dello stato (Arte della guerra, Dialoghi).

– evoluzione della vita dello stato (Discorsi sulla prima deca di Tito Livio).

Ambiente generale in cui vive il Machiavelli.

   E’ quello stesso in cui vive l’Ariosto: il Rinascimento maturo, l’età del­la concretezza, della intelligenza, dell’abilità, dell’armonia.

Di questo ambiente a noi interessa soprattutto, richiamare la mentalità e la prassi politica. L’Italia è divisa in svariate signorie e principati, i vari signori sono fra loro in rapporti di indifferenza sospettosa: ognuno pensa a sé e sta in guardia dei vicini, nessuno dei signori pensa ad una Italia unita e forte, e nessuno di essi sarebbe disposto a far sacrificio della propria autorità a vantaggio dell’intera nazione e del popolo italiano; Francia e Asburgo si contendono il dominio dell’Italia: serie interrotta solo dopo molto tempo di battaglie nella penisola; signori italiani che si alleano con lo straniero; danni materiali e morali causati dalle guerre al popolo italiano; atteggiamento di curiosità da parte delle masse nei confron­ti degli avvenimenti e incoscienza dei propri mali.

   L’Italia -dice il Machiavelli – nell’ultimo capitolo del “Principe” è al fondo dei guai: senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa, soggetta ad ogni sorta di  ruine.

Di fronte a questo insieme dell’Italia c’era il quadro delle nazioni uni­ficate e forti (le grandi monarchie occidentali: Spagna, Francia, Inghilterra, Germania). Dal confronto tra i due quadri il Machiavelli traeva questa conclusione: gli stranieri sono mille volte più poveri di risorse che gli italiani: tuttavia gli stranieri possono utilizzare le loro risorse modeste perché hanno raggiunto l’unità e l’unità organizza le forze e perciò ne centuplica gli effetti (l’unità fa la forza); gli italiani disuniti come sono non possono utilizzare le loro energie e perciò sono vittime dello straniero (la disunione svigorisce la forza).

Conclusione.

   La medicina per rimediare ai mali dell’Italia è una sola: l’unificazione o con la persuasione o con la forza: non essendo possibile con la persuasione si deve, realizzare con la forza.

Machiavelli ha avuto il merito di avere impostato bene il problema ita­liano (la soluzione è assai discutibile nei riguardi dei mezzi con cui realizzare l’unità). Ecco l’impostazione: per cacciare via gli stranieri dall’Italia, per serrare le frontiere, e quindi risparmiare agli Italiani quell’ingente massa di mali materiali e morali che ogni anno si riversano su di loro, è necessario essere forti ; ma siccome la forza è data dall’unio­ne anzi dall’unità, è assolutamente necessario procedere all’unificazione politica della penisola.

   Dante aveva propugnato la rinascita dell’Italia come nazione eletta nella compagine dell’impero. Il Petrarca aveva affermato che solo l’unifi­cazione avrebbe rimediato ai mali che già a suo tempo affliggevano l’Italia, tuttavia l’ostilità politica reciproca dei principi gli avevano fatto ca­pire che l’unificazione era impossibile e che perciò bisognava accontentar­si della unione morale ossia della concordia fra i signori (“io vo gridando: pace, pace, pace”).

   Il Machiavelli è il primo che valuta necessaria la unificazione politi­ca, non si lascia abbattere dalle difficoltà, ma formula un preciso program­ma per garantire il risultato finale.

Esperienze personali

   E’ anzitutto da notare che il Machiavelli ebbe dalla natura un’indole pratica: il mondo degli affari, non il mondo delle teorie lo attraeva.

Sin da giovane egli fu impiegato nel comune di Firenze (segretario dei nove della guerra) con l’incarico di organizzare un esercito cittadino.

   L’esercito fiorentino era l’unico che fosse formato di Italiani a ser­vizio di un lembo d’Italia: gli altri erano tutti eserciti mercenari a ser­vizio di Signori insensibili all’ideale patriottico. Nella repubblica Fio­rentina si aveva la sensazione di lavorare e di lottare per interessi esclusivamente italiani. Se questa sensazione non la ebbero tutti gli impie­gati della Repubblica, l’avrebbe certamente il Machiavelli, il quale, supe­rando la visione del piccolo stato democratico cui apparteneva vagheggiava un esercito nazionale a servizio di tutta la nazione. Tale sogno non svanì nel 1512 quando ritornarono in Firenze i Medici: quel sogno infatti costituiva la sostanza ossia il piano centrale della passione che il Machiavel­li nutriva per l’arte politica.

   Egli non fu un impiegato comune che esegue gli ordini altrui e limita il suo impegno al compimento più o meno scrupoloso del suo dovere: egli è soprattutto e anzitutto un pensatore un scienziato e gli incarichi co­stituiscono soltanto un mezzo o un’occasione per ampliare le sue esperien­ze. E’ per questo che quando veniva ambasciatore or qua, or là, al ritorno in Firenze stendeva le sue relazioni (Ritratti delle cose della Francia; Ritratti delle cose della Magna (Germania); Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli; Discorso sopra le cose di Pisa). Parlando delle sue meditazioni politiche nella lettera al Vettori, dice: “Mi pasco di quel cibo che solum è mio, e che io nacqui per lui” e altrove dice: “Quindici anni che io sono stato a studio dell’arte dello Stato, non li ho né dormiti né giocati”; udiamo in queste parole l’uomo di affari intelligente e appassionato.

   Quando ebbe la possibilità di avvicinare gli esponenti della politica di allora, si preoccupò di studiare il loro carattere, i loro metodi, i loro errori e la loro abilità. Non ci fu avvenimento in Italia e nell’Europa centro-occidentale di cui egli non si sia occupato in quanto rientrava nell’ambito del suo interesse di scienziato. Come i tecnici della meccanica seguirono con passione ogni scoperta, ogni applicazione nel campo che in­teressava loro, così avveniva per il Machiavelli nei riguardi della politica.

   Non solo i grandi fatti e i grandi uomini lo interessavano, ma anche i fatti piccoli e la psicologia della plebe. Relegato a S. Casciano , egli, come dice nella lettera al Vettori,“si rinvoltava intra quei pidocchi”, che erano gli abitanti del luogo con un evidente interesse e con un certo compiacimento: parlava con i boscaiuoli, si intratteneva con i passanti, giocava con il macellaio e due fornaciai; un motivo costante egli ritro­vava nella psicologia di questa gente: l’attaccamento al denaro. Una sola cosa non trovava: la passione per l’ideale sia esso patriottico o religio­so o di altro genere: per cui nel “Principe” dava questo principio e consigli “Tu, o principe, non colpire mai i tuoi sudditi negli interessi, semmai colpiscili nelle persone, perché gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre o della madre che la perdita dei beni”.

   La conoscenza della psicologia umana del volgo costituirà uno dei fattori più importanti su cui poggerà il Machiavelli nella formulazione dei suoi principi politici.

Ad esempio, quando nel 1494-95-96 Savonarola aveva in mano il dominio morale della città di Firenze, il Machiavelli rideva della fiducia di quel­l’uomo nei suoi seguaci. I seguaci di qualsiasi profeta sono capaci di tra­dire il loro capo quando intervengono altri interessi; per farli restare fedeli occorrerebbero le armi; di qui il principio: “I profeti armati fanno sempre trionfi, i disarmati hanno sempre fallito”.

   All’esperienza personale, acquisita cioè attraverso il contatto diretto con la vita e gli uomini del suo tempo, egli aggiunse il grande patrimo­nio di esperienza che viene a chi legge la storia.

Evidentemente la storia a cui egli si applicò con passione veramente eroica, fu quella romana: “Alla sera depongo le vesti sporche di fango ed entro nel mio studio a colloquio con i grandi uomini di Roma e li interrogo circa i modi delle loro azioni politiche”. Da queste meditazioni nacquero i Discorsi sulla prima deca di Tito Livio.

   Il Machiavelli si avvicina ai classici non per imparare da essi come si costruisce un periodo o si armonizza un verso, ma come si fonda e si mantiene uno stato forte. E’ un Umanesimo maturo intento cioè a cogliere i motivi della prassi ossia della vita nelle opere degli antichi, non le eleganze formali. L’autore prediletto del Machiavelli è Tito Livio.

Il metodo del Machiavelli.

Parleremo del metodo del Machiavelli nei riguardi di due problemi: nei riguardi del problema politico in generale; nei riguardi del problema italiano in particolare.

Metodo Dell’arte Politica In Generale

   Possiamo senz’altro definirlo metodo “effettuale” ossia pratico, basato sui fatti, e destinato a produrre risultati sicuri nel gioco della poli­tica concreta. Il metodo effettuale si oppone al metodo teorico: questo consiste nel formulare principi in base a ragionamenti condotti con proce­dimento deduttivo, e nell’applicare tali principi garantiti da ragionamento alle varie esigenze della vita vissuta; quello consiste nel formulare principi in base al dettato dell’esperienza e nell’applicare alla vita quelle norme che sono richieste dalle esigenze della vita stessa.

   Le norme teoriche della politica valgono per uomini politici che potes­sero vivere in un mondo modellata sulla teoria (cioè un mondo in cui tutti siano leali, generosi, fedeli al dovere, giusti); per il mondo della vita vissuta valgono solo i suggerimenti dell’esperienza (gli uomini politici, ad esempio, sono quasi tutti sleali; sii anche tu sleale; il popo­lo sta quieto solo quando si riesce ad intimorirlo; preferisci essere temu­to piuttosto che amato).

Il principio fondamentale del metodo effettuale è questo: ciò che è necessario per risolvere un problema è anche lecito e diventa norma d’azione (ad esempio, per risolvere il problema italiano è necessario far fuori tutti i principi italiani: questa strage, essendo necessaria diventa lecita e chi vuol fare l’unità d’Italia deve  seguire questa norma ossia questo procedimento).

    Ciò che applicato in determinate circostanze ha ripetutamente prodotto i  buoni risultati diventa norma di azione per chi, in circostanze analoghe, voglia raggiungere lo scopo. Insomma è da ritenersi procedimento buono (ossia è da assumersi come norma) quello che si presenta come necessario e che in circostanze analoghe anche nel passato ha dato risultati buoni.

Il secondo principio è questo: ciò che nella storia si ripete costante­mente ossia quel fattore che ritroviamo in più momenti e sempre con le stesse manifestazioni e con gli stessi risultati può diventare norma di azione per sempre in questo senso che la storia è maestra che fa conoscere certi procedimenti utili o nocivi quali si sono ripetuti tante volte e tante volte hanno prodotto gli stessi effetti. Tali procedimenti possono quindi diventare norma. Questo elevare a principio un procedimen­to che si ripete nella storia si chiama induzione o metodo induttivo.

   Per poter indurre un principio della storia è necessario che nella storia si ritrovi un fattore costante o fattore comune che possa essere elevato a norma esemplare.

Qual è questo fattore comune che il Machiavelli individua costante nel­la storia?

E’ la psicologia umana: possono cambiare le circostanze, ma l’uomo resta sempre lo stesso. In forza del permanere del fattore umano è possibile indurre dall’enorme varietà della storia principi generali ed universali.

   E’ il metodo sperimentale o induttivo creato dal Rinascimento (soprat­tutto difeso da Leonardo) che viene applicato alla politica.

Perciò la politica ossia l’arte di amministrare lo stato non trae più le norme dalla ragione e dalla religione come quando era una parte della Filosofia, ma trae solo norme dall’esperienza storica del presente e del passato. Così la politica cessa di essere una parte della filosofia e diventa una scienza sperimentale: una scienza politica a servizio di uomini che vivono nel mondo dei fatti, non nel mondo delle teorie.

   Un politico filosofo può dettare le norme per un principe filosofo, ma un principe filosofo in mezzo a principi politici e realisti è destinato a soccombere e quindi le norme gli sarebbero date solo per rovinarlo.

Una scienza politica pratica dunque ossia una tecnica politica, che trae le norme dalla prassi (metodo di agire) di tutti i tempi, per uomini poli­tici che operano nel campo degli affari.

   Come si vede la storia, in questa concezione politica, diventa il cam­po sperimentale o di osservazione, da cui il tecnico trae le norme genera­li da proporre agli uomini di affari. La storiografia non è, secondo la concezione del Machiavelli, narrazione dei fatti condotta dallo scrittore con abilità descrittiva per dare prova delle sue capacità artistiche: non è più una specie di poema epico in prosa, quale per la storia di Livio e quale era la storia trattata dagli umanisti, ma è rievocazione dei fatti nella loro sostanza e soprattutto è meditazione nel significato e nel va­lore di quei fatti, esame di essi per conoscere gli errori o le virtù (abilità degli uomini che nel corso dei secoli hanno avuto la responsabilità di fondare, conservare, potenziare uno stato).

   La storiografia come era intesa dagli umanisti dava allo scrittore la possibilità di far mostra della sua bravura nei più svariati generi lette­rari: infatti la rievocazione storica impegnava l’abilità descrittiva nel­la formazione del quadro di battaglie, di movimenti di eserciti, di assedi; impegnava l’abilità oratoria nella invenzione di discorsi che si suppone­vano fatti da questo o da quel personaggio;  impegnava spesso anche la capacita lirica, in quanto in certi passi lo scrittore interpretava gli stati d’animo di individui e di masse e interveniva egli stesso a com­mentare i fatti con effusioni appassionate. Narratore, oratore, lirico è lo storiografo umanista o alla Livio.

   La storiografia invece propugnata dal Machiavelli è soprattutto meditazione sui fatti.

Ad esempio, nel Principe egli fa le sue dimostrazioni non con ragionamenti, ma adducendo esempi storici. Supponiamo questo pro­blema: come si riesce a pacificare una popolazione turbolenta? Quali sono i mezzi da adottare? Guardate quale procedimento ha seguito il duca Valen­tino nel pacificare la Romagna e saprete come si doma una popolazione tur­bolenta. Il Machiavelli ha scritto una storia vera e propria: ” Le storie fiorentine “, ma è da notare che degli otto libri i primi quattro non so­no che una meditazione sulle varie costituzioni e i vari movimenti politici avvenuti in Firenze dall’origine del comune fino all’avvento di Cosimo dei Medici (1138), per far capire ai lettori come le varie vicende della città dovevano concludersi con l’instaurazione della Signoria. E il resto è utilizzato per mettere in evidenza come i Medici abbiano saputo sfruttare la situazione per affermarsi in Firenze. Ma l’opera che possiamo chiamare meditazione storica nel vero senso della parola sono i Discorsi sulla prima deca di Tito Livio.

   Il metodo di erigere a norma generale o a principio universale un’azio­ne che si è rivelata ricca di buoni effetti in ogni campo o in più campi ossia si è rivelata potenziatrice della vita individuale e collettiva, si chiama metodo pragmatistico (dal greco “prasso”= fare, agire); il pragma­tismo è un movimento filosofico sorto nelle nazioni anglosassoni (afferma­tosi specialmente in America alla fine del sec. XIX), la cui sostanza è questa: un principio è vero non quando è di evidenza razionale (che tutti i ragionamenti sono astratti), ma quando applicato alla vita riesce a po­tenziarla in modo eccellente. Ad esempio: è immortale o e mortale l’anima dell’uomo? Ci sono due procedimenti per dimostrarlo: il procedimento razi­onale teorico e il procedimento pratico o pragmatistico.

   Il primo, dicono i pragmatisti, lascia il tempo che trova e si conclu­de sempre con contraddizioni: cioè dopo aver ragionato, chi dice che l’ani­ma è mortale e che dice che è immortale.

   Il secondo tiene conto, dei risultati che possono derivare dall’applica­zione di due principi opposti: quali risultati si hanno nel complesso del vivere, supponendo che l’anima sia mortale? Quali risultati si hanno nel vivere supponendo che l’anima sia immortale? Se applicando la seconda ipotesi la vita ne risulta più potenziata, la seconda ipotesi è vera.

   E’ lecito, si domanda il Machiavelli, usare la frode in campo politico? Quando la frode è necessaria e ottiene buoni effetti e risparmia molti ma­li, è lecita (per ragionamento si dovrebbe concludere che non è mai lecita essendo intrinsecamente una cosa disonesta).

Un esempio: a Fabrizio che era in guerra con Pirro si presenta il me­dico di questi offrendo di uccidere il suo condottiero qualora gli fosse dato un compenso. Fabrizio, accettando, avrebbe concluso in un batter d’occhio la guerra: non lo fece perché la frode gli appariva disonesta. Fu un male perché i Romani dovettero combattere altre battaglie, perdere uomini, sprecare danaro, procurare infiniti mali alle popolazioni, ecc… .

Il metodo per la soluzione del problema italiano.

1.Si parte da questo principio: “salus publica suprema lex”.

   Se la salvezza pubblica è legge suprema ogni altra legge viene meno (religiosa, morale, umana)   di fronte ad essa: “La patria si deve difende­re o con ignominia o con gloria ; e in qualunque modo è ben difesa.

   Infatti quando si tratta della salvezza della patria, non si deve fare, alcuna considerazione né di giusto né di ingiusto, né di pietoso né di crudele, né di laudabile né di ignominioso, ma, messo da parte ogni altro criterio, si deve seguire quel partito che salvi la vita e le mantenga la libertà”. (Dai Discorsi).

   Il bene pubblico è un fine per raggiungere il quale si può e si deve adottare qualsiasi mezzo.

      2.  La salvezza dell’Italia si potrà ottenere solo con la unificazione.

   Alla unificazione bisogna giungere con qualsiasi mezzo. Se è necessario; vivere qualche giorno da diavoli per garantire un futuro di benessere spi­rituale e materiale, non ci si deve rifiutare a vivere in modo infernale (in una lettera al Guicciardini il Machiavelli scherzando diceva che la migliore strada per andare in Paradiso è quella che passa attraverso l’Inferno).

   Oggi – dice il Machiavelli – si verifica questo stato di cose: guerre sopra guerre; con le guerre rovine materiali e morali. Perché dichiarare illecito l’uso di qualsiasi mezzo energico per unificare l’Italia e quindi liberarsi una buona volta da tutti quei mali? Per l’Italia ci vuole un chirurgo spietato che per qualche giorno si dimentichi di avere un cuore umano, di avere una religione, una morale e pensi soltanto ad essere un bravo chirurgo.

3. Ecco i mezzi per giungere alla fondazione di uno stato unitario e forte in  

 Italia. Secondo il Machiavelli le vie da seguire possono esse­re due: quella della   persuasione e quella della forza: o tutti i principi per amore dell’Italia convinti   di dover compiere una rinuncia per il bene di tutti, cedono il loro potere ad uno solo o un principe facendo uso di tutti i mezzi suggeriti dalla esperienza e dalla sua abilità o virtù eli­mina tutti i colleghi e si afferma unico signore d’Italia.

La via della persuasione è impossibile perché gli uomini sono costi­tuzionalmente egoisti: nessun principe cederebbe il suo potere per il be­ne della nazione. Non resta allora che la via della forza (così Luigi XI ha unificato la Francia); lungo la via della forza è necessario far uso di questi mezzi:

 a)-  Un esercito ben organizzato (cioè secondo gli ordinamenti migliori cre­ati dai   Greci (falange), dai Romani (legione), dagli svizzeri (battaglio­ne); un esercito costituito di cittadini e non di mercenari, un esercito nazionale insomma, perché chi combatte per la sua patria è ben diverso di chi combatte per il danaro; un esercito feroce, cioè animato di una audacia che passi sopra a tutto pur di raggiungere la vittoria.    

b)- L’astuzia che risparmia perdite di tempo e soprattutto di energie (ricordare l’eccidio di Senigallia lodato dal Machiavelli).

c)- Potenziamento e utilizzazione di tutte le risorse psicologiche che rendono i cittadini spregiudicati e feroci: soprattutto utilizzazione dell’avarizia e della lussuria, che sono innate nell’uomo. Un soldato avido e lussurioso nell’assalto alle città non indietreggerà di fronte a nessun pericolo perché sa che cosa può trovare nella città conquistata. La re­ligione Cristiana è poco adatta a formare il soldato fiero: è meglio quella pagana (primo libro dei Discorsi).

   Il compito del principe non è quello di favorire l’elevazione morale dei cittadini, ma quello di rendere solido e inattaccabile l’organismo dello Stato: l’abilità del Principe e le risorse dei cittadini sono al servi­zio di questo ente assoluto che si chiama Stato. Il Principe dirige tutto il complesso delle attività che sono dirette alla creazione e alla forti­ficazione dello Stato: a lui come capo spetta la iniziativa e, come è natu­rale, anche la gloria del successo.

   Il popolo non è una massa da educare, né il Principe un educatore: il popolo è una forza da utilizzare e il Principe deve individuare le risor­se guerresche o bellicose del popolo, deve alimentarle e deve saper utilizzarle, anche se si tratta di passioni moralmente deplorevoli: l’essenziale è che siano utili. Il popolo dunque non conta nulla nella teoria politica del Machiavelli. Finché si tratta di risolvere il problema della unificazione del popolo italiano e della formazione dello stato forte, l’iniziativa spetta solo al principe: anche i Romani allorché urgeva un problema gravissimo affidavano il potere ad uno solo, cioè al dittatore.

   Ma quando lo Stato forte si è costituito e si è ben avviato, è bene che anche il popolo sia chiamato a partecipare alla vita pubblica. Quindi dittatura assoluta nella fase della formazione dello Stato con il diritto per il principe di ricorrere a qualsiasi mezzo; dittatura moderata, una volta che lo Stato sia avviato, e uso di criteri più umani, più democratici.

d)- Spregiudicatezza morale. 

Chi deve risolvere un problema gravissimo di natura politica, in cui è in gioco il bene di tutti, non deve avere scrupoli. Lo scrupolo genera incertezza mentre in momenti difficili bisogna agire con decisione. Il Principe liberatore stia tranquillo in coscienza, perché in politica ciò che è necessario è anche lecito; perché anche gli altri principi usano sistemi sleali; perché se la teoria è bella, bisogna pur riconoscere che la pratica è del tutta diversa dalla teoria e quindi esige norme particolari.

e)- Utilizzazione della fortuna.

Il Machiavelli parla della fortuna nel capitolo XXIV del “Principe”. Da uomo del Rinascimento maturo, egli concepisce la fortuna in modo net­tamente realistico. Dante pensava che la fortuna fosse una ministra della Provvidenza, alle cui decisioni è impossibile contrastare. L’Alberti pen­sava che l’uomo abbia la capacità di domare la fortuna (Rinascimento giovanile e quindi ottimista). Il Machiavelli pensa che alla fortuna, cioè alla situazione impossibile a prevedersi, bisogna prepararsi con un buon esercizio di audacia e di prudenza: quando è favorevole, bisogna sfruttarla fino in fondo, con estrema decisione; quando è sfavorevole bisogna essere prudenti, aver pazienza, in attesa che venga il momento buono.

Ad ogni modo quando si formula un piano di azione è necessario prevedere anche i fattori sfavorevoli che potrebbero sbarrare il cammino per volontà della fortuna. Il duca Valentino aveva condotto quasi a conclu­sione il suo piano di unificazione dello stato pontificio; quando era nel più bello, morì il babbo suo Alessandro VI ed egli non aveva preveduto questa possibilità, e dovette assistere alla dissoluzione quasi improvvisa del suo piano.

f)- Utilizzazione dell’esempio altrui.

Di qui la necessità che il principe conosca bene il mondo in cui vive e il mondo in cui hanno operato i grandi del passato, ossia è necessario che egli conosca bene la storia del tempo suo e la storia antica.

La forma del Machiavelli.

   La spiritualità del Machiavelli, come s’è visto, è solida chiara e ap­passionata. Solida perché poggia sull’esperienza ed è tutta riversata sulla prassi degli affari. Chiara perché domina la materia con la padronanza del tecnico intelligente ed esperto. Appassionata perché il mondo degli affari costituisce la sostanza del suo vivere: fuori di quel mondo egli ha l’impressione di morire. Su tutti i grandi scrittori la forma è strettamente connessa con la spiritualità, ossia è il modo con cui la spiritualità stessa si sviluppa; solo gli scrittori minori prendono in presti­to la forma da questo o da quell’indirizzo letterario, non essendo capaci di crearne una propria. Quindi, in corrispondenza con la spiritualità, la forma del Machiavelli sarà concreta, chiara e appassionata:

a)- Concreta. Egli procede nelle sue dimostrazioni non in modo astratto, cioè con argomenti teorici-razionali, ma adducendo di continuo i fatti co­me prova delle sue asserzioni. E’ un modo di dimostrare proprio degli uo­mini di affari, assai interessante, perché strettamente legato con la vi­ta, quel continuo rifarsi alla storia, alla psicologia umana, alla sua esperienza personale conferisce al trattato (che di per sé è pesante e noioso e interessa soltanto gli specialisti) un interesse vitale che attrae l’at­tenzione anche della gente la quale non si interessa di politica. L’astrattezza propria del trattato che in genere procede col metodo espositivo e razionale o scientifico (pensare ad un trattato di Fisica o di Filosofia), è superata trionfalmente dal Machiavelli, perché egli tras­ferisce nella sua esposizione la vita vissuta e i principi vengono enun­ciati dopo l’esame della vita, dopo la critica, dopo la polemica e assumo­no quindi il significato non di un pensiero astratto, ma di uno stile di azione. Abolisce i principi astratti o teorici, sostituisce ad essi i prin­cipi concreti o indotti dalla esperienza; e sono talmente collegati con la vita che non sembrano principi ma forme del vivere.

b)- Chiara. Il Machiavelli procede con la precisione del tecnico a cui non è ignoto alcun segreto della sua arte. Perciò quando dimostra esemplificando ovvero conclude una meditazione, si nota nella sua indagine la precisi­one del richiamo e della formulazione del principio.

Sono note le sue sentenze decise e vibrate: “I profeti armati trionfa­no, i profeti disarmati ruinano”; “Chi vuol fare la parte di buono infra tanti cattivi conviene che ruini”. “Questo si può dire degli uomini: che sono cupidi, avidi di guadagno, fedeli quando li benefichi, sleali quando li metti alla prova”; “I problemi che riguardano la salvezza della patria non ammettono altro criterio di soluzione che quello della salvezza di lei”.

c)- Appassionata. Alla esposizione interessante per la sua adesione alla psicologia umana e alla prassi della storia, il Machiavelli aggiunge sem­pre il commento suo appassionato: appassionato della sua arte, appassionato della sua patria. Di qui il lirismo che pervade particolarmente il Principe e i Discorsi, che sono tra le sue meditazioni quelle più profonde e più sentite.

Il linguaggio del Machiavelli.

   Parlando del linguaggio che egli adotterà nel Principe, dice così: “La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausole ampie (cioè di periodi chiusi secondo un procedimento ritmico costante) o di parole ampullose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio (attrattiva) o ornamento estrinseco, con le quali molti sogliono le loro cose descrivere e ornare perché io ho voluto che veruna cosa solamente la varietà della materia e la rarità del soggetto la faccia gradita”.   Si nota in queste pa­role la mentalità dell’uomo di affari per il quale la parola non ha funzi­one decorativa, ma funzione utilitaria, cioè serve ad esprimere il concet­to con chiarezza e precisione. Di qui il linguaggio del Machiavelli logico, preciso, chiaro, essenziale.

a)- LOGICO. Il periodo è di straordinaria complessità, molto simile a quello latino per la struttura (perché il periodo latino è di una straor­dinaria architettura logica, cioè strutturato secondo la funzione principa­le o secondaria dei concetti in esso espressi): tale periodo si adatta egregiamente alla struttura salda del suo ragionamento sostanziato di fat­ti e di riflessioni. Il vocabolario talvolta è desunto dal fiorentino vi­vo, quasi familiare; altre volte è desunto dal vocabolario latino: le forme vive sono richieste dalla sua spiritualità di uomo di affari; le forme dotte sono richieste dalla sua spiritualità di scienziato.

b)- PRECISO. E’ proprio dei tecnici la precisione dei termini. Abituati come sono a veder chiaro nei fatti e nelle idee, quasi per istinto ricer­cano la parola che dice e non la parola che suona.

c)- CHIARO. Nonostante la complessità, il linguaggio del Machiavelli è abbastanza chiaro, perché riflette una spiritualità la quale, se è complessa, non è certo complicata o artificiosa.

d)- ESSENZIALE.  Gli uomini di affari non hanno tempo da perdere; perciò le belle parole, i giochi di abbellimento del discorso, le frasi condite, non sono ad essi abituali: le parole sono tante quante se ne richiedono per esporre con precisione e con chiarezza.

Forma Essenziale

Il Machiavelli ha la mentalità dello scienziato e dell’uomo di affari; perciò dai suoi ragionamenti esulano le considerazioni dottrinarie, le divagazioni artistiche.

Non si trova mai infatti nel Machiavelli un’impostazione dottrinaria o un’argomentazione sottile, che gli procuri la fama di filosofo: non solo non aspira a questa fama, la detesta perché chi è filosofo nella vita pra­tica “ruina”. Similmente non si trovano nel Machiavelli le belle descrizioni che tanto piacciono agli umanisti: le belle descrizioni egli le lascia agli oziosi, a quelli che vogliono interessare più con le chiacchiere che con i fatti. Eliminate le divagazioni dottrinali, eliminati i pezzi di bravura descrittiva, resta un procedimento essenziale, cioè una dimostrazione per fatti e per idee concrete.

Conclusione.

   Il Machiavelli, autore di trattati, viene citato nella storia della Letteratura Italiana, ossia nella storia dei grandi scrittori, ossia dei poeti. Poesia infatti significa composizione bella; e siccome la composi­zione può essere in verso o in prosa, nulla impedisce che sia chiamato poetico anche un trattato.

Sembrava che il trattato fosse eternamente escluso dal mondo della poesia, a causa proprio della sua natura: cioè di opera espositiva e non rap­presentativa, cioè di opera che ragiona e non descrive.

   Il pensare che il trattato non possa mai giungere al piano dell’arte non è giustificato in nessun modo, anzi è collegato con un pregiudizio: cioè che sia poeta solo chi narra o descrive o esprime con immediatezza lirica i suoi stati d’animo. Poesia consiste nel dire bene quello che si deve dire per illustrare a fondo la vita o il significato di un motivo.

E’ poeta l’oratore che con concretezza, con chiarezza, con precisione esprime i concetti e i sentimenti che meglio incarnano il significato del tema che tratta.

   Non è detto perciò che non possa far poesia anche uno scienziato o un politico: l’essenziale è che dica cose profonde e le dica bene.

Possiamo allora senz’altro definire il Machiavelli poeta degli affari politici, poeta della scienza politica e della passione patriottica.

Riflessi del Rinascimento nel pensiero del Machiavelli.

a)- La concretezza dell’indagine che si manifesta nel proposito di abo­lire i principi teorici e di sostituirli con principi pratici.

b)- Il gusto per la costruzione grandiosa e armonica che si manifesta nella figurazione machiavellica dello Stato unitario e forte.

c)- Il concetto di virtù inteso come abilità.

d)- La distinzione tra morale teorica e morale pratica.

e)- La sopraelevazione delle attività terrene quasi che il fine della vita si limiti all’altezza terrena.

f)- Il riflesso dell’umanesimo maturo che tende a trarre dagli antichi oltre che lo stile solido e chiaro anche e soprattutto le norme del vivere.

g)- La tendenza ad affermare la personalità forte che nel Machiavelli si concreta nella personalità del Principe e nella personalità quasi divi­na dello Stato nazionale.

h)- L’utilitarismo che nel Machiavelli è elevato a norma suprema nel campo della vita politica (utilitarismo pubblico).

Giudizio intorno al Machiavelli.

   Il Machiavelli è stato considerato maestro indiscusso da tutti i soste­nitori dello Stato etico (cioè dello Stato concepito come fonte di dirit­to morale, ossia dello Stato che, ente assoluto non ricava norma né dalla religione, né dalla morale, né dalla Filosofia, ma crea la norma di azione in base ai suoi bisogni e ai suoi interessi):

1. Anzitutto notiamo che non sono i cittadini per lo stato, ma lo stato per i cittadini: il fine dell’uomo non è quello di contribuire solo ed uni­camente al potenziamento dello stato, ma è soprattutto quello di realizzare il suo perfezionamento attraverso la sua elevazione materiale e spirituale e perciò lo stato non può e non deve considerare i cittadini come mezzo per realizzare il suo potenziamento, ma deve considerarsi come saggio amministratore dei beni morali e materiali di essi.

   Pensare che il Principe debba svolgere semplicemente una funzione mi­litare e non abbia invece anche una funzione educativa significa valorizzare il Principe militarista, considerare l’azione come una caserma, e negargli quella mirabile caratteristica umana di saggio amministratore dei beni della nazione. Con questo non si vuol dire che il compito di fortifi­care o difendere lo stato non sia uno dei più importanti tra quelli che aspet­tano al Principe, si vuol soltanto dire che oltre a quello ce ne sono an­che altri: provvedere all’istruzione del popolo, promuovere le arti, favorire le attività economiche.  

   Qualcuno potrebbe dire che il Machiavelli non nega che il Principe debba esercitare anche questa attività o meglio che, una volta garantita la sicurezza dello Stato siano queste le atti­vità che il Principe deve esercitare. Ma a dire il vero su queste attività il Machiavelli insiste poco e se talvolta ne parla, lo accenna solo come attività secondaria destinata ad affinare e a rinforzare l’attività prin­cipale che è quella militare ad esempio: il primo libro dei Discorsi, par­lando della Religione egli afferma che non la religione vera deve essere favorita dal Principe, ma quella che meglio contribuisce a creare il sol­dato indomito e fiero; per cui pur avendo belle parole per la Religione Cristiana, alla fine viene a concludere che per uno Stato forte è prefe­ribile la religione pagana.

2. Il Machiavelli sembra spesso confondere l’energia con la crudeltà, la prudenza con l’astuzia, la forza con la violenza. Ad esempio esaminando il problema se il Principe debba preferire essere amato o essere temuto essere umano o essere crudele, egli dice senz’altro che è bene essere temuto e crudele: non sarebbe meglio dire che deve essere energico, perché in verità senza energia non si riesce a mantenere la disciplina.

   Un altro esempio: egli dice che vivendo il Principe in un mondo di sleali deve essere anche egli sleale: non sarebbe meglio dire che vivendo in un mondo di sleali è opportuno e doveroso essere prudente?

3. Qualcuno afferma che il Machiavelli è un personaggio tragico: si porterebbe infatti, secondo costoro, nell’animo suo un drammatico disagio, dovuto alla necessità di dover scegliere non quello che si dovrebbe fare, ma quello che si fa, non per norma morale a cui egli sinceramente crede, ma la norma imposta dal duro gioco della vita.

Insomma il Machiavelli sarebbe una specie di eroe che appassionato del­l’ideale, ma costretto per il bene della patria a scegliere la norma del­l’utile ad ogni costo, potrebbe paragonarsi a Bruto Maggiore che repres­se il suo sentimento di padre e fece prevalere, drammaticamente, il suo sentimento di romano. A questa affermazione rispondiamo che il Machiavelli in nessun passo della sua opera rivela questo disagio: anzi si compiace (vedi cap. XV) di sostituire al metodo della teoria la lui svalutato come vano ed ozioso il metodo effettuale non quello che si dovrebbe fare, ma quello che comunemente si fa, deve regolare la prassi. Questa compiacenza assai evidente smentisce il sospetto di qualsiasi crisi nell’animo del Machiavelli.

 4. Esaminiamo in particolare il modo con cui egli risolve il problema italiano. Parte dal principio: “Salus publica suprema lex” (che viene specificato in quella affermazione: per la salvezza ogni mezzo è lecito): principio sbagliato, perché lo Stato è un ente assoluto come si è detto nel primo punto: prima dello Stato c’è l’uomo e prima dell’uomo c’è Dio che ha stabilito un ordine morale che bisogna rispettare. Egli afferma che per risolvere il problema italiano non ci sono che due mezzi: o quello di persuadere i principi a cedere l’autorità ad uno solo (e questo egli lo scarta perché il metodo della persuasione è infruttuoso a causa dell’egoismo umano) o quello della violenza e dell’astuzia. A questa affermazione notiamo:

a)- anzitutto è ingenuo pensare che i vari principi italiani vedendo il Principe liberatore eliminare uno dopo l’altro i suoi colleghi, avreb­bero atteso tranquillamente il loro turno; e non piuttosto sarebbero col­legati tra di loro magari con gli stranieri contro di lui;

b)- in secondo luogo è inesatto (e glielo farà notare il Guicciardini) paragonare il compito di un principe italiano a quello di Luigi XI che in Francia instaurò l’unità dell’assolutismo. Luigi XI salì al potere al termine della guerra dei cento anni: da cento anni in Francia c’era un esercito nazionale, per cento anni i Francesi avevano combattuto per la patria e quindi avevano già una coscienza nazionale; e al termine della guerra la maggior parte dei feudatari o erano morti o erano in miseria. In Italia invece si doveva cominciare tutto da capo. Dunque il paragone non tiene;

c)- in terzo luogo tra le vie proposte dal Machiavelli ve ne è un’altra: quella di diffondere in mezzo al popolo l’idea dell’unità, di creare in esso una coscienza nazionale.

E questo compito spettava proprio agli scrittori, ma a quel tempo gli scrittori erano al servizio dei principi: Machiavelli stesso era al servi­zio dei grandi e considerava il popolo come volgo.

       Nell’ottocento quando si decise di   realizzare il progetto dell’unifi­cazione dell’Italia gli scrittori uscirono dalle corti, dalle Accademie, dai circoli letterari e scesero in mezzo al popolo: i romantici rinuncia­rono alla gloria di scriver bene e si contentarono di scrivere in modo comprensibile ai lettori di media cultura cioè al popolo. E quando il popolo entrò, nella storia, il progetto dell’unificazione dell’Italia fu realizzato.

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