PETRITOLI di Gabriele NEPI autore

PETRITOLI di Gabriele NEPI

Lo Stemma. Cornice aurea in cima alla quale si mette un cimelio. Fondo rosso cupo. Stella e fascia bianche pietre di forma prismatica e di colore rubino. Monti e terreno verdi. (Descrizione ricavata dalle”Catasto della Communità di Petritoli”, compilato dal perito catastriere  Mandolesi Pietro nell’anno 1783).

I cenni storici

Petritoli occupa un posto molto importante nella storia medievale del Fermano. Le sue ”Memorie storiche e statistiche“  furono pubblicate da Luigi Mannocchi a Fermo nel 1889.  Egli fu uno dei più grandi folcloristi del Piceno (1). le Memorie furono seguite più tardi da “Alcuni Documenti storici della terra di Petritoli(2), che egli inizia dal 1537 e si riferisce solo al materiale documentale trovato nell’Archivio Comunale, ignorando quello esistente nell’Archivio Diplomatico di Fermo.

È opinione comune che Petritoli sia stato fondato dai monaci farfensi ai primi del X secolo (3), i quali arricchirono la zona di paesi e conventi. Ad uno di tali paesi diedero il nome di Castel Rodolfo forse perché un certo Rodolfo era il padrone di un vasto territorio che, con ogni probabilità, donò ai monaci stessi (4).

Ma il Praesidatus farfensis e il governo dei monaci furono soltanto una breve parentesi nella storia: verso la fine dello stesso secolo, come afferma il Gattula nella sua “Storia di Montecassino”, il Castello aveva già mutato il suo antico nome in quello attuale di Petritoli (5).

L’origine della seconda donazione è anch’essa incerta, ma secondo antiche tradizioni, agli abitanti di Castel Rodolfo si sarebbero uniti gli abitanti di tre villaggi circonvicini, Petronia, Petrosa e Petrollavia, per ragioni di sicurezza in quei tempi di guerre. I titoli di questi tre antichi castelli rimangono ancora nella toponomastica delle tre vie che formano il corso principale del paese.

Il ricordo dell’unione dei tre castelli sarebbe stata tramandata anche dallo stemma comunale che reca appunto nel campo tre pietre poste in linea orizzontale.

Cessato il dominio farfense, Petritoli divenne autonomo, passando quindi, per breve tempo, sotto il dominio di Transerico, barone Saltariccia che nel 1060 si sposò con una donna della potente famiglia di Brunforte (6). Nel 1095 lo stesso Transerico donò il castello ad Ermanno vescovo di Fermo, insieme a quelli, ora scomparsi, di Saltarecchio e S.Angelo in Plano, presso il fiume Aso, dove risiedevano appunto i benedettini farfensi. Tuttavia non è ben chiaro se Petritoli fu donato per intero al Vescovo (7).

Nel 1198 il Pontefice Innocenzo III, riconfermava ai farfensi il possesso di tutti i beni e di tutti i castelli già in loro possesso, tra i quali era anche compreso Petritoli (8).

Per Petritoli, nel 1234, sorse una breve, ma seria disputa della quale non troviamo precisata l’entità, fra il  Praepositus della Chiesa di S.Giovanni ed il Vescovo Filippo (9). Sembra che in questo tempo Petritoli sia tornato a reggersi a libero Comune sotto l’alta protezione della Santa Sede, governandosi con particolari Statuti autonomi, avendo sotto di sé alcune ville adiacenti (10).

Ma l’imperatore Federico II (+ 1250) durante un suo viaggio in Italia lo sottomise a Fermo (11). Il castello sostenne un altro assedio dal figlio Manfredi. Ripatransone, Grottammare, Massignano, Montefalcone, Monturano, Torre San Patrizio, Marano, e Petritoli, nel 1258 tutti questi paesi furono assoggettati a Fermo (12). Da questo momento il paese segue le sorti di Fermo che si preoccupò di fortificarlo e proteggerlo.

Il 20 maggio 1345 Petritoli fu assediato da Carlo Malatesta e gli abitanti, attendendo invano l’aiuto dei Fermani, con gran valore riuscirono a resistere per ben otto giorni, dovendo infine arrendersi dinanzi alle forze del nemico (13). Il popolo non si era ancora riavuto completamente dalla sconfitta quando nel 1351 dovette difendersi dagli ascolani guidati dal generale Galeotto. Dopo molti anni di accanita difesa, gli abitanti di Petritoli furono costretti nuovamente a cedere, lasciando le case, i beni e le loro stesse donne nelle mani e i nemici (14).

Nel 1374 il paese fu di nuovo sconvolto, ma questa volta da una grande carestia, come documentano le cronache del fermano Anton di Nicolò (15). Nel 1382, come documentano i libri né dei Consigli, a tale Giovanni di Cola, signore di Campara, esiliato per ordine di Giovanni  Campi, capitano del popolo di Fermo fu concesso di rimpatriare a Petritoli, a patto che vendesse ai Fermani le case che possedevano nel poggio di Camporo, ed ai petritolesi le aree delle case possedute a Petritoli (16). Tali aree fabbricabili corrispondevano all’attuale “Borgo Vecchio”, dove i cittadini costruirono una fortezza della quale rimangono ancora tracce.

L’odio contro Fermo e la sete di libertà fece scoppiare una sommossa contro i Priori della Città dominatrice nel 1394, ma fu domata soprattutto con esili, eccidi, specie tra i caporioni (17).

Il costante attaccamento alla Santa Sede faceva ben sperare che un giorno i Petritolesi avrebbero spezzato le catene secolari, ma il paese fu vittima di tutti i tiranni che in quel periodo si impadronirono di Fermo.

Cosimo Migliorati, eletto papa col nome di Innocenzo VII, donò la Signoria fermana col la Marca di Ancona, al nipote Ludovico Migliorati. Ma il successore Gregorio XII, con l’aiuto di Benedetto, vescovo di Montefeltro, o di Sarzana come fu denominato da altri, cercò di togliergli la Signoria. Il Migliorati si alleò con Ladislao, re di Napoli, dal quale ebbe aiuto. I Petritolesi, il 7 febbraio 1405, alleati con il Vice Legato della Marca, introdussero nel castello le milizie della Chiesa per potersi liberare dal vecchio tiranno. Ma anche il nuovo tentativo fu inutile poiché si concluse con danni ed eccidi (18). Il Papa allora mandò in aiuto al suo Legato Chiavelli di Fabriano, Braccio di Perugia e Rodolfo di Camerino, i quali assediarono Fermo e cacciarono il tiranno che nel 1407 era stato a Petritoli che aveva tentato di ribellarsi. Dal castello espugnato, portò via, con un ricco bottino, molti prigionieri (19). Deposto dal Conciliabolo di Pisa Gregorio XII, il successore Alessandro V confermò al Migliorati i suoi domini.

Il 10 febbraio le schiere di Martino di Faenza, di stanza a San Severino, piombarono a Petritoli dopo avere scorrazzato nel territorio di Mogliano, depredarono il territorio petritolese, catturando molti prigionieri (20). Il 26 maggio 1413 anche Paolo Orsini scorrazzò nel territorio di Petritoli con le sue truppe (21).

Come si può ben vedere, Petritoli dovette guardarsi non solo dal Migliorati ma anche dalle varie compagnie di ventura che continamente infestavano il Piceno. Dopo che il Migliorati si riconciliò con la Chiesa, i Petritolesi sperarono di vivere in pace, ma la loro speranza fu vana. Il tiranno dovette infatti lottare con Carlo Malatesta di Cesena, fautore del deposto Gregorio XII, il quale giunge proprio sotto le mura di Petritoli il 17 maggio 1415, espugnandolo e saccheggiandolo malgrado l’accanita resistenza degli abitanti (22).

Dopo aver depredato il paese corse a saccheggiare Castelletta (23). I vincitori, dopo altre scorrerie, nel 1416, occuparono la torre di Montone che a Fermo serviva di vedetta, poiché domina un vasto orizzonte (24). Nello stesso anno, il Migliorati aveva riconquistato tutto lo Stato Fermano, riparando così i castelli danneggiati dalle invasioni. Ma le scorrerie non erano terminate, poiché i castelli furono attaccati da Braccio di Perugia che nel 1422, ritornando dalla ben nota impresa nelle Puglie, e nel 1434 da Nicolò Piccinino che, fra Monsampietro e Montegranaro, faceva buona guardia a Francesco Sforza, il quale già nel 1433 si era impadronito di Fermo (25).

Fra le tasse inflitte dal Fermo ai sudditi, vi era quella del “fuoco” o dazio focolare (il focatico). I Petritolesi ricorsero allo Sforza per essere esentati (26). Ma il nuovo padrone fu sordo ai reclami, anzi, nell’anno seguente, marciando contro Camerino, i Petritolesi furono obbligati ad unirsi all’esercito dello Sforza rimanendo vicino al 1442, anno in cui fu espugnato Ripatransone. Dopo questa impresa ricca di bottino, l’esercito sostò tre giorni nel nostro paese, esigendo dalla popolazione, ridotta in miseria dalla grandine che, due anni prima aveva devastato il territorio, vitto e alloggio (27).

Come se le disgrazie non bastassero, Pietro – bramoso generale di Alessandro Sforza, che governava Fermo in qualità di luogotenente del fratello, impegnato in altre imprese militari – assalì saccheggiò Petritoli nel 1445 (28). Per l’amore di libertà e indipendenza, il paese fu di nuovo attaccato nelle 1446 dagli eserciti della Chiesa, stanziati nel Tolentinese (29).

Il ‘500 fu per Petritoli un “secolo di infamia, di delitti e di immensi danni”. Un manto nero copre quest’epoca di terribili patimenti, in mezzo a cui risplende una aureola di coraggio senza pari, dovuto alle donne, che seppero eguagliare l’anconetana eroina Stamura e la Giuditta degli ebrei. Ed accenneremo per primo a Carlo Baroncelli da Offida , fuoriuscito e ribelle al Papa, che incendiò e quasi distrusse Petritoli, penetrando altresì nei templi con le armi fumanti di sangue…. (30). Il paese fu quasi sempre funestato da discordie interne, tanto che nel 1508, poco dopo essere stato ricostruito, vi scoppiò una sommossa e Fermo, dopo averlo pacificato, vi eresse una nuova fortezza con presidio e Castellano (31). Da ciò scaturirono condanne ed altre pene, ma Leone X, per rimediare, proibì ai Priori di Fermo, sotto pena di 1000 ducati d’oro, di eseguire ulteriori condanne (32). Poi il fermano Gianfilippo Guerrieri, si unì al Colonna ed il 14 agosto 1515 occupò con 500 fanti e 60 cavalli e tenne per due giorni la città natale. Obbligato infine ad uscire, e battuto, si alleò col perugino Carlo Baglioni, capitano dei Colonna e sostenitore di Ludovico Eufreducci, il quale era entrato a Fermo, commettendo i più atroci delitti.

Petritoli, approfittando di quei torbidi,  riuscì ad evitare l’abbattimento della nuova rocca (33).

Carlo Baglioni, che devastava tutto il fermano, incendiò nuovamente Petritoli il 25 giugno 1517 (34). In seguito Nicolò, fratello di Battista  Guerrieri, si mise a capo dei Guelfi e con Sciarra Colonna mosse contro Petritoli nel 1527 occupandolo e saccheggiandolo ancora una volta (35).

Dieci anni dopo il paese, non ancora completamente restaurato, fu di nuovo devastato dal passaggio delle truppe francesi, guidate da Lautrec de Foi, che si avviavano a conquistare il Regno di Napoli. Irritatisi dalle eccessive pretese dei soldati, i cittadini ricorsero alle armi. Ma furono sopraffatti dal numero. Le donne, con raro coraggio, si unirono agli uomini e gettarono dalle mura pietre, mobili e cenere, arrestando per un po’ l’impeto degli assalitori. In un assalto, anzi, li costrinsero a riprendere la loro marcia verso il mezzogiorno. La vittoria fu attribuita alla protezione della Madonna di cui si celebrava in quel giorno la festa della Presentazione. Le donne donarono i loro gioielli con i quali si fecero corone che furono portati in processione dai fanciulli. Questa festa si celebrava il 21 novembre, anniversario della vittoria, e si tramandò sino agli ultimi anni del secolo scorso (36).

Ucciso l’Eufreducci dall’esercito della Chiesa, guidato da Nicolò Bonafede, si ristabilì l’autorità pontificia. Fermo, Petritoli e gli altri castelli ritornarono sotto l’antica dominatrice, che tornò a tiranneggiare come prima. Il Lucidi che narra il seguente episodio: “Il capitano Giulio d’Ascoli, avendo avuto condotta di fare 300 fanti per la guerra di Germania, alli 3 luglio 1536, ripartì da Ascoli con la sua banda, e alli quattro,   giorno di sabato, passato il fiume Aso, entrò in territorio di Petritoli, et indi alla piana era un orto nel quale entravano certi fanti e corsero certe melancore (cetrioli) et il padrone dell’orto diede con la zappetta arrogantemente e percosse uno di quelli fanti et un altro di quelli fanti corse con la spada e ferì l’ortolano nel braccio, pertanto cominciò l’ortolano a dare il rumore alla terra dove non erano che venti vecchi, perché il popolo era tutto a mietere il grano, e diede voce che l’Ascolani l’avevano ferito e tuttavia facevano male e così fu data la campana ad arma. Il capitano Giulio si diresse con la sua gente a Monte Rubbiano ed uscì discosto dalla terra circa mezzo miglio, o poco più, e pigliato che ebbe la strada che va da Petritoli a Monte Rubbiano fece fermare la banda in ordinanza dubitando del popolo e la campana tuttavia sonava ad arma. Venne lui con 15 circa a cavallo verso la terra per parlare con quelli della terra….. Dove che dalla terra si mosse mons. Tiberio, pievano della terra di Petritoli, e Ser Apollonio Cataldo con dieci altri vecchi ed andò ad intendere questa cosa ed incontrati che furono con il Capitano li espose ugualmente uno dei suoi fanti aveva colto due melancole e offre 5 scudi per il medicare dell’ortolano e se questo non basta, mi caverò tanto sangue dal mio petto fintanto che vi sia bisogno perché niente sia causa guastarmi questa compagnia quale ho fatto per servizio di Nostro Signore. Inteso mons.Tiberio e Ser Apollonio il caso vero come era stato, accettò la offerta e poi gliene fece un presente et invitollo alla terra a far colatione e dicendo assieme molte parole, in questo mentre venne il padre et il figlio dell’ortolano quale era ferito e così con grande ira a gridare ammazza, ammazza, tirò un sasso e diede in petto al Capitano Giulio, dove che il capitano pigliò sospetione che quelli mons. Tiberio ed Apollonio non l’avessero intertenuto apposta fin che arrivasse gente e montò in collera e così quelli a cavallo si mossero con spade e lo popolo tirò con una punta verso ser Apollonio qual teneva la mano al ferro del cavallo del Capitano e li dette in petto e così morì alloco.

Il pievano Tiberio, un certo Albanese lo ributtarono indietro e così scapularono. Pertanto i cavalli colle spade li si strinsero illi in quella via, dove ammazzarono sei homini e due feriti a morte sì che Dio sa l’aiuto di quel misero  Apollonio s’era buono o cattivo; perché vedendo lui il pericolo debba usar brevi parole mandarli via e per non trattenerli illi, e se più nell’havessero voluti ammazzare più s’avviano  morti; perché restò dal Capitano che non volse, anzi si dolse assai et avvisò il vice governatore dello Stato e hic personalmente andò dal Legato in Macerata Card. Visco, sì che per due melancore fu causato la morte di sei homini da bene e Notari e quello patre di quell’ortolano con tutta la famiglia andò con Dio.

Li furono banditi della vita e furono confiscati tutti i beni della Camera. Ben dico che se fosse stato il dì seguente che era domenica et il popolo saria stato alla terra, credo che appena saria campato pur uno per portar la nuova, perché Petritoli fa fuochi 300 e caccia 400 uomini e sono homini valenti, che inteso ciò il capitano delli fanti detto Capitano haveriano impiccato e si fece innanzi un certo Porchiese da Monte Rubbiano con 10 compagni e parlò con certi da Petritoli che andassero alle case loro e così non fu seguito più altro e se ne andò a Monte Rubbiano” (37)

Da ciò si può ben rilevare come da un nonnulla gli uomini di quei tempi solevano far guerra.

Petritoli rimase sotto il dominio di Fermo sino al 1537, anno in cui Pier Luigi Farnese, figlio naturale del Papa Paolo III, per obbedire al severo decreto del Pontefice, occupò la città, dichiarandola “ribelle e fellona”, privandola di ogni autorità sui castelli, i quali per 10 anni si governarono liberamente; furono come dei liberi comuni, che presero il nome di Stato ecclesiastico nellAgro Piceno, con capitale Montottone (38).

Il 27 settembre 1537 il Vicelegato della Marca Mons. Tempestilli inviò a Petritoli i “Capitoli e le concessioni”

con i quali il Comune si sarebbe governato. Gli si dava facoltà di eleggersi il Podestà e di codificare uno statuto da sottoporre all’approvazione del Vicedelegato stesso, di svolgere nel Comune stesso le cause civili e criminali, al quale Comune sarebbero andati i proventi; di fare l’”approccio” delle “bollette” di trasferire al Comune le gabelle; di dare solo un baiocco per miglio ai balivi inviati dalla Curia, di eleggere venti o più guardie per la tutela dell’ordine pubblico, di poter fare il mercato ogni giovedì (39).

Nello stesso anno Paolo III ordinava al Tempestilli di fare il processo informativo per la liquidazione dei danni sofferti dal paese nei due assalti ingenti commessi da Francesco Sforza e Sciarra Colonna. E il Commissario incaricato, tale Uditore Mario, rilevò che i danni ascendevano a circa 30.000 scudi (40).

Il 13 febbraio 1540 Petritoli fu riconosciuto dallo stesso Pontefice, come “Terra” in virtù dei servigi resi alla Santa Sede contro la famiglia Guerrieri di Fermo e dei danni causati al Comune dalla famiglia stessa (41).

In virtù di questi e altri meriti, con un’altra lettera del 1° settembre 1547, Paolo III nella reintegrazione di Fermo nella sua dignità, eccettuò dal suo vecchio dominio Petritoli e di castelli di Mogliano e Monsampietrangeli (42), esecuzione ribadita in un’altra lettera del Card. S. Angelo con data 30 settembre 1545. Ma i Fermani non potevano darsi pace per la grande perdita. Dopo la morte di Paolo III, nel 10 novembre dello stesso anno, capitanati dal ghibellino Federico Nobili, assediarono il nostro castello riuscendo ad espugnarlo e trucidando quanti incontravano, danneggiarono e incendiarono ogni cosa. Il nuovo papa Giulio III mandò contro il Nobili il condottiero Ascanio della Alvernia, che, rafforzato dalle truppe guidate da Marzio da Gerosa e di Rocco da Montecalvo, sconfisse il nemico nei pressi di Ortezzano.

Il Papa pose al governo di Fermo il nipote Giambattista Dal Monte, ordinandogli di salvaguardare l’indipendenza di Petritoli, dove aveva inviato come governatore il Dott. Ceccoli da Moviana (43), uomo di alta virtù, per merito del quale furono concessi al paese vari capitoli (44). Ma con l’altra lettera del 28 aprile 1552, Giulio III cercò di sostituire il Ceccoli con l’altro suo nipote Baldoino Dal Monte, il quale lasciò il Ceccoli come suo rappresentante, con lettera del luglio dello stesso anno. Lo incaricava anche, con un’altra lettera del 23 maggio di mantenere il Comune nella sua giurisdizione con tutte le concessioni e capitoli (45).

Non si sa per quale ragione, ma l’8 agosto dello stesso anno troviamo quale governatore di Petritoli il Dott. Giovanni De Savi di Tolentino (46). Ma anche quest’ultimo rimase in carica per poco tempo, infatti con una lettera dello stesso Pontefice, datata 25 novembre 1552, Petritoli ricadeva sotto il giogo di Fermo (47), sebbene si mitigasse il fatale decreto con la condizione che la città risarcisce tutti i danni sofferti nell’ultimo assedio da liquidarsi dallo stesso Baldoino Dal Monte (48). Dapprima i Fermani instaurarono una nuova politica conciliativa, così che il 5 aprile 1553 accordarono al paese quei patti e condizioni (49). Ma ben presto tornarono la loro antica prassi verso il Castello, poiché non volevano pagare la somma fissata da Baldoino per il risarcimento dei danni non valsero neppure i ricorsi avanzati presso il nuovo papa Paolo IV che nel 1559, riduce Petritoli al rango di Castello di secondo ordine, assegnandogli un fermano per podestà (50). Solo dopo diverse istanze presso la Santa Sede, il Papa fece giustizia e con uno scritto al Chierico di Camera, mons. De Grassi, commissario per dette cause, ordinò di liberare di nuovo il paese dalla giurisdizione fermana e proibì a Fermo ed a qualunque altra città, sotto pene rigorose, di inserirsi nei suoi affari e nel suo governo (51). Tornato ancora sotto l’immediata direzione della Camera Apostolica, questa spedì a Petritoli come gonfaloniere tale Sebastiano Sinibaldo con l’onorario di cinque scudi al mese (52). Sotto tale Gonfaloniere fatto un regolare processo nella Curia di Macerata, risultarono tante colpe a carico dei Fermani, che se ne redasse uno “smisurato volume” (53). Alla fine della lunga e dispendiosa lite, il nuovo papa Pio V con la lettera del 25 marzo 1569 riaffermava la liberazione di Petritoli dal dominio fermano (54). La città di Fermo ricorse in appello per cercare di allontanare il Sinibaldo dal suo posto, ma ogni tentativo fu vano ed il Card. Alessandrino lo riconfermò nella sua carica, con lettera del 16 aprile 1569 (55). L’antagonismo si faceva sempre più acceso, mentre Fermo tentava tutte le vie per non pagare i danni causati (56).

Nella lotta della Chiesa contro i cosiddetti eretici della Francia si ricominciò a pagare l’”obolo a San Pietro” . Per ingraziarsi il Pontefice, Petritoli inviò in dono 2700 scudi ottenendo pienamente lo scopo. Il Papa, “commosso” da tanta generosità, con una lettera del 16 aprile, ordinò che si separasse interamente Petritoli dalla giurisdizione fermana, ponendolo sotto l’immediata protezione della Santa Sede e sotto il perpetuo governo della Camera Apostolica, aggiungendogli il titolo di “Terra”, col quale fu riconosciuta da Vescovi e Cardinali (57). Ma la libertà conquistata più volte, fu ancora una gioia momentanea. Per le continue mene dei nemici, Gregorio XIII, con Bolla 15 marzo 1572, restituiva Petritoli a Fermo, né valsero le proteste. Una lettera del Card. Farnese, datata 30 agosto 1573, esortava Petritoli a riconciliarsi con Fermo, facendosi arbitro delle loro liti (58). Ma il Papa, irremovibile nei suoi propositi, il 13 marzo 1576 confermò definitivamente il suo verdetto (59). Sotto il papa Paolo V,  Petritoli insieme a Mogliano tornò alla carica, ma tutto fu vano dovette perciò accontentarsi del suo titolo di “Terra”, della stima dei Superiori, come pure dei Castelli confinanti, che, con ripetute lettere dal 1612 al 1734, gli attestarono la propria stima. Anche tali attestati – fra i quali quelli del Bellini (notaio del Santo Ufficio di Fermo) scritti per ordine dell’Inquisitore in cui si dimostrava che nel paese vi era un tribunale con tre patentati avendo  sotto di loro i Castelli di Monte Giberto, Ponzano, Moregnano e Monte Vidon Combatte – furono gelosamente conservati per potere in qualche occasione ottenere la sospirata indipendenza, ma a nulla servì, poiché  restò l’antico regime sino al 1798, anno in cui la Rivoluzione Francese instaurò nello Stato Pontificio assoggettato da Napoleone, la Repubblica Romana (60).

Questa Repubblica era divisa in Dipartimenti, i Dipartimenti in Cantoni, i Cantoni in Comuni. Le due province di Fermo e Ascoli costituirono il Dipartimento del Tronto, con capitale Fermo. Tale Dipartimento comprendeva 16 Cantoni e il Cantone di Petritoli, era costituito da 13 comuni: Petritoli, Monte Vidon Combatte, Collina, Montottone, Montegiberto, Monte Rubbiano, Moresco, Torchiaro, Ponzano, Moregnano, Lapedona, Altidona, Torre di Palme.

A Petritoli, come in ogni altro Cantone si tenevano i “Comizi” o assemblee per eleggere gli elettori, i pretori e i loro assessori, il Presidente della Municipalità e, nei comuni al di sotto dei 10.000 abitanti, gli Edili (61).

Le razzie, le estorsioni, le tasse, il disprezzo della religione furono le cause principali che crearono subito squadre di rivoltosi che l’Emiliani definisce “una confusa e strana accozzaglia di fanatici e dei bigotti, una turba senz’ordine senza disciplina, armati di falci, chi di forche, chi di scuri e di spiedi, chi di vecchi e rugginosi archibugi, di pistoloni e di altri attrezzi di uso domestico” (62).

Sembra che durante questo periodo i briganti delle montagne ascolane facessero man bassa di Petritoli e bruciassero l’Archivio in cui molti documenti andarono perduti.

Napoleone, dopo essere stato prima Console, poi Imperatore, dopo aver cinto la Corona ferrea, fondò il Regno Italico. Restaurato infine il Regno Pontificio, Petritoli fu sede di Governo, trasferita poi mi a Monte Rubbiano. Ecco infine la rivoluzione del 1821, 1830, in cui sorsero le Società segrete della Massoneria e della Carboneria, invano scomunicate da Gregorio XVI, il quale invitò l’Austria a combattere.

L’ideale dell’indipendenza italiana doveva trionfare. Il paese diede molti iscritti alla Giovane Italia e 46 volontari nella Guerra di Indipendenza. Infine, nel 1860, insieme a Fermo, fu annesso al Regno d’Italia.

Da allora entra nell’alveo della storia nazionale.

Paesaggio naturale

In questo lembo della provincia picena è mutato anche il paesaggio. La legge regionale di tutela della flora marchigiana non ha avuto applicazione e molti alberi tipici, soprattutto la quercia, non fanno più parte dell’ambiente naturale. La meccanizzazione dei lavori agricoli stagionali, la monocoltura, hanno inoltre comportato lo sradicamento delle celebri alberate. Meno giustificati appaiono il livellamento dei colli, soprattutto di quello alle porte del paese, chiamato “Il Monte della cieca”, che doveva considerarsi elemento naturale del paesaggio architettonico e conservare la sua destinazione di terreno agricolo o trasformarsi in parco pubblico.

Quasi tutte le ottocentesche case coloniche sparse nel territorio sono state demolite o sostituite con edifici bizzarri, certi col tetto di foggia cinese. Sono sorti infine in alcune contrade (Agnelli, Sant’Antonio, Valdaso) guazzabugli di brutte case. Il paesaggio appare in tal modo monotono, spento da un’edilizia incompatibile con l’ambiente naturale.

Paesaggio architettonico

Edificato su un colle, da castello si è fatto via via, nel corso dei secoli, città in miniatura dalla bella configurazione artistica ed architettonica. Nel nucleo più antico, circondato dalla cinta muraria medievale, i palazzi monumentali delle famiglie nobili e borghesi  prevalgono sulle case trecentesche del popolo minuto, mentre le case umili della piccola borghesia artigiana e rurale sono prevalenti nei borghi formatesi nel tardo Settecento, nell’Ottocento e nella prima metà del nostro secolo, a sud-est della cinta muraria e lungo l’appendice pianeggiante di levante, colle chiamato “Il monte”.

Case, palazzi, chiese e qualche convento, formano – grazie alla loro disposizione sulle mura medievali, dentro e fuori di esse,  alla uniformità dei materiali da costruzione e alla perfetta integrazione degli stili e dei volumi – un insieme monumentale di sorprendente unità da ammirare complessivamente, sicché le architetture migliori, avulse dal contesto di cui sono parte, appaiono meno pregevoli, quasi prive di significato artistico.

Un’opera compiuta a consolidamento e preservazione del nucleo più antico sonno i muraglioni a Nord, che hanno formato una piccola circonvallazione pedonale parallela alle mura castellane con “costerella” di ingresso alla parte più alta chiamata “La Rocca”. Con questa opera, validissima e ben organizzata, si è creata anche una piacevole passeggiata panoramica i muraglioni sono purtroppo minacciati dall’erosione della rupe sulla quale poggiano, causata dalla scarsa manutenzione e soprattutto dal disboscamento che ha già provocato grosse frane. Da alcuni anni il caseggiato di Petritoli è sottoposto a rimaneggiamenti che hanno impoverito di significati storici ed artistici la parte più antica. In via Roma, molti edifici ottocenteschi sono stati rimpiazzati con grottesche ‘caricature’ di case. Parallelamente a questa via sono sorti, al nord, edifici isolati con scarsi risultati estetici.

Con l’approvazione del piano particolareggiato per il centro storico, si è legalizzata, anche entro le mura, la demolizione e la ricostruzione di case in falso stile antico.

Architettura civile

La cinta muraria. Della cinta muraria dei secoli XIII e XIV restano a sud e a nord alcuni tratti costituiti da paramenti in mattoni e pietre o pietre e mattoni, assai manomessi e maltenuti. Conservati una torre di guardia, ed una porta quattrocentesca, quasi intatta, a nord; due torrioni cilindrici trecenteschi con piombatoi e porta arretrata quattrocentesca, quasi intatta, al levante. I tre archi gotici tra i due torrioni sono opera del secolo scorso.

Torre civica in Piazza Castello. Opera del secolo scorso, a tre ordini: quadrato, bugnato, ortogonale, cilindrico. Raro esempio di torre civica isolata.

Teatro condominiale dell’Iride. Opera ottocentesca di Giuseppe Sabbatini, costruita dal muratore Giovanni Mercuri. Bassorilievi dorati di Salomone Salomoni. Le scene di corredo, di Pietro Nunzi, hanno tolto al palcoscenico, ricostruito in cemento armato, la sua funzione originaria, tipica dei teatri ottocenteschi, comportante l’uso di scene, nel caso dell’Iride di notevole interesse artistico.

Biblioteca comunale (già Palazzo comunale) Architettura del secolo scorso con belle tempere di Egidio Coppola.

Palazzo comunale. Facciata in cotto con ambienti costruiti con tecniche materiali d’epoca.

Palazzo Paccaroni. Facciata ad andamento curvilineo con decorazioni a forma di conchiglia alle finestre e portale strombato.

Palazzo Fagiani, già Palazzo comunale. Architettura del secolo XVI-XVII, a due piani, con loggiato al pianterreno. Belle finestre con cornici e piastrini in terracotta. La facciata è un rimaneggiamento di preesistente.

Palazzo Cordella. Dimora patrizia del secolo scorso con ambienti affrescati costruiti con tecniche e materiali d’epoca. Delizioso cortile con loggetta a forno. Belle volte reali al pianterreno. Due ingressi di cui uno dalla via sovrastante il palazzo, a nord. Per interessi di speculatori, l’interno è stato distrutto e trasformato in condominio con il consenso della Soprintendenza.

Palazzo Mannocchi. Vi dimorò il poeta Luigi Mannocchi e vi si conserva la sua biblioteca. L’architettura del secolo scorso incorpora un’antica porta, ora murata, con un arco gotico ed ornamento in forma di foglie.

Palazzo Trenta. Architettura del 1700 con facciata decorata in cotto ed ambienti d’epoca in parte spogliati dell’arredo ligneo originale (porte di noce ecc.).

Casa in via Borgo Vecchio. Facciata del sec. XIV1 con porta ad arco pieno ed archivolto decorato in cotto.

Casa in via Borgo Vecchio. Facciata del sec. XVI con archivolto di cemento ornato di fregio di riforme in cotto, manomessa.

Casa in via Castello. Facciata con archivolto di finestra cinquecentesco ornato in pregio di riforme, in cotto.

Architettura religiosa

Chiesa di Santa Maria in Piazza

Fu costruita sotto Paolo III, quando questi, per ricompensare Petritoli dei servizi prestatigli quando era Legato Pontificio della Marca, chiese alla comunità prediletta di esternargli il suo maggiore desiderio, che fu quello di essere esentata dal pagamento delle gabelle per poter costruire una chiesa in onore di Maria, sulla piazza del castello.

La costruzione si interruppe quando morì il pontefice. La chiesa è, infatti, priva del campanile, di cui rimangono le fondamenta. Nei pilastri presso l’altare maggiore, si volle dipinto, a destra, lo stemma di Paolo III, a sinistra, quello del Comune, coperti nell’800 quando fu restaurata la Chiesa. Qui, soprattutto sotto Napoleone I,  si tenevano solenni cerimonie religiose e civili, alle quali le magistrature locali intervenivano in robone (antica veste ampia e pomposa indossata un tempo da dottori e magistrati).

Dal 1783 al 1805, durante i solenni festeggiamenti in onore di Maria, era tradizione che in questa chiesa si cantassero da celebri artisti, melodrammi tratti da episodi della Sacra Scrittura, detti Oratori Sacri che richiamavano migliaia di persone. Questa chiesa ha pertanto importanza storica e artistica. In origine il quadro della Madonna che vi si venera era copia di una immagine della Vergine sotto il titolo di Madre di Misericordia, esposta nella chiesa dal missionario Padre Scaramelli nell’occasione delle Missioni da lui predicate. Nell’interno, ha tre navate, affrescate e adorne di altari, con tele forse del secolo XVIII, due tempere del pittore Ferrari di Ascoli Piceno, raffiguranti la Crocefissione e le Nozze di Cana.

Nella galleria si conservano alcune statue lignee del secolo XVII che raffigurano l’Annunciazione, S. Francesco di Sales, San Giuseppe, Cristo risorto. Ben nota la Casetta di Loreto, che si portava in processione il 9 dicembre.

Chiesa e Convento delle monache di Santa Chiara

Settecentesca, a una navata, fu decorata da un lieve manto di stucchi e di pitture da Stefano Interlenghi, Domenico Fontana e Pasquale Magini. Il popolo la chiamò Sant’Andrea, dopo che il Comune, divenutone proprietario in seguito alla soppressione monarchica degli ordini religiosi, la permutò con la venusta chiesa di Sant’Andrea, fatta demolire.

È parte integrante del monastero delle monache di Santa Chiara. Ha la parete interna in comune con il refettorio e il coro, dai quali le suore assistevano ai riti religiosi dietro grate, ancora visibili dal piano della chiesa. Essendo in tal modo inserita nella fabbrica del convento, non ha facciata; ha un solo lato esterno, quello prospiciente  Petrollavia, dove sono aperti due portali di ingresso. Vi si conservano due dipinti ad olio su tela: uno raffigurante San Pietro, l’altro la Vergine Immacolata, circondata da cherubini e adorata da San Bonaventura, di scuola romana del secolo XVIII. Un terzo dipinto, ad olio su tela, raffigurante San Francesco e Santa Chiara con cornice cinquecentesca ritagliata, è anch’esso opera del ‘700.

Le corone d’oro e i diademi fatti con gli ori e i coralli delle donne di Petritoli, a ricordo della vittoria sui Lanzichenecchi del 21 novembre 1527, non furono mai custoditi in questa chiesa; ma è probabile che fossero nell’antico tempio di Sant’Andrea.

Il monastero, immenso, fu fatto costruire da Don Censorio Marziali. Fu ritoccato e impreziosito nella seconda metà del secolo XVIII dallo svizzero Pietro Mazza. L’interno, pesantemente manomesso, conserva alcuni ambienti ancora intatti come stucchi di Stefano Interlenghi e Domenico Fontana e qualche pittura di Pasquale Magini; porte di noce e coro impellicciato in noce e radici di Verona e portone del parlatorio di Alessio Donati; mentre il portone del parlatorio nobile è di Gaetano Mircoli.

La facciata ha finestre con decorazioni in laterizio. Questa fabbrica ospita gli uffici del Comune, l’Archivio storico, l’asilo infantile e le scuole elementari.

Chiesa e convento dei Minori Osservanti

Dovuta alla munificenza di Don Censorio Marziali, fu eretta per volontà di Clemente VIII nella località detta di Santa Maria dei Martiri verso il 1580. Incorpora parte delle strutture murarie di una fabbrica preesistente con avanzi di affreschi deperiti, tra cui una Madonna del Latte del ‘400 e una Circoncisione racchiusa in un ovale di pochi centimetri quadrati, non visibile dal piano della chiesa. L’interno, ad una navata coperta da un soffitto a cassettoni ottagonali, tra i quali sono incastonati splendidi rosoni dorati, è tutto adorno di dipinti, arredi, mobili antichi. Negli ottagoni del soffitto sono dipinte storie di Santi esaltanti il dogma dell’Immacolata. Raro esempio di arte popolare secentesca.

In questa chiesa di una bellezza semplice, patetica, si custodiscono una cinquecentesca Madonna in trono col Bambino e Angeli, tra San Francesco e San Giovanni Battista, opera di arte marchigiana con lontani ricordi lotteschi; una tela secentesca raffigurante Sant’Antonio Abate; un Crocifisso ligneo del ‘500; un piviale di epoca incerta, forse del 1500 o 1700, un arazzo di Gaetano Callido. Altre opere pur degne di menzione si tralasciano per brevità di spazio.

L’annesso convento con orto cinto da mura, era ospedale civile, manomesso, conserva quasi intatto il cortile con pozzo coevo.

Chiesa rurale della Liberata

Costruita dai monaci di Farfa a croce latina, era munita di torre merlata e adorna di affreschi quattrocenteschi, distrutti con tutto il resto per far posto alla nuova fabbrica. Nelle maggiori solennità, l’abate mitrato sedeva in un piccolo trono,  posto a sinistra dell’altare, andato anch’esso distrutto. Quando i monaci lasciarono il posto, la proprietà terriera con la Chiesa e il monastero passò ai canonici di Fermo, che nel 1734 la diedero in enfiteusi alla famiglia Bernetti oriunda di Petritoli; la quale l’ebbe poi sotto Pio IX in possesso, con l’onere però della manutenzione della chiesa. Custodita per lungo tempo dagli eremitani, deperì  quando l’ultimo di essi morì e non fu sostituito.

Il dipinto a tempera su tavola raffigurante la Madonna in trono con San Sebastiano, S. Giovanni, San Rocco è opera del 1529 con ricordi crivelleschi,  Fu restaurata nel secolo scorso da Egidio Coppola, che si prese non solo qualche libertà. Oltre a questa tavola, vi si conserva un cippo miliare romano – ora trasformato in acquasantiera – la cui epigrafe dà notizia del restauro delle strade e dell’Emilia e delle Marche.

Chiesa dei SS. Vittore e Corona

Chiesa con campanile di stile rinascimentale. La costruzione risale al 1796. Custodisce una Croce astile del secolo XV, un reliquiario cesellato di rame sbalzato, un fonte battesimale scolpito in pietra di Venezia e quattro dipinti ad olio su tela raffiguranti rispettivamente la Deposizione, di scuola veneto bolognese; la Madonna, San Domenico, Santa Caterina e Corona con quindici misteri del rosario attorno; Sant’Antonio Abate e San Francesco di Paola, opera di buona esecuzione; e il Sacro Cuore di uno dei pittori Ricci di Fermo del sec.XVIII.

Vi si conservano inoltre opere moderne di pittura. Architettura settecentesca, meritevole di restauro,  con stucchi coevi e una tela di S. Pietro in Vincoli di uno dei pittori Ricci di Fermo.

PRINCIPALI OPERE D’ARTE  a Petritoli Capoluogo

Nella chiesa di Santa Anatolia – Arredi sacri:

Croce Astile in argento parzialmente dorato, dalle estremità lobate, misura cm. 62 × 46. Nel recto è il Crocifisso, tra le mezze figure a rilievo di quattro Santi. Nel verso è rilevato al centro il Redentore seduto in cattedra, benedicente, tra le mezze figure della Vergine, di San Giovanni, di San Benedetto e di S. Anatolia. Opera d’artista marchigiano del secolo XV, restaurata con la sostituzione del Crocefisso che è riferibile al secolo XVI.  Sacrestia. Proprietà della parrocchia.

Piedistallo di calice sbalzato in bronzo dorato, base lobata con decorazioni floreali, in forme arcaiche. Diametro centimetri 13,5. Arte marchigiana del secolo XVI.

Nella chiesa di S. Andrea – Dipinto su tela: raffigura La Vergine Immacolata circondata da Cherubini, adorata da San Carlo Borromeo. Dipinto ad olio su tela. Misura cm. 110 × 220. Scuola romana del secolo XVIII. Proprietà della Chiesa.

Nella chiesa rurale della Liberata – Dipinto: Madonna col Bambino adorati da Santi. Dipinto a tempera su tavola, misura cm. 204 × 155. La Madonna  siede in trono, sotto il quale è il capo reciso di Giovanni Battista, mentre ai lati stanno San Sebastiano e San Rocco. Opera datata 1529, con ricordi crivelleschi. Proprietà del Capitolo Metropolitano di Fermo.

Nella chiesa dei Minori Osservanti – Dipinto: La Vergine col Bambino e Santi. Dipinto ad olio su tela, misura cm. 205 × 325. La Vergine  è in trono, tra San Francesco e il Battista. Arte marchigiana del secolo XVI, con lontani ricordi lotteschi. Proprietà della Congregazione di Carità.

Nella frazione MOREGNANO

Nella chiesa parrocchiale – Dipinto: S. Antonio Abate di San Francesco di Paola. Dipinto ad olio su tela, misura cm. 128 × 210. Opera d’artista marchigiano, datata 1753. I santi sono genuflessi di profilo, mentre al centro appare un Angelo, e in alto si librano Cherubini. Proprietà della parrocchia. Croce astile sbalzata in argento dorato, portante nel recto il Crocifisso, fra quattro teche per reliquie infisse sull’estremità lobate, mentre nel verso sono rappresentati al rilievo San Biagio, S.Antonio, la Vergine, S. Giovanni e la Maddalena. Misura cm. 38 × 26. Opera d’artista marchigiano del sec.XV.  Proprietà della parrocchia.

UOMINI ILLUSTRI

Mannocchi Tornabuoni Filippo

Politico nato a Petritoli il 26 maggio 1813 è morto a Porto San Giorgio l’11 aprile 1863. Laureatosi a Bologna in medicina, ha lavorato a Parma dove stringe amicizia con Pietro Giordani e con Toschi, poi a Parigi per esercitare la professione. Fu deputato alla Costituente Romana del 1849, poi nella spedizione di Velletri con i garibaldini. Caduta la Repubblica Romana emigrò in Albania, a Corfù e a Salonicco.

Tamanti Costantino

Politico nato a Petritoli nel 1829 e morto a Magliano di Tenna nel 1882. Nel 1848 fuggì di casa per arruolarsi nella Legione Romana e combattè nel Veneto. Partecipò quindi nel 1849 alla difesa di Villa Glori e successivamente fu volontario in tutte le imprese garibaldine. Nel 1865 fu promotore insieme a Giannini ed a Procaccini del congresso democratico di Porto San Giorgio, da cui sorse all’inizio del 1886 l’Associazione Democratica Marchigiana. Sotto l’influenza della Comune di Parigi divenne da garibaldino repubblicano, un internazionalista, e nel settembre 1871 fu cofirmatario, con il Giannini, dell’opuscolo “Ai fratelli repubblicani”, che può considerarsi la prima pubblica dichiarazione di internazionalismo nella regione Marche, in rottura con il partito mazziniano. Tra il 1871 e il 1872 contribuì certamente alla proliferazione dei vari nuclei internazionalisti o “Fasci Operai” del Fermano, che infatti qui furono più frequenti che in altre zone delle Marche. Nel 1873 fu presidente del congresso costitutivo della Sezione Internazionalista di Forlì. Al primo congresso marchigiano-umbro dell’agosto dello stesso anno, che si tenne presso Ancona, rappresentò la federazione di Fermo e circondario”. Partecipò poi alle varie vicende dell’organizzazione locale e regionale fino al congresso di Jesi del 1876.

Mannocchi Luigi

Nasce a Petritoli il 5 giugno 1855. Interrotti gli studi regolari, da autodidatta, completa la propria formazione culturale che si articola attraverso le molte varie letture cui lo conducono i molteplici interessi di varia umanità. In seguito al matrimonio con la N.D. Eleonora Cordella, si stabilisce in Fermo, città nella quale trascorre poi la maggior parte della vita pur assumendo e conservando impegni politici nel Comune di nascita.

Di idee liberali, giornalista arguto ed elegante, collabora, con lo pseudonimo di Lilliputto, a riviste e giornali regionali e locali, dalla Rivista Marchigiana Illustrata al Birichino, al Marchigiano, al Picenum.

Per un triennio (1927-1929), il Corriere Adriatico ospita, con assidua, costante frequenza i suoi numerosi interventi nell’ambito della divulgazione di studi e ricerche intorno al folklore marchigiano. È questa del folklore e della tradizione di popolo, la privilegiata tematica dell’impegno culturale del Mannocchi che saprà profondervi le sue migliori energie intellettuali. Pubblicava anche contributi di storia patria, un volume di poesia dialettale (Sotto la statua de Papa Sistu, 1930) e due saggi sulle feste (Alcune feste e costumanze caratteristiche nel Circondario di Fermo, 1911; Feste, costumanze, superstizioni popolari nel circondario di Fermo, 1920).

L’interesse per la figura e l’opera del Mannocchi ha portato alla ristampa di “Feste, costumanze, superstizioni popolari nel Circondario di Fermo”, B, Forni, 1980 e all’edizione di “Fiabe e novelle marchigiane”, Palermo, Edikronos, 1981; inoltre, nel 1985, vengono pubblicate le “Fiabe marchigiane”, Milano, Mondadori. Nel 1993 l’editore Andrea Livi di Fermo pubblica “Tutti vo’ dì la so’, novelline umoristiche”; e, sempre nel 1993, per iniziativa della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fermo, viene edito il volume “Folclore di Fermo e Circondario. Etnografia illustrata”.

Dopo lunga ed operosa esistenza, Luigi Mannocchi, si spegne a Petritoli il 21 marzo 1936. Numerosi suoi lavori inediti sono conservati presso la Biblioteca Comunale di Fermo.

_______

1  La maggior parte delle sue opere inedite si trovano nella Biblioteca Comunale di Fermo.

2  L. Mannocchi. Alcuni documenti storici della Terra di Petritoli, Petritoli, Tip. Aldo Manunzio,1897.

3  Dopo la distruzione di Farfa, avvenuta nell’898 d.C. ad opera dei Saraceni, un ramo benedettino farfense si trasferì nel Fermano,

ponendo la capitale del nuovo “Paesidatus farfensis” a Santa Vittoria in Matenano ma ad un periodo di splendore, successe un

periodo di decadenza finché del “Praesidatus” non rimase che il nome. Cfr. Card.Schuster L’Imperiale Abbazia di Farfa, Roma, 1921

4  L. Mannocchi, op.cit., pag.3.

5  Con tale denominazione infatti lo troviamo nella donazione dell’abbadessa di S.Maria nel Fermano. Cfr. E.Gattula Storia di

Montesassino, t. III, n.129, cit. dal . Brandimarte, Plinio Seniore Illustrato, Roma, 1815 pag. 252; Gabriele Nepi, Storia di Altidona,

2002.

6  Cfr. un albero genealogico visto dal Mannocchi stesso (op.cit., pag.4) presso lo storico e archeologico fermano avv. De Minicis.

7  Secondo il Porti, Tavole sinottiche della città di Fermo, Fermo, 1836, pagg. 26-27, la donazione sarebbe stata totale. Colucci,

Antichità Picene, Fermo, 1751, volume X, pag. LXIII. Secondo M.Catalani, De Ecclesia Firmana, Fermo 1873, pag. 325, una terza parte di Petritoli fu donata alla Chiesa fermana.

8  Arch. Not. Archigimnas. Rom., Bulla Innocentii III recante la data: “Datum Spoleti”, VII, Kal. Sept. Ann. 1198.

9  F.Adami, De rebus in civitate firmana gentis, Roma 1591,Lib.I, Cap.37.

10 Da un documento dell’archivio petritolese. Una copia redatta il 3 novembre 1537 era in mano del Mannocchi (op.cit., pag.7).

11 Adami, op.cit., Lib.I, cap.37.

12 Pergamena numero 754 dell’Archivio di Stato di Fermo. Concessione di Petritoli a Fermo fatta da Manfredi. Adami, op.cit., lib.I, pg.35.

13 Petrelli, Cenni storici di Mogliano, Recanati 1860, pag. 119.

14 Marcucci, Storia di Ascoli, cit. dal Mannocchi, parte VIII, sez.I, pag.280, n. 112.

15 Anton di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, pubblicata dal De Minicis, Firenze 1870.

16 Atti consiliari del Comune di Fermo – Brandimarte, op. cit., pag. 258-259.

17 Anton di Nicolò, op.cit.

18 Anton di Nicolò, loc.cit.; Adami, op.cit., lib.II. cap. 19.

19 Porti, op.cit., pag. 55.

20Anton di Nicolò, loc.cit.

21 Anton di Nicolò, op.cit.

22 Anton di Nicolò, op.cit.

23 Località scomparsa che, forse, sorgeva nel territorio detto ancora “la castelletta”.

24 Anton di Nicolò, op.cit.; Adami, op.cit. lib.I, cap.29, pag. 75 e lib.II, cap. 17, pag. 79.

25 Adami, op.cit., lib.I, cap. 47 pag. 85 e cap. 93, pag. 112.

26 Anton di Nicolò, op.cit.

27 Anton di Nicolò, op.cit.

28 Adami, op.cit., lib.II, cap.27 – Mentre i vincitori tornavano a Fermo, i Petritolesi uscirono di nuovo per inseguirli togliendo loro il bestiame rubato e i prigionieri catturati nel ritorno, si imbatterono a Torchiaro con 3000 armati gli sforzeschi che, venuti a conoscenza dell’accaduto, tolsero loro altri 86 prigionieri.

29 Adami, op.cit.

30 Mannocchi, op.cit., pag.13.

31 G.Montani, Annali, ms, pag.12

32 Archivio Comunale di Petritoli: Breve di leone X “De prohibendis Prioribus etc.”.

33 Montani, op.cit., pag.12.

34 Montani, op.cit., pag.12

35 Montani, op.cit.; Porti, op.cit.

36 Cronaca ms. di Marino Lucidi da Belmonte esistente nella Biblioteca Comunale di Fermo.

37 Lucidi, ms. cit.

38 Cfr Bolla di Paolo III  che privò Fermo del ruolo di capitale del suo Stato, datata Tuscoli, die 12 febbraio 1538 e pubblicata dal Mannocchi

in Alcuni documenti storici della Terra di Petritoli, Petritoli, 1897.

39 Documento N.1 pubblicato dal Mannocchi in op.cit., pagg. 7-10.

40 Il processo si trova nell’archivio comunale di Petritoli.

41 Mannocchi, op.cit., Documento III, pagg. 18-21.

42 Mannocchi, op.cit. Documento IV, pagg. 24-25 e Documento VII, pagg. 25-26.

43 Mannocchi, op.cit. Documento IV, pagg. 24-25 e Documento VII, pagg. 25-26.

44 Mannocchi, op.cit. Documento VIII, pagg. 27-32.

45 Mannocchi, Memorie storiche e statistiche di Petritoli, Documento IX, pagg. 33-35.

46 Come da documento esistente nel Comune stesso.

47 Mannocchi, Alcuni documenti storici della Terra di Petritoli, Documento IX, pagg. 33-35.

48 Mannocchi, Alcuni doc. etc., Doc. IX, pagg. 35-36.

49 Come appare da una pergamena legalizzata esistente nel Comune; Mannocchi, op.cit. Doc.X , pagg. 35-43.

50 Si rileva dagli Statuta Firmanorum, lib.II, rub.25.

51 Mannocchi, op.cit., Doc.XI, pagg. 43-48. Il documento reca la data del 3 luglio 1567.

52 Mannocchi, op.cit., Doc.XII, pagg. 48-49.

53 Si trova attualmente nell’archivio comunale di Montottone, poiché il processo trattò anche dei danni causati da Fermo a quel

Castello.

54 Il Documento si trova ora nell’archivio di Stato di Fermo, pos.A (IX(, 35.

55 Mannocchi, op.cit., Doc.XIII, pag. 45.

56 Come da Memoriale inviato a Pio V e ivi conservato – Mannocchi, op.cit., Doc.XV, pagg. 51-52.

57 Così fecero Mons. Geronimo Vescovo di Calici e Governatore di Petritoli, che nel 1573 gli confermò il titolo di Terra; il Card. Cornelio

Camerlengo nello stesso anno in una lettera in cui approvava il nuovo catasto del Comune; così pure molti altri, le cui lettere si

conservano nel Comune stesso.

58 Mannocchi, op.cit., Doc.XVIII, pagg. 64-65.

59 Mannocchi, op.cit., Doc.XIX, pagg. 66-75.

60 Difera: Le Regime Jacobin en Italie, Paris 1900.

61 Leggi relative alla Costituzione della Repubblica Romana, Macerata, 1799, pagg. 3-21.

62 A. Emiliani, I Francesi nelle Marche (1797-1799), Falerone 1912.

<Grazie della collaborazione ad ALBINO VESPRINI>

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