SANTA VITTORIA IN MATENANO di Gabriele Nepi

SANTA VITTORIA IN MATENANO Cenno storico

del prof. Gabriele  NEPI

Secoli dal X al XVI

lo stemma del comune di Santa Vittoria in Matenano si compone di tre elementi: il Leone in argento, in campo azzurro, che significa vittoria ottenuta con lode eterna; le Chiavi d’oro e d’argento, in scudetto argentato, già concesse dall’Albornoz nel secolo XIV, per ricordare le benemerenze e la fedeltà alla Chiesa; la Chiesa – Castello, con due torri laterali a ricordare l’imperiale abazia di Farfa alla quale la comunità Santavittoriese deve grande parte della sua storia ultramillenaria.

La storia medioevale di Santa Vittoria, infatti, è interamente legata al feudo della imperiale Abbazia di Farfa (RI) che stabilì sul Monte Matenano la sede del suo Vicario Abbaziale.

È da supporre che tra le undici ”curtes” (=insediamenti aziendali) di 11.000 moggi ciascuna, assegnate da Faroaldo, duca di Spoleto, a questa Abbazia intorno all’anno 680, alcune ricadessero lungo il fiume Aso, nelle pertinenze territoriali di Ortezzano, Montelparo, Santa vittoria e Monte Falcone. E altrove.

Nel secolo successivo la vedova Abenetrada, “ancilla dei” (ancella di Dio), vi aggiunse il Monastero di S. Ippolito e i suoi beni situati nel versante dell’Aso ai piedi del Monte Matenano.

Nel 759, il sesto abate di Farfa, Wandelbert, si trasferiva presso questo Monastero per condurre una vita più ritirata, qui finì i suoi giorni; fu sepolto nella chiesa di S. Ippolito e venerato come santo fin dal secolo XII.

Nell’anno 897, l’abate di Farfa Pietro I, assediato nella Sabina dai Saraceni, trovò rifugio nel monastero di S. Ippolito e di S. Giovanni in selva, ove fu accolto insieme con i monaci e con il tesoro di Farfa. Dato però che, fin a questi territori del Comitato Fermano, giungevano le incursioni dei Saraceni, l’abate Pietro I, circa l’anno 900, volle mettersi al sicuro costruendo il castello in vetta al Matenano, che prese il nome di Santa vittoria nel 934, quando l’abate Raffredo, dalla Sabina vi trasferì il corpo di S. Vittoria e vi costruì la chiesa e il monastero dedicati a questa Santa Vergine e Martire.

Il secolo X fu assai turbolento per l’Abbazia di Farla. Raffredo morì nel 936. Campone e Ildebrando, in lotta tra di loro, dissiparono i beni dell’abbazia, si contesero il dominio dei possessi sparsi nel Piceno, che facevano capo al monastero di Santa Vittoria.

Ildebrando vi spadroneggia per oltre trent’anni; poi, deposto, morì nel 974. Pertanto i monaci dovettero abbandonare la chiesa di S. Giovanni, in quanto nel versante dell’Aso diversi signorotti avevano occupato all’intorno le “curtes” di San Salvatore (Foce), delle Celestrana, di Alvangiano e Roncone (Montelparo), della Torrecella e delle Faete e dell’Aso fin al Fosso dell’Inferno (Chr. Farf. I. 252).

Intorno all’anno 980 Ottone II, re d’Italia, che aveva la mania di raccogliere reliquie di santi per trasferirle in Sassonia, sua patria, inviò una spedizione di soldati, capeggiati dal vescovo, suo consigliere, Teodorico di Metz, per trafugare il corpo di Santa vittoria. Trova però un imponente schieramento di monaci e di soldati. L’imperatore, testardo come tutti i tedeschi, invia un contingente di soldati per prenderlo con la forza. Ma si scatena un violentissimo temporale con fulmini e saette ed i soldati sono costretti a retrocedere e tornarsene a mani vuote.

L’episodio fa parte della storia viva di Santa Vittoria in Matenano ed è ricordato nell’inno alla Santa che (tradotto) dice “ Le milizie di Ottone tentano di rapire le tue reliquie, ma sentono la tua potente difesa, ed accecate ed imponenti, vagano per i campi, fra lutti e timori” =  Te  Sacra Ottone eripiente, miles \ vindicem sentit, metuitque caecus \ mentis ac inops sibi luctuosis \ errat in agris. Questo fatto è accennato anche nella lapide posta nella cripta della collegiata, forse con qualche imprecisione perché attribuisce il fatto ad Ottone primo (invece che  secondo). Tradotta:  “ Per la difesa di lei, le sue sacre ceneri e il nostro paese siano preservati dalla rovina di Ottone 1 augusto ” = Eius tutela S. eiusdem cineres \ et oppidum nostrum ab Ottone 1 aug. direptione conservata sint. Questo Ottone I passò per Fermo, ma non aveva la mania delle reliquie come il suo successore (MABILLON J. Annales III 1.47 a. 970 ottobre 1).

Da un documento del 990 si sa che in Santa vittoria vi era già una monastero femminile, dipendente dal monastero maschile dell’Abbazia Farfense, “come una figlia dalla madre”, annota il Mabillon  (Annales ordinis sancti Benedicti, IV p. 63) e corrisponde all’attuale monastero di clausura delle Benedettine.

Il secolo XI fu impegnato, in parte, nella riforma religiosa dei monaci, secondo l’indirizzo di Cluny e, in parte, a consolidare ed estendere territorialmente il feudo attraverso cospicue donazioni. Gli abati alternarono la loro residenza tra Farfa e Santa Vittoria.  Spesso questi monaci marchigiani fecero sentire il peso della loro autorità e talvolta fecero tentativi di autonomia.

Del secolo XII si conservano importanti documenti e ne indichiamo alcuni:

– la bolla con cui al monastero di Santa vittoria viene concesso il diritto di decima sui territori di Montefalcone, Santa Vittoria e Montelparo; le proprietà di chiese, di mulini, di boschi e di terreni.

. Il codice manoscritto (cimelio 4) custodito nella biblioteca comunale di Ascoli Piceno era di Santa Vittoria e contiene, oltre la Regola di San Benedetto, il Calendario di Farfa e il loro “Obituario”, inoltre il Ritmo di Sant’Alessio che è considerato il secondo testo, in assoluto, della lingua volgare italiana, dopo il Ritmo Cassinese.

Nel periodo caratterizzato dalla lotta per le investiture, al tempo di Federico Barbarossa, il paese non soffrì molestie. Quando Marcovaldo da Anweiler, nominato marchese di Ancona da Enrico VI, circa l’anno 1190, intraprese la violenta e sanguinosa conquista della Marca inferiore, l’abate Farfense, Gentile, presente a Santa Vittoria in Matenano, gli tenne testa e aiutò il vescovo di Fermo, Presbitero, meritando il plauso del papa Celestino III.

Libertà comunale

Nel secolo XIII maturano avvenimenti importanti che riguardano soprattutto lo la formazione dei liberi Comuni. Accenniamo ad alcuni di essi:

Nel 1214 l’abate Matteo concede la libertà comunale al popolo di Montefalcone che, in passato, era sempre unito all’abazia di Farfa come suo vassallo.

Nel 1215 il medesimo dona a Francesco d’Assisi la chiesina di S. Giovanni, tra Montefalcone e Smerillo, detta Luogo di Sasso, ove tuttora esiste un convento francescano. Da questa Chiesa partì l’idea della fondazione dei Cappuccini per opera di Matteo da Bascio  nel 1525.

Dal 1223 al 1240, al tempo dei turbamenti arrecati nelle Marche da Federico II, molti signori che abitavano nei loro piccoli castelli di campagna, per motivi di sicurezza, chiedoro di venire ad abitare dentro il castello di Santa Vittoria;  ben accolti dal sindaco. Sono Gualtiero, signore del Poggio di Pietra (1223); i fratelli Rasacani, che vengono dall’ Aso (1229); i figli di Milone, che salgono dal Tenna assieme con i loro vassalli (1239), i signori di Monte Rodaldo, che nel 1215 avevano optato per l’incastellamento presso i Fermani, e avevano perduto il loro castello, nel 1229, e sono accolti dal sindaco di Santa Vittoria.

Il castello  è fortificato con mura di cinta; all’ingresso della porta San Salvatore nel 1236, l’abate Oderisio innalza la Torre di Palazzo in funzione di vedetta e di difesa: ricoprendo egli stesso la carica di Podestà (=giudice e capitano) acquista una casa per adibirla a Palazzo Comunale.

L’incastellamento, le diverse mansioni del Sindaco e del Podestà ci dicono che il libero Comune di Santa Vittoria già funziona ed è ben organizzato.

Nel 1242 Santa Vittoria, comune guelfo, è sconfitto dall’esercito di Federico II ed è gravato da pesanti taglie; con durissima resistenza riconquista la libertà nel 1248.

Successivamente, nel 1257, (mentre i comuni vincitori di Monte Falcone, Smerillo, Penna S. Giovanni e Monte San Martino passano alla lega ghibellina cui avevano aderito anche Fermo, Civitanova, Macerata, Camerino e altri) Santa Vittoria è l’ultimo baluardo guelfo fedele al Papa, il quale, in segno di riconoscenza, concede l’esenzione da ogni tributo.

DIOCESI “nullius” – PRESIDATO Farfense

La bolla del papa Urbano IV, con la quale si concedono all’abazia di Farfa i privilegi della diocesi “nullius”, reca la data del 23 febbraio 1261. Abate, monaci e popolazioni assistite dipendono direttamente dal Papa, non saranno soggetti all’autorità di nessun vescovo. Per l’amministrazione della giustizia ed altre competenze territoriali dell’intero comprensorio, in precedenza controllato dal monastero di Farfa, si forma il Presidiato Farfense, il cui Preside o giudice risiederà per tre secoli a Santa Vittoria.

Quando nel 1357 il card. Egidio Albornoz pubblica a Fano le “Costituzioni Egidiane” Costitutiones Aegidianae, nel Rapporto sulla situazione della Marca di Ancona, questa risulta ripartita in tre Presidati: cioè in tre circoscrizioni territoriali, simili a Giudicarie (giudicature) per l’amministrazione della giustizia ed altri affari:

a) Presidato di San Lorenzo in Campo, al Nord;

b) Presidato di Camerino, al centro con Ancona e Macerata;

c) Presidiato Farfense, con sede in Santa Vittoria che si estendeva dal Tennacola fino al Tronto, dai Monti Sibillini al Mare Adriatico e comprendeva le città di Ascoli e di Fermo con tutti i castelli e  le ville aggregate; i liberi comuni di Santa Vittoria, Montelparo, Monte di Nove, Montalto, Cossignano, Ripatransone, Monterubbiano, Montegallo, Arquata, Amandola, Montefortino, Monte San Martino, Penna San Giovanni, ivi compresi i Comuni di Servigliano, Grottazzolina, Grottammare, Montefalcone, Smerillo, Monte San Pietrangeli, Monsampietro Morico, Montottone e Campofilone, tenuti già dai Fermani;  e Monteleone tenuto dal signore Antonio de Ricasulis.

Il Presidato Farfense perse a poco a poco la sua importanza col crescere dell’accentramento dei poteri civili e giudiziari del Delegato pontificio nella Marca di Ancona, con sede a Macerata. Decaduto questo ordinamento, perché riassorbito da quello generale della Marca di Ancona, Sisto V lo restaura, erigendo, nel 1586, il Presidato di Montalto, che durerà fino alla soppressione napoleonica.

Del secolo XIV restano memorie storiche che riguardano

–          la costruzione del  nuovo Palazzo Comunale, vicino alla Torre di Oderisio;

–          la costruzione del monastero di Santa Caterina per le Benedettine;

–          il rinnovamento delle chiese di Sant’Agostino e di Santa Vittoria con inserimento di strutture gotiche sull’originale costruzione romanica;

–          la lavorazione del rame, che si batteva al maglio sull’Aso, ove si conservano mura dell’epoca ed una pietra con l’hanno 1392.

All’inizio del 1400, all’organizzazione monastica Farfense fu tolta la libera scelta dell’abate. Il Papa con i beni rimasti costituì la “Commenda dell’abazia di Farfa”, che passò a formare l’appannaggio di vescovi e cardinali, tra i quali primeggiarono quelli appartenenti alla alle nobili famiglie degli Orsini e dei Barberini.

A Santa vittoria, per le rendite diminuite, fu limitato ad otto il numero massimo dei monaci addetti al monastero; si distinsero fra Agostino Angeli, Priore e Vicario generale dal 1416 al 1442, e fra Marino Angeli, monaco – pittore, noto tra il 1443 ed il 1463. Un suo polittico, datato e firmato, è alla Galleria nazionale di Urbino; altre tavole di polittici scomposti sono depositate presso l’episcopio di Fermo, provenienti da Monte Vidon Combatte.

Contemporaneamente sono presenti a Santa Vittoria altri due pittori, un certo Cola nel 1459 e Giacomo di Cola  nel1471; molto probabilmente fra questi è da cercare l’autore degli affreschi quattrocenteschi dell’Oratorio Farfense sul cappellone, delle chiese della Madonna degli Angeli, di Sant’Agostino e il dipinto della Madonna del latte in Santa Caterina (monastero).

Gli Statuti di Santa Vittoria in Matenano

Tra le vicende del secolo XV, quelle di maggior rilievo sono: l’occupazione del Comune da parte dei soldati di Francesco Sforza, dal dicembre 1443 al 3 ottobre 1445, e la promulgazione degli Statuti Comunali.

Sottostare allo Sforza fu un’esperienza amara per i Santavittoriesi, che mai avevano conosciuto signorie esterne, perciò per rafforzare la riacquistata autonomia comunale il 6 febbraio 1446, il Consiglio Generale approvò gli “ Statuti, ordinamenti e le leggi della Terra di Santa Vittoria “  redatti dal giurista Annibale della Torre in sei libri e 312 rubriche, di cui in archivio si conserva il manoscritto originale in pergamena, scritto dal notaio Nicolò Colucci.

Mentre i Fermani, il 5 gennaio 1446, iniziano la demolizione del castello Sforzesco eretto sul Girfalco, perché nessun tiranno mai più vi torni, i Santavittoriesi si danno sapientissime leggi a sostegno della propria indipendenza.

Gli statuti di Santa Vittoria sono tra i più antichi; in confronto con quelli dei comuni più vicini si evidenziano come i più democratici e quindi i più vicini all’attuale ordinamento. Vi si riscontrano infatti:

+ voto attivo e passivo ai ventenni

+ libero esercizio di una professione a 18 anni

+ rappresentanza proporzionale e divisione in Sestrieri

+ abolita la pena di morte, prevista in tutti gli altri comuni.

Il Podestà e gli altri ufficiali, per privilegio di Niccolò IV del 1291, furono sempre eletti liberamente dal Consiglio Generale, a norma del proprio Statuto; perciò nel 1481 fu respinta la raccomandazione del Legato pontificio che desiderava l’elezione a podestà di Giannini da Montegranaro; e nel 1482  si protesta contro la pretesa del Luogotenente della Marca, che voleva accampare il diritto di confermare le nomine fatte dal consiglio comunale.

Nell’arco di tutto il secolo XV il monastero di Santa Vittoria riesce a conservare:

+ Le proprietà ricadenti nel territorio di Santa Vittoria, cioè i Campi di Sant’Ippolito, presso il fiume Aso,  Sanguineta  con la Valle di Deodato, il Colle Carsello e la Vigna de “Le Lame”;

+ il diritto di conferire le nomine cei rettori delle chiese e dei benefici eretti entro il castello e nei territori di Santa Vittoria, Montefalcone e Montelparo;

+ i proventi  da mortuori e decime;

+ la giurisdizione diocesana sui chierici delle chiese site nelle suddette terre con potere di visitare, correggere e punire (visitandi, corigendi et puniendi);

+ l’assegnazione delle seguenti chiese sparse nel territorio Fermano:

— ad Altidona il monastero di Sant’Angelo in Barvulano;

— a Sant’Elpidio a mare la chiesa di S. Emidio in Pastinum;

— a Belmonte Piceno la Chiesa di Santa Maria in Muris;

— a Monterinaldo la Chiesa di Santa Maria a Montorso;

— a Montemonaco la prepositura di San Giorgio in Isola ;

— a Comunanza la chiesa di San Biagio de Teramo;

— a Montecosaro il monastero di Santa Maria in Chienti per censo di 20 soldi.

Le suddette concessioni le aveva fatte il monastero di Farfa come “capo” (tamquam caput) al monastero di Santa Vittoria come “membra” (tamquam membrum ipsius monasterii) dello stesso monastero con tutti i diritti e le spettanze sotto l’abate Giovanni IV nel 1334. Il privilegio fu confermato nel anni 1348,1451,1483; vale a dire per un secolo e mezzo ed oltre.

Nella conferma fattane dall’Abate Commendatario Giovanni Orsini sono elencate due nuove costruzioni di chiese in Santa Vittoria:

–          Monastero di Santa Caterina per le monache Benedettine nel 1411

–          Chiesa di Santa Maria dela Misericordia e di San Giacomo nel 1400

Inoltre molte nuove cappelle furono erette nelle antiche chiese.

Gli avvenimenti più importanti della storia civile e religiosa del secolo XVI, degni di maggiore menzione, sono:

+  Il complesso dei lavori, eseguiti tra il 1507 ed il 1533, per consolidare, ammodernare ed abbellire la cripta, la torre e la chiesa di Santa Vittoria, per cui furono spesi 200 Ducati toro.

+  La costruzione del palazzo Melis, nel 1530, sulla Via grande.

+  Il flagello della peste nel 1503, nel 1523 e nel 1527 al passaggio dei Lanzichenecchi. In questa circostanza il Comune Santavittoriese eresse presso il Palazzo pubblico, una Cappella in onore di San Rocco, patrono degli appestati.

+  La comunità Santa Vittoria rimase estranea alle lotte delle varie Signorie che dilaniarono quasi tutte le Marche nel primo ventennio del secolo XVI, però sono da ricordare gli odi e le rivalità di due famiglie schierate in opposte fazioni: i Fulci e i Macileni. Dovette intervenire il Governatore della Marca, e, solo dopo due anni, nel 1542  riuscì ad organizzare il comitato di 40 uomini “Conservatori della Pace”.

+  La costruzione della chiesa Madonna del Monte, voluta dalla comunità nel 1546; il portale reca la data 1555 e l’invocazione “ O fidatissima unica nostra speranza, confidiamo in te = Spes o fidissima nostra ad te confugimus..

+  Le riforme reformationes degli Statuti, nel 1548, che, tra l’altro, riorganizzano in forma solenne l’offerta dei Palli e dei Ceri nella festa di Santa Vittoria, quando si procedeva alla nomina dei Capitani di ciascuna delle sette Corporazioni di arti e mestieri. Partendo dalla chiesa di Sant’Agostino, si formava il corteo, composto dai Magistrati, dai Capitani e dagli iscritti a ciascuna corporazione, recanti ognuno il proprio dono.

Apriva il corteo il Valletto del Comune con il Palio di seta, seguiva il Podestà affiancato dai magnifici Priori, quindi, preceduti ognuno dal proprio Cero, venivano i Capitani di ciascuna Arte con due assistenti e gli iscritti in fila, due per due, e distanziati di tre piedi, nel seguente modo:

1° – Il Collegio dei Letterati formato da Medici, Maestri, Notai e Avvocati;

2° – I Mercanti;

3° – I Fabbri;

4° – I Cerdones comprendenti i Calzolai, i Lanai ed altri simili mestieri;

5° – I Carpentieri, i Mastri Muratori, i Mastri Falegnami e i Mastri Vasai;

6° – I Manovali, i Contadini e i Bifolchi;

7° – I Mugnai, gli Osti e i Fornari.

Infine nella processione si ordinava con la Confraternita di Santa Maria che portava ceri accesi e l’immagine della Madonna detta “Cona” cui seguiva il Popolo.

Attraverso le vie del Paese si giungeva alla chiesa in vetta al Matenano, dove il Podestà  ed  i Capitani di ciascuna Arte facevano l’offerta alla Santa Patrona. Il Priore dei Monaci celebrava poi la Santa Messa solenne.

Erano i tempi della fede e della prosperità. Si notano:

a) – Il fermento della vita religiosa, antecedente al Concilio di Trento, suscitato dall’istituzione di varie Confraternite, che sul Matenano erano sorte come segno di tempi nuovi. La più antica confraternita istituita a Santa Vittoria è quella di Santa Monica (presso gli Agostiniani); poi quella detta della Misericordia, eretta in San Giacomo (ospedale) nel 1403 con fini assistenziali come le moderne “misericordie” diffuse in Toscana e altrove. Nel 1525 fu istituita presso il monastero la confraternita mariana del “Rosario”, e nell’anno seguente, nella chiesa di San Francesco, quella della Santa Croce. Nel 1536 presso la chiesa del monastero si istituiva quella del SS. Sacramento che nel 1542 veniva aggregata all’Arciconfraternita di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

b) – Il Monte Frumentario fu istituito nel 1544 dalle confraternite del SS. Sacramento e della Misericordia. Nel 1573 fu istituito il Monte di Pietà fondato dalla famiglia della Torre.

c) – Il Convento dei Cappuccini eretto dalla benefattrice Battista Podi in Galeotti, accolse nel 1579 la prima comunità di dodici religiosi.

I Padri del Concilio di Trento nel frattempo avevano sancito che la Diocesi doveva essere il perno ed il centro della vita cristiana organizzata; pertanto veniva a cadere il privilegio della “dioecesis nullius” per le popolazioni soggette ai monasteri. San Pio V nel 1571 erige la diocesi di là di Ripatronsobne stralciando alcune parrocchie dalla diocesi di Fermo e da quella di giurisdizione dell’abate di Farfa. Ai monaci di Santa Vittoria si proponeva: o di fare la mensa ad un vescovo, o di assoggettarsi ad un ordinario di diocesi convicina. Caduta la proposta nel silenzio, Gregorio XIII annette alla diocesi di Ascoli i paesi di Offida, Montegallo e Capradosso, ed alla diocesi di Fermo annette i territori di Santa Vittoria, Montelparo, Monte Falcone, Montegiorgio e Campofilone.

Nepi Gabriele.

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