MONTEFORTINO storia ed arte di Nepi Gabriele

MONTEFORTINO (Mons Fortinus)  di Gabriele Nepi

Montefortino sorge a cavaliere di un colle a m.689 s.m. di fronte ai monti Sibillini, sulla via che da Amandola conduce a Monte Monaco. Lo storico umanista Flavio Biondo da Forlì (1392-1463) lo chiamò “nobile terra del Piceno” (1) e il sin dal sec.  XII lo vediamo in gara con i comuni vicini, e guerreggiare specie contro Amandola e Visso.

La sua origine risale all’epoca romana, e ciò si desume da un’antica lapide che esisteva nella rocca distrutta nel 1442. Tale lapide così recitava: ”C.LUCIO ROSCIO Q:F:PATRONO ET RESTAURAT FORTINI”. L’umanista Palmieri (1650) asserisce che la Casa Roscia, insigne famiglia fortinese, fosse una delle tante famiglie consolari, inviate nel Piceno ai tempi di Pompeo, facendo così risalire a quell’epoca la fondazione di Monte Fortino (2).

Vi furono poi le invasioni barbariche dei Goti e dei Longobardi: questi ultimi donarono al santuario dell’Ambro “mille modioli di terreno” ed eressero la chiesa di San Michele, santo del quale santo erano devotissimi (3). Verso il 900 lo troviamo possedimenti alle dipendenze della celebre Abbazia di Farfa, che estendeva il suo dominio su gran parte del territorio fermano, piceno e marchigiano. Il toponimo è scritto in un catasto dei possedimenti dell’abbazia farfense, compilato agli ultimi del secolo X (4).

Nel 1084, si erige a libero Comune, ed inizia un periodo di benessere e di floridezza, da muovere l’invidia dei paesi vicini. Tali invidia, ebbe ad esplodere in guerre quasi sempre lunghe e sanguinose; una avvenne contro i Vissani nel prato detto di Sant’Antonio, presso il fiume Tenna. I fortinesi riportarono una completa vittoria in ricordo della quale e  “per propria devozione” fecero fare una grande statua di legno di detto Santo (S. Antonio Abate) e vi scoprirono le seguenti parole, che ancora vi si leggono: ”In devotionis signum ob victoriam super Vissanos reportatam ann.MLXVI F.F.F.”: (in segno di devozione per la vittoria riportata sugli strani, l’anno 1066 i fortinesi fecero fare) (5).

Pensando che non potevano reggersi senza una legge scritta, nel 1084 i fortinesi si diedero lo Statuto che successivamente modificarono nel 1126, riducendo ad 8 le 80 persone che formavano il Consiglio Generale (6). Il paese veniva diviso in quattro quartieri: S. Maria, S. Angelo, S. Agostino, S. Biagio e con tali denominazioni era distinto il Consiglio che si adunava all’intimazione di un magistrato annuale che aveva il titolo di Console. Davanti a tale consiglio, nel 1157 si presentò Gentile di Pietro di Scambio, sindaco del comune di Valle e “ fece presente che il proprio signore Ruggiero, figlio del Conte Alberto era stato ucciso a furia di popolo che mal sopportava la di lui tirannide perciò, per autorizzazione di quel Comune, si dava liberamente a Montefortino con tutta la popolazione, purché fosse dato loro il possesso del mulino sul fiume Ambro e fossero ricevuti entro Montefortino come Castellani e perpetui abitatori” (7).

Il paese si reggeva allora a Repubblica e non mancava una certa opulenza e benessere: ciò fece gola ad un certo Sesto Roscio il quale, con l’autorizzazione di Guarnerio III°, Marchese della Marca, tanto obbligò da essere nominato giudice e conte di Montefortino; ma i fortinesi non ne vollero sapere: lo cacciarono via e quello che rifugiò a Sarnano conservando il titolo di Conte di Montefortino (8).

Nel 1255 Rinaldo da Brunforte volle anche impossessarsi di Montefortino e lo tenne più di tre anni: i cittadini però insorsero, e con l’aiuto dei castelli dipendenti, specie di Vetice, lo discacciarono e, nonostante l’autorizzazione concessa dal Papa Alessandro IV con breve del 7 aprile 1258, non riuscì più a rientrarne in possesso.

Verso il Duecento troviamo che Montefortino, Guardia (Carassai), Monte Monaco, Monte Falcone, Servigliano, Santa Vittoria, Patrignone, Porchia, Smerillo, Belmonte, appartenevano ai dinasti di Monte Passillo (nelle vicinanze di Comunanza), castello allora potentissimo (9).

Ma nel 1262 si affrancò da essi e questi gli vendettero sette loro castelli: Castel Iove, Ripa Vecchia, Castel dell’Isola, Poggio Peretto, Castel Radiguso, Castel Guido, Castel Consilvano (10).

Nel 1249 i dinasti di Monte Passillo, stanchi delle continue molestie dei vicini, chiesero e ottennero la cittadinanza ascolana, coll’onore di risiedere in Ascoli e fornire a detta città un contingente di otto cavalieri ben armati. Ovviamente la cittadinanza fu estesa anche a Montefortino ed a tutti gli altri castelli, che, con esso, dipendevano dai dinasti.

In tale periodo Montefortino conta ben 8.000 abitanti (11). Notiamo le 178 famiglie (allora erano contati i “fumanti” ossia i camini) del 7 giugno 1308 (12), i 2398 abitanti del 1865, i 2624 del 1889 e i 2672 del 01.01.1960 (13).

I dinasti di Monte Passillo, nel 1250, ossia dopo un solo anno, tentarono di riprendere i sette castelli minacciando altresì Amandola se non avesse “restituite” le 180 famiglie che erano andate a stabilirsi colà. Ne nacque una guerra; i Fortinesi uniti ad Amandola, sconfissero i dinasti di Monte Passillo, ed il 20 luglio 1267 fu firmata la pace (14).

Altra guerra aveva combattuto in antecedenza Montefortino assieme ad Amandola e Sarnano, stavolta contro Manfredi. Questi era riuscito a farsi proclamare Re della Sicilia, aveva conquistato l’Italia e a mezzo del figlio Corradino, aveva occupato le Marche. Montefortino, Amandola e Sarnano attaccarono battaglia contro le truppe di Manfredi, e lo sconfissero clamorosamente nella piana fra San Ginesio e Sarnano (15).

Guerra contro Amandola, Monte Monaco e Monte San Martino.

Comincia ora una serie di guerre, paci, lotte e giunse, poi di nuovo paci, liti e controversie. Amandola e Montemonaco mal sopportavano l’ingrandirsi e il progredire di Montefortino: già nel 1265 troviamo Amandola in guerra aperta contro quest’ultimo. Il papa Clemente IV per mettere d’accordo i due belligeranti, mandava come paciere Tommaso da S. Severino. Si faceva la pace, e al ricordo si erigeva una Chiesa dal titolo Madonna della Pace, esistente ai piedi di Montefortino presso la strada che va al mulino (16).

Ma dieci anni dopo, scoppiava di nuovo un’altra guerra. Gli Amandolesi penetrarono nel territorio di Montefortino (17). I Fortinesi, per rappresaglia, effettuano una incursione e cavalcata contro Amandola (18).

Ecco le liti contro Monte Monaco: è diffusa la tradizione di una guerricciola combattuta contro il predetto Comune nel 1265 e conclusasi con un atto di pace presso Montefortino; vi furono invece dei delitti allorché nel 1309 Monte Monaco riuscì a farsi riconoscere lo “jus lignandi” (diritto di tagliar legna) e pretendere lo “jus pascendi” (diritto di pascolo) nella selva detta Vallaria. Montefortino reagì immediatamente, sostenendo che Monte Monaco aveva sempre avuto una innata voglia di litigare (Comunitas Monti Monaci ingenitam semper habuit litigandi libidinem) (19). Monte Monaco, a sua volta sosteneva di “voler difendere i confini ed altri diritti, contro gli animosi grassi di Montefortino”.

Dopo sette anni erano ancora in lite per questioni relative alla riscossione di tasse nelle zone di confine; e soltanto nel 1395, accomunati dal pericolo delle Compagnie di ventura, stipularono solenne atto di pace. Nel 1421 vediamo che sia Montefortino che Monte Monaco, hanno eguali diritti sulla selva di Valleria (20).

Precedentemente Montefortino insieme con Amandola, Force e Montegallo andava all’assalto di Monte San Martino, il 19 agosto 1306. Da una parte i soldati di Montefortino, Amandola, Force e Montegallo, dall’altra i Martinesi che, colti alla sprovvista, dopo aver allestito un piccolo esercito e suonate le campane erano pronti. Il Rettore della Marca (21), saputa la cosa, interveniva, e alla fine i contendenti scelgono degli arbitri per risolvere la vertenza e il 30 giugno 1307 si stipula la pace. Montefortino dal 1306 al 1316 risulta in buona armonia con Amandola; ma tale concordia ben presto veniva infranta. Il 10 ottobre 1312 gli uomini della Valle che, avevano chiesto di essere aggregati a Montefortino nel 1157, si ribellavano ad Amandola e si ponevano sotto Montefortino con i possedimenti che avevano nelle contrade di colle Scolca, Scoppio, Portelle, Pian Vallese, Ravarolo, Campolungo, ecc (22). La reazione di Amandola fu consona alla situazione: prontamente preparò un esercito, dichiarò guerra Montefortino, elesse a comandante delle truppe Nallo de Brunforte, irruppe su Montefortino e ne commise di ogni sorta “accesserunt ad castrum M.F. et ipsum castrum hostiliter intraverunt et alia fecerunt..) (23).

Nel 1315 Montefortino per sbarrare le porte ai suoi nemici, acquistava il castello di Volubro presso San Leonardo: erano così chiuse le porte ai Vissani e ai Camerinesi. Dopo tre anni, ecco che  Fermo, per ingrandire il suo dominio, tanto briga e macchina per aggregare a sé Montefortino. La dominazione fermana porta con sé dei soprusi, talché i Fortinesi, nel 1328, chiedono che vengano rispettati i patti. Per tutta risposta Fermo manda Mercenario da Monteverde che inasprisce la tirannia sui Fortinesi, e si impossessa della fortezza; interviene alla fine il card. Egidio Albornoz di Granata (1352-1367) Rettore della Marca, che rivendica Montefortino alla Santa Sede e lo libera dai fermani.

Dell’importanza di Montefortino

Montefortino era ritenuto importante. Il card. Egidio Albornoz il 1° maggio 1357 pubblicava a Fano, alla presenza di tutti gli ambasciatori dei Comuni delle Marche, le Costituzioni della Marca, che da lui ebbero il nome di Costituzioni Egidiane. In esse si stabiliva anche la classificazione delle varie città e Comuni della Regione in cinque grandi suddvisioni: 1. Città Maggiori (civitates majores) Ancona, Fermo, Camerino, Ascoli, Urbino.  2. Città Grandi (Civitates magnae) Pesaro, Fano, Fossombrone, Cagli, Iesi, Recanati, Macerata, Fabriano, San Severino.  3. Città Mediocri (Civitates mediocres) Osimo, Cingoli, Tolentino, Ripatransone, Civitanova, Monte Fortino, Arcevia, Treia, Matelica, San Ginesio, Amandola, Monte Milone, Sarnano, Arquata, Sant’Elpidio, Offida, Monterubbiano, Montegiorgio, Corridonia (allora Montolmo), Potenza Picena, Ostra. Montefortino è tra le mediocri ed è superiore alla stessa Senigallia, Montalto, Penna San Giovanni.

4. Città Piccole (Civitates parvae).  5. Città Minori (Civitates Minores) (24)

Con i Varano, il Piccinino e lo Sforza

Antonio Aceti, tiranno di Fermo, sin dal 1397 aveva rioccupato Montefortino, ma nel 1405 ne era stato scacciato. Decise allora di venderlo per 4000  ducati a Bernardo Varani; questi vi spedì Rinaldo da Jesi detto “Spogliacristo” e Farricello. Uniti agli abitanti di Visso, eterni nemici di Montefortino (25) calarono dalla montagna e mossero all’assalto; ma non riuscendo però ad espugnare la fortezza, si diedero a depredare a saccheggiare le campagne. Montefortino chiese allora aiuto ad Amandola ed a Monte Monaco e, insieme, misero in fuga gli invasori. Un anno dopo, il marchese Ludovico Migliorati, Rettore della marca, per ordine dello zio, Papa Innocenzo VII, ingiungeva a Montefortino di cedere la fortezza ai Varano, che  divennero  così i signori  del  paese e  furono confermati  in tale signoria da Papa Gregorio XII (1502-1585) (26). Più tardi i Varano, volendosi assicurare il dominio di Montefortino, supplicarono il Concilio di Costanza per ottenerlo invariato ed infatti nel 1416 l’ottennero con altre terre. I Fortinesi si trovarono bene sotto i Varano e, quantunque Francesco Sforza occupasse tutte le Marche, Montefortino continuò a vivere sotto quei signori, né si ribellò ad essi, come fecero altre città marchigiane. Ma nel 1439, stremato dalla fame e dalla sete dovette cedere alle armi di Niccolò Piccinino (27). Dopo pochi giorni avviene un formidabile scontro fra loro Sforza ed il Piccinino nei pressi del Tenna, fra il cimitero e il torrente Era. Piccinino sconfitto, si ritirava in direzione di Ascoli con ingente bottino e così non fu difficile allo Sforza occupare Montefortino che insieme a Sarnano gli si arrendevano spontaneamente (28). I Fermani furono contentissimi che lo Sforza avesse occupato Montefortino, temendo che questo potesse ritornare in mano ai Varano. Ne chiesero allo Sforza la concessione al loro favore che fu loro concessa nel 1477. I Papi Innocenzo VIII  e Giulio II accordarono a Montefortino sovvenzioni e privilegi e dopo il pontificato di Leone X  dal 1513 al 1559, dipese sempre da Fermo (29). Salito Sisto V al trono pontificio, nel 1586 Montefortino veniva incorporato al Presidiato di Montalto.

Relazioni con Amandola

Dal 1360 al 1522 Montefortino è in ottimi rapporti con Amandola, che concede persino la sua cittadinanza ai Fortinesi, non solo, ma dopo una scorreria dei Vissani contro di questi, si impegnava a prestare aiuto a Montefortino qualora questo lo avesse richiesto (30). Il 6 aprile 1416 Montefortino offriva ad Amandola una tregua per iscritto, rogata con regolare atto, quattro giorni dopo (31). Amandola decideva di avere rapporti di buon vicinato oltre che con Montefortino, con Bolognola, Sarnano, Gualdo, Penna San Giovanni. Però concluse la tregua solo con Montefortino, perché gli altri comuni o tergiversarono o non risposero affatto (32). Ma nel 1523, dopo ben due secoli di pace, scoppiava la guerra contro Amandola per il possesso della Fonte di Faggio (33). ImmediatamenteAmandola revocava la cittadinanza ai Fortihnesi (34) ed armava i suoi cittadini con “ 428 lancioni, archibugi e munizioni da guerra” (35). Poi un breve armistizio, ma Amandola non disarmava: imponeva ai cittadini un prestito di 1000 ducati d’oro ed effettuava la leva sui giovani atti a portare le armi. Fermo si interponeva per la pace ed il 29 dicembre si stipulava un armistizio fino a tutto agosto dell’anno successivo; ma dopo appena una settimana, a causa di un’altra scorreria di Montefortino, che sta per scoppiare una nuova guerra. Ad un tratto giunge a Fermo (18 marzo 1524) un ordine del Commissario Apostolico, con cui si minacciavano scomuniche e multe, se si fosse venuti alle armi. I Fortinesi, incuranti delle minacce, effettuavano una scorreria in territorio di Amandola; questa subito allestiva un esercito di 600 uomini ed il giorno di S. Marco muove contro Montefortino. I cittadini si asserragliavano entro le mura e gli Amandolesi, irati per non poter ingaggiare battaglia, si rivolgevano alle campagne depredando e devastando. Insoddisfatti, tornavano il mattino dopo, ma  Montefortino temporeggiava; ritornavano allora alle loro case. In tale circostanza, sebbene non si fosse combattuto, gli abitanti di Penna San Giovanni mandano le loro congratulazioni agli Amandolesi (36). Poi si fa la pace e di due comuni si alleano per combattere i banditi. Questo avveniva nel 1570, ma nel 1598 sorgono nuove liti (37). Per farla breve, il delegato il 27 febbraio 1602 emise sentenza favorevole a Montefortino: si appellò a Mantova ancora davanti alla Sacra Consulta a Roma, ma questa, il 16 maggio 1616, respinse il ricorso. Così da allora, la Fonte di Maggio , per cui, come scrisse il Panfili furono “sacrificate vittime ed  innumerevoli greggi”, appartenne sempre a Montefortino (38).

S. Angelo in Montespino. Pieve fortificata

Inserita in un paesaggio montano (oggi in Comune di Montefortino), si erge sulla vetta di Montespino la splendida chiesa (avente il titolo di pievania) che appartenne alla diocesi di Fermo  il cui altare maggiore venne consacrato nel 1064 (39). Posta a 684 mt s.l.m. la pieve edificata in onore di San Michele Arcangelo, santo caro al culto longobardo, conferma la connotazione di baluardo di difesa su di un vasto territorio compreso tra i comuni di Montefortino, Amandola, Comunanza e Montemonaco. (40)

Afferma l’Antonelli: “ La sicurezza della fede in un mondo violento si esprime nell’architettura romanica con un impianto perimetrale che acquista i caratteri della fortezza inespugnabile: le stesse strutture murarie in arenaria e calcare della pieve, prive di decorazioni e munite di strette aperture, sono rafforzate dalla poderosa torre di vedetta a base rettangolare, non inglobata nel corpo della Chiesa, rimaneggiata nel XV secolo”.

Ed ancora: “ Dell’originale struttura rimane ora solo l’ala destra mentre il restante impianto deriva dalle successive trasformazioni iniziate già nel 1295 e protrattesi fino al XV secolo. Con queste modifiche viene completamente sovvertita la planimetria dell’edificio con la sensibile riduzione in lunghezza e il capovolgimento dell’asse principale della chiesa ad unica navata; l’attuale ingresso principale, sopraelevato gli inizi dell’ottocento, si apre sulla parete della primitiva abside rettangolare”.

Notiamo che la torre è stata sicuramente cimata, ha mantenuto la sua individualità, ed è provvista di posterula a dislivello, cui si eccede oggi per il tramite di una ripida scala in muratura mentre anticamente vi era una scala di legno (facilmente abbattibile) pure una scala a pioli (immediatamente ritraibile).

Santuario della Madonna dell’Ambro

In fondo ad una gola, a ridosso della montagna di Castel Manardo che lo fiancheggia destra, mentre alla sua sinistra si leva la Priora, da cui è quasi staccato dal fiume Ambro, sorge il Santuario della Grande Madre.  La zona è avvolta in grande silenzio profondo, di vera solitudine, solo rotto dal rumore delle acque, per cui è un luogo  privilegiato di devota preghiera.  Una tradizione afferma che, in un giorno di maggio, una Signora di sovrumana bellezza apparve ad una pastorella di nome Santa; e la fanciulla che era muta, dopo la celeste visione ebbe la parola. Sul luogo del prodigio i monaci benedettini dell’abbazia di Sant’Anastasio, nel 1073 avevano eretta una Chiesa denominata Santa Maria di Staterano, dal nome del fondo ove venne edificata. Tale chiesa rimase alle dipendenze dei benedettini fino al 1439.

La partenza dei religiosi determinò un periodo di abbandono e di abusi che menomavano il luogo santo. Allora il cardinale Peretti, poi il Papa Sisto V, fu inviato come  Legato, per ovviare agli inconvenienti. Questi, il 25 gennaio 1575, donava il Santuario al Capitolo di Fermo, perché ne prendesse custodia e lo officiasse degnamente. Nel 1600, l’interno del Santuario furono il fatto nelle sobrie classiche linee del Rinascimento, che attualmente si contemplano.

L’officiatura è stata affidata ai padri cappuccini che con vero gelo sono andati sempre più arricchendo la casa della Madre di Dio.  La loro presenza ha reso il Santuario una meta di pellegrinaggi. Le anime, nell’incontro con la Madonna, trovano la pace del cuore e la serenità dello spirito.

Nel 1610-1611 furono eseguite, da Bonfini di Patrignone, le decorazioni e le pitture della cappella che custodisce il simulacro venerato, e riproducono i fatti più salienti della vita di Maria Santissima.  Il santuario fu consacrato, con rito solenne, nel 1908 da monsignor Carlo Castelli. Nel 1927-1928, il Parodi decorava splendidamente tutta la Chiesa.  Nel 1929 il santuario veniva arricchito del grandioso organo

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1 Monsfortinus nobile oppidum, Italia Illustr., Pag.84

2 LEOPARI, Memorie istoriche di Montefortino raccolte dal Conte Lopardo Leopardi Patrizio recanatese e cittadino di essa terra; Manoscritto  1783 pag.5

3 Ildefonso SCHUSTER, L’imperiale Abbazia di Farfa, Roma 1921, pag.316, nota 4

4 Infrasciptae sunt civitates, terre set castra, quae sunt et semper fuerunt antiquitus sun Praesidiatu Abbatiae Farfensis, cum eorum comitatibus et districtibus: Civitas Firmanensis, Civitas Asculana, S. Victoria…Arquata, Amandula, MONS FORTINUS, Penna San Joannis, Mons S.Martini. Le seguenti sono leggi da, terre castelli, che sono state e sono dall’antichità sotto il Presidiato dell’Abbazia  Farfense: Fermo, Ascoli, Santa Vittoria, Monte Torario, Monte di Nove, Montalto, Patrignano, Porchia, Cossignano, Ripatransone,  Monterubbiano,  Montefiore, Offida, Castignano, Rotella, Force, Montemonaco, S.Maria in Lapide (Montegallo), Arquata, Amandola,  MONTEFORTINO,  Penna S.Giovanni, Monte S.Martino.

5 La statua suddetta fu allora collocata nella chiesa del Monastero di Sant’ Antonio, poco distante dal luogo della battaglia, indi fu trasportata dentro il paese, nel convento di Sant’Agostino, finché l’arcivescovo di Fermo (1933) la fece rimuovere dal culto.  E’ conservata nella civica pinacoteca di Montefortino.

6 LEOPARDI, op.cit.pag.22

7 Ibidem pag.23

8 Tale famiglia si spense con la morte di Cesare Roscio, cavaliere gerosolimitano, avvenuta a Macerata nel 1609. Cfr Guida della  Provincia di Ascoli, Ascoli, 1889, pag. 231

9 FERRANTI Pietro, Memorie storiche di Amandola, Ascoli P., 1891, pag. 52 e COLUCCI Giuseppe, Antichità Picene, 1794, pag. 158

10 Archivio Com. di Montefortino: Sentenza arbitrale del 15 luglio 1315 favorevole a Monte Fortino contro Monte Monaco.

11 Guida Prov.A.P. op.cit. pag. 230

12 Codice Diplomatico delle Pergamene esistenti nell’Archivio Comunale di Amandola, Pergamena N. 390 del 7 giugno 1308

13 Cifre desunte dall’Annuario della Provincia di Ascoli del 1865, dalla Guida della Prov. di Ascoli, op.cit. e dall’Anagrafe del Comune

14 FERRANTI op.cit. pag. 54

15 FERRANTI op.cit. pag. 23

16 FERRANTI op.cit. pag. 34

17 Cod.Dipl. Pergamena N. 217

18 Ibidem n. 469, protocollata dal Marocchi nel 1826

19 A. VITTORI, Monte Monaco, Firenze 1938 pag. 32

20 Archivio Comunale di Monte Monaco

21 Rettore della Marca era quel il Ministro che il Papa mandava a governare le Marche: quasi sempre era un Cardinale.

22 Perg. N. 521

23 Perg.N. 562

24 Aegidianae Contitutiones, Romae, 1575

25 Non per nulla nella premessa agli Statuti di Montefortino, si legge il distico latino: “vissanae gente set novit Amandula quid sit inter finitimos nec mea fama latet!”

26 In un pubblico istrumento del 1400, si leggono queste parole: “… pro magnifico e potenti domino, domino antonio aceti comite  montisfortini et domino dictae terrae”; Aceti finì male i suoi giorni essendo poco tempo dopo, condannato al taglio della testa  (LEOPARDI, op.cit. pag. 37)

27 Die insequenti Mons Fortinus fame ac siti laborans, captus est a Piccinini militibus. Nicolò Piccinio (Perugia 1386-1444) celebre condottiero italiano, batté  Fiorentini e Veneziani mentre era al servizio dei Visconti; occupò Bologna e se ne fece il signore: si oppose, ma senza successo, alle  ambizioni dello Sforza.

28 Kalendis octobris eiusdem anni (cioè nel 1442) Sarnanum et Monsfortinus sponte in ditione Comitis redierunt.

29 CATALANI Michele, De ecclesia firmana eiusque episcopi set archiepiscopis commentarius, Fermo, 1783. Pag. 261 (Tradotto da TASSI E. nel 12012.

30 Archivio Comunale di Montefortino pergamena N. 58

31 Libro dei consigli Comunali di Amandola, 1416, pag. 3

32 Ibidem, pag. 11

33 Lib.Cons. Com.li Amandola, op. cit. 1523, pag. 31

34 FERRANTI, op.cit. pag. 274

35 Ibidem, pag. 275

36 Nell’Arch. Com. di Amandola si conserva ancora (Cod. Dipl. 1019 e il 1020) la lettera con cui i “ priores populi et Comune Terrae Penna (sic!) Sancti Jhoannis si rallegano con i priori della terra di Amandola, affermando che è stato per loro piacer svincolare la vittoria che “ havete haute contro i vostri  inimici”.

37 FERRANTI, op.cit. pag. 287

38 Arch. Com. Montefortino. Processo per la Fonte di Faggio.

39 Fino al 1964 una lapide murata sul lato destro del presbiterio recava la seguente iscrizione: HOC ALTARE C(ON) SECRAVIT O(U)DALRICUS EP(ISCOPUS) IN HONOREM D.(OMI)NI N(OST)RI IHU(JESUS) XPI(CRISTI ET S. – (CRUCIS) ET S. MICHAELIS ET  S. PANCRATII MAR(TIRIS) ET S. SAVINI M(A)R(TIRIS) ET S. IULIANI MAR(TIRIS) ET O(MN)IU(M) S(AN)C(T)PR(UM) XVII K(ALENDAS) APRILIS AB INCARNATIONE D(OOM)INI MILL(ESIMO) LXIII EPISCOPAT(S) SUI VII FELICITER, AMEN.    L’Antonelli (v. n°2) dice che il 1064 fu l’anno di consacrazione della chiesa. Altri (G.Crocetti, Montefortino, Fermo 1988) identifica in tale anno quello della consacrazione dell’altare maggiore. Infatti “ il più antico documento che ci parla della pieve di Sant’Angelo sarebbe la cartula convenientiae del gennaio 977”.  Detta lapide documentando la consacrazione dell’altare maggiore; l’anno 1064 indica che già in quel tempo era costruita la chiesa. Pianta basilicale con cripta, presbiterio sopraelevato, tre navate coperte a capanna con absidi terminali semicircolari, illuminate da piccole monofore a strombo, orientate verso il levante ed il meridione. Però la cripta, o vestibolo con l’abside rivolta verso ponente sembra potersi ritenere quale parte superstite della chiesa romanica primitiva.

40 M. ANTONELLI, Amandola e il suo territorio, Milano 1995, pag. 61.

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