MONTEGIBERTO nella storia di padre Giuseppe Santarelli

MONTEGIBERTO NELLA STORIA di p. Santarelli Giuseppe

Monte Gilberto è un piccolo comune in provincia di Fermo, con un territorio di Kmq. 12,67, a 324 m. sul livello del mare, distante 15 km da Fermo, a cui ha legato la sua storia. Abitato sicuramente dai Piceni, come lo furono i centri vicini di  Belmonte e di Grottazzolina, in epoca romana il suo territorio fu interessato dalla centuriazione romana, al tempo del secondo triunvirato del  43 a. C.

1-I castelli di Casale e Podio. In epoca medievale, nell’attuale territorio Montegibertese esistevano due castelli: quello di Casale e quello di Podio.

Il castello di Casale, segnalato in un documento del 1059, si trovava a sud dell’attuale centro urbano di Monte Gilberto, nella zona detta ancor oggi “Campo Casale”, e si configurava come il tipico castello medievale: era infatti munito di porte, con un’entrata e un’uscita, di un fossato di cinta (carbonaria) e di altre difese strutturali (aedifitia),  oltre che di naturali (ripae) a nord ovest. Accoglieva dentro le mura una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, la quale era dotata di campane, di arredi sacri e di libri, oggetti preziosi a quel tempo, e possedeva nel territorio circostante alcune celle-oratori. Gli abitanti erano liberi da ogni sudditanza rispetto al signore (dominus) Longino di Suppone e costituivano una azienda curtense (curtis) che estendeva le sue terre all’intorno.

Il Castello del Podio è segnalato nel Regesto di Farfa nell’anno 1070, come antica proprietà Farfense usurpata dai vescovi fermani Ermanno (1047-1055) e Ulderico (1055-1073). Viene detto Castrum  quod  Podium  vocatur. Da vari e concreti indizi si evince che esso sorgeva nella contrada detta oggi “Castellanetta”, di fronte a Grottazzolina. Aveva una chiesa dedicata a San Martino ed un’altra a San Nicolò da Bari. Estendeva le sue consistenti “pertinenze”, con i “corsi d’acqua”, fin presso il fiume Ete e il torrente Rio.

2-Il castello di Monte Giberto. La prima notizia di un abitato nel luogo dove sorge ora il centro demico di Monte Gilberto risale al 1090. Questa data è stata individuata in alcuni mattoni quando, nel giugno del 1953, a seguito di piogge copiose e insistenti, crollò una casa con la sottostante cinta muraria, sul lato nord, interessando anche gli edifici circostanti. La prima fonte letteraria, tuttavia, che segnala Monte Gilberto si trova nel Codice 1030 dell’Archivio Storico Comunale di Fermo e risale solo al 1166. Si tratta di un documento in cui compare anche certo Arnaldus  Montis  Giberti.

Secondo lo scrivente, il preesistente centro demico, di limitata consistenza, intorno alla metà del secolo XII divenne proprietà del signore Giberto (dominus Gibertus), il quale era marito di Cecilia e padre di Trasmondo. Questo Gilberto aveva ereditato dalla sua sposa il castello di Cecilia, situato nei pressi di Petritoli, forse nell’attuale territorio Montegibertese, passato poi, nel 1181, al figlio Trasmondo, insieme con la terza parte del castello di Petritoli.

Nelle Rationes Decimarum degli anni 1290-1299 vengono segnalate diverse chiese nel territorio in esame e sempre con questa dicitura “ecclesia de Monte Giberti”, dove il ‘de’ regge l’ablativo di derivazione ‘Monte’, e Giberti resta sempre al genitivo di possesso. In altre parole, un Giberto, membro di una ben nota e potente famiglia del Piceno medioevale, i Gibertidi, risulta signore di un colle a cui dà il nome. La dizione ‘Mons  Giberti’ permane immutata nei documenti dei secoli successivi.

3-Da Villa a Castello. Nell’elenco dei 129 castelli acquisiti dalla Chiesa Fermana nel secolo XII non figura Monte Giberto e neppure compare con la qualifica di ‘castello’ nel comitato fermano nella prima metà del secolo XIII. Assai probabilmente il piccolo centro dermico si configurava come semplice ‘Villa’. Alla fine del secolo XIII però, stando alle “Rationes  Decimarum”,  questo centro appare ormai affermato nel territorio circostante, perché ad esso fanno riferimento quasi tutte le chiese ivi esistenti.

Intorno alla metà del secolo XIV,  Monte Giberto viene segnalato come Castrum, tra gli altri castelli dipendenti dal Comune di Fermo. La “Descriptio  Marchiae  Anconitanae”, redatta al tempo del cardinale Egidio Albornoz, verso il 1356, lo inserisce tra i castelli ‘verso i monti’ e lo nomina così: Castrum  Montis  Giberti. Il 22 febbraio 1355 il cardinale Albornoz ordinò ai comuni delle Terrae et Castra che elenca specificamente, di inviare i propri procuratori (sindaci) a Fermo, perché giurassero fedeltà nelle sue mani e promettessero l’osservanza di specifici obblighi verso la città di Fermo. Vi compare anche il ‘Castrum  Monti s Giberti’.

Per ‘castra’ si intendevano i nuclei fortificati per eccellenza, con una duplice dimensione: quella di insediamento cinto da mura, e quella di unità territoriale e sociale ad un tempo. Monte Giberto rientrava, con ogni probabilità, nella fattispecie di questi ‘castra’.

Esso dipendeva direttamente da Fermo, che nei propri ‘Statuta’, almeno fino dal 1380, lo elencava come ‘castello medio’, cioè nella fascia compresa tra i castelli ‘maggiori’ e quelli ‘minori’. In base agli stessi statuti, il castello di Monte Giberto veniva governato dalla Città di Fermo tramite un podestà, che restava in carica sei mesi, e aveva un proprio castellano o difensore della  rocca.

4-Il Castello di Monte Giberto e quelli di Casale e del Podio. Stando alle esigue, ma sicure indicazioni documentali, sembra che nei secoli XIII-XIV i più antichi castelli di Casale e del Podio abbiano perso a poco a poco la loro autonomia e siano stati assorbiti dal castello di Monte Giberto. Ne è una conferma la ‘Descriptio  Marchiae  Anconitanae’ del 1356, la quale non nomina i due primi castelli. Da un documento del 1450 risulta che l’antica chiesa di S. Giovanni, esistita un tempo nel castello di Casale, era stata ricostruita dentro il castello di Monte Giberto, presso la Porta da Sole, dirimpetto all’antico sito di quel castello. Si tratta di un stretto legame tra l’antico e il nuovo castello, nel contesto di quel noto e non raro fenomeno di incastellamento della popolazione sparsa nel territorio, che, al decadimento di un centro demico, anche fortificato, era solita ricostruire dentro un più sicuro ed emergente Castrum l’antica chiesa con la stessa precedente dedicazione.

Anche tra il castello del Podio e quello di Monte Giberto sembra che esista un legame, per quanto ancora non del tutto definibile, perché non è escluso che la chiesa matrice montegibertese, dedicata in origine al Santo Sepolcro, abbia cambiato poi il titolare con San Nicolò di Bari, mutuandolo dalla omonima chiesa del Podio, a significare l’unione dei due castelli. Probabilmente lo stesso stemma comunale, la cui prima raffigurazione conosciuta risale al secolo XVII, costituito da tre monti con una G sopra il picco più alto, sta a significare la fusione dei tre castelli di Casale, del Podio e di Monte Giberto, in un unico castello, avvenuta verisimilmente nel secolo XIV.

5-Le chiese del territorio di Monte Giberto nei secoli XIII-XV. Considerevole è il numero delle chiese nel territorio Montegibertese nei secoli XIII-XV, soprattutto se viene rapportato alla sua limitata estensione. In base alle ‘Rationes Decimarum’ degli anni 1290-1299 e ad altri documenti risulta che nel territorio in esame esistevano le seguenti dodici chiese.

1. Sant’Andrea: segnalata nel 1290, era posta probabilmente a nordest e del castello, ai confini con Ponzano di Fermo;    2. San Giovanni Battista:  era situata dentro il castello e custodiva l’altare di San Gilberto e un perduto dipinto di Carlo Crivelli, del 1478. Fu ricostruita dalle fondamenta intorno al 1770.   3.San Giovanni di Casale: costruita in origine nel distrutto e omonimo castello, fu poi ricostruita, forse nel secolo XIV, dentro la cinta muraria di Monte Giberto, conservando la titolazione e il cospicuo patrimonio dei beni mobili e immobili; è scomparsa in epoca imprecisata.    4. San Giovanni di Faveto (o Fageto): segnalata fin dal 1290, si trovava in contrada Colle San Giovanni ed è scomparsa in un periodo non definibile.    5. Santa Lucia: Chiesa rurale ancora esistente nell’omonima contrada, segnalata fin dal 1290, annessa più tardi alla chiesa di San Nicolò e ristrutturata nel 1728.    6. Santa Margherita che divenne santuario della Madonna delle Grazie: nota sin dal 1290, si trovava poco fuori dal castello e ospitava un’antica statua della Vergine con il Bambino. Per la viva devozione, fu trasformata in santuario. Nel 1757 fu abbattuta e sostituita con l’attuale e monumentale chiesa, molto frequentata.    7. San Martino di Lauriano: chiesa segnalata dai documenti fin dal 1290 e situata nella attuale contrada di San Martino. Forse fu sede di una “laura” con un certo numero di ‘celle’ (stanzine) separate per anacoreti e con un preposto (praepositus).    8. San Martino del Podio: chiesa situata nell’omonimo castello, è segnalata fin dal 1290 ed è scomparsa in epoca sconosciuta.    9. San Michele: chiesa rurale documentata fin dal 1290; era posta nell’omonima contrada ed è stata abbandonata dopo il 1450, quando ne fa menzione uno specifico inventario.    10. San Pietro de F(i)ano: forse costruita nel secolo XIV, viene menzionata la prima volta nel 1406 e poi in uno specifico inventario del 1450; si trovava a nord-est del castello, ai confini con un Ponzano di Fermo, probabilmente all’interno dell’odierna contrada Bore di  Fiano.    11. San Pietro de Valleriano: chiesa costruita nel secolo XIV; si trovava probabilmente nell’attuale contrada Redivalle, che è una deformazione di Rio di Valle.    12. Santo Sepolcro: chiesa matrice, posta dentro il castello, segnalata dai documenti fin dal 1290, ma molto più antica, l’unica conosciuta con tale titolazione in tutte le Marche del secolo XIII. Agli inizi del secolo XV mutò la dedicazione con San Nicolò di Bari, tuttora esistente, e fu ricostruita dalle fondamenta nel 1746. Il suo parroco aveva il titolo di Pievano, derivatogli forse, per partecipazione, dalla Pievania di Sancta Maria Mater Domini di Ponzano, verso cui la chiesa Montegibertese aveva una subiectio giuridica.

6-Il Castello di Monte Giberto nei secoli XV-XIX.  Agli inizi del Quattrocento questo castello, come gli altri vicini, fu coinvolto nella guerra mossa da Benedetto, nuovo rettore della Marca, vescovo di Montefeltro, contro Ludovico Migliorati, destituito dallo stesso rettorato e dall’investitura del Fermano. Il vescovo rettore Benedetto era affiancato da Rodolfo Varano di Camerino, da Chiavello Chiavelli di Fabriano e da Braccio di Montone. Gli alleati, con 1500 cavalieri e 1000 fanti, nei giorni 6, 7,  8 agosto 1407, occuparono anche Monte Giberto, le cui fortificazioni dovettero essere messe a dura prova.

I secoli XV e XVI furono caratterizzati dalle lotte tra Monte Giberto, Ponzano di Fermo e Grottazzolina per la definizione dei confini territoriali. Dopo la distruzione del castello di Santa Maria Mater Domini, presso Ponzano, avvenuta durante le invasioni del Fermano ad opera degli Sforza e dei Malatesta, il rispettivo territorio fu conteso dai tre menzionati castelli, che perpetrarono violenze e sopraffazioni, costringendo le autorità competenti a intervenire nel 1449. L’anno successivo il comune di Fermo inflisse addirittura un “interdetto” agli uomini di Monte Giberto

La contesa si rinnovò nel 1463, questa volta mossa da Grottazzolina, con rappresaglie e uccisioni tali da provocare il deciso intervento del comune di Fermo, che punì i più colpevoli e fece imprigionare i più facinorosi, comminando pesanti pene pecuniarie.

Monte Giberto nel 1473, come gli altri castelli del Contado di Fermo, dovette fornire aiuti all’esercito pontificio, impegnato con difficoltà nella difesa di Città di Castello e di Sansepolcro. Il nostro castello contribuì con quattro cavalli agli ordini di Peccatore.

Il secolo XVI conobbe altre controversie tra Grottazzolina  e Monte Giberto, sempre per la definizione dei rispettivi confini territoriali, i quali si estesero al di là del fiume Ete, verso Nord, a favore dei Montegibertesi. Tra i due castelli, comunque, ci furono gesti anche di collaborazione, come fu la costruzione di un Mulino ad uso di entrambi i comuni, realizzato nel 1511, presso il fiume Tenna, mulino che, per altro, nel secolo XVIII, fu causa di non lievi contestazioni.

Nei secoli successivi la vita del castello Monte Giberto, strettamente legata a quella della città di Fermo, non registrò eventi particolari. Sono da notare però eventi molto importanti, tra la prima e la seconda metà del secolo XVIII, quando la sua struttura urbana si rinnovò profondamente, secondo una planimetria caratteristica e compatta, semplice ma armonica, nel centro urbano: dalla Piazza Castello si diramano le vie e le viuzze laterali. Nel 1742 è stata costruita ex novo la chiesa gentilizia di Sant’Antonio di Padova, per iniziativa di Angela Porti, vedova di Benedetto Benedetti. In questo secolo, poi, sono stati ricostruiti dalle fondamenta il Palazzo comunale, che esibisce una facciata sobria ed elegante; l’armoniosa chiesa di San Nicolò, completata nel 1749; il monumentale santuario della Madonna delle Grazie, iniziato nel 1757, e l’elegante Chiesa di S. Giovanni Battista, già officiata nel 1771. In tal modo, la fisionomia edilizia del Castello ha assunto le forme di un garbato stile settecentesco, dove razionalità ed eleganza convivono nel rosseggiare degli edifici in materiale cotto.

7-Le Fortificazioni di Monte Giberto. Nel secolo XIV, Monte Gilberto fu dotato di una cinta muraria e assunse l’aspetto di Castrum, munito di buone difese. E lo fu quasi sicuramente per volere del comune di Fermo, a cui apparteneva. Se ne ha una tardiva ma significativa conferma in una nota del 1590, nella quale si legge che la comunità di Monte Giberto, essendo caduto il torrione del castello, chiese alle autorità di Fermo di ricostruire al suo posto solo il muro, per mancanza di risorse. L’autorizzazione, dunque, proveniva sempre dal centro e l’iniziativa non veniva presa autonomamente.

In origine la cinta muraria aveva quattro torrioni. Recentemente mostra le sezioni mutile nelle parti meridionale e occidentale. Le altre sezioni, escluso qualche residuo, sono scomparse in parte nel secolo XIX e agli inizi del XX, e in parte quando, nel giugno del 1953, una frana, causata dalle piogge, ha gravemente danneggiato il settore nord del castello, con crolli devastanti che hanno interessato marginalmente anche la chiesa di San Nicolò.

Lungo i secoli, alcune superfetazioni hanno deturpato la superstite cinta muraria del lato sud del castello, in prossimità della chiesa di S. Giovanni Battista, e nel lato nord, lungo l’ingresso all’antica “Porta da bora”, che è segnalata dalle fonti scritte fin dal 1450  ma è stata abbattuta o alla fine del secolo XIX o agli inizi del successivo.

Nel 1936, nell’elenco degli edifici monumentali, fatto dal Ministero dell’Educazione nazionale, così venivano descritte le fortificazioni di Monte Gilberto: “ Mura castellane frammentarie con arco acuto trecentesco e quattro torrioni cubici coevi.”

Purtroppo, dei quattro torrioni praticamente uno solo si conserva ancora abbastanza bene, anche se mostra i segni di vari ripristini: quello situato a sud ovest, che si eleva a ridosso della ripida e breve strada che introduce alla Porta da sole, la quale è stata gravemente manomessa e privata dell’antico arco acuto. Fino all’anno 1946 circa, si conservavano anche le due rispettive imposte di legno massiccio, che in tempi remoti venivano chiuse al calar del sole, insieme a quelle di Porta da bora. Recentemente è stato effettuato un intervento di ripristino fino sul torrioncino che si eleva sulla cinta a nord ovest, non lontano dall’antica Porta da bora.

Nonostante i crolli, le manomissioni e le superfetazioni, è possibile ancora effettuare una lettura critica e tecnica della cinta muraria del castello Monte Giberto.

8-Monumenti ed opere d’arte.

1 – CHIESA DI SAN NICOLO’. Fondata nel 1090, ebbe il titolo del Santo Sepolcro, mutato poi in quello di San Nicolò. Fu totalmente ricostruita nel 1746, a tre navate, in aggraziate forme tardo barocche, che richiamano lo stile del ticinese G. Maggi, attivo in quegli anni nel Piceno. Dietro l’altare maggiore si vede una statua di San Nicolò scolpita verso il 1750. In un altare laterale è posta la statua della Desolata, ispirata al simulacro della Madonna del Pianto (1613) venerato a Fermo. Viene conservato anche un plastico in legno policromo della Santa Casa Loreto, elaborato nel secolo XVIII. Nel presbiterio è esposta la Madonna del Rosario con santi, e quindici raffinati ovali dei misteri, eseguita nel 1580 per la chiesa della Madonna delle Grazie da un ignoto ma dotato pittore, a conoscenza del “ Matrimonio mistico di Santa Caterina” del Veronese, non lontano dai modi di E. Ramazzani,Gasparini e B Nucci.  Vi è  esposta inoltre una  Ultima Cena eseguita a Firenze nel 1602, su commissione della Confraternita del Sacramento, da un ignoto pittore che qui si è esercitato in acerbi tentativi di un luminismo di sapore caravaggesco.  Nella chiesa sono esposte altre due tele: Madonna di Loreto e santi, dipinta verso il 1686 per l’omonimo altare, da ignoto pittore che fa pensare ai modi di Lorenzini da Fermo o del suo concittadino G. Fantini; Crocifisso e Ss. Antonio e Giberto che reca in mano il plastico di Monte Giberto, quadro eseguito nel 1771 per un altare della chiesa di san Giovanni Battista forse dal pittore montegibertese Gilberto Todini.

2  CHIESA DI SAN GIOVANNI Battista. Segnalata fin dal secolo XIII,  totalmente rinnovata da un ignoto architetto nel 1770 in stile settecentesco con  residui barocchi. L’antica chiesa conservava alcuni affreschi e un prezioso e perduto trittico con la Madonna e i santi Nicolò e Giovanni Battista, eseguito da Carlo Crivelli 1478. L’interno, dalle forme armoniche ed eleganti, custodisce alcune elaborate statue di profeti in stucco di stile barocco ed una tela marattesca del secolo XVIII, raffigurante la Madonna col Bambino, santi e anime del Purgatorio, uscita probabilmente dalla bottega di Ubaldo Ricci di Fermo. Nell’abside si vedono affreschi con scene della vita di S. Giovanni Battista: Il Battesimo di Gesù; Il Battista nel deserto; Banchetto di Erode. Nel catino, su due specchi, San Giovanni Battista indica in Gesù l’Agnello di Dio. Sono dipinti considerevoli del 1941-1942, eseguiti da Ciro Pavisa, pittore di Montebaroccio  che, muovendo da un accademismo otto-novecentesco, si apre qui a uno schietto naturalismo. L’organo fu eseguito da Vincenzo Paci nel 1876: ha una facciata di 21 canne, una tastiera di 47  tasti e una pedaliera a leggio di 19 tasti.

3 – CHIESA DI SANT’ANTONIO da Padova. Sorta nel 1742, conserva all’interno una tela coeva con la Madonna e S. Antonio di Padova, collocata entro un altare a colonne tortili, uscita probabilmente dalla bottega dei Ricci di Fermo.

4 – CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE.  Su una chiesetta del secolo XIII a forma di cappelloncino affrescato, nel 1757 sorse l’attuale chiesa a tre navate su disegno del ticinese G. B. Vassalli in uno stile che coniuga elementi tardo barocchi con elementi di gusto classico. Il santuario custodisce, sull’altare maggiore, entro un baldacchino, la piccola statua della Madonna delle Grazie, un gioiello di devozione e di arte scultorea. Il preziosissimo simulacri viene attribuito ad uno scultore di arte pisana del secolo XIV. Dietro l’altare si trova una tela restaurata raffigurante la Natività di Maria copia pregevole di un dipinto di Annibale Carracci, già a Loreto ed oggi la Louvre. L’ignoto copista potrebbe essere il Todini, autore forse anche delle altre due grandi tele, anch’esse probabilmente copia, esposte nel presbiterio. Nell’abside si scordono gli affreschi eseguiti da Lodovico Catini, dal 1916, con figure ed emblemi mariani:  decorosa opera giovanile con echi di arte liberty floreale, occhieggiante il De Carolis. Nella volta,  scolastiche figure mariane di Armando Moreschini (1946). L’organo è stato realizzato da Angelo Morettini di Perugia nel 1830: ha una facciata di 25 canne, una tastiera di 50 tasti e una pedaliera a leggìo di 15 tasti. 

9 – Personaggi illustri.

SIMONE PALMIERI.       Fu un rinomato orefice e argentiere. Nato a monte Gilberto nel 1639, morì a Roma, probabilmente poco dopo il 1714. Effettuò l’apprendistato presso Antonio Moretti De Amicis e Balduino Blavier, due valorosi artisti attivi a Roma. Nel 1666, all’età di 27 anni conseguì la patente di maestro. Tenne bottega a Roma all’insegna della “Madonna di Loreto”, che campeggiava dall’alto della porta d’ingresso. Lavorò per il “Sacro Palazzo Apostolico” e dal 1707 al 1714 ebbe l’ambita qualifica di “Argentiere di Palazzo”. Il suo marchio conteneva l’effigie di una Croce di Malta.

GILBERTO TODINI.       Fu un fecondo pittore del secolo XVIII, da identificarsi con quel “Giberti de Montegiberto”, a cui dedica alcune righe Amico Ricci nelle sue note ‘Memorie istoriche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona’ (Macerata 1834, pag. 372 e 379), precisando di aver attinto informazioni in materia anche da Alessandro Maggiori di Fermo, noto studioso di storia dell’arte. La patria del Todini è Monte Giberto (FM), come si evince, oltre che dal Ricci, da alcune note dell’archivio degli Agostiniani di Fermo, dove l’artista, autore di quattro pere commissionategli da quei frati e citate anche dal Ricci,  è detto a chiare note “Gilberto Todini da Montegiberto”.

Nacque nel 1701 e fu incredibilmente attivo fino alla tardissima età, come ne fa fede una scritta apposta al ritratto del parroco di Santa Caterina di Fermo, don Ciabbattoni, da lui eseguita. La scritta dice: “Aetatis  suae annorum 97 A(nno) D(omini) 1798 Gilbertus Todini pingebat. E cioè Gilberto Todini dipingeva nell’anno del Signore 1798, all’età di 97 anni. Si ignora la data della sua morte, che comunque dovrebbe essere avvenuta poco dopo il 1798 o in quello stesso anno.

Il Ricci informa che il Todini fu discepolo del ben noto pittore veneto Francesco Trevisani (1656-1746), attivo a Roma, dove lasciò tele celebrate ai suoi tempi, quali la Morte di San Giuseppe nella chiesa di Sant’Ignazio e le Stimmate di San Francesco nell’omonima chiesa di largo Argentina. Il Trevisani si fece ammirare per la gamma vivace dei colori e per la composizione plastica delle sue tele che, in parte, si riallacciano alla tradizione del Maratta.

Annota il Ricci che il Todini nella pala della cappella principale della chiesa di San Giuliano di Fermo, segnalata in sede nel 1798, “si fa conoscere specialmente nell’aria delle teste e nel tono generale delle tinte trevisanesche non poco”, caratteristica che si riscontra anche in qualche altra sua tela. Aggiunge però che quando il pittore “prese a strapazzare il mestiere”, “variò nello stile” e perdette prestigio. Fu la troppa fretta a indurlo a tali difetti che egli “confermò nella tarda vecchiezza”.

Se si riuscisse a individuare tutte o quasi le tele dipinte dal Todini, si riuscirebbe a definire un catalogo abbastanza consistente delle sue opere. Dalle  ricerche risultano suoi questi dipinti. Anzitutto la citata tela nella chiesa di San Giuliano a Fermo. Il Ricci assegna al pittore Montegibertese altre due tele, esistenti a suo tempo presso padre Bassotti, prete dell’Oratorio di San Filippo in Sant’Elpidio a Mare, appartenenti un tempo a qualche chiesa del luogo. Sicuramente  sue sono quattro grandi pale d’altare, a olio su tela (cm. 520 X 250), eseguite per le cappelle della chiesa di Sant’Agostino a Fermo nel 1734-1735 raffiguranti:   a) Madonna col Bambino con quattro santi e cherubini;   b)   il Crocefisso con la Vergine, la Maddalena, San Sebastiano e un vescovo inginocchiato;   c)   Rita da Cascia ed alcuni santi in atto di adorare Gesù;   d)   Tre santi agostiniani in atto orante davanti a Cristo e alla Vergine. Amico Ricci considera queste quattro tele come opere mediocri, denuncianti una certa decadenza artistica del Todini,  a ragione. Risulta infatti da una nota dell’archivio che esse non soddisfecero i padri agostiniani che le avevano commissionate. Opera certa del Todini sono anche tre quadri  eseguiti nella volta della chiesa delle benedettine di Offida nel 1737, raffiguranti la Pentecoste, la Risurrezione, e l’Assunzione con gli apostoli che raccolgono i bianchi lini dentro il sepolcro e la Vergine, in alto, tra gli angeli. Dello stesso pittore sono anche i gruppi di Angeli dipinti nella lunetta della volta. È opera mediocre, come rilevava già l’Allevi nel 1926 con espressioni ironiche. Ugualmente opera sicura del Todini, perché firmata ed datata 1742, è una tela che rappresenta i Santi Fedele da Sigmaringen e Giuseppe da Leonessa, custodita nella prima cappella laterale della chiesa dei Cappuccini di Potenza Picena. Si tratta di un dipinto decoroso, con chiari echi trevisaneschi. Nello stesso luogo esistono altri quattro quadri a lui attribuiti sulla base del carattere stilistico: una pala d’altare raffigurante la Madonna con i santi di Felice da Cantalice e Filippo Neri, una Annunciazione in due tele distinte e il ritratto di padre Michelangelo Bosdari, generale dell’ordine dei Cappuccino.

Del Todini sono anche sei tele esistenti nella chiesa di Santa Maria delle Grazie in Montone di Fermo, eseguite intorno al 1750 e raffiguranti alcuni fondatori di ordini religiosi: S. Basilio, S. Silvestro, S. Pietro Celestino,  S. Romualdo, S. Gaetano Thiene, e i ss. Toribio, Malgravio, Filippo Benizi e Giovanni della croce.

È sua anche una tela esistente nella chiesa di San Domenico di Teramo, raffigurante la Battaglia contro gli albigesi, firmata e datata 1757. A Fermo nella chiesa dell’Angelo Custode, è conservato un S. Vincenzo martire ascritto al Todini dalla tradizione locale. Così pure gli viene attribuita dalla tradizione letteraria manoscritta la pala raffigurante il Crocifisso, esposto  nel santuario della Madonna del Pianto, sempre a Fermo. Al suo pennello si deve la Decollazione di S. Giovanni Battista custodita nella chiesa della Pietà, nella stessa città. A Monterubbiano nella collegiata di Santa Maria dei Letterati è conservata una tela raffigurante la Madonna di Loreto e i santi Stefano e Vincenzo uscita dalla mano del Todini e datata 1770. Gli viene assegnata anche un’altra Madonna di Loreto con le sante Rita da Cascia e Chiara da Montefalco, custodita nella chiesa di Sant’Agostino a Montelparo. All’artista Montegibertese si deve infine, come già accennato, il ritratto di  Don Ciabattoni eseguito a 97 anni nel 1798.

Amico Ricci attribuì al Todini anche una tela raffigurante San Giuliano visitato dall’angelo, conservata a suo tempo nel “sotterraneo del duomo” di Macerata e ora esposta nella sagrestia. Il Paci però l’ha restituita al ben  più noto Francesco Mancini da Sant’Angelo in Vad0 (1679-1750), sulla base di una esplicita quietanza del 1738.  Comunque sia, l’equivoco del Ricci sta a dimostrare che il Todini, nei suoi momenti migliori, poteva essere scambiato addirittura con il pittore Vadese, che al suo tempo, apprezzato anche dal Vanvitelli, era uno dei più celebri pittori dell’ambiente romano.

FRANCESCO COLVANNI.       Uomo politico e letterato. Nacque a Monte Giberto il 10 dicembre 1806 da Gaetano e da Teresa Casellini. Compì i suoi studi a Fermo, dove si trasferì stabilmente. Scrisse poesie e iscrizioni molto apprezzate ai suoi tempi per nobiltà di sentire e nitore di forma, secondo i canoni del neoclassicismo. A lui si deve l’iscrizione a Vittorio Emanuele II, in ricordo del suo passaggio a Porto San Giorgio. Scrisse i discorsi pronunciati in Parlamento relativi al problema della soppressione della provincia di Fermo. Ricoprì con grande dignità pubblici uffici e nel 1860 rifiutò la nomina di sindaco di Fermo. Morì il 20 febbraio 1873.

DON NICOLA ARPILI.       Nato a Monte Giberto nel 1836, vi morì nel 1901. Diventato sacerdote, fu rettore del santuario della Madonna delle Grazie per molti anni. Per la sua munificenza, fu acquistata nel 1870 la campana grande del santuario. Liberato miracolosamente, come egli riferiva, dalle mani dei ladri, si adoperò per il rinnovo del porticato della stessa Chiesa nel 1873. Con gesto generoso, donò nel 1899 le corone d’oro per il simulacro della Vergine delle Grazie. A sue spese fece erigere l’appartamento per il rettore del santuario.

Soprattutto resta nella memoria di tutti per la sua generosità verso i poveri, ai quali distribuiva anche vivande, regolarmente, in alcuni giorni. Quale testimonianza di questa sua munificenza resta l’ospedale da lui rifondato e dotato di beni con lasciti testamentari: Ora l’ospedale è stato trasformato in confortevole “Casa di riposo” e perpetua il suo ricordo tra i Montegibertesi che gli hanno eretto un busto.

LUIGI CAPOSTOSTI cardinale. Originario da Moresco, ma nato a Monte Giberto il 23 febbraio 1863. Una lapide, posta accanto al fonte battesimale della chiesa di San Nicolò, ricorda la data del suo battesimo.  Formatosi in seminario a Fermo, percorse brillantemente la carriera ecclesiastica, tanto che il 21 giugno 1926 Pio IX lo creava cardinale col titolo di S. Pietro in Vincoli. Fu pro-datario di sua Santità, membro di numerose Congregazioni e protettore di vari Istituti religiosi. Nelle 1930 fu inviato da Pio XI a presiedere, quale legato pontificio, le celebrazioni del Congresso Eucaristico Nazionale, svoltosi a Loreto. Morì a Roma il 10 febbraio 1938.

PADRE LUIGI BRACCIOTTI.       Nacque a Monte Giberto il 10 giugno 1884 ed al Fonte battesimale ebbe  il nome di Antonio. Entrato tra i Frati conventuali, fu ordinato sacerdote nel 1907. Operò con grande zelo a Montalto, a Montedinove e a Montelupone. Dopo il servizio militare, durante la prima guerra mondiale, fu penitenziere al Loreto, distinguendosi come ottimo liturgista. Successivamente i superiori lo inviarono ad Ascoli Piceno, dove si rese altamente benemerito con la fondazione dell’Opera pia del Sacro Cuore per l’accoglienza degli orfanelli. Morì il 16 giugno 1963.

Per la bibliografia: SANTARELLI, G., Monte Giberto. Origine e primo sviluppo. Secoli XI-XV. Ancona 1998 pp. 160. IDEM, MONTEGIBERTO, in “Riviera delle Palme” a. XVII, n. 5, novembre-dicembre 2001, inserto pp. VI-XII.

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