Schiaroli fra’ Alfonso spiega il valore dei santuari per l’animo umano

FASCINO SEGRETO DEI SANTUARI (p. Alfonso SCHIAROLI)
Il credente in genere, praticante o meno, è sensibile al fascino del santuario come luogo del sacro, dello straordinario. Anche il non credente spesso è conquistato dal senso – sia pur vago e un po’ nostalgico – di ciò che rappresenta questo luogo d’incontro col divino.
Il fatto di trovarsi fuori dal percorso usuale dell’orizzonte quotidiano, e per lo più in posti caratteristici per bellezze naturali od eventi miracolosi, pone il Santuario in una posizione privilegiata. Gli dà una capacità unica di attrazione. L’esigenza da tutti sentita, soprattutto oggi, di uscire di tanto in tanto dall’ambiente e dalla routine giornaliera, crea nuovi spazi per la curiosità, per i moti liberi dello spirito; e non necessariamente come fuga, come evasione. Nel santuario tutto questo può sfociare in richiamo religioso, in momento forte, imprevedibile di incontro con Dio.
E’ stato detto che se i santuari non esistessero, bisognerebbe inventarli. Anche i sociologi e gli antropologi oggi considerano con attenzione le espressioni della pietà popolare, che sono connesse soprattutto ai santuari, e tendono a rivalorizzare simili fenomeni religiosi. Per il credente i santuari sono i “luoghi alti”, le “cliniche dello spirito” secondo un’espressione cara a Paolo VI. Hanno una funzione che non si contrappone però, né sostituisce l’appartenenza del fedele alla propria chiesa locale. Essi rispondono ad alcune esigenze fondamentali della ricerca spirituale, della creazione di spazi, atteggiamenti nuovi, del dialogo con Dio.
Questo carisma particolare è messo meglio in luce dal modo con cui viene privilegiata nei santuari la riconciliazione e valorizzato il dono della sofferenza. Molti di essi ormai sono delle piccole Lourdes per gli ammalati. Per altro verso, il fondersi dei due richiami – turistico e religioso – è da considerarsi scontato nelle visite ai santuari, soprattutto in quelle private e familiari, che sono in maggioranza. E’ una costatazione da accettarsi in tutta serenità. Il pellegrino puro è un’illusione. Oltretutto non va dimenticata la caratteristica propria del giorno del Signore, giorno “festivo”: preghiera e riposo in uno spazio sereno di libertà e creatività d’incontri.
Nel rispetto delle esigenze –vecchie e nuove – di chi si reca al santuario, non va sottaciuta la presenza e l’azione di chi “gestisce” il santuario. Se il fedele, praticante o meno, o addirittura il non credente, venendo al santuario porta con sé delle attese, delle richieste, sta a chi accoglie e in qualche modo indirizza all’incontro col sacro, interpretare queste esigenze e offrire delle risposte.
Infine, conviene notare come le attese dei pellegrini-turisti, pur vaghe e inespresse che siano, hanno in comune una pregiudiziale. Una pregiudiziale, oggi, esigentissima, e oserei dire, spietata: il santuario non deve tradire in alcun modo l’immagine di “luogo alto” dello spirito, di ricettacolo del divino. Il volto esteriore che dà di sé può pregiudicare ogni approdo, ogni vero contatto religioso e l’opera di evangelizzazione, di animazione e di coinvolgimento nella preghiera e nella celebrazione liturgica.
Diceva uno scrittore francese, mi pare Bernanos:”mi cerco e mi ritrovo solo in quelle chiese e in quei santuari che sanno essere quello che sono; ci se accorge sempre di quello che gli uomini cercano di aggiungere e che purtroppo finisce coll’impoverire”. (“Voce del santuario Madonna dell’Ambro” n. 52, a. 1977 pp. 6-7)

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