Ricordo del faleronese don Bonfigli scritto da don Roberto Cipriani compaesano nel 1947

DA FALERONE – Don Bonfigli a Massa Fermana. Sacerdote commemorato da don Roberto Massimiliani 6.2.1947. “ Ho conosciuto il suo zelo bruciante, l’amore alla parrocchia, l’ansia del bene di ciascuno, la generosità senza limiti, la cordialità, la sincerità, la laboriosità, la fedeltà alle amicizie, la mitezza, l’integrità della sua vita sacerdotale, la modestia, l’insonne opera di bene, la chiarezza delle sue decisioni e la ferma volontà di portarle a termine, l’amore a Gesù Sacramentato, alla Madonna, al Papa, alla Chiesa, all’Azione Cattolica. L’ho visto più volte con le lacrime sui suoi occhi. Quando piange un uomo di 59 anni non piange con gli occhi, piange con l’anima. Ho sentito e provato lo schianto del suo cuore per l’ingratitudine, per le calunnie più atroci, per le scritte infami, per la guerra e le persecuzioni sofferte. Mi disse che durante la guerra scriveva ai suoi soldati una lettera a ciascuno, ogni settimana, … poi … l’ingratitudine! Nella vita della parrocchia, sempre a disposizione di tutti, sempre a dire di sì. Tacere, ingoiare, pazientare. Ci vuole molta forza, ci vuole eroismo talvolta, ci vuole più forza certamente a sopportare un’offesa che offendere. Don Bonfigli nacque da una famiglia profondamente cristiana, dove il lavoro è sacro, la religione è guida, gli affetti familiari profondi: ebbe un padre profondamente cristiano, una madre santa. Con la famiglia fu tenerissimo. Poi si fece della parrocchia una nuova famiglia ed anche in morte lasciò alla Chiesa e per opere di bene ciò che aveva ricevuto dalla Chiesa. Studiò nel seminario di Fermo e per pietà, per bontà esemplare fu discepolo tra i primi. Quel seminario regionale formò il clero della diocesi. Egli vi si formò nei primi anni di Mons. Castelli (venuto nel 1906) al tempo del modernismo e del murrismo, agli inizi dell’azione Cattolica e dell’azione sociale del clero. Gli furono compagni, maestri e superiori uomini che in diocesi e fuori hanno lasciato larga fama di sé. Alcuni sono ascesi ad alte cariche della gerarchia ecclesiastica: Don Biagio Cipriani, monsignor Sergolini, mons. Campelli, mons. Nogara, mons. Armani tanti altri che per l’attività, l’ingegno, il lavoro e il coraggio hanno dato alla diocesi un nuovo volto. Clero agile, attivo, moderno che predilige la gioventù, esce dalle sacrestie, affronta coraggiosamente i problemi e li scioglie. Clero che tutti accosta, può avere avversari, ma non nemici; va in macchina se è necessario e utile al suo ministero, costruisce, edifica chiese, riprende, richiama, esorta, sa soffrire, pregare e tacere. Tale fu ed è il clero di cui fa parte Don Bonfigli. Ordinato nel 1913, rimase in seminario come prefetto e insegnante per due anni e fu il prediletto di mons. Trebbi che gli aveva promesso un posto in Paradiso. Cappellano ad Alteta e a Grottazzolina, parroco a Monte Rinaldo e a Monte San Pietro Morico, lasciò, ovunque con i buoni esempi, larga eredità di affetti. A Massa fu mandato nel 1924. Allora a Massa la grande chiesa era appena cominciata. La casa canonica era una catapecchia cadente: debiti, contrasti, scoraggiamento, una desolazione. Iniziò la sua opera nella piccola chiesa della confraternita e pochissimi uomini andavano a messa, per di più stavano fuori dalla chiesa. Egli iniziò un edificio spirituale. Ora pochissimi sono quelli che non vi vanno. Inizia e fonda l’azione Cattolica in tutti i suoi rami, tanto da renderla esemplare in tutta la diocesi, sì da conseguire premi e menzioni senza numero. Inizia il culto eucaristico sì da giungere in uno degli ultimi anni a 37.000 comunioni annue. Inizia il catechismo ai fanciulli, sviluppato in modo esemplare per tutta la diocesi: la parrocchia lentamente viene riformata. Edifica la chiesa parrocchiale, anche con suo grave sacrificio personale. La vuole larga, spaziosa, elegante. La fornisce di suppellettili, di un calice d’oro fatto con le offerte dei fedeli, rivendica alla chiesa la tavola del Crivelli, palladio di questo paese. La fornisce di organo, quadri, statue, della grotta della beata Vergine di Lourdes. Fu il suo amore: nella chiesa le lunghe ore sull’inginocchiatoio, i canti, le predicazioni di vescovi, e illustri oratori, le feste. le prime Comunioni sfarzose. Qui il suo cuore; qui ha voluto che riposassero le sue ossa. Don Bonfigli è il parroco che pianse parecchi giorni perché una vecchia era morta senza sacramenti. In tempi tristi di odio, di guerra e di morte aprì la casa ai fuggitivi e ai perseguitati e non chiese loro quale fede avessero, quale colore politico, bastandogli che essi fossero bisognosi dell’umana e cristiana carità. E come ogni buon ministro di Dio soffrei persecuzioni e calunnie, vicino ad ogni famiglia a benedire e confortare. Aprì l’asilo dei fanciulli, la scuola femminile, e altre opere aveva in animo di fare. Fuori di Massa andò a svolgere il ministero per predicazioni, tre-giorni, settimane sociali e anche fuori diocesi fu chiamato spesso. Fu esaminatore nazionale della Gioventù Cattolica, andando a visitare le diocesi della Campania. Gli fu proposto di diventare parroco di San Pietro a Fermo, ma i parrocchiani non l’hanno lasciato partire. A Campofilone non volle andare perché disse che le rendite erano troppe. La Madonna del Pianto riuscì a staccarlo e a portarlo ai suoi piedi e si svolse una grande attività per il santuario e per la confraternita. Nei 10 giorni della malattia mostrò tale finezza di vita spirituale che sorprese noi tutti che pure lo conoscevamo da vicino. Distaccato da tutto diceva che solo contano le cose dell’anima: ” Sono tranquillo e a che serve la guarigione? \ Ai suoi disse: – Siate forti nella fede. -\ Confido nella misericordia di Dio e nella Madonna. Ho fatto sempre il bene; non ho fatto del male a nessuno”. Spirò la vigilia della festa di Don Bosco di cui era devotissimo; aveva desiderio di farsi salesiano.

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